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Sommario del 26/12/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all’Angelus: il martirio di Santo Stefano esempio di amore che non si arrende alla violenza. Sostegno ai cristiani che soffrono per la fede
  • Santo Stefano, la fierezza di essere un cristiano. Intervista con mons. Michele Masciarelli
  • La solidarietà a Benedetto XVI, dopo l'incidente della notte di Natale. Previsto per domani l'intervento chirurgico al cardinale Etchegaray
  • Vigilia e attesa per il pranzo del Papa con i poveri della mensa romana gestita dalla Comunità di Sant'Egidio
  • Oggi in Primo Piano

  • Sulle orme di Santo Stefano: martiri e testimoni del Vangelo nel XXI secolo
  • Domani la Messa per la famiglia cristiana a Madrid. I fedeli salutati dal Papa all'Angelus da Piazza San Pietro
  • Commozione e preghiere a cinque anni dalla catastrofe dello "tsunami"
  • Il commento del teologo don Massimo Serretti al Vangelo della domenica nella Festa della Santa Famiglia
  • Chiesa e Società

  • Guarita dal cancro per intercessione della Beata Mary MacKillop, prima futura Santa d'Australia
  • Cina: due seminaristi a Macao, i primi dopo 17 anni
  • Unitalsi e “Fondazione Giovanni Paolo II” insieme per il primo ospedale pediatrico in Palestina
  • Il governo britannico apprezza il contributo delle scuole cattoliche al sistema educativo del Paese
  • Usa, campagna per l’aumento degli studenti ispanici nelle scuole cattoliche
  • Malaysia, attesa la sentenza sul ricorso della Chiesa circa l'utilizzo del termine “Allah”
  • La Comunità Papa Giovanni XXIII promuove un sms solidale per dare un pasto ai più bisognosi
  • 24 Ore nel Mondo

  • Fallisce attentato su un volo statunitense. Si indaga sul giovane attentatore che confessa legami con al-Qaeda
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all’Angelus: il martirio di Santo Stefano esempio di amore che non si arrende alla violenza. Sostegno ai cristiani che soffrono per la fede

    ◊   Il martirio di Santo Stefano, che la Chiesa ricorda e celebra nella liturgia di oggi, testimonia il senso più profondo del Natale: l’affermazione di una “civiltà dell’amore” più forte del male e della violenza. Con questo pensiero, Benedetto XVI ha accompagnato questa mattina la recita dell’Angelus, durante la quale ha avuto parole di incoraggiamento per quei “tanti credenti” che, ha detto, nel mondo soffrono a causa della fede. Il servizio di Alessandro De Carolis:

    Vivere senza senso - quasi un’esistenza “morta” - o vivere per Cristo sapendo con "certezza", anche se la fede costasse la morte, di aver scelto “la parte migliore della vita”. Due rive opposte, sulle quali il Papa colloca, da un lato, una parte della gente dei nostri tempi e dall’altro la figura del martire per eccellenza, il diacono Stefano. Il suo sacrificio, ha affermato Benedetto XVI all’Angelus, ci aiuta a capire meglio il Natale, la “meravigliosa grandezza” della nascita di Gesù:

     
    “Colui che vagisce nella mangiatoia, infatti, è il Figlio di Dio fatto uomo, che ci chiede di testimoniare con coraggio il suo Vangelo, come ha fatto Santo Stefano il quale, pieno di Spirito Santo, non ha esitato a dare la vita per amore del suo Signore. Egli, come il suo Maestro, muore perdonando i propri persecutori e ci fa comprendere come l’ingresso del Figlio di Dio nel mondo dia origine ad una nuova civiltà, la civiltà dell’amore, che non si arrende di fronte al male e alla violenza e abbatte le barriere tra gli uomini, rendendoli fratelli nella grande famiglia dei figli di Dio”.
     
    Stefano, ha detto il Papa alle molte persone radunatesi in Piazza San Pietro nonostante la pioggia, è un “modello” di cristiano perché, in quanto diacono, si apre all’accoglienza dei poveri, che resta -ha ripetuto il Pontefice – “una delle vie privilegiate per vivere il Vangelo e testimoniare agli uomini in modo credibile il Regno di Dio che viene”:

     
    “La testimonianza di Stefano, come quella dei martiri cristiani, indica ai nostri contemporanei spesso distratti e disorientati, su chi debbano porre la propria fiducia per dar senso alla vita. Il martire, infatti, è colui che muore con la certezza di sapersi amato da Dio e, nulla anteponendo all’amore di Cristo, sa di aver scelto la parte migliore”.
     
    Ancora, ha osservato Benedetto XVI, la Festa di Santo Stefano “ci ricorda anche i tanti credenti, che in varie parti del mondo, sono sottoposti a prove e sofferenze a causa della loro fede”. “Impegniamoci - ha esortato il Papa - a sostenerli con la preghiera e a non venir mai meno alla nostra vocazione cristiana". Dopo la recita dell'Angelus, il Pontefice ha salutato i fedeli in sei lingue, concludendo con queste parole in lingua italiana:

     
    “Auguro che la sosta di questi giorni presso il presepio per ammirare Maria e Giuseppe accanto al Bambino, possa suscitare in tutti un rinnovato impegno di amore vicendevole e di reciproca comprensione, affinché all’interno delle famiglie e dell’intera Nazione si viva quel clima di intesa e di comunione che tanto giova al bene comune. Buona festa a voi tutti!”.

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    Santo Stefano, la fierezza di essere un cristiano. Intervista con mons. Michele Masciarelli

    ◊   Coraggio e mitezza, orgoglio per la propria identità di cristiano e capacità di perdono fino all'ultimo istante del sacrificio più estremo: c'è tutto questo in Santo Stefano che affronta il martirio per Cristo. Al microfono di Federico Piana, ne parla mons. Michele Giulio Masciarelli, docente alla Pontificia Facoltà Teologica Marianum e all’Istituto teologico abruzzese-molisano di Chieti:

    R. - E’ il primo che testimonia la fedeltà a Cristo. E’ significativo che proprio a ridosso del Natale cada la festività di Santo Stefano. San Fulgenzio di Ruspe dice: “Ieri il nostro re, rivestito della carne, è uscito dal seno della Vergine e si è degnato di visitare il mondo; oggi il combattente uscito dalla tenda del suo corpo, è salito trionfante in cielo”. Dunque, c’è una omogeneità di mistero fra la festa di Santo Stefano e l’evento dell’Incarnazione. Direi che la figura di Stefano è anche molto attuale: Giovanni Paolo II parlava del Novecento come del secolo dei martiri: ci sono più santi oggi che nella prima ora del cristianesimo, e questo è impressionante. E’ impressionante come in una società come la nostra così gaudente, così frivola - che ha scelto l’effimero come cifra di riconoscimento - venga invece praticato questo cristianesimo severo, agonico, martiriale.

     
    D. - Santo Stefano è stato lapidato: una storia drammatica ma allo stesso tempo bellissima, perché ha testimoniato Cristo…

     
    R. - E’ un cristiano della prima ora, fiero di Cristo: si sente, questa fierezza, si sente la sua mitezza. E poi, è un testimone del perdono: è assai importante, questo. La cultura del perdono dovrebbe tornare ad essere un distintivo del cristianesimo. Stefano ci richiama a tanto. Il cristianesimo non può parlare di perdono solo negli intervalli tra un’epoca e l’altra segnata dai Giubilei: il cristianesimo dev’essere pensato come una religione sempre giubilare: cioè è una religione che, oltre al simbolo dell’itineranza, ha quello del perdono.

     
    D. - Nonostante tutto, Santo Stefano non recede mai dall’amore a Cristo, non lo rinnega pur sapendo di venire di lì a poco lapidato: dove sta la forza di Santo Stefano, di questo Santo così coraggioso?

     
    R. - La forza di Stefano è l’attrazione per il Cristo. Stefano si percepisce nei due capitoli degli Atti che lo riguardano, è profondamente attratto da Cristo. Questo è sempre attuale. Anche noi, nella nostra scelta educativa e nell’educazione che dobbiamo promuovere, non dobbiamo spingere il popolo cristiano dalle "spalle": è offensivo, questo. E' sbagliato anche per un insegnante sospingere l’alunno: dai, fai qualcosa, vai avanti... no. Il problema è attrarre dal davanti: presentare la bellezza di Gesù e di fronte a questa bellezza noi confidiamo che l’uomo non possa resistere. Il legame di amore così potente tra Cristo e Stefano e tra Stefano e Cristo fa sì che il martirio non venga evitato, ma accettato, sì con paura, ma anche con slancio amoroso. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    La solidarietà a Benedetto XVI, dopo l'incidente della notte di Natale. Previsto per domani l'intervento chirurgico al cardinale Etchegaray

    ◊   Numerosi messaggi di vicinanza e solidarietà da parte di autorità istituzionali e religiose hanno raggiunto Benedetto XVI lungo tutta la giornata di ieri, dopo l’incidente causato al Pontefice da una giovane affetta da disturbi psichici, la notte di Natale in San Pietro. In particolare, verso le 19 di ieri il Papa e il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, hanno avuto una conversazione telefonica, dopo che in precedenza il capo dello Stato aveva inviato a Benedetto XVI un messaggio di “affettuosa solidarietà”. “Vicinanza e gratitudine per la sua missione e la sua parola” sono stati espressi al Papa anche dal presidente dei vescovi italiani, il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco. E analoghe attestazioni sono arrivate dal presidente della Camera, Gianfranco Fini, dal presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno.

    L’onda di solidarietà, accompagnata dagli auguri di pronta guarigione, ha raggiunto anche il cardinale Roger Etchegaray, vice-decano del Collegio cardinalizio, che nel corso dell’incidente in San Pietro ha riportato la frattura del collo del femore destro. L’87.enne porporato si trova ricoverato al Policlinico Gemelli, dove ha ricevuto molte visite. Le sue condizioni generali “sono buone” e i medici - informa un comunicato del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi - provvedono a verificare che siano tali da procedere alla operazione che avverrà - a quanto oggi tutto lascia prevedere - domani mattina, domenica 27. Se tutto si svolgerà come previsto - prosegue la nota - la Sala Stampa vaticana rilascerà il comunicato medico sui risultati dell’operazione verso la fine della mattinata”. I visitatori, prosegue la nota, “testimoniano la serenità e l’ottimo morale del cardinale, che offre le sue preghiere per il Papa e attende con ottimismo l’intervento chirurgico”. Il comunicato conclude con un cenno alla “giovane autrice dell’incidente di giovedì sera”, la quale - si precisa - “rimane sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio”, mentre il suo caso “rimane sotto la competenza della magistratura vaticana”. Il Promotore di giustizia, afferma la nota ufficiale, “nei prossimi giorni dovrà prendere in considerazione i rapporti dei medici e della Gendarmeria vaticana, e alla luce di essi valutare gli eventuali successivi passi da compiere”. (A cura di Alessandro De Carolis)

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    Vigilia e attesa per il pranzo del Papa con i poveri della mensa romana gestita dalla Comunità di Sant'Egidio

    ◊   Domani, Festa della Sacra Famiglia, il Papa visiterà la Comunità di Sant’Egidio, nella sede di via Dandolo 10, per pranzare con i poveri. Un evento che ha creato un clima di particolare gioia tra gli amici della Comunità di Sant’Egidio. Grandi i preparativi che stanno precedendo questa giornata. Ma cosa rappresenta questo incontro con il Papa per la Comunità di Sant’Egidio? Tiziana Campisi lo ha chiesto ad Alberto Quattrucci:

    R. - Il fatto che il Papa si sieda a mensa con i poveri e con gli amici dei poveri, che sono i membri di Sant’Egidio, significa per noi un grosso sostegno, un grosso incoraggiamento alla vita della Comunità, a quell’amicizia con i poveri che ogni anno vede seduti alla mensa dei giorni di Natale oltre 100 mila fra zingari, barboni, anziani, gente che vive per strada insieme a noi.

     
    D. - Come vi siete preparati alla visita di Benedetto XVI?

     
    R. - Ci siamo preparati anzitutto annunciando l’evento, che è una gioia per tutti noi di Sant’Egidio ma anche una gioia per tanti poveri di vedere il Papa stare assieme a loro. Dunque, l’abbiamo comunicato a tanti. Poi, l’abbiamo preparato allestendo la mensa, preparando il pranzo di Natale come si rispetti in ogni grande famiglia: e la nostra famiglia è veramente grande, senza confini. Insomma, abbiamo preparato la festa in tutti i modi...

     
    D. - Come è nata l’idea di invitare Benedetto XVI a pranzo in una comunità di Sant’Egidio?

     
    R. - L’idea nasce dal senso del Natale, che è la festa della famiglia. Per noi, la famiglia sono le nostre famiglie ma c’è anche una grande famiglia, che è la famiglia di Gesù: la famiglia con tutti i poveri, con tutti coloro che hanno bisogno. E a questa mensa noi invitiamo tanti, di ogni livello, di ogni fascia sociale, tanti amici dei poveri… E allora, perché non invitare lui, il nostro vescovo di Roma, il Papa, che è grande amico dei poveri e lo ha ripetuto in tante occasioni, coinvolgendolo in una dimensione di testimonianza personale? Quindi, è un invito che nasce dal profondo del cuore di Sant’Egidio, e insieme dal gesto del pranzo di Natale che è la festa principale dell’anno dove si raccoglie tutta la famiglia.

     
    D. - Come ripartirà la Comunità di Sant’Egidio dopo la visita del Papa?

     
    R. - Ripartirà con una grande felicità, con una grande gioia, con un incoraggiamento in più: una gioia da comunicare a tanti e, in fondo, anche un esempio da comunicare a tanti, perché il sogno è quello di trovare sempre più compagni per i poveri, in ogni angolo del mondo. E poi ripartirà con il passo della pace: come ogni anno, il primo gennaio saremo in ogni città del mondo con la Giornata mondiale della pace. Cominceremo con manifestazioni, con momenti di preghiera, con momenti di assemblea sul tema della pace, sul messaggio del Papa di quest’anno. E’ un nuovo impegno: l’anno nuovo deve iniziare con il passo della pace.

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    Oggi in Primo Piano



    Sulle orme di Santo Stefano: martiri e testimoni del Vangelo nel XXI secolo

    ◊   Nella festa di Santo Stefano, primo martire, è bene ricordare che i cristiani ancora oggi sono la comunità più perseguitata nel mondo: si parla di 200 milioni di fedeli sottoposti ad attacchi, discriminazioni, limitazioni dei propri diritti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    L’annuncio del Vangelo in varie parti del mondo può essere visto come una provocazione, una sfida od un procedere controcorrente. Ci sono luoghi dove questo annuncio è intimamente legato alla storia della salvezza: essere testimoni nella Terra Santa, dove la Parola è sgorgata per ogni uomo, significa percorrere un itinerario di fede spesso segnato anche da sofferenze e discriminazioni. E’ quanto sottolinea da Gerusalemme linviato di Avvenire, Luigi Geninazzi:

     
    R. - Essere credenti qui, in questa terra, è una grande grazia, ma all'interno di una situazione di sofferenza che dura da parecchi anni. E’ una situazione tipica della popolazione della Terra Santa dove i cristiani, negli ultimi tempi, hanno qualche problema in più. Ci sono state anche violenze, intimidazioni contro le famiglie cristiane nella Striscia di Gaza, nella quale risiedono poco più di duemila fedeli. Tutto questo ci fa capire come in questa terra martoriata per i cristiani la situazione diventi sempre più difficile.

     
    D. - Quali sono i frutti ottenuti attraverso la testimonianza di quanti proclamano il Vangelo nei Luoghi Santi?

     
    R. - La testimonianza in questa terra è sempre stata molto presente: pur essendo una comunità numericamente ridotta, ci sono tantissimi segni a livello educativo, a livello di assistenza. Pensiamo alle scuole cristiane, nelle quali tanti musulmani vengono educati: questo è un seme di speranza, per il futuro. E’ il migliore antidoto contro la tentazione del fanatismo, dell’intolleranza e della violenza da parte dell’estremismo islamico. Sono segni che convivono, purtroppo, accanto a segnali di intolleranza diventati molto duri e pesanti, fino al martirio vero e proprio, come è successo in Iraq. Ma incominciano ad avvertirsi un po’ in varie parti del Medio Oriente.

     
    D. - In Medio Oriente, c’è un altro fenomeno che desta molta preoccupazione: la strumentalizzazione del martirio…

     
    R. - Si tratta dei cosiddetti shahid - i kamikaze - di parte islamica: questo è uno dei punti cruciali dei una pratica che, per fortuna - almeno qui in Palestina e in Israele - si è interrotta. Però, è chiaro che dello shahid, colui che sacrifica la propria vita contro il nemico, si sente ancora il mito. E’ molto forte e viene incoraggiato nella Striscia di Gaza dove comanda Hamas.
     In Europa, le radici cristiane sono oggi offuscate dalla secolarizzazione, da un preoccupante processo di allontanamento da Dio. Ai valori spirituali si contrappongono modelli di vita incentrati sul materialismo e sull’individualismo. Fulvio Scaglione, vicedirettore di “Famiglia cristiana”:

     
    R. - Se guardiamo al resto del mondo, ci rendiamo conto di quanto spirito evangelico veramente ci voglia oggi e di quanto bisogno abbiamo di tenere sempre presenti i grandi valori spirituali che il Vangelo ci ha trasmesso. Altrimenti, finiamo per essere travolti da questo ritmo del benessere che è una specie di "Kronos" che mangia i propri figli. Questa nostra società del benessere - che è una grande conquista - si alimenta instillandoci un bisogno al giorno, una dipendenza quotidiana. E quindi un grande messaggio di liberazione, come quello del Vangelo, è più prezioso.

     
    D. - Si deve evitare, quindi, il rischio non tanto di una mancanza di libertà religiosa, quanto di una dissolvenza religiosa. Spesso si tende in Europa a far sparire l’elemento spirituale…

     
    R. - Da questo punto di vista, credo che il secolarismo sia certamente il pericolo che abbiamo tutti presente. Però, sono anni che i "defensores fidei" abbondano. Bisogna fare un po’ d’attenzione, usare un minimo di discernimento, perché non si possono adorare gli idoli e venerare il Crocifisso a settimane alterne. Il Vangelo ci insegna cose precise. Il Vangelo è apertura a tutti, agli altri. E questa non è un’opzione: questo è un valore ben preciso.

     
    L’Africa, terra di missione scossa dalla povertà e da varie forme di corruzione, richiede una costante traduzione del Vangelo nella quotidianità. Schierarsi dalla parte dei poveri significa per molti missionari esporsi ogni giorno a rischi che possono avere anche conseguenze drammatiche. Sulla testimonianza di quanti proclamano il Vangelo in Africa, l'opinione del missionario comboniano, padre Giulio Albanese:

     
    R. - E’ testimonianza allo stato puro. Questo significa essere al fianco dei poveri, di coloro che vivono nei cosiddetti bassifondi della storia, nelle periferie del villaggio globale. In Africa, tutto questo ha un significato particolare, soprattutto se si pensa al caro prezzo pagato dalle Chiese locali in molte circostanze. Pensiamo al Sudan meridionale, alla Repubblica Democratica del Congo, tutti scenari che ancora oggi sono infuocati. Direi che la differenza sostanziale, rispetto alla Chiesa dei primi secoli, è che oggi in molte circostanze i missionari - religiose, religiosi, sacerdoti "fidei donum", volontari, ma anche tanti laici, sacerdoti diocesani locali - pagano il prezzo della testimonianza: innanzitutto e soprattutto, perché hanno fatto la scelta di difendere i diritti umani, di difendere la sacralità della vita umana nel suo complesso. Pagano questo prezzo perché vedono, innanzitutto e soprattutto nei poveri, l’immagine del Cristo Crocifisso: i poveri che sono davvero l’icona di Cristo nella società contemporanea.

     
    D. - Qualche storia emblematica sul senso del martirio in Africa…

     
    R. - Testimonianze più emblematiche ci vengono proprio da quelle realtà che sono una sorta di linea di faglia tra gli opposti schieramenti. Penso a tanti missionari che, per esempio, in un contesto come è quello dell’ex Zaire - il settore orientale della Repubblica Democratica del Congo - hanno fatto la scelta di rimanere. Mi vengono in mente, per esempio, i Missionari Saveriani, ma anche di altri Istituti che hanno deciso di rimanere al fianco della gente proprio perché di fatto la Chiesa è l’unica realtà, l’unica istituzione che li sostiene.

    Anche in America Latina, proclamare il Vangelo può portare alla persecuzione e al martirio. E un altro dramma, sempre più frequente, è quello della violenza comune che colpisce diversi missionari, vittime di rapine e agguati. Il giornalista cileno della nostra emittente, Luis Badilla:

     
    R. - Purtroppo, in l’America Latina nel 2009 ancora una volta la situazione, per quanto riguarda la vita dei missionari, è sempre critica. L’America Latina continua ad essere quella parte della Chiesa, quel territorio missionario dove più è pericoloso proclamare il Vangelo.

     
    D. - Quali sono le cause di queste violenze?

     
    R. - Questi missionari sono vittime - o sono stati vittime - o della violenza anti-religiosa, per la stragrande maggioranza, oppure della violenza comune, delinquenziale. Molti di questi sacerdoti hanno perso la vita per ciò che dicevano, per quello che proclamavano come pastori nelle loro chiese, all’interno delle comunità, nei loro Paesi, nel loro territorio di missione. Altri sono stati uccisi come un qualsiasi cittadino. Sono stati vittime della violenza comune che in America Latina negli ultimi anni è molto aumentata. Dobbiamo quindi distinguere in questo senso: da una parte, evidentemente c’è un odio alla fede, alla religione, alla Chiesa cattolica e al suo magistero e, soprattutto, ai suoi pastori. D’altra parte, anche i sacerdoti spesso subiscono le conseguenze della violenza comune, dei furti, degli agguati. Anche questo purtroppo fa parte della vita della Chiesa. E’ doloroso tanto quanto la violenza anti-religiosa.

     
    In Asia, infine, la mappa del martirio e della persecuzione contro i cristiani è alimentata soprattutto dalla mancanza di libertà religiosa e dal fondamentalismo. Padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews:

     
    R. - Si può dire che più di due terzi - credo - dei Paesi dell’Asia soffrano di mancanza di libertà religiosa. I cristiani ne fanno le spese. Ci sono degli Stati che limitano la libertà religiosa per legge. Ci sono casi come la Cina, il Vietnam, la Corea del Nord e ci sono invece aree dove, anche se ci sono Stati che riconoscono o garantiscono la libertà religiosa, c’è però una pressione sociale anticristiana. Per esempio, l’India, il Pakistan, l’Indonesia… E poi ci sono tutti i Paesi musulmani nei quali, effettivamente, c’è grande difficoltà da parte dei cristiani, perché ci sono sia leggi che limitano l’espressione religiosa, sia una mentalità diffusa se non di odio, di emarginazione verso i cristiani.

     
    D. - Ricordando alcune straordinarie figure di martiri in Asia del nostro tempo, quale eredità ci hanno lasciato?

     
    R. - Io ho incontrato un sacerdote che era stato condannato per 30 anni ai lavori forzati e quando è stato liberato, pur essendo anziano, ha continuato a fare catechismo nei villaggi del Guandong, nel Sud della Cina. Ha continuato la sua missione portando la sua gioia: una gioia della fede che è più forte delle sofferenze che aveva vissuto. La stessa cosa mi è capitato di vedere con alcuni cristiani indiani che sono stati torturati dai fondamentalisti indù in Orissa. Anche per loro la gioia e la voglia di fare missione è più grande anche del martirio che hanno subito. La vittoria di Cristo passa anche attraverso il martirio. E' più forte e produce molto più frutto che non l’odio di cui si è oggetto.

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    Domani la Messa per la famiglia cristiana a Madrid. I fedeli salutati dal Papa all'Angelus da Piazza San Pietro

    ◊   A mezzogiorno di domani, nella Plaza de Lima di Madrid, il cardinale arcivescovo della città, Antonio María Rouco Varela, presiderà la Messa per la famiglia cristiana nella ricorrenza liturgica della Santa Famiglia. La celebrazione si svolge all’insegna del motto “Il futuro dell’Europa passa per la famiglia”. La Santa Messa si apre con il saluto di Benedetto XVI rivolto ai partecipanti in videoconferenza da Piazza San Pietro, durante la preghiera domenicale dell’Angelus. Sullo scopo di questo incontro, Rafael Alvarez Taberner ha sentito uno degli organizzatori, mons. Juan Antonio Reig Pla, vescovo di Alcalá de Henares e presidente della Sottocommissione Famiglia e Vita della Conferenza episcopale spagnola:

    R. - Questo incontro di Madrid è una festa per la famiglia cristiana. Noi pensiamo che la famiglia sia il futuro dell’Europa e quindi anche della Spagna, perché le società sono quello che sono le sue famiglie. In particolare, penso che la famiglia cristiana sia una risposta che noi proponiamo alla libertà di coloro che ascoltano la nostra voce. La famiglia cristiana è una famiglia centrata sul matrimonio indissolubile e porta avanti con generosità il dono della vita. Pertanto, questo è il futuro della società, è il futuro della nostra civiltà cristiana. E pertanto, questa festa in piazza Lima a Madrid è un incontro-adorazione: un incontro per ascoltare l’intervento del Santo Padre dopo l’Angelus e anche una giornata di adorazione dell’Eucaristia, perché la festa della Sacra Famiglia, per noi, è la festa di tutto quello che rappresenta veramente le nostre radici cristiane. Penso sarà presente un milione di persone, in piazza de Lima: vengono da ogni Paesi dell’Europa. Si tratta di un incontro nel quale tutta la Chiesa sarà rappresentata, pastori e fedeli. Vogliamo veramente celebrare con gioia quello che abbiamo ricevuto come un dono del Signore. Per me, la cosa più importante è la famiglia, perché lì ho trovato la vita e la fede e questo vogliamo celebrarlo congiuntamente e fare festa: celebrare con gioia e pregare per il momento che sta vivendo l’Europa e in maniera particolare la Spagna.

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    Commozione e preghiere a cinque anni dalla catastrofe dello "tsunami"

    ◊   Cinque anni fa, il 26 dicembre del 2004, un terremoto di magnitudo nove della scala Richter innescò lo tsunami che devastò il sud est asiatico. Le vittime furono oltre 230 mila in 13 Paesi. Commemorazioni si sono svolte oggi in tutta l’Asia. Nella provincia di Aceh, tra le più colpite dalla tragedia, si è pregato nelle moschee e davanti alle fosse comuni. Il servizio è di Linda Giannattasio:

    Erano le 7.59 ora locale del 26 dicembre del 2004 quando un terremoto di magnitudo 9 della scala Richter - il peggiore degli ultimi 40 anni - colpì le coste dell'Oceano Indiano generando una gigantesca onda anomala, lo tsunami, che seminò morte e distruzione sulle coste di tutta l'Asia meridionale fino all'Africa orientale. In meno di un'ora, un muro d'acqua si abbattè sulle coste dello Sri Lanka e poi su quelle di Thailandia, Indonesia, India, Maldive, Malaysia e perfino Somalia e Nigeria. Un’onda che provocò la morte di almeno 230 mila persone in 13 Paesi. In Indonesia, dove le vittime accertate furono oltre 130 mila - il bilancio piu' grave tra tutti i Paesi investiti dal maremoto - la provincia più colpita fu quella di Aceh. Secondo il bilancio fornito il 26 dicembre 2005, un anno dopo il disastro, dai governi dei Paesi coinvolti nella catastrofe i morti sono oltre 229 mila, di cui circa 43 mila dispersi, ma le cifre esatte potrebbero essere verosimilmente superiori, e forse, non si sapranno mai. Oggi, a cinque anni di distanza da quella tragedia, tutta l’Asia ha commemorato quelle morti: nella provincia di Aceh si è pregato nelle moschee e davanti alle fosse comuni. A Ban Nam Khem, un piccolo villaggio thailandese dove si contarono oltre cinquemila morti, i monaci hanno intonato preghiere e canti in memoria delle vittime. Molti poi, sono tornati dove tutto è cominciato e hanno portato fiori davanti al mare, da sempre fonte di sostentamento per gli abitanti, ormai impresso nella memoria di quei giorni anche come la causa di dolore e morte.

     
    A cinque anni dalla catastrofe, grazie agli aiuti internazionali in molti contesti si registra un netto miglioramento delle condizioni di vita. Ma qual è oggi la situazione a Banda Aceh? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a mons. Aniceto Sinaga, arcivescovo di Medan in Indonesia:

    R. - Meglio di prima, molto meglio. La città di Aceh, ad esempio, non può essere più paragonata alla realtà del passato. Adesso la città di Aceh è diventata una città più moderna ed è molto migliorata. E’ anche molto più bella di prima, quando era un villaggio quasi dimenticato: adesso è una città viva, caratterizzata da allegria e libertà. Lo stesso volto urbano è totalmente cambiato, ora è come se non lo riconoscessi più, proprio come se fosse una città nuova, con una vita nuova. Umanamente parlando, appaiono migliori anche le relazioni personali fra i cittadini. Si è più uniti e non si è più lontani l’uno dall’altro.

     
    D. - Cosa è cambiato nei rapporti fra cristiani e musulmani?

     
    R. - Adesso, si può parlare umanamente, come fratelli, gli uni con gli altri. Anche fra cristiani e musulmani sta crescendo un atteggiamento molto positivo e sta crescendo anche una forte speranza per il futuro: vogliono collaborare e contribuire al bene del mondo. Non vogliono più essere separati, hanno ormai abbandonato questa idea.

     
    D. - Questo nuovo clima di collaborazione cos’altro ha provocato?

     
    R. - Tante cose nuove. Noi abbiamo lottato, ad esempio, per costruire le case per i lebbrosi: inizialmente, non ce lo hanno permesso, ma ora siamo riusciti a costruire due villaggi. Non abbiamo trovato neanche difficoltà per poter ampliare la nostra scuola. Questa libertà adesso ci è stata concessa e, in questo senso, c’è stata una accettazione ed una apertura del governo: ciò che prima non si poteva fare, adesso lo si può perché c’è la libertà, c’è la collaborazione.

     
    D. - Importante è anche la ricostruzione delle scuole...

     
    R. - Sì, ci sono nuove scuole. L’educazione è la cosa più normale e tutti i bambini possono frequentare la scuola. Oggi, l’educazione dei bambini è certamente migliore rispetto al passato. I bambini stessi sono più allegri, sono più liberi e non vivono nella paura. Possono crescere ed essere più sereni nella loro situazione. C’è più serenità adesso.

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    Il commento del teologo don Massimo Serretti al Vangelo della domenica nella Festa della Santa Famiglia

    ◊   Nella Festa della Santa Famiglia la Liturgia ci propone il passo del Vangelo dello smarrimento e ritrovamento di Gesù a Gerusalemme, durante la festa di Pasqua. Maria e Giuseppe, dopo tre giorni di angosciose ricerche, trovano il Figlio nel tempio, seduto in mezzo ai maestri. Alla Madre, che gli chiede spiegazioni, Gesù risponde: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.

    “Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro. Scese dunque con loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”.

     
    Su questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del teologo, don Massimo Serretti, docente di Dogmatica alla Pontificia Università Lateranense:

    La Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe è unica e singolare, ma in essa è presente una verità che riguarda tutte le famiglie, e, ancor prima, la qualità stessa dell’unità dell’uomo e della donna.
    L’Unigenito di Dio entra nel mondo inserendosi in una storia d’amore di un uomo, Giuseppe, e di una donna, Maria. L’Incarnazione del Figlio richiede e suppone questo legame d’amore e di promessa dell’uomo e della donna.
    Tuttavia, con il Suo avvento Egli lo modifica e lo innalza aprendolo in tutte le direzioni verso l’Infinito, verso il Padre che è nei Cieli.
    A Maria e Giuseppe non è richiesto di censurare il loro affetto e la loro promessa reciproca, ma di aprirlo al Mistero della presenza e dell’azione divina. Il loro amore diventa la dimora di Dio, la Sua tenda, lo spazio comunionale nel quale il Figlio eterno abita, senza che lo si possa possedere o comprendere («ma essi non compresero»), ma senza che sia perciò meno organicamente legato alle loro persone e alla loro unità di famiglia («stava loro sottomesso»).
    D’ora in avanti tutte le storie d’amore di tutti gli uomini e le donne che accolgono Gesù sperimenteranno questa dilatazione e questo inveramento di cui Maria e Giuseppe furono progenitori e scopriranno come il loro amore sia dentro quello del Padre. Quel che mirabilmente era stato creato («uomo e donna lo creò»), viene redento in modo ancor più mirabile.

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    Chiesa e Società



    Guarita dal cancro per intercessione della Beata Mary MacKillop, prima futura Santa d'Australia

    ◊   La sua guarigione da un cancro inoperabile a un polmone è stata dichiarata dalla Chiesa un vero miracolo della Beata Mary MacKillop. La donna guarita - che desidera rimanere anonima e spera che la Canonizzazione della suora sia una fonte di ispirazione - è stata citata in una dichiarazione rilasciata dalle Suore di San Giuseppe, dopo che il Vaticano aveva annunciato l'approvazione, da parte di Papa Benedetto XVI, del decreto che attesta la veridicità del miracolo. Il decreto spiana la via alla canonizzazione di Madre Mary MacKillop, che diventerà così la prima Santa australiana. “E' una notizia meravigliosa”, ha dichiarato la donna. “Sono molto grata a Mary MacKillop e all'influenza che ha avuto sulla mia vita”. Le Suore di San Giuseppe del Sacro Cuore, la Congregazione fondata da Mary MacKillop - rende inoltre noto l'agenzia Zenit - hanno reagito con grande gioia alla notizia. Mary MacKillop, nata a Victoria nel 1842, fondò le Suore di San Giuseppe del Sacro Cuore nel 1866, quando aveva 24 anni. La Congregazione istituì scuole e organizzazioni caritative in tutta l'Australia, soprattutto nelle zone interne, per la cura degli orfani, dei bambini abbandonati, dei senzatetto, dei malati e degli anziani. Dalla sua morte, nel 1909, la Congregazione da lei fondata è cresciuta fino ad avere circa 1.200 suore che lavorano soprattutto in Australia e in Nuova Zelanda, ma sono presenti anche in altri Paesi del mondo. Anche il cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney, ha definito l'annuncio “un gradito regalo natalizio”. Il porporato ha sottolineato che “i Santi spesso rispondono alle sfide del tempo e promuovono un rinnovamento religioso” e “Mary, ad esempio, ha impartito un’educazione religiosa a molti giovani poveri. Ha pregato e perseverato, non si è mai lasciata andare all'amarezza e ha sempre parlato bene di chi la contrastava”, ha continuato. “Dio l'ha benedetta nelle sue difficoltà e il suo lavoro ha prosperato”. Al momento della sua morte, nel 1909, aveva fondato 109 case, gestite da 650 suore che insegnavano a 12.400 bambini in 117 scuole in Australia e in Nuova Zelanda. (L.G.)

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    Cina: due seminaristi a Macao, i primi dopo 17 anni

    ◊   Per la prima volta in 17 anni, la diocesi cinese di Macao ha due seminaristi. I giovani - ha reso noto “Eglises d'Asie”, l'agenzia delle Missioni Estere di Parigi (Mep) - sono Tommaso d'Aquino Hoi Ka-tak, di 18 anni, e Domenico Cheong Iau-chong, di 20, e studiano da quest’estate nel Seminario maggiore dello Spirito Santo a Hong Kong, poiché quello di San Giuseppe di Macao ha chiuso nel 1994 per mancanza di studenti. Tommaso d'Aquino Hoi - spiega l’agenzia Zenit - appartiene a una famiglia non cattolica: sono stati gli studi in una scuola di Salesiani a fargli scoprire la fede e a farlo entrare nella Chiesa. Per Domenico Cheong, la scelta del sacerdozio è stata diversa. Nato in una famiglia cattolica da tre generazioni, ha maturato la sua decisione a poco a poco. Nel 2007 la diocesi di Macao ha organizzato un viaggio nella dinamica Chiesa cattolica della Corea del Sud per far conoscere ai giovani una nuova esperienza ecclesiale: da quel momento Domenico Cheong ha deciso di diventare sacerdote. Dal canto loro, i due giovani seminaristi sono consapevoli della mancanza di vocazioni locali, ma sperano che la loro decisione esorti altri giovani, per ora restii a compiere il passo e a rispondere alla chiamata al sacerdozio. Attualmente, Macao ha 20 mila cattolici su una popolazione di 450 mila abitanti, una sola diocesi con 22 sacerdoti diocesani e 40 sacerdoti religiosi. (L.G.)

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    Unitalsi e “Fondazione Giovanni Paolo II” insieme per il primo ospedale pediatrico in Palestina

    ◊   Sarà il "Benedict XVI Pediatric Hospital" la prima clinica di chirurgia pediatrica della Palestina, il cui progetto è stato promosso e sarà realizzato dalla Fondazione “Giovanni Paolo II” onlus e al quale darà il suo importante contributo “Cuore di latte”, la campagna missionaria dell’Unitalsi a Betlemme. La clinica di chirurgia pediatrica - fa sapere l'Ageniza Sir - pur appartenendo al Patriarcato latino di Gerusalemme sarà in stretto contatto con il sistema sanitario statale, estremamente inefficiente, al fine di contribuire a migliorarlo. La struttura, che si avvarrà dei servizi di rianimazione e anestesia, si rivolge a bambini da 1 a 14 anni, tutti provenienti dai Territori dell’Autonomia Palestinese, comprese la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. La clinica non tralascerà poi gli spazi dedicati al gioco e alle attività ricreative e avrà personale specializzato nell’assistenza psicologica e nella clown-terapia. (L.G.)

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    Il governo britannico apprezza il contributo delle scuole cattoliche al sistema educativo del Paese

    ◊   “Un’importante contributo al sistema educativo nazionale”. E' quanto viene riconosciuto alle scuole e ai college cattolici in una lettera del ministro britannico per l’Infanzia, le scuole e la famiglia, che conferma così l'apprezzamento del governo verso gli istituti cattolici. Parole alle quali ha risposto con piacere Oona Stannard, direttrice del "Catholic Education Service" (Cesew), l’organismo episcopale che sovrintende agli istituti educativi cattolici in Inghilterra e Galles, che ha sottolineato: “Sono felice di apprendere che il governo conferma il suo sostegno alle scuole confessionali. Il governo ha preso atto del buon lavoro svolto nelle nostre scuole e del fatto che questo deriva dal particolare ethos che le caratterizza”. Nonostante le critiche mosse da chi accusa le scuole confessionali di essere elitarie e discriminatorie, la lettera rileva con soddisfazione la capacità degli istituti educativi cattolici di accogliere studenti di diverse origini e credi. Nonostante la qualità del loro insegnamento sia ampiamente riconosciuta dalle stesse autorità, infatti, anche le scuole cattoliche sono state accusate da alcuni di praticare politiche discriminatorie e quindi di favorire il comunitarismo. Un’accusa smentita dai fatti: in molti istituti gli appartenenti a religioni diverse superano un quarto degli studenti. Alle parole del ministro hanno fatto eco quelle della baronessa di Blaisdon, Janet Anne Royall, capogruppo del Partito laburista alla Camera dei Lord. L’esponente laburista ha riconosciuto il diritto delle scuole confessionali e quindi di quelle cattoliche di scegliere liberamente il personale docente per poter promuovere i propri valori etici e religiosi. Nel Regno Unito le scuole gestite dalle Chiese cristiane sono un terzo di tutti gli istituti pubblici e due ogni cinque scuole private sono di natura confessionale. In Inghilterra e Galles, la sola Chiesa cattolica gestisce più di 2 mila istituti per un totale di ottocentomila alunni. (L.G.)

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    Usa, campagna per l’aumento degli studenti ispanici nelle scuole cattoliche

    ◊   Un milione di studenti ispanici nelle scuole cattoliche statunitensi entro il 2020. È l’obiettivo della “Catholic School Advantage Campaign”, una vasta campagna nazionale promossa dall’Università cattolica di Notre Dame, dell’Indiana, un'iniziativa nata a seguito di una ricerca condotta da una task force di esperti dalla quale emerge una fortissima sproporzione tra il numero di fedeli di origine ispanoamericana nella Chiesa statunitense, in costante crescita, e quello degli studenti ispanici iscritti nelle scuole cattoliche, che raggiunge appena il 3 per cento. Lo studio ha rilevato che gli studenti ispanici che frequentano istituti educativi cattolici hanno un migliore rendimento scolastico e maggiori probabilità di arrivare alla laurea rispetto a quelli che frequentano le scuole pubbliche. “Quello che è in gioco - ha osservato la co-presidente della task-force, Juliet Garcia - è la futura generazione di leader nel nostro Paese”. A rendere più difficile l’accesso degli ispanici all’istruzione cattolica - evidenzia il rapporto - non sono solo ostacoli di natura economica, ma anche la mancanza di una comunicazione adeguata con le comunità ispaniche. Per migliorare il successo accademico degli studenti ispanoamericani, il gruppo si è posto dunque l’obiettivo di portare il loro numero dagli attuali 290 mila a un milione nel prossimo decennio, con programmi speciali in collaborazione con altri istituti e con diverse diocesi. L’arcidiocesi di Chicago ha già dato la sua disponibilità a partecipare, mentre sono in corso trattative con altre cinque diocesi americane a forte presenza ispanica. (L.G.)

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    Malaysia, attesa la sentenza sul ricorso della Chiesa circa l'utilizzo del termine “Allah”

    ◊   È attesa per il 30 dicembre in Malaysia la conclusione della controversia tra Chiesa cattolica e governo sull’utilizzo del termine “Allah” nelle pubblicazioni cristiane. Per quella data, infatti, la Corte suprema della Malaysia emanerà il proprio verdetto in merito al ricorso giudiziario avviato dalla Chiesa cattolica contro il governo malaysiano, nel febbraio 2009. Il ricorso era scattato dopo il veto imposto dall’esecutivo di usare la parola “Allah” per riferirsi a Dio - comunemente in uso in lingua malay - sulle colonne del settimanale cattolico “Herald”. La Chiesa - riferisce l’agenzia Fides - ha spiegato alla Corte che in lingua malay esiste solo il termine “Allah” per chiamare Dio, affermando che è dunque incostituzionale applicare restrizioni linguistiche o di culto ai cristiani malaysiani che si esprimono in lingua malay. Per il governo ogni abuso del termine “Allah” costituisce un insulto alla religione ufficiale del Paese, l’islam, e alla Costituzione federale. Secondo gli osservatori, il caso costituirà un precedente per stabilire se il Ministero degli interni può intervenire su questioni di dottrina riguardanti la vita delle comunità religiose. Nelle scorse settimane, la polizia malaysiana ha sequestrato oltre 15 mila Bibbie provenienti dall’Indonesia proprio perché nella traduzione del testo contenevano il temine “Allah” per indicare Dio. (L.G.)

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    La Comunità Papa Giovanni XXIII promuove un sms solidale per dare un pasto ai più bisognosi

    ◊   Un sms per dare un pasto a chi non ce l’ha. E’ l’obiettivo della campagna “Un Pasto al giorno”, promossa dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha organizzato un servizio di sms solidale attivo dal 30 dicembre al 4 gennaio 2010. Con l’invio di un sms al numero 48547 - rende noto l’agenzia Sir - si potranno donare due euro per sostenere la campagna che garantisce un pasto alle oltre 41 mila persone che ogni giorno si siedono alle tavole dei centri e delle case famiglia in Italia e nei 25 Paesi nel mondo nei quali è presente la Comunità fondata da don Oreste Benzi. “Nel 2050 la popolazione mondiale sarà di circa 9 miliardi - afferma il successore di don Benzi, Giovanni Paolo Ramonda - ma resto convinto che nel mondo ci sia cibo per tutti”. Il progetto, partito nel 1985 nella Zambia, vuole fornire a quante più persone possibili l’alimentazione sufficiente a soddisfare i bisogni energetici di base. Si può donare anche con il c/c postale 12148417, con Rid o Bonifico bancario c/c (IBAN IT41B0335901600100000008036), con carta di credito chiamando il numero verde gratuito 800.629.639. (L.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Fallisce attentato su un volo statunitense. Si indaga sul giovane attentatore che confessa legami con al-Qaeda

    ◊   Paura e sgomento negli Stati Uniti, per il fallito attentato di ieri sera su un aereo della NorthWest Airlines in volo verso Detroit. Un uomo di naizonalità nigeriana ha innescato una piccola carica esplosiva senza provocare vittime e danni al velivolo. Il presidente Barack Obama, in vacanza alle Hawaii, ha “dato istruzioni affinché vengano prese tutte le misure appropriate per potenziare la sicurezza aerea”. Si indaga intanto sull’attentatore, che avrebbe detto di appartenere ad al-Qaeda. Il servizio di Marco Guerra:

    Tre feriti dell'ordigno, fra cui l’attentatore. Poteva essere di ben altra portata il bilancio dell’esplosione innescata ieri sera da un nigeriano di 23 anni sul Airbus A330 in volo da Amsterdam a Detroit con a bordo 278 passeggeri. Fumo, fiamme e momenti di panico hanno seguito la deflagrazione del piccolo esplosivo legato alla caviglia dell’attentatore, il quale è stato immediatamente immobilizzato dai passeggeri fino all’atterraggio nella città americana, avvenuto senza problemi circa 20 minuti dopo. L'attentatore è stato identificato dall’Fbi come Abdul Faruk Abdulmutallab, giovane studente nigeriano di ingegneria allo University College di Londra. Stando al suo visto d’ingresso - rilasciato il 16 giugno scorso - stava viaggiando dalla Nigeria agli Stati Uniti per partecipare a una cerimonia religiosa. Il presunto terrorista avrebbe detto di essere un membro di Al Qaida, di essersi procurato l'esplosivo nello Yemen e di aver ricevuto ordini su quando utilizzarlo. Si aspettano ora conferme anche dalle perquisizioni condotte dalla polizia inglese nella sua abitazione di Londra e dall’inchiesta aperta dal governo nigeriano. Le autorità americane, dal canto loro, stanno cercando di chiarire come l'uomo sia riuscito a evitare i controlli di sicurezza nello scalo di Amsterdam, nonostante il suo nome fosse presente nella lista americana delle persone con "legami sospetti". Intanto, l’antiterrorismo Usa ha confermato notizie di un recente viaggio nello Yemen dell’uomo e di un possibile contatto con l'imam Anwar al-Aulaqi, lo stesso che avrebbe avuto legami con il maggiore Hasan, autore dell'omicidio di 13 persone nella base militare statunitense di Fort Hood. Tuttavia, ancora non si esclude che il giovane possa avere agito da solo.

     
    Somalia
    Non c’è pace per la Somalia. Nel giorno di Natale si sono registrate almeno 15 vittime civili nei combattimenti fra le truppe governative e i miliziani islamici che controllano buona parte del paese. Scontri che sono proseguiti anche questa mattina, causando la morte di altre tre civili e il ferimento di altri cinque. Le caserme dei peacekeepers dell'Unione Africana sono state l’obiettivo di diversi attacchi condotti a colpi di artiglieria pesante, caduti anche su case di civili. Dall’inizio dell’offensiva dei radicali islamici, lanciata nel maggio del 2008, si contano oltre 20 mila morti e circa un milione e mezzo di profughi dalla sola Mogadiscio.

    Medio Oriente
    Nuova fiammata di violenza nei Territori palestinesi. Nelle prime ore del giorno, l’esercito israeliano ha ucciso sei palestinesi in due distinte azioni: al confine con Gaza, i soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro un gruppo di quattro palestinesi che tentava di entrare illegalmente in territorio israeliano. Tre sono morti, uno è rimasto ferito. Nelle stesse ore, blindati israeliani hanno condotto un’incursione in Cisgiordania, nella città di Nablus, dove hanno ucciso tre miliziani legati alle Brigate dei Martiri di al-Aqsa, il braccio armato del partito del presidente palestinese, Mahmoud Abbas. E proprio l'Autorità nazionale palestinese (Anp) ha duramente condannato le operazioni di Israele, accusandolo di sabotare gli sforzi di pace.

    Afghanistan Le elezioni parlamentari afghane dovranno svolgersi nei tempi stabiliti dalla Costituzione, ossia nel maggio 2010. Lo ha dichiarato il presidente della Camera, Mohammad Yunos Qanuni, sgombrando il campo da ogni ipotesi di rinvio del voto paventata nei giorni scorsi anche da alcuni Paesi della coalizione, viste le difficoltà organizzative sostenute per le presidenziali nello scorso settembre. Intanto, dopo la diffusione del video del soldato americano catturato dai talebani sei mesi fa in Afghanistan, fa discutere la proposta dei ribelli integralisti di scambio di prigionieri detenuti nelle carceri americane. Infine, sul terreno si continuano a registrare violenze: un soldato americano è morto nel sud del Paese per l’esplosione di una bomba al passaggio del convoglio sul quale viaggiava.

    Pakistan, operazioni antitalebane
    Le forze di sicurezza pakistane hanno annunciato di aver conquistato l'area strategica di Chapri Feroskhel, nel nordovest del Paese alla frontiera con l'Afghanistan. La conquista dei due lati del confine è arrivata a seguito di una potente offensiva dell'esercito, terrestre e aerea, lanciata dai distretti di Hangu e Kurram. Offensive sono state condotte contro le roccaforti talebane anche nella Mohmand Agency, dove almeno quattro militanti sono stati uccisi e sette sono stati feriti e, sempre al confine con l’Afghanistan, nella Orakzai Agency con un bilancio di nove morti e dieci feriti.

    Iran manifestazioni e disordini
    Resta alta la tensione in Iran, dove oggi si registrano nuovi scontri nel centro di Teheran fra forze antisommossa e manifestanti dell'opposizione. Secondo siti dell'opposizione e testimonianze, la polizia ha operato diversi arresti fra i dimostranti, attaccando anche il palazzo che ospita l'agenzia di stampa Isna, al cui interno avevano trovato rifugio alcuni manifestanti. Le autorità hanno proibito qualsiasi manifestazione dell'opposizione in occasione dei giorni di Tasua e Ashura, oggi e domani, quando processioni religiose attraversano a lutto le città iraniane nel ricordo del martirio di Hussein, il terzo imam sciita. Domani, cade inoltre il settimo giorno dalla morte dell’ayatollah dissidente, Hossein Ali Montazeri, e la tradizione sciita vuole che si torni a commemorare i defunti dopo una settimana dal decesso.

    India
    È salito ad almeno 45 il bilancio delle vittime del crollo di un ponte sul fiume Chambal, nello Stato indiano del Rajasthan, avvenuto giovedì sera. Secondo soccorritori, ci sarebbero tuttavia ancora diversi corpi da recuperare. Il ponte era in costruzione e polizia e governo hanno aperto due inchieste per fare luce sulle eventuali responsabilità della joint venture indo-coreana che stava lavorando al progetto. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 360

     E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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