![]() |
![]() |

Sommario del 29/04/2009
Benedetto XVI all'udienza generale: la fede ci aiuti a vedere la luce di Dio nella Chiesa e nell'umanità, oltre la sporcizia del peccato
◊ Anche se il peccato e la sporcizia ne oscurano il volto, la fede deve aiutarci a vedere la presenza di Dio nella Chiesa e in ogni persona. Con questa affermazione Benedetto XVI ha concluso la sua catechesi all’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro, dedicata a un antico Patriarca di Costantinopoli, Germano. Il Papa lo ha presentato ai circa 40 mila fedeli come un protagonista della lotta contro l’iconoclastia e come autore di importanti intuizioni mariologiche. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Cosa può venire da un uomo di Dio che 1300 anni fa arrivò ad auto-esiliarsi pur di non cedere a un imperatore che voleva impedire il culto delle icone perché temeva che sfociasse nell’idolatria? Da Germano Patriarca di Costantinopoli, che credeva nel valore spirituale e formativo della venerazione delle immagini sacre, arrivano a noi - ha spiegato Benedetto XVI - tre insegnamenti fondamentali. Primo, ha rilevato:
“C’è una certa visibilità di Dio nel mondo, nella Chiesa, che dobbiamo imparare a percepire. Dio ha creato l’uomo a sua immagine, ma questa immagine è stata coperta dalla tanta sporcizia del peccato, in conseguenza della quale quasi Dio non traspariva più (...) Le sante immagini ci insegnano a vedere Dio nella raffigurazione del Volto di Cristo. Dopo l’incarnazione del Figlio di Dio, è diventato quindi possibile vedere Dio nelle immagini di Cristo ed anche nel volto dei Santi, nel volto di tutti gli uomini in cui risplende la santità di Dio”.
Secondo insegnamento, ha proseguito il Papa, riguarda la liturgia. Se essa “è bella e dignitosa” fa “vedere lo splendore di Dio”. E terzo insegnamento, ha proseguito, parla dell’amore alla Chiesa:
“Proprio a proposito della Chiesa, noi uomini siamo portati a vedere soprattutto i peccati, il negativo; ma con l’aiuto della fede, che ci rende capaci di vedere in modo autentico, possiamo anche, oggi e sempre, riscoprire in essa la bellezza divina (...) Preghiamo Dio perché ci insegni a vedere nella Chiesa la sua presenza, la sua bellezza, a vedere la sua presenza nel mondo, e ci aiuti ad essere anche noi trasparenti alla sua luce”.
Questi tre pensieri, formulati in rapida sequenza nelle battute finali della catechesi, hanno suggellato una riflessione partita dal Settecento dopo Cristo, nel periodo in cui - ha spiegato Benedetto XVI - Costantinopoli diventa il centro di una crisi religiosa che oppone l’imperatore Leone III, preoccupato da un “eccessivo culto delle icone”, al Patriarca Germano, convinto all’opposto. A sostegno delle sue opinioni, Germano aveva portato l’esempio della solenne processione e dell’ostensione dell’immagine della Madre di Dio che gli abitanti di Costantinopoli avevano organizzato per chiedere alla Madonna protezione contro l’assalto, poi fallito, dei Saraceni. Dopo quell’evento, ha osservato il Papa:
“Il Patriarca Germano (…) si convinse che l’intervento di Dio doveva essere ritenuto un’approvazione evidente della pietà mostrata dal popolo verso le sante icone (...) A nulla valsero i richiami del patriarca Germano alla tradizione della Chiesa e all’effettiva efficacia di alcune immagini, che venivano unanimemente riconosciute come ‘miracolose’”.
Benedetto XVI, pur qualificando il Patriarca Germano non un “grande pensatore” dal punto di vista teologico, ne ha riconosciuto i meriti “soprattutto - ha detto - per certe sue intuizioni sulla mariologia”. Un suo scritto, ha soggiunto, fu inserito da Pio XII nella Costituzione dogmatica Munificentissimus Deus, con la quale nel 1950 Papa Pacelli promulgò il dogma dell’Assunzione della Vergine. In particolare, ha sottolineato ancora Benedetto XVI del Patriarca Germano:
“Le sue splendide Omelie sulla Presentazione di Maria al Tempio sono testimonianze tuttora vive della tradizione non scritta delle Chiese cristiane. Generazioni di monache, di monaci e di membri di numerosissimi Istituti di Vita Consacrata, continuano ancora oggi a trovare in quei testi tesori preziosissimi di spiritualità”.
Terminate le catechesi in sintesi nelle altre lingue, il Pontefice ha salutato, tra gli altri, il gruppo proveniente dalla Sardegna, giunti in Piazza San Pietro per ricambiare la visita del Papa dello scorso settembre. Quindi, ricordando la festa con la quale oggi la Chiesa celebra Santa Caterina da Siena, dottore della Chiesa e compatrona d'Italia, Benedetto XVI ha invitato soprattutto i giovani ad essere come la Santa senese “innamorati di Cristo”, per “seguirlo con slancio e fedeltà”.
Il dolore di Benedetto XVI per le sofferenze causate agli aborigeni del Canada da alcuni membri della Chiesa
◊ Dopo l’udienza generale, Benedetto XVI ha incontrato stamani in Aula Paolo VI una delegazione di esponenti aborigeni canadesi, tra i quali Phil Fontaine, leader nazionale dell’Assemblea dei nativi e il presidente dell’episcopato canadese, l’arcivescovo James Weisgerber. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Benedetto XVI, informa un comunicato della Sala Stampa della Santa Sede, ha dato ascolto alle storie e alle preoccupazioni degli aborigeni. Il Papa ha ricordato che sin dalle origini della sua presenza in Canada, la Chiesa è stata vicina alle popolazioni indigene. Riguardo alle sofferenze subite da alcuni bambini aborigeni nelle scuole residenziali canadesi, il Papa ha espresso il suo dolore per le sofferenze causate dalla condotta deplorevole di alcuni membri della Chiesa nella gestione di queste scuole. Il Pontefice ha assicurato la sua partecipazione ed espresso la sua solidarietà. Il Papa ha evidenziato che tali abusi non possono essere tollerati nella società. Infine, conclude la nota, ha pregato affinché coloro che hanno sofferto possano trovare un cammino di guarigione ed ha incoraggiato i popoli nativi ad andare avanti con rinnovata speranza.
A fine ‘800, il governo federale canadese istituì delle scuole, appunto definite “residenziali”, per i bambini aborigeni. Si tratta, spiega una nota dell’episcopato canadese, di strutture finanziate dallo Stato e rette da organizzazioni religiose, rimaste attive fino a circa trent’anni fa. Delle 76 scuole residenziali, frequentate da circa centomila allievi, 45 sono state amministrate da organismi cattolici. I bambini aborigeni, rammenta la nota, furono strappati alle proprie famiglie e costretti ad abbandonare la propria lingua, la propria religione e il modo di vivere per conformarsi alla cultura europea. Alcuni allievi, inoltre, furono anche vittime di abusi fisici e sessuali.
I vescovi sottolineano che tutte le comunità religiose e le diocesi, come anche le altre Chiese, hanno chiesto scusa ufficialmente agli aborigeni del Canada. E scuse pubbliche ha espresso, solennemente, l'11 giugno 2008, anche il primo ministro Stephen Harper in una seduta speciale della Camera dei Comuni. Le comunità aborigene hanno raggiunto un accordo di compensazione economica con il governo canadese e con le comunità religiose coinvolte, compresa quella cattolica.
Nomine
◊ Il Santo Padre ha nominato ausiliare della diocesi di Lilongwe (Malawi) il rev.do Stanislaus Tobias Magombo, del clero di Dedza, segretario nazionale per la Pastorale presso la Conferenza Episcopale del Malawi, assegnandogli la sede titolare vescovile di Cesarea di Mauritania. Il rev.do Stanislaus Tobias Magombo è nato il 24 febbraio 1968 a Matowe Village, Kachindamoto, Dedza. È stato ordinato sacerdote il 3 agosto 1996 ed incardinato nella diocesi di Dedza.
Il Papa ha lasciato all'Abruzzo un'eredità di speranza: così i vescovi Molinari e Forte e il governatore Chiodi
◊ “Il Papa ha rinnovato la speranza nei cuori”, così l’arcivescovo dell’Aquila mons. Giuseppe Molinari il giorno dopo la visita di Benedetto XVI alle zone colpite dal terremoto del 6 aprile scorso. Ieri, il sindaco Cialente ha firmato l’agibilità per i primi 307 edifici e, mentre oggi continuano i rilievi tecnici per valutare la solidità delle case, la terra non ha smesso di tremare: l’ultima scossa di magnitudo 3.0 è stata avvertita verso le 11. Ma cosa ha lasciato la visita del Papa alla popolazione? Fabio Colagrande, uno dei nostri inviati all’Aquila, lo ha chiesto proprio all’arcivescovo mons. Giuseppe Molinari.
R. – Il Papa, con tanta semplicità, si è avvicinato a tutti, ha detto le sue parole di speranza, ha confortato … Soprattutto, a Onna ha incontrato i parenti di alcune delle vittime … E poi, la sosta a Collemaggio, dove ha lasciato il Sacro Pallio sull’urna – abbiamo parlato di Celestino V, del suo messaggio – e poi lui ha voluto sapere tante cose della città, della diocesi, delle parrocchie, delle chiese … Con tanta semplicità, gli ho detto tutto ma ho visto la sua attenzione molto intensa alla nostra vicenda, alla nostra storia. La sua vicinanza … vicinanza che poi ha concretizzato anche lasciando dei doni ulteriori per la diocesi, per noi tutti … Quindi, lo ringraziamo ancora per la sua visita che ha portato tanto conforto a tutti noi.
D. – Eccellenza, quale tipo di conforto spirituale il Papa ha portato ai terremotati?
R. – Per chi crede, la presenza del Papa è la presenza del Vicario di Cristo, del Successore di Pietro, e per noi questa presenza è importante: una presenza, dal punto di vista spirituale, veramente molto positiva. Ma credo che questa presenza avrà le sue conseguenze anche di fronte alle istituzioni, per tutta la popolazione, perché in fondo il Papa si è messo dalla parte di chi soffre di più, in questo momento, di chi attende subito la ricostruzione, ha fatto capire anche lui che non si può stare sempre sotto le tende … Noi ringraziamo tutti i volontari, ringraziamo la Protezione civile, ringraziamo anche le istituzioni, il governo che sta facendo di tutto; però ci auguriamo – e io l’ho detto anche davanti al Santo Padre – che questa ricostruzione si inizi subito. Mi auguro che non ci siano scuse di nessun tipo, che non ci siano divisioni politiche o inchieste giudiziarie - che sono giuste, che si facciano pure - ma che non diventino però un ostacolo a cominciare subito la ricostruzione.
D. – Proprio su questo aspetto, lei nel suo discorso a Coppito ha detto: “E’ importante accertare le responsabilità del passato, ma dobbiamo suscitare le responsabilità del presente”, e il Papa è sembrato sulla stessa linea …
R. – Anche a me è sembrato che il Papa dicesse questo. Io lo ripeto: sono d’accordo, la giustizia deve fare il suo corso, però in questo momento, anche le cose che sembrano le più sacrosante rischiano di diventare un intralcio, un intoppo burocratico, qualcosa che frena l’inizio della ricostruzione... diventa una disgrazia per la nostra città: ho detto, potrebbe essere la seconda morte, peggiore della prima.
D. – L’Aquila si risveglia dopo questa visita papale e riprende questa vita difficilissima, a tre settimane dal sisma. Con che spirito?
R. – Ma … io mi auguro con uno spirito ancora illuminato per chi crede dalla fede, per chi non ha il dono della fede, con la presenza di un uomo che certamente è venuto a portare una parola buona, una parola di speranza, una solidarietà tanto autentica e vera.
Sulla linea di una ricostruzione non solo materiale ma anche spirituale, l’indirizzo di saluto al Papa del presidente della regione Abruzzo, Gianni Chiodi. Il nostro inviato Massimiliano Menichetti lo ha intervistato.
R. – Una grande importanza per quanto riguarda il cercare di alimentare la speranza che la vita possa riprendere. E’ stato importante, soprattutto, che ci sia stata anche una sottolineatura di quelli che sono gli aspetti valoriali di questa tragica vicenda che ha colpito molti cittadini, nel senso di un richiamo a quelli che sono i valori di fondo che in questo momento, secondo me, sono quanto più importanti e quanto più opportuna è stata la sottolineatura che ha fatto il Papa. Quindi, la sua presenza dà forza, dà speranza, e in qualche maniera rende più facile sopportare i giorni che verranno, perché non saranno giorni di vita facile.
D. – Che cosa resta il giorno dopo della visita del Papa all’Abruzzo stesso?
R. – Sicuramente è stato motivo anche di fierezza, per certi versi, degni di una presenza che è andata sui luoghi simbolo di questa vicenda e che ha lasciato questo senso di fierezza. Inoltre, il comportamento della popolazione abruzzese è stato apprezzato dal Papa così come dalla comunità italiana e internazionale. E’ stata apprezzata la sua dignità - come ha sottolineato il Papa - nell’affrontare una tragedia di questo genere, senza disperazione, senza commiserazione particolare e, soprattutto, senza avere l’atteggiamento di aspettare che tutto venga dalla Provvidenza; ciascuno ha preso atto di un fatto. Quello che è successo è successo. Ci sono valori importanti che fanno premio su quelle che sono le considerazioni materiali; a questi valori bisogna riagganciarsi, a questi valori il Papa ha fatto riferimento e, quindi, lascia un motivo di speranza.
Il Papa ieri ha pregato e abbracciato spiritualmente l’intero Abruzzo, ha raccolto il dolore della gente ma anche la voglia di ricominciare. Luca Collodi ha intervistato l’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte:
R. – Il Papa ha scelto uno stile – che è il suo – di estrema discrezione e sobrietà: ha voluto essere accanto al dolore e alle domande dei cuori prima ancora di dare risposte. E la risposta veniva anzitutto dalla sua capacità di stare vicino a chi soffre, di dire poche parole ma parole di fede, parole di amore. Credo che questo stile di sobrietà, di discrezione, di compagnia con il dolore e dunque anche con interrogativi che il dolore suscita, sia stato il primo grande messaggio di questa visita di Papa Benedetto in Abruzzo.
D. – Mons. Forte, un Papa vicino alla gente, che comunica la sua amicizia e il suo amore …
R. – In un contesto come quello che in questo momento costituisce l’Abruzzo, e L’Aquila in particolare, questa grande umanità, questa grande prossimità all’altrui dolore è qualcosa che ha colpito tutti profondamente, ed ha fatto molto bene, perché la grande domanda che c’è nel cuore di tanti – è inutile nasconderselo – è questa: “Dov’era Dio, nel terremoto? E che cosa ha voluto dirci, se c’era? E perché, se poteva, non lo ha evitato?”. Ora, il Papa, prima di dare risposte a queste domande, ha voluto fare le sue, ha voluto mostrare come anche il Successore di Pietro è uomo fra gli uomini e vicino al cuore umano: è proprio così. E’ onesto nel dare la sua risposta di fede, nel confermare i suoi fratelli.
D. – Mons. Forte, il Papa ha chiesto la ricostruzione subito, “case e chiese solide” …
R. – Mi sembra che, accanto alla grande questione della teodicea – “Dov’era Dio?” – e che il Papa ha affrontato, come dicevamo, con la sua prossimità, confermando nella fede i fratelli e dunque testimoniando un Dio tutt’altro che Dio giudice, lontano e straniero: un Dio vicino, un Dio amico degli uomini. Il Papa ha individuato con chiarezza l’altra grande questione, che si potrebbe dire della antropodicea, cioè di portare le responsabilità umane sotto il giudizio della verità. Ciò che è successo a L’Aquila poteva in parte essere evitato, se soltanto molti di quegli edifici moderni crollati fossero stati costruiti secondo un minimo di norme antisismiche o anche secondo un minimo di onestà nell’impiego dei materiali. Credo che le battute, anche semplici, che il Papa ha fatto con gli studenti davanti alla Casa degli Studenti – a quello studente di ingegneria che si presentava come tale, il Papa gli ha detto: “Studi in modo da non costruire più case come quella, che è crollata” – ecco, dicano da sole come il Papa, senza moralismi e giustizialismi ma con grande senso di verità, di lucidità razionale, abbia invocato una grande vigilanza sulla ricostruzione e una grande serietà nel condurre l’inchiesta che dovrà accertare le eventuali responsabilità umane su ciò che è accaduto.
Apertura straordinaria dei Musei Vaticani a favore dei terremotati
◊ I Musei Vaticani si mobilitano a sostegno dei terremotati d’Abruzzo istituendo una giornata di solidarietà con l’apertura straordinaria di domenica 10 maggio. Accogliendo la proposta del Corpo di Custodia dei Musei, il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano devolverà l’intero incasso della giornata alla popolazione duramente provata dal sisma del 6 aprile. Tutto il personale dei Musei Vaticani aderisce all’iniziativa dedicando l’equivalente di una giornata di lavoro.
Mons. Marchetto: no della Chiesa ai pregiudizi verso il turismo
◊ Realtà e sfide del turismo oggi: al centro dei lavori dell’Incontro europeo aperto stamane, nel Palazzo San Calisto a Roma, promosso dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Partecipano alla riunione vescovi e direttori nazionali della pastorale del turismo di 20 Paesi, convocati nel 40.mo anniversario del Direttorio “Peregrinans in terra”, pietra miliare di un nuovo cammino di impegno della Chiesa rispetto all’allora nascente turismo di massa. Il servizio di Roberta Gisotti:
Non solo “un incontro di formazione” “ma soprattutto una riunione di lavoro condiviso”, ricordando il passato, guardando al presente e volgendo attenzione al futuro, tra ascolto e proposta di idee ed esperienze, e condivisione anche di inquietudini. Così l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò - presidente del dicastero promotore - nel saluto di benvenuto ha incoraggiato i convegnisti a contribuire alla fine dei lavori, domani, a far avanzare – ha detto – “una risposta chiarificatrice” della Chiesa nel triplice campo della sua azione: verso il “turismo in genere”, per conoscerlo in tutti i suoi aspetti e accompagnarlo nella crescita, “indicandone pericoli e deviazioni”; verso il “turismo diretto ai luoghi cristiani”, per mostrare “il vero significato” di questi siti “frutto di autentica e profonda esperienza di fede” e verso il “turismo dei cristiani”, perché il loro tempo libero sia orientato ad una “crescita umana e religiosa”.
“Il turismo, – ha aggiunto l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del medesimo dicastero – oltre ad essere un’esperienza vitale, ha anche una dimensione umana che si deve teologicamente discernere”. E, “per questo – ha spiegato – la Chiesa rifiuta atteggiamenti di sfiducia precostituita e di sospetto nei riguardi del turismo”, una realtà “poliedrica” e “trasversale” campo di “missione” evangelica. Da qui il proposito della Chiesa di unire il suo contributo specifico agli impegni delle istituzioni civili che si occupano di turismo - ha concluso il presule – nella convinzione che la pastorale del turismo sia parte integrante di quella ecclesiale, rivolta non solo a chi viaggia, ma anche a tutti gli operatori del settore.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ I cento giorni che non hanno sconvolto il mondo: in prima pagina, Giuseppe Fiorentino sui primi mesi della presidenza Obama.
Vent’anni dalla morte di Sergio Leone: in cultura, un articolo di Emilio Ranzato e un’intervista di Marcello Filotei a Ennio Morricone.
Realtà e finzione, due mondi complementari: Luca Pellegrini a colloquio con Kevin Macdonald, regista di “State of Play”.
Non lasceremo l’Iraq perché vogliamo testimoniare la nostra fede: nell’informazione religiosa, intervista di Francesco Ricupero all’arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, mons. Louis Sako.
Niente tregua in Sri Lanka: 150 mila civili in fuga
◊ Non si ferma la guerra in Sri Lanka tra il governo e i separatisti delle Tigri Tamil. Fallita anche la missione diplomatica anglo-francese per stabilire una tregua con il governo di Colombo e permettere l'accesso delle organizzazioni umanitarie nelle zone di conflitto. Continua, intanto, a salire il numero di civili in fuga nel nord del Paese. Tra esse, moltissime donne e bambini. Nei campi profughi c’è carenza di cibo, acqua e forniture mediche di base. Il direttore generale di Unicef Italia, Roberto Salvan, parla di vera e propria “emergenza umanitaria”. Lo ha sentito per noi Roberta Rizzo.
R. – Le forze governative si stanno spostando verso il Nord. Il governo parla di 100 mila persone ancora intrappolate in quell’area, per le Nazioni Unite queste persone sono 150 mila. Tutte quelle che sfuggono dal fuoco incrociato delle due parti in lotta nel Nord del Paese, in prevalenza bambini e donne. Chi riesce a scappare, va a finire dentro ai campi allestiti molto di corsa e ormai sovraffollati.
D. – Cosa sta facendo l’Unicef per i profughi?
R. – L’Unicef ha realizzato un ponte aereo - altri sono stati fatti nei giorni precedenti - di 50 tonnellate di aiuti di emergenza. Sono kit sanitari, sali reidratanti, acqua, medicine, biscotti nutritivi di alta potenzialità, perché ovviamente i bambini sono - in alcune situazioni - anche da diversi giorni senza cibo; e poi anche interventi per le donne in stato di gravidanza, quindi per garantire nei campi che sono stati attrezzati la possibilità di far nascere un bambino.
D. – Qual è la situazione nei campi profughi?
R. – Quando dei campi invece di ricevere 5 mila persone ne ricevono più di 20 mila, le stesse strutture igienico-sanitarie vanno attrezzate: è fondamentale anche per non rischiare infezioni.
D. – L’Unicef ha dichiarato che servono 5 milioni di dollari per coprire le esigenze più immediate dei civili sfollati nel Nord dello Sri Lanka …
R. – Sì: ora abbiamo utilizzato a livello internazionale le riserve che c’erano per fare arrivare queste 50 tonnellate di aiuti umanitari; ovviamente ci aspettiamo dai donatori un aiuto e un sostegno per poter essere più rapidi nel rifornimento e nel fare arrivare ai campi quello che è necessario.
Convegno alla Cattolica di Milano su padre Agostino Gemelli a 50 anni dalla sua morte
◊ “Nel cuore della realtà. Agostino Gemelli e il suo tempo”: è il titolo del convegno che si conclude domani all’Università Cattolica di Milano, dedicato alla figura del suo fondatore padre Agostino Gemelli. Fra gli altri interventi quelli del rettore Lorenzo Ornaghi, degli storici Agostino Giovagnoli, Gian Maria Vian e Andrea Riccardi. Servizio di Fabio Brenna.
Edoardo Gemelli nacque nel 1878 da una famiglia anticlericale, studiò medicina aderendo al metodo positivistico e al materialismo, ma attraverso amicizie e contatti col mondo francescano nacque a nuova vita come fra’ Agostino Gemelli, prendendo i voti nel 1904. E’ in questo cammino di conversione che si dischiude la figura del fondatore dell’Università Cattolica, al quale l’ateneo del sacro Cuore dedica un convegno di tre giorni a 50 anni dalla sua scomparsa. La storia di padre Gemelli coincide con il suo sogno: quello di dare vita ad un luogo di studio e di ricerca in cui si congiungessero fede e ragione. Il francescano, nelle sue ricerche di neuropsicologia fu un innovatore. quella stessa innovazione che sta alla base della fondazione della Cattolica nel 1921: creare una nuova classe dirigente cattolica. Maria Bocci, docente di storia contemporanea all’Università Cattolica, è la biografa di padre Gemelli:
“Basti ricordare, ad esempio, le prime due facoltà con cui nasce la nostra università, ancor prima del riconoscimento giuridico nel 1921. Le prime due facoltà sono la facoltà di Scienze Sociali e poi la facoltà di Filosofia. Dietro questa scelta, c’è un progetto molto preciso, che ha a che fare con la volontà di Gemelli di creare una specie di cittadinanza alternativa. Allora, economisti, sociologhi, cattolici e anche psicologi – non dobbiamo dimenticarci che Gemelli è uno dei pionieri della psicologia italiana, una delle colonne portanti della psicologia italiana – è come se dovessero apprendere dai loro colleghi filosofi quale sia il modello ideale di Stato da realizzare e poi dovessero incaricarsi di entrare nei gangli vitali dello Stato, per trasformarlo radicalmente”.
Nel corso del convegno, scandagliando una figura vitale e complessa, è emersa la necessità di andare oltre i molti stereotipi che hanno segnato ed ancora tendono a ridurre il grande progetto di padre Gemelli. Il rettore dell’università Cattolica, Lorenzo Ornaghi:
“Un cattolicesimo che sia rilevante, ciò che appunto, ricordando Gemelli, il fondatore, ci ha donato con quella frase che abbiamo messo a motto dell’intera settimana “Nel cuore della realtà”. Solo entrando da giovani nel cuore della realtà si riesce a non essere né gregari, né egoisti e individualisti. Questo credo sia, fra i tanti, un messaggio importante, oggi soprattutto.
Il cardinale Sandri: il viaggio del Papa in Terra Santa sarà di sostegno alla minoranza cristiana
◊ Non una classica guida di Terra Santa, ma una sorta di “diario” per accompagnare chi vi si reca. E’ l’intento di “Terra Santa. Viaggio dove la fede è giovane” che propone un pellegrinaggio di otto giorni raccontato con gli occhi dell’autore stesso, il giornalista Giorgio Bernardelli. Alla presentazione del libro, ieri pomeriggio presso la nostra emittente, è intervenuto tra gli altri il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. C’era per noi Debora Donnini.
Le pietre, i corsi d’acqua, i volti. Tutto in Terra Santa parla. Ed è per questo che l’autore di “Terra Santa. Viaggio dove la fede è giovane”, Giorgio Bernardelli racconta un percorso da lui stesso compiuto per attingere alle radici della fede cristiana, della quale uno dei pilastri fondamentali è l’Incarnazione. La Terra Santa centrale per il mondo, ieri, oggi e nel futuro. Il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali ha voluto proprio sottolineare la missione di questa “piccola” striscia di Terra mediorientale e la commozione di vedervi presto il Papa. Al cardinale Leonardo Sandri abbiamo chiesto quali il significato, l’impatto per i cristiani e in particolare per i cristiani delle Chiese Orientali:
R. - Io credo che l’impatto della presenza del Papa nei luoghi di Pietro ma soprattutto nei luoghi di Gesù, della Madonna, sarà per lui e per tutta la Chiesa un motivo di incontro e per i cristiani orientali sarà un motivo di appoggio, di speranza, di sostegno in questi tempi difficili per loro che vivono in un mondo difficile perché sono una minoranza.
D. – Anche perché tante volte si è parlato, ultimamente, dell’esodo dei cristiani dal Medio Oriente. In questo senso sarà un messaggio importante…
R. – Sì, un messaggio importante e speriamo che tutti i cristiani contribuiscano affinché i cristiani non debbano allontanarsi o per motivi di guerra o per motivi di difficoltà nel poter esercitare la propria vita religiosa.
Raccontati, dunque, non solo archeologia e fede, ma anche sguardi e storie di chi oggi vive lì, cristiani, ebrei musulmani. Per questo il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa nella prefazione ringrazia l’autore del libro per aver sottolineato ai giovani pellegrini la necessità di partecipare a qualche liturgia locale e di “perdere tempo” per vivere questa Terra. Perché? Perché anche un pellegrinaggio è “una storia viva”? Ci risponde lo stesso Giorgio Bernardelli:
R. – Sì, assolutamente. Una storia viva dove si incrociano tante cose. Credo che almeno tenere insieme sia l’aspetto spirituale, biblico e l’aspetto della comunità che vive oggi in Terra Santa, anche col suo dolore, con le ferite del conflitto, sia un atteggiamento indispensabile per chi oggi va in Terra Santa.
D. – Quale vuole essere il tuo contributo con questa guida?
R. – Aiutare a fare qualche collegamento tra il centro che è appunto quella storia che rileggiamo a partire dalle pagine della Scrittura, nei luoghi dove questa Scrittura si è svolta, e l’ambiente della Terra Santa di oggi, perché contemplare il mistero dell’Incarnazione vuol dire guardare a un Dio che entra in una storia che non si ferma.
Così come a Nevè Shalom, l’oasi della pace, fondata dal domenicano padre Bruno Hussar: un villaggio dove vivono insieme ebrei e arabi, cristiani e musulmani. Dove, come a tutte le latitudini, non sempre si va d’accordo, non sempre tutto è facile, ma dove per questo si impara che i conflitti vanno affrontati, perché segnano ogni uomo: la pace non nasce da un’idea ma dai cuori di migliaia di singole persone. Così come Gesù di Nazareth e tutta la storia di salvezza sono fatti, nomi e luoghi concreti che ancora oggi coinvolgono nella più profonda e passionale delle storie d’amore.
La Chiesa celebra la festa di Santa Caterina da Siena, patrona d'Italia e d'Europa
◊ Oggi, 29 aprile, come ha ricordato il Papa all’udienza generale, la Chiesa celebra la festa di Santa Caterina da Siena, vergine e dottore della Chiesa, compatrona d’Italia e d’Europa. Il servizio di Sergio Centofanti.
Caterina nasce a Siena il 25 marzo 1347, ultima di 25 figli. Non va a scuola e resta semi-analfabeta fino a 30 anni. I genitori le scelgono il marito già a 12 anni, ma lei ha deciso di darsi a Dio. Si taglia i capelli, si mette il velo e si chiude in camera. Entra nel Terz’Ordine delle Domenicane. Ha esperienze mistiche, parla con Gesù, riceve le stimmate ma s’immerge nei problemi del tempo che sconvolgono l’Italia e l’Europa. Aiuta malati, poveri, carcerati. Detta lettere di fuoco a Papi e re che inizia in questo modo: “Io, Caterina, serva e schiava di nostro Signore Gesù Cristo, scrivo a voi nel preziosissimo Sangue suo”. E quando comunica ai “grandi” le volontà di Dio dice con forza: “Io voglio!”. Le vengono affidate missioni di pace tra i Comuni italiani. E’ anche grazie a lei che i Pontefici lasceranno la città francese di Avignone per tornare a Roma. Caterina chiama il Papa “dolce Cristo in terra” e “babbo mio dolce”. Affronta tribolazioni di ogni tipo. Ma afferma che “la pazienza è il midollo della carità”. Sa di essere un niente di fronte al tutto di Dio-Amore. Paolo VI la definisce “mistica della politica”. Vicina alla morte confessa: “la più grande grazia che ho ricevuto, singolarissima grazia, è quella di aver speso la vita nella Chiesa e per la Chiesa”. Conforma tutta la sua esistenza a Cristo. Caterina muore a Roma il 29 aprile del 1380: aveva 33 anni.
Brasile. La Chiesa: no all'agro-business che colpisce le terre degli indigeni
◊ La centrale idroelettrica di Belo Monte, nel Pará, quella di Estreito, nel Tocantins e nel Maranhão, ma anche il programma di deviazione del fiume São Francisco, nel nord-est: sono tra le 48 opere pubbliche previste dal ‘Programma di accelerazione della crescita’ (Pac) del governo brasiliano che colpiscono direttamente terre abitate da popoli indigeni. A sottolinearlo è stato mons. Erwin Kräutler, presidente del Consiglio indigenista missionario (Cimi) e vescovo della prelatura dello Xingu. L’occasione è stata l’Assemblea plenaria della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb) in corso a Itaici. In base alla Costituzione del 1988, il governo è tenuto a demarcare i territori ancestrali delle popolazioni native rispettando usanze, costumi e tradizioni e garantendo loro possesso permanente e usufrutto delle risorse, unica strada per garantire la continuità della loro esistenza. Ma – ha affermato mons. Kräutler - “nonostante tutte le leggi a favore dei popoli indigeni, se non si prendono misure immediate, si consumerà un ennesimo genocidio in pieno XXI secolo”. Il vescovo ha denunciato la situazione degli indigeni Guaraní-Kaiowá del Mato Grosso do Sul che “vivono confinati in piccole porzioni di terra e soffrono ogni forma di violenza e persecuzione”. Ma ha poi aggiunto che analoghe situazioni si trovano anche in regioni del sud, sud-est e nord-est dove “i conflitti con i latifondisti proseguono inalterati da molto tempo”. Citando l’Amazzonia, mons. Kräutler ha sottolineato che “le invasioni delle terre indigene sono generalmente motivate dalla sete delle loro ricchezze naturali”. Il vescovo si è, dunque, pronunciato contro “un modello di sviluppo che favorisce le grandi imprese e l’agro-business”, e che considera la terra solo “come merce sfruttabile fino all’esaurimento”. Dovremmo invece – ha aggiunto - “vedere nella terra la casa che Dio ha creato, in cui i popoli vivono e convivono rispettosamente con la natura”. Da questa visione delle cose nascerebbe un modello di sviluppo “orientato alla vita, alla pace, alla tutela ambientale e al benessere delle popolazioni locali”. Come sottolinea l’agenzia Misna, mons. Kräutler vive sotto scorta per reiterate minacce di morte per il suo trentennale impegno a favore dei diritti dei nativi. (F.S.)
Messaggio dei vescovi del Cile a conclusione della plenaria
◊ A conclusione della loro 97.ma Assemblea plenaria, che si è svolta la settimana scorsa, i vescovi cileni hanno pubblicato il documento finale in cui rilevano che il Paese non può rinunciare a valori fondamentali come la centralità della famiglia fondata sul matrimonio, la dignità di ogni vita umana, la solidarietà con i più poveri, il diritto- dovere dei genitori a educare i propri figli e, infine, la libertà religiosa”. “Cristo è venuto al mondo come Signore della vita per annunciare e inaugurare il Regno della vita e dunque- si legge nel documento - i vescovi desiderano “accompagnare i figli e le figlie del Cile nelle loro speranza e gioie, ma anche nelle loro afflizioni e dolori”. Ribadendo il magistero della Chiesa sulla sacralità ed intangibilità della vita, i presuli lamentano che nella campagna elettorale sia stato introdotto quello che è stato “falsamente chiamato aborto terapeutico” e dunque invitano i cristiani a sapere discernere e a non dimenticare il loro dovere di difendere la vita in quanto dono inestimabile di Dio. Per quanto riguarda la crisi sociale, economica e finanziaria, si ricorda la necessità di affrontarla con “una visione cristiana” e perciò tenendo presente l’importanza della “solidarietà non solo con i poveri, ma anche con i ceti medi” ugualmente colpiti della situazione. D’altra parte, lanciano un appello allo Stato la cui “responsabilità sociale” può fare molto, così come “gli imprenditori e i lavoratori”: tutti possono impegnarsi per evitare “la perdita dei posti di lavoro”. Con riferimento alle elezioni presidenziali e politiche in programma per i prossimi mesi, l’Episcopato sottolinea l’importanza di un incontro nuovo con l’anima del Cile, cioè con i suoi valori più profondi. Perciò i vescovi invitano i cristiani impegnati in politica ad essere capaci di coltivare il dialogo e nello stesso tempo di offrire una testimonianza di fede. I vescovi ricordano inoltre che durante i lavori della loro Plenaria hanno riflettuto a lungo sulla questione ambientale e “sul contributo che possono dare i cristiani” e annunciano un prossimo documento specifico e più elaborato sulla materia che si ritiene dovrebbe essere una fondamentale priorità della nazione. Infine, i vescovi cileni fanno sapere di aver scambiato idee e proposte sulla situazione delle popolazioni indigene soffermandosi soprattutto sul problema “dell’identità e cultura” di questi popoli e sulle difficoltà che trovano “nell’ambito di problemi come la terra e i loro diritti”. Per i presuli occorre proteggere questi popoli “nella cornice di un dialogo sincero e rifiutando la violenza”. (A cura di Luis Badilla)
Bolivia: messaggio dei vescovi per la Missione nazionale
◊ “E’ necessaria una forte scossa che risvegli dalla loro indifferenza tanti cristiani e li porti ad una vita più autentica, personale e comunitaria” si legge nel messaggio dei vescovi boliviani alla fine della 87a Assemblea Plenaria, tenutasi dal 23 al 28 aprile. Nell’occasione è avvenuto anche il lancio della missione nazionale, con una celebrazione eucaristica, presieduta dal cardinale Julio Terrazas, Presidente della Conferenza Episcopale, e concelebrata da tutti i Vescovi del Paese. "Come seguaci di Gesù, in comunione ecclesiale, vogliamo compiere umilmente e fedelmente questo mandato di annunciare la Buona Novella al nostro popolo.... Sotto il tema ‘Discepolo missionario: ascolta, impara ed annuncia’, vogliamo intraprendere la strada che ci porta all'incontro personale con Cristo ed alla conversione, per rivitalizzare la vita di Dio in ogni cristiano ed in tutte le nostre comunità" affermano i Vescovi nel Messaggio finale. Il "nostro Paese è cristiano – scrivono nel testo ripreso dall’Agenzia Fides - vuole continuare ad essere cristiano e lo manifesta in modi diversi". I presuli della Bolivia hanno ribadito il proprio impegno nel “servire i fratelli e i settori sociali più poveri e vulnerabili, attraverso centri educativi, ospedali e centri sanitari, case per bambini e persone abbandonate, mense popolari e tante altre opere sociali che si portano a termine in ogni posto dove è presente la Chiesa”. E’ stato ricordato, inoltre, il recente attentato all’abitazione del cardinale Terrazas, “attentato che è anche contro la sua persona e la stessa Chiesa”. Nel sottolineare tutto il loro disappunto per il fatto accaduto chiedono: “un pronto chiarimento di quanto successo, affinché non succedano più fatti simili contro nessuna persona”. L’appello alla pace è stato sentito unanimemente e non è mancata una riflessione in vista delle elezioni di fine anno: "Il Paese spera che questo avvenimento, tanto importante per la vita del Paese, non sia turbato dall'inganno e dalla bugia, dal confronto violento, dagli insulti e dagli interessi particolari contrari al bene comune", concludono i Vescovi, preoccupati per “la situazione di povertà in cui si trova molta gente”. Situazione destinata a peggiorare. Come evidenziato, a causa della dilagante crisi economica. (A.V.)
Il grazie dei vescovi del Congo a Benedetto XVI per il suo viaggio in Africa
◊ I vescovi della Repubblica Democratica del Congo ringraziano Benedetto XVI per “aver visitato la nostra terra d'Africa, averci confermato nella fede in Gesù Cristo, Luce del mondo, ed aver riacceso la speranza per il futuro del nostro continente”, si legge in una dichiarazione inviata all'Agenzia Fides, firmata da mons. Nicolas Lola Diomo, vescovo di Tshume e presidente della Conferenza episcopale Congolese (Cenco). Benedetto XVI, affermano i vescovi congolesi, “è venuto a testimoniare l'amore di Cristo e a condividere con noi le sfide pastorali del nostro continente che saranno al centro della prossima Assemblea Speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi. A tal fine, ha consegnato alla Chiesa cattolica in Africa l'Instrumentum laboris che servirà alla preparazione immediata dell'Assemblea”. “I messaggi che Benedetto XVI ha lanciato da Yaoundé (Camerun) e da Luanda (Angola) - prosegue il comunicato - hanno lo stesso obiettivo: far sì che la Chiesa in Africa diventi sempre più il sale della terra e la luce della vita sociale, culturale e religiosa del continente. Da qui si comprende l'insistenza del Papa sul rispetto della vita, sulla conservazione della nostra identità africana seriamente minacciata da una vorace ed aggressiva globalizzazione, sulla lotta contro la corruzione e l'ingiusto sfruttamento dell'uomo da parte dei suoi simili, così come il richiamo ai governi africani sulle loro responsabilità nei confronti delle proprie popolazioni e delle altre nazioni”. La Conferenza Episcopale Congolese ringrazia il Santo Padre “per la profondità delle sue parole che ci toccano e ci responsabilizzano nel nostro compito di costruire un'Africa che non sia più una trascurabile appendice sulla scena internazionale e della quale non ci si interessa mai”. Nel loro comunicato i vescovi congolesi esprimono dolore e sorpresa per le polemiche fomentate da “alcuni mezzi di comunicazione per creare volontariamente confusione e per mantenerla scientemente”, riprendendo “fuori dal loro contesto”, le parole del Papa sull'Aids “che costituiscono l'insegnamento abituale della Chiesa cattolica”. “In verità - precisano i vescovi congolesi - il messaggio del Papa che abbiamo accolto con gioia ci rafforza nella nostra lotta contro l'Hiv-Aids. Diciamo no all'uso di preservativi! Questa pratica costituisce non solo un disordine sul piano etico, ma è anche e soprattutto la prova della banalizzazione della sessualità nella nostra società. Invece di rallentare la malattia, e senza offrire una sicurezza totale, esaspera l'egoismo umano, aggrava il problema, favorisce il lasciarsi andare agli istinti sessuali e spoglia la sessualità delle sue funzioni simboliche e religiose”. “Perché allora questa polemica burrascosa che ha suscitato scalpore su ciò che costituisce un nobile insegnamento della Chiesa e che il Santo Padre, con coraggio e amore, ha ricordato ai suoi fratelli d'Africa? Ci si preoccupa per la libertà degli africani? Eppure, paradossalmente, è questo impegno forte e determinante di cui parla Papa Benedetto XVI, che è indispensabile per l'uomo di oggi, se vogliamo aiutare l'umanità a non entrare in decadenza. Perché solo una libertà che non si arrende al vagabondaggio del desiderio, alla cecità del proprio egoismo e alla tirannia della convenienza del momento, può contribuire a rendere l'uomo più nobile e più responsabile dei suoi atti, nella prospettiva di un futuro migliore” concludono i vescovi congolesi.
La soddisfazione del cardinale Napier per lo svolgimento ordinato e pacifico delle elezioni in Sudafrica
◊ Una vittoria della democrazia in Sudafrica. Così, in una nota, il cardinale Wilfried Napier, arcivescovo di Durban e portavoce della Conferenza episcopale sudafricana (SACBC), commenta lo svolgimento delle elezioni politiche del 22 aprile, vinte dall’African National Congress (Anc). “La vera vittoria – scrive il porporato - appartiene a tutti i sudafricani che hanno partecipato al voto”, il cui svolgimento “ordinato e pacifico” merita di essere festeggiato, perché “è un segno importante che la cultura democratica ha attecchito nella coscienza della Nazione”. Un Paese che dalla fine dell’apartheid ha raggiunto molti obiettivi, ma in cui “resta ancora molto da fare”, evidenzia la nota che esorta “l’ANC a restare fedele ai suoi principi fondativi e a raddoppiare gli sforzi per costruire una nazione libera, unita e prospera”. Segue quindi l’invito al nuovo governo ad impegnarsi in modo particolare per “i poveri, gli emarginati e i malati” e a “tutti gli eletti ad essere legislatori efficaci, rispettosi della legge e custodi del Bene Comune e della Costituzione”, perché, afferma il card. Napier, “un’elezione non è la strada per arrivare al potere, ma la chiamata ad un servizio”. Infine, un’esortazione ai cattolici a pregare per i nuovi leader e a contribuire a “consolidare la cultura del rispetto e della responsabilità perché tutti possano godere dei diritti umani”. La netta vittoria dell’African National Congress porterà alla presidenza del Sudafrica Jacob Zuma, suo leader carismatico (ma anche figura controversa) che sarà eletto per un mandato di cinque anni nel corso di una seduta straordinaria del Parlamento, il prossimo 6 maggio. (L.Z.)
Mons. Onaiyekan: le violenze in Nigeria non hanno nulla a che fare con la religione
◊ Le sedicenti violenze religiose tra cristiani e musulmani che periodicamente infiammano alcune regioni della Nigeria hanno in realtà poco o nulla a che fare con la religione. Lo ha ribadito mons. John Olorunfemi Onaiyekan, arcivescovo di Abuja e presidente dell’Associazione Cristiana della Nigeria (CAN), parlando nei giorni scorsi a Washington ai membri della Commissione americana sulla libertà religiosa nel mondo (USCIRF). La commissione sta preparando un rapporto sulla Nigeria, dopo gli ultimi scontri a Jos e a Bauchi, nel nord-est del Paese, in cui numerose chiese e moschee sono state date alle fiamme con diverse vittime. Nel suo intervento – riferisce l’agenzia Cns - mons. Onaiyekan ha spiegato che all’origine di queste violenze spesso ci sono di fatto motivazioni politiche e sociali e come la religione sia solo un pretesto per gruppi di potere locale. “I nigeriani prendono sul serio la religione e i politici corrotti hanno gioco facile a manipolarli e ad istigarli alla violenza”, ha detto il presule paragonando la situazione del suo Paese a quella in Terra Santa dove la matrice politica del conflitto israelo-palestinese viene confusa con quella religiosa. Secondo l’arcivescovo, gran parte di queste violenze settarie potrebbero essere superate se si riportasse un po’ di ordine nelle varie comunità. Non dissimile è stato il giudizio del Sultano di Sokoto e presidente del Consiglio superiore islamico, Sa’ad Abubakar. L’esponente musulmano, che insieme a mons. Onaiyekan presiede il Consiglio interreligioso della Nigeria (NIREC), ha convenuto sul dovere dei leader religiosi nigeriani di smascherare la falsa idea che attribuisce alla religione la causa dei problemi. Diversa è stata invece la valutazione dei due esponenti religiosi sull’introduzione della Sharia in alcuni Stati del nord della Nigeria: secondo il Sultano Abubakar, essa non avrebbe avuto ripercussioni sui cristiani, mentre mons. Onaiyekan ha segnalato casi di cristiani che hanno dovuto sottomettersi alla legge islamica. (L.Z.)
Vertice ad Arusha per creare un’area di libero scambio nell’Africa orientale
◊ Si apre oggi ad Arusha, in Tanzania, un vertice dei capi di Stato e di governo della Comunità dell’Africa orientale nel corso del quale si proverà a raggiungere un accordo per la costituzione di un’area di libero scambio. Diritto di residenza e d’impresa, libera circolazione delle merci, dei lavoratori e dei servizi: saranno questi i principi cardine del mercato comune, di cui si continua a discutere sulla base dei risultati di colloqui e incontri avviati da tempo. E’ l’agenzia Misna a riportare la notizia del vertice spiegando che le transazioni economiche tra Kenya, Uganda, Tanzania, Burundi e Rwanda sono già in aumento e la creazione di un’area di libero scambio dovrebbe favorire questo processo. La Comunità dell’Africa orientale si muove nella stessa direzione di altri organismi regionali, favorevoli a una maggiore integrazione transnazionale e dell’Unione Africana (UA) che auspica processi di integrazione regionali in grado di condurre a lungo termine alla creazione di un mercato continentale. L'organismo è tra l’altro già in trattativa con la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe e con il Mercato comune dell’Africa orientale e australe per la formazione di unico organismo rappresentativo a livello regionale. (F.S.)
Pakistan: ordinato sacerdote il primo gesuita pakistano
◊ Padre Imran John, di 33 anni, è il primo gesuita di nazionalità pakistana. L’ordinazione sacerdotale è avvenuta nella Cattedrale del Sacro Cuore a Lahore, per le mani di mons. Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore. “Costruire relazioni sociali fra comunità religiose all’insegna dell’armonia, per contrastare l’estremismo dilagante” le prime parole del neo sacerdote. La Compagnia di Gesù in Pakistan offre nuove speranze al Paese: in una fase sociale e politica molto difficile, in cui le minoranze cristiane soffrono l’offensiva integralista dei movimenti talebani pakistani – scrive l’agenzia Fides - l’evento testimonia il coraggio e la fede con cui la Chiesa sta vivendo questo momento, in cui sono messi in discussione i diritti, la dignità e le libertà inalienabili dei cittadini pakistani credenti in Cristo. La Compagnia di Gesù giunse in Pakistan nel XVI sec, dalla colonia portoghese di Goa. Dopo un periodo di fioritura, le missioni gesuite caddero in disgrazia presso i governanti locali e scomparvero nel 1650. I religiosi sono rientrati nel Paese nel 1961, quando, grazie ai gesuiti tedeschi, si è aperta una nuova casa in Pakistan. Da allora si sono dedicati al lavoro di istruzione, di formazione e di evangelizzazione, di cui oggi si raccolgono i frutti. Altri giovani seminaristi pakistani infatti sono prossimi all’ordinazione sacerdotale. Questo fa ben sperare in un nuovo stabile radicamento locale della Compagnia di Gesù in terra pakistana, come ha sottolineato padre Renato Zecchin, superiore della comunità locale dei gesuiti. I cristiani in Pakistan hanno lanciato di recente un appello affinché il governo di Asif Ali Zardari non si arrenda di fronte alle pressioni degli integralisti islamici, ma tuteli i cittadini pakistani di ogni religione. (A.V.)
Pakistan: morto il bambino cristiano ferito in un attacco
◊ Non ce l’ha fatta il bambino cristiano di undici anni, rimasto ferito gravemente insieme ad altre cinque persone, nel corso di un attacco armato. Il bambino è deceduto all’ospedale Abbasi Shahid a seguito di un colpo di arma da fuoco alla testa, dopo cinque giorni di sofferenza. I fondamentalisti – riferisce AsiaNews- avevano bruciato le case dei cristiani e diverse copie della Bibbia. Mentre alcuni attivisti denunciano il mancato intervento della polizia. L’episodio si era consumato vicino Karachi, per un assalto dei talebani a un gruppo di cristiani di Tiasar Town. Qui, vi sono circa 700 famiglie cristiane, di cui 300 cattoliche, che appartengono alla parrocchia di San Giuda, nell’arcidiocesi di Karachi, il cui parroco è padre Richard D’Souza. L’attacco è stato sferrato il 22 aprile scorso, quando una folla di estremisti armati ha assaltato un gruppo di cristiani in un sobborgo di Karachi, bruciando sei abitazioni e ferendo in modo grave tre fedeli. Fra questi vi era anche il bambino undicenne, le cui condizioni erano apparse subito gravi. La situazione è tornata alla normalità alcune ore più tardi, grazie all’arrivo delle forze paramilitari pakistane. Le famiglie abitavano nelle zone centrali della città, ma un provvedimento di espulsione forzata delle loro abitazioni li ha costretti in periferia. Secondo gli attivisti del Ncjp, i talebani hanno attaccato i cristiani perché “colpevoli” di cancellare scritte ingiuriose e slogan estremisti dalle pareti delle case e di una chiesa locale. I fondamentalisti avevano imbrattato le pareti con frasi che incitavano all’odio e alla violenza. Feriti e luoghi dell’attacco sono stati visitati da una delegazione formata da religiosi e laici, guidata da padre Emmanuel Yousaf Mani, direttore della Commissione nazionale di giustizia e pace. La delegazione ha incontrato anche i vertici locali del Muttahida Quami Movement (Mqm), il solo partito pakistano che si è opposto all’introduzione della Sharia nella Swat Valley. Morti e feriti si sono registrati solo all’interno della comunità cristiana; cinque gli arresti fra i musulmani, sorpresi mentre brandivano le armi con le quali hanno sferrato l’assalto. Padre Mani invita ora la comunità cristiana di Tiasar Town a “rimanere unita” e garantisce il “sostegno legale gratuito della Commissione” in sede processuale. (A.V.)
Francia: dichiarazione dei vescovi francesi sulle elezioni europee
◊ “Oggi più che mai, è importante che la Francia invii al Parlamento europeo uomini e donne di convinzione, che si impegnino a difendere il rispetto di ogni uomo” dicono i vescovi francesi in una dichiarazione diffusa oggi, in vista delle imminenti elezioni europee. “Il voto è sempre un dovere per il cittadino, ma per non sbagliarsi, è necessaria una informazione seria” continuano nel testo – di cui riferisce l’agenzia Sir. Ed ancora: “Il Parlamento Europeo è l’unica istituzione dell’Unione Europea ad essere eletta a suffragio universale dal 1979”. Nessuna indicazione di voto dai presuli d’Oltralpe agli elettori francesi, ma l’invito a prendere coscienza dell’importanza del proprio diritto di voto, che avranno facoltà di esercitare il prossimo sette giugno.“Anche se i sentimenti dei francesi riguardo all’Europa restano divisi – si legge nella dichiarazione – queste elezioni rivestono un momento di grande importanza, soprattutto nelle circostante attuali”. Per la crisi finanziaria mondiale i vescovi mettono in guardia anche da “tentazioni di ripiegarsi nei particolarismi nazionali e regionali” in un momento in cui servono “concertazione” ed “una più grande solidarietà”. “Non possiamo pretendere solidarietà solo per noi stessi o limitarla ai confini dell'Unione. – aggiungono - Essa dovrebbe concretizzarsi in un'azione esterna all’Europa, nella sua politica di sviluppo, delle migrazioni e dell'ambiente". La costruzione di un tale modello di società – che i vescovi chiamano “individualista”- non avverrà spontaneamente, e nessun Stato potrà farlo da solo. "Questa costruzione richiede cambiamenti significativi nel nostro stile di vita e di consumo. Implica dunque decisioni politiche coraggiose a livello nazionale ed europeo”. Un invito al voto ed una difesa dell’istituzione parlamentare europea: “Da più di 50 anni lo sviluppo dell’Unione Europea è stato un fattore di pace e di prosperità per l’insieme dei Paesi che ne sono stati i fondatori e per quelli che vi si sono aggiunti, nel corso degli allargamenti”. (A.V.)
Europa: violati i diritti dei rom
◊ “Nonostante le promesse di combattere razzismo e discriminazione, i diritti dei Rom continuano ad essere violati in tutta Europa”: lo ha denunciato, secondo quanto riporta l’agenzia Misna, il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Thomas Hammarberg, rivolgendo un appello ai governi europei affinché adottino misure efficaci. In un messaggio pubblicato sul sito del Consiglio d’Europa, Hammarberg sottolinea che “i principali indicatori in materia di istruzione, salute, occupazione e partecipazione politica mostrano che i Rom sono più svantaggiati di qualsiasi altro gruppo in Europa”. Il commissario, dunque, sottolinea la necessità di porre fine alle “istigazioni all’odio” e chiede a responsabili politici e a opinionisti di evitare la retorica anti-rom, difendendo i principi di non discriminazione, tolleranza e rispetto verso popoli di origini diverse. Secondo Hammarberg “è fondamentale che i politici e gli opinionisti evitino una retorica che induce alla discriminazione e favoriscano invece i principi di tolleranza e rispetto per le persone provenienti da altri contesti e altri Paesi d’origine”. (F.S.)
Sud Corea: il messaggio dei vescovi per la Giornata dei migranti
◊ “Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35): così è intitolato il Messaggio diffuso dai vescovi coreani per la Giornata Mondiale dei Migranti, celebrata domenica scorsa. Il testo invita i fedeli ad accogliere gli immigrati e gli stranieri, che giungono sul suolo coreano soprattutto in cerca di lavoro, con uno sguardo d’amore, tenendo bene a mente il comandamento che dice “ama il prossimo tuo come te stesso”. Il Messaggio si rivolge anche agli stessi immigrati, ricordando che la loro esperienza è simile a quella degli apostoli di Gesù: “Essi hanno vissuto gran parte della loro vita da stranieri e sono stati costantemente aiutati dai loro vicini”, un segno della Provvidenza Divina. Il vescovo - riferisce l'agenzia Fides - ricorda le difficoltà economiche e sociali che spingono persone provenienti da numerosi Paesi asiatici a cercare un lavoro e una vita migliore in Corea, vista come nazione progredita, dinamica, che garantisce benessere ai suoi cittadini. L’auspicio è che la popolazione coreana sappia costruire gradualmente una società pluralista e multiculturale, dove tutti possano esprimersi ed essere accettati, nonostante le differenze di nazionalità, cultura e religione. Un segno di questo orientamento sono le famiglie multiculturali già esistenti in Corea, che danno testimonianza della possibilità di scambio e di arricchimento reciproco fra persone di diversa nazionalità. La migrazione di cui è meta la Corea, si nota nel Messaggio, pone diverse sfide alla Chiesa coreana: in primo luogo, l’assistenza materiale, sociale, psicologica, spirituale alle famiglie di migranti, all’insegna dei valori di condivisione e solidarietà. In secondo luogo, la Chiesa deve proporre e sensibilizzare la società a realizzare interventi più significativi ed efficaci, tanto sul piano politico quanto su quello sociale, per tutelare la dignità e i diritti elementari delle famiglie migranti. Infine, dal punto di vista pastorale, occorre puntare anche sulla corresponsabilità delle famiglie migranti come soggetti attivi di evangelizzazione. Spesso, infatti, a stabilirsi in Corea sono famiglie cattoliche (come quelle provenienti dalle Filippine), che possono dare un contributo alla comunità locale per un risveglio della fede e per l’opera di “nuova evangelizzazione” presso altre famiglie. Le famiglie immigrate costituiscono dunque una preziosa risorsa per la Chiesa locale.
II noto settimanale dei gesuiti "America" festeggia i cento anni di vita
◊ Con il numero del 13 aprile scorso la rivista “America”, il settimanale fondato e diretto dai Gesuiti degli Stati Uniti, ha commemorato i suoi primi cento anni di vita. Cento anni di analisi e approfondimenti che hanno lasciato un segno nella Chiesa e in tutta la società americana, come sottolinea in un’intervista all’agenzia Cns il suo attuale direttore, il padre gesuita Drew Christiansen. Fondata a New York nel 1909, sul modello del settimanale cattolico inglese “The Tablet”, “America” resta ancora oggi l’unico settimanale cattolico a diffusione nazionale negli Stati Uniti. Un periodico di opinione con una precisa linea editoriale che non ha mancato di suscitare, soprattutto in questi ultimi anni, vivaci dibattiti in seno alla Chiesa americana, attirando l’attenzione dell’opinione pubblica e non solo. Ad allargare il pubblico dei suoi lettori ha contribuito in questi ultimi anni il web. Le nuove tecnologie non hanno tuttavia mutato la sua missione che - spiega padre Christiansen – resta quella “di comunicare, fare conoscere il cattolicesimo americano alla Chiesa universale, ma anche alla società” . “Il mio auspicio – ha precisato il sacerdote gesuita - è che la stampa cattolica solleciti la Chiesa ad avere una maggiore considerazione dell’importanza di un’informazione aperta e libera e ad esprimere la vitalità della testimonianza della Chiesa nel mondo contemporaneo”. (L.Z.)
Febbre suina: un bambino la prima vittima negli Usa
◊ Resta alta l’allerta per l’influenza suina: le autorità sanitarie americane hanno confermato la morte di un bambino in Texas. E’ la prima vittima al di fuori del Messico. Nuovi casi di persone colpite dal virus si riscontrano anche in Europa. Sul bilancio delle vittime si registrano, intanto, sensibili divergenze. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
I numeri sull’influenza suina, definita dall’Unione Europea la “nuova febbre”, sono contraddittori: l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha ridimensionato a sette le vittime accertate e direttamente riconducibili al virus. Secondo il ministro messicano della Sanità, i morti a causa dell’influenza sono invece almeno 152. Dagli Stati Uniti arriva poi la notizia della prima vittima al di fuori del Messico: si tratta di un bambino del Texas. Negli Stati Uniti, dove le autorità sanitarie hanno confermato 64 casi, il presidente Barack Obama ha chiesto intanto al Congresso di stanziare 1,5 miliardi di dollari al fine di “rafforzare le capacità” del Paese di rispondere all’influenza e di far fronte “ad eventuali emergenze sanitarie”. L’Oms ha sottolineato inoltre che “l’ipotesi di una pandemia non è inevitabile”, ma l’allerta resta alta in tutto il mondo. Nell’Unione Europea, sono diversi i casi confermati: cinque nel Regno Unito, tre in Germania, due in Spagna e uno in Austria. In Nuova Zelanda si contano 14 casi, 2 in Israele. Sono inoltre in corso verifiche su casi sospetti in diversi Paesi tra cui Italia, Corea del Sud, Brasile e Cile. L’Oms farà il punto nelle prossime ore sull’evoluzione della crisi dell’influenza nel mondo con esperti dei Paesi colpiti dal virus. L’Argentina ha annunciato il blocco per cinque giorni dei voli provenienti dal Messico. Francia e Canada hanno sconsigliato ai loro cittadini di recarsi nel Paese ed il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha convocato una riunione straordinaria del governo. Il sottosegretario alla Salute italiano, Ferruccio Fazio, ha sottolineato infine che il virus si sta dimostrando “poco aggressivo, inferiore a una normale influenza”.
Stati Uniti, 100 giorni della nuova amministrazione
E’ tempo di bilanci per la nuova amministrazione statunitense. Scadono, infatti, i primi cento giorni di presidenza di Barack Obama, successore alla Casa Bianca di George Bush. Un’eredità difficile tanto in politica estera quanto in campo economico e finanziario, che viene affrontata da Obama con un’agenda ricca di impegni e progetti a lunga scadenza. Stefano Leszczynski ha chiesto a Tiziano Bonazzi, docente di Storia americana all’Università di Bologna, un commento sull’operato del presidente Obama:
R. - C’è una frase che Obama ha ripetuto varie volte e che è importante: occorre ricostruire il capitale morale degli Stati Uniti a livello internazionale. Un’intenzione di svolta, che ha visto atti simbolici molto importanti come la riapertura di canali diplomatici con l’Iran e con la Siria, la stretta di mano con il presidente Chavez, la dichiarazione di voler chiudere Guantanamo. Questi sono atti simbolici, più che atti reali. In pratica è tutto in movimento.
D. - Ancor più complesso è stato lo scenario economico e finanziario che il presidente si è trovato a dover gestire in casa. Anche qui, una linea di condotta basata su due principi: severità e solidarietà...
R. - Questa è una politica di lungo termine, una politica che ancora una volta è assolutamente in divenire. Ma ci sono alcuni dati che possono già essere considerati come acquisiti. Personalmente, ritengo che il presidente Obama, da un punto di vista economico, si stia muovendo abilmente all’interno di quelli che sono i problemi di carattere politico, nei confronti di un mondo economico che naturalmente è potentissimo. Si sta muovendo tra necessità economiche provocate da una crisi che, senza dubbio, nessuno si aspettava durante la campagna elettorale dell’anno scorso.
D. - Si è spesso detto che la politica di Obama voleva segnare una discontinuità con la precedente amministrazione Bush. Questo è valso a Obama un fortissimo rafforzamento del proprio gradimento...
R. - Il presidente Obama si trova alle prese con una rivolta dell’opinione pubblica nei confronti dei repubblicani. Una rivolta molto probabilmente anche eccessiva, perchè la politica che il presidente Obama sta perseguendo in Iraq è in continuità, non in discontinuità, con la politica che il presidente Bush ha seguito nella sua seconda amministrazione, soprattutto dal 2006 al 2008. Cosa potrà succedere da qui a uno o due anni, evidentemente è impossibile dirlo.
Incontro tra ambasciatori di Russia e Nato
Gli ambasciatori dei Paesi della Nato e della Russia si incontreranno domani a Bruxelles per il primo consiglio formale dopo la guerra russo-georgiana dell'agosto scorso. La riunione, che ha lo scopo di normalizzare i rapporti fra le parti, si svolgerà alla luce delle nuove difficoltà tra l’Alleanza atlantica e il governo di Mosca, causate dalle imminenti esercitazioni militari della Nato in Georgia, previste per i primi di maggio. Su queste esercitazioni Mosca ha espresso forte contrarietà. Ma qual è oggi il nuovo ruolo della Russia nell’ambito della comunità internazionale? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica "Limes", che ha dedicato l’ultimo numero proprio alla politica estera della Russia:
R. - La Russia, dopo essere praticamente ‘scomparsa’ per un decennio negli anni Novanta, è tornata ad essere un protagonista, certamente non all’altezza degli Stati Uniti o della Cina. Ma è comunque un Paese protagonista e, soprattutto, uno Stato rispetto al quale abbiamo stabilito noi europei una forte interdipendenza: importiamo l’energia russa in quantità crescente e i russi sono sempre più dipendenti dal nostro mercato energetico.
D. - Potrebbe essere un’alleanza solo sul piano economico o c’è qualcosa in più?
R. - C’è qualcosa in più e non riguarda solamente l’energia, anche se questo settore è fondamentale. Si parla sempre di più del rapporto fra Russia e Germania come dell’asse portante di un nuovo assetto paneuropeo. Addirittura questo rapporto viene paragonato a quello franco-tedesco.
D. - E’ indubitabile che la Russia per dialogare con le altre grandi potenze deve mettere a posto le cose interne, soprattutto i rapporti con le ex Repubbliche sovietiche del Caucaso...
R. - Diciamo che, in generale, la Russia sta cercando di ricreare una sua sfera di influenza nell’area ex sovietica e che la situazione attuale degli Stati Uniti, che hanno altri problemi, impone loro di cercare un accordo con la Russia, chiudendo magari un occhio sulle mire russe nella regione, che una volta apparteneva all’impero sovietico.
D. - Si va di nuovo verso un mondo a blocchi...
R. - Francamente, "blocchi" è un termine un po’ troppo forte. Diciamo che le vecchie alleanze ormai sono abbastanza prive di senso, compresa la Nato. Si stanno creando nuovi allineamenti, fra i quali probabilmente il principale è quello tra Cina ed America: due Paesi che, almeno formalmente, sono ideologicamente all’opposto. Inoltre, su un piano più vicino a noi, una maggiore interdipendenza tra Europa e Russia - o almeno fra una parte dell’Europa e la Russia - ovvero, quella che abbiamo chiamato "Eurussia".
Pakistan - offensiva antitalebana
In Pakistan, l’esercito ha ripreso il controllo di Daggar, città strategica nel distretto nordoccidentale di Buner. Secondo fonti locali, sono più di 150 i miliziani rimasti uccisi durante i combattimenti iniziati domenica scorsa. Il ministro dell’Interno, Rehman Malik, ha dichiarato che si è trattato di “un’operazione contro i talebani che vogliono sabotare la pace nella regione”. Diversi osservatori sostengono che l’esercito pakistano ha deciso di intervenire contro i talebani per dare un forte segnale alla comunità internazionale. Negli ultimi tempi, soprattutto dopo il via libera delle autorità di Islamabad all’applicazione della sharia nella valle dello Swat, il governo pakistano è stato più volte criticato per concessioni, ritenute eccessive, in favore dei talebani.
Scontri in Afghanistan
Almeno 42 combattenti talebani sono stati uccisi questa mattina nel corso di una serie di operazioni militari congiunte tra forze afghane e internazionali nel sud dell’Afghanistan e nei pressi della capitale Kabul. Lo hanno reso noto fonti della coalizione internazionale a guida americana. I combattimenti hanno avuto luogo nelle turbolente province di Helmand e Oruzgan.
Iraq - nuovi dettagli sull’arresto del capo di Al Qaeda
Il capo in Iraq di Al Qaeda, Abu Omar Al Baghdadi, è stato catturato in seguito ad un’operazione condotta unicamente da apparati di intelligence e militari iracheni. A fornire nuovi dettagli su questo arresto è stato ieri il generale iracheno, Qassim Atta, che ha anche mostrato una foto del successore di Abu Al Zarqawi, ucciso nel 2006. Il generale ha anche dichiarato che il “terrorista ha organizzato numerosi attentati per provocare uno scontro confessionale” tra sciiti e sunniti. La notizia dell’arresto di Abu Omar Al Baghdadi, diffusa da un portavoce militare iracheno, non ha convinto il comando militare statunitense che ha anche sollevato diversi dubbi sulla reale identità della persona arrestata.
Francia e Spagna insieme nella lotta contro il terrorismo
Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha annunciato ieri al parlamento spagnolo che la Francia e la Spagna creeranno “un vero Stato maggiore comune per la sicurezza” al fine di coordinare meglio “la lotta contro il terrorismo, da qualunque luogo esso arrivi”. Francia e Spagna - ha spiegato Sarkozy - devono essere all’avanguardia “nel combattere tutti i traffici, che nutrono e finanziano il terrorismo”.
La Corea del Nord chiede le scuse dell’Onu
La Corea del Nord, recentemente sanzionata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per il lancio di un missile lo scorso 5 aprile, ha annunciato di voler condurre un test missilistico se le Nazioni Unite non presenteranno le loro scuse al governo di Pyongyang. “Se l’Onu non ci porgerà immediatamente le proprie scuse - ha dichiarato il portavoce del Ministero degli esteri nordcoreano - saremo costretti a prendere misure per la nostra difesa, compresi i test nucleari e dei missili balistici intercontinentali”. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 119
E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.