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Sommario del 11/05/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI in Israele: vengo per pregare per la pace in Terra Santa e in tutto il mondo. Mai più crimini come la Shoah
  • Il rabbino Di Segni: importanti le parole del Papa contro l'antisemitismo
  • La visita al Memoriale dell'Olocausto: intervista con una storica dello Yad Vashem
  • Lo statu quo in Terra Santa: intervista con padre Macora
  • Benedetto XVI al congedo ad Amman: cristiani e musulmani lavorino per il dialogo e la pace in Medio Oriente
  • La visita al Sito del Battesimo. Il Papa: promuovete il dialogo anche quando rivendicate diritti legittimi
  • Le testimonianze del patriarca caldeo Delly e del patriarca latino di Gerusalemme Twal
  • Mons. Sayegh: un pellegrinaggio che dà alla minoranza cristiana una nuova speranza
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Pakistan: un milione di civili in fuga dagli scontri esercito-talebani
  • Guerra in Sri Lanka: uccisi cento bambini
  • Immigrazione: polemiche in Italia sulla "politica del respingimento"
  • Chiesa e Società

  • I vescovi delle Antille ribadiscono l'opzione preferenziale per i poveri e i giovani
  • Giovedì in Canada la Marcia nazionale per la vita
  • I leader religiosi europei incontrano a Bruxelles i vertici dell’Unione
  • Nuova influenza A: 53 decessi su 4.694 contagi in 30 Paesi
  • Aperta in Indonesia la Conferenza Mondiale sugli Oceani
  • Progetto Icarus per la sicurezza stradale dei giovani europei
  • Progetto dell’Unione Europea per combattere la discriminazione
  • 24 Ore nel Mondo

  • Iran: scarcerata Roxana Saberi: condannata a due anni con sospensione della pena
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI in Israele: vengo per pregare per la pace in Terra Santa e in tutto il mondo. Mai più crimini come la Shoah

    ◊   Una preghiera accorata per la pace in Terra Santa e nel mondo, la durissima condanna della Shoah e una vera e propria supplica per il raggiungimento di una soluzione giusta al conflitto israelo-palestinese: così Benedetto XVI si è presentato in Israele durante la cerimonia di benvenuto all’aeroporto internazionale di Ben Gurion a Tel Aviv. Il Papa è stato accolto dal presidente israeliano Shimon Peres e dal premier Benjamin Netanyahu. Linea al nostro inviato Roberto Piermarini:
     
    “I come, to pray at the holy places to pray…”
    “Vengo per pregare nei luoghi santi, a pregare in modo speciale per la pace – pace qui nella Terra Santa e pace in tutto il mondo”.

     
    Nel suo primo discorso in Israele, Benedetto XVI ha voluto ribadire lo scopo del suo pellegrinaggio e non ha mancato di lanciare un accorato appello per rilanciare il negoziato di pace tra israeliani e palestinesi:

    “In union with people of good everywhere...”
    “In unione con tutti gli uomini di buona volontà, supplico – ha detto il Papa – quanti sono investiti di responsabilità, ad esplorare ogni possibile via per la ricerca di una soluzione giusta alle enormi difficoltà, così che ambedue i popoli possano vivere in pace in una patria che sia la loro, all’interno di confini sicuri ed internazionalmente riconosciuti”.
     
    In questo momento in cui il processo di pace nella regione si sta sgretolando tra rivendicazioni ed estremismi, Benedetto XVI ha detto di sperare e pregare affinché “si possa presto creare un clima di maggiore fiducia, che renda capaci le parti di compiere progressi reali lungo la strada verso la pace e la stabilità”.

     
    Parlando al presidente Peres il Papa non ha mancato di annunciare che in questa visita onorerà la memoria dei sei milioni di Ebrei vittime della Shoah e pregherà “affinché l’umanità non abbia mai più ad essere testimone di un crimine di simile enormità”. Inoltre ha condannato con forza il risorgere dell’antisemitismo che va combattuto dovunque si trovi, promuovendo il rispetto e la stima verso gli appartenenti ad ogni popolo, razza, lingua e nazione in tutto il mondo. Riferendosi alla città di Gerusalemme, il Papa ha espresso la speranza che in questa Città Santa “tutti i pellegrini ai luoghi santi delle tre grandi religioni monoteiste, abbiamo la possibilità di accedervi liberamente e senza restrizioni per prendere parte a cerimonie religiose”. Accesso che spesso le autorità israeliane limitano per motivi di sicurezza.

     
    Infine un pensiero alla piccola Chiesa locale che è una minoranza e che è chiamata attraverso la testimonianza a Colui che predicò il perdono e la riconciliazione, a difendere la sacralità della vita ed a recare un “particolare contributo perché terminino le ostilità che per tanto tempo hanno afflitto questa terra":

     
    “I pray that your continuing presence in Israel...”
    “Prego che la vostra continua presenza in Israele e nei Territori Palestinesi – ha concluso Benedetto XVI - porti molto frutto nel promuovere la pace ed il rispetto reciproco fra tutte le genti che vivono nelle terre della Bibbia”.
     
    Ad accogliere il Papa in Israele, oltre al presidente Peres e al premier Netanyahu, anche tutti i presuli di Terra Santa. Il presidente Peres nel suo discorso ha parlato di “importante missione di pace” del Papa, ha incoraggiato il dialogo ebraico-cristiano, ha sottolineato la convivenza in Israele di diversi popoli che pregano lo stesso Dio ed ha annunciato che dopo la pace con Egitto e Giordania, Israele è impegnata in negoziati di pace con i palestinesi. I giornali scrivono che Benedetto XVI viene in Israele per una visita storica come uomo di pace. Il “Jerusalem Post” parla di visita “epocale” e da più parti si sottolinea che il caso Williamson è superato. Singolare un titolo sul quotiano “Haaretz” che parla di “Mission possible”, missione possibile, la missione di pace che fa da sfondo a questo pellegrinaggio papale.

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    Il rabbino Di Segni: importanti le parole del Papa contro l'antisemitismo

    ◊   Sui primi momenti del viaggio apostolico di Benedetto XVI in Israele e, in particolare sulle parole del Papa all’arrivo a Tel Aviv, Fabio Colagrande ha raccolto il commento del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni:

    R. – Io ho seguito la cerimonia di arrivo, e devo dire che ho l’impressione che si sia svolto tutto molto bene, che sia cominciata bene, con espressioni di rispetto reciproco, sincere e positive.

     
    D. – “Sfortunatamente, l’antisemitismo continua a sollevare la sua ripugnante testa in molte parti del mondo; questo è totalmente inaccettabile, ogni sforzo dev’essere fatto per combattere l’antisemitismo dovunque si trovi”. Il Papa aveva già espresso questo concetto altre volte, magari con parole diverse; che impressione le ha fatto ascoltarle, oggi, proprio per la prima volta che Benedetto XVI arriva nello Stato d’Israele?

     
    R. – E’ importante che questi concetti – che peraltro sappiamo ben condivisi e non formali da parte di questo Papa – siano riaffermati; certamente, nel pensiero di questo Papa, la parola antisemitismo non significa soltanto ostilità razzistica antiebraica, ma l’ostilità profonda – anche teologica -. Questo Papa si è adoperato contro l’ostilità antigiudaica teologica, e quindi che lo dica adesso, in terra d’Israele, è una cosa ulteriormente importante.

     
    D. – Quanto, secondo lei, rabbino Di Segni, questo viaggio del Papa potrà rinsaldare ancora di più i rapporti fra le due religioni?

     
    R. - Io credo sia una tappa necessaria e indispensabile, e per questo l’auspicio è appunto che tutto vada bene, perché queste presenze, chiaramente più di ogni altra dichiarazione o documento o cerimonia, sono dati reali che fanno impressione sul grande pubblico e che per questo hanno un impatto positivo.

     
    D. – Si parla ancora su alcuni giornali degli effetti che ha avuto il caso Williamson. Adesso che il Papa è in Israele quel caso secondo lei si può considerare chiuso, anche dopo le parole pronunciate dal Pontefice nei mesi scorsi?

     
    R. – Io credo che il caso sia chiuso da un pezzo, nel senso che una volta che è stata chiarita la dimensione della cosa e che il Papa stesso con un gesto inconsueto ha chiesto praticamente scusa per quello che era successo, mi pare che non ci debbano essere assolutamente equivoci.

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    La visita al Memoriale dell'Olocausto: intervista con una storica dello Yad Vashem

    ◊   Benedetto XVI nel pomeriggio visiterà lo Yad Vashem, il Memoriale dell'Olocausto. Nella Sala della Rimembranza incontrerà sei sopravvissuti e terrà il suo discorso. Ma con quale spirito lo Yad Vashem accoglie il Papa? Roberto Piermarini lo ha chiesto a Iael Nidam Orvieto, storica dell'Istituto internazionale per la ricerca del Memoriale dell'Olocausto:

    R. – Con uno spirito molto positivo e con uno spirito di benvenuto. Questa visita è estremamente importante per entrambe le parti ed il Papa rappresenta un leader spirituale molto importante nel mondo. Quindi, questa visita ha un’importanza simbolica, spirituale e non solo.

     
    D. – Qual è la particolarità di questa visita?

     
    R. – Dal punto di vista organizzativo, proprio perché ci rendiamo conto che si tratta di un leader spirituale molto importante, abbiamo scelto dall’inizio una modalità esattamente uguale alla visita di Giovanni Paolo II. E' divisa in due parti: una parte, diciamo, cerimoniale, che vuole dare un tributo e mantenere la memoria delle vittime della Shoah; e una seconda parte durante la quale ci sono dei discorsi – appunto il discorso del Papa – ed anche questa è unica perché la visita di Giovanni Paolo II e la visita del Papa attuale sono e resteranno le uniche occasioni durante le quali, nella Tenda della Rimembranza, si sono fatti dei discorsi.

     
    D. – Cosa significa “Yad Vashem” e cosa rappresenta questo Memoriale per il popolo di Israele?

     
    R. – Yad Vashem significa “il monumento e la memoria”. Rappresenta il luogo, possiamo dire simbolico – molti lo vedono anche come la tomba simbolica – dei sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti e dai loro collaboratori. Dobbiamo ricordarci che la maggior parte delle vittime non ha una tomba e proprio nel luogo dove avverrà la cerimonia, la Tenda della Rimembranza, sono seppelliti sei calici pieni di ceneri che sono state raccolte nei sei campi di sterminio nel ’45; nel ’46 poi, sono stati portati qui in Israele e sono stati seppelliti in maniera temporanea fino all’apertura della Tenda della Rimembranza. Da quando la tenda della rimembranza è stata costruita, quella è diventata veramente la tomba simbolica dei sei milioni di vittime. Proprio per questo, scegliamo quel luogo come luogo più adatto per questo tipo di cerimonie.

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    Lo statu quo in Terra Santa: intervista con padre Macora

    ◊   Durante la sua visita in Terra Santa il Papa visiterà alcuni luoghi, come il Santo Sepolcro, regolati dal cosiddetto “statu quo”. Si tratta di un aspetto molto delicato, soprattutto a livello ecumenico. Roberto Piermarini ne ha parlato con padre Atanasio Macora, segretario per la Commissione dello “statu quo” della Custodia di Terra Santa:
     
    R. – Lo “statu quo” in senso stretto riguarda determinati santuari della Terra Santa, tra cui il Santo Sepolcro, la chiesa della Natività a Betlemme, il Santuario dell’Ascensione e la Tomba della Vergine, che sono condivisi da diverse comunità cristiane. Lo “statu quo” regola questa condivisione, nel senso che lo “statu quo” è un decreto che obbliga ciascuna delle diverse comunità a rimanere nel suo stato attuale, e non è consentito ad una comunità di andare oltre il proprio confine. Si tratta di questioni di pulizia, di mantenimento, di proprietà, di uso. Per esempio, per quanto riguarda il tempo liturgico: ogni comunità è obbligata a pregare nel tempo ad essa riservato e a non andare oltre.

     
    D. – Chi regola lo “statu quo” nei Luoghi Santi?

     
    R. – Lo “statu quo” è regolato … nell’anno 1852 dal sultano turco, che obbligava ciascuna comunità a rimanere al proprio posto, e questo veniva a confermare – a sua volta – una situazione precedente che risaliva al 1757. Quindi, lo “statu quo” non è un codice ma è l’imposizione di un cessate-il-fuoco, in cui ciascuno rimane al proprio posto. Ma è importante sottolineare che di per sé non è un codice, non c’è un testo unico al quale ciascuna comunità possa rivolgersi per provare i propri diritti.

     
    D. – Padre Macora, il problema – secondo lei – è lo “statu quo” o la sua interpretazione?

     
    R. – Di per sé, il problema è che non esiste un codice. Cioè, lo “statu quo” è vago, è in se stesso una cosa vaga, perché non è definito. Non abbiamo un codice comune. Per essere più precisi: negli anni Sessanta, le tre comunità maggiori del Santo Sepolcro, cioè i greci-ortodossi, i latini rappresentati dai Francescani e gli armeni, si sono messi d’accordo per fare i restauri. Per fare i restauri della Basilica, hanno dovuto stilare degli accordi scritti. Questi accordi scritti, a mio parere, prendono il posto dello “statu quo”: ormai, in alcune situazioni, esiste una specie di codice scritto al quale possiamo appellarci, dicendo: questo è nostro perché l’abbiamo aggiustato nel 1962. Quindi, lì lo “statu quo” non presenta alcun problema, c’è chiarezza. Ma lo “statu quo” è un grande problema. Ultimamente, a novembre, c’è stato grande conflitto tra armeni e greci causato da una interpretazione: ecco, queste parti vaghe creano difficoltà.

     
    D. – La difficile questione di Gerusalemme, che sembra quasi inestricabile, influisce sullo “statu quo”?

     
    R. – Di per sé, no. Lo “statu quo” in senso stretto, è riferito ai Luoghi Santi. Ciò nonostante, ogni tanto qualcuno usa questa espressione di “statu quo” per indicare che le potenze politiche di oggi rimangono sulle loro posizioni.

     
    D. – Ultima domanda, padre Macora: c’è stato un problema – dovuto alla presenza di Benedetto XVI – qui, per quanto riguarda lo “statu quo”, o è stato superato ogni problema?

     
    R. – Non c’è stato nessun problema: io ho trovato i greci e gli armeni disponibilissimi, al massimo; noi abbiamo dovuto chiedere – per esempio – qualche cortesia, qualche eccezione alle regole dello “statu quo”: ad esempio, i microfoni, perché nella Basilica del Santo Sepolcro è proibito l’uso di altoparlanti, per ovvi motivi. Se tutti ne facessero uso, non si riuscirebbe più a pregare. Però, in via eccezionale, possiamo usarli con il consenso delle altre due comunità che hanno acconsentito all’uso degli altoparlanti. Sono stati veramente bravi e io sono loro riconoscente.

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    Benedetto XVI al congedo ad Amman: cristiani e musulmani lavorino per il dialogo e la pace in Medio Oriente

    ◊   Pace e prosperità: è l’augurio che Benedetto XVI ha rivolto alla Giordania nella cerimonia di congedo, stamani all’aeroporto Queen Alia di Amman. Il Papa ha ricordato i momenti forti della sua visita in terra giordana ed ha rinnovato il suo appello per la tolleranza religiosa. Dal canto suo, re Abdullah II ha ringraziato il Papa per aver onorato la Giordania della sua visita ed ha auspicato che si rafforzi il dialogo tra cristiani e musulmani. Il servizio di Alessandro Gisotti:

     
    “Porto nel mio cuore il popolo” del Regno di Giordania “e tutti coloro che vivono in questa regione. Prego perché abbiate la gioia della pace e della prosperità”: con questo auspicio, Benedetto XVI ha lasciato Amman alla volta di Israele. Nel suo discorso di congedo, il Papa ha ringraziato tutti coloro che, dai sovrani ai volontari, si sono prodigati per il successo della visita. Quindi, ha levato un nuovo appello in favore del dialogo e della tolleranza:

     
    “I would like to encourage all Jordanians…”
    “Desidererei incoraggiare tutti i Giordani - ha detto - sia Cristiani che Musulmani, a costruire sulle solide fondamenta della tolleranza religiosa che rende capaci i membri delle diverse comunità di vivere insieme in pace e mutuo rispetto”. Il Papa ha lodato il Re Abdullah II per il suo impegno “nel promuovere il dialogo inter-religioso”. Ed ha preso atto “con gratitudine della particolare considerazione” che dimostra verso la comunità cristiana in Giordania. “Questo spirito di apertura – ha ribadito Benedetto XVI - non solo aiuta i membri delle diverse comunità etniche in questo Paese a vivere insieme in pace e concordia, ma ha anche contribuito alle iniziative politiche lungimiranti della Giordania per costruire la pace in tutto il Medio Oriente”. Ha così ripercorso idealmente le tappe principali della sua visita in Giordania:

     
    “One of the highlights of these days…”
    “Un giorno particolarmente luminoso tra quelli che sto vivendo – ha affermato - è stato quello della mia visita alla Moschea al-Hussein bin-Talal, dove ho avuto il piacere di incontrare i capi religiosi musulmani”. Ed ha espresso “particolare gioia” per essere stato presente "all’avvio di numerose importanti iniziative promosse dalla comunità cattolica" in Giordania. Ha citato la nuova ala del Centro Regina Pacis, che “aprirà concrete possibilità di recare speranza a coloro che lottano con difficoltà di vario tipo, ed alle loro famiglie”. Ancora, le due chiese che saranno costruite a Betania e che, ha rilevato, “renderanno possibile alle rispettive comunità di accogliere pellegrini e promuovere la crescita spirituale di coloro che pregheranno in quel luogo santo”. Infine, il Pontefice ha parlato dell’Università di Madaba chiamata ad “offrire un contributo particolarmente importante alla comunità più ampia, formando giovani di varie tradizioni nelle competenze che li abiliteranno a modellare il futuro della società civile”. Il Papa è poi ritornato sul significato profondo di questo viaggio apostolico:

     
    “Dear friends: as you know, it is principally as a pilgrim…”
    “Cari amici – ha spiegato - come sapete è soprattutto come pellegrino e pastore che sono venuto in Giordania”. Per questo, ha confidato, “le esperienze di questi giorni che rimarranno più fermamente incise nella mia memoria sono le mie visite ai luoghi santi ed i momenti di preghiera che abbiamo celebrato insieme”. E qui ha espresso l’apprezzamento di tutta la Chiesa verso coloro che custodiscono i luoghi di pellegrinaggio ringraziando le molte persone che hanno contribuito alla preparazione dei Vespri di Sabato nella Cattedrale di san Giorgio e della Messa domenicale nello Stadio Internazionale di Amman:

     
    “It was truly a joy for me to experience…”“E’ stata veramente una gioia per me sperimentare queste celebrazioni Pasquali con fedeli Cattolici di diverse tradizioni, uniti nella comunione della Chiesa e nella loro testimonianza a Cristo”, ha detto. Quindi, ha incoraggiato i cristiani giordani a rimanere fedeli, tutti insieme, al loro impegno battesimale, ricordando che Cristo stesso ha ricevuto il battesimo da Giovanni nelle acque del fiume Giordano. Dal canto suo, il re Abdullah II ha sottolineato l’importanza della visita del Papa:

     
    “It is vital that we continue the dialogue of respect that we have begun …”“E’ di vitale importanza – ha affermato il sovrano - che continuiamo il dialogo di rispetto che noi abbiamo intrapreso”, ribadendo l’impegno “ad ogni livello per diffondere la comprensione, in particolare tra i giovani”. E’ importante, ha concluso, che noi credenti “condividiamo le ricchezze morali delle nostre fedi, affinché possiamo incontrarci per sanare le divisioni e per creare un mondo migliore per tutti”.

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    La visita al Sito del Battesimo. Il Papa: promuovete il dialogo anche quando rivendicate diritti legittimi

    ◊   Anche l’ultima tappa del Papa in Giordania, la visita al Sito del Battesimo e la benedizione delle prime pietre di due nuove chiese che sorgeranno in quell’area sulla riva del Giordano, è stata segnata da una grande festa e dalla presenza, non prevista, del Re Abdullah e della Regina Rania. Un gesto di rispetto e di cordialità che ha suggellato tre giorni di grande importanza per tutta la comunità araba cristiana di Giordania e della Terra Santa. Il servizio di Pietro Cocco:

    L’immagine è di quelle che rimangono a futura memoria. In modo del tutto inaspettato, ad attendere il Papa al Sito del Battesimo c’erano il Re Abdullah, la regina Rania e il Principe Ghazi che presiede la Commissione incaricata della preservazione e restauro del Sito. A bordo di una delle macchine elettriche preparate per l’occasione, i Reali di Giordania hanno accompagnato Benedetto XVI lungo tutto il percorso archeologico, sulla riva del Giordano, che segna il confine tra la Giordania e Israele, e dove l’evangelista Giovanni pose l’incontro tra il Battista e Gesù. Tutto è avvenuto in un clima di grande familiarità e cordialità; con il Re che è rimasto accanto al Papa anche nel momento in cui ha scoperto le due lapidi commemorative della sua visita in questo luogo e che verranno poste nelle chiese latina e greco-melkita di prossima costruzione.

     
    Ed una grande gioia e festa ha poi segnato il momento della benedizione delle prime pietre delle due nuove chiese, accompagnato da una folla numerosa, che ha scandito a lungo il nome di ‘Benedetto in Betania’, insieme ai Patriarchi di Antiochia e di Gerusalemme, Gregorio III Laham e Fouad Twal, i loro ausiliari e gli Ordinari di Terra Santa.
     
    E gioia e coraggio sono stati i due sentimenti a cui si è riferito il Papa nel suo discorso rivolto ai presenti, in cui ha invitato i cristiani della Terra Santa ad essere pietre vive della Chiesa e costruttori di ponti tra le persone di diverse fedi e culture. La prima pietra di una chiesa, ha detto, è simbolo di Cristo. Egli è l’unico fondamento di ogni comunità cristiana, la pietra viva, che fa della Chiesa una comunità di vita nuova, una dinamica realtà di grazia, luogo di dimora per Dio:

    “We enter the Church through baptism.…
    Entriamo nella Chiesa mediante il Battesimo. La memoria del battesimo stesso di Cristo è vivamente presente davanti a noi in questo luogo. E il Sacramento del Battesimo sarà particolarmente tenuto in considerazione dalle comunità cristiane che si raccoglieranno nelle nuove chiese”.
     
    Partecipare di questa realtà, può donare la gioia e il coraggio per crescere in quei nobili atteggiamenti, ha detto Papa Benedetto, che vanno sotto il nome di àgape, amore cristiano:
     
    “Promote dialogue and understanding in civil society,…
    Promuovete il dialogo e la comprensione nella società civile, specialmente quando rivendicate i vostri legittimi diritti. In Medio Oriente, segnato da tragica sofferenza, da anni di violenza e di questioni irrisolte, i Cristiani sono chiamati a offrire il loro contributo di riconciliazione e pace con il perdono e la generosità”.

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    Le testimonianze del patriarca caldeo Delly e del patriarca latino di Gerusalemme Twal

    ◊   Gli appelli lanciati da Benedetto XVI a sostegno dei tanti rifugiati presenti in Giordania sono stati accolti con gioia e gratitudine dai profughi cristiani iracheni. Sean Patrick Lovett al seguito del Papa ha raccolto il commento del patriarca di Babilonia dei Caldei, il cardinale Emmanuel III Delly:

    R. – Sono molto grato al nostro Santo Padre che mi ha detto: “Noi preghiamo per voi sempre, specialmente per l’Iraq, affinché la pace e la tranquillità siano sempre in questo Paese”. Io, a nome di tutti gli iracheni, ed a nome di tutti i cristiani dell’Iraq, ringrazio di cuore il Santo Padre per tutto ciò che sta facendo per l’Oriente. A lui rivolgo a Dio le mie umili preghiere e così tutti i nostri fedeli. In particolar modo, questa visita contribuirà molto per la pace in questi Paesi che da tanti anni sono torturati da tanti drammi.

    Durante questo pellegrinaggio in Terra Santa il Papa sta incoraggiando la minoranza cristiana a perseverare nella testimonianza di fede e di amore. Ascoltiamo in proposito il patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal, sempre al microfono di Sean Patrick Lovett:  
     
    R. – Chiediamo sempre la vostra preghiera, la vostra solidarietà. La mia impressione è quella di tutto il popolo di Giordania e, oso dire, dei musulmani e dei cristiani: un’impressione molto, molto positiva. Stando accanto al Santo Padre, lui ha manifestato la sua gioia nel vedere questa comunità cristiana, una minoranza, anche se non abbiamo l’impressione di esserlo. Tutti cantano, tutti sono felici, tutti si sentono a casa, con rispetto ed amore per la nostra identità di arabi, giordani, cristiani. Andiamo avanti e con l’appoggio del Santo Padre, con la preghiera della Chiesa universale, tutto andrà bene. Speriamo che anche nella seconda parte di questo pellegrinaggio le cose andranno bene come qui in Giordania, speriamo bene. Siamo preparati al massimo, con tutta la nostra fragilità: però non perdiamo mai la speranza e la presenza del Santo Padre certamente sarà per noi tutti una benedizione.

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    Mons. Sayegh: un pellegrinaggio che dà alla minoranza cristiana una nuova speranza

    ◊   Per un bilancio della tappa giordana del pellegrinaggio del Papa, ascoltiamo mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania, al microfono di Pietro Cocco:

    R. – E’ stata, prima di tutto, una benedizione del Signore per tutto il Paese, per tutti gli abitanti cristiani e musulmani, che ci dà questa forza, questa speranza di continuare veramente a sperare e a vivere insieme come fratelli e sorelle. L’incontro nella Moschea con il principe Ghazi e con la comunità musulmana ha mostrato che la fratellanza è viva in Giordania e speriamo che continui a crescere come una sola famiglia continui, perché la gente sia veramente sempre in pace, guardando al futuro.

     
    D. – Che comunità cristiana ha incontrato il Papa?

     
    R. – Penso che il Santo Padre abbia scoperto che i cristiani di Giordania sono una comunità, una Chiesa che cresce, che guarda verso il futuro con speranza, e nel benedire le pietre di tre o quattro Chiese, due nel Sito del Battesimo, vuol dire che è una Chiesa che guarda verso il futuro, che non ha paura di niente, che programma per il futuro, mette in pratica questa fratellanza tra musulmani e cristiani nel vivere insieme, nel rispettarsi gli uni gli altri, nel costruire la Chiesa e costruire la patria. E’ una cosa veramente necessaria per tutto il Paese, per tutti i musulmani e i cristiani.

     
    D. – Benedetto XVI ha invitato ad avere la gioia spirituale, ma il coraggio anche di costruire ponti tra persone che hanno fedi e culture diverse. E quindi ha invitato ad essere presenti nella società civile...

     
    R. – Nel Centro Regina Pacis il 99 per cento è musulmano, e lì non guardiamo ai musulmani o ai cristiani, guardiamo all’essere umano uscito dalle mani del Signore, che riflette la presenza del Signore, di Dio creatore, che sia musulmano o cristiano. E l’incontro del Re e della Regina con il Santo Padre nella visita del Sito del Battesimo, dove Cristo è stato battezzato, è stata una cosa molto, molto bella che aiuta la convivenza e la fratellanza tra musulmani e cristiani. Il Re e il popolo giordano rispettano i luoghi santi, sia cristiani sia musulmani.

     
    D. – La celebrazione dei Vespri nella chiesa greco-melkita e la grande Messa, il grande abbraccio della comunità cristiana nello stadio di Amman domenica, sono stati anche di grande incoraggiamento per la comunità cristiana...

     
    R. – La Messa allo stadio è stata una bella testimonianza: tutta la Chiesa, il successore di San Pietro, il rappresentante di Gesù Cristo, il pastore di tutto il popolo di Dio, tutti a pregare insieme. Il raduno nella Chiesa melkita era per la vita consacrata: tutti i religiosi e le religiose, ma anche i maestri di catechismo erano presenti ed hanno avuto il messaggio del Santo Padre per il futuro, per penetrare più fortemente nelle anime dei giovani e ben educarle e dare loro davvero un’educazione cristiana.

     
    D. – Il Papa si trova a Gerusalemme, la seconda tappa del suo pellegrinaggio, ha raggiunto Israele. Lei lo raggiungerà lì. Qual è il suo auspicio per questo nuovo momento che sta vivendo il Papa?

     
    R. – Lì certamente tutto il popolo cristiano, sia in Israele, sia in Palestina, e anche tutti i responsabili dei governi in Israele e Palestina, sono sicuro che faranno tutto il possibile per ben ricevere il Santo Padre, perché faccia il suo pellegrinaggio ai luoghi santi per dare una voce che aiuti la gente ad ascoltare la ragione e ad indirizzarsi verso una pace vera, che dà speranza ai giovani, alle generazioni di oggi e del futuro, perché senza pace né Israele né la Palestina possono vivere tranquille. La vera soluzione è una pace giusta, che soddisfi tutti quanti.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un editoriale del direttore sul viaggio del Papa in Terra Santa.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, la situazione in Pakistan: il generale statunitense David Petraeus, a causa del perdurante conflitto fra esercito e talebani, dice di temere per l’esistenza stessa del Paese.

    Le pietre di Sion: in cultura, l’arcivescovo Gianfranco Ravasi ripercorre l'itinerario nella città santa di Gerusalemme.

    Timothy Verdon sull’esperienza del pellegrinaggio.

    La nuova frontiera e la terra promessa; la matrice biblica della retorica di Obama: l’intervento di Lucia Annunziata al seminario, a Roma, sul tema “American Patchwork: multi-ethnicity in the United States today”.

    Un articolo di Maurizio Ricci dal titolo “Il doping non viaggia solo sui pedali”: i casi clamorosi che chiamano in causa il ciclismo sono il riflesso di un fenomeno che riguarda l’intero mondo dello sport.

    Memoria e colori di una sopravvissuta: a Ravenna due mostre della pittrice Eva Fischer.

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    Oggi in Primo Piano



    Pakistan: un milione di civili in fuga dagli scontri esercito-talebani

    ◊   E’ emergenza umanitaria in Pakistan. Sono almeno 360.000 i civili in fuga dalla valle dello Swat e dalle altre zone nord occidentali del Paese, per scappare agli scontri tra Esercito e Talebani legati ad Al Qaeda. A renderlo noto questa mattina l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, precisando che il dato si riferisce al periodo dal 2 maggio ad oggi. Questi sfollati vanno ad aggiungersi alle oltre 550 mila persone fuggite dalla zona a partire dall'agosto scorso. In totale, i media locali parlano di un milione di profughi che, con ogni mezzo di trasporto, ma anche a piedi, lasciano le proprie case in cerca di salvezza. A complicare la situazione, l’ennesimo attentato suicida che stamattina nei pressi di Peshawar ha provocato almeno 10 vittime ad un posto di blocco. Sull’emergenza nella valle dello Swat, Giada Aquilino ha intervistato il professore pakistano Mobeen Shahid, assistente ordinario di Storia della filosofia contemporanea alla Pontificia Università Lateranense e console onorario per la Cultura presso l’ambasciata pakistana in Italia:

    R. – La situazione umanitaria è molto difficile, attualmente, guardando anche a come i Talebani si stanno comportando con la gente comune che viveva in pace e serenità, e visto anche che la convivenza dei non musulmani era ottimale; noi abbiamo tante scuole, anche cattoliche, della diocesi di Islamabad-Rawalpindi.

     
    D. – Che potere hanno, i Talebani, soprattutto nella zona dello Swat?

     
    R. – Il potere è tutto quello che gli è concesso da questi pochi capitribù, perché ci sono anche le zone tribali, dove sono stati formati tanti Talebani per mandarli anche in Afghanistan; loro sono più invogliati a intrattenere rapporti coi Talebani, perché c’è tutto un commercio di altre cose illegali che si fa a livello internazionale, partendo dalla terra dell’Afghanistan.

     
    D. – Quindi, commercio di droga?

     
    R. – Sì.

     
    D. – Per la valle dello Swat il presidente Zardari ha parlato di battaglia decisiva per la sopravvivenza del Pakistan; qual è la linea del Governo contri i Talebani?

     
    R. – Il governo appoggia lì opinione internazionale dell’Europa e degli Stati Uniti, anche per cacciare via i talebani dalle proprie terre, e non è un compito facile.

     
    D. – Ci sono comunità cristiane nella zona dello Swat?

     
    R. – La diocesi di Rawalpindi-Islamabad copre tutta la provincia del nord; abbiamo varie parrocchie, ed infatti anche nello Swat c’è la nostra scuola cattolica, e vorrei citare l’esempio di una lettera di una suora, che scrisse quando la prima volta, l’anno scorso, quella zona dello Swat è stata attaccata dai Talebani; praticamente, i cattolici – specialmente le suore che gestiscono la scuola – sono una presenza molto importante per poter anche comunicare un messaggio di pace, di convivenza serena tra le persone presenti lì, ma i Talebani hanno attaccato la scuola, hanno distrutto le mura, i bambini erano impauriti e le suore non hanno lasciato il convento finché i bambini non sono arrivati alla loro destinazione, cioè finché non sono stati consegnati ai propri genitori, che erano sia musulmani che cristiani.

     
    D. – Professore, in questi giorni si hanno notizie di assistenza da parte delle organizzazioni e da parte delle comunità cristiane alle popolazioni in fuga?

     
    R. – Si, l’Onu sta avendo un grande ruolo, ma si dovrebbe apprezzare anche la Caritas, che è presente in queste zone.

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    Guerra in Sri Lanka: uccisi cento bambini

    ◊   La catastrofe umanitaria abbattutasi sullo Sri Lanka a causa dei combattimenti tra esercito cingalese e Tigri Tamil non sembra conoscere limiti. Oltre cento bambini figurano tra i civili tamil uccisi dai bombardamenti del fine settimana nel nord est del Paese. A riferirlo è il portavoce delle Nazioni Unite a Colombo, evocando un vero e proprio ''bagno di sangue''. Ma sul motivo per cui i civili sono sempre più obiettivo delle parti in conflitto, Stefano Leszczynski ha intervistato Sergio Cecchini, direttore della comunicazione di Medici Senza Frontiere Italia:

    R. – Perché sono pochissime le misure di tutela che vengono messe in pratica dalle parti in conflitto, cioè quelle di risparmiare i civili e permettere ai civili di poter fuggire in maniera sicura dalle zone di conflitto e poter raggiungere o gli ospedali per le persone bisognose di assistenza medica, o i centri per gli sfollati. Sempre più spesso nello Sri Lanka, e in particolare in questa fase, il numero degli sfollati che si sono rifugiati nei campi nei rpessi di Vavulnia cresce di giorno in giorno. Adesso si parla di più di 170 mila sfollati, 20 mila in più rispetto alla settimana scorsa. E un dato che a noi preoccupa particolarmente è la riduzione del numero dei feriti che è arrivato al nostro ospedale di Vavulnia, nonostante gli scontri continuino con notevole intensità.

     
    D. - Nonostante la pressione internazionale, l’attenzione internazionale su questo conflitto, le organizzazioni non governative, in particolare le organizzazioni umanitarie, non sono libere di operare, vengono tenute ai margini...

     
    R. – Questo purtroppo avviene sempre più spesso in situazioni di conflitto: da una parte si vuole ulteriormente aggravare il peso del conflitto su una parte della popolazione, la parte che possa riferirsi a quel gruppo ribelle o a quello schieramento armato, ma dall’altra non si vogliono avere testimoni. Purtroppo, in Sri Lanka è successo in passato che organizzazioni umanitarie fossero obiettivo di attacchi mirati, di attacchi violenti, ma una serie di ostacoli – il mancato rilascio dei visti per personale medico, il non concedere i permessi di lavoro in determinate zone – fanno sì che, per esempio, oggi, nella zona dove sono in corso gli scontri più violenti, non siano presenti organizzazioni umanitarie.

     
    D. – Pure ai margini delle zone di combattimento, le organizzazioni non governative, come Medici senza Frontiere, sono attive e comunque svolgono un’opera importante...

     
    R. – Abbiamo un ospedale nella città di Vavulnia, un ospedale che ormai è sovraffollato: il 90 per cento delle persone che arrivano sono feriti da arma da fuoco, da schegge di granate, e questo rende ben evidente quanto le persone civili vengano intrappolate negli scontri a fuoco tra i militari. Ma c’è anche un altro aspetto, per noi cruciale, cioè il trauma psicologico di queste persone che hanno la fortuna di rifugiarsi in un campo sfollati. Per cui le componenti di intervento sono ovviamente la chirurgia di emergenza – e in questo momento vorremmo rafforzare il nostro team chirurgico, ma non riusciamo ad avere le autorizzazioni – la componente psicologica, perché poi esistono le ferite invisibili di queste violenze e tutto il resto. Non ci dimentichiamo, forme di assistenza che sono salvavita: per esempio, per le donne incinta che hanno bisogno di un parto cesario. In una situazione in cui i civili sono intrappolati, ovviamente il prezzo che loro pagano per il conflitto e per il mancato accesso alle strutture di cura può avere conseguenze drammatiche sulla loro vita.

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    Immigrazione: polemiche in Italia sulla "politica del respingimento"

    ◊   ''Ci auguriamo che l'Italia e il ministro Maroni non portino avanti la politica dei respingimenti'' degli immigrati. Così il commissario ai diritti umani del Consiglio d'Europa, Thomas Hammarberg, dopo l’ultimo rimpatrio in Libia, ieri, di 240 migranti. Il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata, parlando d’integrazione ha ribadito che in Italia già esiste la dimensione multietnica e che si tratta di un valore: occorre inserirlo nel rispetto della legalità. Per il presidente della Camera Fini “respingere l'immigrato clandestino non viola il diritto internazionale, ma è necessario - precisa - sviluppare un'azione globale per lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita di tanti Paesi” in difficoltà. Massimiliano Menichetti ha intervistato Berardino Guarino responsabile progetti del Centro Astalli:

     
    R. – Questi respingimenti, come ha anche affermato autorevolmente l’Onu, sono assolutamente illegali. Secondo le norme internazionali, queste persone andrebbero accolte. Se c’è una nave italiana che fa un soccorso, la nave italiana le deve portare nel porto più vicino dove sia possibile fare la domanda d’asilo. Riportare queste persone in Libia vuol dire praticamente rimetterle in una situazione di grandi privazioni, spesso anche di violenze personali.

     
    D. – Il segretario generale della Cei, mons. Crociata, ha ribadito che la costruzione di una società interculturale dev’essere inserita in un rigoroso rispetto della legalità…

     
    R. – Questo discorso dell’integrazione andrebbe ragionato di più. Queste politiche andrebbero costruite insieme. Per esempio, c’è il discorso della cittadinanza per quelli che sono nati in Italia, c’è il discorso delle politiche di integrazione e dei ricongiungimenti familiari, c’è il discorso anche di valorizzare maggiormente, in qualche modo, tutta la parte di professionalità che queste persone portano con sé, che invece spesso devono ricominciare dalla terza media … Insomma, ci sono tutti quegli elementi, alla base di una qualunque politica di integrazione che è stata fatta negli altri Paesi europei, su cui purtroppo in Italia siamo ancora molto indietro.

     
    D. – Dunque, l’intercultura è un valore?

     
    R. – Ma certamente! Avere circa cinque milioni di immigrati – ci avviamo verso cifre sempre più alte – e avere un ritmo di crescita di 600 mila persone l’anno è un dato di fatto che non può essere discusso. C’è un milione di irregolari … quindi, se queste persone sono in Italia, l’unica politica vera di sicurezza è integrarle. Far finta che non ci siano o chiuderle nei ghetti è l’unico vero modo per costringerli, spesso, a delinquere. Perché il tasso di reati di coloro che sono regolari in Italia è assolutamente nella norma, addirittura inferiore a quello degli italiani!

     
    D. – Negli ultimi giorni, sono stati respinti 500 "clandestini". La parola "clandestini" fa paura …

     
    R. – Tra quelle persone – come è stato autorevolmente ricordato in questi giorni – ci sono migranti che scappano da situazioni economiche molto difficili: chi scappa dalla fame ha anche diritto a vivere, quindi in qualche modo la comunità internazionale il problema se lo deve porre. Ma soprattutto, ci sono persone che scappano da guerre e da violenze e spesso anche personali. Di fronte a queste, non c’è che un unico obbligo, che è quello di accoglierli. Tra l’altro, parliamo di numeri ridotti, 30 – 40 mila persone l’anno, che certamente non possono far paura ad un Paese occidentale evoluto qual è l’Italia. Ricordiamoci che in questi giorni, dal Pakistan si sta muovendo un milione di persone che andrà nei Paesi poveri vicini. E comunque questi Paesi le accoglieranno. Quindi, spesso il carico delle persone che sono in difficoltà se lo prendono più i Paesi poveri che i Paesi industriali, evoluti, occidentali.

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    Chiesa e Società



    I vescovi delle Antille ribadiscono l'opzione preferenziale per i poveri e i giovani

    ◊   I Vescovi della Conferenza Episcopale delle Antille (AEC), al termine della loro Assemblea Plenaria celebrata alla fine di aprile, hanno diffuso un messaggio rivolto a tutto il popolo di Dio intitolato “Discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché i popoli abbiano vita in Lui”. Lo riferisce l’Agenzia Fides. Nel testo i Vescovi ricordano la V Conferenza Generale celebrata nel maggio 2007 ad Aparecida (Brasile), che riunì oltre 200 Vescovi dell’America Latina e dei Caraibi insieme a numerosi sacerdoti, religiosi e delegati laici “in uno sforzo per costruire la comunione e la solidarietà tra le Chiese locali e sviluppare una comune visione dalla Chiesa”. Inoltre, si legge ancora nel Messaggio, “i Vescovi manifestarono il desiderio di dare un nuovo impulso all’evangelizzazione per assicurare la crescita continua e la maturità nella fede”. “La Chiesa dei Caraibi, in solidarietà e comunione pastorale con la Chiesa in America Latina, ha accettato la sfida di formare discepoli e missionari in Gesù Cristo, affinché i nostri popoli abbiano vita”, aggiungono i Vescovi, mentre ribadiscono che tutti nella Chiesa sono chiamati ad essere discepoli e missionari, la qual cosa richiede “un nuovo modo di pensare, di vedere e di agire. Richiede formazione per i chierici, i religiosi e tutto il popolo di Dio al fine di compiere la missione loro affidata con responsabilità e coraggio”. Per i Vescovi delle Antille, “Aparecida è un punto di partenza della Nuova Evangelizzazione per i Popoli, che rafforza la scelta preferenziale della Chiesa per i poveri e per i giovani e la impegna a difendere coloro che sono deboli”. Considerano inoltre che Aparecida costituisce un appello ai leader per “difendere la verità e rispettare la vita e la dignità di ogni persona”, mentre offre un contributo “per la promozione della cultura dell’onestà che potrà guarire dalle piaghe di ogni forma di violenza, degli arricchimenti illegali e della corruzione generalizzata”. "Fratelli e sorelle - conclude il Messaggio - questa è la nostra ora come Chiesa, un tempo di grazia ed una nuova Pentecoste. Non possiamo lasciarci sfuggire questa opportunità. La visione deve trasformarsi in realtà. Da questo momento ascolteremo numerosi riferimenti ad Aparecida e a ciò che significa per noi il nostro camminare come Chiesa nelle nostre diocesi e nelle regioni”.

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    Giovedì in Canada la Marcia nazionale per la vita

    ◊   Nonostante i sondaggi rivelino che la maggior parte dei canadesi si oppone all’aborto senza alcun limite, il Canada non tutela legalmente la vita del nascituro durante i nove mesi di gravidanza. Ad affermarlo in un’intervista all’agenzia CNS è Gudrun Schulz, direttrice esecutiva dell’organizzazione pro-vita LifeCanada. “I sondaggi - ha detto l’attivista - dimostrano che due terzi dei canadesi vorrebbero almeno alcune restrizioni legali all’aborto”. Di questi un terzo chiede che la vita del bambino non nato venga tutelata dal concepimento fino alla nascita. Eppure l’attuale vuoto legislativo in materia - frutto della depenalizzazione dell’aborto decisa 40 anni fa dal Parlamento canadese e di una successiva sentenza della Corte Suprema - rende di fatto l’interruzione volontaria della gravidanza in Canada una pratica indiscriminata. “È quindi urgente - ha detto la Schultz - una legge che rifletta meglio gli orientamenti dei cittadini”. Un nuovo appello a riaprire il dibattito sull’aborto è venuto in questi giorni dall’Organismo cattolico per la vita e la famiglia (OCVF). In un messaggio per la prossima Marcia Nazionale per la Vita, in programma giovedì 14 maggio, l’organismo dei vescovi canadesi denuncia l’indifferenza e il silenzio generale sull’argomento, ma anche la mancanza di informazioni da parte dei media. “La possibilità di cambiare è molto concreta e potrà tradursi in realtà - si legge nel messaggio - se accettiamo la nostra responsabilità sociale e parliamo in difesa dei nascituri”. (L.Z.)

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    I leader religiosi europei incontrano a Bruxelles i vertici dell’Unione

    ◊   La Commissione europea ha aperto oggi le porte ai leader religiosi del Continente per un incontro con le più alte cariche dell’Unione. La riunione, ospitata nel Berlaymont Building di Bruxelles, è stata dedicata al tema “La crisi economica e finanziaria: contributi etici per la gestione economica europea e globale''. A fare gli onori di casa, è stato il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso insieme al presidente del Parlamento europeo Hans Gert Pottering e il ministro Cyril Svoboda, della Repubblica Ceca Mirek Topola'nek, presidente di turno dell'Unione Europea. Nel convocare l’incontro Barroso aveva sottolineato il ruolo che i capi religiosi “possono svolgere nella difficile situazione internazionale. ''Mentre la crisi avanza – aveva osservato - diventa sempre più chiaro che è venuto il momento di riconciliare la gestione economica con i nostri valori etici fondamentali”. La riunione di Bruxelles è stata però disertata dalla Conferenza dei rabbini europei. ''Dispiace - ha commentato lo stesso Barroso al termine dell’incontro - che alcuni leader non abbiano accettato il nostro invito” perché “questo é il tempo del dialogo e non dell'isolamento'', ha aggiunto il capo dell’esecutivo UE, ricordando che un rabbino è comunque intervenuto alla riunione, ''apportando un contributo importante''. I rabbini dei Paesi dell’Ue non hanno partecipato perché, si legge in un loro comunicato, Barroso e il presidente del Parlamento europeo, Poettering, ''hanno invitato dei rappresentanti di organizzazioni affiliate ai Fratelli musulmani, ben noti per le loro nefaste opinioni sugli ebrei ed Israele''. Da parte sua il presidente del Parlamento europeo, Poettering ha dichiarato che in Medio Oriente “c'é bisogno di pace ed impegno da parte di tutti coloro che ricoprono responsabilità per arrivare ad
    una soluzione basata su due Stati per due popoli”. (A cura di Roberta Gisotti)
     

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    Nuova influenza A: 53 decessi su 4.694 contagi in 30 Paesi

    ◊   Nuovo bilancio sulla diffusione nel mondo dell’influenza A, detta inizialmente suina. Rispetto a ieri sono aumentati da 4.379 a 4.694 il numero dei contagi, oltre la metà negli Stati Uniti e sono saliti da 40 a 53 i decessi. I Paesi che hanno notificato almeno un caso all'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sono passati da 29 a 30. Gli Stati Uniti sono quindi il Paese più colpito con 2.532 casi (di cui tre mortali), seguito dal Messico (1.626 casi, di cui 48 letali) e dal Canada (284 casi, incluso un decesso). Un morto è stato notificato anche in Costa Rica, Paese che ha registrato 8 infezioni. Altri casi - confermati da analisi di laboratorio – ma senza vittime sono stati registrati in Argentina (1), Australia (1), Austria (1), Brasile (8), Cina (2, di cui uno a Hong Kong Special Administrative Region), Colombia (3), Danimarca (1), Salvador (4), Francia (13), Germania (11), Guatemala (1), Irland a(1), Israele (7), Italia (9), Giappone (4), Olanda (3), Nuova Zelanda (7), Norvegia (2), Panama (15), Polania (1), Portogallo (1), Repubblica di Corea (3), Spagna (95), Svezia (2), Svizzera (1) e Regno Unito (47). (R.G.)

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    Aperta in Indonesia la Conferenza Mondiale sugli Oceani

    ◊   Cinque giorni di dibattiti e discussioni per arrivare ad una dichiarazione comune in vista del summit di Copenaghen nel quale si dovrà riscrivere un nuovo protocollo di Kyoto. E’ l’intento della “Conferenza Mondiale sugli Oceani” che si è aperta oggi a Manado, in Indonesia, sul tema: “Impatti dei cambiamenti climatici sugli oceani e il ruolo degli oceani nei cambiamenti climatici”. Ai lavori prendono parte oltre 1.500 esperti, in rappresentanza di 70 Paesi, l’Onu e diverse organizzazioni non governative. Attesa anche una delegazione della Santa Sede. Sul tavolo di discussione un piano di azione per affrontare i cambiamenti che interessano gli oceani. Studi recenti rivelano che il livello dell’acqua aumenterà di un metro entro il 2010 provocando un mutamento nella sopravvivenza delle specie, in particolare al Polo Nord. L’innalzamento del livello del mare potrebbe portare gravi conseguenze in alcuni Stati insulari come le Maldive mentre in Indonesia potrebbero sparire centinaia di piccole isole. A preoccupare anche la progressiva acidificazione delle acque a causa di una maggiore presenza di anidride carbonica e il possibile rallentamento nella formazione di conchiglie o coralli. Gli obiettivi che l’incontro si prefigge includono l’incremento della collaborazione internazionale nella gestione delle risorse marine, il ruolo vitale degli oceani nell’equilibrio del clima, un più efficiente sistema di risposta nazionale ai disastri naturali, l'impegno di Stati e organismi intergovernativi nella conservazione delle risorse ittiche ai fini della sicurezza alimentare. (B.C.)

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    Progetto Icarus per la sicurezza stradale dei giovani europei

    ◊   Sarà presentato oggi pomeriggio a Roma, presso il ministero dell'Interno, il Progetto Icarus (Inter-Cultural Approaches for Road Users Safety), promosso in ambito europeo, rivolto ai giovani e dedicato alla sicurezza sulle strade. Il progetto - finanziato con oltre 700.000 euro della Commissione Europea – è volto ad offrire una formazione comune a tutti i giovani dell’Unione, con l'obiettivo di costruire in Europa una rete di ricercatori, educatori ed operatori nel settore della sicurezza stradale. Saranno coinvolti nel progetto Icarus in Italia la Polizia Stradale che verrà impegnata per due anni e mezzo, e la Facoltà di Psicologia de “La Sapienza di Roma” che svolgerà una ricerca sui comportamenti di guida dei giovani e sui principali fattori che mettono a repentaglio la sicurezza stradale. Tre importanti meeting internazionali a Roma, Lubjana e Bruxelles ed un cortometraggio dal titolo Young Europe, girato in quattro Paesi dell'Unione, completano il progetto che vuole rendere protagonisti gli stessi giovani destinatari del progetto. (R.G.)

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    Progetto dell’Unione Europea per combattere la discriminazione

    ◊   Si chiama "Non solo numeri" il progetto nato in collaborazione tra l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Acnur/Unhcr), finanziato dalla Commissione Europea grazie al Fondo Europeo per i Rifugiati. Si tratta – si legge sull’agenzia Misna – di un nuovo ausilio educativo su migrazione e asilo con l’obiettivo di garantire una conoscenza più approfondita delle tematiche riguardanti migranti, richiedenti asilo e rifugiati nell'Unione Europea. E’ disponibile in 20 lingue per 24 Paesi e si articola attraverso brevi filmati e un manuale per gli insegnanti di facile utilizzo.(B.C.)

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    24 Ore nel Mondo



    Iran: scarcerata Roxana Saberi: condannata a due anni con sospensione della pena

    ◊   La giornalista irano-americana Roxana Saberi è stata scarcerata. La condanna a otto anni per spionaggio inflitta in primo grado è stata ridotta a due anni, con sospensione condizionale della pena, perchè gli Stati Uniti sono stati considerati un Paese non ostile. Lo ha detto oggi uno degli avvocati della giornalista irano-americana, Abdolsamad Khorramshahi. È stata condannata al minimo della pena per il reato di cui è stata riconosciuta colpevole, previsto dall’articolo 505 del Codice penale iraniano, vale a dire quello che punisce “chiunque raccolga informazioni atte a minacciare la sicurezza del Paese con ogni mezzo e sotto la copertura di una funzione ufficiale, e le trasmetta ad altri”. In primo grado invece la Saberi era stata riconosciuta colpevole del reato di cui all'articolo 508, che punisce “chiunque cooperi con un governo straniero ostile contro la Repubblica islamica dell'Iran”.

    Medio Oriente
    È cominciato a Sharm el Sheikh un colloquio tra il presidente egiziano, Hosni Mubarak, ed il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, il primo da quando è in carica il nuovo governo israeliano. Gli osservatori ritengono che gli argomenti più importanti all'esame dei due leader debbano essere l'Iran ed i timori comuni di Egitto e Israele per la sua politica estera, insieme con il processo di pace mediorientale. Colloqui precedenti di Netanyahu con Mubarak e sue visite in Egitto risalgono all'anno scorso, in maggio - quando l'attuale primo ministro israeliano partecipò con vari esponenti del governo allora in carica a Tel Aviv ad un Forum economico di Davos svoltosi a Sharm el Sheikh - ed alla seconda metà degli anni '90, quando Netanyahu fu alla guida di un altro governo.

    Darfur: il governo riammette tre Ong americane
    Tre Ong statunitensi sono state riammesse in Darfur dal governo del Sudan, dopo le espulsioni di inizio marzo. A seguito di un accordo raggiunto nel corso di un incontro tra Scott Gration, inviato dagli Stati Uniti, e dirigenti di Khartoum. Le richieste avanzate dal governo sudanese al delegato statunitense, nel colloquio tenutosi tra le parti, sembra siano state: la rimozione del Sudan dalla lista statunitense degli Stati che proteggono il terrorismo, l'abolizione delle sanzioni economiche in vigore e l'innalzamento del livello delle rappresentanze diplomatiche tra Khartoum e Washington.

    Kosovo: scontri tra polizia e manifestanti serbi
    È di dieci feriti il bilancio degli scontri, avvenuti ieri sera, tra la polizia locale ed un migliaio di serbi. Alla base delle proteste i continui tagli nell’erogazione dell’energia elettrica. I focolai della protesta interessano alcuni villaggi non lontano da Kosovska Kamenica. Da giorni si registrano tensioni in queste zone.

    Economia: primi segnali d’incoraggiamento per Italia, Francia, Gran Bretagna
    Il superindice economico dell'Ocse è sceso a marzo a 92,2 da 92,4 di febbraio. Lo ha reso noto l'organizzazione internazionale, precisando che nonostante il calo generale, “Italia, Francia, e Gran Bretagna stanno mostrando, almeno, segnali di una pausa nel rallentamento economico”. Per quanto “deboli” questi segnali sono presenti, per questi Paesi, nella maggioranza dei componenti del superindice, segnala l'Ocse. Per l'Italia, in particolare, l'indicatore è passato da 96,6 di febbraio a 97,4. In Francia da 96,8 a 97,9 e in Gran Bretagna da 96,3 a 96,6.

    Georgia
    È iniziato l'incontro tra il presidente georgiano Mikhail Saakashvili e i quattro leader dell'opposizione per affrontare la grave crisi politica nel Paese. Nella sede del Ministero degli interni sono presenti anche il presidente del parlamento di Tbilisi David Bakradze e altri rappresentanti della maggioranza parlamentare. Per l'opposizione sono intervenuti l'ex candidato alle presidenziali Levan Gaceciladze, il leader del partito "La via della Georgia" Salomè Zurabishvili, l'ex rappresentante della Georgia all'Onu e leader del partito "Alleanza per la Georgia" Irakli Alasania e il capo del partito "Forum nazionale" Kakha Shartava.

    Tensioni in Caucaso
    Nella Repubblica caucasica di Kabardino-Balkaria, tre uomini, tra cui due esponenti di spicco del terrorismo ceceno, sono rimasti uccisi ieri sera nel corso di un conflitto a fuoco, apertosi con le forze dell'ordine. È accaduto a Dugulubgei, un villaggio del distretto di Baksan. Per gli inquirenti, sono gli autori degli attacchi nella Repubblica russa di Kabardino-Balcaria, avvenuti nell’ottobre del 2005: 200 fondamentalisti, legati alla guerriglia cecena, assalirono, a Nalcik tre commissariati di polizia, le sedi locali dei servizi di sicurezza e del ministero degli Interni. Negli scontri persero la vita circa 140 persone. I due “terroristi”, ieri sera, viaggiavano a bordo di un’auto con una terza persona. Fermati per un controllo, hanno opposto resistenza alle forze dell’ordine, che volevano trarli in arresto. C’è stato poi un attentato in una delle principali città della Repubblica dell'Inguscezia: nell’esplosione di una bomba sono rimasti feriti due poliziotti e un passante.

    Myanmar
    Il regime militare del Myanmar ha autorizzato l'assistenza medica ad Aung San Suu Kyi, 63 anni, malata, nella residenza dove la leader storica dell'opposizione si trova agli arresti da anni. La scorsa settimana la Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito di San Suu Kyi, dichiarò di essere “estremamente preoccupato” delle condizioni di salute della loro leader, Nobel per la Pace, che soffrirebbe di ipertensione e disidratazione. Venerdì scorso per motivi non chiari è stato arrestato il suo medico personale, Tin Myo Win. L'assistente di quest'ultimo, Pyone Moe Ei, si è recata alla villa della leader dissidente per sottoporla a flebo. Durante il fine settimana non le è stato permesso di tornare. Solo oggi è tornata a far visita alla San Suu Kyi per cambiarle la flebo ed è rimasta con lei per diverse ore. Aung San Suu Kyi è stata privata della libertà per complessivamente 13 degli ultimi 19 anni, dopo che nel 1990 vinse le elezioni e fu arrestata. Dal 2003 vive agli arresti domiciliari nella sua villa di Rangoon. Alcuni giorni fa un cittadino americano ha compiuto una misteriosa incursione nella sua residenza, dov'è arrivato a nuoto senza essere visto, ed è stato arrestato.

    In Colombia morti in un’imboscata sette militari
    Sono morti sette militari e quattro sono rimasti feriti a seguito di un’imboscata tesa dalle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Il sanguinoso attacco si è consumato nel sud della Colombia, vicino al confine con l'Ecuador. Inoltre, nella località di Samaniego due agenti della stazione di polizia sono rimasti feriti dall’esplosione di una bomba.

    Venezuela
    Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha ordinato l'esproprio di circa 10 mila ettari di terreni da vari proprietari dello Stato di Barinas, nel sud-ovest del Paese. L'annuncio è stato fatto dallo stesso Chavez nel suo programma radiofonico settimanale "Alo' Presidente", andato in onda proprio dallo Stato di Barinas, dove si era recato per firmare il decreto per gli espropri. “Non c'è terra privata - ha detto Chavez nel corso del programma - ci puo' essere gente che occupa la terra, ci possono essere produttori (purchè producano), ma se l'occupano senza produrre, perdono il diritto di occuparla e allora la legge dev'essere implacabile”.

    Giappone
    Il leader del partito democratico giapponese, Ichiro Ozawa, ha rassegnato le dimissioni dal proprio incarico. Lo ha annunciato lo stesso Ozawa durante una conferenza stampa in corso a Tokyo. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Anna Villani)

     

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 131

     
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