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Sommario del 05/08/2009

Il Papa e la Santa Sede

  • Sacerdoti innamorati di Cristo per rispondere alle sfide del relativismo che mortifica la ragione: così il Papa all'udienza generale dedicata al Curato d'Ars
  • La Chiesa celebra la memoria della Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Pakistan: il martirio dei cristiani nel silenzio internazionale
  • Don Ciotti: don Peppino Diana, martire della giustizia
  • Al via la missione diplomatica in Africa di Hillary Clinton
  • Dialogo tra scienza e religioni nella società digitalizzata al centro della seconda giornata di Tonalestate
  • Chiesa e Società

  • Bangladesh: minacce di morte alla famiglia di un giovane convertitosi al cristianesimo
  • Turchia: aggredito un cristiano che distribuiva Bibbie
  • Burundi: appello dei vescovi per elezioni trasparenti e pacifiche
  • Argentina: la Chiesa contraria al progetto di riforma dell'educazione
  • Colombia: mobilitazione dei cattolici contro la costruzione di una clinica abortista
  • I funerali di Corazon Aquino: in migliaia per l'ultimo saluto
  • Sri Lanka: l'arcivescovo Ranjith prende possesso della diocesi di Colombo
  • Il presidente dell'Ua: l'Africa risorgerà solo nell'unità
  • Inizia oggi la 62. ma edizione del Festival di Locarno
  • 24 Ore nel Mondo

  • Iran: polizia contro dissidenti durante il giuramento di Ahmadinejad
  • Il Papa e la Santa Sede



    Sacerdoti innamorati di Cristo per rispondere alle sfide del relativismo che mortifica la ragione: così il Papa all'udienza generale dedicata al Curato d'Ars

    ◊   I sacerdoti siano innamorati di Cristo, messaggeri di speranza, riconciliazione e pace per tutti: è la preghiera elevata stamani da Benedetto XVI durante l’udienza generale del mercoledì a Castel Gandolfo, che ha visto la partecipazione di alcune migliaia di fedeli, alcuni provenienti anche dalla Cina. Un’udienza dedicata a San Giovanni Maria Vianney, di cui ieri la Chiesa ha celebrato la memoria liturgica. Nella catechesi il Papa ha sottolineato che razionalismo e relativismo sono due risposte inadeguate alla legittima domanda dell’uomo di usare a pieno la ragione alla ricerca della verità dell’esistenza. Infine, il saluto ai partecipanti al Meeting internazionale giovani verso Assisi. Il servizio di Sergio Centofanti.

    Nella sua catechesi il Papa ha ripercorso brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars, di cui ieri ricorreva il 150.mo anniversario della morte o meglio della sua “nascita al Cielo” - come ha detto il Pontefice – che ha immaginato la “grande festa” che deve esserci stata in Paradiso “all’ingresso di un così zelante pastore!”. E proprio in occasione di questo anniversario è stato indetto l’Anno Sacerdotale sul tema “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote”. Benedetto XVI ha ricordato le povere origini contadine di questo santo che in gioventù ha lavorato nei campi o pascolato gli animali, sempre cercando di “conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili”. A diciassette anni era ancora analfabeta. Il suo desiderio era quello di diventare sacerdote, ma gli studi erano lo scoglio principale ed ebbe non poche difficoltà, “non pochi insuccessi e tante lacrime”:

     
    “Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare”.

     
    “Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo – ha rilevato il Papa - questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero” da conformarsi a Cristo Buon Pastore, dando la vita per le sue pecore:

     
    “La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale … Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale”.

     
    “I metodi pastorali di San Giovanni Maria Vianney – ha aggiunto il Papa - potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali”:

     
    “Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti sono chiamati a coltivare. A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è l’essere innamorato di Cristo. Il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, e che è diventato amore delle pecore di Cristo, delle persone che cercano Dio”.

     
    Il Curato d’Ars seppe rispondere alla sete di verità dell’uomo del suo tempo: un periodo difficile, quello della “Francia post-rivoluzionaria – ha rilevato il Pontefice - che sperimentava una sorta di ‘dittatura del razionalismo’ volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società”. In quel contesto, San Giovanni Maria Vianney visse - negli anni della giovinezza – “un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote testimoniò con la sua vita che “il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile”.

     
    Se 150 anni fa c’era la “dittatura del razionalismo, all’epoca attuale – ha detto il Papa - si registra in molti ambienti una sorta di ‘dittatura del relativismo’. Entrambe – ha proseguito - appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora – ha spiegato il Papa - l’uomo ‘mendicante di significato e compimento’ va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi”. Così, nonostante il mutare dei tempi, per Benedetto XVI lo stile del curato d’Ars mantiene intatta la sua “forza profetica” e “continua ad essere un valido insegnamento per i sacerdoti e per noi tutti”:

     
    “I sacerdoti imitando lui devono coltivare e accrescere giorno dopo giorno un’intima unione personale con Cristo e devono insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con Cristo. Solo se innamorato di Cristo il sacerdote potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore”.

     
    Infine, il Papa ha ricordato, ai saluti, l’odierna memoria liturgica della Dedicazione della Basilica romana di Santa Maria Maggiore che ci invita a volgere lo sguardo verso la Madre di Cristo:

     
    “Guardate sempre a Lei, cari giovani, imitandola nel seguire fedelmente la volontà divina; ricorrete a Lei con fiducia, cari ammalati, per sperimentare nel momento della prova l'efficacia della sua protezione; affidate a Lei, cari sposi novelli, la vostra famiglia, perché sia sempre sorretta dalla sua materna intercessione”.

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    La Chiesa celebra la memoria della Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore

    ◊   Dunque - come ha ricordato il Papa - la Chiesa celebra oggi la memoria della Dedicazione della Basilica romana di Santa Maria Maggiore. Dopo la Santa Messa Pontificale celebrata stamani alle 10.00 dal cardinale arciprete Bernard Francis Law, alle ore 17.00 si svolgeranno i Secondi Vespri, seguiti, alle 18.00, dalla Santa Messa. Durante le celebrazioni, avrà luogo la tradizionale pioggia di fiori, che evocherà il “Miracolo della Neve”, ovvero la prodigiosa nevicata avvenuta il 5 agosto del 358. Secondo un’antica tradizione, in quella notte la Vergine Maria apparve a Papa Liberio e chiese la costruzione di una chiesa nel luogo in cui sarebbe caduta la neve. Ma cosa possiamo dire di certo di questa Festa del 5 agosto? Isabella Piro lo ha chiesto al padre monfortano Corrado Maggioni:

     
    R. – Nel martirologio geronimiano, risalente al VI secolo, al 5 di agosto troviamo la notazione circa la commemorazione anniversaria della Dedicazione della Basilica edificata a Roma sull’Esquilino all’indomani del dogma della Divina Maternità, riconosciuta nel Concilio di Efeso del 431. La notizia storica è che il 5 di agosto corrisponde alla Dedicazione della Basilica chiamata Santa Maria Maggiore. Il 5 agosto rimase una festa locale fin quando, nel XIV secolo, se ne determinò la diffusione, un po’ in tutto l’Occidente, con il nome di Santa Maria della Neve. Il Papa Pio V iscriverà la festa del 5 agosto nel calendario romano generale proprio con il nome di Beata Vergine Maria della Neve. Nell’odierno calendario romano, è stata ripresa la denominazione originale, ossia Dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore, tralasciando ogni accenno al racconto immaginario della prodigiosa nevicata.

     
    D. – C’è un modo per coniugare leggenda e fede?

     
    R. – I contenuti sono diversi tra un racconto prodigioso, leggendario e i contenuti della fede. Contenuti diversi che parlano egualmente di prodigi: da una parte il prodigio di una nevicata, un segno che viene dal cielo, la Beata Vergine che chiede la costruzione di una Chiesa; dall’altra parte, il contenuto della fede legato a questa Basilica che è la Divina Maternità di Maria. E’ allora la Beata Vergine Maria il primo prodigio; la fede ci ricorda il prodigio della Beata Vergine Maria. Lei è diventata la casa di Dio, il tempio di Dio. Non deve sfuggire il fatto che la dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore ci ricorda questo grande prodigio che l’Onnipotente ha operato per la nostra salvezza e che è racchiuso nella Vergine Maria. E’ il grembo di Dio, la casa di Dio, il tempio di Dio: non possiamo sbagliarci se ricorriamo a Lei ogni volta che desideriamo incontrarci davvero con il Dio vivente. Commemorare la Dedicazione di Santa Maria Maggiore significa riscoprire il significato del vivere in Cristo, di diventare noi la dimora di Cristo in comunione sull’esempio della Madre di Dio.

     
    D. – La Basilica di Santa Maria Maggiore quale particolare significato racchiude per i romani?

     
    R. – Due sottolineature: certamente per i romani è il ricordo dell’importanza della Madre di Dio nella storia della nostra salvezza. La Basilica di Santa Maria Maggiore è la più antica Chiesa occidentale dedicata alla Madre di Dio; è un ricordo importante che riguarda la salvezza di ciascun uomo. La seconda sottolineatura o il secondo appello che proviene dalla Basilica di Santa Maria Maggiore credo che sia l’affidamento a Maria, certi di non restare delusi nelle proprie attese, proprio perché Lei è colei che è stata come la porta attraverso la quale Dio ha potuto incontrarsi con gli uomini. Per ritornare quindi ai romani di oggi, credo che la Dedicazione di Santa Maria Maggiore inviti a questa fiducia completa nei confronti della Madre di Dio in ogni circostanza, sapendo di venire esauditi nelle loro giuste richieste.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   La missione dei sacerdoti di fronte alla dittatura del relativismo: all’udienza generale Benedetto XVI sottolinea l’attualità della figura di san Giovanni Maria Vianney.

    Hai reso di nuovo gloriosa la natura umana oscuratasi in Adamo: in prima pagina, Manuel Nin sulla festa della Trasfigurazione nella tradizione bizantina.

    In rilievo, nell’informazione internazionale, l’Iran: Ahmadinejad si insedia davanti al Parlamento.

    “Qualsiasi ebreo in pericolo in Lei trovava pronta e cara protezione”: in cultura, l’esatta trascrizione della lettera scritta, l’8 dicembre 1945 a Venezia, da tre ebrei di Cracovia per ringraziare il loro salvatore, mons. Oddo Stocco, parroco di San Zenone degli Ezzelini (Treviso).

    Dalle cozze di Napoli una lezione di giornalismo; la correttezza dell’informazione messa a rischio dai pregiudizi: l’introduzione di Paolo Mieli, direttore della scuola di giornalismo dell’Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”, ai “Libri di Desk”, che raccoglie i risultati dell’inchiesta da lui affidata agli allievi sul tema “1973. Napoli ai tempi del colera”.

    Il perdono è un rischio che si può correre: Gaetano Vallini sul documentario “As we forgive” di Laura Waters Hinson, vincitore della seconda edizione del Fiuggi Family Festival.

    Un articolo di Timothy Verdon dal titolo “Quando il temibile diventa desiderabile”: nella croce gemmata di Sant’Apollinare in Classe una catechesi sulla Trasfigurazione.

    Se vuoi guarire mostra al medico la tua ferita: Inos Biffi su Sant’Ambrogio confessore misericordioso.

    La nevicata miracolosa a Santa Maria Maggiore (5 agosto 358): nell’intervista di Nicola Gori il cardinale Bernard Francis Law, arciprete della basilica Liberiana, ricorda un avvenimento caro ai romani.

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    Oggi in Primo Piano



    Pakistan: il martirio dei cristiani nel silenzio internazionale

    ◊   Nonostate sia tornata la calma è ancora massima allerta a Gojra, la cittadina pakistana del Punjab, teatro nei giorni scorsi di un terribile attacco contro la comunità cristiana da parte di fondamentalisti islamici. La polizia sta interrogando duecento persone sospettate di aver partecipato alle aggressioni che hanno causato la morte di otto cristiani. Una organizzazione locale per i diritti umani ha denunciato il fatto che le violenze non sono state spontanee ma premeditate e che dietro c'è Al-Qaeda. Intanto il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, con una lettera alla presidenza di turno svedese dell’Ue ha esortato l’Europa a lanciare un forte segnale contro le violenze anticristiane nel prossimo Consiglio dei ministri di settembre. Le aggressioni ai cristiani - ha affermato - si moltiplicano in tutto il mondo ed è arrivato il momento di dire basta. "La Ue non si può disinteressare – ha aggiunto - non può chiudere gli occhi". Ma per quale motivo in Pakistan i cristiani sono al centro di queste dure persecuzioni? Federico Piana lo ha chiesto Renzo Guolo, professore di sociologia delle religioni alle università di Padova e Torino:

    R. – Sia l’ambiente islamista radicale che i partiti religiosi più vicini a questi movimenti vedono nei cristiani una sorta di "presenza impura", nel senso che vi è quasi una sorta di equazione tra cristianità ed Occidente. Quindi, nella sostanza, questa sorta di equiparazione fa sì che i cristiani siano diventati bersagli. E’ chiaro che laddove vi sono movimenti che hanno una visione ideologica così rigida, così fondamentalista, i cristiani non sono considerate persone che condividono lo stesso riferimento al monoteismo, seppure in una tradizione religiosa diversa, ma sostanzialmente eretici come gli altri, che non condividono quella linea di discendenza religiosa. Questo elemento fa sì che diventino il bersaglio simbolico. Non vi sono tensioni che hanno a che fare con l’elemento politico, proprio perché la minoranza cristiana è una minoranza che vive pacificamente e non pone problemi nemmeno dal punto di vista della divisione del potere.

     
    D. – Professore, non pensa che di queste stragi se ne parli sempre troppo poco?

     
    R. – Sicuramente, perché sono stragi che in qualche modo vengono messe in secondo piano, rispetto a quelle che hanno obiettivi politici. Il problema riguarda in parte il Pakistan, in quanto tale, perché la situazione è talmente delicata che ciascuno cerca di non mettere troppa carne al fuoco rispetto a questo Paese, proprio perché sappiamo benissimo che è un Paese chiave, cerniera, nell’area, e che oltretutto è dotato di arma atomica e la sua caduta in mano a gruppi fondamentalisti sarebbe un problema internazionale molto, molto rilevante. Ma è evidente che c’è scarsa attenzione. E’ come se quello che avviene ai cristiani e ad alcune situazioni in cui sono in minoranza, come all’interno di taluni Paesi islamici, quasi passasse in secondo piano, non facesse notizia e si desse per scontato che sono una sorta di vittime obbligate, legate alla loro situazione e condizione in quel Paese. Invece sappiamo benissimo che non è così, e non deve essere così. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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    Don Ciotti: don Peppino Diana, martire della giustizia

    ◊   “Se sono stato causa di amarezza o ritenete che abbia offeso la memoria di vostro figlio, vi chiedo scusa”. Così Gaetano Pecorella, presidente della Commissione Ecomafie dopo le polemiche seguite ad alcune sue dichiarazioni su don Peppino Diana, il sacerdote ucciso dalla camorra quindici anni fa a Casal di Principe. Pecorella ha comunque parlato di “travisamenti e speculazioni politiche”. E don Luigi Ciotti, da anni impegnato nella lotta alla mafia, ieri ha pregato sulla tomba di don Peppino facendo visita ai genitori di colui che ha definito: “un martire della giustizia”. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

    R. – Io tutte le volte che passo da queste parti vado a casa di don Peppe Diana a incontrare Jolanda e Gennaro. Sono andato a dirgli che il loro figlio, come Giovanni Paolo II disse parlando delle vittime delle mafie, è “martire di giustizia”. Ho ricordato che il loro figlio è stato testimonianza di verità che non può essere negata e taciuta, una testimonianza cristiana per illuminare le coscienze ad assumersi una maggiore responsabilità civile. Don Peppino Diana è stato ucciso, lo ha testimoniato anche un collaboratore di giustizia, quello che gli ha sparato per il suo coraggio, perché disturbava per le sue parole chiare e determinate ai clan. Proprio alla sua gente lui aveva detto pochi giorni prima: “La camorra ha assassinato il nostro Paese, noi la si deve far risorgere, bisogna risalire sui tetti a riannunciare la Parola di vita”.

     
    D. - Sei andato anche a Castel Volturno, dove sorgerà la Cooperativa “Le terre di don Peppe Diana - Libera Terra”. Cos’è questa realtà?

     
    R. – Sulla tomba di don Peppino c’è scritto: “Dal seme che muore fiorisce una messe nuova di giustizia e di pace”. Sui beni confiscati ai clan della camorra stanno nascendo delle cooperative. La prima cooperativa si chiama proprio “Le terre di don Peppe Diana”. “Cooperative” vuol dire con un bando pubblico e poi lavoro vero per i giovani di questa terra. Questa è la grande scommessa: la dimensione educativa. La sfida culturale è inventarci il lavoro.

     
    D. - “La mafia - ripeti spesso - si può sconfiggere”. Cosa bisogna fare per realizzare questo obiettivo?

     
    R. – Ognuno deve assumersi di più la propria parte di responsabilità. Le mafie assassinano la speranza: noi dobbiamo alimentarla dandoci da fare. La credibilità e l’autorevolezza di questi progetti che si portano avanti in tutta Italia non si misurano dalla risonanza pubblica o dall’attenzione mediatica che riescono a suscitare ma dalla capacità di lasciare una traccia duratura nel tempo. Questi beni confiscati, il lavoro di questi giovani - sono oltre 2.500 - che da ogni parte di Italia e del mondo vanno durante l’estate sui campi confiscati alla mafia a impegnarsi, sono tracce durature nel tempo. E’ quel testimone che, don Peppino diceva a don Puglisi e a tanti altri, ci hanno consegnato.

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    Al via la missione diplomatica in Africa di Hillary Clinton

    ◊   E’ iniziato in Kenya il tour africano del segretario di Stato americano, Hillary Clinton, che visiterà altri sei Paesi del Continente. Durante la missione diplomatica verranno affrontati in maniera globale i problemi che affliggono l’Africa. Si passa dalle questioni dello sviluppo alla stabilità politica, dalla lotta alla povertà al contrasto dell’Aids. Non a caso, l’inizio della missione di Hillary Clinton coincide con l’apertura dei lavori a Nairobi della Conferenza sullo sviluppo organizzata dal Programma americano per la crescita e l’opportunità dell’Africa. Sulle ragioni dell’impegno dell’amministrazione Obama verso il Continente africano Stefano Leszczynski ha intervistato Luca De Fraia, segretario generale aggiunto dell’organizzazione non governativa Actionaid.

    R. – La conferenza che si sta svolgendo adesso a Nairobi è incentrata sugli scambi commerciali tra Stati Uniti e Africa. Bisognerà capire se ci sono condizioni migliori che gli Stati Uniti potranno offrire al Continente.

     
    D. – L’Africa deve riuscire ad uscire dal circolo vizioso della povertà impegnandosi con le proprie forze. Questo è possibile?

     
    R. – L’Africa è cambiata molto in questi anni: è bene ricordare che prima della crisi era un Continente che viaggiava ad un ritmo di crescita economica superiore al 5 per cento e al 6 in alcuni casi, con un miglioramento degli indicatori macro-economici. In questo senso, dunque, ci sono parecchi segnali positivi.

     
    D. – L’Africa è da parecchio tempo al centro delle preoccupazioni internazionali per le conseguenze della crisi economica. Allo stesso tempo, però, sembra che ci sia un po’ una corsa a sconfiggere la concorrenza del gigante cinese che ha messo ormai piede in modo molto saldo nel Continente africano …

     
    R. – Come è stato ricordato in diverse occasioni, ormai la Cina ha sviluppato in maniera notevole la propria presenza nel Continente: è il secondo partner commerciale, proprio dietro gli Stati Uniti. E’ un segno dei tempi. Vuol dire anche che il Continente africano, con le sue ricchezze, è tornato al centro non soltanto degli interessi della politica e dell’agenda dello sviluppo, ma anche degli interessi in generale degli attori principali di questo nostro mondo globalizzato. Questo è positivo perché vuol dire che in Africa ci sono le ricchezze. Ci sono quindi le potenzialità affinché queste ricchezze naturali possano essere poi un patrimonio per tutto il Continente e che quindi altra ricchezza possa essere generata e condivisa da tutta la popolazione. Però le migliori capacità di governo sono un elemento fondamentale affinché, appunto, questa crescita e questa condivisione della ricchezza siano possibili.

     
    D. – Una condivisione della ricchezza in un Continente dove ancora oggi è molto forte il dramma della fame: un tale interessamento da parte dei Paesi più sviluppati alle risorse africane potrà essere utile per ridurre tale flagello o addirittura per sconfiggerlo?

     
    R. – Per battere la fame servono risorse interne. C’è bisogno di mobilitare risorse domestiche a livello dei Paesi ma anche risorse esterne. E anche su questo è opportuno ricordare che non è un caso che proprio Obama sia stato uno dei leader che ha più spinto, al G8 dell’Aquila, per creare una nuova iniziativa per la sicurezza alimentare!

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    Dialogo tra scienza e religioni nella società digitalizzata al centro della seconda giornata di Tonalestate

    ◊   Uomini di scienza e di religione, umanisti e artisti seguono gli incontri di Tonalestate, la kermesse di incontri e dibattiti che si è aperta ieri al passo del Tonale, in Provincia di Trento, e che proseguirà fino al 7 agosto anche a Ponte di Legno. Ad offrire riflessioni ed esperienze di impegno sociale sono personalità e giovani di diverse religioni e Paesi. Il servizio di Fausta Speranza.

     
    Un “evoluto selvaggio”: è una delle espressioni usate per parlare dell’essere umano a Tonalestate. La riflessione spazia dagli aspetti scientifici, a 200 anni dalla nascita di Darwin, a quelli filosofico-teologici. Tra i relatori uomini di cultura e di Chiesa e anche esponenti di altre religioni. Padre Marc Leclerc, professore di filosofia all’Università Gregoriana, ha offerto il suo contributo di pensiero sulla peculiarità dell’uomo. Lo sintetizza così al microfono di padre David Gutierrez responsabile dei programmi in lingua spagnola della nostra emittente:

     
    R. - L’uomo è la mediazione culturale tra la scienza e la fede. Possiamo partire dal mistero dell’uomo essenzialmente nella prospettiva pascaliana per provare di capire un po’ le varie dimensioni dell’umanità dell’uomo. L’uomo è sempre capace del peggio e del meglio, cerca l’unità e la pace ma si trova diviso in se stesso in mille modi. A partire da questa pluridimensionalità vediamo anche come l’uomo non si possa minimamente ridurre alla sua dimensione scientifica, che sarebbe la contraddizione dello scientismo, ma invece si deve prendere in tutte le sue dimensioni. La vera mediazione culturale si apre nel ricordarsi che sia la scienza che la fede fanno parte in un qualche modo anche della cultura. Non c’è una scienza separata, né una religione che sia staccata da tutto, ma c’è una cultura scientifica, come c’è pure una cultura religiosa e quindi a livello culturale bisogna riavviare il dialogo.

     
    D. - Come può agire la fede?

     
    R. - Non parlo da teologo ma proprio da filosofo. E mi pare che il punto di vista razionale sia necessario per parlare un linguaggio che tutti gli uomini - almeno potenzialmente - possano sentire. Credo che, seguendo tra l’altro il pensiero di Maurice Blondel, possiamo mostrare la radicale insufficienza dell’uomo in se stesso, la sua limitazione. L’uomo ha sempre il desiderio infinito ma anche sempre la consapevolezza della sua finitezza, della sua piccolezza, quindi della presa di coscienza della propria insufficienza. Ecco dunque la necessità che abbiamo di aprirci a quello che ci supera, quindi dall'imanenza alla trascendenza. Di fronte a ciò che definiamo “l’unico necessario”, cioè Dio, in noi si apre un’alternativa radicale. L’uomo, cioè, si trova libero fondamentalmente di fronte a Dio e deve scegliere tra la chiusura volontaristica nella pretesa autosufficienza - che è una pura illusione che lo autocondanna - e l’apertura alla trascendenza tramite l’umile riconoscimento della propria limitatezza, della propria insufficienza. Allora lì si apre ciò che Blondel chiama “l’ipotesi del soprannaturale”: ipotesi dal punto di vista filosofico, che poi va verificata dal punto di vista della fede personale, dell’azione, della vita concreta di ciascuno.

     
    Non si può guardare oggi alle potenzialità e alla ricchezza dell’uomo creato a immagine di Dio senza considerare l’attuale contesto della società digitalizzata. Lo ribadisce Mons. Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali - sempre al microfono di padre David Gutierrez - ricordando il Messaggio del Papa sulle nuove tecnologie:

     
    R. – E’ innegabile che oggi i mezzi di comunicazione sociale apportino un grande contributo al cammino dell’uomo, al cammino della società. Oggi i mezzi di comunicazione sociale hanno una grande potenzialità, per favorire solidarietà, dialogo, amicizia. Il Santo Padre sa perfettamente quali sono i limiti delle tecnologie di oggi, però credo che nel suo ultimo Messaggio abbia voluto sottolinearne innanzitutto la positività, perchè i mezzi di comunicazione oggi sono una grande opportunità.

     
    D. – In questo incontro abbiamo tanti ragazzi, tanti giovani venuti da diverse parti del mondo, dal Giappone, dall’America Latina e da altri posti. E’ chiaro che per la gioventù il fatto tecnologico sia qualcosa di molto naturale, ma ci sono rischi…

     
    R. – Ci accorgiamo sempre di più che il problema non è solamente la tecnologia, ma l’attenzione deve essere portata ai contenuti. La tecnologia in sé è solamente un’opportunità. Poi dipende dall’uomo valutare come utilizzare i mezzi che la tecnologia di oggi pone a sua disposizione. Ecco perché il Santo Padre sottolinea che bisogna promuovere una cultura di dialogo, di rispetto. Oggi c’è nel mondo una grande attenzione alla 'connessione'. Oggi siamo più preoccupati di essere ‘connessi’ che di dare un significato ai contenuti della nostra connessione. E’ uno dei grandi rischi che, ad esempio, i giovani oggi si trovano di fronte. E’ una generazione digitale. Il rischio che si corre oggi è quello di avere una grande amicizia virtuale ma dimenticando la comunità che vive accanto a noi, con la quale bisogna instaurare un rapporto di solidarietà, di condivisione, sui grandi valori dell’uomo.

     
    Nella giornata di oggi trova spazio anche il dialogo tra le fedi, con la partecipazione di Dalil Boubakeur della Moschea di Parigi e del rabbino Daniel Rossing del Jerusalem Center for Jewish-Christian relation, che - al microfono di padre Gutierrez - parla della situazione in Terra Santa ricordando anche il viaggio di Benedetto XVI:

     
    R. – Whereas there is quite a developed dialogue…
    Mentre esiste un dialogo abbastanza avanzato in Occidente tra il mondo ebraico e il mondo cristiano, in particolare il mondo cattolico, nella stessa Terra Santa c’è un piccolo dialogo locale tra i cristiani locali e la popolazione ebraica. Quindi ci troviamo ad uno stadio iniziale, ad uno stadio pionieristico dello sviluppo di questo dialogo nella Terra Santa stessa. Ci sono vari aspetti che hanno caratterizzato la visita di Papa Benedetto XVI. Ci sono stati alcuni aspetti controversi per quanto riguarda l’aspetto interreligioso della visita, ma era chiara e manifesta l’intenzione di Benedetto XVI di raggiungere musulmani ed ebrei. E penso che il messaggio ai leader politici sulla necessità di favorire una pacifica convivenza tra tutti sia stato veramente chiaro e ben espresso dal Santo Padre.

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    Chiesa e Società



    Bangladesh: minacce di morte alla famiglia di un giovane convertitosi al cristianesimo

    ◊   Gravi minacce di morte a Dhaka, in Bangladesh, per la famiglia di un giovane convertitosi al cristianesimo. Un gruppo estremista islamico, messo fuori legge per le sue posizioni violente, ha intimato al padre di “sacrificare” il ragazzo “che ha gettato discredito sull’intera comunità di appartenenza”, minacce – ritengono gli esperti – che non vanno sottovalutate. Ma, contattato da Asianews, l’uomo dichiara: “Non osiamo neanche andare alla polizia per sporgere denunzia”. Il giovane, Rashidul Amin Khandaker, si era recato in Australia dopo la laurea per espandere l’attività commerciale del padre. Qui ha conosciuto il cristianesimo ed è stato attratto dalla bellezza della fede cristiana. Il 26 luglio 2008 ha ricevuto il battesimo da padre Dominic Ceresoli, parroco della chiesa Santa Teresa nell’arcidiocesi di Sidney. Per questo la sua famiglia ha dovuto affrontare la disapprovazione e l’emarginazione da parte della propria comunità. Poi, le minacce di morte. Il padre di Rashidul, colpito da un colpo apoplettico e rimasto in parte paralizzato alla notizia, oggi considera “i cristiani come gli amici più prossimi degli islamici”. (S.G.)

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    Turchia: aggredito un cristiano che distribuiva Bibbie

    ◊   Un giovane attivista cristiano è stato aggredito e minacciato con un coltello alla gola mentre distribuiva Bibbie in una via di Istanbul. L'episodio, ultimo di una lunga serie di manifestazioni di intolleranza religiosa, è avvenuto sotto gli occhi di decine di passanti nel quartiere di Kadikoy, sulla sponda asiatica della megalopoli turca. L'aggressore, Yasin Karasu, 24 anni, venditore ambulante di cd piratata, si è improvvisamente scagliato contro il trentacinquenne Ismal Aydin. Karasu ha coperto il capo di Aydin con una bandiera turca, dopo di che gli ha puntato un coltello alla gola gridando, secondo quanto riferito dal quotidiano Haber Turk: “Questa è Turchia, non puoi venire a distribuire le tue Bibbie qui”. Il giornale afferma che Karasu conosceva Aydin e riferisce che, dopo una ventina di minuti, l'aggressore si è arreso alla polizia. Nel 2006 – lo ricordiamo – il sacerdote italiano, don Andrea Santoro, missionario in Turchia, venne ucciso nella chiesetta cattolica di Trabzon. L’anno successivo tre pastori protestanti, un missionario tedesco e due turchi convertiti, vennero brutalmente assassinati a Malatya. (S.G.)

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    Burundi: appello dei vescovi per elezioni trasparenti e pacifiche

    ◊   Chiedono “una legge elettorale che preservi la pace, la trasparenza e un voto senza brogli” i vescovi del Burundi, preoccupati da un clima politico teso in vista di elezioni generali programmate per l’anno prossimo. “Temiamo che la popolazione possa non essere totalmente libera di esprimere le proprie scelte, considerati gli atti di intimidazione già subiti e il gran numero di armi tuttora illegalmente detenute nel Paese”, hanno scritto i vescovi in una lettera pastorale diffusa in tutte le parrocchie burundesi e ripresa dalla Misna. I presuli hanno invitato i cittadini a “chiedersi se i dirigenti eletti nel 2005 hanno mantenuto le promesse elettorali, in particolare nell’ambito dei diritti umani, della sicurezza, della gestione del bene comune…”. Il dibattito sul nuovo codice elettorale ha fatto molto scalpore in seno al Consiglio dei ministri nelle ultime settimane: cinque ministri del Fronte per la democrazia in Burundi (Frodebu, all’opposizione) hanno rassegnato le dimissioni in segno di protesta contro un testo che, sostengono, favorisce il solo partito presidenziale; dello stesso parere sono altre formazioni e parte della società civile. Dopo gli accordi di pace di Arusha (2000) e un periodo di transizione, nel 2005 è stato democraticamente eletto alla presidenza Pierre Nkurunziza del Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia-Forze per la Difesa della Democrazia (Cndd-Fdd), principale ramo della ribellione armata convertito in partito politico. (S.G.)

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    Argentina: la Chiesa contraria al progetto di riforma dell'educazione

    ◊   La riforma in tema di educazione in Argentina non può prosperare se la futura legge in via di promulgazione non poggerà sull'autentica realtà umana e, innanzitutto, sul diritto naturale e inalienabile della persona. E’ quanto sostiene mons. Héctor Rubén Aguer, arcivescovo di La Plata e presidente della Commissione per l'educazione cattolica della Conferenza episcopale argentina. Il presule – rende noto l’Osservatore Romano - esprime il proprio disappunto sulle linee guida dei manuali in materia di educazione sessuale e per la prevenzione dell'Hiv e dell'Aids, distribuiti dai ministeri dell'Istruzione e della Salute della presidenza nazionale nelle scuole pubbliche e private. Mons. Héctor Rubén Aguer sottolinea, inoltre, che le riforme in tema di educazione in Argentina troppo spesso sono progettate “da ideologi spesso inesperti, condizionati dalle mode e dalle teorie del momento che rifiutano di aderire alla tradizione culturale del Paese e alle esigenze specifiche del loro popolo”. Secondo l'arcivescovo di La Plata occorre progettare una “filosofia dell'educazione fondata su una retta antropologia, su una corretta concezione dell'uomo alla luce dei valori inalienabili della persona”. Anche secondo Juan Carlos Caprile, docente di bioetica presso l'Università Cattolica di La Plata (Ucalp), il manuale per formatori in educazione sessuale e di prevenzione dell'Hiv/Aids “contiene realtà gravemente compromettenti la dignità e la privacy di ogni essere umano”. Il docente suggerisce di “evidenziare i veri valori della persona umana, esaltando la dimensione della trascendenza”. Si tratta di riscoprire la realtà umana personale, la dimensione etica e spirituale della sessualità. Un'educazione coerente - aggiunge - non può prescindere dalla “insopprimibile dimensione dell'amore, che significa accoglienza reciproca, rispetto e condivisione di vita”. “Attraverso un'educazione sessuale e umanizzata, secondo la visione antropologica cristiana che pone al centro la persona — conclude il docente — si riconosce e si valorizza la complessa armonia di una vita nella quale vi è la continuità tra fattori biologici, psicologici e spirituali”. (A.L.)

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    Colombia: mobilitazione dei cattolici contro la costruzione di una clinica abortista

    ◊   Faranno fronte comune i movimenti e le associazioni cattoliche della Colombia contro l’intenzione di costruire, con fondi pubblici, una clinica abortista a Medellín. La mobilitazione – si legge sull’Osservatore Romano – si avvale di un centro organizzativo e di documentazione, denominato “Formatori dell’opinione pubblica”. La sensibilizzazione sulla cultura della vita e la lotta contro le ideologie di morte rappresentano il suo primo obiettivo. La clinica – secondo il centro – dovrebbe costare otto milioni di dollari e favorire, oltre all’aborto, l’uso dei contraccettivi tra i giovani. I cattolici colombiani, nell’opporsi a tale progetto, richiamano le parole di Benedetto XVI sul diritto di ogni essere umano alla vita, diritto universale basato “sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà” e dunque non restringibile alle singole e diverse prospettive sociali, politiche e religiose. (S.G.)

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    I funerali di Corazon Aquino: in migliaia per l'ultimo saluto

    ◊   Oltre centomila persone si sono radunate stamani nel centro di Manila, sotto una pioggia scrosciante, per dare il loro ultimo saluto alla madre della democrazia nelle Filippine, l'ex Presidente Corazon Aquino, morta di tumore lo scorso 31 luglio, all’età di 76 anni. Mentre nell'antica cattedrale della città, alla presenza di numerose personalità politiche, diplomatiche e religiose, si sono celebrati i funerali, migliaia di persone vestite di giallo, il colore politico della leader filippina, seguivano la funzione dai due maxischermi all’esterno e attendevano il feretro. Al termine della cerimonia, infatti, una processione di due chilometri ha accompagnato Corazon Aquino al cimitero, dove è stata sepolta accanto al marito Benigno, assassinato su ordine del dittatore Ferdinando Marcos nel 1983. La figlia dell'Aquino, Kristina Bernadette Yap, ha ringraziato i partecipanti, rivelando che le ultime parole della madre – “prendetevi cura a vicenda” – “non erano riferite solo alla nostra famiglia, ma a tutta la nazione”. Alla cerimonia ha partecipato anche la presidente attuale, Gloria Arroyo. Messe di suffragio si sono celebrate oggi nelle chiese di tutto il Paese. (S.G.)

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    Sri Lanka: l'arcivescovo Ranjith prende possesso della diocesi di Colombo

    ◊   È con “grande speranza” e con “letizia” che dopo anni nel servizio della Santa Sede, gli ultimi tre e mezzo come segretario della Congregazione per il Culto Divino”, il neo arcivescovo di Colombo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, prende oggi possesso della diocesi srilankese, per lui un ritorno alla terra d’origine. In una lunga intervista apparsa oggi sul quotidiano Avvenire, il presule esprime gioia e soddisfazione per la recente conclusione del conflitto interno nel Paese, ma aggiunge: “Ciò non significa necessariamente una pace vera e duratura. Un conto è vincere una guerra, un altro guadagnare la vittoria dei cuori. È qui che sarà necessario un processo per ricostruire l’armonia tra le due etnie, i cingalesi e i tamil”. Qui, spiega, subentra il ruolo pacificatore e di mediazione della Chiesa, un ruolo ben visto dalle altre religioni, ad eccezione di “alcuni settori dell’intellighenzia buddista che ci guardano con sospetto”. Si tratta di quei settori “che da tempo propugnano la promulgazione di una legge contro le conversioni”. Poi, il bilancio del mandato appena concluso, a partire dai profondi sentimenti di gratitudine verso Benedetto XVI per un’esperienza che “mi ha arricchito tanto, allargando gli orizzonti e facendomi gustare il mistero di quel legame intimo tra la Chiesa ed il Signore e la Sua azione santificatrice per mezzo di essa, spesso nel silenzio, con pazienza e nonostante le difficoltà, ostacoli e diversità di vedute umane che travolgono anche i suoi discepoli”. (S.G.)

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    Il presidente dell'Ua: l'Africa risorgerà solo nell'unità

    ◊   I modelli di sviluppo occidentali e la globalizzazione stanno provocando in Africa “la crisi più profonda registrata nel continente dalla fine del regno coloniale”: parola di Jean Ping, presidente della Commissione dell’Unione Africana (UA), nonché uomo politico e diplomatico africano di lungo corso. In un’intervista a ‘Afrik.com’, diffusa dalla Misna, Ping presenta il saggio “L’Africa risplenderà in tutta la sua grandezza” pubblicato in questi giorni sul mercato francese dalla casa editrice Harmattan, nel quale vengono ripercorsi gli ultimi 50 anni della tumultuosa storia politica ed economica di quest'area del mondo. Nonostante evidenzi ripetutamente le minacce che pesano sullo sviluppo dell’Africa, Ping non cede all’”afropessimismo” e invita il continente e i suoi dirigenti a “risvegliarsi”. Citando Umberto Eco, Ping sostiene che l’Africa si muove con “il passo del gambero”: “Attraverso l’analisi storica - scrive - ho constatato che dopo l’indipendenza il continente ha registrato passi in avanti e repentini passi indietro. Oggi, e questo periodo è iniziato dopo la caduta del muro di Berlino, siamo in una fase di passi indietro” dice Ping ad Afrik.com. Colpa, soprattutto della globalizzazione. L’economista gabonese ritiene, infatti, che la rinascita del continente debba partire dalla ricostruzione del ruolo centrale dello Stato nelle scelte politiche ed economiche di ogni singolo Paese africano, contemporaneamente a un rilancio del concetto di panafricanismo. “L’imperativo dell’unità del continente si impone. Nessuno Stato è in grado di far ascoltare la sua voce da solo, insieme, però, possiamo cambiare le cose”. (S.G.)

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    Inizia oggi la 62. ma edizione del Festival di Locarno

    ◊   Sarà una commedia romantica ad aprire la 62. ma edizione del Festival di Locarno. Il film di Marc Webb, “500 giorni insieme” verrà proiettato stasera alle 21.30 in Piazza Grande, dove già da oggi pomeriggio, alle 17, inizieranno i festeggiamenti presso l'Auditorium Fevi: un evento co-organizzato dal Festival e dalla Union of Film Music Composers Switzerland (UFMC) per celebrare il “centenario della Musica da Film”. Nei prossimi giorni nella cittadina del Canton Ticino verranno proiettati 180 lungometraggi e 210 corto e mediometraggi, suddivisi in una decina di sezioni. Nella sezione “Ici & Ailleurs” su documentari e film d’arte italiani, sarà presentata anche un’opera di Gianfranco Mingozzi intitolata “Noi che abbiamo fatto la Dolce Vita”, un omaggio importante al mezzo secolo del film di Fellini. (S.G.)

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    24 Ore nel Mondo



    Iran: polizia contro dissidenti durante il giuramento di Ahmadinejad

    ◊   Il presidente iraniano Ahmadinejad ha prestato giuramento stamani davanti al Parlamento di Teheran per il suo secondo mandato. Nel frattempo, centinaia di manifestanti si sono ritrovati per le strade della capitale, ma sono poi stati dispersi dalla polizia: arrestato uno dei più stretti collaboratori del leader dell'opposizione, Moussavi. Nel proprio discorso, Ahmadinejad ha detto che le elezioni del 12 giugno, fortemente contestate dalle opposizioni, hanno segnato “l’inizio di importanti cambiamenti in Iran e nel mondo”, ribadendo inoltre la “resistenza” della Repubblica islamica nei confronti di quelli che ha definito “Paesi oppressori”. Sulle ragioni di questa nuova presa di distanza dell’Iran rispetto all’esterno, Giada Aquilino ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze:

    R. – Perché Ahmadinejad è un radicale che trova conforto e rafforzamento dal porsi come elemento di difesa del Paese contro chi, dall’esterno, vuole rovinare l’Iran, però è una presidenza che inizia in modo molto debole, non solo per l’opposizione in piazza e anche all’interno, ma soprattutto perché Ahmadinejad sarà, nel suo secondo mandato, un presidente zoppo di un Paese profondamente spaccato.

     
    D. – Che Paese è, oggi, l’Iran?

     
    R. – C’è una spaccatura generazionale, perché i giovani non hanno votato per Ahmadinejad; c’è una spaccatura tra conservatori e radicali, curiosamente uniti, da una parte, e i riformisti dall’altra, e in mezzo ci sono i moderati che sono inorriditi per i metodi della repressione. C’è una spaccatura economica perché intorno alle guardie della rivoluzione, che hanno così ostinatamente portato avanti Ahmadinejad, c’è un impero economico che è a scapito degli altri settori economici del Paese.

     
    D. – In questi giorni si è parlato di sanzioni, si è parlato di bomba atomica … insomma, l’Iran dove va nei prossimi mesi?

     
    R. – Dal punto di vista della bomba atomica, è veramente ad un bivio, perché da una parte, un Paese così spaccato non può permettersi una politica estera molto attiva, dall’altra, c’è il rischio che la leadership di Ahmadinejad possa avventurarsi su questo terreno per essere più coesa al proprio interno. Sicuramente, il presidente ha davanti a sé due immediati problemi: deve innanzitutto formare un governo, e lì le divisioni interne al suo gruppo verranno automaticamente fuori; e poi, tra pochissimi giorni riprende il processo contro i dissidenti di altro profilo e anche questo sarà occasione per ulteriori discussioni. E’ un Paese profondamente spaccato …

     
    Afghanistan
    È messa a dura prova, in questi giorni, la sicurezza in Afghanistan, alla vigilia delle presidenziali del 20 agosto. Attacchi degli integralisti si registrano infatti in tutto il Paese. Le forze internazionali hanno bombardato posizioni dei talebani nella provincia di Kandahar, causando la morte anche di quattro civili, fra cui tre bambini. Inoltre un ordigno è esploso su una strada della provincia orientale di Nangarhar, alla frontiera con il Pakistan, uccidendo cinque persone. Intanto è giunto a Kabul per una visita a sorpresa il neo segretario del Nato Rasmussen. Nell'agenda della missione, incontri con i vertici militari, con il presidente Karzai e con altri tre candidati alle elezioni presidenziali.

    Rapiti pellegrini sciiti in Iraq
    Undici pellegrini sciiti iracheni e il loro autista sono stati rapiti stamattina durante il viaggio verso la meta sacra di Kerbala, a sud di Baghdad. Venerdì migliaia di pellegrini sciiti si raduneranno, infatti, per commemorare l'anniversario della nascita del Mahdi, il12.mo imam scomparso nell'874 di cui i musulmani sciiti attendono il ritorno. Cinque poliziotti sono stati uccisi e altre otto persone sono rimaste ferite la scorsa notte dall'esplosione di un ordigno nella parte sud di Baghdad.

    Palestina: congresso al Fatah
    La grave crisi interna palestinese e la creazione di uno Stato indipendente. Questi i temi centrali del Congresso del movimento di al Fatah, apertosi ieri a Betlemme con l’intervento del presidente dell’ANP, Abu Mazen. Nei rapporti con Israele, confermata la linea del dialogo, ma è tornato in primo piano anche il diritto alla resistenza in caso di fallimento negoziale. Intanto, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barack ha annunciato l’imminente presentazione di un piano di pace elaborato con gli Stati Uniti.

     
    Missione di Bill Clinton in Corea del Nord
    Stanno bene e stanno tornando a casa le due giornaliste americane rilasciate ieri, dopo centoquaranta giorni di prigionia, in Nord Corea al termine della negoziazione portata avanti dall’ex presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton. Congratulazioni dalla Cina e dal Giappone, soddisfatta Washington che attende ora l’apertura da Pyongyang anche in materia di nucleare. A fronte di questo esito positivo però almeno altri due casi problematici che vedono giornalisti incarcerati in Sudan e in Iran, proprio nelle ore in cui a Mosca riprende il processo per l’omicidio di Anna Politkovskaia. Per un commento alla missione di Bill Clinton, Gabriella Ceraso ha sentito Mimmo Candito, presidente di Reporter senza Frontiere in Italia.

    R. - Il nostro giudizio è assolutamente positivo e grato al presidente Clinton per il suo intervento. Siamo consapevoli che se non si ottengono questi risultati ci sono sempre dei prezzi politici che sono stati pagati. Non sappiamo quali siano, a noi fino a questo momento non interessano direttamente. Manifestiamo soltanto la consapevolezza che il compromesso porta dei risultati. Noi ovviamente vigiliamo sulla estensione di questo compromesso.

     
    D. - Altro fronte caldo per i giornalisti in carcere è l’Iran. In questo momento forse lì la mediazione è più difficile di quanto è accaduto in Nord Corea…

     
    R. - Si tratta anche qui di un bilanciamento politico fra interessi contrapposti. Noi sappiamo che il regime coreano è soprattutto interessato a un rapporto con gli Stati Uniti per poterne ricevere aiuti diretti. Per quanto riguarda Teheran, a livello diplomatico e a livello sotterraneo, sicuramente sono stati già avviati dei contatti. A quale punto questi siano giunti ancora nessuno di noi lo sa, però non vi è dubbio che l’Iran è in questo momento forse la più grande prigione per giornalisti che esista al mondo. Finora era stata Cuba con 24 giornalisti detenuti, adesso è l’Iran con quasi 40 giornalisti ma bisogna prestare attenzione anche a Paesi nei quali - pur non essendo regimi totalitari che reprimono e mandano in prigione i giornalisti - la libertà di stampa viene minacciata forse con forme meno evidenti ma sicuramente presenti ugualmente.

     
    D. - In questo momento anche in Sudan c’è una giornalista incarcerata per i diritti delle donne…

     
    R. - Per quanto riguarda il Sudan sappiamo che è una situazione già fortemente critica dal punto di vista del rispetto dei diritti. Sappiamo come il presidente sia stato sottoposto a giudizio dalla corte internazionale penale, quindi non vi è dubbio che il quadro lì è drammaticamente a rischio per quanto riguarda la possibilità di espressione del pensiero.

     
    R. - Carcere ma anche qualche processo. In Russia si riapre oggi quello per i tre imputati ceceni accusati del delitto di Anna Politkovskaya. Come valuti l’andamento di questo processo?

     
    R. - Con molto scetticismo. Non vi è alcuna assunzione di responsabilità da parte di larghi strati della società russa, nemmeno da parte delle autorità e delle istituzioni. Voglio ricordare che da quando Putin controlla direttamente o indirettamente il potere sono stati ammazzati più di 22 giornalisti senza che sia stato mai trovato né il colpevole, né il mandante. Questo rientra all’interno delle forme di contraddizione che i regimi formalmente democratici, ma nei fatti poi pesantemente autoritari e repressivi, consentono di sviluppare.

     
    Georgia
    Con l’avvicinarsi del primo anniversario della guerra del Caucaso, sale pericolosamente la tensione fra Georgia e Russia, con accuse reciproche di attacchi e provocazioni. Ieri le truppe di Mosca dislocate nella regione separatista dell’Ossezia del Sud hanno rafforzato la vigilanza lungo il confine con il territorio georgiano ed esponenti della diplomazia russa hanno garantito una dura risposta se Tbilisi continuerà nelle sue “provocazioni”. A smorzare i toni della contesa è però arrivata, intanto, la telefonata tra il presidente russo, Dimitri Medveded, e quello americano, Barack Obama, che si sono detti d'accordo sulla necessità di ridurre la tensione nel Caucaso.

    L’influenza A-H1N1 potrebbe contagiare 2 miliardi di persone
    Nuovi Paesi sono stati iscritti dall'Organizzazione mondiale della Sanità di Ginevra nella lista dei 168 già colpiti dall’influenza. Si tratta di Azerbaijan, Gabon, Grenada, Kazakistan, Moldova, Monaco, Nauru, Swaziland, e Suriname. La pandemia potrebbe contagiare due miliardi di persone secondo la portavoce dell’Oms, che per quanto riguarda la resistenza agli antivirali ha precisato, invece, che finora sono stati osservati sei casi in Danimarca, Hong Kong, Canada e Giappone. In Messico, il Paese più colpito dal virus A-H1N1, sono stati registrati più di 1.100 nuovi casi di contagio negli ultimi cinque giorni.

    Scontri per il referendum in Niger
    L’alto tasso di partecipazione al referendum in Niger indetto dal presidente Mamadou Tandja dovrebbe, secondo i primi risultati, permettere a Tandja di restare in carica a tempo indeterminato. Da ieri però disordini e scontri tra polizia e dimostranti sono scoppiati in diverse località del Niger e numerosi militanti dell'Alleanza per la Democrazia e il Progresso, una delle maggiori formazioni della dissidenza, sono stati arrestati. In base alla Costituzione del Paese africano, Tandja dovrebbe lasciare la carica di presidente il 22 dicembre prossimo ma se il verdetto referendario sarà positivo, i suoi poteri verranno prorogati di un triennio dopo il quale sarebbe legittimato a guidare il Niger a vita.

    Strage negli Stati Uniti
    Prima spara contro una classe di aerobica in una palestra nei sobborghi di Pittsburgh, negli Stati Uniti, poi si suicida. L’uomo, di cui non si conosce l’identità, ha ucciso quattro donne e altre dieci hanno riportato gravi ferite. Secondo alcuni testimoni sono stati sparati 12-15 colpi contro quaranta donne che si trovavano all’interno della palestra. La polizia sta lavorando per identificare le vittime.

    Cina: uighuri, convalidati primi 83 arresti
    In Cina sono stati convalidati ieri i primi 83 arresti dopo i violenti scontri etnici dello scorso luglio nella regione dello Xinjiang, in cui sono rimaste uccise 197 persone. Le accuse, riferiscono alcune agenzie di Pechino, vanno dall’incendio doloso, all’aggressione, all’omicidio. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Mariella Pugliesi)

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 217

     
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