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Sommario del 10/06/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale: fede e ragione non sono in contrasto, la conversione permette di cogliere il senso del sacro
  • Nomina
  • Pubblicato il programma della visita pastorale di Benedetto XVI a San Giovanni Rotondo del 21 giugno
  • Trent'anni fa, il memorabile ritorno in patria di Karol Wojtyla nelle vesti di Pontefice. Il ricordo di padre Andrzej Koprowski
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • L'appello dei vescovi europei ai governi del continente: tutelare i più poveri dalla crisi. Intervista con il cardinale Péter Erdő e il prof. Antonio Baggio
  • La crisi che non frena il commercio di armi. Nel 2008, spesi 1.464 miliardi di dollari
  • Presentata la 30.ma edizione del Meeting di Rimini dal titolo "La conoscenza è sempre un avvenimento". Si svolgerà dal 23 al 29 agosto
  • La riflessione sul fine vita e le malattie terminali al Campus biomedico di Roma. Le opinioni di Joaquin Navarro-Valls e Giuseppe Casale
  • Chiesa e Società

  • New York: conferito ieri il Premio “Path to Peace, Sentiero per la Pace 2009”
  • Perù: la mediazione della Chiesa per risolvere la crisi in Amazzonia
  • In Libano i vescovi auspicano la collaborazione tra gli schieramenti
  • Pakistan: si intensifica l’impegno dei cristiani in aiuto degli sfollati dello Swat
  • Appello dei vescovi indonesiani: votate un presidente garante del pluralismo
  • RD del Congo: preoccupazione dei vescovi del Kivu per le continue violenze
  • Irlanda: anche l'arcidiocesi di Dublino alla marcia per le vittime degli abusi
  • Fao: a San Pietroburgo un forum sulla sicurezza alimentare
  • L’arcivescovo del Patriarcato di Mosca, Hilarion, interviene sull’unità panortodossa
  • Ecuador: piano andino-ispanico per le migrazioni
  • India: arcivescovo dalit chiede pari dignità tra cristiani e indù
  • Filippine: educare ai valori e coltivare relazioni per prevenire i suicidi
  • Cambogia: al via un progetto di irrigazione voluto dai Gesuiti
  • Cina: congresso a Tai Yuan a conclusione dell'Anno Paolino
  • I vescovi delle diocesi dell’antico Tirolo riflettono sul tema della libertà
  • Inghilterra-Galles: lanciata ieri la nuova "Missio" delle Pom
  • Padre Agostino Gemelli: domani il 50.mo anniversario della sua morte
  • Mons. Crociata al Consiglio della Caritas: "Promuovere l''unità della carità"
  • "Nel Nome del Cuore 2009": il Sacro Convento di Assisi per i bambini dell’Africa
  • Genova: inaugurata la struttura diocesana “Giosuè Signori” per donne con disagio psichico
  • 24 Ore nel Mondo

  • Trenta morti in Iraq, mentre sale il bilancio delle vittime dell’attentato di ieri in Pakistan: uccisi anche due dipendenti ONU
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale: fede e ragione non sono in contrasto, la conversione permette di cogliere il senso del sacro

    ◊   E’ tornato a parlare Benedetto XVI - stamani all’udienza generale in piazza San Pietro - del rapporto tra fede e ragione. Al termine dell'udienza, Benedetto XVI ha salutato una delegazione di persone che parteciperanno, tra sabato e domenica prossimi, al tradizionale pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, accendendo la torcia simbolo della manifestazione. Il servizio di Roberta Gisotti.

     
    Il dovere di discernere in modo appropriato su ciò che viene presentato come ‘auctoritas vera’: così raccomandava il teologo irlandese Giovanni Scoto Eriugena, vissuto nel IX secolo, le cui “stimolanti riflessioni” suggeriscono - ha detto il Papa - “interessanti approfondimenti” anche ai nostri giorni. Secondo lo studioso non è “vera autorità se non quella che coincide con la verità scoperta in forza della ragione”. Per cui “l’autentica autorità non contraddice mai la retta ragione, né quest’ultima può contraddire una vera autorità”. “L’una e l’altra provengono” - sosteneva il pensatore irlandese - “dalla stessa fonte, che è la sapienza divina”. Ed è questa “ancora oggi la strada giusta, ha osservato Benedetto XVI, per una corretta lettura della Sacra Scrittura”.
     
    “Si tratta infatti di scoprire il senso nascosto nel testo sacro e questo suppone un particolare esercizio interiore grazie al quale la ragione si apre il cammino sicuro verso la verità. Tale esercizio consiste nel coltivare una costante disponibilità alla conversione”.

     
    “Conversione del cuore” - ha sottolineato Benedetto XVI - che deve progredire assieme alla “corretta analisi concettuale” della pagina biblica, sia di carattere cosmico, storico o dottrinale:

     
    “E’ infatti solo grazie alla costante purificazione sia dell’occhio del cuore che dell’occhio della mente che si può conquistare l’esatta comprensione”.
     
    Entriamo in un “cammino impervio ed entusiasmante – ha spiegato il Papa - fatto di continue conquiste e relativizzazioni del sapere umano”, che “porta la creatura intelligente fin sulla soglia del Mistero divino, dove tutte le nozioni accusano la propria debolezza e incapacità e impongono perciò, con la semplice forza libera e dolce della verità di andare sempre oltre tutto ciò che viene continuamente acquisito”.

     
    “In realtà, l’intero pensiero di Giovanni Scoto - ha rilevato Benedetto XVI - è la dimostrazione più palese del tentativo di esprimere il dicibile dell’indicibicile Dio, fondandosi unicamente sul mistero del Verbo fatto carne in Gesù di Nazaret”, come si evidenzia in uno scritto del teologo irlandese “che - ha detto il Papa - tocca in profondità l’animo di noi credenti del XXI secolo”.

     
    “Egli scrive: 'non si deve desiderare altro se non la gioia della verità che è Cristo, né altro evitare se non l’assenza di Lui. Questa infatti si dovrebbe ritenere causa unica di totale ed eterna tristezza”.

     
    Tra i numerosissimi fedeli di ogni parte del mondo, presenti oggi in piazza San Pietro per incontrare il Papa, anche alcuni dei partecipanti alla “Maratona per la Pace” da Macerata a Loreto, che si svolgerà nella notte tra sabato 13 e domenica 14 giugno, accompagnati dai vescovi Claudio Giuliodori e Giancarlo Verrecica. Al termine dell’udienza, Benedetto XVI ha acceso la torcia simbolo della manifestazione, indossando simpaticamente il cappellino bianco dei maratoneti.

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    Nomina

    ◊   In Messico, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia all’ufficio di ausiliare della diocesi di Tehuantepec, presentata da mons. José Refugio Mercado Diaz, in conformità al canone 401 - paragrafo 2 - del Codice di Diritto Canonico.

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    Pubblicato il programma della visita pastorale di Benedetto XVI a San Giovanni Rotondo del 21 giugno

    ◊   Sono stati resi noti oggi i singoli appuntamenti che caratterizzeranno la visita pastorale di Benedetto XVI a San Giovanni Rotondo, il prossimo 21 giugno. Il Papa decollerà in elicottero alle 8 dall’eliporto del Vaticano per atterrare verso le 9.15 nel Campo sportivo “Antonio Massi” di San Giovanni Rotondo. Venti minuti dopo, visiterà in forma privata il Santuario di Santa Maria delle Grazie e sosterà in preghiera per venerare le spoglie di San Pio da Pietrelcina che riposano nella Cripta. L’incontro con i fedeli sarà alle 10.30 sul Sagrato della Chiesa dedicata al Santo Cappuccino, dove il Pontefice presiederà la Santa Messa e terrà l’omelia, per poi concludere la celebrazione con la recita dell’Angelus.

    Nel pomeriggio, alle 16.45, Benedetto XVI incontrerà gli ammalati nel grande atrio della Casa Sollievo della Sofferenza, insieme con il personale medico e i dirigenti, ai quali rivolgerà un saluto. Quindi, alle 17.30, sarà la volta dell’incontro con i sacerdoti, i religiosi, le religiose e i giovani nella Chiesa di San Pio da Pietrelcina. La visita terminerà poco dopo le 18, quando Benedetto XVI partirà in elicottero per far rientro in Vaticano.

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    Trent'anni fa, il memorabile ritorno in patria di Karol Wojtyla nelle vesti di Pontefice. Il ricordo di padre Andrzej Koprowski

    ◊   Per otto giorni, dal 2 al 10 giugno 1979, la Polonia visse un momento indimenticabile. I milioni di cattolici nel Paese, oppressi dal regime comunista di allora, videro venire verso di loro a braccia spalancate un connazionale che - dopo aver affrontato per anni a schiena diritta le vessazioni del totalitarismo filosovietico - tornava ora con l’abito bianco di Pastore universale della Chiesa. Trent’anni dopo resta memorabile quel primo viaggio in Patria di Giovanni Paolo II, quel suo “Non abbiate paura” che cambiò per sempre la storia del blocco dell’est europeo. Il nostro direttore dei Programmi, il gesuita polacco padre Andrzej Koprowski, rievoca i sentimenti e ciò che produsse quel viaggio apostolico, al microfono di Alessandro De Carolis:

    R. - Il primo pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Polonia ebbe un significato speciale. Fece seguito al viaggio in Messico - più precisamente in Repubblica Dominicana, Messico e Bahamas - e allo storico incontro con la terza Conferenza generale dell'episcopato latinoamericano. Non fu solo un ritorno del Papa polacco in patria, ma un viaggio apostolico del successore di Pietro oltre la Cortina di ferro, in un Paese del blocco sovietico. Il cardinale Roberto Tucci ricorda che per l'ambiente vaticano e i collaboratori di Papa Wojtyla fu un'occasione per comprendere meglio lo specifico del Pontificato, il modo di vedere insieme il messaggio teologico inserito nella realtà culturale e sociale delle persone e della società civile. Un'occasione per vedere il cristianesimo come un lievito indispensabile per dare un senso umano ai sistemi culturali, sociali e politici. Il contrasto con l'ideologia atea del blocco sovietico e con la situazione delle popolazioni destinate dal trattato di Yalta al socialismo reale era evidente.
     D. - Quali furono le tematiche che il giovane Papa affrontò in quel suo primo e memorabile ritorno in Patria nelle vesti di Successore di Pietro?

     
    R. - Durante il primo viaggio polacco, Giovanni Paolo II toccò tutti i fondamenti teologici come base non solo della vita personale, ma anche comunitaria, sociale, culturale, per organizzare la vita pubblica, economica, politica. "Cercare - disse il Papa a Balice il 10 giugno - tutto quello che è necessario al bene dell'uomo, il quale deve trovare dappertutto la coscienza e la certezza della sua autentica cittadinanza in qualunque sistema di relazioni e di forze". A Varsavia, Giovanni Paolo II aveva subito sottolineato che "la Chiesa ha portato alla Polonia Cristo, cioè la chiave per la comprensione di quella grande e fondamentale realtà che è l'uomo". La visita si svolse in un clima straordinario, ma anche carico di tensioni politiche, soprattutto durante gli incontri con i giovani e con il mondo del lavoro a Jasna Góra e a Nowa Huta. "Il cristianesimo e la Chiesa - disse Papa Wojtyla - non hanno paura del mondo del lavoro. Non hanno paura del sistema basato sul lavoro. Il Papa non ha paura degli uomini del lavoro (...) Attraverso le proprie esperienze di lavoro, oso dire, il Papa ha imparato nuovamente il Vangelo. Si è accorto e si è convinto, quanto profondamente nel Vangelo sia incisa la problematica contemporanea del lavoro umano. Come sia impossibile risolverla fino in fondo senza il Vangelo".

     
    D. - Le rievocazioni di quel viaggio dedicano sempre un capitolo alle reazioni preoccupate dei leader comunisti di Varsavia di fronte a quel figlio della Polonia divenuto capo della Chiesa universale…

     
    R. - Sì, il regime, il governo e i capi del partito ebbero paura del viaggio. Temevano che la visita del Papa provocasse manifestazioni e disordini. In realtà, furono giorni pieni di gioia e di serenità. Per la prima volta da decenni credenti e non credenti si trovarono insieme, in comunione, liberi. Riscoprirono la propria dignità. Non furono contro il regime. Semplicemente, il regime sparì dalla prospettiva, come la sporcizia sul vetro di una macchina tolta dal tergicristallo. L'elezione del cardinale di Cracovia come successore di Pietro il 16 ottobre 1978 e il suo primo viaggio in Polonia diedero impulso al profondo processo di trasformazione della società polacca. Un processo mentale, ma anche culturale e sociale che portò fino al movimento di Solidarnosc, fino a un rinnovarsi della speranza che si può vivere in modo più degno, più umano, più libero, che si devono cambiare le strutture oppressive ed economicamente e socialmente inefficaci. Giovanni paolo II ha aperto questa prospettiva del cristianesimo, della Chiesa, del mistero salvifico di Cristo a tutti e non solo ai cattolici: non solo a quelli che si sono radunati nelle chiese, ma anche a quelli che erano almeno apparentemente contrari. Perché Cristo è venuto per tutti. E questo ha toccato molto.

     
    D. - Dunque, la visita di Giovanni Paolo II innescò la prima scintilla di quel profondo cambiamento che segnerà nei decenni successivi tutta l’Europa dell’est. Quel è la sua valutazione di quel fenomeno?

     
    R. - Il processo di maturazione non riguardò solo la Polonia. Già nel secondo giorno della visita, a Gniezno - prima sede vescovile del Paese - Giovanni Paolo II ricordò che la Chiesa ha cominciato il suo cammino missionario e la sua vita dal Cenacolo della Pentecoste. Il Papa salutò i pellegrini provenienti dalle diverse parti del blocco sovietico, menzionò i lituani, i cechi, gli slovacchi, i croati, gli sloveni, i moldavi, i russi, i bulgari, gli ucraini, i serbi lusaziani. Il trentesimo anniversario del primo pellegrinaggio di Giovanni Paolo ii in Polonia ha un significato non solo per la Chiesa polacca. La rinascita della Chiesa nei diversi Paesi dell'Europa dell'Est, i cambiamenti di mentalità e di situazione politica che hanno portato alla caduta del Muro di Berlino, il processo di allargamento dell'Unione Europea con tutte le sue difficoltà e debolezze - delle quali abbiamo avuto una chiara espressione in questi giorni nella scarsa partecipazione alle elezioni - segnano le tappe di un cammino che ha le sue radici in quel viaggio pastorale.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   L’autorità vera è ragionevole perché Dio è ragione creatrice: all’udienza generale il Papa parla del teologo irlandese Giovanni Scoto Eriugena.

    In prima pagina, il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, sulla riunione ministeriale del G8 – l’11 e il 12 giugno - dedicata allo sviluppo.

    Nell’informazione internazionale, un articolo di Gabriele Nicolò dal titolo “La lotta del Pakistan contro il terrorismo e la vendetta talebana”.

    In cultura, Robert Imbelli sul Corpus Domini.

    Quando i clandestini erano italiani: Gaetano Vallini recensisce “Il cammino della speranza” di Sandro Rinauro.

    Uno scritto su Gesù - uscito sulla rivista “Liberal” nel 2007 - del giornalista e scrittore Renzo Foa, scomparso ieri.
     Stralci della prefazione di Lorenzo Ornaghi, rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, al volume “Il Gemelli. Dal sogno di un francescano all'ospedale del futuro”.

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    Oggi in Primo Piano



    L'appello dei vescovi europei ai governi del continente: tutelare i più poveri dalla crisi. Intervista con il cardinale Péter Erdő e il prof. Antonio Baggio

    ◊   La crisi economica mondiale chiede realismo e fiducia. E’ la convinzione dei vescovi europei espressa nel comunicato diffuso oggi dal Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), a conclusione dell’incontro dei presuli responsabili per le questioni sociali, svoltosi a Zagabria, in Croazia. I presuli hanno invocato, tra l’altro, attenzione per i poveri e il mantenimento degli impegni presi a favore dei finanziamenti per lo sviluppo, disattesi da molti Stati. Tra i relatori intervenuti a Zagabria, c’era anche il cardinale arcivescovo di Esztergom-Budapest, Péter Erdő, presidente del Ccee. Al microfono di Marta Vertse, incaricata del programma ungherese della Radio Vaticana, il porporato ribadisce la visione dei vescovi europei sulla crisi economica mondiale:

    R. - Prima di tutto, si tratta di un problema globale, quindi anche la risposta dev’essere globale: non soltanto di un Paese, di una diocesi e neanche soltanto di alcuni Paesi ricchi. Ciascuna risposta deve tener conto dell’affetto dell’insieme dell’umanità. Questo è un punto importante alla nostra attenzione. Poi, come Ccee cerchiamo di sensibilizzare l’opinione pubblica, cerchiamo di rafforzare la collaborazione per la giustizia e la pace a livello delle Conferenze episcopali del nostro continente. Cerchiamo di introdurre questo tema anche nel nostro dialogo con le altre Chiese e comunità cristiane del continente, cerchiamo di progettare incontri regolari dei vescovi responsabili delle singole Conferenze per la giustizia e per la pace. Evidentemente, ciascuna Conferenza episcopale racconta poi le proprie esperienze: per esempio, in Italia c’è un fondo per le famiglie che, in conseguenza della crisi, hanno difficoltà a pagare gli interessi dei prestiti. Ma abbiamo raccontato anche le nostre esperienze in Ungheria, a livello parrocchiale: l’aiuto offerto da coloro che possono assumersi l'impegno di pagare stabilmente ogni mese una somma in favore dei bisognosi, e così via.

     
    D. - Eminenza, a Zagabria avete espresso il desiderio, non solo della Croazia ma di tutti i Paesi limitrofi, che il Paese faccia parte al più presto dell’Unione Europea…

     
    R. - Finora non è uscita nessuna dichiarazione concreta su quando e in che forma. Certamente, se c’è un Paese pronto a far parte di questa Unione, questo Paese è la Croazia. Pperché lì veramente uno si sente in Europa, nel vero senso della parola: la cultura, ma anche le circostanze della vita attuale sembrano analoghe a quelle di tutti gli altri Paesi dell’Unione.

     
    La preoccupazione dei vescovi europei sull’andamento della crisi economica si inserisce nel più ampio quadro disegnato dalle recenti elezioni per il rinnovo del parlamento europeo. All’impegno che i vescovi chiedono ai governanti dell’Europa comunitaria, fa da contraltare la disaffezione dei cittadini verso la politica, dimostrata dal forte astensionismo registrato alle urne. Luca Collodi ha chiesto un’opinione al prof. Antonio Maria Baggio, docente di etica politica all'Università Gregoriana:

    R. - Ci sono alcuni punti forti, mi sembra. Il primo riguarda l’astensionismo che si può probabilmente definire come un astensionismo provocato dalla conduzione normale, quotidiana, che viene fatta da parte delle classi politiche dei Paesi europei, che non danno importanza al tema europeo. Questo lo si vede perchè, nel momento in cui c’è stato il grande cambiamento alla guida degli Stati Uniti con il presidente Obama - che sta impostando argomenti di una profondità e di un’importanza enormi - l’Europa si è mostrata assente. Purtroppo, i grandi ideali della dichiarazione Schumann agli inizi dell'esperienza comunitaria europea sembrano essere stati smarriti. C’è stata una svalutazione dell’idea di Europa. Si è smarrita l’idea di una "patria europea", di un’Europa dei popoli.

     
    D. - Uno dei temi più criticati dell’azione europea è la burocrazia, che poi ha determinato molto probabilmente, tra le tante cose, anche la scelta di votare o non votare per l’Unione Europea...

     
    R. - Io sottolineerei l’aspetto positivo. Esiste un’originalità europea nella costruzione della realtà dell’Europa. Oltre agli ideali che abbiamo sottolineato, c’è anche da costruire il corpo dell’Europa che ha scelto di intrecciare gli interessi. Il fatto che esista un intreccio, che certamente deve essere regolato da norme, di per sé non è negativo: dà solidità allo stare insieme nostro come europei. Noi abbiamo cominciato come Comunità del carbone e dell’acciaio, però si sottolineò che lo scopo era politico, non era economico. L’economia era uno strumento. La macchina europea costringe i singoli Paesi a fare dei passi avanti che da soli non farebbero.

     
    D. - Perché il popolo europeo è così restio a riconoscere questi aspetti positivi? Tutta colpa di politici che non parlano sufficientemente o "usano" in modo propagandistico l’Europa o dei media che non parlano nelle singole nazioni dell’Europa?

     
    R. - E’ una questione di qualità della politica. Purtroppo dovremmo fare i conti con i problemi gravi che abbiamo. Il primo è il problema della formazione di un ceto politico che si comporti da ceto, cioè come una categoria difficilmente amovibile. Che interesse ha questo tipo di personale politico a suscitare i grandi temi? Invece è proprio ciò che ci vorrebbe, perchè la politica si alimenta, per esempio, di interesse dei giovani, i quali invece stentano ad entrare in politica e molti dei migliori, ad esempio in italia, sono costretti in questo momento ad andare fuori del Paese. Allora, se i politici non riescono a suscitare i grandi temi, non riescono ad aprire strade per i giovani, la nostra riflessione dovrebbe porsi il problema della qualità delle persone che noi mandiamo in parlamento o altrove.

     
    D. - Prof. Baggio, lei non pensa che questa difficoltà che trova l’Europa sia dovuta anche alla mancanza di un’anima che leghi i popoli europei?

     
    R. - Senz’altro. L’Europa potrebbe essere un popolo di popoli, che valorizza le diversità. E’ questo il vero senso del tentativo europeo. Però come facciamo a parlare di anima, quando i nostri standard di convivenza si abbassano sempre di più? Aristotele diceva che la politica è la più architettonica delle scienze pratiche, perché dà la struttura della casa della società. Allora, se questa struttura è storta, se chi governa non riesce a sviluppare un vero progetto, è questo che dà o meno il senso se esista un’anima. Perché se non ci viene detto per cosa impegnarci, per cosa lottare, vuol dire che non c’è idealità, non c’è profondità di prospettiva. Ci sono problemi di fondo che vanno risolti prima di chiederci se siamo di destra, di sinistra o di centro. Dobbiamo diventare più coscienti della nostra umanità come cittadini e riconquistare gli ideali. Ecco da dove viene l’anima di cui lei parlava.

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    La crisi che non frena il commercio di armi. Nel 2008, spesi 1.464 miliardi di dollari

    ◊   C’è un settore che continua ad essere fiorente nonostante la recessione economica. E’ il mercato delle armi, che nel 2008 ha fatto registrare la cifra record di 1464 miliardi di dollari. E’ quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istituto internazionale di ricerca per la pace (Sipri) di Stoccolma. Al primo posto nelle spese militari ci sono gli Stati Uniti, con 607 miliardi di dollari. Seguono Cina e Francia, con una spesa nel 2008, rispettivamente, di 85 e 65 miliardi di dollari. Perchè il mercato delle armi continua ad essere prospero anche in questo periodo segnato dalla recessione economica? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Maurizio Simoncelli dell’Archivio Disarmo:

    R. - Perché in questi anni si è portata avanti una politica internazionale che risentiva fortemente del clima creato dalla guerra al terrorismo. Contemporaneamente, abbiamo vissuto un’epoca in cui sembrava che i problemi potessero essere risolti con la forza militare. Purtroppo, questa politica ha dato i frutti che vediamo e, a mio avviso, assisteremo ancora per alcuni anni a quest’incremento delle spese militari.

     
    D. - Auspicando scenari privi di conflitti, nel contesto mondiale attuale uno Stato può realmente prescindere dagli armamenti?

     
    R. - Oggettivamente, a parte alcuni piccoli casi, non si può oggi pensare effettivamente di vedere Stati disarmati. All’interno di questo quadro, però, possiamo anche immaginare delle politiche finalizzate ad una cooperazione, che creino legami di rafforzamento nelle sedi internazionali che possano contribuire a raffreddare le aree di conflitto. I contingenti militari possono essere utili come forze di peacekeeping, ma non devono essere lo strumento per risolvere i problemi perchè una guerra genera inevitabilmente, prima o poi, altre tensioni, altri conflitti.

     
    D. - Inoltre, si deve anche risolvere il contrasto, sempre più stridente, tra gli interessi economici delle società produttrici di armi e l’impegno della comunità internazionale che cerca di risolvere questi conflitti…

     
    R. - Certamente. Ci sono grandi interessi, ma quello che va sottolineato, tra l’altro, è che questi grandi profitti delle aziende del settore militare non si traducono immediatamente - come era sempre stato detto - in un aumento occupazionale. I dati a livello internazionale ci fanno vedere in modo chiarissimo che ci troviamo di fronte ad un aumento netto dei fatturati di queste aziende, ma anche ad una contrazione continua e prolungata dell’occupazione. Addirittura, a livello europeo, si prevede che nei prossimi anni, a fronte di una crescita continua di queste spese militari, ci saranno addirittura 30 mila posti di lavoro in meno.

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    Presentata la 30.ma edizione del Meeting di Rimini dal titolo "La conoscenza è sempre un avvenimento". Si svolgerà dal 23 al 29 agosto

    ◊   “La conoscenza è sempre un avvenimento”: è questo il titolo del Meeting per l’Amicizia fra i popoli 2009 che, giunto alla sua 30.ma edizione, si terrà quest’anno dal 23 al 29 agosto nella consueta cornice riminese. Il Meeting nasce dall’intuizione che l’amicizia e l’unità fra gli uomini e i popoli è possibile e dalla passione di un grande educatore come don Giussani: lo ha sottolineato ieri alla presentazione a Roma la presidente, Emilia Guarnieri, parlando dei 30 anni di vita di questo evento. Tra i presenti anche il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, e il presidente della Compagnia delle opere, Bernhard Sholz. C’era per noi Debora Donnini:

     
    La conoscenza è sempre un avvenimento: un incontro, dunque, con i fatti che irrompono dall’esterno. E provocano la ricerca di un senso. Per questo sono necessarie persone che aiutino a trovarlo. E’ questo il "filo rosso” del Meeting di quest’anno: un discorso che, poi, verrà declinato nel reale con incontri sulla politica internazionale, sul Welfare, sulla scuola, un tema molto caro alla kermesse riminese. Ma anche con mostre, musica e testimonianze come quella di Ernst Seasy sulla possibilità per i bambini soldato della Sierra Leone di tornare a vivere da uomini, e quella di Harry Wu, cinese, che ha passato la sua giovinezza, 20 anni, in un lager e che testimonia come, anche nei momenti più difficili, la sicurezza che vi sia una risposta positiva all’esistenza dell’uomo dà la capacità di sopravvivere. Presente al Meeting di quest’anno sarà anche il cardinale arcivescovo di Madrid, Antonio Maria Rouco Varela, e il filosofo francese, Remi Brague. Il Meeting, dunque, si interroga su come l’uomo conosce la realtà. E la risposta è: confrontandosi con i fatti che irrompono. Tanti “dati” che devono poi essere assemblati per generare conoscenza. Un esempio lo offre il presidente della Compagnia delle opere, Bernhard Sholz:

     
    R. - Noi avevamo tutti i dati dell’economia mondiale e nessuno si è accorto che tutto questo ci portava verso un baratro, perché nessuno è stato in grado - tranne alcune eccezioni non ascoltate - di dare un significato all’andamento di questi dati. Allora, ciò vuol dire che occorre che accada qualcosa affinché la persona si accorga del significato delle cose che stanno succedendo. Come si trasmette l’idea di significato? Attraverso qualcuno che è permesso incontrare, un testimone, che dà alla persona la possibilità di scoprire dentro di sé il significato di quello che sta vivendo.

     
    D. - E il Meeting che cosa testimonia?

     
    R. - Il Meeting testimonia, per esempio, l’esperienza religiosa di San Paolo, attraverso la testimonianza di Carron. Testimonia come sia possibile educare attraverso le testimonianze degli imprenditori che prendono dei giovani disagiati dentro le loro aziende.

     
    In un clima di incertezza e di sfiducia verso il futuro come quello attuale, il Meeting mette al centro la dinamica attraverso cui l’uomo consoce il reale. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, aprirà quest’anno l’edizione con un incontro sull’Africa e i conflitti dimenticati. Il Meeting, evidenzia Frattini, è una delle pochissime occasioni in cui si può riflettere su grandi principi e valori che “poi noi traduciamo nelle azioni della politica” e fare questo, aggiunge, con una presenza straordinaria di giovani che partecipano direttamente, è un’occasione rara. Frattini spazia dall’Afghanistan al Pakistan fino all’Africa e si sofferma sul Medio Oriente rilevando che, secondo lui, ora vi sono due tasselli importanti per un nuovo inizio, perché la conoscenza non è solo un obiettivo ma anche un metodo:

     
    "Credo che ci sia un nuovo inizio in Medio Oriente che può partire dalla visita del Papa e dalla visita di Barack Obama".

     
    Uno degli esempi di come sia la realtà a provocare è la ricerca scientifica, sottolinea la presidente del Meeting, Emilia Guarnieri: le grandi scoperte scientifiche non sono l’esito di una programmazione, ma di un arrendersi all’evidenza di qualcosa che mette in crisi quello che si conosceva prima, come è avvenuto per Galileo, al quale quest’anno il Meeting dedica una mostra. Ma c’è un qualcosa fondamentale per la ricerca di senso, sentiamo la stessa Emilia Guarnieri:

     
    R. - L’incontro con Cristo mette in moto, ancora di più, la ricerca di una profondità di significato nella propria vita.

     
    Oltre ai fatti che provocano, oltre ai testimoni, per conoscere è però necessaria anche affettività, desiderio, passione per la realtà: ed è questo che il Meeting provoca a fare, perché come diceva il filosofo francese, Jean-luc Marion: “L’amore è parte centrale della razionalità”.

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    La riflessione sul fine vita e le malattie terminali al Campus biomedico di Roma. Le opinioni di Joaquin Navarro-Valls e Giuseppe Casale

    ◊   Difesa della vita fino al suo termine naturale e come affrontare l’esperienza della malattia anche in fase terminale. Questi i temi al centro dell’incontro “Il progetto formativo e l’etica di fine vita”, che si è svolto ldi recente al Campus biomedico di Roma. Tra i presenti, l'ex portavoce vaticano, Joaquin Navarro-Valls, presidente del Comitato di consiglio e indirizzo della struttura, e il dott. Giuseppe Casale, esperto di cure palliative. Al microfono di Alessio Orlandi, spiegano l’importanza del sostegno alla persona malata:

    R. - La persona che soffre e che eventualmente si trova di fronte alla morte va trattata, accompagnata, curata come una persona umana, non come un oggetto.

     
    D. - Spesso si parla di legge sul "fine vita", di testamento biologico: come si può evitare la deriva eutanasica?

     
    R. - Intanto, con un rigore metodologico e soprattutto un rigore semantico. Primo, parlare di "vita artificiale" non ha senso. Secondo, dobbiamo ragionare sempre sull’essere umano, non su una cosa. Terzo, sottrarre il dibattito pubblico ad un pregiudizio che molte volte è fuorviante, che molte volte è deliberatamente ambiguo, che è carico di ideologia.

     
    D. - Eppure, a volte si parla anche di vita artificiale, di sostentamento artificiale...

     
    R. - Personalmente, come ho detto, non accetto mai come definizione quella di vita artificiale, alimentazione artificiale e così via. Non lo ammetto, perchè se c’è vita non la considero mai artificiale. Possiamo trovarci in una situazione di vita terminale, però è sempre vita e quindi va rispettata, va aiutata fino alla sua fine naturale.

     
    D. - Dottor Casale, da anni con l’associazione Anthea si occupa di cure palliative. Quanto è importante la figura del medico nell’assistere un malato in fase terminale?

     
    R. - La figura del medico è fondamentale, ma solo se il medico è in grado di lavorare in squadra con le altre figure professionali, anche con i volontari, anche con l’assistente spirituale, anche con lo psicologo. Il confronto qual è? E’ quello di rispettare la dignità della persona, cercare di capire e comprendere che cosa questa persona si aspetta che si faccia per lui. Ascoltarlo: questa è la cosa più importante. La famosa immagine che abbiamo è quella del medico, che si deve sedere sul letto del paziente, tenere la mano del paziente, abbracciarlo, condividere con lui questi momenti di sofferenza. E’ questa la grande forza, la grande rivoluzione delle cure palliative, in cui il paziente ha una capacità decisionale per far sì che le cure siano le più adeguate per lui.

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    Chiesa e Società



    New York: conferito ieri il Premio “Path to Peace, Sentiero per la Pace 2009”

    ◊   Il premio “Path to Peace, Sentiero per la Pace 2009” è stato insignito ieri sera, a New York, alla memoria dell’arcivescovo caldeo di Mosul, Paulos Faraj Rahho. Il premio della fondazione Path to Peace, istituita in collaborazione con la Missione della Santa Sede presso l’Onu, riconosce ogni anno un individuo che si è distinto per il suo impegno nella diffusione della pace, e quest’anno la fondazione ha voluto focalizzare l’attenzione sui cristiani che, nonostante i rischi e le persecuzioni, sono rimasti in Iraq a testimoniare la loro fede. Fra questi, appunto, l’arcivescovo Rahho, che nel febbraio dello scorso anno fu rapito da uomini armati all’esterno della sua chiesa, a Mosul, mentre tornava a casa dopo un servizio di preghiera; è stato trovato morto due settimane dopo, insieme alle guardie del corpo. L’arcivescovo iracheno era nato a Mosul nel 1942 e lì aveva passato tutta la sua vita, fondando una chiesa ed un orfanotrofio per bambini disabili; alla sua morte era da sette anni alla guida del gregge dei 20 mila cattolici di Mosul, una delle più antiche comunità cristiane del mondo. Durante la cerimonia di premiazione, mons. Celestino Migliore - osservatore permanente della Santa Sede all’Onu - ha sottolineato che mons. Rahho e tanti altri cristiani iracheni hanno sofferto per portare una preziosa testimonianza di pace. Il premio, ha sottolineato Celestino Migliore, ricorda l’urgenza di promuovere la libertà religiosa. (Da New York, Elena Molinari)

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    Perù: la mediazione della Chiesa per risolvere la crisi in Amazzonia

    ◊   Non accenna a placarsi la grave crisi sociale e politica del Perú anche se, dopo i giorni di lutto e sangue, con decine di vittime tra manifestanti indigeni e poliziotti, sembrava che si potesse aprire uno spiraglio per una ripresa del dialogo e dei negoziati. Ora la situazione si complica poiché tende a diventare anche una crisi regionale. Da Lima non si risparmiano accuse, neanche tanto velate, contro i Presidenti Hugo Chávez del Venezuela ed Evo Morales della Bolivia, indiziati di “sobillare la protesta”. Intanto però all’interno del Paese il Presidente Alan Garcia, che sino ad oggi sembra irremovibile nel volere applicare a tutti i costi il Trattato di libero scambio con gli Stati Uniti nella zona amazzonica ove dovrebbe sorgere un’industria petrolifera, ha perso il Ministro incaricato della promozione delle donne, la signora Carmen Vildoso. Da parte sua la chiesa peruviana, molto impegnata dai primi giorni del mese a evitare il peggio, dopo diverse prese di posizioni a favore del dialogo tra le parti, ieri, con una nota del Presidente dell’episcopato mons. Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo, ha informato l’opinione pubblica sull’incontro avuto, assieme al cardinale Juan Cipriani, arcivescovo della capitale, con il Primo Ministro Yehude Simons. Alla riunione erano presenti anche i due vice-presidenti e il segretario generale della Conferenza episcopale. L’incontro, voluto dai vescovi, aveva come scopo quello di facilitare la ricerca di soluzioni negoziate senza far ricorso alla violenza sia da parte degli aborigeni, ormai al quinto giorno di mobilitazione, sia da parte delle forze dell’ordine. Il comunicato ribadisce che i presuli hanno insistito sul fatto che sia necessario trovare, per il bene comune, “la riconciliazione e il ristabilimento della pace sociale, impegno che deve mobilitare tutti”. Il Primo Ministro ha chiesto alla chiesa peruviana una sua partecipazione all’interno di un gruppo di lavoro dove si cercheranno le strade migliori per risolvere la controversia. “Noi, aggiunge il comunicato dei vescovi peruviani, abbiamo deciso di prendere parte a questo gruppo, tramite un membro della Conferenza episcopale”. La chiesa in Perú, ha spiegato mons. Cabrejos Vidarte ai giornalisti che lo attendevano dopo l’incontro, è sempre aperta a collaborare e a partecipare in tutto ciò che serve al bene comune. Ritengo che questa visita al Primo Ministro sia un passo importante per dare inizio a un dialogo che possa portare alla soluzione del conflitto”. Infine, il Presidente dell’episcopato ha rivolto un appello a tutti i sacerdoti e religiose affinché non si sottraggano mai al dovere di lavorare “per la pace e contro qualsiasi indizio o segno di violenza. Tutti, come peruviani, dobbiamo lavorare per la riconciliazione. Ci aspettiamo da tutti calma e serenità. Dobbiamo pensare al nostro Paese, il Perú. Non dobbiamo pensare ai gruppi o a determinate persone. Il Perú siamo tutti”, ha concluso l’arcivescovo di Trujillo. Nelle ultime ore la stampa locale ha confermato che il leader della principale organizzazione degli aborigeni (Associazione interetnica della giungla peruviana – Aidesep), Alberto Pizango, ricercato dalla giustizia dopo gli scontri di venerdì e sabato scorso, che hanno causato 35 morti, si è rifugiato nell'ambasciata del Nicaragua a Lima. Secondo alcuni organi di stampa locali, un sacerdote italiano, padre Mario Bartolini, 70 anni, passionista, che vive in Amazzonia da 31, sarà processato con l'accusa di istigazione alla rivolta, e rischia l'espulsione dal Paese. (A cura di Lui Badilla)

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    In Libano i vescovi auspicano la collaborazione tra gli schieramenti

    ◊   Una risposta alle attese dei libanesi che schiude l'orizzonte a un possibile clima di collaborazione tra le varie componenti etniche e religiose del Paese. Questo il senso dei primi commenti emersi nell'episcopato locale dopo il voto di domenica scorsa, che ha visto l'affermazione dell'alleanza filoccidentale "14 marzo", del leader sunnita Saad Hariri, su quella filosiriana, guidata da Hezbollah, che dunque resta all'opposizione. Un risultato, che secondo alcuni osservatori dovrebbe consentire la formazione di un Governo d'unità nazionale, ma senza quel diritto di veto di cui godevano i ministri dell'opposizione nella precedente legislatura. Per il cardinale Pierre Nasrallah Sfeir, patriarca di Antiochia dei Maroniti, "le elezioni hanno risposto alle attese dei libanesi". Secondo il porporato, infatti, "la coalizione che ha vinto è quella che ha fatto emergere in generale il punto di vista della maggioranza dei libanesi, nella quale i cristiani occupano una buona posizione. Resta da vedere come il Governo sarà formato". Il vescovo di Beirut dei Caldei, Michel Kassarji sottolinea la necessità di coinvolgere tutti gli schieramenti: "le elezioni - ha detto - pongono fine a un periodo di tensione nel Paese. La cosa importante è che non si siano verificati gravi incidenti come avvenuto in passato. Ora è il momento di lavorare tutti insieme per il Libano, cristiani e musulmani, per farlo crescere e prosperare". Per il presule caldeo, però, "lo sbaglio più grande che si potrebbe fare ora è pensare che i problemi siano finiti". Mentre "i cristiani, presenti nei due schieramenti, possono essere un ponte per unire tutte le componenti politiche e far sì che si possa puntare senza esitazioni al bene comune”. Analoga la preoccupazione dell'arcivescovo Paul Dahdah, vicario apostolico di Beirut dei Latini, il quale auspica che la maggioranza al potere si apra alla collaborazione con l'altro schieramento, per garantire al Libano un futuro senza divisioni interne. (A.D.G.)

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    Pakistan: si intensifica l’impegno dei cristiani in aiuto degli sfollati dello Swat

    ◊   I cristiani del Pakistan hanno messo in campo le loro risorse, l’esperienza e le capacità per venire incontro alla drammatica situazione degli sfollati della valle di Swat, nella Provincia della Frontiera di Nordovest. Oltre due milioni di persone sono fuggite dall’area, teatro di conflitto fra i militanti talebani e l’esercito regolare del Pakistan. Come apprende l’agenzia Fides dalla Chiesa locale, la Caritas Pakistan ha monitorato la situazione nei campi profughi che “sono sovraffollati, in condizioni igieniche precarie, mentre il caldo torrido di oltre 50° creerà ulteriori problemi”, ha detto Eric Dayal, coordinatore dell'organizzazione caritativa locale. La Caritas ha concentrato i suoi aiuti sugli oltre 150mila rifugiati nell’area di Mardan, allestendo tendopoli, assicurando cibo, acqua a assistenza medica. Inoltre, grazie al contributo delle Caritas di Stati Uniti, Svizzera e Irlanda, sono state raggiunte con aiuti anche comunità e villaggi a Peshawar, Swabi, Abbotabad, Manshera, concentrandosi sui bisogni di donne e bambini, i più vulnerabili all’emergenza. Attualmente i campi profughi allestiti dalle autorità, in collaborazione con le Ong, sono 27 in sei differenti distretti vicini alla valle di Swat. I volontari cristiani portano assistenza alla popolazione che è in maggioranza musulmana, senza alcuna preferenza o discriminazione. Fra i profughi vi sono anche parte dei 100mila cristiani presenti nella Provincia della Frontiera di Nordovest. Le organizzazioni cattoliche stanno anche provvedendo a organizzare un servizio di istruzione per bambini e ragazzi, dato che l’emergenza e la permanenza nei campi profughi, potrebbero protrarsi per alcuni mesi. La Commissione nazionale “Giustizia e Pace” dei vescovi pakistani, inoltre, cerca di assistere anche i profughi cristiani che hanno trovato rifugio nelle città di Islamabad e Rawalpindi, mettendo a loro disposizione case di accoglienza. “I profughi cristiani sono preoccupati e impauriti per l’avanzata dei talebani”, raccontano a Fides i volontari. I rappresentanti delle Chiese cristiane in Pakistan hanno di recente diffuso e portato all’attenzione delle autorità civili un Rapporto sulla violenza ai danni delle minoranze religiose nel mondo, pubblicato dall’associazione “Minority Rights Group International”. Secondo il Rapporto, il Pakistan è fra i paesi dove tale violenza è forte ed estesa, con Somalia, Sudan, Afganistan, Iraq, Myanmar, Congo. Attacchi e minacce – legati a diverse situazione, come la legge sulla blasfemia e l’avanzata del talebani – si sono moltiplicati nell’ultimo anno, mettendo a rischio la dignità e i diritti dei cittadini pakistani non musulmani. (R.P.)

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    Appello dei vescovi indonesiani: votate un presidente garante del pluralismo

    ◊   In vista delle presidenziali dell’8 luglio, i vescovi indonesiani invitano i fedeli a “votare secondo coscienza scegliendo il miglior candidato possibile” e smentiscono false notizie, circolate nei media del Paese, secondo cui essi sarebbero favorevoli “all’astensionismo”. Al contrario, i prelati auspicano che la tornata elettorale rafforzi i valori del “pluralismo e dell’unità nazionale” e confermi la supremazia della “legge dello Stato” rispetto ai tentativi di introdurre norme basate sulla Shariah, la legge islamica.  L’introduzione, a livello locale, di leggi basate sulla Shariah porta infatti a divisioni confessionali e persecuzioni verso le minoranze. I vescovi denunciano, come riferisce Asianews, il pericolo di un uso politico dei simboli religiosi per conquistare maggiori consensi. La polemica è divampata all’inizio della scorsa settimana: i giornali indonesiani hanno diffuso la notizia secondo cui la Commissione episcopale per il laicato ha “esortato i cattolici indonesiani all’astensionismo”. Padre Eddy Purwanto, segretario della Commissione, chiarisce che i vescovi invitano i fedeli a “usare la loro testa e il loro cuore per eleggere il miglior candidato presidenziale”. E la scelta del non-voto va fatta “in base alla coscienza morale” di ciascun individuo. Per la corsa alla carica di presidente sono in lizza tre candidati: l’attuale capo di Stato Susilo Bambang Yudhoyono del Democrat Party, che ha scelto come vice il governatore della Banca centrale indonesiana Boediono. Jusuf Kalla è il candidato del Golkar, il cui vice in caso di vittoria sarà l’ex generale Wiranto. Un altro generale di corpo d’armata, Prabowo Subianto, corre anch’egli per la vice-presidenza con l’Indonesian Democratic Party–Struggle, il cui leader è l’ex Capo di Stato Megawati Setiawati Soekarnoputri, già presidente dal 2001 al 2004.  La Conferenza episcopale indonesiana (Kwi) chiede di “scegliere il meglio per il bene del Paese”. Mons. Martin Situmorang, presidente dei vescovi, spiega che una delle priorità è “mantenere lo spirito di pluralismo e unità nazionale” all’insegna dei valori sanciti dai padri fondatori dell’Indonesia che invitano “all’unità nella diversità”. (A.D.G.)

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    RD del Congo: preoccupazione dei vescovi del Kivu per le continue violenze

    ◊   Di fronte alle continue vessazioni subite dalla popolazione civile ad opera dei guerriglieri ugandesi e rwandesi, i vescovi del Kivu, nell’est della Repubblica Democratica del Congo, hanno lanciato un appello al governo di Kinshasa e alla comunità internazionale perché rafforzino l’esercito regolare, come solo garante della sicurezza. I vescovi - riferisce l'agenzia Fides - hanno criticato inoltre il modo con il quale si sono svolte le operazioni militari congiunte contro i ribelli ugandesi dell’Esercito di Resistenza (LRA) e quelli rwandesi delle Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda (FDLR). I primi, che agiscono nella Provincia orientale, sono stati oggetto di un’operazione congiunta delle forze armate congolesi, ugandesi e sud-sudanesi, i secondi, attivi nel nord e sud Kivu, sono stati investiti da un’azione militare rwandese- congolese. Queste due operazioni non hanno però sconfitto i due movimenti di guerriglia che, anzi, hanno intensificato le azioni di rappresaglia contro la popolazione civile congolese. I vescovi criticano inoltre il fatto che le unità militari che operano nell’est del Congo sono formate essenzialmente da appartenenti a gruppi di ribelli che hanno aderito agli accordi di pace, sui quali però permangono dubbi sulla loro effettiva adesione all’idea di un Congo unitario. In effetti, secondo la stampa congolese, questi stessi gruppi armati (che si contrappongono alle FDLR) non solo non si sono sciolti ma continuerebbero a reclutare dei giovani nelle loro fila. Occorre quindi intensificare gli sforzi da parte del governo di Kinshasa, con l’aiuto della comunità internazionale, per rafforzare l’esercito nazionale, dotandolo dei mezzi per proteggere la popolazione locale dai diversi gruppi armati che agiscono nella parte orientale del Paese. La pace però sembra ancora lontana e il Congo continua a subire gli effetti di guerre straniere trasferite sul suo territorio. (R.P.)

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    Irlanda: anche l'arcidiocesi di Dublino alla marcia per le vittime degli abusi

    ◊   In un comunicato diffuso questa mattina dall’arcidiocesi di Dublino, l’arcivescovo Diarmuid Martin fa sapere che alla marcia di solidarietà per le vittime degli abusi indetta oggi a Dublino dalla organizzazione “Survivors of Istitutionale Abuse Ireland (Soiai) partecipano anche rappresentanti dell’arcidiocesi. L’arcivescovo - precisa nella nota ripresa dall'agenzia Sir - di essere personalmente impegnato nel Consiglio permanente dei vescovi irlandesi che si conclude oggi a Maynooth e dove l’episcopato irlandese – sottolinea il vescovo - ha preso in esame il Rapporto Ryan. A rappresentare l’arcidiocesi alla marcia di oggi sono mons. Paul Callon, segretario personale dell’arcivescovo, e Phil Garland, direttore diocesano di “Child Protection”. La marcia “silenziosa” è partita a mezzogiorno da Parnell Square. Ai partecipanti è stato chiesto di indossare un nastro bianco che verrà poi legato ai cancelli della “Dáil” irlandese (casa del Parlamento) dove si concluderà la manifestazione e dove verranno anche depositate scarpe di bambino. Sul posto, i partecipanti potranno firmare una petizione che sarà consegnata ai rappresentanti delle 18 congregazioni religiose implicate. Oggi pomeriggio, i vescovi irlandesi terranno una conferenza stampa al St Patrick’s College Maynooth, Co Kildare. (R.P.)

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    Fao: a San Pietroburgo un forum sulla sicurezza alimentare

    ◊   “Dobbiamo costruire un sistema di “governance” più coerente ed efficace per la sicurezza alimentare mondiale; dobbiamo correggere le politiche ed un sistema di scambi internazionali che si sono tradotti in più fame e povertà”, è quello che ha detto Jacques Diouf, direttore Generale della FAO in apertura dei lavori del Forum mondiale dei cereali tenutosi a San Pietroburgo (nel nord della Russia), il 6 ed il 7 giugno scorso, dove sono intervenuti ministri e funzionari provenienti da più di 50 Paesi. Diouf ha sottolineato “che è importante oggi comprendere che il tempo per discutere è passato”, in quanto “ora è il momento di agire”. “La crisi alimentare – ha continuato - ci ha insegnato che per sconfiggere la fame, dobbiamo affrontare le sue cause profonde e non continuare a ripetere le conseguenze di errori commessi nel passato”. “L'aumento dei prezzi dei prodotti alimentari è iniziato nel 2006, è accelerato nel 2007, e si è avuto un picco entro il giugno 2008. Ciò significa che in soli due anni, i prezzi internazionali delle materie prime alimentari di base è aumentato di circa il 60%, mentre quelli per i grani raddoppiato”, ha proseguito il direttore della Fao. Diouf ha anche chiarito che “si deve rilevare che i prezzi medi dei prodotti alimentari sono ancora il 17% in più rispetto al 2006 e il 24% in più rispetto al 2005. Inoltre, la "stock-to-use" per il rapporto di cereali nel 2007/08, al 20,2%, era al suo livello più basso in 30 anni”. Secondo i dati della Fao, gli elevati “prezzi dei prodotti alimentari ha causato l’aumento del numero di persone che soffrono la fame nel mondo, raggiungendo i 115 milioni di persone affamate”. I risultati preliminari del lavoro condotto dalla FAO indicano inoltre che la crisi finanziaria ed economica in atto potrebbe “trascinare circa 100 milioni di persone in più in una fame cronica", ha proseguito Diouf, rilevando che un miliardo di persone, il 15% della popolazione mondiale, oggi non ha abbastanza cibo per mangiare. I Paesi che vivono attanagliati nella morsa di questa emergenza alimentare sono stati solo nell’ultimo mese, 35. Ben 20 di questi sono solo in Africa, poi in Asia, Medio Oriente, America centrale e nei Caraibi. “Questo non può essere accettabile. Come possiamo spiegare alle persone di buon senso e buona fede, questa drammatica situazione in un contesto di abbondanza di risorse internazionali, quando trilioni di dollari USA sono stati spesi per stimolare l'economia mondiale?” ha fatto notare Jacques Diouf. Il Direttore Generale della FAO ha infine invocato una maggiore quota di aiuti da destinare allo sviluppo nel settore agricolo in modo tale che i Paesi in via di sviluppo possano aumentare la loro produzione agricola da investire in infrastrutture rurali e garantire così l'accesso a mezzi produttivi moderni ed adeguate strutture di assistenza per i piccoli agricoltori. (A.V.)

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    L’arcivescovo del Patriarcato di Mosca, Hilarion, interviene sull’unità panortodossa

    ◊   “E’necessario consolidare l'autoconsapevolezza teologica, scambiare esperienze nell'ambito catechistico ed educativo, formare l'assistenza pastorale e assicurare la partecipazione ecclesiale nell'ambito del lavoro sociale”, si è espresso così, l’arcivescovo di Volokolamsk e presidente del dipartimento per le relazioni esterne del Patriarcato di Mosca Hilarion Alfeyev, che aggiunge: “il compito più importante del dialogo pan ortodosso” resta “la promozione dell'unità della Chiesa preservando la sua santa tradizione”. Nell’intervista al presule, concessa all’agenzia Interfax e ripresa dall’Osservatore Romano, Hilarion affronta gli argomenti nell’agenda della IV Consultazione preconciliare panortodossa, che ha avuto inizio il 6 giugno e che andrà avanti fino al 13 giugno prossimo, presso il Centro ortodosso del Patriarcato ecumenico di Chambésy, in Svizzera. L'incontro, dedicato al tema della diaspora, segue quelli del 1976, del 1982 e del 1986, svoltisi anch'essi a Chambésy. L'unità dell'ortodossia è fondamentale per “elaborare una risposta comune alle sfide che il mondo in rapido cambiamento ci propone” continua l’arcivescovo di Volokolamsk. Tra le forme che esprimono una vera cooperazione panortodossa, Hilarion pone i preparativi per il Grande concilio della Chiesa ortodossa orientale, che “deve tener conto di alcune pressanti questioni che richiedono una decisione panortodossa”. Per sanare le divisioni — sottolinea la guida della Chiesa ortodossa russa — le scelte sono obbligate e passano attraverso il dialogo, la discussione congiunta sui problemi emergenti, la comunione liturgica e la collaborazione in altre attività ecclesiali, la conoscenza delle usanze di ogni tradizione nazionale, il libero scambio di opinioni e le decisioni prese insieme “nello spirito di Cristo, del Vangelo e della tradizione della Chiesa”. La vita e l'ordine di una comunità ortodossa che esiste al di fuori della propria Chiesa ortodossa locale — spiega Hilarion — “sono spesso un riflesso diretto dell'immagine della vita ecclesiale così come si è sviluppata storicamente in seno a tale Chiesa particolare. Assieme alle parrocchie delle varie tradizioni etniche - greca, russa, romena, serba - nella diaspora vi sono parrocchie multinazionali che cercano di andare incontro ai bisogni dei loro fedeli”. Della diaspora ortodossa l’arcivescovo dice: “ha molti volti, così come è vario lo stesso mondo ortodosso”, e “il graduale consolidamento delle diaspore potrà portare in futuro all'emergere di nuove Chiese ortodosse locali”. (A.V.)

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    Ecuador: piano andino-ispanico per le migrazioni

    ◊   La Chiesa cattolica accompagna i fratelli immigrati "e desidera mettersi al loro servizio in modo sempre migliore nelle distinte fasi del processo migratorio", riconoscendo "l'emigrazione come un diritto" e preservando "la dignità umana dell'emigrante in ogni circostanza". Tuttavia, nonostante gli sforzi realizzati, "l'integrazione ecclesiale risulta ancora in molti casi debole e inefficace". È questo uno dei passi salienti del documento finale pubblicato al termine del quarto incontro del piano andino ispanico per le migrazioni, svoltosi a Quito (Ecuador) sul tema "Attenzione pastorale agli immigrati Andini e Latinoamericani". All'incontro hanno partecipato trentacinque persone, in rappresentanza delle Conferenze episcopali e delle Caritas della Colombia, del Perú, del Venezuela, dell'Ecuador, degli Stati Uniti, della Spagna e dell'Italia. L'evento si inserisce in un processo di lavoro d'insieme iniziatosi da più di quattro anni, allo scopo di offrire una risposta concreta e di maggiore sensibilizzazione per la popolazione coinvolta nei processi migratori. In America Latina e nei Caraibi - si legge nel documento - l'immigrazione, segno dei tempi, risultato di cause economiche, politiche e di violenza, costituisce a volte un fenomeno drammatico che colpisce milioni di persone: emigranti, senza dimora e rifugiati". I firmatari del documento ricordano inoltre l'importanza di un'attenzione particolare alla dimensione religiosa della vita dell'emigrante, come la necessità che "le Chiese di origine fortifichino il loro impegno di accompagnare pastoralmente gli immigranti nel discernimento delle loro decisioni, nell'inserimento nei Paesi di destinazione e nel possibile ritorno, prestando speciale attenzione alle situazioni di disgregazione familiare". Considerano quindi molto importante che si intensifichi quel dialogo tra Conferenze episcopali ed istituzioni ecclesiali dei Paesi andini con quelle degli USA e dell'Europa, definendo nuove formule di collaborazione pastorale e promuovendo la responsabilità di operatori pastorali adeguatamente formati per servire la popolazione immigrata. (A.D.G.)

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    India: arcivescovo dalit chiede pari dignità tra cristiani e indù

    ◊   “Sono il primo arcivescovo dalit dell’India e ho il dovere di assicurare che la larga parte di cristiani che si trovano nella condizione di dalit possano godere i privilegi dei fuori casta delle altre religioni”. Mons. Marampudi Joji, arcivescovo cattolico di Hyderabad e vice-presidente esecutivo della Federazione della Chiese dell’Andhra Pradesh (Apfc), spiega le ragioni del suo impegno, e di quello di tutti i cristiani dello Stato indiano, a difesa dei diritti dei cosiddetti intoccabili. Lo scorso 6 giugno, mons. Joji ha guidato una delegazione di 40 membri della Apfc che ha incontrato Yeduguri SandintiRajasekhara Reddy, governatore dello Stato che da poco ha iniziato il suo secondo mandato di governo. L’Apfcha ha chiesto a Rajasekhara Reddy d’impegnarsi per la difesa della libertà di religione e di conversione, affinché i dalit cristiani ottengano gli stessi diritti di quelli accordati ai fuori casta indù, buddisti e sikh. Il governatore ha risposto assicurando la sua intenzione di discutere il tema con l’autorità centrale di New Delhi ed in particolare con il ministro della Giustizia e con quello della Giustizia sociale e lo sviluppo. Rajasekhara Reddy ha inoltre dato la sua disponibilità a guidare una delegazione dei leader della Chiese a New Delhi che dovrebbe incontrare il premier Singh, il 19 o il 20 giugno. Un decreto presidenziale del 1950, riferisce l’agenzia Asianews, stabilisce che ai cosiddetti fuori casta siano riservate quote nell'istruzione e nella pubblica amministrazione. Tali prerogative non sono previste per i dalit cristiani e i musulmani e vengono tolte a coloro i quali si convertono al cristianesimo o all'islam. Mons. Joji attribuisce questa situazione “ad una sbrigativa interpretazione del decreto presidenziale” che di fatto “viola nella lettera e nello spirito alcuni articoli della Costituzione come il 15 ed il 25”. L’impegno dell’Apfc per i cosiddetti intoccabili rappresenta una sfida culturale oltre che civile per la Chiesa indiana. Racconta l’arcivescovo di Hyderabad: “Quando la Santa Sede ha annunciato che io, che sono dalit, sarei diventato arcivescovo, la società ha reagito polemicamente. Solo la Chiesa ci tratta come un'unica famiglia senza nessuna discriminazione. Invece, nella società indiana, il problema dei dalit ha un peso socio-economico e la Corte suprema ha stabilito in modo categorico che la conversione al cristianesimo - ha detto - non fa cadere la distinzione di casta”. (A.D.G.)

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    Filippine: educare ai valori e coltivare relazioni per prevenire i suicidi

    ◊   Il rettore della Xavier University di Cagayan, nel sud delle Filippine, ha esortato gli studenti a partecipare ai programmi di formazione ai valori dell'ateneo e a coltivare i rapporti umani. Queste, le misure accolte dall'università, diretta dalla Compagnia di Gesù, dopo i primi due casi di suicidio di giovani studenti, avvenuti ad aprile e maggio. Il rettore, padre Jose Ramon Villarin, ha anche invitato i familiari a partecipare ai programmi per “sviluppare valori positivi” che possano servire da modello per i figli. In alcuni poster appesi in tutto il campus, riferisce l’agenzia Ucanews, il governo centrale studentesco (CSG) dell'università ha indicato che le due morti sono “un richiamo all'attenzione per tutti noi”. L'organismo studentesco ha chiesto ad amministratori, formatori, docenti e tutor dell'ateneo di rafforzare i loro programmi di consulenza. “Chiediamo ai nostri formatori, tutor e professori di essere più attenti nell'osservare gli studenti” quando mostrano di trovarsi in difficoltà e di aiutarli ad affrontare la situazione con “la massima cura personale e guida professionale”, si legge nel comunicato del governo centrale studentesco. Rispondendo all'appello del CSG, padre Villarin ha annunciato che l'università proporrà misure per prevenire i suicidi nel corso 2009-2010, iniziato questo lunedì e introdurrà anche un “Programma di Speranza e Resistenza” di due semestri nel primo corso. I genitori e le associazioni organizzeranno un programma di formazione ai valori. L'équipe di pastorale dell'università offrirà inoltre una linea 24 ore su 24 per studenti che hanno bisogno di consigli o assistenza urgente. Da parte sua, l'arcivescovo di Cagayan de Oro, mons. Antonio Ledesma, ex decano della Scuola di Agricoltura della Xavier University, ha espresso la propria preoccupazione per alcuni rapporti su web che insegnano come suicidarsi senza provare dolore. (A.D.G.)

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    Cambogia: al via un progetto di irrigazione voluto dai Gesuiti

    ◊   Un grande progetto di irrigazione è in fase di realizzazione nella prefettura apostolica di Battambang, in Cambogia, retta dal padre gesuita Enrique Figaredo. Grazie ad esso, informa una nota, “i villaggi avranno acqua da bere e per irrigare i campi durante tutto l'anno. Ciò permetterà di migliorare anche la produzione agricola”. Il progetto, che è stato chiamato "Una goccia di speranza" ed è coordinato da Pablo Figaredo, fratello del prefetto apostolico, prevede l'allargamento del fiume Sangke e l'istallazione di quattro dighe lungo quattro km di percorso del fiume. Circa mille ettari di terreno potranno essere irrigati anche durante la stagione secca e questo eviterà alla gente di lasciare i propri villaggi per andare a cercare lavoro in Thailandia o altrove. I lavori sono cominciati in accordo con le autorità locali. “Il progetto cambierà la vita della gente – afferma Seum Soeu, abitante di uno dei villaggi della zona - Per molti anni, durante la stagione secca abbiamo avuto difficoltà a trovare acqua una volta che il fiume si prosciugava, perché non vi sono molti pozzi nei villaggi. Ringraziamo perciò la Chiesa  per questa significativa e importante opera". Il termine dei lavori è previsto per il 2011, mentre i finanziamenti sono assicurati da benefattori spagnoli della città di Gijon. (I.P.)

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    Cina: congresso a Tai Yuan a conclusione dell'Anno Paolino

    ◊   Continuare il cammino dell’Anno Paolino, testimoniare con coraggio il Vangelo, tenere sempre alta la fiaccolata dell’evangelizzazione: questi sono i motivi principali del congresso della Condivisione dell’Evangelizzazione, tenutosi quasi alla chiusura dell’Anno Paolino, il 6 giugno scorso, organizzato dalla cattedrale della diocesi di Tai Yuan. Secondo le informazioni dell’agenzia Fides, oltre 1.000 fedeli delle diverse parrocchie guidati dai loro parroci hanno partecipato al congresso insieme ai seminaristi del seminario provinciale dello Shan Xi e ad una trentina di sacerdoti e religiose. I partecipanti hanno condiviso il loro cammino di evangelizzazione svolto nell’Anno Paolino. Secondo il vicario diocesano e parroco della cattedrale, don Meng Ning You, “questa condivisione ci aiuta a far penetrare lo spirito missionario paolino nella nostra anima e nella nostra mente e a tenere sempre presente l’importanza dell’evangelizzazione per la Chiesa”. Inoltre “l’evangelizzazione deve diventare la parola chiave della nostra vita quotidiana. Anzitutto evangelizziamo noi stessi, per diventare luce del mondo e sale della terra. Poì andiamo ad illuminare gli altri”. Don Zhang Jun Hai, parroco della parrocchia di Liu He, ha detto: “la nostra fede ha bisogno di una ricarica per migliorare in continuazione. Così diventiamo veri cristiani che sanno donarsi, sacrificarsi per amore, come faceva San Paolo. Questa ricarica di oggi ci stimola a non sostare mai nel cammino missionario, neanche dopo la chiusura dell’Anno Paolino”. (R.P.)

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    I vescovi delle diocesi dell’antico Tirolo riflettono sul tema della libertà

    ◊   “Dobbiamo fare in modo che anche persone di lingua e cultura differenti possano sentirsi «a casa» in questa nostra terra e dobbiamo pure essere grati che essi desiderino impegnarsi per la nostra terra”. Lo scrivono i vescovi dell’antico Tirolo mons. Alois Kothgasser (Salisburgo), mons. Luigi Bressan (Trento), mons. Manfred Scheuer (Innsbruck) e mons. Karl Golser (Bolzano-Bressanone) nella lettera pastorale “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,37)”. Il documento è stato scritto in occasione del bicentenario delle lotte antibavaresi guidate da Andreas Hofer, e alla vigilia della festa del Sacro Cuore, a cui il Tirolo è legato da un antico voto. Nella lettera pastorale, presentata ieri a Bolzano – in videoconferenza con Innsbruck e Salisburgo – i vescovi riflettono sul significato di libertà. “Possiamo interpretare gli eventi del 1809 nel segno della libertà – scrivono – come tentativo di conquistare la libertà politica dalla Baviera, che era alleata con i francesi, e anche come protesta contro la repressione illuministica delle più amate tradizioni religiose. “La vera libertà non consiste nel tenere aperte sempre tutte le possibilità, ma essa deve essere pronta a «riempirsi» di opere significative e deve saper assumersi degli impegni”. Lo sottolineano i vescovi Kothgasser, Bressan, Scheuer e Golser nella lettera pastorale scritta insieme alla vigilia della festa del Sacro Cuore, in cui partendo dalle vicende del passato, riflettono sulla realtà presente. Parlando della libertà religiosa, i vescovi dell’antico Tirolo sottolineano l’importanza del dialogo, basato sulla conoscenza delle proprie radici. I quattro vescovi ricordano infine che “libertà di religione significa anche consentire alla Chiesa di impegnarsi, a servizio del bene comune, per i diritti di tutte le persone, compresi i bambini non nati, i diversamente abili, i malati e coloro che hanno bisogno di assistenza”. (A.D.G.)

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    Inghilterra-Galles: lanciata ieri la nuova "Missio" delle Pom

    ◊   Lanciata ieri con una celebrazione eucaristica la nuova denominazione “Missio in England and Wales” delle Pontificie Opere Missionarie in Inghilterra e Galles. L’eucaristia è stata presieduta dal nunzio apostolico in Gran Bretagna, l'arcivescovo Faustino Sainz Muñoz. Il nuovo nome – Missio – simboleggia l’unità nella fede e nella missione che connota il sostegno prestato ad ognuna delle 1.069 missioni diocesane nel mondo attraverso una capillare raccolta di fondi e un’attenzione specifica alle esigenze di ogni comunità diocesana. L’azione missionaria dei cattolici inglesi e gallesi sostiene oltre 194mila scuole, 5.200 ospedali, 17mila dispensari, 577 lebbrosari e 80mila progetti sociali e pastorali nel mondo intero. I fondi raccolti nelle diocesi sono inviati direttamente ai vescovi locali nei territori di missione. Nonostante il cambiamento di denominazione, la missione conserva inalterata la propria identità. Da oltre 70 anni lo slogan “Essere cristiani è essere missionari” è un motto familiare ai cattolici di Inghilterra e Galles, fedeli alla tradizione di raccogliere le offerte casa per casa nelle caratteristiche “Scatole Rosse”. (M.V.)

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    Padre Agostino Gemelli: domani il 50.mo anniversario della sua morte

    ◊   “Formare non semplici medici, ma medici cristiani”. Questa la missione di padre Agostino Gemelli, medico francescano, fondatore, nel 1964, dell’omonimo policlinico dell’Università cattolica del sacro Cuore. In occasione dell’anniversario dei 50 anni dalla sua scomparsa, che ricorre domani, l’Università Cattolica lo ricorda con un convegno internazionale in cui sarà anche presentato il volume “Il Gemelli. Dal sogno di un Francescano all’ospedale del futuro”. Contemporaneamente, - riferisce il quotidiano Avvenire - nella hall del Policlinico sarà inaugurata la mostra “Padre Gemelli 1878-1959. L’Università Cattolica: una grande missione da compiere”. “Sfidare il futuro guardando al passato” è il titolo del convegno internazionale che si svolgerà domani mattina, presso la Sala Italia del Centro Congressi Europa dell’Università Cattolica di Roma. Aprirà i lavori del convegno, il rettore dell’Università Cattolica Lorenzo Ornaghi. Seguirà il saluto del Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Cattolica Paolo Magistrelli e del direttore della sede di Roma della Cattolica Giancarlo Furnari. Seguiranno gli interventi del cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i vescovi, e di Gianni Letta, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La tavola rotonda “Sfidare il futuro, guardando il passato”, sarà moderata dal prof. Franco Fontana, Direttore della Luiss Business School, e dal prof. Cesare Catananti, Direttore del Policlinico Gemelli. In occasione del convegno sarà presentato il volume “Il Gemelli. Dal sogno di un Francescano all’ospedale del futuro”, edito da Vita e Pensiero. Si tratta di un libro-intervista, a cura della giornalista Cristina Stillitano, ad Antonio Cicchetti, direttore amministrativo dell’Università Cattolica, dal 1990 al 2007 direttore della Sede di Roma dell’Ateneo e del Policlinico Gemelli, testimone e protagonista della storia del Policlinico dedicato al fondatore dell’università. In contemporanea con il convegno sarà inaugurata la mostra multimediale ad accesso libero, dal titolo “Padre Gemelli 1878-1959. L’Università Cattolica: una grande missione da compiere” a cura di Paolo Biscottini e Paolo Dalla Sega allestita presso la hall del Policlinico Gemelli. (A.D.G.)

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    Mons. Crociata al Consiglio della Caritas: "Promuovere l''unità della carità"

    ◊   È essenziale “l’unità della carità che tiene insieme cuore e opere, persone e organizzazione”. Lo ha ribadito oggi mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, intervenendo all’incontro della presidenza e del Consiglio nazionale di Caritas italiana, riuniti a Roma per una valutazione del lavoro svolto e per gettare le basi per il nuovo anno pastorale. Erano presenti i tre vescovi di presidenza: mons. Giuseppe Merisi, vescovo di Lodi e presidente di Caritas italiana, mons. Mario Paciello, vescovo di Altamura-Gravina- Acquaviva delle Fonti, mons.Riccardo Fontana, arcivescovo di Spoleto-Norcia. Mons. Crociata - si legge in una nota di Caritas italiana - ha invitato a non trascurare mai il senso personale e “agapico” della pastorale, che “non può ridursi a mera organizzazione di attività, ma deve sempre avere un cuore”. “Questa testimonianza della carità di tutte le chiese, coordinate pastoralmente nella Conferenza episcopale, va coniugata – ha aggiunto il vescovo - con il compito dell’educazione che sarà al centro dell’impegno della Chiesa nei prossimi anni”. Mons. Merisi ha ribadito “la centralità delle relazioni costanti tra Caritas diocesana e vescovo, tra delegazione regionale Caritas e vescovo incaricato per il servizio della carità, tra Caritas italiana e Cei. Tutto questo in una prospettiva di unità, di lavoro in rete”. In Consiglio è proseguito poi il confronto su altri temi centrali dell’azione delle Caritas: l’impegno accanto alle persone e alle comunità abruzzesi colpite dal terremoto, il moltiplicarsi di iniziative – finora sono 117 quelle monitorate - a livello locale in favore delle famiglie per far fronte alla crisi economico-finanziaria, e a livello nazionale con l’attivazione del “Prestito della speranza” della Cei. Non sono mancati approfondimenti sui temi dell’immigrazione, della pace, del servizio civile, del volontariato. Per un ulteriore confronto su queste e altre tematiche ci si è dati appuntamento al 33° Convegno delle Caritas diocesane, dal titolo: “Non conformatevi a questo mondo” (Rm 12,2). Il convegno si svolgerà a Torino, al Lingotto, dal 22 al 25 giugno e vedrà i rappresentanti delle 220 Caritas diocesane confrontarsi sul tema dell’animazione attraverso il discernimento. (R.P.)

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    "Nel Nome del Cuore 2009": il Sacro Convento di Assisi per i bambini dell’Africa

    ◊   Spettacolo, informazione, spiritualità e sensibilizzazione si incontreranno ad Assisi venerdì prossimo, nell’ambito della Festa estiva di San Francesco, l’edizione 2009 di “Nel Nome del Cuore”, un’iniziativa dedicata alla raccolta fondi per la realizzazione di due progetti per l’assistenza all’infanzia in Kenya e Zimbabwe. L’evento sarà trasmesso in diretta su Rai Uno alle ore 21. Renato Zero, Raf, Tiziano Ferro sono alcuni degli artisti che animeranno la serata che si svolgerà nella Piazza Inferiore della Basilica di San Francesco. A condurre sarà Carlo Conti. I due progetti prevedono nello specifico la realizzazione di un centro per la tutela e l’assistenza delle giovani madri e dei loro bambini a Limuru (Kenya) e il potenziamento delle risorse sanitarie e di quelle dedicate alla distribuzione del cibo nelle località più svantaggiate dello Zimbabwe. Fino al 16 giugno sarà possibile effettuare le donazioni: chiamando il numero 48584 (costo della chiamata da rete fissa: 2 euro) oppure inviando un sms allo stesso numero (costo del messaggio da rete mobile e fissa: 1 euro). «La serata del 12 giugno vuole essere una festa estiva in onore di San Francesco. La manifestazione si preannuncia ricca di proposte culturali, di memorie francescane e di amicizia con le popolazioni africane di Zimbabwe e Kenya – ha spiegato Padre Giuseppe Piemontese, Custode del Sacro Convento di Assisi –. «Abbiamo scelto il Kenya e lo Zimbabwe perché sono paesi in parte dimenticati dai mezzi di comunicazione. La comunità francescana del Sacro Convento – ha dichiarato Padre Enzo Fortunato responsabile sala stampa Sacro Convento - insieme ai partner di questa iniziativa (Regione Umbria, Comune di Assisi, Banca Popolare di Spoleto, Poste Italiane), vuole portare all’attenzione del grande pubblico ciò che è ultimo, ciò che è dimenticato e ha bisogno di un grande aiuto». Nel corso dell’iniziativa, sono previsti inoltre gli interventi di alcuni francescani conventuali che racconteranno la propria esperienza, del Capo dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Guido Bertolaso e del Prof. Franco Cardini che spiegherà la vita di S. Francesco attraverso gli affreschi di Giotto. (A.D.G.)

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    Genova: inaugurata la struttura diocesana “Giosuè Signori” per donne con disagio psichico

    ◊   Ospita 42 donne con problemi psichici nel tentativo, per quanto possibile, di inserirle nella società, la struttura dell'Opera diocesana “Giosuè Signori” di Genova, inaugurata ieri dal cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, dopo importanti lavori di ristrutturazione ed ammodernamento. Venti addetti, tre suore Brignoline, molti volontari si impegnano quotidianamente con competenza e cuore ad assistere le degenti, dai 30 agli 83 anni della più anziana, con attività riabilitativa, cognitiva, motoria e logopedia. Il porporato ha esortato costoro a proseguire su questa strada, missione propria della Chiesa di assistere chi soffre, chi ha bisogno. “Il cuore di Dio – ha detto Bagnasco - è sbilanciato verso l'umanità”. “Tutto nasce dal mistero dell'Incarnazione che sottolinea e dimostra appunto come il Signore sia orientato verso l'umanità”, ha ripetuto l'arcivescovo. Quindi ha avvicinato le disabili, per ciascuna delle quali ha avuto un moto di affetto e vicinanza. L'Opera è intitolata a Giosuè Signori, arcivescovo di Genova dal 1921 al 1923, che ne fu il fondatore. Attualmente la dirige mons. Mario Grone, ex segretario dell'indimenticabile cardinale Giuseppe Siri, che dell'Opera fu il primo direttore e le diede grande impulso. (Da Genova, Dino Frambati)

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    24 Ore nel Mondo



    Trenta morti in Iraq, mentre sale il bilancio delle vittime dell’attentato di ieri in Pakistan: uccisi anche due dipendenti ONU

    ◊   E' salito a 30 morti e 70 feriti il bilancio di un attentato in un affollato mercato della cittadina al Batha, vicino Nassiriya, secondo fonti locali. Dopo l'esplosione, la polizia ha dovuto sparare in aria per contenere un moto di collera delle persone presenti e di parenti delle vittime accorsi sul posto: una persona è stata ferita e alcune altre sono state arrestate dalla polizia. Il rappresentante a Nassiriya del grande ayatollah Ali Sistani, massima autorità sciita irachena, lo sheikh Mohammed al Nasri, ha lanciato un appello attraverso un’emittente radio locale affinché gli abitanti della zona vadano in ospedale a donare il sangue per aiutare i feriti. La regione di Nassiriya, capoluogo della provincia a stragrande maggioranza sciita di Dhi Qar, è relativamente tranquilla ormai da almeno un paio di anni, così come gran parte del Sud del Paese.

    Sale a 18 morti il bilancio dell’attentato di ieri dell’hotel di Peshawar
    È arrivata anche la condanna del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, per l’attentato di ieri a Peshawar, in Pakistan, quando l’esplosione di un’autobomba ha investito il lussuoso Hotel Pearl Continental. Almeno 18 le vittime, tra questi due dipendenti delle Nazioni Unite, una settantina i feriti. Si intensificano intanto le operazioni antitalebani delle truppe governative sia nella valle di Swat, sia nelle aree tribali del sud Waziristan. E si aggrava la preoccupante crisi umanitaria che coinvolge ormai quasi tre milioni di profughi in fuga dalle zone dei combattimenti. Per un’analisi della crisi pakistana, Stefano Leszczynski ha intervistato Margherita Paolini, coordinatrice scientifica della rivista di geopolitica "Limes".

    R. - Tutte queste aree di frontiera, sia quella più a nord che quella del Waziristan, premettono ai talebani - sia del lato afghano che di quello pakistano - di ruotare in qualche modo, cioè di passare da una postazione all’altra e di mettere in difficoltà, su un fronte e sull’altro, rispettivamente, sia le forze armate pakistane che quelle americane che si trovano nel nordest dell’Afghanistan. C’è un aspetto che riguarda piuttosto il boicottaggio dei rifornimenti Nato in Afghanistan, e l’attentato di Peshawar dimostra, appunto, che c’è un controllo sulla zona dalla quale passano i rifornimenti più vitali per la Nato.

     
    D. - L’obiettivo di ieri sembrava diretto a voler colpire la presenza internazionale in Pakistan, in particolare le Nazioni Unite. Come mai, considerato che c’è un’emergenza umanitaria della quale le Nazioni Unite cercano di farsi carico?

     
    R. - Gli autori di questo attentato non hanno scrupoli nei confronti delle Nazioni Unite, né si preoccupano degli aiuti umanitari. Per loro è importante fare un’azione di vendetta nei confronti di quella che viene definita una persecuzione dei militari pakistani contro il popolo pashtun. Non dimentichiamoci che questa popolazione pashtun - che vive al di qua e al di là di una frontiera virtuale, che è la “linea Durand” - si è sempre sentita un unico popolo ma si trova contemporaneamente vessata, sia dal lato afghano che da quello pakistano, e questo raddoppia le schiere dei militanti. Non è che tutti i pasthun siano talebani, però si crea poi un sentimento di unità che alimenta un "brodo" nel quale il terrorismo trova spazio e viene difeso. Nel caso, invece, delle popolazioni che vivono nel nord della frontiera pakistana con l’Afghanistan si tratta di popolazioni che si trovano tra l’incudine e il martello, cioè tra gli attentati talebani e la repressione militare dei pakistani.

     
    Ucciso un comandante talebano in Afghanistan
    La coalizione a guida Usa in Afghanistan ha annunciato oggi di aver ucciso un comandante talebano, legato ai Pasdaran iraniani, e 16 dei suoi uomini, in un bombardamento aereo nell'ovest del Paese. Il capo dei talebani, mullah Mustafa, era alla guida di un centinaio di uomini nella provincia di Ghor e, secondo i militari, aveva “incontrato recentemente gli alti responsabili talebani e aveva legami con il Quds”, un'ala del corpo delle Guardie rivoluzionarie incaricata delle operazioni clandestine.

    Iran
    Nella sempre più infiammata campagna per le presidenziali del 12 giugno in Iran, l'influente ex presidente, Akhbar Hashemi Rafsanjani, si appella alla Guida suprema della Repubblica islamica, Ali Khamenei, dopo aver subito pesanti attacchi da parte del presidente uscente, Mahmud Ahmadinejad, che corre per un secondo mandato. Ahmadinejad, il 3 giugno, durante un dibattito con il candidato moderato, Mir Hossein Mussavi, ha accusato il suo rivale di essere sostenuto da personaggi, quali lo stesso Rafsanjani, che si sarebbero arricchiti grazie alla loro posizione all'interno del regime islamico. Rafsanjani ha quindi reagito e a Khamenei ha inviato una lettera, pubblicata dall'agenzia semiufficiale Mehr, chiedendogli di adoperarsi perché si abbassino i toni e perché ci sia una campagna elettorale “pulita”. L'ex presidente afferma che contro di lui Ahmadinejad ha usato “menzogne e falsita”' nell'accusarlo di corruzione. E c’è la presa di posizione di cinquanta esponenti religiosi iraniani della città santa sciita di Qom: “Pur non schierandoci per nessuna delle parti - scrivono - esprimiamo preoccupazione e disappunto per quello che è avvenuto in questi giorni, specialmente nei dibattiti televisivi… porta solo delusione fra il popolo e felicità per i nemici dell'Islam e del sistema islamico”. “Accusare chi non è presente e non può difendersi, e senza provare le proprie affermazioni in una Corte di giustizia, - aggiungono - è contro la legge islamica".

    Medio Oriente
    Il capo del movimento integralista palestinese Hamas - finora definito “terrorista” negli Stati Uniti - Khaled Meshaal, ha espresso oggi apprezzamento in una conferenza stampa al Cairo per “il nuovo linguaggio del presidente americano Barack Obama”, nel suo discorso del 4 giugno scorso al mondo islamico. “Ma non basta cambiare linguaggio - sottolinea - si devono anche cambiare le politiche” della Casa Bianca verso il Medio Oriente. Duro dunque l’attacco che fa contro Israele, contro i governi che lo criminalizzano, contro i palestinesi di Al Fatah. In ogni caso, è la prima volta, dopo mesi, che Meshaal abbandona il suo esilio di Damasco e arriva al Cairo per parlare con i dirigenti egiziani - in particolare con l'attivissimo capo dei servizi segreti, Omar Suleiman - della possibilità di riconciliarsi con i rivali palestinesi dopo che il suo movimento, nel luglio 200,7 li ha cacciati con la forza dalla Striscia di Gaza per prendere quel potere che riteneva suo dopo le elezioni di gennaio 2006.

    Il leader libico Gheddafi è arrivato a Roma
    “E' una visita storica, vogliamo trattarla come tale”. Così il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha commentato l'arrivo in mattinata del leader libico Muhammar Gheddafi a Roma. Ad accoglierlo allo scalo di Ciampino è stato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il leader libico parlerà in aula al Senato, giovedì mattina, nella veste di presidente di turno dell'Organizzazione dei Paesi africani. Sempre gioveì, è prevista la sua presenza all’Università La Sapienza. Il leader libico, che resterà a Roma tre giorni, ha voluto risiedere in una tenda beduina che è stata allestita a Villa Pamphili, tra massime misure di sicurezza. Tra queste, il divieto di sorvolare la capitale durante tutta la durata della visita.

    Il Libano del dopo voto: sembra profilarsi un governo di unità nazionale
    “Vogliamo un governo con tutti i partiti politici”, ma non un “governo che non può lavorare". E’ quanto ha affermato Saad Hariri, leader sunnita della coalizione filooccidentale libanese, che ha vinto le elezioni parlamentari di domenica scorsa. Una frase che suona come un’apertura verso gli sconfitti in vista di un governo di unità nazionale. Tuttavia, molto resta da capire sugli effettivi equilibri di potere prodotti dall’ultima tornata elettorale, come sostiene il prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali nell'Università Cattolica del Sacro Cuore, intervistato da Federico Piana:

    R. - La realtà è che date le condizioni delle leggi elettorali, data la situazione di partenza, questo risultato dice, secondo me, che c’è e come un vincitore netto Giustamente però, bisogna immediatamente iniziare a dissimulare questa vittoria, perchè il punto vero è che il vincitore delle elezioni non è che porti a casa qualcosa se non trova la soluzione politica. Il problema è che Hezbollah in qualche modo si è mosso dal 2005, dall’omicidio di Hariri, progressivamente, per occupare più spazio politico. Per molti aspetti, la cacciata formale della Siria dal Libano ha lasciato uno spazio aperto che è stato occupato da Hezbollah, che ha dovuto muoversi più in prima persona, e che ha raccolto questa coalizione dell’8 marzo, in risposta a quella antisiriana. E quindi, facendo questo, in qualche modo - pur con il ricorso alle armi quando le cose non erano abbastanza chiare, con nel mezzo la guerra del 2006 e così via - in qualche modo Hezbollah ha tentato e si è mosso per essere sempre più un soggetto politico libanese e non solo una milizia o una "lunga mano" di Teheran e Damasco nel Paese. Questo processo va incoraggiato e va tenuto vivo, perchè non c’è dubbio che l’auspicio finale è che Hezbollah capisca che questa volta ciò che gli ha giocato contro è stato proprio per paradosso l’esercito, la presenza di una milizia così fortemente armata, che ha reso gli elettori timorosi di dare anche un successo elettorale a quella coalizione. E allora questo credo sia il punto: far capire ad Hezbollah che la sua normalizzazione, nel lungo periodo, è la condizione per consentire un giorno un’eventuale vittoria anche di una sua coalizione e non un elemento di debolezza.

     
    Wto
    Russia, Bielorussia e Kazakhstan hanno annunciato oggi l'intenzione di aderire all'Organizzazione mondiale del commercio (Wto) come una entità doganale unica. Lo ha detto a Mosca il premier russo Vladimir Putin al termine di una riunione con i colleghi bielorusso e kazakho. Mosca, Minsk e Astana informeranno il Wto della fine del processo di adesione individuale dei tre Paesi all'Organizzazione. Il ministro delle Finanze russo, Aleksiei Kudrin, ha detto che il processo negoziale formale per l'ingresso nel Wto dei tre Paesi dell'unione doganale russo-kazakho-bielorussa comincerà subito dopo il primo gennaio 2010. La Russia è l'unica potenza economica mondiale a non far parte del Wto e del sistema commerciale multilaterale. Dopo lunghi negoziati, che vanno avanti da 15 anni, la prospettiva di adesione di Mosca era stata rimessa in discussione dopo il conflitto armato con la Georgia della scorsa estate.
     Russia, ancora violenza in Caucaso: uccisa la vice capo della Corte suprema
    Aumenta la spirale di violenza in Caucaso settentrionale: stamani, nella Repubblica di Inguscenzia al confine con la Cecenia, è stata uccisa la vicepresidente della Corte suprema, Aza Gazgereeva. Fonti di agenzie riferiscono che, nella capitale Nazran, sconosciuti hanno aperto il fuoco con armi automatiche contro l'auto nella quale viaggiava il giudice. La donna è morta poco dopo in ospedale. Insieme con lei, altre cinque persone, compreso l'autista, sono rimaste ferite nell’agguato. Sempre oggi c’è stata la rivendicazione dai guerriglieri integralisti islamici dell’uccisione, avvenuta il 5 giugno scorso, del ministro dell’Interno repubblicano, Adilgherei Magomedtaghirov, del Daghestan, Repubblica del Caucaso russo al confine con la Cecenia. La rivendicazione giunge all'indomani di una visita a sorpresa in Daghestan del presidente russo, Medvedev, che ieri aveva conferito post mortem a Magomedtaghirov il titolo di "Eroe della Russia".
     Ucraina: saliti a nove i minatori morti a Donetsk
    Sono saliti a nove i morti causati dall’incidente, avvenuto l’8 giugno scorso, nella miniera di carbone nella regione di Donetsk nell’est dell’Ucraina. Sono stati tratti in salvo 36 minatori, tutti ricoverati in ospedale per le ferite riportate di varia natura, mentre altri quattro operai risultano ancora dispersi. Al momento del fatto, si trovavano nella miniera 53 persone. Sembrano ancora incerte le cause che hanno provocato l’incidente: un crollo sotterraneo o un’esplosione.

    India: uccisi almeno 11 militari indiani
    Sono rimasti uccisi almeno undici militari indiani per lo scoppio di una mina al passaggio del loro veicolo. E’ accaduto vicino al villaggio di Tithir, nello Stato dello Jharkhaland (India centro-orientale). L’imboscata è stata tesa, riferiscono fonti locali, da un gruppo maoista che ha fatto saltare l’ordigno con un comando a distanza. Dopo l’esplosione, il commando ha infierito contro la pattuglia militare a colpi di armi automatiche. Inutili i tentativi dei militari indiani di difendersi. Il movimento maoista Naxalita, che indicano come l’autore dell’attentato, è attivo, oltre che in Jharkhaland, anche negli Stati di Bihar e West Bengala.
     India: scomparso aereo militare indiano
    E’ da ieri pomeriggio che si sono perse le tracce di un aereo militare indiano. Si trovava in volo fra le montagne dello Stato dell'Arunachal Pradesh con 13 militari a bordo. Il velivolo, un AN 32, è decollato da Mechuka e sarebbe dovuto atterrare nella località di Jorhat, dove non è mai arrivato. Salgono a cinque i velivoli persi dall’aeronautica militare indiana, dal gennaio scorso, per incidenti di vario genere.

    Nigeria
    I guerriglieri del Mend, il movimento contro lo sfruttamento petrolifero del Delta del Niger, ha annunciato di aver portato un dirompente attacco ad un impianto del gruppo americano Chevron in Nigeria. Il Mend, in una nota, sostiene di aver prodotto “effetti devastanti” nell'impianto petrolifero “pesantemente fortificato” di “Chevron Otunana”. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza e Anna Villani)

     

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 161

    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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