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Sommario del 21/08/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Rimosso il gesso al polso di Benedetto XVI. Il dott. Polisca: risultato ottimale, ora inizia la riabilitazione
  • Mons. Fratini, nuovo nunzio a Madrid: vado in Spagna con entusiasmo e trepidazione
  • Acquistare è sempre un atto morale e non solo economico. I commenti di Paolo Landi e Sergio Marelli sulla Caritas in veritate
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Elezioni in Afghanistan: attesa per i risultati
  • Nuova tragedia del mare. Il vescovo di Agrigento: non chiudere la porta al diritto di vivere
  • Italia: al via la sanatoria per colf e badanti
  • Chiesa e Società

  • Bolivia: Chiesa e governo firmano un importante accordo di collaborazione
  • I vescovi argentini: no a depenalizzare la droga, no a criminalizzare i tossicodipendenti
  • Mons. Cheenath: in Orissa la nostra forza è la Croce di Cristo
  • La Chiesa slovena: con nazismo e fascismo condannare anche il comunismo
  • Turchia: Bartolomeo I incontra il premier Erdogan
  • In Africa vivono un miliardo di persone: 200 milioni hanno meno di 18 anni
  • Al via il pellegrinaggio nazionale dell’Opera Romana Pellegrinaggi a Lourdes
  • 24 Ore nel Mondo

  • Somalia: decine di vittime in scontri fra governativi e ribelli islamici
  • Il Papa e la Santa Sede



    Rimosso il gesso al polso di Benedetto XVI. Il dott. Polisca: risultato ottimale, ora inizia la riabilitazione

    ◊   Benedetto XVI è stato sottoposto stamani alla “rimozione dell’apparecchio gessato e dei mezzi di sintesi già applicati il 17 luglio scorso presso l’ospedale di Aosta in seguito alla frattura del polso destro”. La rimozione, informa una nota della Sala Stampa vaticana, è avvenuta “nell’ambulatorio medico del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, appositamente attrezzato”. È stata inoltre “effettuata una radiografia di controllo che ha evidenziato la consolidazione della frattura”. Il medico personale del Papa, il dott. Patrizio Polisca, ha affermato che “il risultato finale nel suo complesso può definirsi ottimale”. “Il recupero funzionale, immediatamente iniziato – ha concluso l’archiatra pontificio – sarà completato mediante un adeguato programma riabilitativo”.

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    Mons. Fratini, nuovo nunzio a Madrid: vado in Spagna con entusiasmo e trepidazione

    ◊   Benedetto XVI lo ha nominato ieri nuovo nunzio apostolico in Spagna: è l’arcivescovo Renzo Fratini, 65 anni, originario di Urbisaglia, in provincia di Macerata. Il presule, attualmente nunzio in Nigeria, ha guidato anche le nunziature a Timor Est e Pakistan. Sergio Centofanti lo ha raggiunto telefonicamente ad Abuja, chiedendogli come abbia accolto la nomina:

    R. – Un primo sentimento è stato quello di sorpresa perché sinceramente non me l’aspettavo. Comunque, vado contento in questa nuova missione importante, in un importante Paese, ma anche con una certa trepidazione, nel senso che non credo sia facile in questo momento: i rapporti con la Spagna e anche la situazione in generale… Quindi, cercherò di fare il mio meglio!

     
    D. - Lei è stato nunzio in Nigeria, Timor Est e Pakistan. Qual è stata la sua esperienza al servizio della Santa Sede in questi Paesi?

     
    R. – Appunto, un po’ la sorpresa era questa. Sono stato, ormai, più di 15 anni in Paesi musulmani, come il Pakistan e l’Indonesia, e la Nigeria, dove ci sono molti musulmani anche se la metà della popolazione è cristiana. Quindi, ho un’esperienza di Paesi al di fuori dell’Europa. Adesso torniamo in Europa. Il Papa, parlando dell’Africa, ha detto che qui c’è una Chiesa viva, una Chiesa incoraggiante. Per me la Nigeria è stata una sorpresa, sono rimasto molto ben impressionato da questa Chiesa molto viva: amano pregare, c’è una grande vitalità, forse si richiede un approfondimento della fede nella formazione, però in Africa la fede è molto viva, le chiese sono piene, i seminari sono strapieni, ci sono molte vocazioni. Quindi, l’Africa rappresenta un po’ la speranza della Chiesa. Il prossimo Sinodo dei vescovi potrà certamente dare una testimonianza su questo: ci sono molte speranze. Mentre la Chiesa europea è un po’ stanca. Cerchiamo di fare il nostro meglio, aiutare un po’ per ravvivare e cercare di rianimare e incoraggiare la Chiesa dell’Europa, dando un piccolo contributo in quello che possiamo in Spagna in questo momento anche di crisi, di difficoltà economiche e finanziarie. Quindi, vado con grande entusiasmo e desiderio di lavorare, ma anche con una certa trepidazione perché è un momento non facile.

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    Acquistare è sempre un atto morale e non solo economico. I commenti di Paolo Landi e Sergio Marelli sulla Caritas in veritate

    ◊   “È bene che le persone si rendano conto che acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico”: è la riflessione di Benedetto XVI nella Caritas in veritate, che dedica un intero paragrafo alla realtà dei consumatori e alla loro responsabilità sociale. Il Papa mette l’accento sull’educazione dei consumatori al rispetto dei principi morali, che non sono mai contrari alla razionalità economica dell’acquisto. Il servizio di Alessandro Gisotti:

    Benedetto XVI rileva che la “interconnessione mondiale ha fatto emergere un nuovo potere politico, quello dei consumatori e delle loro associazioni”. Si tratta, scrive il Papa, di un fenomeno “che contiene elementi positivi da incentivare e anche eccessi da evitare”. È bene, è l’esortazione della Caritas in veritate, “che le persone si rendano conto che acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico”. C'è dunque, aggiunge l’Enciclica, “una precisa responsabilità sociale del consumatore, che si accompagna alla responsabilità sociale dell'impresa”. I consumatori vanno perciò “continuamente educati al ruolo che quotidianamente esercitano e che essi possono svolgere nel rispetto dei principi morali, senza sminuire la razionalità economica intrinseca all'atto dell'acquistare”. Nell’attuale momento di crisi, “in cui il potere di acquisto potrà ridursi e si dovrà consumare con maggior sobrietà – rileva il Pontefice - è necessario percorrere altre strade, come per esempio forme di cooperazione all'acquisto”. Il Papa indica l’esperienza delle “cooperative di consumo, attive a partire dall'Ottocento anche grazie all'iniziativa dei cattolici”. Ed auspica la realizzazione di “forme nuove di commercializzazione di prodotti provenienti da aree depresse del pianeta per garantire una retribuzione decente ai produttori”. E ciò, tuttavia, “a condizione che si tratti veramente di un mercato trasparente, che i produttori non ricevano solo maggiori margini di guadagno, ma anche maggiore formazione, professionalità e tecnologia, e infine che non s'associno a simili esperienze di economia per lo sviluppo visioni ideologiche di parte”. Benedetto XVI auspica infine “un più incisivo ruolo dei consumatori” come “fattore di democrazia economica”.

     
    Il Papa invoca dunque una responsabilità etica del consumatore nell’atto dell’acquisto. Esortazione su cui si sofferma il segretario generale dell’Adiconsum, Paolo Landi, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. – Oggi viviamo in una società dove la pubblicità ci induce ai consumi più vari, al consumismo più sfrenato, anche laddove non abbiamo bisogno di comprare delle cose, pur di acquistare l’ultimo modello, l’ultima novità … Bene, in questa Enciclica c’è un’affermazione importante del consumo responsabile, un’attenzione sull’educazione al consumo responsabile; su tutto il tema dell’energia, un uso responsabile del denaro rispetto ad un consumismo sfrenato … E credo che questa sottolineatura dell’etica negli acquisti sia un dato importante, in quello che è l’insegnamento della Chiesa e ci fa veramente piacere!

     
    D. – L’etica non è contro la razionalità economica in un acquisto …

     
    R. – Assolutamente no! Soprattutto dopo quello che è successo: quando abbiamo verificato che l’economia, la finanza non erano più finalizzate allo sviluppo ma al business in quanto tale, alla speculazione in quanto tale, e abbiamo visto i disastri che questo ha fatto. E’ evidente che l’economia, se è finalizzata al benessere della popolazione è una cosa importante, è una cosa positiva. Per questo è opportuno evidenziare l’etica non soltanto nelle scelte sociali, ma anche da parte dei consumatori, perché i consumatori, con le loro scelte, possono orientare l’economia, possono privilegiare quei consumi dove c’è chiaramente il rispetto delle norme internazionali, il rispetto del lavoro minorile, piuttosto invece che le imprese che operano utilizzando il lavoro minorile, utilizzando questi fenomeni speculativi.

     
    D. – Il Papa auspica una maggiore sobrietà nello stile di vita …

     
    R. – Sì. Io credo che questa crisi economica, questa recessione che è in atto, porterà anche ad un ripensamento degli stili di vita. Pensiamo alla questione telefonini: oggi siamo in piena recessione e il consumo telefoni sta aumentando comunque, tutti alla rincorsa dell’ultimo modello anche se quello precedente funziona egregiamente. Io credo che qui vada ripensato il nostro modo di consumare; io credo che ci sia bisogno di recuperare una dimensione che sia quella della qualità della vita, che sia quella della solidarietà. E in questo, credo che l’insegnamento dell’Enciclica dia veramente contenuti importanti.

     
    Un commercio equo è la condizione necessaria per far sì che i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo vedano riconosciuti i propri diritti. Ma questo è possibile solo attraverso una responsabilizzazione del consumatore. E’ quanto sottolinea Sergio Marelli, direttore generale di Volontari nel mondo-Focsiv, al microfono di Alessandro Gisotti:

    R. – Non bisogna mai dimenticare – e a questo mi sembra che il Santo Padre ci richiami – che acquistando dei prodotti, in qualche modo noi contribuiamo a favorire un commercio più giusto oppure delle regole che fino ad oggi hanno in qualche modo imperato nel commercio internazionale, che tendono ad “avvantaggiare” quelle imprese che, proprio violando i diritti umani e sfruttando i lavoratori, hanno massimizzato in questi anni i loro profitti. Quindi, acquistare un prodotto significa anche contribuire a dare la possibilità a milioni di produttori nei Paesi poveri di poter vivere di quanto producono.

     
    D. – Non è solo una questione economica, dunque: è una questione culturale, di cambio di mentalità?

     
    R. – Assolutamente sì! E’ una questione di cambio culturale a livello individuale ma con la consapevolezza che se ognuno di noi assume questa nuova cultura, questo atteggiamento responsabile, contribuisce anche a modificare delle regole, dei giochi che sembrano passare sopra la nostra testa. Insomma, il consumatore è un po’ come l’auditel per le trasmissioni televisive: più singolarmente si contribuisce a privilegiare quei prodotti che sono stati ottenuti anche con il rispetto della dignità della persona, con il rispetto della giusta retribuzione che bisogna riconoscere ai produttori, e più si condizionano anche i grandi circuiti internazionali.

     
    D. – Com’è possibile questa inversione di tendenza in una società che oggi potremmo addirittura definire degli sprechi piuttosto che dei consumi?

     
    R. – Io penso che sia possibile proprio assumendo questo atteggiamento che, attraverso delle scelte individuali quotidiane, seppur piccole, si abbia questa consapevolezza di poter influire sui grandi meccanismi che regolano il commercio a livello internazionale. E’ per questo che noi sosteniamo molto, per esempio, il Commercio equo e solidale, che è proprio questo modo di commerciare e di consumare dei prodotti che, eliminando gli intermediari che massimizzano i profitti, danno una più giusta retribuzione ai produttori.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In rilievo, nell'informazione internazionale, il nucleare: l'Iran, per la prima volta da un anno, ha autorizzato gli ispettori dell'Aiea ad accedere al reattore in costruzione ad Arak.

    Fumetti e pic-nic tra terzo e quarto secolo: in cultura, Fabrizio Bisconti sui banchetti funebri nelle pitture delle catacombe.

    L'eloquenza del corpo: Timothy Verdon illustra il naturalismo cristiano di Caravaggio.

    Quel "provvedimento anti traffico" per il Giubileo del Trecento: Luca Serianni sulla similitudine della "Commedia".

    A colloquio con i Della Robbia: la presentazione dell'arcivescovo Lorenzo Baldisseri al libro di Silvio Baldisseri "Pensieri di contemplazione".

    Dalla Chiesa nessun appoggio a logiche economiche ingiuste: nell'informazione religiosa, Francesco M. Valiante intervista Thomas Hong-Soon Han, revisore internazionale della Prefettura degli Affari Economici della Sana Sede.

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    Oggi in Primo Piano



    Elezioni in Afghanistan: attesa per i risultati

    ◊   Terminato in Afghanistan lo spoglio delle elezioni presidenziali di ieri. La Commissione elettorale indipendente comunicherà tra qualche settimana i risultati ufficiali, mentre gli staff del presidente uscente, Karzai, e degli altri candidati alla massima carica dello Stato cominciano a tracciare il bilancio della tornata elettorale. Solo chi raggiungerà il 51% dei consensi sarà immediatamente eletto, evitando il ballottaggio. Si parla anche delle violenze dei talebani, che hanno cercato di far saltare la consultazione elettorale. Da Kabul, Barbara Schiavulli:

    Karzai sostiene che non si arriverà al ballottaggio. Il rivale Abdullah, dopo aver replicato di aver già vinto, modera l’entusiasmo. Sta di fatto che i risultati delle elezioni che si son tenute ieri in Afghanistan non arriveranno ufficialmente prima del 17 settembre prossimo, quando la Commissione che si occupa delle denunce e dei brogli avrà finito di svolgere il suo lavoro. Intanto si attende nel giro di qualche giorno il dato dell’affluenza, significativo per dare credibilità al futuro presidente, sia che venga riconfermato Karzai – che deve ottenere il 51 per cento dei voti – sia che si vada al ballottaggio con l’ex ministro degli Esteri Abdullah. Quello su cui tutti concordano è che comunque l’affluenza non è stata alta, a partire dalla capitale che è immersa in un’atmosfera spettrale ed è presidiata dalla polizia, per poi peggiorare nel sud, dove la gente per paura delle minacce dei talebani è rimasta a casa. Sono state elezioni molto diverse a seconda della zona: “Nella provincia di Konar non ci si aspettava che le donne andassero a votare così numerose”, ha detto Abdullah Abdullah, mentre a Kabul la violenza dei giorni scorsi ha paralizzato la capitale. Intanto, non si fermano le congratulazioni da tutto il mondo nonostante i 26 morti e i 100 attacchi che hanno colpito ieri il Paese, anche perché i talebani – dei quali ieri ne sono stati uccisi una trentina dall’esercito afghano in varie operazioni – non sono riusciti a fermare quel processo che tanto hanno fatto per sabotare.

     
    Ma come influiranno i talebani nelle vicende afghane dopo il sostanziale successo di questo importante appuntamento elettorale? Roberta Rizzo lo ha chiesto a Maurizio Salvi, inviato dell’Ansa a Kabul:

    R. – Se si riuscirà a disinnescare questa bomba ad orologeria che rappresentano i talebani – che hanno comunque manifestato di essere una forza non trascurabile –, penso che nei prossimi anni l’Afghanistan sarà un Paese con un accettabile livello di democrazia.

     
    D. – La gente sembra scontenta del lavoro fatto da Karzai...

     
    R. – Non ha tutti i torti. Karzai è un operatore politico, è un presidente che sembra stia sviluppando, in questo momento, la politica di mettere i piedi in due staffe: è amico dell’Occidente ma nello stesso tempo lo critica, è nemico dei talebani ma li invita al dialogo. Ha cercato ed ha anzi realizzato tutto quello che era nelle sue possibilità per manovrare e mantenere il potere per un altro quinquennio.

     
    D. – Anche la comunità internazionale si è dichiarata soddisfatta dell’andamento del voto. La strategia del terrore portata avanti dai talebani, dunque, non ha vinto...

     
    R. – Indubbiamente no. Però, nello stesso tempo, sarebbe illusorio immaginare che la strategia – così com’è stata applicata sinora – porterà ad una soluzione dei problemi dell’Afghanistan. La dottrina dell’esportazione della democrazia non ha funzionato, avendo come unico sostegno il supporto militare. E’ probabile che il vento nuovo che emanerà la Casa Bianca con la gestione Obama dovrà sviluppare un coinvolgimento delle grandi potenze regionali, dell’Iran, dell’Arabia Saudita, del Pakistan e dell’India. Bisogna comunque dire, in conclusione, che questa crisi dipende prima di tutto dalla crisi mediorientale: senza una soluzione di quest’ultima, è difficile che in tempi brevi si risolva anche il problema dell’Afghanistan.

     
    Si può considerare positivamente, per il futuro dell’Afghanistan, lo svolgimento di queste elezioni? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali:

    R. – Naturalmente, sarebbe stato meglio avere una partecipazione più alta, più vicina a quella delle prime elezioni presidenziali, ma con una situazione così complicata e di guerra, praticamente, sul terreno questo è già un risultato abbastanza stupefacente.

     
    D. – Comunque, una sconfitta della campagna di terrore lanciata dai talebani a ridosso delle elezioni?

     
    R. - Sì, devo dire che io non avevo mai pensato che i talebani riuscissero ad impedire le elezioni. Quando si parla di controllo del Paese da parte dei talebani, in realtà si parla di aree in cui i talebani agiscono più liberamente che in altre. In realtà, però, nessuno ha un vero controllo del Paese a parte alcune aree che sono effettivamente sotto il controllo sia dell’alleanza atlantica che di alcuni degli alleati di Karzai.

     
    D. - Come spesso accade si assiste a un dopo voto in cui diversi concorrenti sostengono di avere stravinto le elezioni. In un contesto come quello afghano può essere pericoloso, può essere un motivo di tensione?

     
    R. – Io mi auguro che i risultati siano, quanto più possibile, trasparenti e certamente sarebbe bene evitare un conflitto tra quello che è un candidato pashtun, come Karzai, e quello che è un candidato invece del Nord, tagiko, come Abdullah. Evitiamo una nuova spaccatura dell’Afghanistan. Il problema è molto di classe dirigente: se la classe dirigente sarà all’altezza di questo risultato, io credo che possiamo essere più ottimisti.

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    Nuova tragedia del mare. Il vescovo di Agrigento: non chiudere la porta al diritto di vivere

    ◊   Mezzi del comando aeronavale della Guardia di Finanza sono impegnati da questa mattina nelle ricerche delle vittime dell'ultimo naufragio che sarebbe avvenuto nel Canale di Sicilia. Secondo il racconto di cinque superstiti di nazionalità eritrea, tra cui una donna, soccorsi ieri al largo di Lampedusa, 73 immigrati sarebbero morti di stenti e i loro corpi abbandonati in mare. Ieri le autorità maltesi hanno confermato l’avvistamento di sette cadaveri non recuperati perchè in acque libiche. Dell’ennesima tragedia del mare, Fausta Speranza ha parlato con la portavoce dell’Alto Commissariato Onu per i rifugiati, Laura Boldrini:

    R. - Abbiamo dei colleghi a Lampedusa che sono stati presenti sul molo quando sono arrivate queste persone e hanno raccolto le loro testimonianze. Queste persone viaggiavano su un gommone ed era strano che ci fossero solo cinque persone su un gommone che normalmente viene stipato all’inverosimile quando parte dalla Libia. Tutti quanti, e non solo una persona, hanno raccontato di essere partiti molti giorni prima e poi dopo due giorni di aver perso la rotta perché chi era al timone non aveva alcuna esperienza, come spesso accade. Girando a vuoto, poi, il carburante che avevano a disposizione è terminato. Dopo poco purtroppo sono terminati anche l’acqua e i viveri che avevano e, quindi, sono stati in balia delle onde per giorni. La cosa allarmante è che in questi giorni parecchie imbarcazioni li hanno visti. Queste persone hanno tentato di attirare l’attenzione gridando aiuto. Solo una di tutte le imbarcazioni, cinque, sei giorni fa, ha dato loro un po’ di acqua e un po’ di pane ma senza lanciare l’allarme. Quindi, quello che emerge è quasi che si avesse paura.

     
    D. – Il Mediterraneo è culla di civiltà da secoli. Che cosa sta succedendo?R. – Sta succedendo che, di fatto, c’è molta confusione, molto timore che frena dal soccorrere anche tra gli stessi pescatori: timore di essere bloccati nelle attività, timore perché non si sa poi dove queste persone devono essere consegnate, timore che dando l’allarme poi si rimanga bloccati in attesa che arrivino i corpi dello Stato. Quindi, tutto questo purtroppo sta scoraggiando i pescatori e i cargo dal fare il soccorso in mare. Noi, come Alto Commissariato Onu per i rifugiati, nel 2007 abbiamo indetto proprio un premio, “Il premio per mare”, per incoraggiare questo tipo di attività.

     
    D. – La traversata verso l’Italia parte dalle coste libiche. Che cosa si è cercato di fare, che cosa la politica ha cercato di fare e che cosa in realtà è stato fatto?

     
    R. – Diventa di una certa consistenza dall’inizio degli anni 2000. Prima c’erano altre rotte via mare, in particolare c’era quella dai Balcani verso la Puglia e la Calabria. In questi anni abbiamo assistito a tante morti, a tante sciagure in mare, a tante tragedie. Anche la sciagura di ieri tocca in gran parte eritrei e queste popolazioni - i somali, gli eritrei - rischiano la vita su queste imbarcazioni prima di averla già rischiata nel deserto, per trovare un posto dove vivere in sicurezza e in pace. Lo scorso anno il 75 per cento di chi è arrivato via mare sulle coste italiane ha fatto domanda d’asilo e lo Stato italiano dopo un’attenta valutazione dei casi individuali, quindi dopo aver fatto delle audizioni, ha riconosciuto a circa il 50 per cento di queste persone il bisogno di protezione, quindi il diritto ad avere un permesso di soggiorno per motivi d’asilo o per protezione sussidiaria. Quindi, vale a dire che il Mediterraneo negli ultimi anni si è attestato come ‘via dell’asilo’ ed è per questo che la politica dei respingimenti messa in atto dall’attuale governo suscita molte preoccupazioni, proprio perche ci sono alte probabilità che su quei gommoni, su quelle carrette del mare, ci siano persone che hanno bisogno di protezione.

     
    La morte di immigrati che cercavano di raggiungere la Sicilia rappresenta "una grave offesa all'umanità e al senso cristiano della vita". E’ il commento di mons. Schettino, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni. Il vescovo di Agrigento, mons. Francesco Montenegro, nell’intervista di Fausta Speranza, raccomanda innanzitutto di non ricordarsi del drammatico fenomeno della migrazione su carrette del mare solo in presenza di grandi numeri:

    R. – Primo, ho da dire che "non dobbiamo spaventarci" davanti ai grandi numeri perché ci sono altri piccoli numeri a cui nessuno fa caso e il Mar Mediterraneo è diventato una tomba, ormai. Noi alziamo le mani soltanto quando abbiamo 70, 80 morti. Chissà quanti poveri cristi sono morti ogni giorno in mare! Questa è una prima reazione che ho. La seconda è il dolore nel vedere che gli uomini, per poter vivere, debbano affrontare la morte e devono morire perché hanno voglia di vivere un po’ meglio e un po’ di più. Assurda una legge che chiude porte e finestre e non tenga conto della situazione e della sofferenza di tanta gente. Che altro può dire una Chiesa? Ma io non credo che sia un problema della Chiesa di Agrigento, è un problema di tutta la Chiesa italiana, ed è un problema della Chiesa europea.

     
    D. - Sembra che in questo momento si sia diffusa molto tra marinai, tra persone di mare la paura, il timore di soccorrere queste navi…

     
    R. - Non è il frutto della cultura dell’allontanamento e della non-accoglienza? A furia di respirare quest’aria, si assumono questi atteggiamenti. Ma è la filosofia e la politica che si stanno portando avanti: creare un clima di paura, e questo assicura che loro possono morire come animali in mezzo al mare e noi abbiamo risolto i nostri problemi.

     
    D. - Qual è invece la parola di un’umanità vera?

     
    R. – Che davanti a un uomo non possiamo chiudere le porte. Ogni uomo ha diritto di vivere e dobbiamo chiederci che cosa possiamo fare perché quell’uomo viva. I diritti umani, perché ci sono? Perché festeggiamo gli anniversari dei diritti umani che dicono che un uomo ha diritto a spostarsi quando la vita non gli è possibile o quando la politica non gli permette una vita serena? Partiamo dai diritti umani, poi arriviamo anche al Vangelo e poi arriviamo all’accoglienza come necessità, come dovuta, e non come scelta.

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    Italia: al via la sanatoria per colf e badanti

    ◊   Da oggi partono gli adempimenti per regolarizzare colf e badanti in nero. I datori di lavoro che vorranno avviare la procedura di emersione dal lavoro irregolare potranno cominciare a pagare il contributo di 500 euro per ciascun lavoratore utilizzando l’apposito modello F24, che si può trovare in banca, alla posta e sui siti dell’Agenzia delle Entrate, del ministero del Lavoro, dell’Interno e dell’Inps. Su questa procedura Alessandro Guarasci ha sentito il parere di Andrea Olivero, presidente delle Acli:

    R. – La modalità del pagamento non è particolarmente complessa. Naturalmente, la maggioranza delle famiglie probabilmente si avvarrà di qualche consulente per andare ad evitare errori che in questo caso sarebbero particolarmente pesanti. Però è gravoso il sistema: 500 euro di sanzioni, a cui vanno aggiunti i requisiti minimi sia per quanto riguarda il costo di queste lavoratrici e lavoratori e anche del reddito che devono avere i datori di lavoro, sono piuttosto alti. Comportano poi dei rischi da parte dello Stato che alcuni cittadini non siano messi nella condizione di poter regolarizzare e quindi di poter utilizzare questo strumento che in ogni caso era assolutamente necessario.

     
    D. – Lei ha detto “uno strumento necessario”. Bisognava però secondo voi estendere questa regolarizzazione anche ad altre forme professionali?

     
    R. – Sì, perché ci rendiamo conto perfettamente che nel nostro Paese vi sono oggi molti lavoratori che sono impiegati in particolari settori, non soltanto quello della cura, che sono ampiamente inseriti all’interno del mercato del lavoro e poi anche nella comunità civile del nostro Paese. Non consentire ai datori di lavoro di poterli regolarizzare, a parer nostro, è un limite. Un limite, per altro, che alla fine poi si paga collettivamente perché non dando la possibilità di regolarizzarsi non si avviano anche tutte quelle procedure di integrazione sociale che consentono effettivamente maggiore sicurezza ai cittadini italiani e contestualmente ai cittadini stranieri che lavorano, vivono, risiedono nel nostro Paese e che molte volte hanno anche famiglia. Quindi, l’utilizzo di questa norma così parziale, cioè soltanto per una categoria di lavoratori, ci pare riduttivo e soprattutto non in grado di risolvere il vero grande problema che c’è nel nostro Paese: quello di andare a discriminare tra chi lavora, tra chi ha tutto l’interesse ad inserirsi e, invece, quei pochi che sono dediti ad attività criminali o comunque non legali.

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    Chiesa e Società



    Bolivia: Chiesa e governo firmano un importante accordo di collaborazione

    ◊   Ieri, l’arcivescovo di Santa Cruz, cardinale Julio Terrazas, attuale presidente della Conferenza episcopale della Bolivia, e David Choquehuanca, ministro degli Esteri del governo del presidente Evo Morales, nel corso di una solenne cerimonia hanno firmato un “Accordo quadro per la cooperazione inter-istituzionale”. I rappresentanti ecclesiali e governativi hanno attribuito all’intesa una rilevante importanza per le relazioni bilaterali e soprattutto per il bene del Paese. Alla firma dell’Accordo tra la Chiesa e lo “Stato plurinazionale di Bolivia”, così come è stato ribattezzato il Paese dopo l’entrata in vigore della nuova Carta costituzionale, ha preso parte anche il segretario dell’Episcopato, mons. Jesús Juárez, vescovo di el Alto: il presule, aprendo la cerimonia, ha affermato che si tratta di un evento “positivo per il Paese poiché in un nuovo contesto sociale e politico, in uno Stato laico, viene riconosciuta la mutua collaborazione che deve esistere tra lo Stato e la Chiesa”. Per il presule “è importante riconoscere il contributo della Chiesa cattolica nel campo sociale, così come in quelli della salute e della promozione umana. Una tale reciproca collaborazione, ha rilevato, avrà solo dei benefici per l’intera popolazione boliviana, in particolare per i più poveri”. Spiegando le ragioni ultime per cui la Chiesa considera di grande importanza la firma di questo strumento giuridico, mons. Jesús Juárez ha osservato “che l’impegno ecclesiale in favore della promozione umana è inseparabile dalla missione evangelizzatrice in quanto espressione dell’amore privilegiato di Gesù per i più bisognosi”. Al riguardo, come ha illustrato la stampa locale, il presule ha ricordato che spesso quest’opera della Chiesa è anonima e silenziosa e raggiunge i luoghi più lontani, meno visibili, ma dove le popolazioni hanno più bisogno. Invocando una speciale benedizione del Signore per tutto il popolo boliviano, per le sue autorità e per i suoi pastori, il segretario generale dell’Episcopato ha precisato che l’Accordo quadro “permetterà di stabilire i principi e le basi comuni per un’azione coordinata nel campo sociale e che più avanti dovrà dare luogo ad accordi più specifici su altri temi come quelli sull’educazione, la salute e i servizi sociali”. (A cura di Luis Badilla)

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    I vescovi argentini: no a depenalizzare la droga, no a criminalizzare i tossicodipendenti

    ◊   “Sul grave problema della povertà nel Paese, in particolare sull’esclusione sociale, la Chiesa argentina riflette e lavora da molto tempo. I vescovi hanno continuato ad approfondire la questione e soprattutto hanno studiato nuove iniziative per collaborare nella lotta contro la povertà”. Così, ieri, padre Jorge Oesterheld, portavoce dell’Episcopato dell’Argentina al termine della riunione del Comitato di presidenza sotto la guida dell’arcivescovo di Buenos Aires cardinale Jorge Mario Bergoglio. Padre Oesterheld ha spiegato anche che, al contrario di quanto si prevedeva, sulla materia i presuli hanno scelto di non pubblicare nessun documento anche perché, quanto si doveva dire, è già stato detto. I vescovi, di fronte a quanto sostenuto dall’Istituto nazionale di statistica - che parla di un 15% di poveri nel Paese – ribadiscono invece che ben il 40% della popolazione argentina si può definire povera secondo le cifre fornite dall’Osservatorio del debito sociale dell’Università cattolica della capitale. “Si tratta di un lavoro scientifico disponibile a tutti e pubblicato tempestivamente - ha precisato il portavoce - dunque, non si tratta di apprezzamenti soggettivi”. Poi ha aggiunto: ora “la cosa più importante non è quella di discutere sulle cifre bensì fare qualcosa”. Perciò la Chiesa argentina rinforzerà la collaborazione tra la Commissione episcopale per la pastorale sociale, presieduta dal vescovo di San Isidro mons. Jorge Casaretto, e la Caritas, guidata da mons. Fernando Bargalló, con lo scopo specifico di incrementare le attività nell’ambito della protezione dell’infanzia. I risultati del lavoro coordinato saranno presentati al governo federale come un “insieme di proposte concrete per la collaborazione tra lo Stato e la Chiesa”. Anche se non sono stati forniti ulteriori dettagli sembra certo, secondo la stampa argentina, che i vescovi abbiano riflettuto a lungo sulle possibili iniziative per sostenere le famiglie più povere, soprattutto quelle in cui il capo famiglia ha perso il lavoro e ne ha uno precario. Padre Oesterheld, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti nella sede dell’Episcopato, ha smentito che i vescovi si siano occupati nuovamente della questione delle tossicodipendenze, in particolare delle proposte su possibili depenalizzazioni di certe droghe. Il portavoce ha ribadito quanto già detto in diversi documenti dell’episcopato, ricordando che proprio oggi comincia un seminario di studio per persone che operano nella pastorale che segue i problemi della droga, e ha aggiunto: “La Chiesa ricorda a tutti che in primo luogo la cosa più importante da fare è evitare, ad ogni costo, che i giovani siano avvicinati alle droghe. Quest’eventuale accesso va ostacolato e non facilitato. I vescovi sono contrari a qualsiasi tipo di depenalizzazione, ma ciò non vuol dire che il tossicodipendente vada criminalizzato: è invece una vittima. Il narcotraffico è un crimine. Tra pochi giorni, la Corte suprema argentina si dovrà pronunciare su un’eventuale depenalizzazione del possesso e consumo di droga per uso personale. E su questa possibilità, mons. Jorge Lozano, responsabile dell’Episcopato per la pastorale tra i tossicodipendenti, giorni fa ha dichiarato alla stampa che “il tossicodipendente va ritenuto e trattato per quello che è: una persona malata e va assistito e curato per quella sua condizione. “Certo occorre superare presto un problema” - ha aggiunto il presule - “far sì che lo Stato disponga dei mezzi per riabilitare questo tipo di persone. Non parlo solo del governo. Parlo della nazione, delle strutture dello Stato e del sostegno dei cittadini. Parlo della prevenzione, questione di radicale importanza, e parlo della cultura, dei valori e dei modelli che trasmettono i mass-media”. (A cura di Luis Badilla)

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    Mons. Cheenath: in Orissa la nostra forza è la Croce di Cristo

    ◊   Il 23 agosto ricorre il primo anniversario delle violenze contro i cristiani dell'Orissa. Dopo la morte del capo spirituale dei nazionalisti indù Swami Laxamananda Saraswati, ucciso da gruppi maoisti, la comunità cristiana è stata sconvolta da una drammatica serie di attacchi. Mons. Raphael Cheenath, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar, ripercorre l’anno trascorso sottolineando i costanti sforzi della Chiesa locale: “Vogliono cancellare ogni traccia del cristianesimo dall’Orissa - afferma in una intervista ad AsiaNews - ma la nostra missione continua”. Nell’angoscia “mi ha dato conforto la fede e la determinazione delle persone a rimanere cristiani”. Dopo un anno, molte persone vivono ancora nei campi profughi e sono ancora di più quelle che hanno trovato rifugio nelle città e negli Stati vicini. “C’è stato anche un lungo letargo dell’amministrazione pubblica – fa notare mons. Raphael Cheenath - ma posso comunque dire che ci sono stati dei progressi”. “I nostri religiosi – spiega il presule - sono stati l’obiettivo principale dei fondamentalisti”. “La nostra vocazione al sacerdozio, soprattutto in questo anno che il Papa ha voluto dedicare ai sacerdoti, ci invita a consumare tutti noi stessi nel servire il popolo di Dio”. “I fondamentalisti – conclude mons. Cheenath - non si arrenderanno mai e continueranno a perseverare nel loro intento. Ma le persecuzioni non ci fermeranno. La Croce di Cristo è la nostra forza, la nostra speranza, la nostra gioia”. Per domenica prossima la Chiesa ha indetto in Orissa il “Giorno della pace e dell’armonia” perché episodi drammatici come l’uccisione di Swami Laxmananada Saraswati e le violenze anti-cristiane non si ripetano. (A.L.)

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    La Chiesa slovena: con nazismo e fascismo condannare anche il comunismo

    ◊   Il 2 aprile 2009 il Parlamento Europeo ha invitato a “proclamare il 23 agosto la Giornata europea della memoria delle vittime dello stalinismo e del nazismo, per commemorare in modo degno e imparziale il loro ricordo”. La Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Slovena richiama l’opinione pubblica slovena ad unirsi il 23 agosto alla Giornata europea della memoria delle vittime slovene dei regimi totalitari e dittatoriali: anzitutto dell’occupazione da parte dei nazisti e dei fascisti, poi della rivoluzione attuata dal Partito Comunista. “Noi Sloveni – si legge nel documento firmato da mons. Anton Stres, arcivescovo coadiutore di Maribor e presidente della Comissione Giustizia e Pace - siamo uno di quei popoli europei che hanno subito in modo particolarmente violento il terrore e la violenza fascista, nazista e comunista. Nell’opinione pubblica slovena il nazismo e il fascismo sono valutati in modo adeguato e rifiutati, mentre per il regime comunista totalitario siamo ancora in attesa di una condanna inequivocabile”. “I motivi – si legge nel testo - sono diversi. Uno è ravvisabile nel fatto che il comunismo in Slovenia è rimasto al potere molto tempo, nascondendo la sua vera immagine. Il Parlamento Europeo si misura su questo, quando dice che “nessun organo politico o partito politico ha il diritto esclusivo di spiegare la storia” e che “questi organi e partiti non possono affermare di essere obiettivi”. “Negli ultimi tempi – si sottolinea poi nel documento - alcuni tentano addirittura di ‘riabilitare’ il nostro passato comunista e i suoi responsabili, sminuendo i crimini compiuti dai responsabili del regime. Intitolare nuovamente la strada principale di Ljubljana, capitale della Slovenia, in onore di Tito e continuare a conservare i titoli di strade e piazze in onore dei responsabili del regime comunista è completamente in opposizione alla lettera e allo spirito della suddetta Dichiarazione del Parlamento Europeo e della Risoluzione n. 1481 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa del 26 gennaio del 2006 sulla necessità di una condanna internazionale dei crimini dei regimi totalitari comunisti”. Il fine ultimo di queste commemorazioni – si legge infine nel documento - deve essere la riconciliazione del popolo, perché la riconciliazione vera e duratura può essere fondata solo sulla verità”. La Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale slovena “richiama di nuovo alla ricerca imparziale della verità e ad atti di amore della verità e di riconciliazione”. (A.L.)

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    Turchia: Bartolomeo I incontra il premier Erdogan

    ◊   “La Turchia è uno Stato laico in cui esistono delle lacune, ma ha la capacità di colmare queste lacune e faremo di tutto per adempiere i nostri doveri”. E’ quanto ha dichiarato il primo ministro turco, Tayyp Erdogan, durante la visita del 15 agosto al monastero di San Giorgio di Kudunas e all’orfanatrofio, la cui proprietà è stata attribuita nel 2008 al Patriarcato di Costantinopoli dalla Corte di Strasburgo. Il premier turco è stato accolto sull’Isola dei Principi dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. Erdogan ha pranzato con tutti i rappresentanti delle minoranze religiose in Turchia (greci, armeni, ebrei, siri-ortodossi e cattolici) su invito dell’amministrazione locale. Il premier Erdogan ha espresso la volontà che la sua presenza “possa aiutare a trovare una soluzione alle annose questioni che affliggono le minoranze di questo Paese, in quanto i principi del partito Akp, sono contrari a qualsiasi discriminazione di natura locale,  religiosa ed  etnica”. Il primo ministro Erdogan – ha detto infine il Patriarca Bartolomeo I ad AsiaNews - ci ha dato molte speranze e perciò siamo ottimisti. Speriamo che con l’aiuto della Madonna, tutto possa aver un esito positivo”. “La visita del premier - ha concluso - è stata l’occasione per esporre direttamente tutti i nostri problemi, benché lui ne sia già a conoscenza”. Non sempre, però, le minoranze religiose trovano risposte adeguate alle loro richieste: la Chiesa cattolica, ad esempio, ha espresso recentemente il proprio disappunto per la decisione del Ministero del turismo turco di adibire esclusivamente a museo la Chiesa di Tarso. Dopo la conclusione dell’Anno Paolino, durante il quale la Chiesa è stata utilizzata anche come luogo di culto, è nuovamente valida la prassi di tutti gli altri luoghi turchi in cui le celebrazioni liturgiche cristiane sono consentite solo occasionalmente. (A.L.)

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    In Africa vivono un miliardo di persone: 200 milioni hanno meno di 18 anni

    ◊   Sono un miliardo le persone che vivono oggi in Africa. E’ quanto rende noto il Population reference bureau, un centro studi di Washington che si occupa di ricerche demografiche. In base alla ricerca, la popolazione del continente cresce in media di 24 milioni ogni anno e può raddoppiare entro il 2050, raggiungendo in questo modo i due miliardi di abitanti. Le statistiche diffuse dal centro studi mostrano che l’Africa è il continente con il più alto tasso di natalità del mondo. L’Africa sub-sahariana, inoltre, ha la popolazione con la maggiore presenza di giovani nel pianeta e “si prevede che manterrà questo primato ancora per diversi decenni”. Secondo il Population reference bureau, in Africa oggi sono poco meno di 200 milioni gli abitanti con meno di 18 anni. Secondo la ricerca, ripresa dall’agenzia Misna, dovrebbero essere circa 348 milioni nel 2050, quando in Africa vivrà il 30% dei giovani del pianeta. (A.L.)

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    Al via il pellegrinaggio nazionale dell’Opera Romana Pellegrinaggi a Lourdes

    ◊   Saranno circa 2000 i pellegrini che prenderanno parte al pellegrinaggio nazionale dell’Opera Romana Pellegrinaggi, presieduto dal cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, e da mons. Liberio Andreatta, vicepresidente dell’Opera Romana Pellegrinaggi. Giungeranno con treno, nave e 4 aerei nella cittadina ai piedi dei Pirenei, dove l’11 febbraio del 1858 la Vergine Maria apparve per la prima volta a Bernadette Soubirous, per prendere parte al pellegrinaggio che inizierà ufficialmente lunedì prossimo. A contraddistinguere queste intense giornate di pellegrinaggio a Lourdes – ricorda l’agenzia Zenit - sarà il tema intitolato “Il Cammino di Bernardette”. Durante il pellegrinaggio nazionale, che si concluderà venerdì 28 agosto, sono in programma la Via Crucis, la Fiaccolata, la Processione Eucaristica con benedizione dei malati, la visita ai santuari e ai “ricordi” di Bernadette e la Santa Messa presso la Grotta delle Apparizioni. (A.L.)

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    24 Ore nel Mondo



    Somalia: decine di vittime in scontri fra governativi e ribelli islamici

    ◊   Prosegue la guerra senza fine nel Corno d’Africa con continui rovesci tra le truppe governative e i ribelli islamici per il controllo del territorio. Alcune fonti parlano di un bilancio di vittime fino a 40 morti e quasi un centinaio di feriti a causa degli scontri scoppiati nella notte nella capitale somala. Per un commento sulla situazione, Marco Guerra ha intervistato l’amministratore apostolico a Mogadiscio e vescovo di Gibuti, mons. Giorgio Bertin:

     
    R. – C’è un governo di transizione insediato a Mogadiscio che controlla qualche parte della città. Probabilmente conta su dei gruppi alleati in diverse zone del territorio, soprattutto nel centro-sud, e poi ci sono diversi gruppi islamici come gli Shabab, gli Hizbul Islam. Invece ci sono delle zone che nessuno controlla e dove probabilmente ci sono i clan locali che mantengono un piccolo potere.

     
    D. – Perché i ribelli islamici trovano un terreno così fertile nel Corno d’Africa?

     
    R. – Sia la tradizione somala sia il crollo dello Stato favoriscono le attività di questi gruppi islamisti, che fanno parte del tentativo di portare l’ideologia islamista in Africa. La Somalia sarebbe come un punto di partenza.

     
    D. – Tutta la comunità internazionale è impegnata nella lotta alla rete del terrore, eppure la Somalia resta un territorio off limits, pressoché dimenticato...

     
    R. – I diversi attori di questa comunità internazionale hanno giocato le loro carte; penso all’Etiopia, all’Eritrea ed anche alle potenze occidentali quando, ad esempio, si è usato il territorio somalo o le acque somale per liberarsi di materiale tossico in modo facile. Diciamo che la comunità internazionale non è totalmente innocente. E' necessario perciò che si arrivi ad un approccio comune che potrebbe poi favorire una riconciliazione in Somalia.

     
    D. – Ha qualche speranza il debole governo di transizione?

     
    R. – Questo governo di transizione deve cercare assolutamente di avere un sostegno un po’ più largo, anche all’interno del Paese. Ha qualche speranza perché ultimamente mi è parso che ci sia, a livello della comunità internazionale, un desiderio di sostenerlo. Un sostegno che non viene solo dai singoli attori ma anche dalla Lega araba, dalla Conferenza islamica, dall’Unione africana e dall’Onu, perché se non è sostenuto dalla comunità internazionale è chiaro che non potrà resistere.

     
    Terrorismo in Cecenia
    Non si ferma la violenza nel Caucaso. Due kamikaze si sono fatti esplodere oggi a Grozny, capitale della Cecenia, nei pressi di alcune pattuglie della polizia, uccidendo quattro agenti. Sempre stamani un gruppo islamista, attivo in Cecenia, ha rivendicato su Internet la responsabilità del disastro avvenuto nella centrale idroelettrica di Sayano-Shushenskaya, in Siberia, nella quale hanno perso la vita almeno 26 persone e ne risultano scomparse ancora 49. Immediata però la smentita delle autorità russe che continuano a parlare di un guasto alle turbine. E mentre si cerca ancora tra le macerie dell’impianto, oggi il premier russo, Vladimir Putin, è arrivato nella capitale regionale Abakan per un sopralluogo, da dove ha inoltre promesso rapidi risarcimenti per tutte le famiglie delle vittime.

    Pakistan
    Almeno 12 civili sono stati uccisi in un raid missilistico americano. L’attacco è avvenuto nei pressi di Miranshah, principale città nel nord Waziristan, e roccaforte di Al Qaeda al confine con l'Afghanistan. Secondo quanto riferito dai servizi pachistani, tra le vittime ci sarebbero anche donne e bambini. Come risposta, militanti talebani hanno attaccato tre posti di polizia senza causare vittime. Intanto, è stato liberato il turista francese rapito a maggio scorso da uomini armati, nel Pakistan del sud. L'uomo, 41 anni, era stato sequestrato mentre era in viaggio con un gruppo di connazionali.

    Bomba in un mercato a Baghdad
    Ennesimo attentato in Iraq: questa mattina una bomba è esplosa in un mercato nella zona sud di Baghdad uccidendo due persone e ferendone altre 20. L'ordigno era fissato su un'automobile parcheggiata nelle vicinanze dell’area commerciale. Il primo ministro iracheno, Al Maliki, ha promesso di aumentare la sicurezza nei checkpoints vicino ai palazzi governativi e nei pressi di mercati, luoghi potenziali di attacchi terroristici.

    Kashmir: scoperte fosse comuni di migranti pachistani
    Più di 1.500 corpi sono stati ritrovati in diverse fosse comuni nel Kashmir indiano. A scoprire i corpi è stata l'Association of Parents of Disappeared Persons, associazione che riunisce i familiari di persone scomparse nell'area. Ci sarebbero anche alcune tombe nei distretti di Baramulla, Kupwara e Bandipore. Le vittime sono probabilmente migranti pachistani uccisi da guardie delle forze di frontiera indiane.

    Polemiche per la scarcerazione dell’attentatore di Lockerbie
    La liberazione di Abdel Basset al-Megrahi, ex agente dei servizi segreti libici, condannato all'ergastolo per l'attentato di Lockerbie e malato terminale di cancro alla prostata, ha suscitato diverse proteste negli Stati Uniti. Mentre la Lega Araba ha salutato con speranza la scarcerazione dell’uomo e la Libia ha accolto al Megrahi come un eroe, il presidente statunitense Barack Obama è intervenuto personalmente parlando di “un errore” da parte delle autorità scozzesi. Londra e Washington hanno annunciato che terranno sotto osservazione le prossime mosse del governo di Muammar Gheddafi.

    Incendi in Grecia
    Non si arresta il grande incendio che è divampato ieri sera alle porte di Atene, nell'area industriale di Magoula, località ad una ventina di chilometri dalla capitale. Alcuni capannoni sono andati distrutti e molte persone hanno evacuato la zona. Altri incendi hanno colpito l'isola di Zante, l’Epiro e Cefalonia.

    Corea Nord - Corea Sud
    È arrivata a Seul la delegazione inviata dal leader nordcoreano Kim Jong Il per i funerali dell'ex presidente e premio Nobel per la Pace, Kim Dae Jung, deceduto martedì scorso all'età di 83 anni. La visita dei sei funzionari di Pyongyang rappresenta il primo viaggio di esponenti del regime comunista in Corea del Sud da quando, 18 mesi fa, è salito al potere il presidente conservatore Lee Myung-bak, fautore di una politica meno accondiscendente nei confronti del vicino nordcoreano. Alle esequie parteciperà anche l'ex segretario di Stato Usa sotto la presidenza Clinton, Madeleine Albright. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Mariella Pugliesi)
     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 233

     
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