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Sommario del 19/08/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale: formazione permanente dei sacerdoti indispensabile perché la nuova evangelizzazione non sia solo uno slogan
  • Rinuncia
  • Mons. Bruguès: il seminario sia una "scuola della felicità dell'essere sacerdoti"
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il terrorismo dei talebani minaccia le elezioni in Afghanistan
  • Prima Giornata mondiale umanitaria
  • Disarmo, clima e crisi energetica al centro del Seminario di Erice
  • Due ricercatori italiani scoprono la proteina che contrasta i tumori del cervello
  • Chiesa e Società

  • Nicaragua: cresce l'intolleranza anticattolica. Tre vescovi minacciati di morte
  • Appello dei vescovi argentini ad affrontare il drammatico problema della povertà nel Paese
  • Nuove violenze contro i cristiani in Iraq
  • India: mons. Cheenath critica l'inserimento dell'India nella Watch List sulla libertà religiosa
  • Sri Lanka: i monsoni aggravano la situazione nei campi profughi tamil
  • Le sfide dell'evangelizzazione in Asia centrale
  • 24 Ore nel Mondo

  • Raffica di attentati in Iraq: oltre 70 morti
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale: formazione permanente dei sacerdoti indispensabile perché la nuova evangelizzazione non sia solo uno slogan

    ◊   La necessità di una formazione permanente dei sacerdoti è stata ribadita oggi dal Papa durante l’udienza generale a Castel Gandolfo. Benedetto XVI invita i fedeli a pregare in particolare, in questo Anno sacerdotale, per i seminaristi. Tra i presenti anche alcuni pellegrini giunti dall’India e dalla Nigeria. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Al centro della catechesi odierna la figura di san Giovanni Eudes, “apostolo infaticabile della devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria”, in un tempo, il XVII secolo, dominato da ideologie che promuovevano “il disprezzo per la fede cristiana”. Un periodo in cui l’Europa era devastata dalle guerre e – nota il Papa – anche le anime erano devastate. Nello stesso tempo tuttavia “lo Spirito Santo suscitava un rinnovamento spirituale pieno di fervore con personalità di alto rilievo”. Tra queste c’era san Giovanni Eudes: nato in Normandia nel 1601 fu un testimone ardente del Vangelo fino alla sua morte avvenuta nel 1680. L’opera del Santo si inserisce nella scia del Concilio di Trento:

     
    “Il Concilio di Trento, nel 1563, aveva emanato norme per l'erezione dei seminari diocesani e per la formazione dei sacerdoti, in quanto il Concilio era ben consapevole che tutta la crisi della riforma era anche condizionata da un'insufficiente formazione dei sacerdoti, che non erano preparati per il sacerdozio in modo giusto, intellettualmente e spiritualmente, nel cuore e nell'anima. Questo nel 1563; ma siccome l'applicazione e la realizzazione delle norme tardavano sia in Germania, sia in Francia, san Giovanni Eudes vide le conseguenze di questa mancanza. Era mosso dalla lucida consapevolezza del grave bisogno di aiuto spirituale, in cui versavano le anime proprio a causa anche dell’inadeguatezza di gran parte del clero”.
     

     Così San Giovanni Eudes istituì una Congregazione dedita in maniera specifica alla formazione dei sacerdoti. Il cammino di santità che proponeva “aveva come fondamento una solida fiducia nell’amore che Dio ha rivelato all’umanità” nei Cuori di Gesù e Maria:

     
    “In quel tempo di crudeltà, di perdita di interiorità, egli si rivolse al cuore, per dire al cuore una parola dei Salmi molto ben interpretata da sant'Agostino. Voleva richiamare le persone, gli uomini e soprattutto i futuri sacerdoti al cuore, mostrando il cuore sacerdotale di Cristo e il cuore materno di Maria. Di questo amore del cuore di Cristo e di Maria ogni sacerdote deve essere testimone e apostolo. E qui arriviamo al nostro tempo. Anche oggi si avverte la necessità che i sacerdoti testimonino l’infinita misericordia di Dio con una vita tutta ‘conquistata’ dal Cristo, ed apprendano questo fin dagli anni della loro preparazione nei seminari”.

     
    Il Papa ricorda l’Esortazione apostolica “Pastores dabo vobis” di Giovanni Paolo II che ha aggiornato le norme del Concilio tridentino sulla formazione del clero:

     
    “Papa Giovanni Paolo II … sottolinea soprattutto la necessaria continuità tra il momento iniziale e quello permanente della formazione; questo per lui, per noi è un vero punto di partenza per un’autentica riforma della vita e dell’apostolato dei sacerdoti, ed è anche il punto nodale affinché la ‘nuova evangelizzazione’ non sia semplicemente solo uno slogan attraente, ma si traduca in realtà”.

     
    “Le fondamenta poste nella formazione seminaristica – ha rilevato Benedetto XVI – costituiscono quell’insostituibile ‘humus spirituale’ nel quale ‘imparare Cristo’, lasciandosi progressivamente configurare a Lui, unico Sommo Sacerdote e Buon Pastore. Il tempo del seminario va visto pertanto – ha aggiunto - come l’attualizzazione del momento in cui Gesù, dopo aver chiamato gli apostoli e prima di mandarli a predicare, chiede loro di stare con Lui”:

     
    “Quando san Marco racconta la vocazione dei dodici apostoli, ci dice che Gesù aveva un duplice scopo: il primo era che stessero con Lui, il secondo che fossero mandati a predicare. Ma andando sempre con Lui, realmente annunciano Cristo e portano la realtà del Vangelo al mondo”.

     
    Il Papa infine invita i fedeli a pregare in quest’Anno sacerdotale “per quanti si preparano a ricevere il dono straordinario del sacerdozio” e con le parole di San Giovanni Eudes si rivolge direttamente ai presbiteri:

     
    “Donatevi a Gesù, per entrare nell’immensità del suo grande Cuore, che contiene il Cuore della sua Santa Madre e di tutti i santi, e per perdervi in questo abisso di amore, di carità, di misericordia, di umiltà, di purezza, di pazienza, di sottomissione e di santità”.

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    Rinuncia

    ◊   Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Arua (Uganda), presentata da mons. Frederick Drandua, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.

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    Mons. Bruguès: il seminario sia una "scuola della felicità dell'essere sacerdoti"

    ◊   Un testo “breve, incisivo e molto chiaro” sulla formazione dei candidati al sacerdozio potrebbe essere pubblicato al termine dell’Anno sacerdotale. L’iniziativa è allo studio della Congregazione per l’Educazione Cattolica che ha intenzione di proporre nei prossimi mesi la convocazione della Commissione interdicasteriale permanente per la formazione dei candidati agli ordini sacri. E’ quanto ha annunciato in un’intervista rilasciata all’Osservatore Romano il segretario del dicastero vaticano, l’arcivescovo Jean-Louis Bruguès. Il presule sottolinea, in particolare, la centralità dell'opera educativa nella missione della Chiesa. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    L’opera educativa della Chiesa contribuisce a valorizzare il sapere e la cultura unendo lo sforzo pedagogico ad una formazione integrale della persona. “Una buona formazione - spiega l’arcivescovo Jean-Louis Bruguès – è quella capace di adattarsi all’evolversi e ai cambiamenti della società”. Ma nelle società secolarizzate – aggiunge - rischia di essere dimenticata la dimensione spirituale. In Italia, anche se la società si è secolarizzata – fa notare il presule - la Chiesa ha comunque “saputo restare molto presente nella vita sociale come nella vita politica”. Ci sono poi Paesi, soprattutto dell’Africa e dell’America Latina, dove emerge soprattutto il ruolo sociale dei presbiteri. Il sacerdote, nel suo ruolo di “mediatore tra cielo e terra”, “agisce in persona Christi” ed è al servizio della comunità cristiana della Chiesa e della società. Per questo – aggiunge il presule – occorre che il seminario sia una scuola dove far risplendere la “felicità” e il “gusto” dell’essere sacerdoti. L’auspicio, espresso dall’arcivescovo Jean-Louis Bruguès, è che “la comunità dei fedeli si senta responsabile del sacerdote che la guida”. Ricordando infine l’importanza dell’educazione, “condizione indispensabile per il funzionamento della democrazia, per la lotta contro la corruzione, per l’esercizio dei diritti politici e sociali”, il presule indica due vie: per rendere ancora più fruttuoso lo sforzo pedagogico – afferma - c’è anche bisogno di “generosità” e di “discernimento” nell’accogliere le nuove generazioni: si tratta di discernere in loro ciò che si deve incoraggiare da ciò che si deve correggere.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   I sacerdoti testimoni della misericordia di Dio: all'udienza generale il Papa parla di san Giovanni Eudes.

    Per rispondere alla sfida della secolarizzazione: in prima pagina, Lucetta Scaraffia sulla cultura cattolica in Italia.

    In rilievo, nell'informazione internazionale, il nuovo piano di pace per il Medio Oriente annunciato al termine dell'incontro fra Obama e Mubarak.

    I senza patria della modernità: in cultura, Marcel Gauchet sulla ridefinizione dell'esilio e dell'impegno nella coscienza religiosa di oggi.

    Un articolo di Oddone Camerana dal titolo "Reader's Digest, l'America dell'uomo comune": la crisi economica non risparmia la casa editrice della storica rivista.

    Per non tradire l'autore dimenticava se stessa: Claudio Toscani ricorda Fernanda Pivano.

    Non c'è purezza nel disprezzo della materia: Elisabetta Galeffi su eresia catara e umiltà francescana nella Firenze del Duecento.

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    Oggi in Primo Piano



    Il terrorismo dei talebani minaccia le elezioni in Afghanistan

    ◊   In Afghanistan è guerra dichiarata da parte dei talebani alle elezioni presidenziali e amministrative che si terranno domani in tutto il Paese. Di ora in ora si susseguono gravi attacchi dei ribelli ai punti più sensibili della capitale Kabul e dellle altre regioni, attentati che coinvolgono, in un sempre più pesante tributo di sangue, civili, militari locali e della forza internazionale. Da Kabul le ultime notizie nel servizio di Barbara Schiavulli:

    Strade deserte, negozi chiusi: la festa dell’indipendenza, che si celebra oggi, gli afghani la trascorrono a casa per paura degli attacchi promessi dai talebani in vista delle elezioni presidenziali e provinciali che si terranno domani. L’ultimo annuncio, diffuso dalla militanza, è che per le vie di Kabul si stanno aggirando una ventina di kamikaze pronti a farsi esplodere. Nel sud continuano gli attacchi ai seggi, molti dei quali resteranno chiusi; si parla di un 10 per cento delle settemila sedi elettorali che da domani accoglieranno i coraggiosi cittadini decisi a deporre la scheda, sfidando ogni possibile violenza. Oggi, intanto, la capitale è rimasta col fiato sospeso durante l’assedio ad una banca in pieno centro, ad un paio di chilometri dal palazzo presidenziale, occupata da un commando di uomini, poi eliminati dalla polizia dopo quattro ore di scontri a fuoco. Nella provincia di Ghazni quattro poliziotti sono stati uccisi dal fuoco amico di un elicottero della Nato che li ha scambiati per militanti durante un’operazione. Una famiglia è stata invece spazzata via dalla provincia di Takhar da una mina piazzata sulla strada. Per domani il presidente Karzai, dato per favorito in queste elezioni, ma che rischia, comunque, di andare al ballottaggio se non raggiungerà il 51 per cento delle preferenze, ha chiesto che vengano interrotte le attività militari delle truppe straniere. “Faremo quello che ci è stato chiesto – ha confermato il generale Bertolini, capo di Stato Maggiore della Nato a Kabul – ma questo non ci toglie il diritto, se veniamo attaccati, di difendere noi e soprattutto la popolazione afghana”.

     
    L’insicurezza getta, dunque, un’atmosfera di grande preoccupazione sullo svolgimento e sulla riuscita di questa tornata elettorale. A Simona Lanzoni, di Pangea Onlus, promotrice di diversi progetti di sviluppo in favore della popolazione afghana, Stefano Leszczynski ha chiesto quale sia il clima in cui gli elettori afghani si preparano all’appuntamento di domani.

    R. - La popolazione è abbastanza terrorizzata per le minacce, da un lato dei talebani e dall’altro proprio per la tensione politica che regna in questi giorni, non solo a Kabul ma in tutto l’Afghanistan.

     
    D. – Quindi un clima che verosimilmente è destinato a influenzare parecchio l’andamento di questo voto?

     
    R. – Decisamente sì. Ricordiamoci che negli ultimi 10 giorni i talebani hanno cominciato a fare serie e pesanti minacce a tutta la popolazione, soprattutto a sud. Hanno fatto pressioni nelle moschee attraverso volantinaggi, attraverso messaggi radio che riescono a entrare nelle frequenze delle altre emittenti, dicendo che tutte le persone che verranno trovate con l’inchiostro indelebile sulle dita, avranno come punizione il taglio del dito. Poi sul versante strettamente elettorale si parla di possibili frodi e di acquisto di voti a sud come a nord dell’Afghanistan.

     
    D. – Come uscire da questa empasse, come riuscire a garantire ai civili afghani di essere artefici del proprio futuro anche politico?

     
    R. – Sarà molto difficile questa volta perché non sarà come l’ultima volta, in cui la gente aveva veramente la speranza in un cambiamento ed è uscita in massa a votare. Questa volta molte persone hanno venduto le loro carte elettorali pur di non recarsi al voto. Molto spesso sono talmente remoti i villaggi in cui si trovano che comunque non hanno neanche vicino a loro una sede elettorale. Quindi non andranno comunque a votare. Nelle città, malgrado lo sforzo che è stato fatto, anche dalla società civile a spingere le persone ad andare a votare, la paura è comunque il sentimento che prevale. Quindi sarà molto difficile questa giornata di domani, malgrado l’intervento militare internazionale nel voler assicurare a tutti la possibilità di andare a votare.

     
    E sempre sul clima pre-elettorale in Afghanistan, Giancarlo La Vella ha raggiunto telefonicamente a Kabul Maurizio Salvi, inviato dell’Ansa per queste fondamentali elezioni:

    R. – E’ praticamente impossibile immaginare una situazione di tensione maggiore di questa in una vigilia elettorale. Bisogna dire che qui a Kabul perfino gli afghani, che sono da anni abituati ad attacchi, attentati e bombe, sono, in questo momento, estremamente preoccupati. Le strade di Kabul sono quasi deserte.

     
    D. – Tra la gente prevale la paura oppure c’è la consapevolezza dell’importanza di andare comunque al voto?

     
    R. – Ho la sensazione che i processi di cambiamento istituzionale innescati in questo Paese siano stati un po’ troppo rapidi. Credo che la situazione risenta ancora della precedente amministrazione statunitense e della dottrina dell’ex presidente Bush di voler esportare la democrazia a tutti i costi. Quello che posso dire è che in gran parte la gente non è preparata ad un salto verso un sistema democratico di stile occidentale. C’è partecipazione e consapevolezza dell’importanza del voto, ma l’opinione pubblica sembra apparentemente divisa tra chi è disposto a sostenere a spada tratta questo progetto d’instaurare una democrazia di stile occidentale e chi, invece, sente ancora molto forte la tradizione della storia di un’altra forma di democrazia, che naturalmente è ben altra cosa rispetto ai talebani. I talebani sono una forma di reazione, anche terroristica, che s’innesta in una realtà culturale diversa da quella occidentale.

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    Prima Giornata mondiale umanitaria

    ◊   La comunità internazionale si confronta con nuove minacce: cambiamenti climatici, povertà cronica, crisi finanziaria e alimentare, penuria di acqua e energie, migrazioni. E' quanto si legge nel messaggio dell'Onu per la prima “Giornata mondiale umanitaria”, che si celebra oggi. In omaggio a tutti gli operatori e ai membri delle Nazioni Unite che hanno perso la vita in situazioni di conflitto o di calamità naturali, è stato scelto il giorno del bombardamento dell’Ufficio Onu a Baghdad, il 19 agosto 2003, in cui persero la vita Sergio Vieira de Mello, Alto Commissario per i Diritti Umani e Rappresentante Speciale del Segretario Generale per l’Iraq, ed altri 21 operatori umanitari. Sul lavoro silenzioso e quotidiano di chi è impegnato in aree a rischio del mondo a favore delle popolazioni locali, ascoltiamo al microfono di Federico Piana, Francesco Rocca, commissario straordinario della Croce Rossa Italiana:

    R. – C’è un ruolo quotidiano, silenzioso che migliaia di operatori svolgono in tutto il mondo, in tutte le zone di crisi, in maniera veramente instancabile a favore di chi soffre, di chi ha bisogno. Questo, veramente, non dovremmo mai dimenticarlo, perché questa presenza in tante situazioni aiuta ad alleggerire quelle tensioni che poi spesso, invece, ci ritroviamo a dover gestire in casa nostra. Quindi, veramente il sostegno di operatori umanitari significa sostenere anche il nostro quotidiano.

     
    D. – Ricordiamo che questa Giornata è stata indetta dall’Onu dopo il sesto attentato che c’era stato sei anni fa, più o meno, a Baghdad, dove perse la vita anche un Commissario dell’Onu…

     
    R. – Quello fu veramente uno dei momenti più tragici. Purtroppo non era la prima volta che gli operatori umanitari venivano attaccati. Questo è un segno di barbarie che, con una cultura condivisa, dovremmo veramente cercare di frenare.

     
    D. – Nel 2008 sono stati uccisi 122 operatori umanitari contro i 36 di dieci anni prima: questi sono i dati che l’Onu ha reso noto in questi giorni…

     
    R. – Noi come Croce Rossa abbiamo un emblema della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa che è diffuso in tutto il mondo. Ma quello che stiamo segnalando negli ultimi anni, per quello che ci riguarda, è un venir meno anche del rispetto delle Convenzioni internazionali. L’emblema della Croce Rossa è un emblema di protezione per chi soffre, e invece abbiamo visto, negli ultimi anni, che in tante situazioni di conflitto non c’è più rispetto nemmeno per l’emblema protettivo, e questa è una delle cose che più inquieta.

     
    D. – L’emblema protettivo diventa a volte proprio motivo di violenza…

     
    R. – Assolutamente! C’è un tentativo di isolamento: mentre prima c’era un atteggiamento quasi colonizzatore – in questo senso c’è stata anche una rivisitazione delle politiche umanitarie – adesso si cerca molto di stimolare la realtà locale: ci sono quindi operatori umanitari che partono ma poi stimolano sul territorio la presenza di attori locali che possano interloquire direttamente con la popolazione e la cultura locale. E questo è un aspetto che a chi semina violenza ovviamente fa paura, perché la diffusione della cultura umanitaria in certi Paesi, naturalmente, fa paura!

     
    D. – Questo, certamente, mette a rischio gli operatori della Croce Rossa italiana?

     
    R. – In questo momento, la situazione è certamente molto delicata: ci sono realtà in cui gli operatori sono a rischio. Però, l’aspetto che maggiormente emoziona è che quando sono andato recentemente a trovarli, proprio pochi giorni fa in Palestina, si respira, invece, serenità nel quotidiano: la percezione del pericolo sfuma davanti al bisogno del prossimo. L’aspetto più emozionante è nel momento in cui si entra in contatto con la loro opera: il bisogno del più piccolo, il bisogno di chi soffre prende il sopravvento e quindi ci si dimentica di se stessi, ci si dimentica dei pericoli anche se, comunque, vengono rispettate una serie di regole di sicurezza che, ovviamente, sono importanti.

     
    D. – Secondo lei, come mai l’opinione pubblica si ricorda di queste persone straordinarie solamente quando accade qualcosa di grave?

     
    R. – Forse tutti dovremmo fare un po’ di autocritica, a partire dai media. Il dato di fatto, comunque, è questo: oggi i media portano all’attenzione uno scenario quotidiano che, molto spesso, riporta soltanto fatti di violenza e meno fatti sociali. Ci sono dei teatri di guerra che sono veramente dimenticati da tutti: non solo dall’opinione pubblica, ma anche dalle stesse Nazioni Unite!

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    Disarmo, clima e crisi energetica al centro del Seminario di Erice

    ◊   Sarà come ogni anno il centro di cultura scientifica “Ettore Majorana” di Erice, borgo in provincia di Trapani, la sede delle giornate di studio sulle emergenze planetarie. 120 scienziati provenienti da tutto il mondo si confronteranno da domani fino a domenica prossima su disarmo e proliferazione nucleare, clima e crisi energetica. Mariella Pugliesi ha chiesto le finalità dei seminari internazionali di Erice al presidente della Federazione mondiale degli scienziati e ideatore dell’iniziativa, il prof. Antonino Zichichi:

    R. – Dare chiarezza e rigore ai temi sui quali è impegnata tutta l’umanità, perché non dobbiamo dimenticare che le emergenze planetarie sono 63. Noi vogliamo contribuire in modo rigorosamente scientifico a chiarire quali sono le tematiche su cui è meglio impegnarsi.

     
    D. – Nell’enciclica “Caritas in veritate” Benedetto XVI parla di una necessaria sensibilità ecologica dei Paesi altamente industrializzati a favore dei Paesi poveri. Come si può vivere il pianeta con responsabilità?

     
    R. – La difesa della vita e della dignità umana devono essere al centro di ogni azione governativa, essendo noi l’unica forma di materia vivente dotata di ragione. Non si deve quindi operare contro questi principi fondamentali e non si devono neanche dimenticare le radici della nostra esistenza.

     
    D. – Il prossimo dicembre si terrà, a Copenaghen, la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Una delle sessioni dei seminari sarà dedicata proprio ad un confronto sui modelli matematici applicati alla meteo-climatologia…

     
    R. – Se vogliamo capire la logica del Creatore dobbiamo fare degli esperimenti ed è quello che noi facciamo, usando una matematica molto più rigorosa di quella usata dai meteo-climatologi. Non è vero che qualcuno può dimostrare oggi che le variazioni climatologiche – di cui si parla tanto – siano una conseguenza delle attività umane. A Copenaghen, perciò, farebbero bene a mettere sotto analisi il valore rigorosamente matematico di certi modelli.

     
    D. – La produzione di petrolio diminuisce ma la domanda di energia mondiale cresce. Come si può affrontare la crisi energetica?

     
    R. – Siamo un miliardo di privilegiati che hanno a loro disposizione la giusta quantità d’energia pro capite. I viaggiatori di questa navicella spaziale che gira attorno al Sole, la Terra, sono sei miliardi e mezzo. Noi siamo un miliardo e loro sono cinque miliardi e mezzo; di questi cinque miliardi e mezzo – secondo alcune stime delle Nazioni Unite – 800 milioni vivono avendo a loro disposizione la stessa quantità d’energia che avevano i nostri antenati dell’età della pietra e in questo gruppo, a tutt’oggi, si muore ancora per fame e per malattia. La risposta all’enorme crisi energetica mondiale è l’energia nucleare.

     
    D. – Cosa significa fare scienza e quali sono i pericoli di un suo uso incontrollato?

     
    R. – Fare scienza vuol dire studiare la logica di colui che ha fatto il mondo. La scienza, quindi, non può essere contro l’uomo, in quanto il libro della natura e la Bibbia hanno lo stesso autore. Quando c’è una scoperta scientifica vuol dire che è stato decifrato un passaggio di quel Libro. L’uso della scienza – come dice Giovanni Paolo II – non è più scienza. Ecco per quale motivo è determinante, per il progresso dell’umanità, non dimenticare l’insegnamento di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, i quali insistono nel far capire al mondo i veri motivi che reggono la logica del Creato.

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    Due ricercatori italiani scoprono la proteina che contrasta i tumori del cervello

    ◊   Si chiama Huwe1 la proteina che aiuta le cellule staminali del cervello a svilupparsi in modo corretto ed è di ostacolo al diffondersi del più aggressivo fra i tumori del cervello, il glioblastoma multiforme. La scoperta descritta sulla prestigiosa rivista Developmental Cell è di due italiani, Antonio Iavarone e Anna Lasorella, che da molti anni lavorano alla Columbia University Medical Center di New York. Gabriella Ceraso ne ha parlato con il neuro-oncologo Andrea Salmaggi dell’Istituto Besta di Milano:

    R. – Il ruolo di questa proteina è molto importante: regola le funzioni e l’equilibrio delle cellule staminali. Questa proteina favorisce la differenziazione delle cellule staminali inibendo un’altra particolare proteina che invece sposta l’equilibrio a favore della proliferazione.

     
    D. – Nell’ottica di un eventuale contrasto al tumore, l’importanza concreta di questa scoperta qual è?

     
    R. – E’ una scoperta notevole in quanto permette di prospettare una serie di esperimenti volti a potenziare l’espressione e la funzione di questa proteina, conducendo ad un controllo della crescita tumorale.

     
    D. – Manipolare quindi questa proteina potrebbe significare riprogrammare la crescita delle cellule oppure permettere una rigenerazione o fermare la malattia?

     
    R. – Non è escluso.

     
    D. – Il ruolo anti-cancro di questa proteina potrebbe essere applicato anche ad altri organi oltre al cervello?

     
    R. – Questo credo che attualmente sia oggetto di studio.

     
    D. – Quanto tempo ci vorrà, ora, per vedere tradotta in terapia la scoperta genetica?

     
    R. – E’ bene non dare illusioni di una rapida trasferibilità. In genere scoperte di avanzamenti conducono un’applicazione in terapie in un tempo che non è mai inferiore ai tre anni, a volte anche ai cinque anni.

     
    D. – Qual è il suo commento come studioso a questa notizia?

     
    R. – Sono tutti progressi che ci fanno un grande piacere perché sono progressi di cui abbiamo un gran bisogno in questa patologia così grave. Ci fa particolarmente piacere che a questo progresso contribuiscano in maniera decisiva ricercatori italiani, anche se lavorano in centri stranieri. Nonostante questo, rimane comunque la soddisfazione.

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    Chiesa e Società



    Nicaragua: cresce l'intolleranza anticattolica. Tre vescovi minacciati di morte

    ◊   “La Chiesa nicaraguense continuerà a svolgere la sua missione evangelizzatrice nonostante il clima di violenza verbale, intimidazione e le minacce di morte pervenute a tre vescovi”. Con queste parole l’arcivescovo di Managua, mons. Leopoldo Brenes, presidente della Conferenza episcopale, ha commentato le minacce di morte fatte arrivare con lettere ed e-mail a mons. Juan Abelardo Mata, vescovo di Estelí e vicepresidente dell’episcopato, a mons. Bernardo Hombach vescovo di Granada e a mons. René Sándigo, vescovo di Chontales. “In realtà, ha aggiunto mons. Brenes, queste minacce non ci preoccupano più di tanto. Noi continueremo il nostro lavoro, sempre e ovunque, soprattutto in questo anno dedicato al sacerdote”. In Nicaragua, da giorni si acuisce il clima di violenza verbale e intolleranza che si vive da diversi mesi, in particolare dal novembre scorso, quando le elezioni amministrative vinte dal partito al governo (“Frente Sandinista”) sono state dichiarate, da più parti, fuori e dentro il Paese, “poco trasparenti e viziate da frodi”. Dopo che giorni fa alcuni vescovi hanno condannato duramente le aggressioni contro alcune persone di una Ong locale, che nelle vicinanze della cattedrale di Managua, manifestavano a favore delle loro iniziative, gli attacchi sulla stampa contro la Chiesa e contro i suoi pastori sono aumentati notevolmente. Da parte sua mons. Juan Abelardo Mata Guevara, ha definito questa situazione come “molto pericolosa” per l’intero Paese che ha “tanto bisogno di vivere e lavorare in armonia” e perciò, ha spiegato, sarà opportuno trasmettere alla Santa Sede tramite la persona del nunzio apostolico tutte le informazioni su quanto sta accadendo. Intanto, l’altro ieri Omar Cabezas, procuratore generale per i diritti umani, ha attaccato il vescovo di Granada, mons. Bernardo Hombach, accusandolo di essere “agente della Cia e di lavorare per destabilizzare il governo”. Il presule, che non ha voluto prendere parte alla polemica, si è limitato a dire che si tratta di “parole insensate”. Parte della stampa locale sottolinea il termine “insensato” proprio perché sono in molti, e sicuramente la stragrande maggioranza del Paese, a ritenere dissennati i comportamenti di alti funzionari di governi e di alcuni giornalisti che, gratuitamente e senza nessun motivo, sembrano voler aumentare la polemica, l’odio e lo scontro quasi a voler evitare di parlare dei gravi problemi del Paese. Su questi problemi, e soprattutto sul necessario ampio consenso sociale per affrontarli, l’Episcopato ha chiesto diverse volte al presidente Daniel Ortega l’apertura di un “dialogo nazionale”, nel quale coinvolgere tutti i settori del Paese, per “trovare insieme, nel dialogo e nell’intesa il miglior modo per risolverli”. Dalle autorità non è mai arrivata una risposta negativa, anzi, alcuni collaboratori del capo di Stato si sono dichiarati d’accordo con la proposta e alcuni parlamentari sandinisti, mesi fa, hanno parlato di “incontro imminente”. Mons. Brenes, tempo fa, illustrando una dichiarazione dell’Episcopato ha rilevato: “Ci preoccupano le ferite che cominciavano a guarire, che stavano cicatrizzando e che oggi si sono aperte nuovamente. Ora tocca ai dirigenti politici trovare una soluzione alla situazione. I politici hanno nelle loro mani la soluzione. A noi, come Chiesa, ci resta solo un unico cammino: pregare perché non si riaprano le nostre ferite e quelle che ci sono ancora si possano chiudere". (A cura di Luis Badilla)

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    Appello dei vescovi argentini ad affrontare il drammatico problema della povertà nel Paese

    ◊   I 20 vescovi argentini che prendono parte alla riunione del Comitato di Presidenza della Conferenza episcopale, che si concluderà domani con la pubblicazione di un documento, hanno ascoltato il rapporto sulla povertà nel Paese di mons. Jorge Casaretto, vescovo di San Isidro e presidente della Commissione episcopale per la Pastorale sociale. Padre Jorge Oesterheld, portavoce dell’episcopato ha detto che mons. Casaretto ha illustrato ai vescovi le statistiche dell’Università Cattolica di Buenos Aires, secondo le quali il 40% si trova al di sotto della soglia di povertà; cifra che contrasta con quella ufficiale del 15,6% fornita dall’Istituto nazionale di statistica. Il portavoce dell’episcopato ha precisato che per la Chiesa non ha nessuna importanza polemizzare sulle cifre, l’importante invece è affrontare il problema. “Il governo ha fatto molto e continua a lavorare, ma non è sufficiente”, ha precisato padre Oesterheld che ha voluto anche lanciare un appello a tutti i politici argentini affinché “diano alla questione sociale l’importanza che merita”. “Non è solo responsabilità del governo – ha concluso - è responsabilità di tutti”. (V.V.)

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    Nuove violenze contro i cristiani in Iraq

    ◊   Ancora omicidi e rapimenti mirati contro la comunità cristiana a Kirkuk, nel nord dell’Iraq. Ieri sera Sabah Daowd Askar, 55 anni, sposato e padre di tre figli, è stato ucciso davanti alla sua abitazione nel quartiere di Almas. Sempre ieri, in un secondo episodio, un medico 50enne è stato rapito mentre rincasava. Fonti di AsiaNews in città parlano di un “clima di paura” e si teme una “nuova fuga di massa” dei cristiani. Sabah Daowd Askar è stato ucciso perché “ha cercato di impedire un sequestro”. L’uomo, di fede cristiana, ha visto quattro persone “rapire un bambino musulmano”. Ha provato a salvarlo, ma “i criminali gli hanno sparato”. Samir Gorgia, 50enne sposato e padre di due figli è stato rapito verso le 9 di ieri sera, mentre rientrava a piedi nella sua abitazione. Durante le concitate fasi del sequestro è stato ucciso un passante, anch’egli di fede cristiana. Sulla comunità cristiana di Kirkuk, vittima in passato della violenza dei fondamentalisti e dei criminali, regna di nuovo un clima di preoccupazione e paura per i giorni che verranno. Ma dall’Iraq arrivano anche segnali positivi: l'arcivescovo di Kirkuk dei Caldei, mons. Louis Sako, dopo la restituzione di tre scuole cattoliche alla Chiesa caldea confiscate dal regime di Saddam Hussein ha dichiarato: “Il futuro dell'Iraq deve partire dalla scuola. Formazione ed educazione sono indispensabili per costruire una nuova società. Il nostro scopo è formare cristiani e musulmani insieme, sotto lo stesso tetto. Formare la gioventù e favorire la convivenza tra diverse etnie e religioni sono ingredienti indispensabili per un Iraq pacifico e democratico”. (V.V.)

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    India: mons. Cheenath critica l'inserimento dell'India nella Watch List sulla libertà religiosa

    ◊   “Non dovrebbero esserci dei dubbi sulle credenziali secolari dell'India”. L'arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, Raphael Cheenath, ha criticato con queste parole l'inserimento dell'India, da parte della Commission International Religious Freedom, un organismo governativo degli Stati Uniti, nella cosiddetta Watch List, la lista d'attenzione che contiene un elenco di nazioni dove la libertà religiosa è minacciata. La lista cita l'India per l'incremento delle violenze contro le minoranze, in maniera specifica per quanto concerne i cristiani dell'Orissa e i musulmani nel Gujarat. L'arcivescovo ha sottolineato che “quanto afferma la Commissione va contro la Costituzione dell'India, perché la nazione crede nel rispetto di tutte le religioni” e il Paese, ha aggiunto, prospera sulla tollerenza e il pluralismo religiose da secoli. (V.V.)

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    Sri Lanka: i monsoni aggravano la situazione nei campi profughi tamil

    ◊   Le piogge monsoniche che si stanno abbattendo sullo Sri Lanka aggravano le condizioni di vita dei rifugiati raccolti nei campi profughi delle zone di Mannar e Vavuniya. Il centro più colpito è la Manik Farm in cui sono raccolti circa 280mila rifugiati di guerra di etnia tamil. Le Nazioni Unite affermano che circa 2mila ricoveri hanno subito gravi danni: 10mila persone sono rimaste prive dei ripari e dei servizi igienici. Gordon Weiss, portavoce Onu a Colombo, afferma che “l’impatto dei primi nubifragi è stato enorme e i danni causati dai monsoni destano serie preoccupazione”. David White, direttore di Oxfam per lo Sri Lanka, spiega che “il sito della Manik Farm non è agibile sia dal punto di vista logistico sia da quello tecnico e non saremo in grado di affrontare la stagione delle piogge”. Le prime precipitazioni abbattutesi sui campi hanno causato almeno cinque morti tra i profughi. Un ragazzo è rimasto ucciso dal crollo della latrina in cui si trovava. White spiega che “i servizi igienici dei campi sono allagati. Fango ed escrementi defluiscono verso le tende della gente e le zone comuni dove i rifugiati cucinano”. C’è il serio rischio di contaminazione dell’acqua potabile il che “aumenta il rischio della diffusione di malattie”. Nimalka Fernando, avvocato srilankese e attivista per i diritti umani, dice ad AsiaNews che “i profughi nei campi di Vavuniya non sono trattati come vittime del conflitto, ma come criminali di guerra”. (V.V.)

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    Le sfide dell'evangelizzazione in Asia centrale

    ◊   "Le comunità cristiane dell'Asia centrale, che vivono in mezzo a persone di altre tradizioni religiose, si impegnano a diffondere la buona notizia del Regno soprattutto tramite la testimonianza della loro fede". È quanto si legge sul sito "Oriente cristiano" che si riferisce a un dossier dell'agenzia Fides su "L'Asia centrale e le sfide della missione". Il dossier è formato da due parti: nella prima, dopo gli aspetti geografici e geopolitici, viene affrontato il tema dell'era post sovietica nell'area; nella seconda si analizzano i temi dell'islam centroasiatico, della libertà religiosa, dell'arrivo del cristianesimo, della missione della Chiesa e del dialogo interreligioso. "I popoli e le religioni di questa regione - si legge nel dossier - nel corso di tre generazioni sono stati sottoposti a una politica di internazionalismo forzato e di ateismo militante, che ha lasciato dietro di sé un vuoto spirituale. Questa circostanza, insieme al difficile processo di rinascita dell'indipendenza e dell'autocoscienza nazionale, come anche la complessa situazione economica di una regione molto ricca di risorse materiali, è da tenere presente, parlando della predicazione del Regno di Dio". La rinascita spirituale è cominciata alla fine degli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta del secolo XIX, anche se con numerose difficoltà a causa anzitutto del recente passato ateista, della scarsità di sacerdoti, letteratura religiosa, chiese, mezzi di informazione e difficoltà delle condizioni sociali. Essa tuttavia progredisce, anche se con alterni successi, a seconda della regione. Un passo fondamentale è stata la storica visita del Papa Giovanni Paolo II in Kazakhstan nel 2001. Essa ha realizzato i sogni dei cattolici del Kazakhstan, e ha permesso ai pellegrini degli altri Paesi dell'Asia centrale, e anche a molti russi, di incontrare il Pontefice. (V.V.)

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    24 Ore nel Mondo



    Raffica di attentati in Iraq: oltre 70 morti

    ◊   Non c’è pace nel martoriato Iraq. Questa mattina una catena di attentati in rapida successione ha scosso Baghdad con decine di morti e centinaia di feriti. Nel mirino dei terroristi obiettivi governativi. Preoccupa la nuova impennata di violenze che coincide con il ritiro delle truppe americane dalle città del Paese. Il servizio di Marco Guerra:

    Camion-bomba, ordigni e colpi di mortaio hanno fatto ripiombare Baghdad in una delle giornate più sanguinose da diversi mesi a questa parte. Il bilancio, ancora provvisorio, delle vittime è pesantissimo: almeno 75 morti e 400 feriti. Gli attacchi più devastanti sono stati quelli contro il ministero delle Finanze e quello degli Esteri. Nel primo caso l'esplosione è stata così forte da provocare il crollo di un viadotto che costeggia l'edificio, uccidendo 25 persone e ferendone 75. Almeno un colpo di mortaio è poi caduto sulla zona verde, dove hanno sede il parlamento e il governo iracheno, nonché numerose ambasciate di Paesi occidentali, compresa quella degli Stati Uniti. E ancora, esplosioni sono state registrate in almeno altri sette quartieri della capitale, dove ancora non è chiaro se si sia trattato di ordigni o colpi di mortaio. Fino ad ora non ci sono state rivendicazioni, ma le autorità irachene attribuiscono la responsabilità degli attentati alla ''alleanza'' tra al Qaeda e nostalgici del disciolto partito Baath, del regime di Saddam Hussein. Di sicuro c’è solo che si tratta dell’attacco più grave dopo la ritirata delle truppe statunitensi dalle città del Paese. Una decisione che, nonostante l’approvazione della comunità internazionale della popolazione irachena, ha determinato un peggioramento delle condizioni di sicurezza. E proprio ieri il presidente Obama, parlando ad una convention di veterani, aveva previsto l’aumento di quella che ha definito “un’insensata violenza”, promettendo però che gli Usa saranno in grado di rispettare le scadenze del ritiro definitivo fissato per il 2011.

     
    Iran
    Il presidente iraniano Ahmadinejad ha rinviato a domani la presentazione del nuovo governo. Secondo quanto riferisce l'agenzia iraniana Ilna. Il nuovo esecutivo, che Ahmadinejad annuncerà con un messaggio televisivo, inizialmente previsto per questa sera, dovrà ricevere la fiducia del Parlamento. Il dibattito in aula è previsto a partire dal 23 agosto. Della squadra di governo dovrebbero far parte, per la prima volta nella storia della Repubblica islamica, tre donne e molti giovani, come annunciato dallo stesso Ahmadinejad domenica scorsa.

    Colloqui Peres-Medvedev su Medio Oriente e Iran
    Il presidente israeliano Shimon Peres ha incontrato ieri a Sochi, sul Mar Nero, il leader del Cremlino, Dmitri Medvedev. Cooperazione bilaterale, processo di pace in Medio Oriente e soprattutto il programma nucleare iraniano, sono i temi principali affrontati nel colloquio. In particolare il presidente russo ha detto che la Russia è disposta a rivedere l’annunciata vendita a Teheran di missili terra-aria S-300 per la difesa delle installazioni atomiche iraniane. Dalla sua, Peres ha dichiarato che l’Iran continua a rappresentare una minaccia per Israele e per tutta la comunità internazionale. Sull’esito dell’incontro, Giancarlo La Vella ha raccolto l’analisi di Alberto Negri, inviato speciale del Sole 24 Ore:

    R. - La Repubblica islamica ormai è diventata uno dei problemi della comunità internazionale e Mosca naturalmente è sensibile a tutto questo, perché sappiamo che la Russia è coinvolta direttamente, per esempio, nel nucleare civile iraniano: ci sono oltre 3000 tecnici nella centrale nucleare di Boucher ed è grazie a loro che è stata riavviata questa centrale. Quando la centrale comincerà a produrre effettivamente energia atomica non lo sapremo, ma anche la chiave di questo è nelle mani dei russi. Credo che allo stesso tempo Mosca, però, pur mantenendo un rapporto privilegiato con l’Iran non voglia irritare troppo né gli Stati Uniti, né gli altri partner della comunità internazionale. Quindi, credo che questo sia l’interpretazione del significato dell’incontro tra Peres e Medvedev.

     
    D. – Teheran come potrà sfruttare questa situazione?

     
    R. – Teheran credo che cerchi di sfruttarla cercando di giocare con i vari partner che ha a disposizione. Soprattutto l’Iran, ma non da oggi, ha forti aperture nei confronti dell’est asiatico: i rapporti con Pechino sono molto stretti e anche i rapporti con la Corea. Insomma, alla finestra occidentale tradizionale, l’Iran ha già contrapposto in questi anni quella orientale.

     
    Russia: incidente ad una centrale idroelettrica
    Si aggrava il bilancio dell'incidente che l’altro ieri ha messo fuori uso la più grande centrale idroelettrica russa, quella di Sayano-Shushenskaya, in Siberia. Un altro corpo è stato scoperto stamani tra le macerie della centrale. Sale così a 13 il numero delle vittime. 63 invece i dispersi, per i quali sono ormai quasi nulle le speranze di ritrovarli in vita. Nel frattempo, proseguono le ricerche sul luogo della catastrofe.

    Incontro Obama - Mubarak su Medio Oriente
    La pace tra israeliani e palestinesi passa dall'Egitto, ne è convinto il presidente statunitense Barack Obama che ieri ha incontrato per la terza volta dall’inizio del suo mandato il presidente egiziano, Hosni Mubarak. Subito dopo l'incontro, l'Egitto ha annunciato che gli Stati Uniti intendono presentare entro settembre un nuovo piano di pace. Il servizio di Elena Molinari:

    Per uscire dallo stallo in Medio Oriente occorre passare alla fase finale dei negoziati, avere il coraggio insomma di parlare di confini definitivi fra Israele e Palestina. La proposta è stata presentata ieri dal presidente egiziano Mubarak a Barack Obama e il presidente americano da parte sua ha annunciato di apprestarsi a presentare il proprio atteso piano di pace a settembre: lo farà all’apertura della nuova sessione dell’Assemblea generale dell’Onu. A comunicarlo è stato un portavoce di Mubarak, mentre Obama pubblicamente si è limitato a mandare un segnale di distensione a Israele. Lo Stato ebraico, ha detto, sta facendo movimenti nella giusta direzione sulla questione degli insediamenti. La mia speranza, ha aggiunto, è di vedere iniziative anche da parte dei palestinesi. Il presidente Usa ha quindi rinnovato l’invito agli Stati arabi perché facciano la loro parte per raggiungere un accordo di pace. Un invito che, secondo Mubarak, verrà accolto, perché a suo dire Obama con il discorso al Cairo di giugno ha rimosso ogni tipo di dubbio sugli Stati Uniti e il mondo musulmano.

     
    Francia: arrestati ricercati Eta
    La polizia francese ha arrestato questa mattina nella località alpina di Le Corbier, in Savoia, tre fra i più ricercati esponenti dell'Eta, l'organizzazione separatista basca. Si tratta di Aitzol Etxaburu, ritenuto l'attuale capo logistico dell'apparato militare del gruppo terroristico, di Alberto Machain Beraza, accusato di essere coinvolto nei recenti attentati di Maiorca e di Andoni Sarasola, già condannato per l'attentato contro il Terminal 4 dell'aeroporto di Madrid che costò la vita a due persone. L’operazione è stata eseguita in collaborazione con la polizia spagnola.

    Olanda
    Tragedia in Olanda, dove quattro fratellini di età compresa fra gli uno e gli otto anni, sono morti stanotte a Kampen in un incendio scoppiato nella loro casa. I bambini, tutti maschi, sono rimasti intrappolati nelle fiamme, mentre i genitori e 10 sorelle sono riusciti a salvarsi. Un portavoce del comune, Bertil Van Kolthoorn, ha detto che le cause dell'incidente, avvenuto alle 2:30 di oggi, sono ancora da accertare. Kampen è una cittadina caratterizzata dalla presenza dei conservatori protestanti, che hanno tradizionalmente famiglie molto numerose.

    Malaysia: in fiamme petroliera
    Grave incidente nelle acque della Malaysia. Una nave cisterna con a bordo circa 58 mila tonnellate di nafta è rimasta coinvolta in una collisione nello Stretto di Malacca, che separa l'isola di Sumatra dalla penisola malese. Nove marinai sono dispersi.

    Corea del Nord
    La Corea del Sud ha sospeso le procedure per il lancio del suo primo vettore spaziale. Il rinvio è stato deciso appena otto minuti prima dell’orario previsto per il lancio, le 17 locali. Il test avrebbe potuto creare nuove tensioni con la Corea del Nord, che ad aprile aveva sperimentato un vettore a lungo raggio. Non è escluso che la sospensione serva a non scoraggiare i segnali di disgelo arrivati da Pyongyang negli ultimi giorni. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 231

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