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Sommario del 17/08/2009
Il Papa nomina mons. Parolin nunzio in Venezuela e mons. Balestrero sotto-segretario della sezione per i Rapporti con gli Stati
◊ Il Papa ha nominato nunzio apostolico in Venezuela mons. Pietro Parolin, finora sotto-segretario della sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, elevandolo in pari tempo alla sede titolare di Acquapendente, con dignità di arcivescovo.
A succedergli nell’incarico di sotto-segretario per i Rapporti con gli Stati è mons. Ettore Balestrero, finora consigliere di nunziatura presso la medesima sezione.
Mons. Parolin, nato a Schiavon, in provincia di Vicenza, 54 anni fa, e ordinato sacerdote il 27 aprile 1980, è laureato in Diritto Canonico. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1986, ha prestato la propria opera presso le Rappresentanze Pontificie in Nigeria e in Messico. Dal 2002 era sotto-segretario della Sezione per i Rapporti con gli Stati. Parla correntemente anche il francese, l’inglese e lo spagnolo.
Mons. Balestrero è nato 42 anni fa a Genova. Dopo aver frequentato la Facoltà di Giurisprudenza, è entrato nell'Almo Collegio Capranica per la diocesi di Roma ed è stato ordinato sacerdote il 18 settembre 1993. Ha conseguito la Licenza in Teologia ed il Dottorato in Diritto Canonico. Dopo aver esercitato il ministero pastorale presso la Parrocchia Santa Maria Mater Ecclesiae al Torrino, a Roma, è stato alunno della Pontificia Accademia Ecclesiastica. Entrato nel servizio diplomatico della Santa Sede nel 1996, è stato assegnato alle nunziature apostoliche in Corea e Mongolia (1996-1998) e nei Paesi Bassi (1998-2001). Dal 2001 presta il suo servizio presso la sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Oltre all'italiano, conosce l’inglese, lo spagnolo, il francese, il tedesco e l’olandese.
Sempre oggi il Papa ha nominato vescovo di Kotido, in Uganda, padre Giuseppe Filippi, superiore provinciale dei Missionari Comboniani in Uganda. Padre Giuseppe Filippi, è nato 64 anni fa a Baselga del Bonde, nell’arcidiocesi di Trento, ed è stato ordinato sacerdote il 26 giugno 1978. La Diocesi di Kotido, suffraganea dell’arcidiocesi di Tororo, ha una superficie di 13.555 kmq, con 470.500 abitanti (154.795 cattolici), 10 parrocchie, 25 sacerdoti (16 diocesani e 9 religiosi), 2 fratelli religiosi, 10 seminaristi e 26 religiose. La diocesi si è resa vacante il 27 giugno 2007 a seguito del trasferimento di mons. Denis Lote Kiwanuka alla sede arcivescovile di Tororo.
Infine, il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell'arcidiocesi di Daegu (Corea), presentata da mons. John Choi Young-soo, in conformità al canone 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
La dimensione spirituale della persona alla base di un autentico sviluppo: il commento di Riccardo Moro sulla Caritas in veritate
◊ “Se l’uomo fosse solo frutto o del caso o della necessità”, se “non avesse una natura destinata a trascendersi in una vita soprannaturale, si potrebbe parlare di incremento o di evoluzione ma non di sviluppo”: è uno dei passaggi dell’Enciclica “Caritas in veritate”. Il Papa sottolinea dunque che non c’è sviluppo autentico se si nega la dimensione spirituale della persona. Dio, infatti, scrive Benedetto XVI, “è il garante del vero sviluppo dell’uomo” poiché avendolo creato a sua immagine “ne alimenta il costitutivo anelito ad essere di più”. Su questa visione dello sviluppo umano delineata nell’Enciclica, Alessandro Gisotti ha intervistato l’economista Riccardo Moro, direttore della Fondazione Giustizia e Solidarietà della Cei:
R. – Nel momento in cui noi immaginiamo lo sviluppo come una successione quasi meccanica e automatica di fasi, noi sostanzialmente equipariamo l’uomo ad una sorta di macchina. Nel momento in cui l’uomo è immagine e somiglianza di Dio, ma anche secondo altre prospettive e concezioni religiose, in ogni caso l’uomo è un essere vivente che in qualche modo partecipa di una vita che la dimensione della divinità gli offre, alla quale la dimensione della divinità lo chiama, con una serie di talenti complessivi. Allora, in questo senso, lo sviluppo è il risultato della interazione di questi talenti tra le persone, che offre sempre dei risultati nuovi.
D. - Il fondamentalismo religioso, scrive il Papa, come il terrorismo, e in definitiva la negazione della libertà religiosa, contrastano lo sviluppo autentico della persona e dei popoli: un richiamo quanto mai attuale, pensando anche alla cronaca quotidiana, alla situazione in tanti Paesi, dall’Iraq al Pakistan…
R. – Certo, se educare all’ateismo comportava una negazione della persona umana, della sua complessità, analogamente la degenerazione opposta del fondamentalismo religioso, per cui la persona non ha più la sua libertà personale, ma deve aderire ad un sistema di regole, di comportamenti, definiti da altri, non può che sterilizzare, inibire le capacità che gli uomini hanno di interagire tra di loro e di creare cose nuove.
D. – L’uomo non è una macchina. E’ possibile, dunque, auspicabile, che si guardi all’economia non solo con parametri meramente produttivistici. Questa crisi che è all’inizio della sua conclusione potrebbe aiutare anche a ripensare il modello di sviluppo?
R. – La crisi finanziaria è sicuramente un’occasione. Esiste un dibattito da questo punto di vista per riflettere sulle ragioni di quella crisi che molti interpretano anche come una mancanza di etica. Ora, la questione dell’etica nell’economia non è una questione di discorsi retorici o romantici o moralistici, è una questione molto precisa: nel momento in cui le relazioni commerciali e finanziarie, e più generalmente economiche, non guardano, oltre che all’interesse della mia parte, al bene comune, cioè all’interesse anche dell’altro, a che cosa capita nel contesto in cui io opero, in ragione delle scelte che percorro, il rischio è che succeda quello che è capitato nel sistema finanziario. Allora, nel momento in cui io siglo un contratto non devo pensare solo a quanto guadagnerò io, ma devo guardare anche a cosa capita nel contesto, e questa è un’assunzione etica. Dire che ci vuole etica nell’economia significa esattamente dire questo, che dobbiamo porci il problema di quali sono le conseguenze delle nostre scelte, dei nostri contratti, delle nostre firme sul contesto generale. Senza questa attenzione, io perseguo l’interesse e lo ottengo nel breve periodo, ma nel medio e lungo periodo incontro dei problemi gravi esattamente come quelli che si sono determinati.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Nella vita l'unica fretta sia di camminare verso Dio: all'omelia dell'Assunta il Papa ricorda la vocazione di Maria alla sequela di Cristo.
In rilievo, nell'informazione internazionale, l'economia: il pil giapponese in ripresa, ma le Borse non ci credono.
Tanti libri insipidi, e non conoscono Dante!: in cultura, l'introduzione dell'arcivescovo Gianfranco Ravasi al libro di don Carlo Gnocchi "Restaurazione della persona umana".
Lo scettico amico del Papa e nemico delle insulsaggini filosofiche: Alain Besancon ricorda Leszek Kolakowski.
Un articolo di Marco Ferrazzoli dal titolo "Il miracolo di Giovannino": ma Guareschi non è stato solo don Camillo.
Gaetano Vallini sul film documentario "La rabbia" scritto da Guareschi e Pier Paolo Pasolini, proiettato al Fiuggi Family Festival.
Attentato kamikaze in Inguscezia: almeno 20 morti
◊ E' di almeno 20 morti accertati e oltre 70 feriti il bilancio ancora provvisorio dell'attentato kamikaze avvenuto oggi a Nazran, centro più importante della Repubblica autonoma dell'Inguscezia, nella Russia meridionale. Lo ha reso noto il presidente ad interim Gaisanov, secondo cui le reali dimensioni del massacro sono tuttora in corso di verifica. Stando a fonti della Procura locale, un'auto-bomba è saltata in aria nel cortile del palazzo che ospita il quartier generale della polizia. Un palazzo nelle vicinanze è crollato. Il servizio di Giuseppe D’Amato:
Hanno tentato di fermare il kamikaze, ma non ci sono riusciti. Un camioncino, comunissimo in Russia, è esploso pochi secondi dopo nello spiazzo della caserma. Per nessuna delle persone circostanti vi è stato scampo. In tanti sono ancora imprigionati sotto alle rovine delle stabile crollato. L’incendio, successivo alla detonazione, ha poi distrutto quel poco rimasto ancora in piedi e le automobili. Da tutta la repubblica sono arrivate squadre di pompieri, che hanno faticato ad avere ragione delle fiamme. La prima preoccupazione è stata quella di mettere in sicurezza le armi e le munizioni. Un palazzo di cinque piani, posizionato proprio davanti alla caserma, ha riportato danni ingenti. Gli ospedali di Nazran sono pieni di feriti, molti dei quali sono bambini. Manca già il sangue. L’Inguscezia è sotto shock: sono stati dichiarati tre giorni di lutto nazionale. Il presidente federale, Dmitrij Medvedev, ha incaricato delle indagini il ministro degli Interni. Gli esperti parlano già di guerra civile in corso. La crisi socio-economica in Inguscezia è pesantissima. Il mese scorso il presidente Ievkurov è stato ferito gravemente in un attentato.
L’attentato in Inguscezia contribuisce ad elevare la tensione nell’intera area caucasica, regione strategica per il passaggio di importanti oleodotti, destabilizzata da continue istanze autonomiste e dove si concentrano gli interessi russi e del mondo occidentale. Sulla possibilità di risolvere i problemi della zona Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici all’Università di Trieste:
R. – Non è facile, perché si sommano all’interno di quell’area almeno tre componenti: quella del terrorismo locale, quella del problema energetico, che è una questione assolutamente strategica, e quella dello scontro tra la Federazione russa e la Nato. Sono tre temi molto sentiti, sia da parte della Federazione russa che dai Paesi occidentali. Si tende sempre a rinviare il problema. Nel frattempo, intervengono le tensioni locali, le autoproclamazioni di indipendenza, gli attentati terroristici e, quindi, non mi sembra che il quadro generale sia in questo momento favorevole a trovare veramente delle soluzioni. E non si è riusciti a trovare mai una vera soluzione sia alla richiesta di autonomia di alcune di queste regioni, con intese con coloro che l’indipendenza l’hanno già raggiunta e quelli invece che la vogliono ancora raggiungere.
D. – Basterà una spartizione degli interessi a risolvere le tensioni nell’area?
R. – Questa sarebbe sostanzialmente la linea della Federazione russa: un accordo generale, con una spartizione vecchio stile degli interessi e una definizione di aree di competenza o di influenza. Il problema di fondo è che questo è una maniera ormai passata di risolvere le tensioni regionali. E’ un mondo di 60 anni fa, quando si riunivano due o tre grandi potenze e decidevano i destini di tutti i popoli. Ma oggi vi sono altre vicende che sono difficilmente regolabili. Una di queste è, per esempio, quella del terrorismo. Quindi, si può trovare certamente un accordo generale, anzi è auspicabile. Non si può pensare, però, che questi problemi possano essere risolti con la bacchetta magica. Ed è questo il motivo per cui ritengo che vada formata una commissione internazionale apposita delle Nazioni Unite, per risolvere realmente il problema, alla quale prendano parte anche rappresentanti della Nato e, forse, per la prima volta anche dei grandi interessi economici. E, a questo punto, cercare di trovare una soluzione vera che tenga conto degli aspetti di potenze militari, ma anche degli aspetti sociali ed economici.
Afghanistan: i talebani minacciano chi si recherà a votare
◊ In Afghanistan, il presidente Hamid Karzai ha annunciato di aver disposto, per il 20 agosto, giorno in cui in tutto il Paese si svolgeranno le elezioni presidenziali, il cessate il fuoco per le forze militari nazionali. Ha inoltre invitato i movimenti talebani ad aderirvi. Intanto, nonostante sul terreno continuino le violenze, la gente si prepara al voto in un momento difficile dal punto di vista della sicurezza. I talebani minacciano di tagliare orecchie, naso e dita a chi si recherà a votare. Da Kabul, Barbara Schiavulli:
I talebani smentiscono qualsiasi tregua e minacciano di attaccare i seggi elettorali. Chi andrà a votare sarà considerato un alleato del governo e nemico dell’islam. Intanto, nei villaggi i militanti girano casa per casa, ritirando le carte di registrazione al voto e intimando la gente a non uscire di casa. Dal canto suo, il ministro degli Interni, dopo l’attentato di due giorni fa all’ingresso del quartier generale della Nato a Kabul, con sette morti civili e 90 feriti tra i quali una decina di militari stranieri, ha sguinzagliato la polizia in ogni angolo delle strade della capitale, nel tentativo di bloccare l’arrivo di altri kamikaze, in vista del 20 agosto prossimo, quando 17 milioni di afghani andranno a votare, anche se si prevede una bassa affluenza. Intanto, però, si continua a combattere. Sono una trentina i militanti morti a ovest, mentre nel sud, dopo gli ultimi tre soldati inglesi rimasti uccisi durante l’esplosione di ordigni, sale a 204 il bilancio dei soldati della Regina caduti in questi sette anni di inferno.
Nonostante il lungo conflitto condotto dalla Comunità internazionale e dagli Usa in Afghanistan contro il regime dei talebani, in questo periodo estivo ed in particolare a ridosso delle elezioni, aumentano d’intensità gli attacchi e gli attentati nel Paese. Stefano Leszczynski ne ha chiesto il perché ad Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali:
R. – Paradossalmente l’attuale situazione si verifica proprio perché c’è stata, da sempre, una forte offensiva militare ma poca attività di ricostruzione, non soltanto dal punto di vista infrastrutturale, ma anche politico. Gli stessi candidati che vediamo oggi in Afghanistan sono candidati che non hanno seguito particolare tra i molti esponenti dei vari gruppi tribali e, dall’altra parte, la comunità internazionale ha fatto oggettivamente assai poco per garantire migliori condizioni di vita agli afghani.
D. – C’è anche chi sostiene che quest’offensiva serva a dare una maggior forza negoziale ai talebani nel dopo-elezioni…
R. – Direi di sì. Quello che vediamo non è violenza fine a se stessa, ma è un confronto politico, fatto ovviamente in maniera completamente diversa da quella cui noi siamo abituati.
D. – Per quanto riguarda la comunità internazionale, quanto a lungo potrà ancora sostenere un impegno di questo tipo in Afghanistan?
R. – Dipende. Se la comunità internazionale decide d’investire in Afghanistan e, ad esempio, cominciare a dare energia elettrica a tutto il Paese, acqua corrente a tutto il Paese, dare condizioni di lavoro, intraprendere un’effettiva lotta alle coltivazioni di oppio, dando contestualmente alternative ai contadini afghani, ovviamente i tempi potranno ridursi. Se così non fosse, siamo destinati a rimanere in Afghanistan sine die.
D. – Quanto influisce sull’opinione pubblica afghana tutto quello che sta accadendo in questo momento?
R. – La popolazione civile è molto attenta non soltanto agli affari interni ma anche a quello che avviene fuori. Ad esempio, alcune dichiarazioni come: “dall’Afghanistan andiamo via” o “in Afghanistan rimaniamo” e quant’altro, sono lette con attenzione anche da parte dei gruppi degli insorti. A volte si pensa che l’Afghanistan, e prima ancora l’Iraq, siano mondi a sé stanti; in realtà sono Paesi dove c’è grandissima attenzione da sempre a quello che avviene al di fuori dei loro confini, proprio perché gli afghani sanno benissimo di essere parte di un problema regionale e non soltanto nazionale.
I vescovi dell'Asia lanciano un appello alla speranza e alla missione
◊ Un invito all’ascolto della Parola di Dio, un appello alla fede e alla speranza e una chiamata alla missione. E’ in sintesi il messaggio finale della IX plenaria della Federazione delle Conferenze Episcopali dell’Asia (Fabc) che si è conclusa ieri a Manila, nelle Filippine, con una celebrazione eucaristica presieduta dall’inviato papale, il cardinale Francis Arinze. Nella cerimonia conclusiva, presso il Centro Pio XII di Manila, il padre gesuita Catalino Arevalo ha ricevuto uno speciale riconoscimento per il suo ruolo di “Padre della Teologia asiatica”. Come vivere il mistero eucaristico è stato il tema centrale di tutte le riflessioni e, dunque, del documento finale. Padre Georges Cheung, responsabile del Servizio documentazione della Radio Vaticana, ne ha parlato con l’arcivescovo di Cotabato, nelle Filippine, mons. Orlando Quevedo, degli Oblati di Maria Immacolata, già presidente della Consulta filippina dei vescovi.
R. – The final document talks about the Eucharist as a life, and that life is …
Il documento finale parla dell’Eucaristia come della vita, e questa vita è Gesù stesso. A volte pensiamo al Pane della vita come ad un simbolo: invece no, per noi cattolici l’Eucaristia è vera, è Gesù stesso. L’argomento centrale dell’assemblea era "Come viviamo l’Eucaristia in Asia?" Nel documento finale sono comprese due raccomandazioni: una guarda verso l’interno, diciamo che è una raccomandazione all’azione pastorale, che ha per domanda: come la comunità cattolica può comprendere meglio l’Eucaristia, in modo da poterla vivere nella vita concreta? La seconda raccomandazione, invece, va all’esterno, guarda fuori dalla Chiesa, guarda alla società. In particolare, alla società asiatica, con i problemi riguardo alla pace, alla violenza, alla distruzione ecologica, al relativismo strisciante e al modello di sviluppo capitalistico che, nell’attuale processo di globalizzazione, non aiuta i Paesi poveri come dovrebbe.
D. – Lei pensa che sia questo il momento giusto affinché l’Asia dia il suo contributo e aiuti la Chiesa a trovare la sua strada?
R. – The Holy Father Pope John Paul II has encouraged the Church in Asia …
Papa Giovanni Paolo II aveva incoraggiato la Chiesa in Asia a fare proprio questo: a condividere i suoi doni con il mondo. “Siate missionari”, egli disse. E non intendeva “missionari” nel senso di fare proselitismo, bensì “missionari” perché condividessimo la storia di Cristo con gli altri; anche il nostro modo di vivere le comunità – con un fondamento teologico e pastorale – è un ulteriore contributo che possiamo dare, nelle piccole comunità cristiane o le comunità ecclesiali di base. Sono molto felice del fatto che la Chiesa in Germania si sia accorta di questo nostro impegno ed ha inviato alcuni suoi vescovi per osservare questo che noi definiamo “il dono che le comunità asiatiche possono dare al mondo”.
Ma quali sono i doni che la Chiesa d’Asia ha da offrire? Fausta Speranza lo ha chiesto a padre Georges Cheung che ha seguito per la nostra emittente tutta la Plenaria:
R. – Je crois que une des choses – et nous l’avons vécu samedi soir …
Credo che uno di questi doni – e noi l’abbiamo vissuto sabato sera in un piccolo gruppo che si è recato in 12 parrocchie – è la vitalità, la gioia, la semplicità e al tempo stesso la qualità della vita in parrocchia. Sicuramente la parrocchia nella quale sono stato, con alcuni vescovi, sacerdoti e gruppi di laici che hanno organizzato l’incontro, è una parrocchia molto vivace, molto gioiosa, una parrocchia felice di esistere in quanto cristiana e cattolica.
D. – La famiglia è un tema centrale in tutte le società. Qual è il ruolo, quali i problemi e quali le potenzialità della famiglia in Asia?
R. – En Asie, heureusement d’un coté, la famille à toujours un grand rôle, …
In Asia – da un lato, fortunatamente ! – la famiglia riveste ancora un ruolo importante e molto positivo: infatti, probabilmente questa è la ragione per cui le parrocchie sono ancora vive! Per contro, purtroppo, la famiglia è minacciata dalle modernità della vita, come ad esempio il lavoro che richiede sempre più tempo e che costringe i genitori a lavorare sempre di più per avere più denaro; vi sono famiglie che finiscono separate a causa del lavoro. Nelle Filippine, ad esempio, ci sono molte persone che vanno a lavorare all’estero … Insieme ad altri fattori, le condizioni di vita moderne minacciano la stabilità della famiglia, e le Chiese devono trovare soluzioni, rimedi perché diversamente le condizioni positive del momento non potranno durare in eterno!
L’arcivescovo di Colombo: il Santuario mariano di Madhu simbolo di pace per lo Sri Lanka
◊ Dopo 30 anni, lo scorso 15 agosto, pellegrini - cattolici e non - dello Sri Lanka hanno potuto raggiungere senza problemi il Santuario della Vergine di Madhu, una tradizione iniziata 400 anni fa. Fino ad ora, la guerra tra Tigri tamil ed esercito aveva reso inaccessibile per lungo tempo il luogo di devozione mariana. La Messa nel Santuario è stata celebrata dall’arcivescovo di Colombo, mons. Malcom Ranjth, che - al microfono di John Kelly, della nostra redazione inglese - si sofferma sull’importanza di questo avvenimento per la Chiesa e per tutto il popolo dello Sri Lanka:
R. – Well, personally I have had much link with the shrine, because even as a boy …
Personalmente, ho un rapporto molto forte con il Santuario, perché ci sono andato fin da bambino e lo considero una delle fonti della mia vocazione. Mi è sempre piaciuto andarci. Abbiamo avuto ora, dopo tanti anni di divieto, la possibilità di fare questo pellegrinaggio, tutta la gente dello Sri Lanka, riprendendo così una devozione antica. Dopo l’inizio della guerra, non era più stato possibile, ed ora tutti possiamo tornarci. Per noi è stato molto importante!
D. – La sua omelia durante la Messa di ieri è stata largamente ripresa. Ce la può riassumere brevemente?
R. – Basically what I said is that violence or war are not the ways to solve problems …
Fondamentalmente, ho detto che la violenza e la guerra non sono la strada giusta per risolvere i problemi tra le persone, soprattutto se veramente ci consideriamo esseri umani. Ecco perché la violenza non dovrà mai più essere utilizzata come metodo di risoluzione dei problemi. E ho rivolto un appello forte a tutti, specie ai membri delle maggiori comunità cingalesi, ai buddisti e agli altri, affinché siano magnanimi nell’approccio alla questione delle comunità tamil, suggerendo in modo particolare al governo che un modo per sanare le ferite sia quello di lavorare affinché gli sfollati possano tornare ai loro villaggi quanto prima. Ho detto anche che questa festa sarebbe stata ancora più gioiosa se queste persone avessero potuto unirsi a noi nei festeggiamenti. Abbiamo rivolto loro l’invito e speriamo che al più tardi per la festa dell’anno prossimo, tutti possano unirsi a noi.
Chiusura del VII centenario della morte di Santa Chiara da Montefalco
◊ Si concludono oggi a Montefalco, in Umbria, le celebrazioni per il settimo centenario della morte di Santa Chiara della Croce. Nel giorno in cui la Chiesa ricorda la religiosa agostiniana, nella cittadina umbra, nel monastero in cui la santa è vissuta fra il XIII e XIV secolo, è stata celebrata stamattina una Messa solenne. Nel pomeriggio, al termine della celebrazione agostiniana prevista per le ore 18, saranno invece presentati gli Atti del Congresso internazionale dedicato a Santa Chiara che si è svolto a settembre dello scorso anno. Ma sulla figura della mistica ascoltiamo il servizio di Tiziana Campisi:
E’ nel silenzio che Santa Chiara ha parlato al cuore di chi quest’anno, settimo centenario della sua morte, ha voluto ricordarla o conoscerla a Montefalco, nello stesso monastero in cui è vissuta. Donna che ha amato Cristo così intensamente da portarne impressi nel cuore i simboli della Passione: il Crocifisso, il flagello, la colonna, la corona di spine furono visibili alle consorelle della mistica quando, dopo il suo decesso, vollero capire perché la loro badessa ripetesse spesso di avere Gesù dentro di sé. Si diede a lunghe ore di preghiera già da bambina, e da monaca le sue suppliche a Dio accompagnorono uomini di Chiesa e personaggi illustri che le chiedevano consigli. Le sue parole sono descritte come “un fuoco, da cui venivano illuminate, consolate ed accese le menti di tutti coloro che l'ascoltavano”. La sua vita ha espresso tutto l’amore che sentiva per Dio. Madre Maria Rosa Guerrini, badessa del monastero di Montefalco, spiega che cosa, in quest’anno di celebrazioni, è emerso in particolare di Santa Chiara:
“Santa Chiara ha ricordato che la santità non è una cosa impossibile per ogni giorno e per tutti, non soltanto per un determinato tipo di persone o soltanto nell’ambito della vita religiosa. Questo credo che abbia avvicinato molta gente a Santa Chiara. Una donna del nostro tempo, una donna normale che ha sofferto, ha lottato, ha gioito in compagnia delle sue sorelle ma anche della Chiesa che la circondava. Lei è conosciuta come la 'Santa del cuore' perché nel suo cuore sono stati trovati i segni della Passione del Signore. Però, questo è stato il frutto di una vita e di un continuo sì al Signore nel quotidiano. Una donna innamorata del Signore che non ha tenuto per sé questo dono così grande che il Signore le aveva fatto ma che lo ha condiviso prima con le sue sorelle all’interno della comunità, con una vita veramente fraterna attenta ai bisogni spirituali e materiali delle sorelle, e poi però è venuta fuori anche una vita che non si è fermata nel recinto, nelle mura del monastero, ma una carità veramente grande anche con le persone non solo del paese di Montefalco ma anche intorno. Quindi, è venuto fuori questo aspetto grande di una carità condivisa con tutti”.
E nella piccola Montefalco la testimonianza che Santa Chiara ha offerto al mondo è ancora viva; ne è segno quella preghiera che tanta parte ha avuto nella sua esistenza e che nelle ore della liturgia le monache agostiniane condividono con chi si ferma nella Chiesa dove sono custodite le reliquie di Chiara.
Lo storico record di Bolt nei 100 metri: i commenti di Berruti e don Lusek
◊ Giornata storica ieri a Berlino per lo sport: ai mondiali di atletica il giamaicano Usain Bolt ha realizzato un nuovo incredibile record nei 100 metri piani scendendo a 9 secondi e 58 centesimi. Su questa nuova impresa sportiva ascoltiamo Livio Berruti, medaglia d’oro nei 200 metri alle Olimpiadi di Roma del 1960. Lo ha intervistato Luca Collodi:
R. – Penso che Bolt abbia dato inizio ad una nuova era: di sport fatto non più in maniera drammatica, come abbiamo visto in questi ultimi decenni, ma in maniera più disinvolta, quasi più scherzosa, più serena, quasi goliardica. Atteggiamenti che forse gli sono anche serviti per allentare le tensioni estreme che ha un velocista prima della partenza. Quindi direi che Bolt ha dato l’impressione di rappresentare bene la parte dello sportivo, che pratica ancora lo sport con gioia, con piacere, con la curiosità di scoprire fin dove può arrivare. E questa penso sia la molla psicologica più importante che gli permetterà ancora di migliorare e di superarsi.
D. – Berruti, quali sono le differenze tra l'atletica di oggi e quella dei suoi tempi? A parte il terreno di terra battuta e di sintetico, che non è poca cosa...
R. – Ah, certo, una differenza di 3-4 decimi di vantaggio senz’altro! Ma soprattutto, c’è una diversa pressione psicologica e d’immagine. A quei tempi non c’era ancora il culto dell’immagine e soprattutto dei risvolti economici e mediatici che avrebbero avuto dopo lo sport e il campione. Quindi, eravamo molto più tranquilli e meno assillati dall’interesse abnorme della televisione, dei mezzi di comunicazione, e questo quindi forse permetteva agli atleti di affrontare le gare con più tranquillità, con l’occhio meno rivolto all’immagine esterna che si dava. Si era più rilassati, sotto un certo aspetto, e soprattutto non c’era questo ammasso di impegni che ora gravano sul campione: il campione oggi non esprime più semplicemente una prestazione atletica, ma è diventato piuttosto espressione di prestazioni economiche, di immagine e di pubblicità e quindi diventa un vero centro di potere che da una parte lo spinge di più, d’altra parte però tende a condizionarlo perché gli toglie quel senso di libertà, di improvvisazione che forse noi avevamo.
E ora, sempre al microfono di Luca Collodi, il commento di don Mario Lusek, direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per la pastorale del tempo libero, il turismo e lo sport:
R. – Noi siamo convinti che l’uomo possa fare molto; è capace di grandi imprese. Se poi queste imprese raggiungono livelli che non erano previsti, erano impensati, la sorpresa è ancora maggiore ma anche e soprattutto la simpatia verso quello che l’uomo può fare, può realizzare. Penso che la performance sportiva possa essere anche una metafora di quello che l’uomo può realizzare quando però non si crede il Padreterno, autosufficiente e quindi superiore a chissà chi. Questo evento sportivo è avvenuto a Berlino, in uno stadio che voleva glorificare, nel ’36, la grandezza di una "razza superiore" e invece c’è stato un uomo di colore che ha demitizzato quel “sogno di gloria”, chiamiamolo così, per non dire altro. Ieri sera, lo stesso: c’è stata un’impresa incredibile, bella, meravigliosa, che dice la grandezza dell’uomo ma dice anche il suo limite, perché chiaramente non è quello il fine ultimo dell’uomo: è tutt’altro!
D. – Il record dà certamente un respiro maggiore alla vittoria, e quindi è qualcosa che va oltre la semplice vittoria...
R. – Sì, sicuramente, questo record serve per dire: vedi, è stato possibile questo mio mettercela tutta, e adesso voglio guardare ancora più lontano!, perché io direi che bisogna sempre guardare più lontano ma non soltanto per “strafare”, ma proprio per essere se stessi fino in fondo, raggiungere in pienezza le potenzialità dell’uomo.
D. – Un’ultima riflessione: guardando i quotidiani sportivi di oggi, per commentare questa splendida impresa di Bolt – 9”58”’ nei 100 metri – si usano termini come “mostruoso”, “è un marziano”, “incredibile” e “pazzesco” e “fantamondiale”. Questi termini, don Lusek, fanno giustizia per celebrare un evento così bello?
R. – No, perché quando io penso a “mostro” e “mostruoso” penso a qualcosa di orribile, invece guardando anche il volto di Bolt all’arrivo e subito dopo, quando si è messo a fare quei passi di danza, non c’era niente di mostruoso ma di molto umano, di profondamente umano: c’era la gioia incontenibile di aver raggiunto sicuramente vette altissime. Quindi, io la vedo proprio come un’esperienza profondamente umana e altamente educativa perché, appunto, ci invita a fare sempre meglio, e a raggiungere anche mete impossibili, a sognare mete impossibili … apparentemente impossibili …
L'arcivescovo di Montevideo: l'adozione da parte di coppie gay non dà priorità agli interessi del bambino
◊ In Uruguay, dopo la presentazione in Parlamento, l'anno scorso, di un progetto di legge per autorizzare l'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, questa settimana il Senato dovrebbe dare il via libera definitivo alla nuova normativa. Se sarà approvata, questa legge completerà un iter che era partito dalla legalizzazione dell'unione tra persone dello stesso sesso. Il Paese appare molto spaccato sulla materia anche se, in Parlamento, le previsioni sono tutte a favore dell'approvazione della legge. La Chiesa si era già pronunciata sulla questione il 27 aprile 2007. Sulla scia di questo documento, l'arcivescovo di Montevideo, mons. Nicolás Cotugno, il 14 agosto scorso ha ribadito le posizioni cattoliche. Secondo il presule la questione dell’adozione da parte di coppie omosessuali è “molto grave” e prima di essere un problema “della religione, della filosofia o della sociologia, il tema riguarda il rispetto della natura umana stessa”. Accettare questo tipo di adozione “va contro la natura umana e di conseguenza contro i diritti della persona stessa”, aggiunge il presule per poi citare nella sua dichiarazione il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede del 31 luglio 2003, a firma dell'allora cardinale Joseph Ratzinger, che afferma: “La Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all'approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l'unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali, oppure equipararle al matrimonio, significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell'umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società” (n. 11). Mons. Cotugno, inoltre, ricorda che la stessa Convenzione sui diritti del bambino, che in Uruguay è stata recepita come legge nazionale (la n. 16137), esorta le autorità pubbliche a “curare sempre gli interessi superiori del bambino". “E certamente - aggiunge il presule - nel caso di adozione di questo tipo non è proprio l’interesse superiore del bambino ciò a cui viene data priorità bensì all’interesse di chi adotta”. In altre parole il bambino diventa un oggetto di strumentalizzazione e dunque è usato come mezzo per soddisfare “la rivendicazione “di diritti di certe persone o gruppi”. L’arcivescovo di Montevideo si chiede perché non vengano perfezionati, in modo da essere resi più agevoli, i meccanismi per l’adozione dei figli da parte di coppie eterosessuali, con un padre e una madre, che oltre al cibo e all’affetto possono dare al bambino “formazione, identità e progetto familiare”. “La natura umana - rileva mons. Cotugno - per un corretto sviluppo della personalità esige che i bambini abbiano un modello d’identità maschile e femminile”. Ribadendo il massimo rispetto per coloro “che liberamente hanno scelto per la propria vita la relazione omosessuale”, il presule sottolinea che in quest’opzione è inclusa quella di non procreare e quindi di non diventare genitore. L’adozione da parte di coppie gay sarebbe allora, spiega, un’ulteriore dimostrazione che il bambino preteso serve soltanto a soddisfare gli interessi di queste persone, che pure hanno rinunciato liberamente alla paternità, e non quelli del bambino stesso. Infine, l’arcivescovo uruguayano torna su quanto aveva già detto la Conferenza episcopale il 27 aprile 2007: “Non consentire questo tipo di adozione non rappresenta in nessun modo una discriminazione delle persone omosessuali”. Queste persone, a suo avviso, hanno fatto delle scelte che non permettono di parlare di trattamento “disuguale tra uguali. In questo caso si tratta di segnalare le differenze tra diseguali. O meglio: nessuno può essere discriminato ingiustamente, ma può essere sì differenziato a motivo della sua situazione reale”. In concreto, conclude mons. Cotugno, "esiste una giustificazione piena e convincente per negare la funzione di genitore a chi, per libera scelta, ha deciso di non esserlo sia come scelta di vita sia come stile della propria esistenza”. Il 26 settembre 2008, alla fine della visita ad Limina, Benedetto XVI esortò i vescovi dell'Uruguay: "Insegnate, quindi, la fede della Chiesa nella sua integrità, con il coraggio e la persuasione proprie di chi vive di essa e per essa, senza rinunciare a proclamare esplicitamente i valori morali della dottrina cattolica, che a volte sono oggetto di dibattito nell'ambito politico, culturale o nei mezzi di comunicazione sociale, valori che si riferiscono alla famiglia, alla sessualità e alla vita. Conosco i vostri sforzi per difendere la vita umana dal suo concepimento fino al suo termine naturale e chiedo a Dio che rechino come frutto una chiara consapevolezza in ogni uruguayano della dignità inviolabile di ogni persona e un impegno fermo a rispettarla e salvaguardarla senza riserve". (A cura di Luis Badilla)
Un cardinale e due vescovi statunitensi a Cuba
◊ Comincia oggi la visita a Cuba dell’arcivescovo di Boston, il cardinale Sean O’Malley, insieme con il vescovo di Orlando (Florida), mons. Thomas Wenski, e il vescovo di San Antonio (Texas), mons. Oscar Cantú, che durerà sino a venerdì prossimo. Al centro della visita - come ha sottolineato anche l’Incaricato dell’Episcopato per i rapporti con le chiese latinoamericane e caraibiche, padre Andrew Small, che accompagna i presuli – c’è “il monitoraggio dei progetti finanziati l’anno scorso con le donazioni dei cattolici statunitensi a diverse diocesi cubane, in occasione degli uragani Gustav ed Ike”, che seminarono grandi devastazioni. Degli 850mila dollari donati alla Chiesa cubana, ha precisato padre Small, “250mila erano destinati a finanziare 11 progetti per la ricostruzione”. Da diversi anni i vescovi statunitensi visitano spesso Cuba, proprio come quelli cubani visitano di frequente gli Stati Uniti, in particolare le località in cui vivono le comunità maggiori di cubani di prima e di seconda generazione. L’anno scorso, a ridosso degli uragani, alcuni vescovi americani decisero di visitare l’isola caraibica per constatare di persona i danni, calcolati in almeno 10mila milioni di dollari. Negli ambienti cubani degli Stati Uniti la visita episcopale di questa settimana è stata accolta con soddisfazione e il presidente della “Fondazione cubano-americana”, Francisco Hernández, l’ha definitiva un gesto “importante e di buoni auspici”. Hernández ha aggiunto che questa sarà una buona occasione “per capire lo stato della situazione spirituale e religiosa, ma anche di quella sociale ed economica”. Inoltre ha auspicato che i presuli incontrino anche i dissidenti e i familiari di persone agli arresti per ragione politiche. Alcuni mesi fa l’Episcopato statunitense salutò come positive le misure annunciate dal Presidente Barack Obama per alleggerire alcune importanti restrizioni imposte negli ultimi anni ai rapporti fra americani e cubani, lanciando anche segnali di disponibilità a ulteriori aperture, accolte positivamente dall’Avana. L’ex presidente, Fidel Castro, sottolineò però come la questione fondamentale è e resta l’embargo statunitense, in vigore da mezzo secolo. Intanto, mons. José Félix Pérez, Segretario della Conferenza dei vescovi cattolici di Cuba ha commentato l’evento affermando che “le due Chiese desiderano continuare e sviluppare i rapporti di collaborazione esistenti da anni, in cui sono importanti molte altre cose e non solo gli aiuti. Il presidente dei vescovi cubani, mons. Dionisio Garcìa, arcivescovo di Santiago di Cuba, ha dichiarato ieri all’agenzia Afp che “il modo migliore per comprendersi e avere sempre buoni rapporti sta nella ricerca della comunicazione. Questo tipo di incontri serve proprio a questo”. (A cura di Luis Badilla)
I vescovi Usa mettono on line la loro posizione sulla riforma sanitaria di Obama
◊ I vescovi americani dicono la loro sulla riforma sanitaria sulla quale sta lavorando l’Amministrazione Obama: deve proteggere la vita e la dignità di tutti i cittadini, ma non diventare un veicolo per finanziare l’aborto con il denaro pubblico. Per mettere in chiaro la propria posizione sulla complessa questione – sulla quale, secondo la stampa nazionale, rischia di giocarsi la credibilità del nuovo presidente, così come accaduto a diversi fra i suoi predecessori - la Conferenza episcopale statunitense ha deciso di inaugurare una pagina ad hoc sul suo portale Internet. All’indirizzo "www.usccb.org/healthcare" i vescovi chiariscono punto per punto che cosa si aspettano dalla manovra: “Una politica sanitaria veramente universale con rispetto per la vita umana e la dignità; l’accesso garantito a tutti, con attenzione particolare ai poveri e l’integrazione degli immigrati legali; il perseguimento del bene comune e la preservazione del pluralismo, comprese la libertà di coscienza e la varietà di opzioni; la limitazione dei costi e la loro applicazione equa fra i contribuenti”. Oltre agli ultimi aggiornamenti sul sito è possibile consultare le lettere scritte dai presuli al Congresso americano – come quella del vescovo William Murphy, presidente del comitato nazionale per la Giustizia e lo sviluppo umano, o quella del cardinale Justin Rigali, arcivescovo di Filadelfia e presidente del comitato dei vescovi sulle attività Pro-life. In più attraverso la pagina è possibile accedere a informazioni sull’attività dei cattolici nel settore sanitario, comprese le cifre dettagliate che riguardano le strutture ospedaliere cattoliche negli Stati Uniti. I vescovi americani hanno anche scelto di ribadire il loro interesse alle più spinose tematiche sociali del momento pubblicando un libro che raccoglie i pensieri del Papa in materia di famiglia. L’ultimo volume della collana “Pope Benedict XVI – Spiritual Thought Series” si concentra questa volta sulle testimonianze e gli insegnamenti del Pontefice sul valore del matrimonio e della famiglia. “Il Santo Padre – ha spiegato l’arcivescovo di Louisville Joseph Kurtz, presidente del comitato dei vescovi per la Difesa del matrimonio – ha costruito per noi una coerente difesa della famiglia fondata sul matrimonio come l’unione permanente ed esclusiva di un uomo e di una donna. La sua testimonianza è un richiamo e un incoraggiamento per tutti noi a difendere la verità e la bellezza del matrimonio e la dignità intrinseca di ogni persona”. (V.F.)
In Kirgizistan bisogna raccogliere le firme per poter pregare
◊ In Kirghizistan, ex repubblica sovietica, le autorità vietano gli incontri fra i fedeli dei gruppi non autorizzati. La denuncia, ripresa da AsiaNews, arriva dall’agenzia di stampa cristiana Forum 18, secondo la quale molti gruppi protestanti chiedono da anni la registrazione ma ricevono rifiuti per ragioni formali. Senza il riconoscimento da parte delle autorità i fedeli non possono incontrarsi nemmeno per pregare o celebrare la Messa. I criteri restrittivi per il riconoscimento dei gruppi religiosi (che comprendono la necessità che la richiesta sia firmata da almeno 200 persone) sono quelli sanciti dalla legge sulla libertà religiosa, entrata in vigore nel gennaio 2009. Con il divieto di svolgere attività e le intimidazioni subite dai fedeli – lamentano i gruppi religiosi – è difficile persino raccogliere le firme necessarie alla pratica burocratica. La Chiesa protestante di Gesù Cristo ha ottenuto il riconoscimento a Bishkek, ma le autorità dicono che l’autorizzazione non ha valore nella città di Talas e hanno vietato ai fedeli di incontrarsi in un cinema. I cristiani hanno cominciato a darsi appuntamento in un appartamento privato, il cui proprietario è stato più volte convocato e interrogato. Nel distretto di Kochkor, a Naryn, il procuratore ha vietato al pastore delle Chiesa protestante El-Shaddai, Bakhyt Mukashev di convocare incontri a casa sua: la sua Chiesa è registrata a Bishkek, ma l’atto non vale altrove. Proprio nella città di Biskek, racconta AsiaNews, il culto preso maggiormente di mira è quello Hare Krishna: la sua domanda di registrazione è stata respinta e ai fedeli è vietata qualsiasi propaganda. La persecuzione colpisce anche le sette islamiche: ai fedeli del culto Ahmadiya, registrato a Bishkek come “missione estera”, è proibita qualsiasi attività religiosa. (V.F.)
Niger: la polizia interroga 4.000 membri di un movimento islamico
◊ Le forze di sicurezza nigerine stanno interrogando quasi quattromila persone appartenenti al movimento musulmano Darum Islam, “la casa dell’Islam”. A Mokwa, in Niger, tutti i membri sono stati evacuati dall’enclave in cui vivevano dagli anni Novanta, nel rispetto stretto dei principi islamici. Secondo quanto dichiarato dal capo della polizia nazionale all’Associated Press, sabato mattina le autorità hanno dato il via all’operazione (nella quale sarebbero stati impegnati mille agenti) dopo aver ricevuto lamentele sul comportamento del gruppo che, secondo l’ufficiale, non permetterebbe ai suoi affiliati di tornare liberi. La polizia ha specificato che nel raid non sono state rinvenute armi e che i membri del gruppo non hanno opposto resistenza. Appena qualche settimana fa la polizia era stata attaccata da un altro gruppo islamico, Boko Haram, nel Bauchi, innescando una catena di scontri nei quali sono rimaste uccise oltre 700 persone. Le forze dell’ordine, come ha messo in chiaro il portavoce della polizia nazionale, non hanno però stabilito alcun legame fra i due gruppi islamici. Cionostante, secondo il corrispondente della Bbc, le autorità potrebbero ”sfruttare l’occasione per disperdere la comunità Darum Islam”. Boko Haram, letteralmente “l’educazione occidentale è un sacrilegio”, punta all’imposizione della sharia in Niger. (V.F.)
L'onorificenza Pro Ecclesia et Pontifice a mons. Scognamiglio Clá Dias, fondatore degli Araldi del Vangelo
◊ Il prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, il cardinale Franc Rodé, ha consegnato l’onorificenza “Pro Ecclesia et Pontifice” a mons. Joao Scognamiglio Clá Dias, fondatore degli Araldi del Vangelo (un’associazione privata internazionale di diritto pontificio) e di due Società di vita apostolica, Virgo Flos Carmeli e Regina Virginum. La consegna della medaglia è avvenuta a San Paolo, in Brasile, nella chiesa di Nostra Signora del Rosario, durante la Messa solenne per l’Assunta. Gli Araldi del Vangelo hanno ricevuto il riconoscimento pontificio nel 2001. Durante la cerimonia il cardinal Rodé ha voluto citare l’inizio del trattato “De laude novae militiae” di San Bernardo di Chiaravalle, che la Chiesa ricorda giovedì 20 agosto. In quell’opera San Bernardo parlò di “una nuova cavalleria” che stava nascendo nel mondo, così come l’associazione creata da mons. Scognamiglio Clá Dias rappresenta, ha detto il cardinale, “una nuova cavalleria, non secolare ma religiosa, con un nuovo ideale di santità e un nuovo e un eroico impegno per la Chiesa”. Nel ricevere l’onorificenza, mons. Scognamiglio Clá Dias ha ribadito l’attaccamento filiale del movimento al Santo Padre, citando le parole del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira: “Tutto ciò che c’è nella Chiesa che riguarda la santità, l'autorità, la virtù soprannaturale, assolutamente tutto, senza eccezione, né condizione, né restrizione, è subordinato, condizionato, dipendente dall’unione alla cattedra di Pietro”. (V.F.)
Iran: scarcerata su cauzione la ricercatrice francese che aveva partecipato alle proteste dell'opposizione
◊ La ricercatrice universitaria francese Clotilde Reiss, arrestata in Iran lo scorso 1 luglio per avere preso parte alle proteste post-elettorali, è stata liberata ieri su cauzione dal carcere di Evin, a Teheran, dove era detenuta da sei settimane. Il servizio di Virginia Volpe:
Secondo quanto ha annunciato la Presidenza della repubblica a Parigi, la giovane, che ha 24 anni, è stata trasferita nei locali dell'ambasciata francese a Teheran, dove dovrà attendere la sentenza al termine del processo che la vede imputata assieme a un centinaio di oppositori. L'accusa a suo carico è quella di spionaggio, imputazione che in Iran può prevedere condanne molto pesanti, pena capitale compresa. Nel comunicato dell'Eliseo, si afferma che Clotilde si trova nell'ambasciata “in attesa di poter tornare a casa”. Il presidente Nicolas Sarkozy ha “vivamente” ringraziato i Paesi dell’Unione Europea che hanno sostenuto e aiutato la Francia ed ha avuto una menzione particolare per la Siria, uno stretto alleato dell'Iran, che nella vicenda ha evidentemente svolto un importante ruolo di mediazione. Non è dato sapere a quanto ammonti la cauzione versata. La stampa francese nei giorni scorsi ha parlato di cifre elevate, ma fonti ministeriali negano. Intanto il regime ha disposto la chiusura del quotidiano del Partito della Fiducia nazionale, guidato da Karrubi, esponente riformista sconfitto dall'attuale presidente dell'Iran, Ahmadinejad, nelle controverse elezioni presidenziali del 12 giugno. Il provvedimento è stato reso noto dal partito di Karrubi. Giorni fa, proprio il riformista, aveva denunciato la morte in carcere, a causa delle torture, di alcuni manifestanti arrestati in seguito alle proteste di piazza.
Attacco al Pam in Somalia
Non si fermano gli attacchi contro le agenzie umanitarie in Somalia. Nella notte, ribelli armati hanno tenuto un agguato in un magazzino del Programma Alimentare Mondiale dell'Onu a Wajif. Nello scontro a fuoco con le guardie di sicurezza hanno perso la vita tre uomini delle milizie ribelli e una guardia è rimasta ferita. Lo scorso 11 agosto le Nazioni Unite avevano lanciato l’allarme di una crisi umanitaria in Somalia aggravata non solo dagli attacchi del movimento islamico Al-Shabaab contro la popolazione civile, ma anche da una pesante siccità.
Pakistan
Sette persone, tra le quali tre bambini, sono morte a causa di un attentato a Charsadda, città pakistana dell'instabile provincia della Valle dello Swat, nella frontiera nord-occidentale del Paese. L’autobomba rivendicata dai talebani ha causato anche il ferimento di otto persone. Il distretto di Charsadda confina con la regione tribale di Mohammad, roccaforte dei talebani. Ancora scontri, intanto, tra fazioni di militanti sciiti e sunniti nell'area di Karachi, nel Pakistan meridionale, dove oggi è stato ucciso in un agguato il leader della fazione estremista sunnita.
Attentato a Baghdad
È di almeno sei morti e di ventuno feriti il bilancio di un attentato dinamitardo che ha distrutto stamattina un popolare ristorante in un quartiere sciita di Baghdad. La bomba era nascosta in una busta di plastica abbandonata vicino a uno stand del vicino mercato.
Russia
Otto morti, 10 feriti e 54 dispersi. È il bilancio dell'incidente nella centrale idroelettrica russa Sayano-Shushenskaya, in Khakassia, nella Siberia Orientale. Lo riferisce l'agenzia Itar-Tass. L'incidente, provocato da una rottura idraulica, è avvenuto alle 3.42 ora di Mosca e ha causato una parziale inondazione della sale macchine. A seguito dell'accaduto diversi stabilimenti di alluminio della zona sono rimasti senza elettricità. Le autorità hanno escluso pericoli per la popolazione, che non è stata evacuata.
Corea del Nord
La Corea del Nord intende riaprire il confine con la Corea del Sud consentendo la ripresa del turismo e delle riunioni familiari. La dichiarazione congiunta, riportata dall'agenzia ufficiale Kcna, ha seguito l'incontro fra il leader nordcoreano Kim Jong-il ed il capo del gruppo sudcoreano Hyundai, recatosi a Pyongyang per chiedere il rilascio di un detenuto. Intanto la Corea del Nord ha posto in stato d'allerta l'esercito alla vigilia dell'avvio di manovre Usa-Corea del Sud e avverte che risponderà con attacchi nucleari a ogni provocazione militare.
Medio Oriente
Un militare egiziano è stato ferito in un incidente avvenuto oggi sulla frontiera con Israele. Secondo la radio militare israeliana, alcuni soldati israeliani hanno notato, 20 chilometri a nord di Eilat (Mar Rosso), una figura sospetta e gli hanno intimato l'alt sparando in aria. In reazione il soggetto ha sparato a sua volta alcuni colpi e i soldati hanno risposto al fuoco. Solo in un secondo tempo si sono resi conto di avere di fronte un militare egiziano, che è rimasto ferito ad una spalla.
Kuwait
È stata l'ex moglie dell'uomo di cui si celebrava il nuovo matrimonio ad appiccare volontariamente l'incendio alla tenda in cui si festeggiava la cerimonia nuziale. Nell'incendio, scoppiato nella notte tra sabato e domenica ad Al Jahra, a ovest di Kuwait City, sono morte 43 persone, tra cui molti bambini. La donna, di 23 anni, avrebbe confessato di aver compiuto il gesto per vendicarsi del trattamento subito dell'ex marito. Lo rivela il quotidiano kuwaitiano Al Qabas.
Barack Obama e la riforma sanitaria
Il presidente Obama, in un editoriale sul "New York Times" a difesa della riforma sanitaria prevista dal suo programma politico, ha sottolineato i 4 aspetti che ne giustificherebbero l'adozione. Un'alternativa alla copertura assicurativa indipendente da residenza e possesso di posto di lavoro; un limite alla spesa sanitaria che si tradurrebbe in un risparmio per le famiglie; una migliore distribuzione dei fondi stanziati per il programma "Medicare"; infine, una protezione per il consumatore che renda gli assicuratori responsabili davanti alla legge. Il presidente statunitense auspica la nascita di un’alternativa all'attuale sistema sanitario basato sulle assicurazioni private che lascia senza copertura circa 46 milioni americani. Intanto, il ministro della Sanità americana, Kathleen Sebelius, descrive il piano di sanità pubblica come elemento non essenziale della proposta di riforma facendo intendere piuttosto la possibilità di creare cooperative sociali finanziate con fondi federali, ma destinate a operare in maniera indipendente.
Georgia
La Georgia uscirà formalmente domani dalla Comunità degli Stati Indipendenti. È l’annuncio del viceministro degli Esteri georgiano David Jalogonia in seguito alla volontà espressa già lo scorso anno dal presidente Saakashvili dopo la guerra lampo con la Russia. Lo statuto della Csi che comprende tutte le repubbliche ex sovietiche con l'eccezione delle tre baltiche prevede dodici mesi per il completamento delle formalità legali.
Cina
Centinaia di persone, familiari dei bambini intossicati dal piombo nella regione cinese dello Shaanxi, hanno fatto irruzione questa mattina nella fonderia ritenuta responsabile dell'intossicazione dei 615 piccoli. Un centinaio di poliziotti sono intervenuti per sedare i disordini.
Giappone
Il Giappone torna a crescere: il Prodotto interno lordo ad aprile-giugno, prima volta in cinque trimestri, sale dello 0,9% rispetto ai tre mesi precedenti e al ritmo annualizzato del 3,7%. La seconda economia al mondo è la terza, in ordine temporale, dopo Germania e Francia, a mostrare segnali di recupero e ad annunciare la fine della recessione nel trimestre aprile-giugno. La statistica è leggermente sotto le stime degli analisti, che si attendevano un +1% su base trimestrale e un +3,9% in termini annualizzati, e la Borsa non ha festeggiato.
Taiwan
Un terremoto di magnitudo 6,4 gradi Richter si è verificato alle 19.10 locali al largo di Taiwan e delle isole meridionali del Giappone, innescando l'allarme per un possibile tsunami locale. Lo rivela l'istituto geofisico statunitense.
Stati Uniti, Florida
La tempesta tropicale Claudette è arrivata alle coste della Florida. A renderlo noto il centro Usa per gli uragani. La tempesta, la terza nella stagione degli uragani nell'Atlantico, ha toccato la costa statunitense sull'isola di Santa Rosa alle 01.10, le 07.10 italiane. (Panoramica internazionale a cura di Virginia Volpe e Mariella Pugliesi)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 229
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