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Sommario del 29/07/2009
Il saluto di Benedetto XVI alle Forze dell'ordine a Les Combes: "Grazie, siete stati angeli custodi discreti ed efficienti". In serata l'arrivo a Castel Gandolfo
◊ Siete stati come degli “angeli custodi, discreti ed efficienti”. Con queste parole, Benedetto XVI ha ringraziato oggi i membri delle varie Forze dell’ordine e di altri corpi, che in questi 17 giorni hanno garantito la sicurezza del suo soggiorno a Les Combes, in Valle d’Aosta. Durante l’incontro, organizzato verso mezzogiorno nel prato antistante la residenza salesiana che lo ha ospitato, il Papa si è soffermato anche sull’infortunio al polso, che ha rivelato di aver vissuto come un invito da parte di Dio all’“umiltà”. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Un breve saluto, grato e venato di umorismo, con parole che partono dal cuore anche quando fanno sorridere. Si è voluto congedare così Benedetto XVI da chi - e sono state alcune centinaia di persone - ha eretto attorno a lui in queste due settimane una rete di protezione umana praticamente invisibile, se considerata la sua consistenza e l’area relativamente ridotta sulla quale era dislocata. Polizia, Protezione Civile, Vigili del Fuoco, gli uomini dell’Ispettorato di Polizia presso il Vaticano, quelli della Gendarmeria e dei Servizi Sanitari del Vaticano. Tutti accomunati in questo ideale abbraccio del Papa:
“Cari amici, alla fine di queste due settimane di vacanze, posso soltanto di tutto cuore dire ‘grazie’ a voi per il vostro servizio così competente, discreto ed efficiente. Siete stati come gli angeli: gli angeli sono invisibili, ma nello stesso tempo efficienti. Così avete fatto anche voi. Eravate invisibili per me, ma sempre efficienti”.
Benedetto XVI ha detto di aver trascorso giorni di riposo immerso in una “pace celeste”, un silenzio interrotto - ha detto - dai “suoni del Creatore”, come quello degli uccelli. Parole di apprezzamento per la bellezza naturale di Les Combes che l’infortunio al polso non ha turbato. Il Papa ne ha parlato tornando al concetto dell’Angelo custode, con simpatia e profondità spirituale:
“Purtroppo il mio angelo custode non ha impedito il mio infortunio, seguendo certamente ‘ordini superiori’… Forse il Signore voleva insegnarmi maggiore pazienza ed umiltà, darmi più tempo per la preghiera e la meditazione”.
Nel pomeriggio, verso le 16.30, Benedetto XVI riceverà il saluto del vescovo di Aosta, Giuseppe Anfossi, delle autorità regionali e dei responsabili comunali di Introd. Quindi, la partenza in elicottero verso l’aeroporto di Torino-Caselle e di lì il volo verso lo scalo di Roma-Ciampino, da dove il Papa raggiungerà in auto la sua residenza estiva di Castel Gandolfo.
Per un resoconto sulla breve cerimonia di questa mattina, Sergio Centofanti ha raggiunto telefonicamente a Les Combes il direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi:
R. – Questo è un rito, evidentemente, necessario e bello alla conclusione di ogni permanenza del Papa nelle sue residenze estive. Il Papa, lungo il vialetto, mentre arrivava dalla sua residenza, ha incontrato un gruppo di giovani salesiani – circa 35 – che sono i giovani salesiani dell’Ispettoria del Piemonte, che stanno facendo un incontro formativo proprio qui, in Valle d’Aosta; il Papa li ha salutati insieme al loro ispettore, con molto calore. Poi, si è recato nel posto da cui recita l’Angelus nel giorno della domenica, e davanti a lui, nel grande prato dove stanno normalmente i fedeli, si erano schierati, in modo molto ordinato, tutti i vari Corpi che hanno svolto servizio per la sicurezza e per il buon andamento della permanenza del Papa. Il Papa ha dato un saluto molto spiritoso, molto carino, con riferimento alla custodia degli Angeli nei suoi confronti, e poi si è spostato lungo il prato e ha fatto le foto di gruppo con tutti i singoli Corpi che erano presenti: le forze di polizia, i vigili del fuoco, la protezione civile, l’esercito, i carabinieri … ecco, quindi: c’erano tanti gruppi e ognuno ha avuto la sua foto con il Papa. Anche i giornalisti che erano presenti hanno avuto una loro foto con il Papa e hanno potuto rivolgergli alcune domande, parlare un attimo con lui in forma molto affabile e simpatica. Il Papa è apparso direi veramente in ottima forma: quindi nonostante il suo piccolo incidente, il periodo di vacanza qui in Val d’Aosta ha raggiunto proprio bene il suo risultato.
D. – Che bilancio si può fare di questo soggiorno in Val d’Aosta?
R. – E’ un bilancio positivo. Come tutti sappiamo è stato un po’ diverso da quello che era stato previsto, quindi non tanto di scrittura degli ulteriori capitoli del libro su Gesù, quanto piuttosto di riflessione, di lettura e di preghiera anche in conseguenza dell'incidente. Ma, come ha detto il Papa molto spiritosamente, c’è sempre qualche cosa da imparare e anche l'incidente ha avuto i suoi frutti spirituali per il Pontefice.
La decisione di conferire a Benedetto XVI la cittadinanza onoraria di Introd è solo l’ultimo atto con il quale la comunità valligiana ha deciso di suggellare il proprio affettuoso attaccamento al Papa. Il sindaco di Introd, Osvaldo Naudin, si fa interprete dei sentimenti dei suoi concittadini al microfono di Alessandro De Carolis:
R. – L’esperienza mia personale e quella di tutta la popolazione in questo periodo è stata molto importante e toccante. E’ per questo che noi vogliamo custodire - anche gelosamente - tutti i ricordi di Benedetto XVI. La nostra popolazione sa rispettare i motivi per cui un Papa sceglie di venire da noi: la riservatezza, la tranquillità, l’ambiente, la natura che lo circonda. A parte Castel Gandolfo, non è da tutti i Comuni avere la fortuna di ospitare due Papi. Per noi è stato un grande onore e una grande esperienza, anche morale, poterlo fare.
R. - Come è nata la decisione di conferire la cittadinanza onoraria al Papa da parte del vostro Comune?
R. - E’ grande l’entusiasmo per questo documento, che il Consiglio comunale l’altra settimana ha votato all’unanimità. Con ciò, abbiamo voluto far sentire al Santo Padre la vicinanza di tutta la comunità di Introd - che è di profonda tradizione cattolica - per la guida importante che il Papa rappresenta per l’umanità. Sarà una nostra delegazione a scendere a Roma - a suo tempo ci metteremo d’accordo a livello di cerimoniale - per consegnargli questa onorificenza da parte del Consiglio comunale.
Da Les Combes a Castel Gandolfo, è ora la cittadina dei Castelli Romani a prepararsi come ogni anno a ricevere il Papa. Per diverse settimane, Benedetto XVI si tratterrà nel Palazzo apostolico che sorge nel complesso delle Ville Pontificie, dove presiederà gli Angelus domenicali e dove riprenderà le udienze generali del mercoledì, a partire dal prossimo 5 agosto. Sull’imminente arrivo di Benedetto XVI, Luca Collodi ha sentito mons. Marcello Semeraro, vescovo della diocesi di Albano nel cui territorio si trova la città di Castel Gandolfo:
R. - E’ una presenza occasionale eppure in qualche maniera stabile, e questo per noi è motivo di orgoglio e al tempo stesso anche di responsabilità e d’impegno. Sentire il Papa vicino, anche fisicamente, è per noi un incoraggiamento a sentire “con” la Chiesa, essere vicini al Papa e aderenti in pieno al suo magistero.
D. - Ci saranno delle iniziative che caratterizzeranno questa presenza del Papa ai Castelli romani?
R. - L’unica cosa che al momento è prevista è la celebrazione, ormai tradizionale, della Santa Messa nel giorno dell’Assunta, all’interno della chiesa parrocchiale. Ci sono poi altri appuntamenti che sono stabiliti di volta in volta: so già, per esempio, che domenica 2 agosto, nel pomeriggio, si terrà nel Palazzo apostolico un concerto in onore del Santo Padre. Poi, verranno comunicati anche altri appuntamenti, tenendo presente che il periodo che il Santo Padre trascorre qui è un periodo di riposo ed allora non si dà molta ufficialità.
"Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato": il tema del messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace 2010. Intervista col cardinale Martino
◊ Il prossimo messaggio del Papa per la Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà il primo gennaio 2010, sarà dedicato al tema: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. “Il tema – rende noto un comunicato del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace - intende sollecitare una presa di coscienza dello stretto legame che esiste nel nostro mondo globalizzato e interconnesso tra salvaguardia del creato e coltivazione del bene della pace. Tale stretto e intimo legame è, infatti, sempre più messo in discussione dai numerosi problemi che riguardano l’ambiente naturale dell’uomo, come l’uso delle risorse, i cambiamenti climatici, l’applicazione e l’uso della biotecnologie, la crescita demografica. Se la famiglia umana non saprà far fronte a queste nuove sfide con un rinnovato senso della giustizia ed equità sociali e della solidarietà internazionale – aggiunge il comunicato - si corre il rischio di seminare violenza tra i popoli e tra le generazioni presenti e quelle future”.
“Seguendo le preziose indicazioni contenute ai numeri 48-51 della Lettera Enciclica Caritas in veritate – sottolinea il dicastero vaticano - il messaggio papale sottolineerà l’urgenza che la tutela dell’ambiente deve costituire una sfida per l’umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo, destinato a tutti, impedendo che si possa fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri come si vuole. È una responsabilità – prosegue il testo - che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla globalmente, in quanto tutti gli esseri dipendono gli uni dagli altri nell’ordine universale stabilito dal Creatore”.
“Se si intende coltivare il bene della pace – afferma il dicastero della Santa Sede - si deve favorire, infatti, una rinnovata consapevolezza dell’interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra. Tale consapevolezza concorrerà ad eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantirà una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori. La questione ecologica – conclude il comunicato - non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte motivazione per coltivare la pace”.
Sulla tematica ascoltiamo il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, al microfono di Sergio Centofanti:
R. – Negli ultimi 30 anni specialmente, da quando le Nazioni Unite hanno convocato la prima Conferenza sull’ambiente a Stoccolma nel 1972, la Santa Sede ha mostrato il proprio interesse e preoccupazione per il creato: naturalmente, la protezione del creato, dell’ambiente, è essenziale per lo sviluppo economico e sociale. Una maniera di proteggere l’ambiente consiste anche nel proteggere il diritto dei popoli ad una crescita umana integrale.
D. – Il messaggio inviterà ad affrontare queste sfide “con un rinnovato senso di giustizia e di solidarietà internazionale”…
R. - E’ proprio la ragione del titolo: “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”. Prendiamo il caso dell’acqua: se non si gestisce bene la risorsa acqua può essere fonte di conflitti. Il creato deve essere goduto da tutti perché il Signore lo ha dato a tutti: l’aiuto allo sviluppo così non deve essere un’elemosina.
R. - Nel vostro comunicato fate riferimento fra le altre sfide anche alla questione della crescita demografica…
R. - Si è tanto insultata la crescita demografica come causa di sottosviluppo e invece tutti quelli che propugnavano questa tesi si devono ricredere: prima di tutto perché l’andamento demografico in moltissimi Paesi è diminuito a tal punto che la nascita di bambini non raggiunge nemmeno la quota di rimpiazzo. Questo vuol dire che in questi Paesi ci sarà una popolazione di vecchi, mentre negli altri Paesi che hanno avuto una crescita demografica, questa non è stata un elemento di sottosviluppo. Vediamo l’India; questa nazione adesso conta un miliardo e trecento milioni di abitanti. Ecco perché la crescita demografica è piuttosto elemento di sviluppo che di sottosviluppo.
Nomina
◊ Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’Eparchia di Saint Josaphat in Parma degli Ucraini presentata da mons. Robert Michail Moskal, per raggiunti limiti di età. Il Papa ha nominato amministratore apostolico sede vacante di Saint Josaphat in Parma degli Ucraini mons. John Bura, al presente vescovo titolare di Limisa e ausiliare dell’Arcieparchia di Philadelphia degli Ucraini. Mons. John Bura è nato il 12 giugno 1944 a Wegeleben, Esarcato Apostolico di Germania e Scandinavia. Nel 1950 la sua famiglia è emigrata negli Stati Uniti d’America e si è stabilita a Jersey City. Dopo aver frequentato le scuole elementari e medie; nel 1959 è entrato nel St. Basil Minor Seminary di Stamford. Dal 1965 al 1970 ha frequentato per gli Studi Teologici il St. Josaphat Ukrainian Catholic Seminary e la Catholic University of America, a Washington. E’ stato ordinato sacerdote il 14 febbraio 1971 per l’Arcieparchia di Philadelphia degli Ucraini. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto vari incarichi pastorali ed amministrativi: insegnante di religione e di lingua ucraina; vice-rettore al St. Basil Minor Seminary di Stamford; rettore del St. Josaphat Ukrainian Catholic Seminary di Washington; parroco di Holy Ghost a Chester e poi della St. Nicholas Church a Wilmington. Il 3 gennaio 2006 è stato nominato vescovo ausiliare dell’Arcieparchia di Philadelphia degli Ucraini e consacrato il 21 febbraio successivo.
Mons. Migliore: puntare ad azioni non violente per proteggere i popoli in tutto il mondo
◊ Stati, comunità internazionale e leader religiosi devono cooperare per proteggere i popoli del monto intero: l’auspicio è stato espresso dall’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu, nel suo intervento al Palazzo di Vetro dell’Onu su questo tema. Il servizio di Roberta Gisotti.
“Troppo spesso in molte regioni del mondo, l’intolleranza etnica, razziale e religiosa ha dato origine a violenza e uccisione di persone”, ha denunciato mons. Migliore, laddove ha sottolineato “lo sfruttamento della fede nel sostegno alla violenza è una corruzione della fede e delle persone”. Per questo ha aggiunto “i capi religiosi sono chiamati a ricusare tale mentalità”, perché “la fede dovrebbe essere vista come una ragione per unire piuttosto che dividere” e perché è proprio “attraverso la fede che le comunità e gli individui riescono a trovare la forza di perdonare, cosicché la vera pace possa emergere".
Ha ricordato il rappresentante della Santa Sede la più grande riunione di capi di Stato, svoltasi quattro anni fa, per sollecitare un sistema di Nazioni Unite rispondente “ai bisogni di un mondo in continuo cambiamento”. In quella sede i leader mondiali rimarcarono nel documento finale soprattutto la responsabilità “di proteggere i popoli contro la minaccia del genocidio, dei crimini di guerra, della pulizia etnica e dei delitti contro l’umanità”. Nel testi si indicavano tre livelli fondamentali di responsabilità: quella di ogni Stato nei confronti dei propri popoli, quella della comunità internazionale di sostenere gli Stati in questa missione, e quella della stessa comunità internazionale di agire quando uno Stato sia manchevole nell’esercitare la propria autorità. Riguardo quest’ultimo punto il presule ha biasimato che l’intervento venga troppo spesso focalizzato sull’uso della violenza per prevenire o fermare la violenza piuttosto che sui vari modi non violenti, puntando tempestivamente sulla mediazione e il dialogo, ed anche sulle sanzioni, con più grande possibilità di proteggere i popoli piuttosto che con l’azione militare, assicurando pure che i provvedimenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu siano adottati in modo aperto e condiviso ponendo in primo piano le necessità della popolazioni interessate piuttosto che “i capricci delle lotte di potere geopolitico". E’ comunque “imperativo” – ha raccomandato infine l’arcivescovo Migliore – che i Paesi nella posizione di esercitare la propria autorità nel Consiglio di Sicurezza dimostrino “l’altruismo necessario” per un approccio umano, efficace e tempestivo al fine di salvare i popoli da gravi atrocità.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ “Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”, tema della prossima Giornata mondiale; all’interno, intervista di Mario Ponzi al fisico Franco Prodi, studioso di fisica dell’atmosfera, metereologia e climatologia.
L’Eta torna a colpire in Spagna: nell’informazione internazionale, la notizia dell’attentato dinamitardo davanti a una caserma della Guardia Civil nella città di Burgos.
La ricetta di Holbrooke, la guerra in Afghanistan si vince in Pakistan: secondo l’inviato statunitense l’aiuto ai rifugiati pakistani è strategico per il successo a Kabul.
Rincorrendo la famiglia tra necessità e nostalgie: in cultura, Gaetano Vallini sulla seconda edizione del Fiuggi Family Festival.
Un articolo di Giuseppe Buffon dal titolo “Quando a Betlemme s’insegnava l’italiano”: risalgono al XVI secolo le prime scuole della Custodia francescana in Terra Santa.
La bohème di casa Valadon: Sandro Barbagallo recensisce la mostra - alla Pinacoteca di Parigi - che espone opere di Maurice Utrille e di sua madre.
Il nodo della musica classica contemporanea: Marcello Filotei su Allevi e gli spaghetti alla bolognese.
Salomè, il film che Pasolini non riuscì a girare: Silvia Guidi su “La testa del profeta” di Elena Bono in scena alla Festa del Teatro di San Miniato.
Le parole che hanno cambiato il mondo: a Toronto la mostra “I rotoli del Mar Morto”.
Nigeria: oltre 40 morti in scontri tra forze dell'ordine e milizie islamiche
◊ Oltre 40 persone sono rimaste uccise oggi in Nigeria in seguito a nuovi combattimenti tra forze dell'ordine ed estremisti islamici. Da domenica le vittime delle violenze sono salite ad oltre 300. Secondo mons. Emmanuel Badejo, direttore della Commissione per le comunicazioni sociali della Conferenza episcopale nigeriana, “non ci sono cristiani coinvolti” negli scontri che stanno sconvolgendo il nord del Paese. Secondo quanto riportato dall’Agenzia Sir, il presule ha riferito che “i leader religiosi hanno chiesto al governo di dare protezione ai cittadini che rispettano la legge e alle strutture religiose”. Sulle ragioni delle violenze in Nigeria, ascoltiamo Enrico Casale, della rivista “Popoli”, intervistato da Giada Aquilino:
R. – All’interno del Paese si confrontano due grosse culture: quella islamica, di matrice araba, e quella più africana. A nord gli Stati sono a maggioranza islamica, mentre al sud sono a maggioranza cristiana-animista. Il confronto tra queste due culture spesso sfocia in uno scontro determinato soprattutto dalle condizioni di estrema povertà in cui vivono le popolazioni.
D. – Gli estremisti islamici chiedono l’applicazione della sharia anche nelle zone dove i musulmani non sono la maggioranza della popolazione. Cosa significa soprattutto per il sud?
R. – Potrebbe significare un’emarginazione delle popolazioni cattoliche, anglicane e protestanti.
D. – Proprio il sud del Paese è ricco di petrolio. Che interessi ci sono?
R. – La Nigeria è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e si contende con l’Angola il primato africano. Questo attrae ovviamente le multinazionali petrolifere e porta ad uno sfruttamento intensivo dei pozzi - che sono collocati soprattutto sul Golfo di Guinea - a condizioni veramente dure. Molte di queste multinazionali non rispettano le più elementari norme di tutela ambientale. L’inquinamento ha determinato un peggioramento delle condizioni – già durissime – della popolazione. E questa situazione è sfociata poi in una ribellione guidata dal Mend, i ribelli del Delta del Niger.
D. – I vescovi locali hanno espresso il timore che i disordini di questi giorni si estendano anche ad altre zone del Paese. Cosa serve, oggi, alla Nigeria per una pacificazione?
R. – Probabilmente serve maggior democrazia e meno corruzione. Quindi una maggior distribuzione di risorse, anche alle popolazioni più povere, potrebbe aiutare a stemperare le punte più acute di tensione all’interno della Nigeria.
D. – In questo processo la Chiesa che ruolo può avere?
R. – La Chiesa ha un ruolo importante. Potrebbe essere un’autorità morale, attiva nel combattere la corruzione che è diffusissima nel Paese, e poi una possibile mediatrice tra i diversi movimenti più moderati e disposti al dialogo.
Rapporto mondiale dell'Onu sulla droga
◊ Al calo dell’offerta di droga risponde una stabilizzazione della domanda. Dalle pagine del Rapporto mondiale dell'Onu sulla droga del 2009, presentato ieri a Palazzo Chigi, emerge un quadro abbastanza favorevole nel mondo: a differenza di alcool e tabacco, consumati su scala massiccia, solo il 5% della popolazione mondiale fa uso di stupefacenti. Diversa la situazione in Italia. Il servizio è di Francesca Sabatinelli:
Stabilizzazione in Europa dell’uso di tutte le droghe, calo negli Usa, Italia in netta controtendenza, con un aumento dell’uso di cannabis e droghe sintetiche soprattutto tra gli adolescenti, con oltre 300 mila consumatori di eroina, che portano la penisola al secondo posto dopo il Regno Unito, e con un consumo di cocaina che la mette al terzo posto dopo Regno Unito e Spagna. Il rapporto annuale dell’Unodoc, l'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine spiega come di fronte ai cinque milioni nel mondo di morti per tabacco, al milione e 800 mila vittime di alcool, se ne registrino 200 mila per droga, una cifra che comunque va abbattuta. Ascoltiamo Antonio Costa direttore esecutivo dell’Unodc:
“La strada è ancora molto lunga. Ogni anno ci sono statistiche terrificanti anche se questa è una frazione dei morti dovuti all’alcool o al tabacco. La mia preoccupazione è che, dopo una stabilità del consumo di droga nei Paesi ricchi, i Paesi in via di sviluppo possano esserne fortemente influenzati. Il mercato della droga sta cercando dei nuovi equilibri e la vulnerabilità dei Paesi del Terzo mondo è una delle più grandi preoccupazioni che abbiamo”.
Fondamentale è affinare le campagne di sensibilizzazione dirette ai giovani, lavorare sull’informazione, sulla prevenzione e sulla terapia. Il tossicodipendente non è un criminale, ha aggiunto Costa, non va arrestato ma curato in ospedale e recuperato. I governi devono quindi assicurare l’accesso alle terapie:
“Le Nazioni Unite dicono questo da anni ed ora mi fa piacere constatare che negli ultimi mesi il mondo risponde ai nostri messaggi. Quando si parla di tossicodipendenza si parla di malati che devono essere trattati, curati, reintegrati e sicuramente gestiti all’interno del sistema sanitario nazionale”.
La coltivazione della foglia di coca tra Colombia, Perù e Bolivia è diminuita così come quella dell’oppio soprattutto in Afghanistan. Ad essere in crescita sono invece i sequestri di cocaina ed eroina, resta però fondamentale attuare misure più robuste per contrastare i narcotrafficanti. Ancora Antonio Costa:
“Indubbiamente il narcotraffico è la piaga terribile contro la quale si confrontano i maggiori Paesi nel Centro America, nei Balcani e soprattutto nell’Africa Occidentale. Noi ci impegniamo da tempo in favore dell’attività di repressione, anche con l’aiuto delle forze armate, contro il narcotraffico in generale e contro le mafie. Devo purtroppo riscontrare che la convenzione di Palermo, che è stata elaborata dalle Nazione Unite ed è entrata in vigore nel 2003, contro la criminalità organizzata, non viene presa seriamente in considerazione e questa è una delle mie più grandi preoccupazioni perché se non si contrasta il narcotraffico, il rischio del perdurare della tossicodipendenza continuerà ad esistere”.
Carlo Casini: interessi economici e ideologici dietro la pillola abortiva RU486
◊ “Ci sono interessi economici ed ideologici dietro la pillola abortiva RU486”. Così in sintesi il presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini che ha inviato una lettera all’Agenzia del Farmaco (Aifa), che domani potrebbe consentire l’ingresso del preparato negli ospedali italiani. Casini ribadisce l’inaccettabilità della soppressione della vita umana e la mancanza di un’informazione completa sulla pericolosità della pillola per la donna. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato.
R. – Le donne morte in conseguenza dell’uso della RU486 – nel mondo, intendo dire, non in Italia – sapevamo che fossero 16, ma recenti notizie dicono che sono 29. Allora noi abbiamo chiesto all’Aifa di chiarire come stanno esattamente le cose. E’ chiaro che tra 16 e 29, dal punto di vista qualitativo, non c’è differenza: i morti sono sempre morti. Ma insomma, questo fatto mi sembra estremamente importante. Quindi, noi chiediamo che prima di decidere l’Aifa faccia indagini. Naturalmente, riteniamo che se questo dato dovesse risultare vero, ci sono motivi sufficienti per sospendere quantomeno la commercializzazione.
D. – Lei ribadisce: per molto meno, si sono ritirati farmaci dal commercio. E’ in atto una battaglia contro la vita, che non tiene conto neanche della salute della donna …
R. – Io, in questa mia lettera, ho citato il caso di un medicamento per il morbillo che è stato ritirato in quanto, dopo un pò di tempo, sono stati riscontrati effetti secondari, o di un altro prodotto che serve, viceversa, contro la tosse: anche questo è stato ritirato perché addirittura aveva soltanto il rischio di effetti secondari ma non così gravi come la morte. Oltretutto, il Movimento per la Vita è informato - in particolare da alcune Regioni dove la pillola è stata usata in forma sperimentale, dal Piemonte alla Puglia, dalla Toscana all’Emilia Romagna - che questo aborto chimico è tutt’altro che tranquillo per la donna: è ovvio che noi siamo contro ogni forma di aborto, chirurgico o chimico che sia, però ci interessa anche la donna ... e allora abbiamo segnalato che in non pochi casi si è dovuto all’intervento di raschiamento dell’utero perché l’aborto era stato solo parziale; quindi, tutt’altro che psicologicamente tranquillo: in un certo senso, peggiore di quello chirurgico. Per questo, chiediamo un minimo di prudenza e di ulteriore approfondimento.
D. – Ecco: come rispondere a chi dice che in Francia questa pillola viene utilizzata dal ’98, negli Stati Uniti dal 2000 e che l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha definita “sicura” fin dal 2003?
R. – Ci dica allora perché 29 donne sono morte! Credo che dietro tutta questa campagna per la RU486 ci sia un aspetto commerciale e un aspetto ideologico che a sua volta ha due volti: il volto di chi vuole banalizzare al massimo grado l’aborto, sottraendolo ad ogni possibile controllo e filtro, cioè renderlo un fatto insignificante; ma è anche quello di non parlare del figlio, perché il figlio è cancellato più facilmente nella mente e nel cuore della donna e della società, vanificando persino la pur iniqua legge 194, se può essere distrutto soltanto bevendo un bicchier d’acqua per inghiottire una pillola.
D. – Quindi, ciò che non viene mai ribadito è la grande menzogna: ovvero quando si abortisce si uccide una vita umana?
R. – La vera questione è questa: l’uomo è sempre uomo dal concepimento alla morte naturale - quale che sia la sua grandezza, la sua intelligenza, la sua bellezza, la sua ricchezza e così via dicendo - oppure l’uomo è colui che ha determinate qualità? E’ chiaro che questo secondo criterio sarebbe fortemente discriminatorio, inaccettabile nella cultura moderna, nella storia dell’intera umanità. Dovremmo concentrare ogni nostro sforzo proprio nell’affermazione che l’uomo è uomo sempre, portatore di una dignità umana insopprimibile, sempre. I bambini non nati hanno lo stesso valore dei bambini già nati. E quando riusciremo a scrivere questa cosa nella legge di tutti gli Stati, nelle Costituzioni, in modo così chiaro come oggi si scrive che i neri sono uguali ai bianchi, gli schiavi non ci devono essere più, le donne sono uguali agli uomini … ecco: quando riusciremo a scrivere questo, un grande passo avanti di civiltà sarà compiuto. Ci vorrà tempo, ma l’obiettivo, il punto discriminante è questo.
Mons. Miglio: al Sud più investimenti e solidarietà
◊ In Italia il dibattito parlamentare è dominato in questi giorni dalla questione meridionale. Il tasso di sviluppo non competitivo, il fenomeno dell’emigrazione e la presenza della criminalità organizzata testimoniano ancora oggi le distanze delle regioni meridionali da quelle settentrionali. Di fronte a questo scenario si denuncia anche una diminuzione degli investimenti nel sud. Luca Collodi ne ha parlato con il vescovo di Ivrea e presidente della Commissione Cei per la pastorale sociale e il lavoro, mons. Arrigo Miglio:
R. – E’ proprio la critica che viene anche dalle varie istanze delle Chiese del sud e della Chiesa italiana. E' stato dimostrato che negli ultimi venti anni gli investimenti, anche quelli della pubblica amministrazione, sono molto diminuiti. Per cui c’è anche un problema di investimenti. Quello che si vuole mettere in evidenza sono due aspetti che in genere vengono trascurati nei dibattiti in altre sedi. Il primo è proprio una questione culturale. Credo davvero che ci sia da lavorare e da impegnarsi molto per una cultura unitaria di tipo diverso nel nostro Paese e anche di tipo solidaristico. Dire che il Paese non crescerà se non insieme non é uno slogan, ma una convinzione profonda. Continua poi anche l’emigrazione di forze giovani e di cervelli dalle regioni del sud. Anche questo, comunque, è un aspetto che non va trascurato. L’altro aspetto è quello di valorizzare le ricchezze umane e anche le ricchezze ecclesiali. Le Chiese del sud sono più giovani vivaci, ricche di vocazioni, ma anche di associazioni, di iniziative. Dunque il problema va bene al di là degli aspetti economici.
D. – Le regioni meridionali vengono spesso associate ad episodi di criminalità e a situazioni in cui spesso prevale la cosiddetta “arte dell’arrangiarsi”. E’ la disperazione che porta in alcuni casi a cercare soluzioni apparentemente più facili?
R. - Una certa rassegnazione, più che disperazione, sicuramente esiste. Soprattutto una delle difficoltà che viene messa in evidenza continuamente per le regioni del sud è la difficoltà di avere investimenti dal nord ma anche dall’estero. Questo è il segno di una debolezza che va affrontata un po’ alla radice. Quando parlavo di “aspetto culturale” mi riferivo anche ai fenomeni malavitosi che vengono più frequentemente citati o ostentati. Credo che non avrebbe senso fare un inventario quantitativo del numero di crimini nelle regioni del sud e nelle regioni del nord. Probabilmente avremmo delle sorprese. Quello che continua a colpirmi è il peso culturale che i fatti criminosi del sud continuano ad avere. Si crea una specie di circolo vizioso perché condizionano una mentalità e provocano questo tipo di rassegnazione. Questo poi diventa il terreno per il “furbetto” o i “furboni” che compiono questi gesti. (Montaggio a cura di Maria Brigini)
Missione del Consiglio Mondiale delle Chiese nel Kivu
◊ "C'è tanta speranza nella Repubblica Democratica del Congo che presto le armi tacciano, ma la scia di violenza, di soprusi e di violazione dei diritti umani obbligano le Chiese a intervenire per porre fine a questa lunga scia di violenza". Sono le parole di Kyanza Disma, della Chiesa di Cristo in Congo. "Ci sono diversi gruppi armati locali, forze armate internazionali, militari stranieri - ha sottolineato Disma, membro della delegazione del Consiglio ecumenico delle Chiese (Wcc) in visita nella Repubblica Democratica del Congo - ma l'esercito nazionale, che ha il compito di proteggere la popolazione civile, ha le sue colpe". La visita della delegazione del Wcc ha avuto come obiettivo quello di "toccare con mano" la situazione in cui sono costrette a vivere migliaia di persone, ascoltare i drammi familiari e portare solidarietà alla popolazione. "Coloro che necessitano di aiuto - hanno spiegato i funzionari delle Chiese del Wcc - sono vittime di torture, sfollamenti, stupri, rapimenti o addirittura di omicidio. Le Chiese stanno cercando in tutti modi di dare un supporto a queste persone fornendo sostegno finanziario, beni di prima necessità e medicine". Intanto nel Paese la situazione stenta a migliorare: secondo le stime provvisorie dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) almeno 35mila persone sono fuggite dalla piana del fiume Ruzizi, al confine fra Repubblica Democratica del Congo, Rwanda e Burundi. Queste persone sarebbero scappate a seguito alla recente campagna militare del governo, chiamata Kimia-II, iniziata il 12 luglio nel territorio di Uvira, nel Sud Kivu, e volta al disarmo forzato delle cosiddette Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (Fdlr) e dei loro alleati miliziani locali. Sale quindi a 536mila il numero totale di civili fuggiti nel Sud Kivu dal gennaio 2009 come risultato degli scontri tra le forze governative e i ribelli ruandesi e delle rappresaglie contro i civili, mentre a causa delle violenze e degli scontri, il numero totale di sfollati nella Repubblica Democratica del Congo orientale è di un milione e 800mila. “A causa della mancanza di accesso e della scarsa sicurezza - spiega l’Unhcr - è molto difficile accertare l’entità degli ultimi movimenti forzati”. Finora l’agenzia Onu ha provvisoriamente pre-registrato circa 20mila persone lungo l’asse Luberizi-Kamanyola, al confine con il Burundi. L’agenzia Onu per i rifugiati esprime infine il timore che “i rinnovati scontri nel Sud Kivu possano avere un impatto negativo sul rimpatrio volontario organizzato dall’Unhcr di rifugiati congolesi dalla Tanzania, la maggior parte dei quali sono originari di quella provincia”. (V.V.)
Congo: le Chiese cristiane denunciano le violenze contro le donne
◊ Sono decine di migliaia le donne che hanno subito violenze nella Repubblica Democratica del Congo. Su questo problema, l'arcivescovo di Kinshasa, monsignor Laurent Monsengwo Pasinya, ha esortato Governo e società a mobilitarsi. Il dramma delle donne violate è stato al centro degli interventi non solo di monsignor Monsengwo, ma anche del segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (Wcc), Samuel Kobia, in occasione di un incontro ecumenico svoltosi a Kinshasa. Sulla questione, l'arcivescovo della capitale congolese ha affermato che “la violenza contro il sesso femminile contraddice l'armonia originale voluta da Dio tra l'uomo e la donna”. “La donna è stata donata all'uomo come un aiuto che gli fosse simile e una compagna della sua stessa natura - ha aggiunto - creata a immagine e somiglianza di Dio, ossia dotata della ragione e del libero arbitrio”. Il presule ha sottolineato che “le violenze sono agli antipodi della cultura africana, in cui la donna è considerata come una madre e la cui missione è fortemente esaltata nella società, poiché la madre è fonte di vita. Le violenze perciò denotano una barbarie estranea alla visione cristiana e alla saggezza africana”. “E' fondamentale che le forze di Governo, la società civile, le organizzazioni di difesa dei diritti umani e le confessioni religiose si mobilitino”, ha concluso. Dal canto suo, Samuel Kobia ha esortato le comunità ecclesiali a mettere al centro dell'attenzione la questione nei suoi molteplici aspetti, sottolineando che “relegano ancora la violenza nella sfera privata e la considerano soltanto dal punto di vista fisico”. Il primo passo da compiere, ha osservato, è “quello di riconoscere che la violenza realmente esiste”. “Questo significa affrontare il problema pubblicamente, nelle nostre comunità, nella nostra assemblea parlamentare e nelle nostre accademie”, ha rilevato. Secondo dati dell'ospedale di Panzi, a Bukavu, Sud Kivu, solo nel 2008 sono state 3.500 le donne assistite per i traumi subiti. La Chiesa cattolica ha lanciato da tempo l'allarme per le violenze contro le donne congolesi. In un rapporto della Commissione Giustizia e Pace dell'Arcidiocesi di Bukavu ci si riferisce a “una barbarie inimmaginabile della quale bisogna parlare perché a volte si ha più paura del silenzio dei buoni che della barbarie dei cattivi. Le violenze contro le donne sono considerate come un modo d'infliggere la morte a un'intera comunità. È un modo di colpire al cuore stesso della comunità”. Secondo il rapporto, l'area più colpita dai crimini è quella di Walungu, nel distretto di Kaniola. (V.V.)
Onu: la violenza sessuale usata come arma di uso comune nei conflitti
◊ “In numerosi conflitti contemporanei , la violenza sessuale ha assunto dimensioni ancora più brutali rispetto al passato, diventando un’arma per perseguire obiettivi militari, politici e sociali”: a denunciarlo nel suo ultimo rapporto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu è il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, secondo cui “il sistematico utilizzo della violenza come un’arma, principalmente sulle donne, è diventato di uso comune nei conflitti in Africa, Asia ed Europa”. Dopo aver lodato il Tribunale penale internazionale per il Rwanda con sede ad Arusha per aver classificato lo stupro come “forma di genocidio”, Ban Ki-moon ha rivolto un appello ai paesi interessati “perché rafforzino le misure protettive e di prevenzione nei confronti del fenomeno”, ricordando che le violenze “sono spesso perpetrate ai danni di civili, in totale violazione con il diritto internazionale e umanitario”. Il Segretario generale - riferisce l'agenzia Misna - ha ricordato che “questa piaga affligge da anni le regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo, e si stima che siano almeno 200.000 gli episodi di violenza sessuale registrati dall’inizio delle ostilità nel 1996”, sottolineando che si tratta di stime probabilmente inferiori alla realtà. Rilevanti, secondo il rapporto, sono anche altre forme di violenza sessuale ai danni dei civili come il rapimento a scopo di prostituzione forzata e la riduzione in schiavitù delle vittime, come nel caso del conflitto in Sierra Leone, dove donne e ragazze sono state rapite e costrette a sposare dei combattenti. A commettere questi crimini e ad alimentare la prostituzione sono, in alcuni Paesi, anche i soldati dell’esercito regolare, come denunciato più volte in Congo dalla missione dell’Onu (Monuc). Per invertire questa tendenza e assicurare la protezione dei civili, soprattutto donne, nelle zone di guerra i governo sono chiamati a “prendere misure concrete e assicurare i responsabili alla giustizia”, sottolineando che tali crimini sono alimentati “dal clima di totale impunità in cui spesso vengono commessi”. (R.P.)
Pakistan: strappati ai talebani oltre 200 bambini addestrati come kamikaze
◊ Nel corso delle operazioni belliche dell’esercito pakistano nella valle di Swat, all’interno della provincia della Frontiera di Nord Ovest, i militari si sono trovati davanti a un fenomeno di violenza inaudita, che ha lasciato sotto shock l’opinione pubblica: oltre 200 bambini fra gli 8 e i 13 anni erano stati rapiti dai talebani e addestrati per diventare “baby-kamikaze”, terroristi suicidi da spedire conto il nemico o contro obiettivi civili. “I bambini hanno subìto un lavaggio del cervello ed erano giunti persino a dire di voler uccidere i propri genitori” hanno rivelato fonti dell’esercito pakistano. “I talebani avevano insegnato loro che l'esercito del Pakistan è nemico dell'islam”. I talebani preferiscono usare i bambini perchè più influenzabili e meno soggetti all'arresto. Ora i ragazzi hanno bisogno di una lenta riabilitazione psicologica e di assistenza costante, per recuperare la loro infanzia. Le Organizzazioni non governative presenti nell’area - riferisce l'agenzia Fides - hanno sottolineato che il tragico fenomeno di bambini-soldato addestrati per la guerriglia, è noto in tutto il mondo ed è già di per sé esecrabile. L’addestramento dei bambini al terrorismo suicida è una ulteriore aggravante: esso prova la cieca violenza e l’assoluta violazione, da parte degli integralisti talebani, di ogni principio di dignità umana. (R.P.)
Nepal: aggredito un sacerdote gesuita a Kathmandu
◊ Un sacerdote gesuita è stato picchiato e ferito da una dozzina di ragazzi che hanno fatto irruzione nel suo appartamento a Kathmandu lunedì sera. La vittima dell’aggressione è padre David Ekka, responsabile della Loyola Students Home, uno studentato per ragazzi poveri dove sono ospitati 34 giovani. Fonti locali riferiscono che il sacerdote è stato sorpreso nel suo appartamento dai ragazzi presentatisi armati di coltelli. Padre David Ekka – rende noto AsiaNews - è ora ricoverato al Teaching Hospital della capitale nepalese. La polizia di Kathmandu ha intanto fermato un tredicenne, Suresh Tamang, sospettato di essere coinvolto nell’aggressione al sacerdote. Il ragazzo era stato allontanato pochi giorni prima dallo studentato diretto da padre Ekka per motivi di insubordinazione. Gli investigatori non escludono che questo fatto sia il movente dell’aggressione. Padre David Ekka è originario dell’India e da alcuni anni è incaricato della missione di Baniyatar, nei sobborghi di Kathmandu. Oltre alla sua attività come responsabile della Loyola Students Home guida anche il Laligurans, un centro di accoglienza diurno per l’assistenza ai bambini poveri. (A.L.)
Spagna: dal cardinale Martínez Sistach un appello alla libertà religiosa
◊ “La libertà religiosa e di culto è un diritto fondamentale dei cittadini riconosciuto nella Costituzione spagnola e il rispetto e la difesa dell'esercizio di tale diritto sono un elemento integrante di una società autenticamente democratica”. È questo il commento dell’arcivescovo di Barcellona, cardinale Lluís Martínez Sistach dopo che una ventina di chiese barcellonesi sono state ritrovate domenica scorsa con pitture offensive sulle facciate e, in alcuni casi, catene e lucchetti ostacolavano l'apertura delle loro porte. Il fine del gruppo autodenominato “La Gallinaire”, di tendenza anarchica, era di evitare la celebrazione del culto domenicale. “Ma non è stata impedita la celebrazione di alcuna Messa”, ha confermato a “L'Osservatore Romano” il cardinale. Deplorando profondamente l'accaduto, l'arcidiocesi catalana ha emesso un comunicato sottolineando che questo tipo di attacchi, comunque isolati, non è esclusivo di Barcellona. “Purtroppo questi fatti accadono un po' ovunque; e di recente si sono verificati anche in qualche altra diocesi spagnola”, ha spiegato il porporato. L'auspicio del cardinale Martínez Sistach è che “tutti cresciamo nei comportamenti di rispetto reciproco e di tolleranza” e che “non si ripetano i fatti drammatici del passato”. La violenza di domenica scorsa è stata in effetti motivata dal primo centenario della Settimana tragica di Barcellona, espressione che rimanda alle giornate del 1909 in cui furono incendiate numerose chiese cattoliche della città. “Voglia Dio — ha aggiunto il porporato — che tutti sappiamo imparare dal passato per agire nel presente in modo coerente con la nostra fede”. Il cardinale ha inoltre scritto una lettera in cui invita alla sobrietà e ad una vita austera per uscire dall’attuale recessione economica. “La crisi economica che stiamo vivendo su scala mondiale - scrive il porporato - ha gravi conseguenze su moltissime persone, famiglie e istituzioni sociali. Per di più, quando nel mondo tanti popoli soffrono la fame, quando in tante case si vive nella miseria, quando mancano persino un gran numero di scuole, ospedali, abitazioni dignitose, il fatto che si sperperino beni pubblici o privati, che si facciano spese per ostentazione sociale o personale diventa uno scandalo imperdonabile”. Contro l'esigenza di condurre una vita sobria, prosegue il cardinale “non valgono argomenti speciosi”, come invocare il fatto di essere padroni del proprio denaro o di avere esigenze dettate dalla vita in società. “Nessuno ha diritto a essere felice da solo. Perché come persone crediamo nella solidarietà umana, e come cristiani siamo convinti che il comandamento dell'amore non sia una parola vuota”. Sobrietà e solidarietà, conclude, sono virtù grazie alle quali “si possono elaborare soluzioni efficaci per superare la crisi e costruire un nuovo sistema economico mondiale giusto e solidale”. (V.V.)
Vietnam: minacce e violenze contro i cattolici
◊ Non si fermano le violenze contro i cattolici in Vietnam. Un uomo di Dong Hoi è stato arrestato ieri dalla polizia mentre gruppi di teppisti (alle dipendenze delle forze dell’ordine) gridavano minacce di morte contro i fedeli. La città di Dong Hoi si trova a circa 500 km a sud di Hanoi e secondo i fedeli il governo locale (che si trova a Quang Binh) ha dichiarato la zona “senza cattolici”, anche se ci vivono almeno tremila fedeli. Padre Vo Thanh Tam, segretario del collegio presbiterale della diocesi di Vinh (a cui appartiene Dong Hoi) ha confermato che diversi cattolici sono stati arrestati nei giorni scorsi e che ieri “il signor Nguyen Cong Ly è stato arrestato. La sua casa è spesso usata dai fedeli per servizi liturgici”. Nella zona infatti non vi sono chiese e l’unica è quella di Tam Toa, in rovine, che il governo vuole usare come “memoriale” della guerra contro gli Usa. Altre fonti dicono che la zona sta per essere usata per costruire un villaggio. Secondo testimoni sentiti dall’agenzia AsiaNews, la polizia e gruppi di teppisti girano per le strade e picchiano coloro che hanno simboli religiosi cattolici. Nelle scorse settimane un gruppo di fedeli ha cercato di riparare le rovine di Tam Toa, ma sono stati fermati dalla polizia, picchiati in modo selvaggio e arrestati. Per chiedere la loro liberazione nella diocesi di Vinh, a Saigon (Ho Chi Minh City), ad Hanoi e in altre città sono avvenute imponenti manifestazioni di cattolici. Subito dopo l’incidente di Tam Toa, centinaia di famiglie di fedeli sono fuggiti da Dong Hoi, per trovare rifugio a Ha Tinh e Nghe An (anch’esse nella diocesi di Vinh). Intanto gli oltre 600 media statali hanno cominciato una campagna di disinformazione contro i cattolici di Tam Toa, chiedendo la loro condanna e aizzando all’odio verso i cattolici. (V.V.)
Si è spento in Cina mons. Zhang Hanmin, vescovo di Jilin
◊ Il 19 luglio scorso si è spento all’età di 88 anni, mons. Damaso Zhang Hanmin, vescovo della diocesi di Jilin e amministratore della diocesi di Yanji, nella provincia cinese di Jilin. Il presule era nato il 15 gennaio 1922 nel villaggio di Xiaobajia da una famiglia di ferventi cattolici. Entrato nel seminario minore di Jilin era poi passato a quello maggiore di Pechino. Nel 1953, a causa della situazione politica, lasciò il seminario e scelse di lavorare come insegnante di lingue straniere, pur mantenendo fede al suo celibato. Nel 1983, all’età di 61 anni, è stato ordinato sacerdote per la diocesi di Jilin e il 17 settembre ’95, eletto amministratore della medesima circoscrizione ecclesiastica. Nel 1999 era stato consacrato vescovo diocesano. Mons. Zhang era uomo di grandi vedute. Ha fatto molto per l’unità della Chiesa fin dal momento in cui ricevette l’episcopato. Ha curato in modo particolare la formazione del clero, inviando all’estero diversi suoi sacerdoti per ottenere specializzazioni in teologia. Era molto amato dai suoi fedeli. Parlava correntemente latino, inglese, russo, giapponese e francese. I funerali del presule sono stati celebrati il 23 luglio scorso nella cattedrale di santa Teresa a Jilin con la partecipazione di molti fedeli. Le esequie sono state presiedute da mons. Paolo Pei Junmin, arcivescovo di Shenyang. La diocesi di Jilin conta circa 80.000 cattolici: ha una sessantina di sacerdoti, quasi tutti giovani, 17 parrocchie e 47 chiese, compresi i luoghi di attività cultuale. Vi sono 28 chierici nel seminario maggiore e altri 14 aspiranti al sacerdozio in quello minore. Le religiose della Congregazione della Sacra Famiglia sono un centinaio. La Diocesi gestisce un ospedale cattolico, una casa per anziani con 100 posti letto e diversi asili per l’infanzia. Con mons. Zhang scompare un vero testimone della fede che ha vissuto con totalità l’ubbidienza al Papa e alla Chiesa cattolica, sia pure in mezzo a molti condizionamenti. (R.P.)
Reazioni in Asia all'enciclica "Caritas in veritate"
◊ Ci vorrà del tempo per capire quanto e quale sarà l'impatto della "Caritas in Veritate" nel vastissimo e complesso panorama asiatico. Si tratta infatti, del continente dove le diversità nazionali sono più accentuate rispetto ad altri continenti. Basti pensare alla realtà cinese e a quella giapponese, così come alla Corea del Sud e al Vietnam, alle Filippine e all'Indonesia o all'India e al Pakistan, per ricordare solo alcune di queste diversità. Inoltre, in questo continente i cattolici sono una minoranza mentre in molti Paesi vivono la loro fede in condizioni di forte precarietà sia a causa delle politiche governative che per i difficili rapporti , a volte drammatici, con altre confessioni religiose. Da non sottovalutare poi il problema delle lingue poiché l'enciclica non è stata ancora pubblicata in cinese e arabo, due idiomi fondamentali per raggiungere molte aree asiatiche demograficamente di grande rilevanza continentale e mondiale. Nonostante questo l'enciclica ha avuto una sua relativa, ma qualificata, importanza sulle principali e più autorevole testate asiatiche. Non mancano diversi testi analitici fra cui quello di Kevin Rafferty su "The Japan Times" ("Pope's dream of heaven on Earth") che considera il documento pontificio, "di fondamentale importanza per il futuro dei popoli" - afferma - e sottolinea molte cose importanti", ma soprattutto "pone tante domande". Addirittura l'autore immagina di poter fare alcune di queste domande allo stesso Benedetto XVI. A suo avviso la "Caritas in Veritate" non si esaurirà in qualche migliaio di articoli e centinaia di conferenze: si tratta, assicura, di un documento che resterà presente a lungo nel dibattito mondiale e nelle coscienze di milioni e milioni di persone. Ettore Welgampola, giornalista dello Sri Lanka ed ex redattore di UCANews su "Indian Catholic" ("An Asian perspective on the millennium's first social encyclical") fa un'accurata scelta di numerosi brani dell'enciclica che ritiene molto calzanti o appropriati alle variegate realtà asiatiche ritenendo che in queste riflessioni ci sono "piste" da esplorare "se si desidera un millennio migliore per le nazioni dell'Asia". Welgampola scrive che nell'enciclica ci sono numerosi punti per prefigurare una vera "Carta programmatica" per i cristiani asiatici. In molti altri articoli usciti sulla stampa asiatica. Recentemente su AsiaNews alcuni docenti filippini riflettono sul valore dell'enciclica, soprattutto di fronte a "un'errata crescita economica" che "è spesso causa di povertà, criminalità, corruzione, conflitti", ricorda padre Bernardo O. Diaz, docente di religione all'Adamson University di Manila. Jhonatan P. Reginales, insegnante di sociologia presso l'Università di Manila, afferma che "a causa di un'eccessiva enfasi del ruolo del mercato e dei suoi strumenti come la competizione ed i contratti schematici, la vita diviene priva di valori come il dono e la reciprocità nell'aiuto". Antonio L. Maisong, professore di dottrina sociale della Chiesa all'Università S. Tommaso d'Aquino di Manila, si sofferma invece sull'utilità dell'enciclica per lo Stato filippino. Infatti "un utilizzo appropriato dell'enciclica porterebbe a una rivalutazione del ruolo dello Stato e ad una sua partecipazione attiva ai problemi della società". Di fondamentale importanza per il lancio su grande scala della "Caritas in veritate" sarà la IX Assemblea plenaria della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche (FABC), che si terrà a Manila dal 10 al 16 agosto. All'Assemblea, che si tiene ogni quattro anni, parteciperanno oltre cento tra cardinali e vescovi. I presuli, che rifletteranno sul tema "Vivere l'Eucaristia in Asia", lavoreranno per attualizzare e contestualizzare l'attività evangelizzatrice della Chiesa in Asia e, come osserva il vescovo filippino mons. Luis Antonio Tagle, vescovo di Imus, si parlerà di temi come "i lavoratori migranti per motivi economici, gli sfollati per catastrofi naturali oppure per eventi bellici, i rifugiati dai Paesi asiatici, dove ancora non esistono le condizioni sufficienti per assicurare la libertà religiosa e la rappresentatività nell'ambito di un sistema di governo eletto con metodo democratico". Tutti argomenti presenti nella "Caritas in veritate". (A cura di Luis Badilla)
Continua la visita del Patriarca di Mosca in Ucraina
◊ La visita in Ucraina del Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill è cominciata con l’omaggio al monumento di San Vladimiro, che nel X secolo propagò il cristianesimo ortodosso. “Preghiamo – ha detto il Patriarca – per l’amicizia e la fratellanza dei popoli usciti dalle fonti battesimali del Dnepr, per la nostra unità spirituale ed ecclesiastica indissolubile”. “Pregando qui, sulle rive delle nostre fonti battesimali comuni, testimoniamo la preservazione della nostra unità spirituale, anche se viviamo in Stati differenti, e in questa unità dimora la nostra forza”. Incontrando il presidente ucraino, Viktor Yushchenko, il Patriarca Kirill ha affermato che “delle ferite” sono comparse sul corpo della Chiesa ucraina. Evidente l’allusione al Patriarcato di Kiev, presieduto dal metropolita Filarete, e alla piccola Chiesa autocefala, capeggiata dal metropolita Mefodiy, protagoniste dello scisma del 1992. Non riconoscendo l’autorità di Mosca – ricorda l’Osservatore Romano – lasciarono da sola la Chiesa ortodossa ucraina legata al Patriarcato di Mosca, quest’ultima guidata oggi dal metropolita Vladimiro. Il Patriarca Kirill ha ringraziato il metropolita Vladimiro per l’accoglienza, sottolineando di essere venuto “come pellegrino, in comunione con la storia millenaria” della Chiesa ortodosssa. Il patriarcato di Mosca considera l’Ucraina, culla dell’ortodossia russa, come un suo territorio canonico. Kirill ha anche respinto l’ipotesi di creare una Chiesa ufficiale completamente indipendente da Mosca: “Kiev – ha detto - è per gli eredi della fede di Vladimiro la nostra Gerusalemme e la nostra Costantinopoli”. Alla vigilia del viaggio, il metropolita Filarete ha invitato Kirill a confrontarsi con le comunità dissidenti e a proporre “delle soluzioni che tendano a superare le contraddizioni esistenti”. Il metropolita Mefodiy ha auspicato, inoltre, che la visita del Patriarca di Mosca possa essere “un punto di partenza per un primato della Chiesa russa che, liberandosi da stereotipi ideologici, sviluppi una nuova disponibilità verso i problemi della Chiesa in ucraina”. Il presidente ucraino Viktor Yushchenko, soffermandosi sul significato della prima visita del Patriarca Kirill in Ucraina, ha sottolineato infine l’importanza della possibilità di avere uno scambio “sincero, fiducioso e onesto” sui problemi esistenti nella vita religiosa della nazione. Il programma dei giorni di viaggio del Patriarca Kirill prevede la visita di numerose città dell’Ucraina. Dopo Kiev, il Patriarca visiterà Donetsk, Horlivka, Simferepol e Sebastopoli, nella parte occidentale del Paese. Dal 2 agosto si sposterà nel centro dell’Ucraina toccando Rivne, Korets, Horodok, Lutsk, Volodymyr e Pochayiv. (A.L.)
Territori Palestinesi: palloncini nel cielo di Ramallah per i minori in carcere
◊ Oltre 500 palloncini rossi bianchi e neri, i colori della bandiera palestinese, hanno colorato il cielo di Ramallah per ricordare i minori palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. L’iniziativa, organizzata dalle famiglie dei detenuti palestinesi, è stata coordinata dal centro al Manara che ha provveduto a scrivere su ogni palloncino il nome di un giovane palestinese incarcerato. Alla manifestazione - riferisce l'agenzia Misna - hanno partecipato centinaia di familiari, madri, sorelle e genitori dei minorenni. Secondo le stime della sezione palestinese di Defence for Children International (Dci), organizzazione per la difesa dei diritti dei minori, sono 355 i minori palestinesi, tra cui alcuni poco più che bambini, detenuti attualmente nelle carceri israeliane. Dall’inizio della “Seconda intifada”, nel settembre del 2000, sono circa 7800 i minorenni arrestati dalle autorità israeliane e detenuti per vari periodi di tempo. Il numero ammonta a decine di migliaia se si considera l’intero periodo dall’occupazione del 1967 e costituisce il 3,6% del totale di detenuti politici palestinesi. “Il futuro di questi ragazzini è a rischio – scrive la Dci – ed è condizionato dalle torture e dai trattamenti degradanti subiti. I piccoli sono soggetti ad abusi sistematici e a privazioni continue dei loro diritti di base, tra cui il diritto a ricevere cure mediche per le loro patologie”. (R.P.)
Kenya: Amnesty chiede al governo alloggi per 3000 sfollati
◊ Amnesty International ha sollecitato ieri il governo del Kenya a fornire alloggi di emergenza e ulteriore assistenza umanitaria a 3000 persone sgomberate la scorsa settimana a Nairobi, lasciate esposte alla pioggia e al freddo invernale. Con un preavviso di sole 72 ore - riferisce l'agenzia Sir - i residenti di Githogoro, un insediamento di Nairobi, sono stati costretti a lasciare spazio ai bulldozer che stanno costruendo un nuovo raccordo stradale, il Northern Bypass. “Migliaia di uomini, donne e bambini sono stati sgomberati senza adeguato preavviso o consultazione, durante la peggiore stagione climatica del Kenya – dichiara Irene Khan, segretaria generale di Amnesty -. Molte famiglie vivevano in quell’insediamento da quasi 50 anni e ora non hanno alternativa se non dormire tra le macerie delle proprie abitazioni”. Le autorità del Kenya – prosegue Khan, “devono garantire che le vittime di questo sgombero forzato abbiano accesso a un alloggio, all’acqua potabile e ad altri servizi essenziali. Il governo sta venendo meno ai propri obblighi rispetto alla normativa internazionale sugli sgomberi”. Gli sgomberi forzati su vasta scala – denuncia Amnesty -, sono una routine in Kenya, sin dalla nascita del primo insediamento abitativo precario (2 milioni di persone vivono negli slums). 127.000 abitanti di Nairobi rischiano di vedere demolite le proprie case a causa del progetto di bonifica del fiume. (R.P.)
Angola: il nunzio condanna le accuse di stregoneria contro i bambini
◊ “No alle accuse di stregoneria contro i bambini”: è l’appello che mons. Giovanni Angelo Becciu, nunzio apostolico in Angola e São Tomé e Principe (nominato la settimana scorsa dal Papa nunzio a Cuba) ha rivolto ai partecipanti alla messa che si è svolta domenica scorsa a Caxito, per il 124° anniversario della festa di S. Anna. “Queste accuse sono una pratica frequente in Africa e vanno eliminate”, ha detto mons. Becciu, come riferito dall’agenzia governativa Angop-Angolapress ripresa dal Sir. Secondo alcuni rapporti sono aumentate negli anni le atrocità commesse contro i bambini, soprattutto quelli che vivono in strada, ingiustamente accusati di stregoneria. Lo scorso anno una quarantina sono stati vittime di un gruppo che si proclama “Chiesa evangelica della guarigione tradizionale”. I bambini vengono tenuti a digiuno per 15 giorni e maltrattati con pratiche come le ustioni alle braccia o il fumo negli occhi. Benedetto XVI, nella sua recente visita in Angola, aveva condannato coloro che “considerano i bambini di strada e gli anziani come presunti stregoni”. (R.P.)
Pubblicato il "Lexicon" della famiglia in lingua russa
◊ Dopo la versione araba arriva anche quella russa del "Lexicon" della famiglia curata dal Pontificio Consiglio per la Famiglia. L’arcivescovo Antonio Mennini, rappresentante della Santa Sede nella Federazione Russa, ha donato al cardinale Ennio Antonelli, presidente del dicastero vaticano, la prima copia dell’opera pubblicata in lingua locale dall’editrice dei francescani conventuali di Mosca. “Il problema della crisi dell'istituto familiare - ha detto mons. Mennini - è molto sentito in Russia”. “Credo che il volume – ha aggiunto - possa costituire uno strumento utilissimo per un lavoro sociale e culturale in questo Paese”. L'arcivescovo della “Madre di Dio” a Mosca, mons. Paolo Pezzi ha invitato inoltre il cardinale Ennio Antonelli nella capitale russa per una presentazione accademica dell’opera. L'introduzione al Lexicon, composto da 103 voci commentate in 1.066 pagine, è stata scritta dal cardinale Antonelli: “Sono molto lieto che in Russia, magnifico Paese con profonde radici cristiane e una grandiosa tradizione culturale, sarà disponibile questo prezioso volume”. Il porporato definisce inoltre l’opera uno “strumento di riflessione e di incoraggiamento per cercare sempre la verità sull'uomo, la vita e la famiglia”. Il Lexicon – ricorda l’Osservatore Romano - analizza concetti fondamentali della legge morale naturale e ne valuta i significati. Chiarisce i contenuti linguistici di alcuni termini che, trattati in modo sbagliato, diventano ambigui, e provocano confusione concettuale. “A volte - spiega il cardinale Ennio Antonelli - la distinzione tra il bene e il male viene confusa e sostituita con la distinzione tra quello che mi è utile e quello che non mi interessa, in modo che ciò che è soddisfacente per uno o in una determinata circostanza, non lo è più per un altro o in una circostanza diversa. Si cerca di abituare gli uomini al relativismo etico”. “Pur proponendo e offrendo il proprio contributo nella sua responsabilità di custode della verità rivelata da Dio - conclude il presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia – la Chiesa non intende imporre in ambito civile e politico un suo particolare punto di vista, ma propone una ragionevole riflessione per contribuire alla costruzione di una civiltà umana basata sulla verità, sull'amore e sul rispetto verso l'uomo, la sua vita e la fondamentale cellula della società che è la famiglia”. (A.L.)
Pellegrinaggi in Terra Santa
◊ Prosegue, in Terra Santa, il pellegrinaggio dei 164 giovani della diocesi di Roma che stanno vivendo questi primi giorni in Galilea, in un particolare spirito di preghiera e raccoglimento. Si è invece concluso stamattina a Gerusalemme, con la Messa celebrata nella Valle del Cedron – nel luogo dove poco più di due mesi fa ha celebrato il Santo Padre – il pellegrinaggio dei 1700 giovani francesi, accompagnati dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, dal cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, oltre a 20 vescovi. Con loro, ai piedi della Basilica del Getsemani, hanno concelebrato il nunzio apostolico in Israele, il patriarca latino di Gerusalemme, il patriarca emerito mons. Sabbah e il Vicario greco-cattolico di Gerusalemme. Questa Messa conclusiva del pellegrinaggio è stata presieduta dall’arcivescovo di Parigi, che nell’omelia ha ricordato come non basti conoscere la Bibbia, ma sia necessario portare Cristo dentro di sé. Sempre in Terra Santa intanto, i giovani pellegrini della diocesi di Roma hanno vissuto ieri un’intensa giornata mariana. La Messa presieduta da mons. Luigi Moretti nella Basilica dell’Annunciazione si è conclusa con la processione alla grotta e la recita dell’Angelus a mezzogiorno. Altra tappa, nel pomeriggio, la meditazione sul Monte Tabor. E’ un pellegrinaggio scandito da riflessione e molto silenzio, quello di questi giovani provenienti da 20 parrocchie romane, ma anche da momenti di condivisione al termine della giornata. Altro momento molto significativo, questa mattina, la traversata del Mare di Galilea, e su due battelli contigui, una lunga sosta a motori spenti nel mezzo di questo lago, durante la quale i giovani hanno potuto meditare in silenzio sul passo evangelico della tempesta sedata. La mattinata di oggi è poi proseguita con la Messa a Cafarnao, mentre nel pomeriggio è prevista la visita al santuario del Primato di Pietro a Tabgha. Qui, presso la riva del lago di Tiberiade, i giovani potranno riflettere sul Vangelo testimoniato dal santuario, dove si ricorda la triplice domanda di Cristo a San Pietro “Mi ami tu?” e la sua chiamata. Al termine di questa meditazione, ci sarà il rinnovo delle promesse battesimali, un segno che vuole suggellare l’adesione a seguire il Signore, con una sequela definitiva. Il pellegrinaggio proseguirà domani, attraversando la Valle del Giordano, con sosta a Gerico, e una meditazione nel deserto sul Vangelo delle Tentazioni. (Da Gerusalemme, Sara Fornari)
Bolivia: messaggio conclusivo del Congresso nazionale dei catechisti
◊ “Nulla e nessuno ci separi da Cristo”, è il titolo del messaggio conclusivo del V Congresso nazionale di catechisti boliviani che si è svolto dal 22 al 25 luglio nella città di Cochabamba per riflettere, in particolare, sulle sfide e le risposte da dare alla Missione continentale in corso in tutta l’America Latina, e ovviamente in Bolivia dove le attività pastorali ormai vanno avanti da oltre tre mesi. I partecipanti dichiarano di sentirsi “partecipi, con speranza e allegria, di una Chiesa missionaria, profetica e comunitaria” al servizio, sempre, della vita e del “processo di cambiamenti” che coinvolge il popolo boliviano. I catechisti boliviani, che si definiscono “uomini, donne, giovani e adolescenti che nell’ambito rurale e urbano lavorano nell’annuncio dell’incontro personale con Gesù Cristo”, forti di questa esperienza rilevano che oggi è più che mai necessario ricordare che “la Parola di Dio è la fonte principale ed essenziale del compito del catechista” e dunque chiamano a diffidare dall’utilizzo di questa Parola come un qualsiasi “ricorso dialettico”. D’altra parte i catechisti dichiarano che non sempre i loro sforzi “danno i frutti desiderati e attesi da parte della comunità ecclesiale” e perciò il “sorgere di comunità vive e adulte nella fede” appare piuttosto lento. “Queste difficoltà, e queste sfide però - scrivono nel loro messaggio i catechisti della Bolivia - non ci scoraggiano, anzi, ci servono come slancio per riprendere con più entusiasmo e fervore il nostro impegno personale e comunitario con il Cristo vivo”. Nonostante l’importanza della collaborazione con i parroci, i partecipanti al V Congresso boliviano dei catechisti, affermano che questo “compito ecclesiale ha una sua identità così come una sua singola spiritualità” e ciò perché, spiegano, “siamo agenti specializzati, testimoni diretti di Gesù ed evangelizzatori insostituibili”. “Il nostro contributo è decisivo per rendere credibile, attraente e attuale il messaggio di Cristo attraverso una Chiesa missionaria”, sottolineano. E ricordano, in conclusione, che il catechista “è un artigiano dell’incontro con Gesù Cristo e il suo Regno”. Perciò, si ricorda, il lavoro catechetico “accompagna nel processo della conversione e della maturazione della fede” (…) affinché il cristiano sia in grado di “inserirsi in una comunità viva, celebrante ed impegnata nella trasformazione della nostra società”. (L.B.)
Messico: celebrati gli 80 anni dell'Azione Cattolica
◊ L’Azione Cattolica messicana ha compiuto gli 80 anni di vita. A questo proposito, si è celebrato un incontro nella città di Puebla, dal 24 al 26 luglio, sul tema “Ieri fecondo, oggi esigente, domani promettente”, al quale hanno partecipato membri dell’Azione Cattolica di 50 diocesi del Paese. Nella dichiarazione pubblicata al termine dell’incontro e ripresa dall'agenzia Fides, i partecipanti ricordano in primo luogo che “l’Azione Cattolica messicana è una comunità di laici liberamente impegnati a vivere di persona ed organicamente il Vangelo, e così a realizzare la loro vocazione cristiana nella missione apostolica della Chiesa, con uno speciale vincolo con la gerarchia”. Riconoscono, tuttavia, che in termini quantitativi la presenza dell’Azione Cattolica è attualmente in diminuzione. Tra l’altro la nazione sta vivendo “un cambiamento epocale in un Messico pluralista e diverso, che colpisce profondamente il nostro mondo e provoca sfide che non abbiamo saputo affrontare”. Per questo rivolgono un appello ad analizzare la realtà nazionale con una visione obiettiva e critica, per dare risposte ispirate al Vangelo. L’arcivescovo mons. Christophe Pierre, nunzio apostolico in Messico, durante la Messa celebrata per questo 80° anniversario, ha affermato che “la Chiesa ha bisogno di laici che, fedeli alla loro vocazione - che è essenzialmente e radicalmente una chiamata alla santità -, e radunati attorno ai legittimi Pastori, siano disposti a condividere insieme a loro il lavoro di evangelizzazione in tutti gli ambienti”. Ha quindi ricordato ai partecipanti che “ciò che rende l’Azione Cattolica non una semplice associazione ecclesiale ma un dono di Dio per l’incremento della comunione ecclesiale, è il suo vincolo diretto ed organico con la diocesi e con il suo vescovo, con le parrocchie ed i suoi pastori, insieme ai quali viene assunto, come proprio, il cammino, le scelte pastorali e la spiritualità della Chiesa diocesana”. Mons. Pierre ha concluso la sua omelia lanciando un appello a tutti i presenti ad assumere e a manifestare in ogni impiego e in tutti i luoghi, il loro “impegno a favore dell’evangelizzazione, con un nuovo fervore missionario” e a lasciarsi “illuminare, toccare e motivare dalla loro storia segnata dall’esempio luminoso dei santi e dei beati”. (R.P.)
E' allarme per il sovraffollamento carcerario in Italia
◊ Oltre 63 mila detenuti, raddoppiati in dieci anni, in strutture che ne dovrebbero contenere 43 mila. Questa è la misura del sovraffollamento carcerario ai livelli più alti dal dopoguerra in Italia. La situazione è pericolosa e intollerabile e tende a peggiorare, con circa mille ingressi in più ogni mese dal gennaio 2009, per un costo medio pro capite di 200 euro, un dirigente ogni 123 detenuti ed un educatore ogni 157. Di fronte a questo quadro, che vede nell’estate il periodo più critico, gli operatori del settore – avvocati, poliziotti, funzionari e volontari – lanciano oggi un corale grido d’allarme rivolto al governo e alla magistratura, con proposte e critiche. Alla scelta attuale della politica giudiziaria di nessuna tolleranza, sicurezza come regola e più ricorso al carcere, la soluzione immediata per gli interlocutori di oggi viaggia in due direzioni principali: maggior accesso a forme di pena alternative al carcere e la rivisitazione dell’uso della custodia cautelare in carcere, oggi diventata da estrema ratio l’unica via d’uscita per il 52,2% degli attuali detenuti. A queste due vie si affiancano necessariamente più tutela per i dirigenti, aumento d’organico per la polizia e per il personale educativo. Oggi il carcere, dicono gli operatori del settore, è solo pena e brutalità; ci vuole un’inversione di rotta, specie in questo momento di crisi e per questo, insieme, continueranno a lottare puntando ad un lavoro comune. (A cura di Gabriella Ceraso)
La Croce nella teologia occidentale al centro di un incontro ecumenico a Chianciano
◊ “La Trasfigurazione è una manifestazione del miracolo dell’Incarnazione". “Nella luce di Dio vediamo la luce della creazione, la stessa luce che Dio ha gettato nel nostro essere. Questa Trasfigurazione ha mostrato non solo come Dio è, ma come gli uomini sono, non nel loro stato empirico, ma come sono stati concepiti dall’amore di Dio”. E’ quanto ha affermato il sacerdote ortodosso russo Vladimir Zelinsky, aprendo ieri i lavori della seconda giornata della sessione di formazione ecumenica del Sae, il Segretariato attività ecumeniche, in corso a Chianciano Terme. La mattinata è continuata con una riflessione a due voci sul tema “la croce nella recente teologia occidentale”. Per primo ha parlato Fulvio Ferrario, pastore e docente alla Facoltà Teologica Valdese di Roma, che ha presentato, in tre tappe, alcuni lineamenti della teologia della croce nella tradizione protestante. Successivamente Paolo Gamberini, gesuita e docente alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, ha mostrato come “la confessione neotestamentaria della divinità di Gesù trova il suo luogo originario nell’identificazione escatologica di Dio in Gesù crocifisso”. Questo evento – ha detto - “non è esclusivo di Gesù Cristo, ma in lui e attraverso di lui diventa inclusivo di ogni uomo che partecipa del mistero pasquale. La croce è un evento aperto ad accogliere ed abbracciare ogni uomo”. A conclusione della relazione – rende noto il Sir - è stata proiettata l’opera artistica “X-fiction” di Raul Gabriel. Il pittore ha voluto rappresentare nel gesto dell’abbraccio il significato di salvezza e redenzione. (A.L.)
A Camaldoli la settimana teologica della Fuci
◊ L'esperienza di fraternità della prima comunità cristiana resta il modello fondante per l'impegno dei cristiani nella società. Soprattutto in un contesto di “individualismo egoistico” che “tende alla massificazione delle culture” e al “conformismo dei comportamenti”. È lungo questo binario che lunedì ha preso le mosse presso il monastero benedettino di Camaldoli la prima delle due annuali Settimane teologiche della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci). “Atti degli apostoli. Cittadini del mondo, cittadini del Regno” è il titol dell'appuntamento che vede la presenza di una settantina di studenti universitari provenienti da tutta Italia, i quali nella quiete della forestiera camaldolese si ritrovano — come accade da oltre settant'anni — per condividere un'esperienza di studio, riflessione, preghiera e amicizia. A guidare la riflessione in questi primi giorni è il biblista gesuita padre Paolo Bizzetti, mentre da domani sarà la volta di Franco Riva, docente dell'Università Cattolica. (V.V.)
Milano: a settembre il mondiale di calcio dei senzatetto
◊ Sarà l’Arena Civica di Milano ad ospitare, tra il 6 e il 13 settembre, la Homeless World Cup, il campionato del mondo di calcio dei senzatetto, giunto ormai alla sua settima edizione. Saranno quasi cinquecento, provenienti da 48 nazioni di tutti i continenti, i clochard pronti a sfidarsi in appassionate sfide di street football – una sorta di calcetto a tre giocatori più il portiere – che catalizzerà per una settimana l’attenzione di pubblico, media e addetti ai lavori. Tutti gli atleti saranno ospitati in un’apposita tendopoli allestita dalla Croce Rossa Italiana. Ai senzatetto provenienti da ogni angolo del mondo sarà anche offerta una particolare assistenza medica e linguistica che vedrà in prima fila un centinaio di volontari, oltre ai militari dell’Esercito Italiano. “Lo sport è solo un pretesto, uno strumento che può permettere a tanti homeless di cambiare la propria vita” ha spiegato il sindaco Letizia Moratti, nominata ieri ambasciatore ufficiale della manifestazione. “Speriamo che questa competizione - ha aggiunto - possa lasciare in eredità ai partecipanti, una serie di motivazioni, percorsi e opportunità”. Una recente ricerca realizzata dagli organizzatori ha dimostrato che il 93% dei partecipanti alla precedente edizione della Homeless World Cup ha acquisito “nuove motivazioni per vivere”. L’83% ha migliorato le proprie relazioni sociali, il 71% ha cambiato significativamente la propria vita, il 29% ha trovato un impiego, il 38% ha trovato casa. A portare la competizione nel capoluogo lombardo – riferisce il quotidiano Avvenire - è stata “Milano Myland”, un’associazione sportiva nata con l’intento di utilizzare lo sport e la cultura per cambiare la vita delle persone senza dimora, favorendo il loro reinserimento. L’associazione, subito dopo il "Mondiale dei clochard", intende avviare una ventina di nuovi progetti del genere per le persone senza casa in tutta Italia. (A.L.)
Vescovi italiani: da oggi online la nuova versione del sito "Bibbia Edu"
◊ È online da oggi la nuova versione del sito Bibbia Edu. All’indirizzo "www.bibbiaedu.it" sarà possibile leggere e "navigare" la Bibbia nella nuova edizione Cei del 2008. “La realtà sociale e culturale in cui ci troviamo a vivere oggi è in continua evoluzione. Essa mette in evidenza come i linguaggi e le tecniche del comunicare sono spesso fluide, dinamiche e veloci – sottolinea il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Cei nella presentazione del sito -. Nell’era di Internet e delle ‘reti sociali’, la Chiesa italiana è consapevole che l’accelerata innovazione tecnologica non è solo questione tecnica, ma coinvolge più profondamente l’uomo”. Il sito, funzionale e accessibile, - riferisce l'agenzia Sir - è stato realizzato grazie all’impegno dell’Ufficio liturgico nazionale, dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e del Servizio Informatico della Cei. “Sarà - si afferma nella presentazione - uno strumento utile per i così detti cybernauti che potranno leggere, studiare, approfondire la Parola attraverso quanto viene offerto dalle nuove tecnologie informatiche”.
Autobomba in Spagna: oltre 60 feriti. Sospetti sull'Eta
◊ Attentato in Spagna. Questa mattina un’autobomba è esplosa davanti a una caserma della Guardia Civil a Burgos, nel nord del Paese, ferendo oltre 60 persone, tra agenti e loro familiari. Tra questi 22 donne e cinque bambini. La polizia attribuisce l'attacco ai separatisti baschi dell'Eta. Il servizio di Roberta Rizzo:
L'Eta sarebbe tornata a colpire in Spagna. Poco prima dell’alba un’autobomba è stata fatta esplodere nei pressi di una caserma della Guardia Civil a Burgos, nel nord del Paese. La deflagrazione, ha provocato il ferimento di oltre 60 persone, nessuna in modo grave. Contrariamente alla prassi, i separatisti baschi non hanno preannunciato l'esplosione con una telefonata, ma gli inquirenti non hanno dubbi sulla matrice dell'attentato. L’autobomba era stata installata su un furgoncino, forse rubato in Francia, parcheggiato nel retro della caserma, sul lato dell’edificio in cui si trovano le camere degli agenti e in alcuni casi dei loro familiari. Almeno 10 dei 14 piani dell’edificio sono stati colpiti e parte della facciata è andata distrutta. Sulla strada, l’ordigno ha lasciato un cratere di sette metri di diametro. L’organizzazione terroristica indipendentista basca ha assassinato almeno 800 persone negli ultimi 40 anni ed ha spesso nel mirino la Guardia Civil. L’ultimo attentato dell’Eta è stato compiuto a inizio luglio, quando una bomba è esplosa davanti alla sede del Partito Socialista Basco.
Sull'attentato alla caserma della Guardia Civil di Burgos, Stefano Leszczynski ha intervistato Antonio Pelayo, giornalista di Antena Tres, che si trova nella cittadina iberica.
R. – Hanno scelto questa casa caserma della Guardia Civil, che è in una documentazione che è stata ritrovata ed era già indicata come un possibile oggetto di attentato. Dunque, è un gesto che poteva diventare una grande tragedia perché sono passato proprio davanti a questa caserma e sono impressionanti gli effetti di questi 200 kg di esplosivo.
D. – Si tratta quindi di una pericolosa ripresa del terrorismo separatista o, piuttosto, è il colpo di coda di un’organizzazione che è ormai in ginocchio?
R. – E’ un po’ difficile da dire. Diciamo che questo è l’ottavo attentato, quest’anno, dell’Eta, ma fino ad adesso gli attentati erano più individuali, indirizzati a delle persone. Questa volta invece no; evidentemente si cercava di fare un autentico massacro.
D. – Cosa dice la gente di quanto è avvenuto oggi?
R. – Io ho davanti a me un’edizione speciale che ha fatto il Diario di Burgos appena uscita, il cui titolo in copertina è “L’Eta cerca un massacro a Burgos”. La gente è evidentemente un po’ esterrefatta, perché sentirsi nel mirino di questi pazzi è sempre una cosa inquietante.
D. – Possiamo dire che se in 41 anni di attentati l’organizzazione forse non è stata ancora del tutto eliminata, ha comunque perso gran parte del consenso popolare che aveva?
R. – Il consenso popolare è completamente sparito. Rimane un nucleo ridottissimo di fedeli, che sono piuttosto giovani e poi la banda terrorista ha avuto, in questi ultimi anni, colpi molto forti da parte della polizia che ha individuato e ha potuto arrestare diversi dirigenti dell’organizzazione. Ora sembra che la dirigenza sia molto giovane e fanatista e pare anche che abbia perso un po’ il filo del suo senso politico. Purtroppo, questo vuol dire che possiamo ancora aspettarci gesti di pazzia.
Cina
“Circa diecimila persone sono sparite in una notte a Urumqui”, capoluogo della regione del Xinjiang. La denuncia arriva da Rebiya Kadeer, leader in esilio della dissidenza uighura in Cina, protagonista, a inizio luglio, di violenti scontri interetnici con cinesi di etnia han. Kadeer ha reclamato, inoltre, l'apertura di un’inchiesta internazionale sui moti scoppiati nella provincia cinese. La leader della minoranza musulmana, vive attualmente negli Stati Uniti e guida il Congresso mondiale uighuro, con sede a Monaco, in Germania.
Iraq
Sono otto i morti e 455 i feriti degli scontri avvenuti questa mattina a "Camp Ashraf", in Iraq, tra le forze di sicurezza irachene e i miliziani del Pmoi, braccio armato della resistenza iraniana. Le vittime sarebbero tutte appartenenti ai Mujahidin del popolo. Sarebbero morti anche i due britannici rapiti nel 2007 insieme a un gruppo di altri 5 ostaggi all’interno del ministero delle Finanza a Baghdad. A riferirlo alle famiglie dei due uomini, il Foreign Office inglese. Gli Stati Uniti, intanto, hanno dichiarato che potrebbero accelerare le operazioni di ritiro delle truppe americane dal Paese. Ad annunciarlo, oggi, il segretario alla Difesa Usa, Robert Gates, rientrato dall’Iraq dopo una visita a sorpresa.
Iran
Liberare tutti i manifestanti arrestati nei disordini scoppiati in Iran in seguito alla rielezione di Ahmadinejad entro il 7 agosto. E’ stato lo stesso presidente iraniano ad avanzare la richiesta al potere giudiziario di Teheran, dopo la scarcerazione di 140 detenuti avvenuta ieri. Il regime ha tuttavia negato all’opposizione il permesso di organizzare nuove cerimonie in ricordo delle vittime degli scontri dello scorso mese di giugno.
Venezuela
Crisi diplomatica tra il Venezuela e la Colombia. Il presidente Hugo Chavez ha ordinato il ritiro del proprio ambasciatore da Bogotà e il congelamento delle relazioni con il Paese vicino. Le nuove tensioni tra Bogotà e Caracas arrivano dopo un anno di relativa calma nelle relazioni tra i due Paesi e seguono le denunce della Colombia sul sequestro di un carico di armi anticarro alle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc), comprate dal Venezuela in Svezia. Nei giorni scorsi il presidente venezuelano aveva anche denunciato la decisione della Colombia di ospitare personale militare Usa in quattro basi sul proprio territorio: “Gli Stati Uniti – ha dichiarato Chavez - hanno piani per invadere il Venezuela”.
Honduras
Netta presa di posizione di Washington nella crisi politica che da un mese blocca l’Honduras, con gravi danni economici per l’intero Paese. Gli Stati Uniti hanno revocato il visto diplomatico a quattro esponenti del governo golpista dell'Honduras: un gesto di sostegno nei confronti del presidente deposto Manuel Zelaya. Ieri il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ian Kelly, aveva reso noto il provvedimento, ribadendo che Washington non riconosce Roberto Micheletti come presidente.
Elezioni parlamentari in Moldova
Urne aperte da questa mattina nella Repubblica Moldova per le elezioni parlamentari anticipate. Il Presidente Vladimir Voronin spera che le votazioni di oggi possano porre fine al momento di crisi e incertezza dell’ex Paese sovietico e riescano a far raggiungere il traguardo della stabilità politica. Il servizio di Mariella Pugliesi:
Sono trascorsi 4 mesi dalle ultime elezioni nella Repubblica Moldova. Lo scorso aprile il successo elettorale del partito comunista è stato contestato dall’opposizione con manifestazioni degenerate in scontri e violenze. Oggi 2,5 milioni di elettori si recano alle urne per il voto anticipato voluto dall’attuale presidente Vladimir Voronin, leader del Partito comunista che a giugno ha sciolto il Parlamento appena eletto. L’opposizione aveva fatto mancare, infatti, l’appoggio necessario per l'elezione alla presidenza di un candidato segnalato dai comunisti. L’ex Paese sovietico, situato tra la Romania e l’Ucraina, avrebbe anche espulso alcuni osservatori internazionali georgiani e di organizzazioni non governative mandati dall’Osce. Oltre ai comunisti, dati come grandi favoriti, i liberali, i democratici e i liberal-democratici, hanno la possibilità di superare la soglia del 5 per cento per entrare in Parlamento che eleggerà il prossimo presidente. La Repubblica Moldova è diventata indipendente dall’Unione Sovietica nel 1991 entrando poi a far parte della Comunità degli Stati Indipendenti. Ha riconosciuto uno statuto di speciale autonomia alla regione della Gagauzia, a maggioranza turcofona. Problemi politici e sociali permangono invece con la Transnistria, provincia a maggioranza russa che si è di fatto resa indipendente. La Repubblica Moldova ha il prodotto interno lordo e l’indice di sviluppo umano più bassi d’Europa.
Kirghizistan
Una manifestazione di protesta contro la rielezione del presidente Kurmanbek Bakiev è stata repressa con la forza dalla polizia a Bishkek, capitale del Kirghizistan. Quarantadue persone sono state arrestate mentre esponevano striscioni e bandiere contro i risultati delle presidenziali del 23 luglio scorso. Bakiev, presidente dal 2005, è stato rieletto la scorsa settimana con il 76 % dei voti. Lo sfidante Almazbek Atambayev, che ha raggiunto l'8 % delle preferenze, ha dichiarato che l'elezione è stata falsata dai brogli. I risultati sono stati contestati anche dai 250 osservatori dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse), inviati in Kirghizistan per monitorare le elezioni. L’Ocse ha rilevato numerose irregolarità con casi diffusi di voto multiplo e uso improprio delle risorse statali.
Afghanistan
Cresce la pressione dei ribelli talebani contro il contingente francese in Afghanistan. Negli ultimi otto giorni gli attacchi dei terroristi hanno provocato tre feriti, di cui uno grave. Dal 21 luglio i soldati francesi hanno subito otto attacchi nelle province di Kapisa, Wardak e Logar, vicino a Kabul. Lunedì scorso nel corso di una ricognizione nei seggi elettorali a Kapisa, circa 250 soldati francesi e afghani hanno affrontato una cinquantina di ribelli che li hanno attaccati con mitragliatrici e razzi nella valle di Bedrau.
Nessuno Tocchi Caino: rapporto 2009 sulla moratoria delle esecuzioni capitali
In quindici anni 51 Paesi hanno abbandonato la pratica della pena di morte e 10 di questi lo hanno fatto negli ultimi due anni. È il dato emerso dal Rapporto presentato oggi a Roma da Nessuno Tocchi Caino in occasione della consegna del premio "L'Abolizionista dell'Anno 2009”. Dopo il voto nel 2007 della Moratoria universale delle esecuzioni capitali da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ci sono state migliaia di fucilati, d’impiccati, di decapitati e di lapidati in meno nel mondo. Due le prossime iniziative dell’Associazione: la richiesta agli Stati mantenitori della pena di morte di rendere disponibili al segretario generale dell'Onu tutte le informazioni riguardanti le esecuzioni capitali e la diffusione della Moratoria con eventi politici e pubblici nei Paesi di tutto il mondo.
Stati Uniti - Medio Oriente
Potrebbe essere alle porte un riavvicinamento tra Stati Uniti e Israele sulla delicata questione della richiesta avanzata da Washington di congelamento degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Lo ha lasciato intendere ieri l’emissario americano per il Medio oriente, George Mitchell, dopo un incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Stati Uniti- Cuba
È stato spento il tabellone posto fuori la missione diplomatica statunitense all'Avana. Si tratta di un segnale dato dalla Casa Bianca a dimostrazione dell'impegno del presidente Obama per migliorare le relazioni con Cuba. Sul tabellone, montato per volere di George W. Bush, scorrevano notizie, dichiarazioni politiche e messaggi che incolpavano il regime comunista e l'economia socialista per i problemi di Cuba.
Sudan
Una giornalista sudanese riceverà oggi a Kartoum 40 frustate e una multa equivalente a circa 80 euro per aver indossato i pantaloni, una tenuta considerata indecente secondo i canoni islamici. La donna – che ha chiesto ai giornalisti di essere presenti nel momento in cui sconterà la sua pena – è stata incriminata all’inizio di luglio. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Rizzo e Mariella Pugliesi)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 209
E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.