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Sommario del 12/08/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Il Papa all'udienza generale: i sacerdoti amino Maria con devozione filiale. Appello alla solidarietà per le popolazioni asiatiche colpite dal tifone
  • La preghiera del Papa per Eunice Shriver Kennedy, morta a 88 anni: ricordato il suo impegno a favore delle persone disabili
  • Il cardinale Tauran al rientro dal Giappone: il dialogo interreligioso sia fondato sulla verità
  • Mons. Filoni: i cristiani iracheni hanno il diritto di essere rispettati
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Ora di religione. Mons. Coletti commenta la sentenza del Tar
  • Gli insegnanti di religione impugneranno la sentenza del Tar
  • Giornata Onu della Gioventù. Intervista col presidente della Fuci
  • Chiesa e Società

  • India: dalit cristiani riconvertiti all’induismo per motivi economici
  • Vietnam: minacce e violenze contro i cattolici
  • Colombia. I vescovi: il Paese non si lasci ricattare da Chavez e Correa
  • Iraq: restituite alla Chiesa caldea tre scuole cattoliche
  • Nuove violenze in Congo: migliaia in fuga
  • Bolivia: morti in un incidente due redentoristi che si recavano al funerale di un confratello
  • Il presidente Napolitano ricorda l’eccidio nazista a Sant’Anna di Stazzema
  • In Burkina Faso la IV Edizione delle Giornate nazionali della gioventù cattolica
  • Abruzzo: ritrovato in una chiesa di Onna un affresco del ‘400
  • 24 Ore nel Mondo

  • Condanna di Aung San Suu Kyi. La Cina difende la giunta del Myanmar
  • Il Papa e la Santa Sede



    Il Papa all'udienza generale: i sacerdoti amino Maria con devozione filiale. Appello alla solidarietà per le popolazioni asiatiche colpite dal tifone

    ◊   “Maria, Madre dei sacerdoti” è stato il tema al centro della catechesi odierna del Papa all’udienza generale a Castel Gandolfo. Benedetto XVI ha poi lanciato un appello alla solidarietà per le popolazioni asiatiche colpite dal tifone. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Il Papa, in prossimità della solennità dell’Assunzione e nel contesto dell’Anno Sacerdotale, parla del nesso tra Maria e il sacerdozio, “un nesso profondamente radicato nel mistero dell’Incarnazione”. Per farsi uomo – spiega - Dio “aveva bisogno del 'sì' libero di una sua creatura”:

     
    “Dio non agisce contro la nostra libertà. E succede una cosa veramente straordinaria: Dio si fa dipendente dalla libertà, dal 'sì' di una sua creatura; aspetta questo 'sì'. San Bernardo di Chiaravalle, in una delle sue omelie, ha spiegato in modo drammatico questo momento decisivo della storia universale, dove il cielo e terra e Dio stesso aspettano che cosa dirà la sua creatura”.

     
    “Il 'sì' di Maria è quindi la porta attraverso la quale Dio è potuto entrare nel mondo, farsi uomo. – ha proseguito il Papa – Così Maria è realmente e profondamente coinvolta nel mistero dell’Incarnazione, della nostra salvezza” attuata da Cristo attraverso il dono di sé sulla Croce. Qui Gesù affida Maria al discepolo prediletto:

     
    “Il Vangelo ci dice che da questo momento San Giovanni, il figlio prediletto, prese la Madre Maria 'nella propria casa'. Così è nella traduzione italiana; ma il testo greco è molto più profondo, molto più ricco. Potremmo tradurlo: ‘prese Maria nell’intimo della sua vita, del suo essere, 'eis tà ìdia', nella profondità del suo essere’. Prendere con sé Maria, significa introdurla nel dinamismo dell'intera propria esistenza - non è una cosa esteriore - e in tutto ciò che costituisce l’orizzonte del proprio apostolato”.

     
    C’è dunque un “peculiare rapporto di maternità” alla base della predilezione di Maria per i presbiteri. E la Madre di Dio predilige i sacerdoti per due ragioni:

     
    “Perché sono più simili a Gesù, amore supremo del suo cuore, e perché anch’essi, come Lei, sono impegnati nella missione di proclamare, testimoniare e dare Cristo al mondo. Per la propria identificazione e conformazione sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e di Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi veramente figlio prediletto di questa altissima ed umilissima Madre”.

     
    Il Concilio Vaticano II – sottolinea il Papa – invita i sacerdoti a venerare ed amare Maria, guardando a Lei “come al modello perfetto della propria esistenza”. Quindi eleva una preghiera:

     
    “Preghiamo perché Maria renda tutti i sacerdoti, in tutti i problemi del mondo d'oggi, conformi all’immagine del suo Figlio Gesù, dispensatori del tesoro inestimabile del suo amore di pastore buono. Maria, Madre dei sacerdoti, prega per noi!”.

     
    Infine, dopo i saluti nelle varie lingue, il pensiero del Papa è andato “alle numerose popolazioni che nei giorni scorsi sono state colpite dalla violenza del tifone nelle Filippine, a Taiwan, in alcune provincie sud-orientali della Repubblica Popolare Cinese e in Giappone, Paese, quest’ultimo, provato anche da un forte terremoto”: il maltempo ha causato decine di vittime e grandi devastazioni:

     
    “Desidero manifestare la mia vicinanza spirituale a quanti si sono venuti a trovare in condizioni di grave disagio e invito tutti a pregare per loro e per quanti hanno perso la vita. Mi auguro che non manchino il sollievo della solidarietà e l’aiuto dei soccorsi materiali”.

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    La preghiera del Papa per Eunice Shriver Kennedy, morta a 88 anni: ricordato il suo impegno a favore delle persone disabili

    ◊   In una lettera indirizzata alla famiglia di Eunice Shriver Kennedy, morta ieri all’età di 88 anni, mons. Pietro Sambi, nunzio apostolico presso gli Stati Uniti, ha espresso i sentimenti di vicinanza e preghiera del Papa. Benedetto XVI ha assicurato la propria preghiera perché Eunice Shriver Kennedy, che ha fatto tanto nella sua vita a favore delle persone mentalmente o fisicamente disabili, riceva l’eterno riposo. Eunice, sorella del presidente John F. Kennedy, del senatore Robert e del senatore Ted, cattolica come la sua famiglia, ha contribuito in prima persona a fondare le Special Olympics, ParaOlimpiadi, che hanno preso il via nel 1968. Era stata personalmente toccata dall’esperienza della sorella Rosemary affetta da disturbi mentali. La lettera di mons. Sambi ricorda "la sua ardente fede e il suo generoso servizio sociale”. Eunice era stata ricoverata la scorsa settimana in gravi condizioni di salute in un ospedale di Cape Cod, nel Massachusetts. I numerosi familiari, incluso il governatore della California e marito della figlia Maria, Arnold Schwarzenegger, erano accorsi al suo capezzale. Eunice Mary Kennedy era nata a Brooklyne, Massachusetts, quinta dei nove figli di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald Kennedy. (A cura di Fausta Speranza)

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    Il cardinale Tauran al rientro dal Giappone: il dialogo interreligioso sia fondato sulla verità

    ◊   Il dialogo interreligioso in Asia è al centro delle priorità del pontificato di Benedetto XVI e il viaggio del cardinale Jean-Louis Tauran dal 2 al 10 agosto in Giappone ha confermato questa attenzione particolare e rilanciato il dialogo tra tutte le religioni sul continente asiatico. I vescovi cattolici del Giappone hanno deciso di indire una giornata annuale di preghiera per il dialogo interreligioso nel Paese. E c’è da dire che gli esponenti religiosi dello scintoismo, del buddismo e dell’Islam - che il cardinale Tauran ha incontrato - hanno avuto tutti parole di apprezzamento per il ruolo di primo piano che la Chiesa cattolica svolge nella promozione del dialogo. In ogni caso, il Paese del Sol Levante è lontano dalle tensioni che a volte sfociano drammaticamente in violenza in altri Paesi dello stesso continente asiatico. Ma degli aspetti religiosi della vita in Giappone e delle prospettive di dialogo interreligioso, ci parla lo stesso cardinale Tauran, nell’intervista del nostro collega francese Thomas Chabolle:

    R. –Cette année j'ai voulu regarder à l'Asie...
    Quest’anno, ho pensato di volgere lo sguardo all’Asia. Quello che colpisce del Giappone, in particolare, è che la religione è ovunque. I giapponesi nascono nello scintoismo, praticano il buddismo: c’è quindi una specie di amalgama religioso e questo fa sì che si ricavi l’impressione che la religione faccia parte del tessuto sociale. Quello che mi ha colpito è che i giapponesi nella religione non cercano una verità assoluta, ma piuttosto una sorta di pacificazione nei riguardi delle prove della vita …

     
    D. – Qual è l’impegno della Chiesa giapponese per il dialogo interreligioso?

     
    R. – Le dialogue interreligieux se fait au niveau des Eglises locales, non pas au niveau ..
    Il dialogo interreligioso si fa a livello di Chiese locali, non ai vertici: a livello delle parrocchie, delle scuole, delle università … Per esempio, noi abbiamo una rete prestigiosa di scuole e università e queste forniscono un terreno di dialogo spontaneo sulla vita tra le diverse religioni. E tutto questo si sviluppa in armonia, e questa è una cosa che mi ha colpito molto: in questo Paese, tutti sono educati, tutti si rispettano, c’è una specie di “filosofia dell’armonia” che favorisce questo dialogo sereno …

     
    D. – E’ in preparazione l’indizione di una giornata annuale di preghiera per il dialogo interreligioso: ci può dire qualcosa di più su questa iniziativa?

     
    R. – Nous avons pensé que ce serait bon qu’il y ait un dimanche de l’année …
    Abbiamo pensato che potesse essere una cosa buona che ci sia una domenica in cui in tutte le parrocchie cattoliche giapponesi si parli e si preghi per il dialogo interreligioso. Si può pensare, ad esempio, a fornire alle parrocchie un piccolo dossier per i fedeli, un dossier per la predicazione in maniera tale che, nel corso di quella giornata, tutti i fedeli cattolici che vanno a Messa siano sensibilizzati sul tema. Penso che questo potrebbe dare un senso più concreto al dialogo e, al tempo stesso, possa approfondirlo.

     
    D. – Lei ha anche partecipato ad alcune celebrazioni liturgiche nelle città che, oltre 60 anni fa, sono state devastate dalla bomba atomica: Hiroshima e Nagasaki. Che effetto le ha fatto?

     
    R. – D’abord, quand on visite les musées, on a presque honte à appartenir à cette …
    Intanto, quando si visitano i musei, quasi ci si vergogna di appartenere a questa umanità: è indicibile vedere cosa l’Uomo è capace di fare! C’è quindi questo aspetto drammatico. Dall’altro lato, c’è la volontà di dire: Ricordiamo! Perché? Per evitare che, in futuro, si possano ripetere le stesse cose. Però, quello che mi ha maggiormente colpito sono i luoghi in cui, nel XVI e XVII secolo, hanno subito il martirio i nostri fratelli cristiani: mi sono commosso. E’ incontestabile che questa è una Chiesa le cui radici affondano nel sangue dei martiri.

     
    D. – Cosa era accaduto?

     
    R. – Le Shogun, donc, lepouvoir politique, ...
    Lo Shogun, il potere politico, disse: se volete essere giapponesi, non potete essere cristiani, perché il cristianesimo è una religione importata. Quindi, Gesù o io. I cristiani risposero: no, per noi Gesù Cristo è la vita, Egli è luce, verità e vita. E così, anche i bambini sono andati a morire con i genitori. Sono stati tagliati a pezzi, immersi nell’olio bollente, sono state fatte cose orribili, orribili … E quello che ho detto ai cattolici giapponesi è: voi avete un’eredità pesante che deve portare frutti e preghiamo perché porti buoni frutti.

     
    D. – Il dialogo interreligioso in Asia è una delle priorità del pontificato di Benedetto XVI. Come il Pontificio Consiglio da lei presieduto conta di aiutare i cristiani discriminati nel Paese?

     
    R. – On ne peut aider que les évêques, favoriser les contacts … c’est ça, notre aide …
    Non possiamo fare altro che sostenere i vescovi, favorire i contatti … questo può essere il nostro aiuto. Non possiamo fare altro perché – come dico sempre – il dialogo interreligioso non si fa qui a Roma, ma sul posto. Benedetto XVI ha fatto del dialogo interreligioso una priorità del suo Pontificato, nella misura stessa in cui questo Pontefice ha questa grande attenzione per la verità, e il dialogo interreligioso è, innanzitutto, pellegrinaggio verso la verità. Tutti insieme siamo in pellegrinaggio verso la verità, per non costruire un dialogo sull’ambiguità: significherebbe condannarlo a morte!

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    Mons. Filoni: i cristiani iracheni hanno il diritto di essere rispettati

    ◊   In Iraq bisogna dare maggiore spazio alla speranza. “Se fosse persa, non c’è dubbio che la presenza cristiana in breve si estinguerebbe”. E’ quanto afferma l’arcivescovo Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato e nunzio apostolico in Iraq dal 2001 al 2006, in un’intervista rilasciata all’Osservatore Romano in occasione della traduzione in francese del libro “La Chiesa nella terra di Abramo”, pubblicato in italiano nel 2006. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Il nunzio non è uno spettatore ma è coinvolto dalla realtà ed il Paese in cui si trova un po’ gli appartiene. Sono parole di mons. Fernando Filoni che, ricordando gli anni trascorsi in Iraq, afferma di essersi sentito un iracheno tra gli iracheni. Anche in una terra deturpata dalla guerra e dalle violenze non mancano solidarietà e stima. L’arcivescovo ricorda in particolare un episodio: nel 2006, quando un’autobomba è esplosa accanto alla nunziatura, un musulmano è arrivato con 30 operai per riparare i danni. Il suo contributo – racconta – è stato un tangibile segno di affetto. La decisione di rimanere a Baghdad durante la guerra - spiega poi il presule - è stata una scelta sacerdotale: “Se il pastore fugge nei momenti di difficoltà – afferma mons. Fernando Filoni – si disperde anche il gregge”. Rimanere in Iraq è stato anche un modo “per incoraggiare la Chiesa irachena”. Mons. Filoni si sofferma quindi su vicende storiche millenarie per focalizzare poi la propria attenzione sulla complessità della realtà contemporanea. La popolazione irachena - osserva l’arcivescovo - continua ad essere purtroppo sconvolta da esplosioni e gravi disagi: agli attentati si aggiunge spesso “la penuria d’acqua o della corrente elettrica”. C’è la “difficoltà di trovare lavoro”, “l’inadeguatezza della scuola” e soprattutto “manca la sicurezza”. Ma il futuro – aggiunge - è nelle mani degli iracheni e quando il sistema educativo potrà funzionare a pieno ritmo, “l’Iraq potrà fare molto anche con le proprie forze”. Mons. Fernando Filoni afferma infine che i cristiani, comunità originaria dell’Iraq, hanno “il diritto a vivere e di vivere rispettati nella loro dignità”. Se la comunità cristiana migrasse, il danno culturale e religioso sarebbe “incalcolabile”. Per questo – conclude l’arcivescovo – abbiamo “il dovere di aiutare i cristiani iracheni” e di “offrire loro una speranza”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Il legame con Maria trasforma la vita dei sacerdoti: all’udienza generale, Benedetto XVI spiega la speciale maternità della Madonna.

    Passa per Teheran il futuro del Medio Oriente: nell’informazione internazionale, Luca M. Possati sulle prospettive geostrategiche nello scacchiere regionale.

    Per volare fino al terzo cielo servono sei ali; San Paolo nell’“Itinerarium”: in cultura, la relazione di Pietro Messa a Bagnoregio.

    Il mistero di Sant’Ippolito si risolverà sotto terra?: Raffaella Giuliani sugli scavi archeologici che hanno messo in luce nuovi settori delle catacombe intitolate al martire romano del terzo secolo.

    Se l’unità è celebrata per fiction: Andrea Possieri sul dibattito in merito al 150.mo anniversario dell’unificazione italiana.

    Un articolo di Giorgio Fossaluzza dal titolo “Gli esorcismi dell’incisore infelice”: le atmosfere di Dickens nelle acqueforti di Mirando Haz.

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    Oggi in Primo Piano



    Ora di religione. Mons. Coletti commenta la sentenza del Tar

    ◊   L’insegnamento della religione è una componente importante della cultura di questo Paese. Così mons. Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l'educazione cattolica, commenta la sentenza del Tar che ha escluso la partecipazione “a pieno titolo” agli scrutini da parte degli insegnanti di religione cattolica, ritenendo illegittimi i conseguenti crediti scolastici. In sostanza i magistrati amministrativi, accogliendo il ricorso di alcuni studenti, supportati da diverse associazioni laiche e confessioni religiose non cattoliche, hanno annullato le Ordinanze ministeriali emanate dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni per gli esami di Stato del 2007 e 2008 che prevedevano la valutazione della frequenza dell'insegnamento della religione cattolica o della materia sostitutiva ai fini della determinazione del credito scolastico. Luca Collodi ha raccolto il commento di mons. Diego Coletti:

    R. – Mi sembra che, tra quello che si è potuto leggere nell’immediato, nelle motivazioni della sentenza, si vada in due direzioni: entrambe, mi sembra, molto discutibili, come motivi per questa sentenza. La prima motivazione sarebbe quella di dire che gli alunni devono essere tutti uguali e, quindi, siccome alcuni non si avvalgono dell’insegnamento scolastico della religione cattolica, questi sarebbero discriminati se questo insegnamento contribuisse a stabilire i crediti o, comunque, il giudizio sull’alunno. La seconda motivazione è ancora più interessante: le cose che riguardano una scelta religiosa individuale non devono entrare nella costruzione di una valutazione generale scolastica, in uno Stato laico. Allora, io prenderei in esame, se posso, brevemente, entrambe queste motivazioni. La prima è chiaramente pretestuosa, perché i crediti e il valore generale del giudizio sull’alunno vengono dati in base alle sue scelte. Il ministro Fioroni ha addirittura citato che c’è la possibilità di avere dei crediti per dei corsi di danza caraibica. Figurarsi che se il 92 per cento delle famiglie italiane scelgono l’insegnamento della religione cattolica, questo non debba entrare nel computo della valutazione dell’alunno. Sarebbe davvero una cosa strana. Tanto più che si tratta di scelte responsabili che devono in qualche modo contribuire a dare una figura generale di valutazione dell’alunno. L’altra motivazione, come dicevo, è ancora più strana, perché non si tratta di un insegnamento che va a sostenere delle scelte religiose individuali, ma si tratta di un insegnamento da tutti riconosciuto come una componente importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace degli irriducibili laicisti e, purtroppo, dobbiamo dire, con buona pace anche di tanti nostri fratelli nella fede di altre confessioni cristiane. Non è colpa di nessuno se la cultura di questo Paese è stata segnata da secoli, e in misura massiccia, dalla presenza della religione cattolica. Per cui entrare in un dialogo fecondo, da qualunque punto di vista e a partire da qualunque religione o cultura, con la cultura italiana, vuol dire conoscere dal punto di vista culturale, non dal punto di vista catechistico strettamente confessionale, la religione cattolica. E questo è il motivo dell’insegnamento per cui eventualmente ciò che è un problema e che va spiegato è l’esenzione, cioè la possibilità di non avvalersi, che credo sia giusto rispetto per chi dovesse sentire un qualche turbamento alle proprie convinzioni religiose, dovendo approfondire il punto di vista della religione cattolica. Ma il corso fatto a scuola, di una scuola laica, di uno Stato laico, è un corso culturale, non è un corso che costruisce scelte religiose.

     
    D. – Mons. Coletti, questa decisione del Tar del Lazio, secondo lei, danneggia proprio la laicità dello Stato italiano?

     
    R. – Secondo me sì, perché per laicità si intende la giusta neutralità di una comunità civile, che, però, dovrebbe essere preoccupata di valorizzare tutte le identità, ciascuna a seconda del proprio peso e della propria rilevanza culturale, per esempio sul territorio. Perché se per laicità si intende l’esclusione dall’orizzonte culturale, formativo, civile di ogni identità, vuol dire che si è proprio nel più bieco e negativo risvolto dell’Illuminismo; prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle diversità delle identità. Mentre io credo che uno Stato sanamente laico debba preoccuparsi di far emergere e di rispettare, di mettere in rete casomai e di far crescere tutte le identità, soprattutto quelle di alto profilo etico e culturale.

     
    D. – Qualcuno dice che si tratta anche di una scelta ideologica che punta ad estromettere la religione dalla vita delle persone...

     
    R. – Io non conosco i giudici del Tar del Lazio, anche se questo Tribunale amministrativo ha una sua lunga storia, che credo molti conoscano. Casomai ci sarà da chiedersi come mai su una questione così delicata, la competenza venga data ad un Tribunale amministrativo regionale; ma io credo che ci sia dietro a queste pretestuose motivazioni qualche atteggiamento pregiudiziale, anche se non del tutto ideologico. C’è un pregiudizio di “doverosa liberazione” dei “poveri” bambini, ragazzi e giovani italiani dal peso schiacciante della religione cattolica. Questo mi sembra piuttosto un equivoco pesante, grave, sul quale varrebbe la pena di aprire un dibattito culturale, di sentire motivazioni pro e contro, senza, a partire da questo pregiudizio, arrivare addirittura a dare delle sentenze che, alla fine, rischiano di incrementare ancora di più quella sorta di diffidenza, di sospetto, in genere, sulla magistratura, che è già fin troppo alto in Italia e che va invece, in tutti i modi, contrastato e ridotto.

     
    D. – Fra l’altro, qui c’è il rischio anche di discriminare quel 90 per cento di studenti che scelgono l’ora di religione in Italia e che rischiano di non essere più valutati...

     
    R. – Sì, questo è vero. E’ come se si dicesse che una parte del proprio curriculum studentesco, per motivi appunto ideologici e pregiudiziali, venga azzerata. Questa è una sentenza particolarmente pesante per uno Stato che deve rispettare le scelte educative delle famiglie, che sono soprattutto dei genitori, che sono fino alla maggiore età i diretti responsabili dell’educazione dei figli e anche, in qualche misura, soprattutto andando avanti nell’età, le scelte stesse degli studenti che, tranne che in alcune regioni, nella stragrande maggioranza delle regioni del Paese, in larghissima maggioranza, scelgono ancora di avvalersi. Vorrei far notare che la cosa è talmente vera che in molte classi a noi risulta che figli di famiglie addirittura non cristiane o di altre confessioni religiose volentieri si avvalgano dell’insegnamento della religione cattolica appunto come elemento arricchente, culturale, per la conoscenza della cultura italiana.

     
    D. – Mons. Coletti, che cosa succederà ora? Lei personalmente pensa ad un ricorso?

     
    R. – Non credo che tocchi alla Chiesa come tale fare un ricorso. Tocca a cittadini italiani, più o meno organizzati in partiti o in associazioni culturali, esprimere il loro parere, il loro dissenso, di fronte ad una sentenza così povera di motivazioni. Credo che lo stesso Ministero dovrà fare un ricorso, perché ciò che è stato messo sotto accusa non è un’opinione della Chiesa o dei vescovi, ma è una circolare del Ministero e qualcosa che attiene all’organizzazione della scuola di Stato. Quindi, io credo che siano questi i soggetti che devono muoversi.

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    Gli insegnanti di religione impugneranno la sentenza del Tar

    ◊   L’ex ministro dell’istruzione Fioroni auspica che l'attuale ministro Gelmini impugni la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio, mentre Orazio Ruscìca, segretario nazionale dello Snadir, il Sindacato Autonomo degli Insegnanti di Religione, ribadisce che la quarta sezione del Tar ha già provato a marginalizzare, in passato, questo insegnamento e annuncia l’avvio di una nuova battaglia legale. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato.

    R. – Noi ci costituiremo in giudizio e impugneremo la decisione della sezione quattro del Tar del Lazio, come già abbiamo fatto nel 2007: anche allora abbiamo fatto ricorso sempre presso questa sezione, che è ostinata; il Consiglio di Stato ha definito “priva di consistenza” e ha bocciato la decisione della sezione quattro. Ed è la stessa cosa adesso. La sentenza della sezione quattro non fa altro che dire che chi lavora deve essere penalizzato: cioè, gli studenti che durante l’anno fanno una materia in più rispetto agli altri devono vedere poi alla fine dell’anno penalizzato il loro lavoro.

     
    D. – Ecco: ricordiamo la questione dei crediti formativi che vengono dati a chi frequenta l’ora di religione: in realtà gli stessi crediti vengono assegnati a chi frequenta l’ora sostitutiva a quella di religione …

     
    R. – Sì! Non solo: ma anche la certificazione di uno studio individuale assistito da parte degli insegnanti. Insomma, nel credito viene valutato sia la religione sia la materia alternativa sia lo studio individuale assistito e certificato dall’insegnante.

     
    D. – Quindi non si lede il diritto di libertà e non si lede il principio di laicità?

     
    R. – No, assolutamente. Qui c’è un’altra confusione. Lo Stato, l’amministrazione, riconosce un impegno da parte dello studente e dice: tu hai fatto qualcosa durante l’anno? Ti sei impegnato? Bene, io te lo riconosco.

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    Giornata Onu della Gioventù. Intervista col presidente della Fuci

    ◊   “I giovani meritano un pieno accesso all’istruzione, dei sistemi sanitari adeguati e hanno diritto ad una piena partecipazione alla vita sociale”. E’ quanto afferma il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, in occasione dell’odierna Giornata Internazionale della Gioventù, indetta dall’Onu e incentrata sul tema “Sostenibilità: La nostra sfida. Il Nostro Futuro”. Sulle luci e le ombre nel futuro dei giovani si sofferma al microfono di Amedeo Lomonaco, Sara Martini, presidente nazionale della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci):

    R. – La luce che vorrei sottolineare è il fatto che la condizione giovanile e i giovani, come diceva La Pira, sono un po’ come le rondini: volano verso la primavera della storia. Senza i giovani non c’è futuro. E’ chiaro che la condizione giovanile oggi è messa in forte crisi per la congiuntura particolare che viviamo. Questo messaggio un po’ mi porta a compiere una riflessione sull’essere giovani oggi nel mondo. Per un giovane italiano essere giovani è senza dubbio una cosa, mentre per un giovane di un’altra parte del mondo è tutt’altro. Addirittura ci sono Paesi in cui la possibilità di diventare giovani spesso è un miraggio! E questo ci interroga fortemente …

     
    D. – Come affrontano oggi i giovani la disoccupazione e il lavoro precario che continuano a compromettere le economie di molti Paesi?

     
    R. – Io rappresento una Federazione di giovani universitari che crede che la risposta più autentica e adeguata sia quella di concentrarsi nei propri anni di studio a vivere un approfondimento autentico delle proprie conoscenze. Essendo questo mondo del lavoro un contesto sempre più difficile da abitare, per noi è necessario mettere in campo ogni potenzialità, ogni creatività.

     
    D. – Nel messaggio si auspica anche una piena partecipazione alla vita sociale. Come evitare che in alcuni ambiti, come ad esempio quello politico, prevalgano disinteresse, indifferenza …

     
    R. – Secondo me la risposta potrebbe essere quella di un patto intergenerazionale autentico: si deve fare in modo che ci sia ascolto e vicendevole sostegno fra il mondo dei giovani e quello degli adulti. Giovani e adulti devono lavorare insieme, prendersi per mano, ascoltarsi e proporre strade e piste di lavoro comuni.

     
    D. – Tenendo conto, quindi, che anche il giovane ha il compito di dare l’esempio, di indicare la via migliore per il futuro …

     
    R. – Sì, ai giovani oggi si possono chiedere pratiche di vita sostenibili o comunque improntate alla promozione di impieghi innovativi delle nuove tecnologie. Siamo noi la generazione del domani, la generazione che subirà gli effetti più drammatici, forse, della crisi odierna. A noi è chiesto veramente di praticare nuove strade, strade di sostenibilità. Come Federazione universitaria cattolica avvertiamo l’esigenza di avviare una riflessione approfondita sulla crisi attuale. Abbiamo deciso di dedicare il prossimo anno accademico proprio al tema dell’economia. Nell’ambito dei nostri appuntamenti nazionali, indagheremo soprattutto sulle cause che hanno portato alla situazione odierna. Ci interrogheremo fortemente su come i giovani possono contribuire a ripensare stili di vita improntati alla sobrietà e a logiche non solo di mero profitto e di speculazione. Stiamo anche invitando i nostri gruppi dei poli universitari a riflettere a partire da una lettura meditata sull’Enciclica del Santo Padre che mette al centro della sua riflessione il tema dell’economia.

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    Chiesa e Società



    India: dalit cristiani riconvertiti all’induismo per motivi economici

    ◊   Più di 200 dalit cristiani di un villaggio vicino a Dindigul – nel Tamil Nadu – sono stati “riconvertiti” alla religione indù in una cerimonia organizzata dal Viswa Hindu Parishad (Vhp). Lo affermano fonti vicine al movimento estremista Vhp, che riferiscono di una funzione che si è tenuta lunedì a Tamaraikulam. Alla base del ritorno alla religione indù – in passato i dalit avevano abbracciato il cristianesimo – vi sarebbe “l’emarginazione” subita dalla comunità cristiana. Una scelta che sarebbe stata fortemente condizionata da ragioni di carattere economico e sociale, legittimate dalle leggi indiane. Padre Cosmon Arokiaraj, della Conferenza episcopale in India, ha spiegato ad AsiaNews che “è lo stesso Stato [del Tamil Nadu] a sostenere le discriminazioni perpetrate contro i dalit cristiani” come stabilito in una legge costituzionale che “impedisce ai cittadini di ricevere i benefici economici”. Il terzo paragrafo della Costitution Order del 1950 – che tratta di caste – meglio noto come “disposizione presidenziale”, stabilisce che “nessuno fra quanti professano una religione diversa dall’induismo può appartenere a una casta”. Restringendo i benefici a una particolare religione, la normativa, che appare fin da subito discriminatoria, ha diviso “l’intera comunità dalit in base alla fede professata”. Il sacerdote sottolinea che “il collegamento a una casta o a una religione è considerato il punto cruciale della questione”. “Lo sviluppo economico e l’oppressione sociale non posso andare di pari passo” precisa p. Cosmon Arokiaraj. “Escludere una parte, i dalit, dal processo di sviluppo – continua – solo perché sono cristiani, sarà un freno al progresso e un marchio che segna tutta la nazione”. (A cura di Virginia Volpe)

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    Vietnam: minacce e violenze contro i cattolici

    ◊   Proseguono nella diocesi di Vinh le pacifiche proteste dei cattolici che chiedono alle autorità il rispetto della libertà religiosa, la restituzione delle proprietà confiscate alla diocesi, la fine della campagna d'odio contro i cristiani attraverso i giornali controllati dal governo. Queste manifestazioni sono iniziate a causa dell'arresto di tre fratelli laici lo scorso 20 luglio per aver innalzato una tenda come luogo di preghiera davanti alle rovine della chiesa di Tam Toa. In segno di solidarietà, la sera dell'otto agosto, oltre tremila fedeli cattolici si sono radunati nella parrocchia di Thai Ha ad Hanoi. Gli organi d'informazione, controllati dal governo, accusano i cattolici di disturbare l'ordine pubblico e offendere la patria. Nei giorni scorsi, padre Paul Nguyen è stato picchiato per essere intervenuto contro alcuni teppisti che stavano percuotendo donne cattoliche. Un altro sacerdote, padre Peter Nguyen The Binh, è stato gettato dalla finestra dell'ospedale dove si era recato per portare conforto al confratello. Il rispetto per l'opera della Chiesa cattolica in Vietnam si è andato progressivamente deteriorando, si legge su L’Osservatore Romano, a causa della corruzione della classe dirigente. Intanto, il cardinale Jean-Baptiste Pham Minh Mân, arcivescovo di Thàn-Phô Hô Chí Minh, ha inviato un messaggio ai fedeli della sua arcidiocesi affermando che è suo dovere pastorale rendere coscienti i credenti sui rischi di danni ambientali che può provocare lo sfruttamento minerario della bauxite. La lettera del porporato è stata pubblicata pochi giorni dopo la decisione del Congresso vietnamita di dare il via allo sfruttamento dei giacimenti di bauxite negli altipiani centrali, nonostante le diffuse proteste da parte di molti cittadini che vedono minacciato l'equilibrio ambientale. Sebbene le critiche al progetto per lo sfruttamento dei giacimenti siano state avanzate anche da parte di scienziati, intellettuali e perfino di alcuni esponenti della compagine governativa, i mezzi d'informazione controllati dal governo sembrano aver scelto di avviare una campagna solo contro i sacerdoti cattolici. Pesanti critiche sono state lanciate contro due padri redentoristi, padre Peter Nguyen van Khai e il suo confratello padre Joseph Le Quang Uy, perché hanno iniziato una raccolta delle firme dei cittadini che sono contrari ai piani per lo sfruttamento minerario che potrebbe causare gravi squilibri ambientali. (V.V.)

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    Colombia. I vescovi: il Paese non si lasci ricattare da Chavez e Correa

    ◊   Mons. Juan Vicente Córdoba Villota, vescovo ausiliare di Bucaramanga, in Colombia, ha espresso ieri, al Canale Tv “Caracol”, l’auspicio dell’episcopato affinché il governo del Paese e tutti i colombiani continuino ad agire attivamente nel contesto internazionale nonostante le molte tensioni con i Paesi confinanti. Per il presule, gli attacchi che spesso provengono dal Venezuela e dall’Ecuador, lungi d’isolare la nazione colombiana dovrebbero rinforzare il suo ruolo internazionale senza farsi trascinare dai “ricatti” economici e diplomatici. In questo senso mons. Córdoba Villota ha detto di ritenere non conveniente un’eventuale assenza della Colombia nel prossimo incontro dei ministri degli Affari Esteri e della Difesa dell’Unasur (Unione dei Paesi dell’America del Sud) poiché ciò “sarebbe una mancanza nei confronti di Paesi che non hanno nessuna colpa” nelle costanti polemiche indirizzate verso Bogotà. Anzi, ha aggiunto il presule rivolgendosi direttamente al Presidente colombiano Alvaro Uribe, “è necessario partecipare per esprimere, con dignità, altezza e chiarezza, un comportamento autonomo e libero. Non partecipare ci farebbe perdere terreno lasciando la vittoria mediatica nelle mani dei Presidente Rafael Correa dell’Ecuador e Hugo Chávez del Venezuela”. Il Segretariato dell’Episcopato si riferiva, tra l’altro, all’annunciata sospensione venezuelana delle esportazioni di petrolio verso la Colombia nonché alle accuse ecuadoriane che individuano nel governo colombiano propositi espansionisti. A giudizio del presule alcuni governanti della regione usano “dei ricatti piuttosto infantili” quando pensano di porre al Paese delle condizioni per vendere combustibile, avere rapporti commerciali o accreditare ambasciatori. “Penso, ha osservato mons. Juan Vicente Córdoba Villota, che si è scatenato un gioco da bambini facendo ricorso al ricatto e alle minacce”. Certo, ha poi spiegato, qui non si tratta di “un bimbo che minaccia di rompere il giocattolo se la mamma non gli dà una caramella”, poiché “non si può giocare con i popoli (…) né tantomeno porre i rapporti diplomatici ed economici fra questi Paesi al livello di uno scontro duro tra adolescenti o ragazzi”. Ogni governo è autonomo – ha detto mons. Córdoba Villota - e quello colombiano è ugualmente autonomo quanto quello del Venezuela e nessuno si sognerebbe mai di dire a Caracas che deve rompere i suoi rapporti con Cuba o che deve espellere i maestri cubani che lavorano in Venezuela nei programmi educativi e di formazione professionale. Poi il presule ha voluto ricordare che si può criticare o essere in disaccordo con il governo di un altro Paese, ma ciò deve essere espresso “con rispetto, trasparenza, senza ricatti né minacce, senza comportamenti infantili”. Infine, il Segretariato dell’Episcopato ha espresso la preoccupazione della Chiesa di fronte agli annuncio del Presidente Uribe su una possibile presenza militare statunitense in Colombia dopo che il governo dell’Ecuador ha deciso di chiudere la base Usa di Manta. A giudizio del presule in questa materia il Presidente Uribe deve evitare le battute e dunque prendere decisioni concertate, magari con esponenti delle due Camere del Parlamento. Su quest’ipotetica presenza, mons. Córdoba Villota, ha concluso dicendo: “Le condizioni attuali del Paese sono differenti rispetto ad alcuni anni fa. Spero che, se così sarà, si tratti di un sostegno logistico e tecnologico per fare fronte alle sfide del narcotraffico, della guerriglia e dei paramilitari”. (A cura di Luis Badilla)

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    Iraq: restituite alla Chiesa caldea tre scuole cattoliche

    ◊   Il governo iracheno ha restituito tre scuole cattoliche alla Chiesa caldea: si tratta di un episodio che segna un passo importante nelle relazioni tra Chiesa e istituzioni statali. Era, infatti, dagli anni Settanta, dopo la confisca operata dal regime di Saddam Hussein, che questi edifici erano stati sottratti ai legittimi proprietari. Solo adesso, a distanza di quasi quarant'anni, grazie all'intervento del cardinale Emmanuel III Delly, Patriarca di Babilonia dei Caldei, e della buona volontà del primo ministro Nouri Al Maliki, si è giunti a una soluzione della vicenda. "Sono tre scuole nazionalizzate negli anni Settanta dal regime di Saddam Hussein - ricorda il cardinale Delly spiegando a "L'Osservatore Romano" com'è andata -. Due si trovano a Baghdad e una a Kerkûk. Sono state restituite alle suore caldee che le gestivano antecedentemente. La restituzione è avvenuta con il vincolo che questi edifici vengano usati per lo stesso scopo che avevano in precedenza e che siano diretti dalle suore o dal patriarcato". "Abbiamo già la disponibilità di queste tre scuole - continua - ma rimane ancora da perfezionare la registrazione a nome delle legittime proprietarie, le suore caldee. Attendiamo questo passaggio burocratico che sancirà la definitiva restituzione". "Molti altri edifici di proprietà della Chiesa caldea sono stati requisiti negli anni di Saddam, ma a tutt'oggi devono esserci resi - conclude il cardinale -, per questo stiamo facendo il possibile, affinché ciò avvenga quanto prima". (V.V.)

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    Nuove violenze in Congo: migliaia in fuga

    ◊   La violenza continua a colpire le regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo e i civili continuano ad essere le vittime principali. Mentre l’anno scorso era la provincia del Nord Kivu a essere particolarmente colpita dagli scontri tra le forze armate congolesi (Fardc), i ribelli del Cndp (Congrès national pour la Defense du Peuple) e altri gruppi armati, ora i combattimenti si svolgono sia nel Nord che nel Sud Kivu. “Stiamo affrontando una nuova ondata di violenza”, spiega Romain Gitenet, capo missione di Medici senza Frontiere a Goma. “Quando gli attacchi raggiungono zone vicine ai villaggi o ai campi, le persone scappano nella foresta. Per esempio la settimana scorsa, la popolazione di Bikenge, nel distretto di Walikale, ha abbandonato il villaggio ed è rimasta alcuni giorni nella foresta, vivendo in condizioni terribili”. Nella prima metà dell’anno le equipe di Msf hanno svolto circa 290mila consultazioni mediche e hanno curato i pazienti colpiti dal colera. I villaggi sospettati di essere a favore di una o dell’altra delle fazioni vengono presi di mira e spesso sistematicamente distrutti. Inoltre, le vittime subiscono estorsioni e vengono derubate del cibo e dei propri beni personali presenti nelle propri abitazioni o nei rifugi all’interno dei campi per sfollati. Gli abusi sessuali rappresentano un’altra forma di violenza estremamente frequente, perpetrata sia nei confronti delle donne che degli uomini. Solo nella prima metà del 2009, gli operatori di Msf hanno assistito 2.800 vittime di violenza sessuale. (V.V.)

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    Bolivia: morti in un incidente due redentoristi che si recavano al funerale di un confratello

    ◊   Due sacerdoti redentoristi sono morti ieri nel dipartimento del Beni, in Bolivia. È quanto ha comunicato l’ufficio stampa della Conferenza Episcopale boliviana. I due religiosi, padre Laureano Diaz e padre Francisco Perez sono stati vittime di un incidente stradale, mentre si dirigevano, insieme ad altri sacerdoti, verso una località chiamata Tumuphasa ai funerali di padre Diego Schurman, redentorista anch’esso, deceduto nella città di Cochabamba. Il tragico incidente automobilistico è stato causato da un guasto ai freni: il veicolo si è scontrato contro il parapetto del ponte sul quale stava passando ed è caduto nel fiume Beni. Alcuni passeggeri si sono salvati, ma padre Diaz è morto in ospedale, e la salma di padre Perez fino a questa notte non era ancora stata recuperata dalle acque del fiume. Tutta la Chiesa cattolica in Bolivia ha espresso la sua vicinanza ai familiari delle vittime, così come mons. Carlos Burgler, Vicario Apostolico di Reyes, diocesi in cui erano incardinati i sacerdoti. Inoltre i vescovi boliviani hanno invitato tutti i fedeli a pregare per l’eterno riposo dei due religiosi. (V.V.)

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    Il presidente Napolitano ricorda l’eccidio nazista a Sant’Anna di Stazzema

    ◊   Sono passati 65 anni da uno degli episodi più drammatici dell’occupazione nazista in Italia. E’ il 12 agosto del 1944: un reparto delle Schutzstaffeln, tristemente note con il nome di “SS”, arriva a Sant’Anna di Stazzema, piccolo paese di montagna sulle Alpi Apuane, in Toscana. I morti sono 560, tra cui anziani e bambini. “Il sacrificio di tanti nostri concittadini che seppero battersi coraggiosamente per il riscatto della loro patria – scrive il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano - costituisce la più viva eredità morale della resistenza e della lotta di liberazione, che scrisse in questa terra generosa pagine altissime di eroismo”. “Da quella stagione di rinascita civile – si legge ancora nel messaggio del presidente Napolitano - l’Italia trasse la forza spirituale e l’unità necessarie per dar vita ad un ordinamento fondato sui valori di democrazia e di giustizia sociale e sull'attivo sostegno alle organizzazioni internazionali e sovranazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni”. Proprio per ricordare tutti coloro che sono morti a causa degli eccidi nazisti avvenuti sull’Appennino tosco-emiliano durante la seconda guerra mondiale inizia oggi la “Marcia della pace da Sant'Anna di Stazzema a Marzabotto”. Sul fronte della giustizia si deve infine registrare che un tribunale tedesco ha condannato ieri all’ergastolo l’ex ufficiale nazista 90.enne, Josef Scheungraber, per l’uccisione di dieci civili italiani e per aver tentato di ucciderne un altro a Falzano di Cortona, vicino ad Arezzo, nel 1944. (A.L.)

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    In Burkina Faso la IV Edizione delle Giornate nazionali della gioventù cattolica

    ◊   Il 6 agosto scorso si è aperta a Koudougou la IV edizione delle Giornate nazionali della gioventù cattolica (Jnj) sul tema "Vedete come si amano". Quest'edizione, terminata il 9 agosto, ha avuto il patronato di mons. Séraphin François Rouamba, vescovo di Koupèla e presidente della conferenza episcopale Burkina-Niger. Il patrocinio è stato dato anche dal ministro dell'Amministrazione territoriale e del Decentramento, Clement Sawadogo. Dopo le diocesi di Bobo Dioulasso e di Fada N' Gourma, che hanno ospitato l’evento rispettivamente nel 2003 e nel 2006, quest’anno è stata la volta di Koudougou. Erano presenti il ministro dei Trasporti, Gilbert Natale Ouédraogo, e numerosi vescovi e giovani cattolici venuti dal Mali, dal Togo, dal Benin, dalla Costa d' Avorio e da varie diocesi del Burkina. “Il fatto che Koudouogou sia stata scelta per le Jnj 2009 - ha detto mons. Basile Tapsoba, vescovo della città - è una gioia e un onore per la diocesi”. Il presule ha inoltre auspicato che “Dio allontani i cattivi spiriti e invii i suoi angeli santi a proteggere i giovani”. Ha poi espresso il desiderio “che i giovani possano fraternizzare nell'amore e nella pace di Cristo”. Il presidente del comitato organizzatore, l’abate Michel Bationo, ha affermato che per lui, “l'amore non conosce frontiere, come testimonia l'arrivo dei giovani dei Paesi vicini”. (V.V.)

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    Abruzzo: ritrovato in una chiesa di Onna un affresco del ‘400

    ◊   Un grande ed inedito affresco dei primi del Quattrocento è riemerso dalle macerie di una chiesa di Onna, paese abruzzese fra i più martoriati dal sisma del 6 aprile scorso, ritrovato da una squadra di volontari durante un'operazione di recupero nella chiesa di San Pietro Apostolo. La Soprintendenza dei beni storici e artistici dell'Aquila ha definito l’opera, che copre quasi l'intera contro facciata sinistra della chiesa, “molto pregiata anche per l'iconografia, poco diffusa nell'aquilano”. L’affresco, che era nascosto tra uno scialbo di cemento spesso circa 2 cm e uno di calce, rappresenta una Madonna in posizione frontale con aureola punzonata insieme a due angeli che raccolgono il sangue di Cristo che sgorga dal costato e dalla mano. (V.V.)

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    24 Ore nel Mondo



    Condanna di Aung San Suu Kyi. La Cina difende la giunta del Myanmar

    ◊   Durissime reazioni internazionali nei confronti della giunta militare birmana per l’ennesima condanna inflitta alla premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi. L’indignazione internazionale per la nuova condanna è diffusa: il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si unisce alle richieste dell'Unione Europea e dell'Onu per la liberazione "immediata" e "senza condizioni" della leader dell'opposizione e degli altri detenuti politici. La Cina difende, invece, la giunta birmana chiedendo di rispettare la sovranità del Myanmar. Stefano Leszczynski ha intervistato Carlo Corazza, direttore dell’Ufficio dell’Unione europea per le relazioni internazionali:

    R. – L’Unione Europea è fondata sulla ricostruzione dei diritti fondamentali, quindi è abbastanza normale che di fronte a palesi violazioni di vari principi, tra cui la tutela di un leader, quindi di un problema di democrazia, reagisca in modo duro e fermo. Il problema poi sono le conseguenze da un punto di vista commerciale nei confronti della Birmania, dove invece qualche crepa c’è.

     
    D. – Conseguenze commerciali, che, diciamo, rappresentano un’arma in più nelle mani dell’Unione Europea, per contrastare le violazioni dei diritti umani a livello internazionale…

     
    R. – Beh, la nostra arma principale – stiamo parlando ovviamente di “soft” policy – è il commercio. Noi siamo la prima potenza commerciale al mondo. Il nostro mercato è il più grande per fatturato, per export e per import. Quindi, da questo punto di vista siamo abbastanza temuti, quando facciamo sul serio.

     
    D. – Colpire gli interessi della Birmania. Ma quali sono questi interessi specifici per quanto riguarda l’Europa?

     
    R. – Diciamo che ci sono alcune grosse società, soprattutto nel settore degli idrocarburi, materie prime, che rappresentano grossi investitori in Birmania. Alcune sanzioni, come si sa, sono già state prese. Il regime di embargo nei confronti della Birmania è abbastanza duro, però penso che si possa fare ancora di più, se si vuole fare sul serio.

     
    D. – C’è una possibilità di dialogo o non c’è nessuna apertura da parte del regime birmano…

     
    R. – Non è facile, c’è una grossa ambiguità dal punto di vista del regime birmano. Anche il poco dialogo che c’è stato, poi, non ha avuto un seguito soddisfacente dal punto di vista europeo. Bisogna anche tener conto che la Birmania è meno isolata di quanto sembri, nel senso che trova delle sponde in alcuni suoi vicini, che le conservano più margini di manovra di quanto non ne avrebbe, se non avesse queste sponde. Questo in qualche modo riduce anche la forza dell’Unione Europea.

     
    D. – Che deve comunque confrontarsi anche con Paesi alleati della Birmania…

     
    R. – Sì, alleati, almeno nei fatti e negli interessi concreti. Insomma, non è un mistero che la Cina non sia tra i più vigorosi a fare pressione sulla Birmania su certi aspetti appunto legati al rispetto dei diritti fondamentali.

     
    Indonesia
    La polizia indonesiana ha reso noto oggi che l'uomo ucciso lo scorso 8 agosto nel corso di raid a Giava non è il super ricercato capo-terrorista malaysiano Noordin Top. Il test del Dna ha dimostrato che i resti sono di Ibrohim, un fiorista dell'hotel Marriott di Giacarta complice dell’attacco kamikaze contro l'albergo del 17 luglio scorso, che costò la vita a nove persone. Noordin Top, 41 anni, secondo l'antiterrorismo indonesiano, sarebbe attualmente a capo di una cellula dissidente della Jemaah Islamiya e in passato avrebbe firmato la strage di Bali del 2002 e quella all'hotel Marriott di Giakarta del 2003.

    Caucaso
    Non c’è pace per le instabili repubbliche del Caucaso russo. Il ministro dell'Edilizia dell'Inguscezia è stato ucciso stamani a colpi di arma da fuoco nel suo ufficio nella città di Maghas. L’omicidio arriva a meno di 24 ore dal ritrovamento, in Cecenia, dei corpi senza vita di Zarema Sadulaieva, responsabile della ong 'Salviamo la generazione', e di suo marito. Il servizio di Marco Guerra:

    Torna altissima la tensione nelle Repubbliche caucasiche della federazione russa. Nelle ultime 48 ore una catena di omicidi ha scosso l’Inguscezia, il Daghestan e la Cecenia. A meno di un mese dal rapimento e dall'uccisione della giornalista russa Natalia Estemìrova sono stati ritrovati ieri alla periferia di Grozny, in Cecenia, i corpi di una coppia di attivisti responsabili della ong “Salviamo la generazione”, che si occupa del recupero dei giovani coinvolti nella guerriglia filo islamica. Nelle stesse ore, in Daghestan, veniva assassinato un altro reporter. E ancora, in serata, due agenti della polizia cecena venivano uccisi in due distinti agguati. Il presidente russo Medvedev ha chiesto di far luce al più presto sull'accaduto, mentre Amnesty International ha invocato la fine di quella che ha definito la "caccia ai militanti per i diritti umani''. In Inguscezia invece sono le autorità politiche ad essere al centro degli attacchi attribuiti ai ribelli islamici. L’omicidio di stamani del ministro dell’Edilizia arriva dopo quello della vicepresidente della Corte suprema, colpita il 10 giugno scorso. Il 22 dello stesso mese il presidente Evkurov era rimasto gravemente ferito in un attentato kamikaze durante il passaggio del suo corteo. Il capo di Stato ha lasciato l'ospedale l'altro ieri con l'intenzione di riprendere quanto prima la lotta al terrorismo con l’aiuto di Mosca.

     
    Afghanistan
    In Afghanistan è scattata stamani una nuova offensiva delle forze statunitensi nella provincia di Helmand. L'operazione “Eastern Resolve” vede impegnati 400 marine per rendere più sicure le zone controllate dai talebani, prima delle elezioni. Intanto non si fermano gli attacchi dei ribelli integralisti: il capo della polizia della provincia settentrionale di Kunduz e tre agenti sono stati uccisi in un agguato dei ribelli.

    Iraq
    Almeno otto persone sono state uccise e trenta sono rimaste ferite a Baghdad in seguito all'esplosione di due autobomba ieri sera in un quartiere a maggioranza sciita nella zona orientale della città.

    Iran
    Il regime iraniano è ancora sotto pressione per le ripercussioni internazionali della grave crisi politica interna. Tre infatti i detenuti statunitensi nelle prigioni di Teheran e una francese, la ricercatrice universitaria Clotilde Reiss. Intanto, non si placa lo sdegno per le presunte torture e le violenze commesse contro i membri dell’opposizione iraniana, arrestati dopo i moti di giugno. Oggi il candidato conservatore alle elezioni di giugno, Mohsen Rezaie, ha chiesto che siano celebrati processi ai responsabili nel caso siano confermate le accuse di abusi. Tuttavia poche ore prima il presidente del parlamento Ali Larijani ha definito le accuse “una menzogna”, precisando che a seguito di un’inchiesta “non è emerso alcun caso di violenza sessuale".

    Congresso del Fatah
    Dopo una settimana di rinvii e discussioni interne, si è concluso a Betlemme il vertice per l’elezione della nuova dirigenza di al Fatah. Accanto al presidente Abu Mazen, tra i vertici del partito palestinese che fu di Yasser Arafat, figurano Mohammed Dahlan, già capo del servizio di sicurezza preventiva a Gaza e netto oppositore di Hamas, Jibril Rajub, con alle spalle 17 anni di carcere in Israele, Saeb Erekat, diplomatico e negoziatore, e Marwan Barghuti, che ha vissuto la prima e la seconda intifada e che sconta nelle carceri israeliane una condanna a 5 ergastoli per complicità in attentati costati la vita a cittadini dello Stato ebraico. Sulla nuova dirigenza di al Fatah, Giada Aquilino ha intervistato Eric Salerno, inviato in Medio Oriente del quotidiano Il Messaggero:

    R. – E’ molto importante il fatto che sia stato confermato Mahmud Abbas come leader del movimento, però la cosa che si è notata è che sono arrivati ai vertici molti giovani e sono quella generazione che ha fatto la prima intifada e anche la seconda intifada, gente cresciuta all’interno della Palestina.

     
    D. - Parliamo di Marwan Barghuti. Israele, che lo detiene per una condanna a più ergastoli, appare spaccato sul suo futuro?

     
    R. - Non è improbabile - almeno questo è quello che pensiamo tutti - che quando più in là Israele e i palestinesi arriveranno a un punto del negoziato di pace Barghuti potrebbe venire rilasciato. Barghuti è entrato nelle maglie della lotta armata, di quello che sta diventando il terrorismo, anche se non gli è stato attribuito direttamente alcun reato, nel senso che dicono che ha dato disposizioni per uccidere delle persone per delle azioni terroristiche. Barghuti parla bene l’ebraico, vorrebbe una soluzione, ovviamente la soluzione che vorrebbe lui non è sempre la stessa soluzione che vorrebbe Israele, che in questo momento ha un governo che continua a costruire insediamenti e a chiudere su molti dei punti cardini di un’eventuale trattativa di pace.

     
    D. - Quale sarà la posizione di Israele nei confronti di questa nuova dirigenza di al Fatah?

     
    R. - Per adesso continuano a dire che non cambia niente, che devono rinunciare a una serie di pretese. Io credo che bisognerà aspettare ancora i prossimi mesi e forse bisognerà aspettare il piano che gli americani dicono di voler formulare forse a settembre, forse a ottobre, su un futuro assetto del Medio Oriente.

     
    Somalia
    In Somalia sono stati rilasciati i 4 volontari europei sequestrati 9 mesi fa da una ventina di uomini armati. Tuttavia sul terreno non si ferma la violenza: sei pakistani sono stati uccisi nei pressi di una moschea da uomini armati non identificati nella regione semiautonoma del Puntland. Le vittime – riferiscono gli abitanti del posto – erano predicatori islamici.

    Honduras
    Migliaia di manifestanti, provenienti da diverse regioni dell’Honduras, si sono ritrovati ieri a Tegucigalpa alla fine di una marcia di 105 chilometri, durata sette giorni, per chiedere il reintegro del presidente Manuel Zelaya, deposto 45 giorni fa da un colpo di Stato militare. La polizia ha effettuato decine di arresti e il governo de facto guidato da Roberto Micheletti ha ripristinato il coprifuoco notturno. Il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani (Osa) José Miguel Insulza ha confermato, intanto, che la prossima settimana accompagnerà sei ministri degli Esteri dei Paesi latinoamericani in una missione in Honduras per promuovere l’accordo elaborato dal presidente del Costa Rica, Oscar Arias. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 224

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