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Sommario del 16/01/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI ai vescovi dell'Iran: curate il dialogo con l'islam per svolgere al meglio la vostra missione all'interno del Paese
  • Altre udienze
  • Dedicato alle nuove tecnologie il Messaggio del Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali
  • Gli effetti della globalizzazione sull'istituto familiare al centro dell'Incontro mondiale delle famiglie a Città del Messico
  • Il cardinale Bertone: "declinare in modo corretto la mutua collaborazione fra la Chiesa e lo Stato”
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ucciso in Kenya padre Giuseppe Bertaina missionario della Consolata: aveva 82 anni
  • I vescovi Usa al presidente Obama: impegno comune per la difesa della vita, la promozione della pace e il sostegno alle famiglie colpite dalla crisi economica
  • Rapporto sui conflitti dimenticati: le emergenze ambientali tra le cause principali delle guerre
  • Si è spento a Parigi il teologo ortodosso Olivier Clément, uomo dell'unità
  • A Roma il primo Festival internazionale degli Itinerari dello Spirito
  • Chiesa e Società

  • Mons. Twal: a Gaza nessuno ha il coraggio della pace
  • Usa: i leader religiosi chiedono al presidente Obama di abolire la tortura
  • Bolivia: messaggio dei vescovi sul referendum del 25 gennaio
  • Cile: condanna dei vescovi per una sfilata di moda offensiva della Vergine
  • Al cardinale Cipriani la massima onorificenza del Perù
  • Spagna: nota dei Gesuiti sulla riapertura del processo per la strage del 1989 a San Salvador
  • Impegno della Chiesa per la lotta al narcotraffico nelle Filippine
  • India: varato il network nazionale della comunicazione delle Università cattoliche
  • Sri Lanka: cattolici in festa per il beato Joseph Vaz
  • Benin: protocollo d’intesa per l’emittenza radiotelevisiva cattolica
  • Appello del Parlamento europeo per il rilascio delle due suore rapite in Somalia
  • Mario Mauro nominato rappresentante dell’Osce contro le discriminazioni
  • Prima Bibbia interconfessionale in castigliano
  • Nuovo invito della Caritas ad intensificare l’attenzione sui temi della povertà e della pace
  • Rapporto 2008 dell’associazione Meter sulla pedopornografia: allarme per i social network
  • A Manhattan atterraggio di emergenza di un aereo. Tutti in salvo i passeggeri
  • 24 Ore nel Mondo

  • Tregua difficile a Gaza: braccio di ferro tra Israele e Hamas
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI ai vescovi dell'Iran: curate il dialogo con l'islam per svolgere al meglio la vostra missione all'interno del Paese

    ◊   Un dialogo a tutto campo con la popolazione e le autorità dell’Iran, per consentire alla piccola comunità cattolica che vive e opera nel Paese islamico di essere oggi - come già in passato - “lievito” per tutta la nazione. E’ quanto il Papa ha indicato questa mattina nell’udienza ai vescovi iraniani, che domani concludono la loro visita ad Limina in Vaticano. Il servizio di Alessandro De Carolis:


    Piccole comunità, con pochi fedeli, e con sacerdoti e religiosi spesso costretti a spostarsi per raggiungerle e animare la vita cristiana. E’ la situazione della Chiesa iraniana, che Benedetto XVI ha mostrato di conoscere in profondità rivolgendosi ai vescovi del Paese islamico, manifestando “apprezzamento” per la loro missione quotidiana, vissuta - ha riconosciuto - con costanza e perseveranza”:

     
    "Pour dépasser cette difficulté...
    Per superare queste e altre difficoltà concrete è allo studio l'istituzione di una Commissione bilaterale con le vostre autorità per consentire anche lo sviluppo delle relazioni e la comprensione reciproca tra la Repubblica islamica di Iran e la Chiesa cattolica”.

     
    Ma la questione del dialogo con le autorità dell’Iran e con la popolazione musulmana - circa 70 milioni di persone - ha permeato in realtà tutta la riflessione del Papa. I centomila cristiani che vivono in Iran, anche se “vivono in contesti diversi”, hanno - ha affermato il Pontefice - un denominatore comune, ovvero:

     
    “Il leur faut développer d'harmonieuses relations...
    Il bisogno di sviluppare relazioni armoniose con le istituzioni pubbliche (...) in grado di consentire loro di realizzare al meglio la loro missione ecclesiale nel rispetto reciproco e per il bene di tutti. Vi incoraggio a mettere in atto tutte le iniziative volte a promuovere una migliore comprensione reciproca. Entrambi possono essere esplorati: il dialogo culturale, ricchezza plurimillenaria dell’Iran, e la carità. Quest'ultima illuminerà il primo e ne sarà il motore”.

     
    Del resto, ha riconosciuto il Pontefice con i vescovi, “le vostre Chiese sono eredi di una tradizione nobile e una lunga presenza cristiana in Iran. Esse hanno contribuito, ciascuno a suo modo, alla vita e all’edificazione della nazione”. Un contributo tuttora concreto e rilevabile, come accaduto ad esempio, ha ricordato il Papa, attraverso la Caritas all’indomani del “devastante terremoto” che il 26 dicembre 2003 semidistrusse l’antica città iraniana di Bam, causando decine di migliaia di morti.

     
    Benedetto XVI ha poi terminato il suo intervento, analizzando un aspetto particolare della società iraniana, meritevole di una particolare attenzione pastorale. A volte, ha constatato, "i cristiani nella vostre comunità cercano opportunità più favorevoli per la loro vita professionale e l'educazione dei loro figli”. Ciò, ha esortato, “sollecita soprattutto voi, come pastori del vostro gregge, ad incoraggiare i fedeli che rimangono in Iran a rimanere in contatto con i membri delle loro famiglie che hanno scelto un diverso destino. Essi - ha concluso - saranno in grado di mantenere la loro identità e la loro fede ancestrale”.

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    Altre udienze

    ◊   Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina anche il cardinale James Francis Stafford, penitenziere maggiore, con mons. Gianfranco Girotti, vescovo tit. di Meta, reggente della Penitenzieria Apostolica; il cardinale Antonio María Rouco Varela, arcivescovo di Madrid.

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    Dedicato alle nuove tecnologie il Messaggio del Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali

    ◊   “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”: è questo il titolo del Messaggio con il quale Benedetto XVI invita a riflettere sulla 43.ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che verrà celebrata il prossimo 24 maggio. Il Messaggio del Papa sarà presentato venerdì 23 gennaio in Sala Stampa vaticana dall’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del dicastero pontificio delle comunicazioni sociali, e - fra gli altri - da padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, della Radio Vaticana e del Centro Televisivo Vaticano: questi ultimi protagonisti di una nuova iniziativa in collaborazione con Google, che verrà presentata ai media.

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    Gli effetti della globalizzazione sull'istituto familiare al centro dell'Incontro mondiale delle famiglie a Città del Messico

    ◊   Si chiude oggi a Città del Messico il Congresso teologico pastorale, che ha aperto l’Incontro mondiale delle famiglie. Nei prossimi giorni sono previsti altri due importanti appuntamenti: domani è in programma l’incontro di festa delle famiglie del mondo e domenica la solenne concelebrazione eucaristica. La liturgia, che chiuderà l'Incontro mondiale delle famiglie, sarà presieduta dal Legato pontificio, il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. Durante il Congresso teologico pastorale, sono stati analizzati vari temi, tra cui la missione educatrice della famiglia e le sfide poste dalla società contemporanea. Ieri, in particolare, sono stati presi in esame gli effetti della globalizzazione sull'istituto familiare. Il servizio di padre Gianfraco Grieco, capo ufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia:


    "Nella società in via di globalizzazione assistiamo ad una forte perdita di virtù sociali, sia nella sfera privata, sia in quella pubblica. Questa tendenza non è da imputare alla famiglia, ma ai processi di modernizzazione che hanno deviato il senso e le funzioni sociali della famiglia: si tratta di quei processi che hanno privatizzato la famiglia, hanno eroso e annullato il suo ruolo di soggetto sociale". E’ quanto ha ricordato il prof. Pierpaolo Donati dell'Università di Bologna, nel corso del VI Incontro mondiale delle famiglie. Nella seconda giornata dei lavori ha affrontato il tema della famiglia nei suoi molteplici risvolti antropologici: sessualità, mass media, migrazioni, virtù sociali. "Bisogna riconoscere, cioè, conoscere ex novo – ha continuato il professore Donati - ciò che è e ciò che fa la famiglia. Se riusciamo a vedere gli effetti negativi, la disgregazione sociale, che la privatizzazione delle relazioni familiari comporta, possiamo osservare in controluce quanto le nuove famiglie fanno di positivo e di virtuoso ogni giorno per rimediare ai disagi, ai malesseri e alle patologie sociali. La famiglia rimane la sorgente vitale di quelle società che sono più portatrici di futuro. La ragione di ciò è semplice: è dalla famiglia che proviene il capitale umano, spirituale e sociale primario di una società.

     
    Il capitale civile della società viene generato proprio dalle virtù uniche e insostituibili della famiglia. La società globalizzata potrà trovare un futuro di civiltà se e nella misura in cui sarà capace di promuovere una cultura della famiglia, che la ripensi come nesso vitale tra la felicità privata e la felicità pubblica. Le ricerche empiriche mostrano che la famiglia diventa sempre di più, e non già sempre di meno, il fattore decisivo per il benessere materiale e spirituale delle persone. Ed è da queste dinamiche che possiamo capire perché e come la famiglia alimenti quelle virtù personali e sociali che rendono felice una società". Il discorso si è poi allargato nel primo pomeriggio durante la seconda tavola rotonda, che aveva per tema la politica e la legislazione. Si è partiti dalle politiche familiari per approdare a quelle promosse dalle Nazioni Unite e dagli organismi internazionali. Quale tipo di legge – è stata questa la domanda – forma o non forma ai valori della famiglia? Ampia è stata l’informazione sul giorno della famiglia che in Messico si celebra il primo marzo di ogni anno. Una giornata speciale, questa, che vuole sensibilizzare sempre più le coscienze sui temi del matrimonio, della famiglia e della vita. Altre realtà familiari sono state presentate durante il pomeriggio, queste realtà che rivendicano i diritti umani e vogliono promuovere nuove iniziative tese al bene comune e al bene di tutto il nucleo familiare. Il dibattito della seconda giornata si è concluso, ma si è anche fortemente arricchito con l’intervento della senatrice argentina Eliana Negre de Alonso, sul tema “La sfida del legislatore in favore della famiglia e della vita”.

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    Il cardinale Bertone: "declinare in modo corretto la mutua collaborazione fra la Chiesa e lo Stato”

    ◊   Si svolge oggi e domani a Roma un Convegno promosso dal Cesen, il Centro Studi sugli Enti Ecclesiastici, sul tema “Santa Sede, Conferenze episcopali, Stati: esperienze di Paesi dell’Unione Europea”. Il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha inviato per l’occasione un messaggio in cui afferma la necessità di “declinare in modo corretto la mutua collaborazione fra la Chiesa e lo Stato nel rispetto della rispettiva sovranità”. Il porporato auspica che l’Unione Europea “rispetti lo status di cui godono negli Stati membri dell’Unione le Chiese e le comunità ecclesiali” e “riconosca l’identità e il contributo specifico che queste ultime presentano, mantenendo con esse un dialogo istituzionale regolare. Anche questo – ha aggiunto – è nella linea della plurisecolare tradizione dell’Europa e costituisce un portato che, frutto anche di lotte e sofferenze, non può essere disperso”. Ma come sono cambiati dopo il Concilio Vaticano II i rapporti tra Santa Sede e Stati? Sergio Centofanti lo ha chiesto al prof. Giorgio Feliciani direttore del Cesen:


    R. – Contrariamente a quanto si è sostenuto in un primo periodo postconciliare, da parte di alcuni studiosi, non è assolutamente vero che il Vaticano II sia stata la tomba dei Concordati. Certo, questa tesi ha una parte di verità nel senso che sicuramente il Vaticano II ha – con i suoi insegnamenti – archiviato un certo modello di Concordato, cioè ha introdotto un nuovo modello. Nuovo modello che risponde ad alcuni, precisi principi conciliari: il primo principio è sicuramente quello che la Chiesa non potrà chiedere o accettare privilegi che, in qualunque modo, limitino la libertà religiosa di altre confessioni religiose o di cittadini, e d’altro canto il Concilio insiste decisamente su una drastica riduzione dei privilegi che la Chiesa accordava agli Stati, in particolare nel campo delle nomine dei vescovi. Un altro elemento di novità molto significativo è che, come conseguenza della valorizzazione dell’episcopato operata dagli insegnamenti conciliari, viene ora lasciato spazio agli episcopati locali per intervenire nei rapporti con gli Stati. Quindi non si hanno solo rapporti di vertice tra la Santa Sede e i governi, ma anche i rapporti che intercorrono tra la conferenza episcopale e gli Stati, secondo modalità che variano da Paese a Paese.

     
    D. – Oggi si parla tanto di laicità dello Stato; ecco, cosa ci può dire in proposito?

     
    R. – Se per laicità dello Stato si intende il fatto che la Chiesa e lo Stato sono – ciascuno nel suo ordine – indipendenti e sovrani, come dice la nostra Costituzione repubblicana – per inciso, nell’articolo 7 – e come del resto aveva già detto Leone XIII nell’enciclica “Immortale Dei”, ovviamente questo è un dato che fa parte della dottrina cattolica sui rapporti con gli Stati. Se invece per laicità dello Stato si intende che lo Stato dev’essere indifferente – o addirittura ostile – nei confronti del fenomeno religioso, perché il fenomeno religioso, in quanto tale, è irrilevante per lo Stato, certamente su questo non possiamo essere d’accordo. Ma su questo non è d’accordo neanche la nostra Corte Costituzionale.

     
    D. – Cosa dire degli interventi degli episcopati in materia politica; pensiamo a questioni di giustizia sociale, immigrazioni, famiglia, bioetica, vita. Per alcuni, la Chiesa non dovrebbe parlare…

     
    R. – Il Concilio ha riconosciuto alla Chiesa un diritto e un dovere di testimonianza, e di dare quindi il suo giudizio in ciò che riguarda la materia temporale, tutte le volte che siano in gioco la libertà della Chiesa e i diritti della persona umana. E d’altro canto, in un regime democratico, la Chiesa ha diritto di parlare come hanno diritto di parlare perlomeno tutti i cittadini.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La Chiesa cattolica incoraggia quanti operano per la pace tra le nazioni: in prima pagina, il discorso di Benedetto XVI ai vescovi dell’Iran. Nell'informazione religiosa, intervista di Nicola Gori al presidente della Conferenza episcopale iraniana

    Un articolo di Norbert J. Hofman, segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, dal titolo “Un'istanza del cuore”: la profonda dedizione di Benedetto XVI per il dialogo fra ebrei e cattolici

    Tutela dei civili nei conflitti armati: nell’informazione internazionale, intervento della Santa Sede al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite

    Un Paese che non si ama: in cultura, anticipazione della conferenza di Ferruccio de Bortoli, direttore de “Il Sole 24 Ore”, sulla situazione economica italiana, presso la sede centrale della Banca Popolare di Sondrio

    Il volto incompiuto di Mozart: un articolo di Marcello Filotei sul concerto - sabato, nella Cappella Sistina, alla presenza di Benedetto XVI - per gli ottant’anni di mons. Georg Ratzinger, maestro di Cappella emerito del Duomo di Ratisbona

    L’utopia di “Facebook”: anticipazione dell'articolo di Antonio Spadaro nel primo numero del 2009 de “La Civiltà Cattolica”

    Un articolo di Andrea Piersanti dal titolo “La rivincita dei somari parte dalla tv svedese”: televisione, scuola e famiglia

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    Oggi in Primo Piano



    Ucciso in Kenya padre Giuseppe Bertaina missionario della Consolata: aveva 82 anni

    ◊   “Un fatto inspiegabile, preghiamo per lui e per i suoi assalitori”: così, i confratelli di padre Giuseppe Bertaina, missionario della Consolata ucciso questa mattina presso l’Istituto di Filosofia dei missionari a Langata, periferia di Nairobi, in Kenya. Padre Bertaina, 82 anni, era nativo di Cuneo ed era stato ordinato sacerdote nel 1951, da anni lavorava in Africa in qualità di insegnante ed ultimamente ricopriva l’incarico di amministratore dell’Istituto di Filosofia dei missionari della Consolata a Nairobi. Il servizio di Massimiliano Menichetti:


    Sono il raccoglimento, la preghiera costante, che occupano questi istanti di dolore, da quando i confratelli di padre Giuseppe Bertaina hanno saputo del suo assassinio avvenuto questa mattina tra le 11.00 e le 12.30, ora di Nairobi. Tra le ipotesi quella di un furto, ma non si esclude alcuna pista. Ai nostri microfoni, padre Marino Gemme, raggiunto telefonicamente presso la Casa provinciale di Nairobi dei Missionari della Consolata:

     
    R. – Hanno visto la porta chiusa, bussavano, ma nessuno rispondeva. Poi hanno sfondato la porta e hanno trovato il suo corpo legato mani e piedi. Le notizie sono poco attendibili. Non si può dire che sia un furto. Non si sa, fin tanto che non faranno gli accertamenti. Siamo rattristati e preghiamo per lui.

     
    Padre Giuseppe ha lavorato per anni a fianco degli ultimi. Qual è la situazione a Langata? Padre Giuseppe Ettorri, amico di vecchia data di padre Bertaina, appena rientrato da Nairobi:

     
    R. – E’ una zona che si sta sviluppando molto. C’è una buona concentrazione di istituti religiosi, per via appunto della nostra scuola di filosofia e di teologia, lì vicino c’è anche un’università cattolica. Questa è un po’ la situazione locale del Kenya, ma adesso influisce anche la situazione internazionale: i casi di povertà stanno aumentando e quindi aumentano questi casi di furti e di banditi che assalgono anche le case religiose.

     
    D. – Qual è il suo ricordo di padre Giuseppe?

     
    R. – Un uomo proprio buono, calmo. Ha praticamente dedicato tutta la sua vita alla scuola. Prima di venire a Nairobi era a Sagana, responsabile di una scuola tecnica. E’ uno di quei missionari che ha dedicato tutta la vita all’educazione, alla formazione e, ultimamente, aveva messo su questa scuola di filosofia. Per me, oltre che un confratello, è stato anche un amico. Ed anch’io sono un po’ smarrito perché è difficile, non solo non dare una spiegazione, ma anche accettare cose di questo genere. E’ una persona che ha dato tutta la sua vita all’Africa, alla missione, allo sviluppo.

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    I vescovi Usa al presidente Obama: impegno comune per la difesa della vita, la promozione della pace e il sostegno alle famiglie colpite dalla crisi economica

    ◊   I vescovi statunitensi assicurano al nuovo presidente Barack Obama e al nuovo Congresso il proprio contributo, affinché la fase di cambiamento che stanno vivendo gli Stati Uniti sia contraddistinta da un impegno comune in favore della vita umana, dei più deboli e per la pace nel mondo. In una lettera firmata dal cardinale arcivescovo di Chicago, Francis George, presidente dell’episcopato americano, i presuli indicano tutte le sfide principali che il presidente Obama dovrà affrontare dal 20 gennaio prossimo. Il servizio di Alessandro Gisotti:


    I vescovi degli Stati Uniti si augurano che la nuova amministrazione approvi delle misure “forti e prudenti” che aiutino in particolare “le famiglie povere e i lavoratori più vulnerabili” ad affrontare l’attuale crisi economica. L’episcopato americano chiede inoltre “una maggiore responsabilità” per far fronte agli abusi del sistema che hanno contribuito all’innescarsi della crisi finanziaria. Sul fronte internazionale, i presuli chiedono “una transizione responsabile in un Iraq libero dalle persecuzioni religiose”. Pressante è inoltre l’appello affinché si metta fine al conflitto nella Terra Santa e si costruisca la pace nella regione. Nel documento, firmato dal cardinale George, viene inoltre espresso l’auspicio per un rinnovato impegno dell’amministrazione di Washington nella lotta contro l’Aids con modalità che “siano efficaci e al tempo stesso moralmente appropriate”.

     
    Una parte significativa della lettera indirizzata ad Obama è dedicata alla famiglia e alla difesa della vita. Viene ribadito il sostegno della Chiesa al matrimonio, unione esclusiva tra un uomo e una donna. Nessun altro tipo di relazione, è il monito dei vescovi, può essere valutata in modo equivalente al patto stretto tra un uomo e una donna nel matrimonio. I vescovi ribadiscono, quindi, il loro impegno per la difesa della vita dei più deboli, soprattutto dei bambini non nati, dei disabili e dei malati terminali. E chiedono con forza l’attuazione di politiche per ridurre il numero di aborti. Ancora, sottolineano che si opporranno a “legislazioni e altre misure volte ad espandere l’aborto”. D’altro canto, avvertono i vescovi, sarebbe grave se si decidesse di “costringere” gli americani a finanziare politiche abortiste con le tasse dei contribuenti.

     
    Sempre sul fronte interno, i presuli affermano la necessità di un sistema sanitario accessibile a tutti con una particolare attenzione per i più disagiati. Grande rilievo viene dato anche alla realtà degli immigrati. I vescovi definiscono “guasto” l’attuale sistema dell’immigrazione. Auspicano così una riforma complessiva che difenda i diritti e la dignità di tutte le persone coinvolte e che preveda un “percorso” per l’acquisizione della cittadinanza da parte dei migranti negli Stati Uniti.

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    Rapporto sui conflitti dimenticati: le emergenze ambientali tra le cause principali delle guerre

    ◊   Sono le emergenze ambientali le principali cause dei conflitti in corso oggi nel mondo. Lo rivela il terzo rapporto sui conflitti dimenticati promosso da Caritas Italiana, Famiglia Cristiana e il Regno e pubblicato da Il Mulino con il titolo “Nell’Occhio del ciclone”. A dimenticare la stragrande maggioranza dei 24 conflitti attualmente in corso sono soprattutto i media, incapaci di fare informazione al riguardo. Povertà, disastri climatici, fame, e corsa alle risorse sono alla base delle odierne tensioni internazionali e interne ai singoli Stati. Su questi temi si soffermai, al microfono di Stefano Leszczynski, Walter Nanni, dell’Ufficio Studi della Caritas Italiana e coautore del Rapporto:


    R. – In questa terza indagine ci concentriamo, soprattutto, su quei conflitti che hanno un legame con l’emergenza ambientale, guerra e ambiente. Analizziamo anche come spesso situazioni di emergenza ambientale, disastri ambientali, possono provocare o comunque essere correlate a situazioni di conflitto bellico. In questo caso, abbiamo fatto un’indagine in due parti: in una prima parte facciamo la mappatura dei conflitti in corso nel mondo (in questo momento sono 24 le guerre in corso). Un’altra parte dell’indagine è invece dedicata ad una ricerca vera e propria sul campo che ha raccolto dati su più fronti. Abbiamo effettuato un sondaggio demoscopico sulla popolazione italiana per capire che cosa sappia dei conflitti dimenticati. Abbiamo notato come il 25 per cento circa della popolazione italiana non ricordi nessun conflitto attualmente presente nel mondo. Ciò non stupisce soprattutto per il fatto che il 56 per cento degli italiani attinge informazioni su guerre ed ambiente dalla televisione. E in televisione – abbiamo fatto una rivelazione su tre anni e mezzo di programmazione radio televisiva - le news sulle emergenze dimenticate rappresentano lo 0,3 per cento di tutte le notizie trasmesse in questo periodo.

     
    D. – Tra le emergenze ambientali che sono alla base di conflitti o che potrebbero essere alla base di futuro conflitti, quali sono le principali?

     
    R. – Sicuramente dobbiamo evidenziare la guerra per le risorse: acqua, petrolio, ma anche risorse un po’ diverse tipo diamanti, droga. In questo senso, questo tipo di lotta per l’accaparramento di queste risorse, determina poi i conflitti bellici su vasta scala. Non dimentichiamo, tuttavia, che quando parliamo di conflitti, non si parla quasi mai di conflitti tra Stati; si tratta di conflitti all’interno dello stesso Stato tra gruppi paramilitari e forze istituzionali. Ma anche in questo caso, l’elemento di lotta per le risorse è comunque presente.

     
    D. – Una maggiore conoscenza dell’opinione pubblica su queste situazioni nel mondo, potrebbe portare, ad esempio, a facilitare una loro soluzione?

     
    R. – Sicuramente la maggiore conoscenza è importante. In questo senso è incoraggiante il fatto che per l’80 per cento degli italiani le guerre si risolvono tramite l’apporto dell’Onu. Questo è un fattore incoraggiante perché nonostante negli ultimi anni le Nazioni Unite abbiano avuto una forte crisi, la maggioranza assoluta degli italiani continua ancora a credere nel ruolo delle Nazioni Unite; quindi c’è un elemento di base incoraggiante.

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    Si è spento a Parigi il teologo ortodosso Olivier Clément, uomo dell'unità

    ◊   Il teologo ortodosso Olivier Clément è morto ieri sera a Parigi all'età di 87 anni. Ne dà notizia il “Service orthodoxe de presse”, Sop, che lo presenta come “uno dei testimoni più significativi dell’ortodossia in Occidente nella seconda metà del XX secolo”. Ed aggiunge: Olivier Clément “è stato colui che, senza dubbio, ha saputo mostrarsi sempre attento agli interrogativi della modernità, che ha cercato di affrontare attraverso una riflessione potente e poetica, radicata nella tradizione della Chiesa, ma al tempo stesso creatrice e innovativa”. Nato nel 1921, Olivier Clément ha dedicato gran parte della sua vita e della sua ricerca per facilitare l’incontro tra l’Oriente e l’Occidente cristiani. Tra l'altro è stato docente all'Istituto ortodosso San Sergio di Parigi ed ha fatto parte della delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli nel dialogo teologico con la Chiesa cattolica. E’ stato un uomo di dialogo e, come tale, interlocutore di diverse personalità spirituali del nostro tempo: dal Patriarca Atenagora a Papa Giovanni Paolo II, al fondatore della comunità ecumenica di Taizé, frère Roger, con i quali era legato da rapporti di fiducia e di amicizia. Nel 1998, fu scelto da Giovanni Paolo II per scrivere le meditazioni che furono lette quell’anno durante la Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo. Olivier Clément lascia un grande lavoro che comprende una trentina di opere di teologia, storia della Chiesa e della spiritualità, nonché numerosi articoli. Vogliamo riproporvi un'intervista rilasciata nel 1996 alla nostra collega Romilda Ferrauto nella quale Olivier Clément affronta le difficoltà del dialogo tra i cattolici e gli ortodossi alla luce della caduta del comunismo nell'Europa dell'Est:


    R. - Nous sommes en presence d'une crise...
    Effettivamente siamo di fronte ad una crisi di “integralismo” nel mondo ortodosso, anche se meno grave: è un problema di rapporto con la modernità. All’inizio del XX secolo, vi è stato un impulso fortissimo con i grandi filosofi religiosi russi, che proponevano di affrontare la “modernità” dall'interiorità, impulso che poi si è infranto con la Rivoluzione. C'è stato quindi un incontro falsato con la “modernità” attraverso il comunismo, e la "modernità" è apparsa come una pura e semplice persecuzione, una negazione del cristianesimo. Poi, c'è stato il crollo del comunismo, e io penso che l'Occidente non abbia saputo cogliere l'occasione: l'occasione di un aiuto serio e disinteressato ai Paesi dell'Est, in particolare alla Russia. I Paesi dell'Est hanno visto arrivare le sette americane, il denaro, la droga, la libertà sessuale. Tutte novità che hanno fatto inorridire molti buoni orotodossi, i quali hanno detto: "Se le cose stanno così, non c'è che una soluzione: l'Occidente è marcio, l'avevamo sempre detto. Dobbiamo chiuderci in noi stessi". Ecco la crisi d'identità che viene a complicare ulteriormente i rapporti con l'Occidente in generale e, ovviamente, in particolare con la Chiesa cattolica.

     
    D. - Lei ha incontrato Giovanni Paolo II e si è espresso in termini positivi sugli ultimi documenti della Santa Sede e sui gesti di apertura verso gli ortodossi. Che cosa le sembra più urgente, in quanto teologo ortodosso, per il dialogo con la Chiesa cattolica?

     
    R. - Je crois qu'il faudrait que les orthodoxes repondent. ...
    Credo che sarebbe necessario che gli ortodossi rispondessero. E' questo che mi sembra importante, in questo momento. Per parlare, bisogna essere in due. Quindi, i gesti di apertura vanno bene, dire cose altamente interessanti è importante. Ma bisogna che tutto ciò venga recepito dall'altro. Allora, mi domando: è già venuto il momento? O forse, storicamente, è ancora presto? Probabilmente, bisogna ancora attendere che, nei Paesi ex-comunisti, l'uomo si sia "ricostruito", dove è stato schiacciato; che possa rinascere, in quei Paesi, un pensiero ortodosso vivo. Per ora, questo dialogo non può svolgersi se non tra "individui", e vi sono molti "individui" nel mondo ortodosso che possono rispondere a un siffatto dialogo. E credo anche che sia molto importante che, intanto, si crei una sorta di tessuto, di risorsa d'amicizia tra cattolici e ortodossi. Che questo possa avvenire sulla base dei documenti pontifici, è ovviamente essenziale. Poi, sono convinto che Giovanni Paolo II sia un personaggio carismatico, di estrema importanza. Mi è venuta in mente una affermazione di André Malraux, grande scrittore francese, che diceva: "Ora sto per morire, ma aspetto una cosa: bisogna che un profeta osi levarsi per dire al mondo: il nulla non esiste!". E mi sembra che Giovanni Paolo II sia proprio questo profeta.

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    A Roma il primo Festival internazionale degli Itinerari dello Spirito

    ◊   Al via ieri, alla Nuova Fiera di Roma, il primo Festival internazionale degli Itinerari dello Spirito “Josp Fest”. L’iniziativa riunisce pellegrini, animatori, assistenti spirituali e collaboratori dell’Opera Romana Pellegrinaggi in un incontro che mira a “celebrare” i pellegrini e a coinvolgere quanti desiderano mettersi in cammino sulle “vie dello spirito”. Ai visitatori viene, tra l’altro, offerta la possibilità di ripercorrere i tre storici itinerari di pellegrinaggio fino alle rispettive mete di Gerusalemme, Roma e Santiago de Compostela. Sull’importanza del pellegrinaggio e il significato particolare di questo inedito Festival, Luca Collodi ha intervistato padre Cesare Atuire, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi:


    R. – La cosa che noi viviamo nei pellegrinaggi diventa una trasformazione che porta le persone ad esprimere una grande gioia, perché il pellegrinaggio ci rende leggeri nello spirito, anche per volare verso Dio: così si esprime nella gioia.

     
    D. – Padre Cesare Atuire, perché un Festival internazionale dedicato agli itinerari dello Spirito – quindi al pellegrinaggio – in una realtà molto laica come una fiera?

     
    R. – Intanto, ci sono milioni di persone che fanno pellegrinaggi, ogni anno. Allo stesso tempo ci accorgiamo che spesso si pensa che il pellegrinaggio sia una cosa di nicchia. Io ho visto che – soprattutto in questi tempi, in cui la gente cerca punti di riferimento – il pellegrinaggio può veramente diventare una nuova frontiera d’evangelizzazione, di umanizzazione e di promozione umana. E in una fiera, dove persone si incontrano da diverse parti del mondo, perché non portare tutti gli attori in questo settore, insieme, a fare degli scambi, ad incontrarsi, a scambiare delle opinioni? Ed è proprio questa l’intenzione che c’è dietro il Josp Fest.

     
    D. – In Medio Oriente, in questo momento, si combatte una guerra, ma i pellegrinaggi in Terra Santa continuano regolarmente?

     
    R. – I pellegrinaggi continuano regolarmente in Terra Santa, perché la zona che noi frequentiamo – come pellegrini – non è “interessata” dalla guerra; allo stesso tempo c’è anche una missione da portare avanti, e noi siamo stati anche contattati dalle autorità palestinesi e israeliane, che ci dicevano: “I pellegrini sono messaggeri di pace e pertanto dobbiamo continuare a portare i pellegrini in Terra Santa, perché la loro presenza crea ponti di dialogo e ponti d’incontro tra le due popolazioni”.

     D. – Padre Cesare, qual è il messaggio di pace che vuole rivolgere al Medio Oriente qui, dalla Fiera di Roma?

     R. – Il messaggio è questo: Dio ci ha dato questa terra, e Dio ci ha dato la possibilità di vivere insieme e l’unica forma di poter continuare a vivere da figli di Dio è quella di sederci attorno ad un tavolo, mettere un po’ da parte i nostri pregiudizi e cercare di capirci, e creare le condizioni affinché ognuno possa realizzare la sua vocazione profonda. E questo richiede perdono, richiede riconciliazione, soprattutto richiede anche umiltà e apertura.

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    Chiesa e Società



    Mons. Twal: a Gaza nessuno ha il coraggio della pace

    ◊   “Tutti quanti siamo responsabili, anche chi ha taciuto non è innocente, mi metto anche io tra i primi: tutti siamo responsabili”. E’ quanto ha detto ad AsiaNews il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, aggiungendo che “bisogna avere il coraggio di parlare di pace. Si continua a parlare di tregue, di processo di pace, ma siamo stufi di 'avanzare', di 'processi' che non portano mai alla pace”. “La guerra - ha spiegato - non ha fatto altro che aprire ancora di più la ferita nel cuore di popoli che hanno paura e vivono nella paura. Dopo ogni guerra è quasi peggio, perché bisogna ricostruire le anime di gente che ha visto morire amici e parenti, che ha perso la casa, che ha sofferto oltre ogni misura. Più la guerra continua, più ci sono vittime, più la ferita si apre”. “Senza entrare in merito della politica - ha affermato il Patriarca - non possiamo tacere della sorte di tutta questa gente. Non possiamo condannare a morte migliaia di persone perché i politici non sono d’accordo”. Alle parole di mons. Fouad Twal si aggiungono quelle del parroco di Gaza, padre Manuel Musallam. “Quello che si vede in tv e si legge sui giornali – ha dichiarato il sacerdote all’agenzia Sir - non rappresenta la dura realtà in cui versa la popolazione della Striscia. L’amaro assedio di Gaza è una tempesta che aumenta di ora in ora fino a diventare un crimine contro l’umanità”. Si tratta – ha spiegato padre Musallam – di una tragedia che deve “essere sottoposta al tribunale della coscienza di ogni uomo di buona volontà”. Padre Musallam ha dichiarato infine che in questi giorni sta inviando “sms ai parrocchiani con passi della Bibbia per infondere loro speranza”. “Possa la pace piovere su questa terra; la preghiera – ha concluso - può smuovere il mondo. L’amore di Cristo e la Chiesa non riconosce barriere politiche e sociali. Nella preghiera ci sentiamo parte integrante della Chiesa universale e i musulmani di Gaza, sono il nostro popolo e la nostra gente con cui condividiamo la sofferenza”. (A.L.)

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    Usa: i leader religiosi chiedono al presidente Obama di abolire la tortura

    ◊   Mettere al bando la tortura durante gli interrogatori dei detenuti: è quanto chiedono al presidente eletto Barack Obama numerosi leader religiosi degli Stati Uniti. In particolare, mons. Howard J. Hubbard, vescovo di Albany e presidente del Comitato sulla Giustizia internazionale e la Pace della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, si è unito a circa 30 leader religiosi, appoggiando la “Campagna religiosa nazionale contro la tortura”. Gli aderenti all’iniziativa hanno quindi redatto una lettera che è stata consegnata allo staff del presidente entrante Obama: nel documento, ripreso dall'agenzia Cns, i firmatati ricordano al capo designato della Casa Bianca di mettere in pratica la promessa, ripetuta spesso durante la campagna elettorale, di mettere al mando la tortura durante gli interrogatori dei prigionieri. La lettera include anche una dichiarazione di principi che richiama la necessità di sostenere i diritti umani di base, nel trattamento dei detenuti per conto militare e dei servizi segreti. “Sia la Santa Sede che i vescovi cattolici statunitensi – afferma mons. Hubbard – hanno preso una dura posizione contro la violazione dei diritti umani fondamentali, compresi la tortura ed il genocidio”. “Noi crediamo – conclude il presule - che in ogni circostanza la tortura sia crudele, disumana e degradante. Inoltre, essa non si accorda con i valori e gli ideali della nostra società”. (I.P.)

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    Bolivia: messaggio dei vescovi sul referendum del 25 gennaio

    ◊   Alla vigilia del referendum popolare del 25 gennaio, che chiama i boliviani ad accettare o a rifiutare la nuova Carta costituzionale - elaborata tra gravi contrasti e polemiche - i vescovi hanno pubblicato ieri un ampio documento. I presuli, come avevano già fatto in questi due ultimi anni, analizzano gli aspetti positivi del testo, ma al tempo stesso indicano quelli preoccupanti, ambigui e inaccettabili. I presuli esortano la cittadinanza a votare per il bene del Paese, con libertà e responsabilità. I vescovi auspicano anche che gli aventi diritto si lascino ispirare “da valori e principi che garantiscano una società giusta, libera equa, senza discriminazioni, solidale e fraterna”. In un tale momento – sottolineano - “occorre tenere presente i contenuti della fede e della morale cristiana”. La Conferenza episcopale boliviana valuta positivamente tutti i progressi della fase finale che hanno permesso importanti modifiche al testo che sarà votato, ma costatano però che il progetto costituzionale “non ha una coerenza globale, mentre al tempo stesso include temi sui quali non ci sono state discussioni”. Si tratta piuttosto – spiegano i presuli - di “un risultato frutto della correlazione delle forze politiche e sociali e non di un’espressione delle proposte del popolo boliviano”. I vescovi indicano numerosi aspetti positivi contenuti nel testo come per esempio i diritti individuali e collettivi, le garanzie costituzionali, il riconoscimento di una nazione unitaria che al suo interno accetta e protegge diverse identità etniche e culturali. Tra gli aspetti positivi si ricorda anche l’adeguato rispetto dell’autonomie regionali, la protezione delle lingue native oltre a quella ufficiale, il riconoscimento della libertà religiosa nonché del diritto dei genitori di scegliere l’educazione dei figli. Vengono anche sottolineati l’insegnamento della religione e la pluralità di realtà educative riconosciute e sostenute dallo Stato. Allo stesso tempo, i vescovi boliviani formulano diverse osservazioni su passaggi e redazioni del testo che “preoccupano fortemente” perché “ambigui e imprecisi” o perché lasciano aperta “troppa discrezionalità per i poteri pubblici”. “I diritti essenziali dell’essere umano – affermano - non possono dipendere di condizioni storiche, economiche, politiche o culturali”: sono inerenti alla dignità umana e dunque non possono essere sottoposti a restrizioni. I diritti straordinari concessi a certi gruppi sociali, gli indios, devono essere provvisori e non definitivi poiché hanno lo scopo di ristabilire l’equità sociale ingiustamente ignorata per secoli. La nuova Costituzione “non riconosce il diritto alla vita fin dal suo concepimento” e quest’ambiguità - temono i presuli – “potrebbe aprire la strada alla legalizzazione dell’aborto”. La medesima ambiguità, secondo l’episcopato boliviano, è contenuta nella parte concernente i “diritti sessuali e riproduttivi” con la conseguenza che si “mette a rischio l’integrità della famiglia, indebolendo la sua funziona procreativa e anche quella educativa della prole”. D’altra parte, i vescovi esprimono preoccupazione per la fragilità dei principi che dovrebbero regolare la libertà stampa, poiché potrebbero alimentare la tentazione da parte dello Stato di sottoporla al suo controllo. I vescovi hanno il timore, poi, che l’elezione tramite il voto delle principali autorità giuridiche del Paese possa portare ad introdurre, in un ambito molto delicato come quello della giustizia, il clientelismo dei partiti. L’episcopato rinnova anche perplessità di fronte non solo “al modello economico neoliberale radicale”, ma anche a quello “con una forte tendenza statalista e centralizzata”. I presuli deplorano l’assenza del principio secondo il quale il centro di ogni processo economico è la persona umana e la sua dignità. Prima di concludere la loro analisi, i vescovi boliviani sottolineano, ancora una volta, alcune contraddizioni e imprecisioni del testo che sarà votato. Tra queste, indicano il diritto dei genitori a decidere sull’educazione dei figli e la non precisata “partecipazione sociale e comunitaria”. Un altro aspetto è il riconoscimento del diritto di entità religiose ad impartire educazione e al tempo stesso l’affermazione che dovranno seguire le medesime normative politiche, nonché piani e programmi dell’intero sistema educativo. Si ricorda infine la sottovalutazione dell’importanza della Chiesa cattolica e di altre chiese cristiane nella formazione dell’anima, dello spirito e dell’identità nazionali. Appare contraddittorio affermare “che lo Stato è indipendente dalla religione” e, al tempo stesso, scrivere: “Lo Stato assumerà l’esistenza di culture indigeni, originali e contadine” in quanto custodi di spiritualità e cosmovisioni”. Affermazioni di questo tipo potrebbero essere interpretate - conclude il documento dei vescovi boliviani – facendo ritenere “che lo Stato assume la spiritualità indigena originale e contadina”. (A cura di Luis Badilla)

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    Cile: condanna dei vescovi per una sfilata di moda offensiva della Vergine

    ◊   Ferma condanna della Conferenza episcopale del Cile di un presunto “evento artistico e culturale espressione di libertà creativa”, bloccato ieri da un tribunale. L’evento si proponeva di offrire in una discoteca della capitale una sfilata di moda, intitolata “Vergini fashion show”, gravemente offensiva della figura della Madonna e del sentimento religioso del popolo cileno. A giudizio dei presuli, il discusso spettacolo che, usando l’iconografia mariana si proponeva di “illustrare una Vergine Maria con abiti moderni”, si configura come “un attacco alla religione che in uno Stato di diritto merita invece massimo rispetto”. Inoltre, nel caso del Cile ma anche dell’intera America Latina, i presuli ricordano che si offende gravemente una vocazione e un sentimento mariano profondamente radicato nell’anima dei latinoamericani di oggi e di ieri. Un sentimento che, inoltre, fa parte dell’identità storica, antropologica e culturale di questi popoli. “Perciò guardiamo con dolore e condanniamo tutti gli atti che cercano di umiliare le manifestazioni di amore sincero per la Vergine Maria; atti che, osservano i vescovi, finiscono per attentare alla dignità delle donne presentate come semplici merci e oggetti di consumo”. La dichiarazione, che porta la firma di tutti i membri del Comitato di presidenza, ricorda che “Maria è un modello perfetto di umanità”, una ragione in più per “amarla ed imitarla come fedeli discepoli e missionari del suo Figlio Gesù accogliendo sempre il suo invito a fare tutto ciò che Lui ci dica”. In Cile, da quando tramite la stampa si è avuta conoscenza dell’offensiva iniziativa, si è aperto una polemica e le voci, arrivate da più parti, inclusi settori non cristiani e non credenti, sono state maggioritarie anche perché in molti ritengono che questo non abbia nulla a che fare con ‘libertà artistica’, essendo un modo volgare di guadagnare soldi e attirare l’attenzione dei mass-media. (L.B.)

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    Al cardinale Cipriani la massima onorificenza del Perù

    ◊   Il cardinale Juan Luis Cipriani, arcivescovo di Lima, ha ricevuto la massima onorificenza del governo del Perù. Il riconoscimento – si legge nella motivazione – è stato assegnato per il lungo cammino di pastore e uomo dell’arcivescovo, “coerente al ministero della sua vocazione e votato al servizio dei più deboli”. Un’altra motivazione riguarda il “profondo rispetto che lo Stato ha per la Chiesa peruviana, considerata un elemento essenziale della cultura e dell’identità nazionale”. La solenne cerimonia - riferisce L'Osservatore Romano - si è tenuta nel palazzo Torre Tagle di Lima alla presenza del presidente del Perù Alan García Pérez. Il cardinale Juan Luis Cipriani ha ribadito l’impegno della Chiesa “di rinnovare l’impegno che la Chiesa realizza non soltanto al servizio del popolo peruviano nella fede e nella vita cristiana, ma anche e soprattutto per continuare a progredire sulle vie della concordia e della pace”. “Quando il messaggio di Cristo è accolto – ha concluso – la comunità civile si mostra più responsabile e attenta alle esigenze del bene comune e più solidale con le persone povere, abbandonate ed emarginate”. (A.L.)

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    Spagna: nota dei Gesuiti sulla riapertura del processo per la strage del 1989 a San Salvador

    ◊   I gesuiti della provincia spagnola di Castilla hanno reso pubblico un comunicato sulla possibilità di un’eventuale riapertura del processo contro gli autori dell’assassinio perpetrato nell’Università centroamericana di San Salvador il 16 novembre 1989. In questa presa di posizione i gesuiti spagnoli dichiarano che, d’accordo con i superiori gesuiti di El Salvador, è da preferirsi che sia fatta giustizia non all’esterno ma all’interno del Paese. Nella nota si afferma: “Non siamo favorevoli all’apertura del caso in Spagna. Tuttavia, se i familiari delle vittime (cinque delle quali erano di origine spagnola) volessero iniziare il processo presso il tribunale di Madrid, riteniamo legittimo il loro diritto e in questo caso saremmo pronti ad offrire l’aiuto necessario”. Nell’attentato all’Università Centroamericana di San Salvador furono uccisi sei gesuiti e una donna con la figlia di 15 anni. Nel 1991, nel processo indetto contro nove militari, due di loro furono condannati a 30 anni, mentre gli altri furono assolti. In seguito all’amnistia approvata dal Parlamento nel 1993, durante il governo di Alfredo Cristiani, i due condannati riacquistarono la libertà. Voci critiche contro il modo in cui si é celebrato il giudizio e contro la legge di amnistia si sono alzate non solo in El Salvador ma anche all’estero e in importanti organismi internazionali per la difesa dei diritti umani. Nel 2000 i gesuiti hanno chiesto ufficialmente la riapertura del processo aggiungendo altri imputati tra i quali anche Alfredo Cristiani ed alti esponenti dell’esercito del Salvador. Ma la giustizia salvadoregna ha respinto questa richiesta. Infine, nel 2006, i gesuiti hanno fatto appello presso la Commissione Interamericana dei diritti umani della OEA, e sono ancora in attesa del suo verdetto. L’ultima proposta di riapertura del processo, presentata il 13 novembre scorso da due organismi per la tutela dei diritti umani su richiesta dei familiari delle vittime di origine spagnola, é stata accolta come valida dal tribunale di Madrid, il 13 gennaio. In questo processo sono imputati 14 militari dell’esercito del Salvador. (A cura di Ignacio Arregui)

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    Impegno della Chiesa per la lotta al narcotraffico nelle Filippine

    ◊   “La Chiesa cattolica è pronta a fare la sua parte attraverso gli organismi diocesani e i responsabili degli istituti scolastici gestiti dai religiosi per mettere in guardia i giovani sulle tentazioni offerte da chi con lo spaccio delle droghe persegue finalità d'interesse personali contrarie al bene comune”. Con queste parole, riportate dall'Agenzia Misna, monsignor Angel Lagdameo, arcivescovo di Jaro e presidente della Conferenza episcopale filippina, sottolinea l’impegno che la Chiesa ha preso per combattere il narcotraffico nel Paese. Facendo riferimento alla scandalo causato dalle intercettazioni telefoniche tra due alte cariche dello stato, sul mancato rilascio di tre noti narcotrafficanti, il presule ha suggerito al presidente delle Filippine Gloria Macapagal-Arroyo, che si è detta impegnata nella lotta, di porre al servizio della 'Philippine drug enforcement agency' (Pdea) persone in cui riporre la massima fiducia e di provata onestà. I tempi saranno lunghi, ma le autorità e la chiesa si impegneranno per sradicare il traffico della droga nel Paese. (F.C.)

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    India: varato il network nazionale della comunicazione delle Università cattoliche

    ◊   Cinque Facoltà di giornalismo e comunicazione fra i 36 College cattolici dell’India hanno costituito un network nazionale del settore, chiamato “EducomnetIndia”. L’iniziativa vuole promuovere la collaborazione ed il coordinamento fra le diverse Università del Paese, per lavorare su temi comuni con una maggiore efficienza. Il network è stato varato il 7 gennaio scorso, al termine di un meeting di due giorni, tenuto a New Delhi dalle Facoltà di comunicazione cattoliche indiane ed organizzato dalla Commissione per le Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale locale. “L’obiettivo del network – si legge in una nota – comprende, tra l’altro, l’avvio di maggiori scambi professionali tra docenti e studenti, la stesura di libri sulla comunicazione e l’organizzazione di seminari nazionali sullo stesso tema”. Prossimamente, “EducomnetIndia” inaugurerà un sito web, grazie al quale tutte le università del Paese potranno condividere informazioni. Da notare, inoltre, che sebbene si tratti di un’iniziativa dei College cattolici, il network verrà aperto a tutte le Università di comunicazione dell’India che vorranno iscriversi. Annunciato, infine, per la metà del 2009, un meeting dei direttori delle Facoltà di comunicazione e giornalismo, per tracciare un piano operativo comune. (I.P.)

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    Sri Lanka: cattolici in festa per il beato Joseph Vaz

    ◊   Sono iniziate nello Sri Lanka le celebrazioni del 298esimo anniversario della morte di padre Joseph Vaz, conosciuto nel Paese come “l’apostolo dello Sri Lanka”. Beatificato da Giovanni Paolo II durante la sua visita all’isola nel 1995, i devoti sperano ora nella canonizzazione in vista del 300° anniversario della sua morte. La messa solenne celebrata da mons. Cletus Chandrasiri Perera, vescovo di Ratnapura e da mons. Anthony Leopold Raymond Peiris, vescovo di Kurunegala, è stata ospitata nel santuario dedicato al Beato, nel villaggio di Maha Galgamuwa, diocesi di Kurunegala, dove  Joseph Vaz ha vissuto per diversi anni. Padre Joseph Vaz nasce nel 1651 nell’allora colonia portoghese di Goa, nel 1676 diventa sacerdote entrando nella congregazione di San Filippo Neri. Nel 1687 arriva nello Sri Lanka, dove vi rimane per 24 anni percorrendola in lungo e in largo, sino alla morte avvenuta nel 1711. Grazie alla sua opera di “missionario cristiano” sono nati, nello Sri Lanka, come scrive l'Agenzia AsiaNews, un catechismo, una summa della dottrina cattolica, testi devozionali e litanie alla Madonna che il beato scrisse nelle lingua sinhala e tamil. Mons. Perera durante la celebrazione ha sottolineato che “le prove e le difficoltà attraversate da padre Vaz sono simili a quelle che i cristiani dell’isola vivono oggi”. Il presidente del segretariato nazionale per la canonizzazione del beato, mons. Joseph Vianney Fernando, vescovo di Kandy ha presentato ai fedeli il programma in vista del 300° anniversario, affermando che “il principale obiettivo del programma di preparazione è un profondo rinnovamento della fede”, e ha invitato i fedeli ad imitare il beato Joseph Vaz “nel suo profondo amore per Gesù ed nel suo imparagonabile zelo missionario”. (F.C.)

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    Benin: protocollo d’intesa per l’emittenza radiotelevisiva cattolica

    ◊   Un protocollo d’intesa per la direzione e la gestione dell’emittenza radiotelevisiva cattolica su tutto il territorio nazionale è stato firmato dalla Conferenza episcopale del Benin e dai Frati Francescani dell’Immacolata. Presenti in Benin dalla fine del 1991, l’istituto dei Francescani dell’Immacolata ha creato nel 1998 l’emittente radiofonica Radio Immaculé Conception, divenuta in breve tempo uno dei principali strumenti informativi del Paese grazie a diversi ponti in modulazione di frequenza che ne permettono la diffusione. Scopo della radio – si legge in un comunicato giunto alla Misna – è l’informazione e la formazione alla luce dei valori eterni ed universali del Vangelo affinché”. In base all’accordo, l’istituto religioso si prepara ora a lanciare una stazione televisiva che per la sua programmazione attingerà al materiale prodotto dall’emittente radiofonica. “La ‘buona notizia’ – prosegue il comunicato – passa attraverso la formazione di coscienze libere e responsabili, nella verità: è questo che offre il vero sviluppo dei popoli”. (A.L.)

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    Appello del Parlamento europeo per il rilascio delle due suore rapite in Somalia

    ◊   “Condannare il rapimento delle due suore cattoliche”, Maria Teresa Olivero e Caterina Giraudo, e “adoperarsi per accelerarne il rilascio”, prevenendo ulteriori rapimenti. La richiesta è indirizzata dal Parlamento europeo al governo somalo. L’appello che giunge da Strasburgo – rende noto il Sir - è contenuto in una risoluzione sulla situazione nel Corno d’Africa. Nel documento si sollecitano anche Etiopia ed Eritrea a “cooperare con le organizzazioni umanitarie e a garantire i diritti dell’uomo e la libertà di stampa e di espressione”. La risoluzione, approvata con 570 voti favorevoli, 11 contrari e 27 astensioni, condanna “gli attacchi sempre più frequenti contro operatori umanitari avvenuti negli ultimi mesi”. Attacchi che hanno gravemente ostacolato la distribuzione degli aiuti contribuendo “a peggiorare la situazione umanitaria in Somalia”. Allo stesso tempo, l’Eurocamera chiede al Consiglio e alla Commissione di continuare “il loro lavoro in favore del potenziamento delle istituzioni somale, dell’attuazione dell’accordo di pace di Gibuti e degli sforzi dell’autorità intergovernativa per lo sviluppo nel processo di pace”. (A.L.)

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    Mario Mauro nominato rappresentante dell’Osce contro le discriminazioni

    ◊   Nella giornata di ieri, Mario Mauro, è stato nominato Rappresentante personale della Presidenza dell’OSCE (Consiglio permanente dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) per la promozione della tolleranza e la lotta al razzismo ed alla xenofobia, con particolare attenzione per la discriminazione contro i cristiani e i membri delle altre religioni. Lo ha annunciato ieri il Presidente, Dora Bakoyannis, Ministro degli Esteri greco. “Sarà mio sforzo – ha detto Mario Mauro all’Agenzia Zenit – adoperarmi per continuare la battaglia per sconfiggere l'intolleranza e la discriminazione religiosa”. Già vicepresidente del Parlamento europeo con delega ai rapporti con le chiese e le altre comunità religiose, Mario Mauro, si era occupato del tema della discriminazione, presentando una risoluzione in cui chiedeva di mettere fine alla persecuzione dei cristiani nel mondo. “L'OSCE – ha commentato Mario Mauro – è stata forse la prima Organizzazione internazionale a comprendere che la promozione della libertà religiosa, come degli altri diritti umani, giova alla sicurezza e alla stabilità internazionale”. (F.C.)

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    Prima Bibbia interconfessionale in castigliano

    ◊   E’ stata presentata all’Università Pontificia di Salamanca, dopo 30 anni di lavoro, la prima Bibbia interconfessionale in castigliano. Esperti cattolici e protestanti hanno tradotto la Bibbia partendo dalle lingue originali ebraica, aramaica e greca. Per la prima volta nella storia - sottolinea L’Osservatore Romano - tutti i cristiani che parlano spagnolo avranno a disposizione un medesimo testo di riferimento, comunemente accettato nelle diverse posizioni teologiche. La principale difficoltà – hanno spiegato gli studiosi – ha riguardato le differenze nella presentazione e nell’introduzione delle note e nelle indicazioni dottrinali. Il testo, di 2200 pagine, include un vocabolario di termini biblici ed una cronologia storico letteraria. Contiene anche tavole di equivalenza riguardanti pesi, misure e monete, una descrizione del calendario ebraico e mappe di orientamento sui luoghi dove si sono succeduti gli eventi narrati nella Bibbia. Secondo il teologo Josè Manuel Sánchez Caro, docente di teologia all’Università pontificia di Salamanca, la Bibbia interconfessionale in lingua castigliana è “una pietra miliare” ed “uno dei grandi avvenimenti nella storia della Chiesa spagnola”. Per il biblista e teologo protestante Josè Luis Andavert nella traduzione “non si sono avute grandi differenze” sebbene, nella nuova pubblicazione, le note, i commenti e le introduzioni “non sono di carattere confessionale ma storico, linguistico e letterario”. In Spagna la Bibbia interconfessionale in castigliano si aggiunge alle edizioni nelle lingue regionali catalana e basca. In America Latina già esiste una versione in spagnolo. (A.L.)

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    Nuovo invito della Caritas ad intensificare l’attenzione sui temi della povertà e della pace

    ◊   Si è riunita ieri la Consulta ecclesiale nazionale degli organismi socio-assistenziali. La Consulta, presieduta dalla Caritas Italiana, è uno strumento di coordinamento di circa 20 realtà socio-assistenziali d’ispirazione cristiana presenti sul territorio nazionale. Mons. Giuseppe Merisi, presidente di Caritas Italiana, ha aperto i lavori con un richiamo al Messaggio del Papa per la giornata mondiale della pace e con un invito a tradurre la “lotta alla povertà” nel contesto del nostro Paese e del nostro territorio, con l’attenzione alle antiche e alle nuove povertà, anche quelle immateriali. “Parlare di pace e povertà – ha aggiunto mons. Merisi – significa guardare alla crisi mediorientale e alla guerra di Gaza con gli occhi di chi, prima che alle ragioni addotte da ciascuno, sa guardare alla sofferenza e al dolore immane che chiede vicinanza e aiuto, oltre che pace e giustizia”. Il presidente – si legge inoltre nel comunicato di Caritas italiana - ha poi toccato il tema della crisi economica e finanziaria: “Occorre maggiore impegno per la solidarietà, per la sobrietà, nella logica di un più efficace governo della globalizzazione. Sul territorio ogni realtà partecipi alle iniziative nei confronti delle famiglie colpite dalla crisi”. Dopo questo invito, mons. Merisi, in vista anche della giornata ecclesiale dei Migranti di domenica prossima, si è soffermato sul tema dell’immigrazione che “chiede maggior impegno da parte di tutti nella logica più volte richiamata dell’accoglienza e della legalità”. Mons. Merisi – facendo appello infine alla necessità di rilancio del volontariato come base indispensabile per un serio lavoro di formazione alla giustizia e alla solidarietà - ha esortato “ogni realtà presente nella Consulta, a livello nazionale, regionale e diocesano, a sentire il carico e la responsabilità della partecipazione e del coordinamento possibile, con riferimento alle responsabilità ecclesiali e alle altre realtà di ispirazione cristiana presenti sul territorio”. (A.L.)

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    Rapporto 2008 dell’associazione Meter sulla pedopornografia: allarme per i social network

    ◊   Sono stati 2.850 i siti pedopornografici segnalati nel 2008. E’ quanto emerge dal Rapporto 2008 dall’associazione Meter, presieduta da don Fortunato di Noto. Nello studio si sottolinea che i pedofili di tutto il mondo utilizzano in modo sempre più esponenziali le cosiddette “social network”. Attraverso questi sistemi di rete, vengono divulgati, video, foto e link. E’ sempre più diffusa anche la piaga della pedofilia culturale, con siti dedicati alla “giustificazione” da un presunto punto di vista storico-sociale della violenza sessuale sui minori. La proposta di legge contro la pedofilia culturale è in attesa di essere discussa alla commissione Giustizia e la sua approvazione sbloccherebbe tantissime indagini su altrettanti soggetti che istigano alla pedofilia. “Abbiamo scelto, da un punto di vista operativo di mirare la nostra ricerca per il buon fine della segnalazione e i risultati sono evidenti” ha dichiarato don Fortunato di Noto. “E’ impressionante come l'età delle piccole vittime si abbassi sempre di più facendo emergere la sostanziale difficoltà nell'individuare i bambini. I pedofili – ha concluso - si organizzano sempre più e il fenomeno è di una gravità enorme e indicibile per la crudeltà e la violenza che viene perpetrata ai bambini”. (A.L.)

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    A Manhattan atterraggio di emergenza di un aereo. Tutti in salvo i passeggeri

    ◊   Si sono salvati tutti, miracolosamente, per merito dell’abilità e dell’eroismo dei due piloti, i 150 passeggeri a bordo di un Airbus A320 dell’Us Airways. Hanno raccontato che l’aereo era appena decollato dall’aeroporto newyorkese di La Guardia quando entrambi i motori si sono bloccati, a causa di uno stormo di oche. Non potendo tornare in tempo alla pista, il pilota ha puntato verso il fiume Hudson e con grande abilità, visto il poco tempo a disposizione, è riuscito a posarsi in maniera morbida sul fiume che separa Manhattan dal New Jersy, nei pressi della 48.ma strada e scivolando poi a sud fino all’altezza della 23.ma. Il velivolo ha galleggiato sulle acque gelide del fiume, si stima otto gradi sotto zero, lasciando il tempo, ai numerosi traghetti in servizio nell’area, di portare i passeggeri in salvo. L’acqua ha immediatamente raggiunto i finestrini fino a metà, facendo temere il peggio ma le operazioni di evacuazione si sono concluse in modo veloce. (Da New York, Elena Molinari)

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    24 Ore nel Mondo



    Tregua difficile a Gaza: braccio di ferro tra Israele e Hamas

    ◊   No di Hamas alle modifiche proposte da Israele per un cessate-il-fuoco. Si complica nuovamente il cammino verso la tregua invocata oggi ancora una volta dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che spinge anche per una sospensione degli attacchi unilaterali da parte di Israele. Prosegue intanto l’attività diplomatica, ma non si fermano nemmeno i raid israeliani. Sale ancora il bilancio delle vittime: secondo fonti palestinesi, sono 1.133 i morti e i feriti almeno 5.150. Una vittima palestinese si conta anche negli scontri a Hebron, in Cisgiordania, durante una manifestazione di protesta contro l’offensiva israeliana. Il servizio di Benedetta Capelli:


    Da tre giorni in Medio Oriente, Ban Ki-moon ha rinnovato anche oggi il suo appello per una tregua stavolta unilaterale da parte di Israele. Il numero uno del Palazzo di Vetro non ha mancato di ribadire che un cessate-il-fuoco è vicino. Una dichiarazione ottimistica - probabilmente frutto della febbrile attività diplomatica in corso - e dopo l’annuncio del portavoce del premier israeliano Olmert, secondo il quale l’offensiva lanciata tre settimane fa sarebbe entrata nella fase finale. Ad appesantire il clima c’è il "no" israeliano al cessate-il-fuoco di un anno proposto da Hamas - lo Stato ebraico vorrebbe una tregua senza limiti - in cambio del ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza e la futura gestione dei valichi che il governo Olmert vorrebbe sotto il controllo delle forze di sicurezza dell'Autorità nazionale palestinese (Anp). Un punto sul quale anche l’Egitto sta premendo, incontrando però le resistenze del movimento integralista. A Doha, dove si è aperta una riunione dei dirigenti arabi alla quale partecipa il presidente iraniano Ahmadinejad, il leader in esilio di Hamas, Meshaal, ha respinto le modifiche di tregua proposte da Israele ed ha invitato i Paesi arabi a tagliare ogni relazione con lo Stato ebraico. Nell’ambito della stessa riunione, il presidente siriano, Bashar el Assad, ha chiesto ai Paesi arabi, in particolare Egitto e Giordania, di chiudere le ambasciate di Israele nelle loro capitali. Intanto, anche la diplomazia israeliana fa i suoi passi: al Cairo è atteso nuovamente l'emissario israeliano, Amos Gilad, mentre a Washington è volata il ministro degli Esteri, Tzipi Livni. Sul terreno proseguono i raid israeliani nella Striscia: 23 i corpi recuperati tra le macerie di un edificio colpito ieri durante violenti combattimenti.

     
    Ucraina - crisi gas
    E’ previsto per oggi, a Kiev, un vertice tra l’Ucraina e alcuni Paesi dell'Est europeo sulla crisi del gas. Un summit convocato alla vigilia della riunione di domani a Mosca, alla quale prenderanno parte anche i leader europei. Bruxelles ha però avvertito le parti che una soluzione va trovata entro il fine settimana. Per il presidente russo, Medvedev, la crisi del gas è andata oltre lo scontro tra Mosca e Kiev pertanto è cruciale la partecipazione dell’Europa nel dipanare il conflitto.

    Bce-economia
    Dopo la riduzione del costo del denaro, decisa ieri, il presidente della Banca centrale europea (Bce), Jean Claude Trichet, ha annunciato che non si sta pensando di adottare una politica a tassi zero come ha fatto la Federal Reserve ma che i tassi scenderanno ancora a marzo. Intanto, oggi, a Bruxelles è prevista una riunione dei ministri europei dell’Industria sulla crisi che ha colpito il settore dell’auto.

    Iraq-violenza
    Neppure l’Iraq riesce a trovare la pacificazione definitiva. Ai continui attentati, che colpiscono indistintamente tutta la popolazione, si aggiungono le violenze contro la minoranza cristiana: il corpo senza vita di un uomo, un cristiano di 36 anni, è stato rinvenuto ieri a Mosul, nel nord. Fonti di AsiaNews confermano che si è trattato di una vera e propria esecuzione e denunciano anche il sequestro di un altro componente della comunità locale, poi liberato dietro pagamento di un riscatto. Sulla situazione nel Paese del Golfo, ascoltiamo don Renato Sacco, delegato per l’Iraq di Pax Christi, movimento internazionale da sempre impegnato per la pace, intervistato da Giada Aquilino:


    R. - Le notizie che io ho sono, da una parte, quelle di un’apparente tranquillità, dall’altra ho notizie di uccisioni e sequestri. Mosul è diventata il covo di tutti coloro che sono fuggiti, ad esempio da Falluja, ed è quindi una roccaforte. In più, ci sono i propositi di una divisione dell’Iraq in Stato sunnita, sciita e curdo. E’ nata questa possibilità - per fortuna non molto caldeggiata - di farne come l'enclave cristiana della piana di Ninive. Una soluzione che porterebbe ad una radicalizzazione di ogni estremismo. Mi sembra che anche le notizie di questi giorni, da Gaza e dalla Terra Santa, ci dicano che quando scendono in campo la violenza e l’estremismo, la dignità della persona viene annientata. Io invece credo che questo rischio di far pagare un conto alto ci chiede di essere ancora più vicini, di condannare ogni violenza. La violenza semina sempre violenza. E l’Iraq non è certo il terreno più tranquillo. Queste notizie non faranno che aumentare la diffidenza e l’odio. Per cui c’è davvero da sperare che non vi sia una ripercussione e che la scelta della guerra non ricada violentemente sui più deboli, come sempre succede.

     
    D. - E c’è da dire che l’instabilità irachena non riguarda soltanto i cristiani, ma tutti i civili...

     
    R. - Le vittime, i rapimenti, i profughi, la quotidianità della vita faticosa, riguarda un gran numero di persone. Le notizie che ho proprio di questi giorni mi dicono che a Baghdad la situazione va migliorando, si può anche uscire di casa. Certo, c'è la fatica di racimolare le cose per vivere, ci sono i costi alti della benzina o del gas e questi riguardano purtroppo tutti.

    Usa-Bush
    I successi nella lotta al terrorismo e l’aiuto dato alle democrazie di Afghanistan e Iraq. Sono i due temi affrontati ieri dal presidente americano, George W. Bush, nel suo discorso d'addio alla nazione e a pochi giorni dall’insediamento alla Casa Bianca di Barack Obama. Parlando agli Stati Uniti, Bush non ha negato di aver commesso errori. Da New York, Elena Molinari:


    “Lascio un’America più sicura ed un mondo più libero di come li ho trovati”: George Bush dice addio alla nazione, e lo fa ammettendo di aver commesso errori. “Ci sono cose che farei diversamente, se ne avessi la possibilità”, ha detto. Ma, subito dopo, ha rivendicato di aver sempre agito nel miglior interesse della nazione. Dopo un accenno alla storicità dell’elezione di Barack Obama, che ha descritto come un momento di speranza e orgoglio per l’intera nazione, Bush si è preoccupato soprattutto di scrivere una prima versione della storia della sua presidenza, sottolineandone i meriti. In particolare, quello di aver difeso per sette anni il territorio americano dalla violenza dei terroristi. Bush ha spiegato che l’11 settembre 2001 ha cambiato per sempre la sua vita: “Col passare degli anni - ha detto - gran parte degli americani sono riusciti a riprendere la vita com’era prima”, ma "questo non è mai successo a me”. Quindi ha ammonito il suo successore: “La più grave minaccia per gli americani resta quella di un attacco terroristico”.

    Filippine-sequestro
    Le autorità filippine avrebbero identificato alcuni sequestratori facenti parte del commando che ieri ha rapito i tre funzionari della Croce Rossa internazionale - un italiano, uno svizzero e un filippino - sequestrati mentre si trovavano su una strada provinciale dell'isola di Jolo, nel sudovest del Paese. Fra loro, anche una guardia carceraria del centro di detenzione di Patikul, visitato dai tre poco prima del rapimento. Nessuna notizia sulla condizione degli ostaggi e nemmeno sul luogo dove sono tenuti: per le autorità di Manila non sarebbe nemmeno certo il coinvolgimento del movimento di Abu Sayyaf, gruppo islamico legato ad al Qaeda che proprio a Jolo ha una delle sue roccaforti.

    Italia-Eluana Englaro
    In un comunicato, la casa di cura "Città di Udine" ha annunciato la sua rinuncia ad accogliere nella struttura Eluana Englaro - la donna da 14 anni in stato vegetativo - per attuare la sentenza della Corte di Cassazione che autorizza la sospensione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale. "Le ragioni di questa decisione - prosegue la nota - sono da ascriversi alla disamina circa il 'groviglio' di norme amministrative e la possibile sovrapposizione di competenze esistenti tra Stato e Regioni".

    Pirateria
    Il 2008 è stato l’anno che ha fatto segnare il record dei casi di pirateria. Sono 293 le navi attaccate, 49 quelle sequestrate e 889 i membri di equipaggio presi in ostaggio, di cui 21 uccisi. Lo rende noto l'Ufficio marittimo internazionale. Il Golfo di Aden, che si trova nell'oceano indiano tra Yemen e Somalia, è il posto in cui si sono verificati più attacchi. Solo in questa zona, sono state 42 le navi prese d'assalto e 815 i membri degli equipaggi ancora tenuti in ostaggio. Rispetto agli anni passati, i predoni del mare sembrano molto più preparati, meglio armati e molto più violenti. Nonostante la presenza di unità da guerra della comunità internazionale, i pirati hanno continuato le loro azioni. Oggi, intanto, è stato rilasciato, dopo il pagamento di un riscatto, il cargo danese “Cec Future”, sequestrato in novembre. (Panoramica internazionale a cura di Benedetta Capelli)
       
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 16

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