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Sommario del 21/10/2008

Il Papa e la Santa Sede

  • Presentato nell’Aula del Sinodo, alla presenza del Papa, il testo provvisorio con le proposizioni finali dell’assise. Sabato prossimo, il voto sul testo definitivo. Intervista con mons. Vincenzo Paglia
  • Nomina
  • Preservare la dignità del malato, favorendo la solidarietà tra il medico e il paziente: il commento del prof. Vincenzo Saraceni, all’indomani del discorso del Papa ai chirurghi
  • Diplomazia e dialogo, validi mezzi per dirimere i conflitti e ristabilire la pace: lo afferma in un messaggio il Papa, a 30 anni dalla mediazione di Giovanni Paolo II nella crisi tra Argentina e Cile
  • La Chiesa è chiamata a rispondere alle sofferenze di chi vive in strada: intervento di mons. Marchetto in Colombia all'Incontro latinoamericano di Pastorale della strada
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • In Belgio, inaugurata la Conferenza cristiano-musulmana, promossa dalla Conferenza delle Chiese europee e dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Intervista con mons. Sudar
  • In Eritrea, ordinata l’espulsione di 4 missionari cristiani. Preoccupazione per la Chiesa locale. La testimonianza di padre Giovanni Battista Magoni
  • Iniziato ad Assisi il Convegno annuale dei cappellani militari. Intervista con l'ordinario per l'Italia, mons. Vincenzo Pelvi
  • Non sarà pandemia, ma l’influenza di quest’anno presenterà tre nuovi virus. Il prof. Roberto Cauda della Cattolica raccomanda il vaccino per alcune categorie sociali
  • Chiesa e Società

  • Cristiani del Pakistan condannano le violenze in India
  • Sicurezza ristabilita a Mosul. L’esercito iracheno invita i cristiani a tornare in città
  • La libertà religiosa dei cristiani nel mondo fotografata nel rapporto di prossima presentazione di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”
  • Somalia: ad Afgoye, vicino a Mogadiscio, la più alta concentrazione di sfollati al mondo
  • L’ONU chiede la fine delle violenze contro gli operatori umanitari dopo l'uccisione di un ingegnere dell'UNICEF
  • Torture, ritardi e negligenze denunciati dal Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte in Nigeria
  • Filippine: volontarie rapite, missionario negoziatore lancia un appello alle istituzioni
  • I vescovi statunitensi chiedono che ai cittadini haitiani venga concesso lo status di "protezione temporanea"
  • USA: l’aborto è la prima causa di morte nella comunità afroamericana
  • OCSE lancia l’allarme “disuguaglianza sociale”: si allarga la forbice dei redditi tra ricchi e poveri
  • Francia: l'83.ma Settimana sociale a Lione in programma dal 21 al 23 novembre 2008
  • Belgio: messaggio di cordoglio dei vescovi per la morte di suor Emmanuelle
  • Le Chiese accompagneranno dal punto di vista ecumenico il semestre di presidenza ceca dell'UE
  • Sri Lanka: il primo santuario dedicato a San Pio di Pietrelcina attira anche fedeli buddisti e indù
  • La crisi alimentare e il ruolo della cooperazione internazionale al centro del convegno organizzato da “Mani Tese”
  • Svizzera: le Chiese cristiane firmano un documento dedicato al 60.mo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
  • Taiwan: oltre 5.000 giovani hanno preso parte alla celebrazione della Giornata della Gioventù
  • Il Rwanda passa all'inglese: diventerà la lingua principale dell'amministrazione pubblica
  • 24 Ore nel Mondo

  • Iraq: 3 civili uccisi in un attentato a Baquba e 15 morti in scontri tra tribù a Hilla
  • Il Papa e la Santa Sede



    Presentato nell’Aula del Sinodo, alla presenza del Papa, il testo provvisorio con le proposizioni finali dell’assise. Sabato prossimo, il voto sul testo definitivo. Intervista con mons. Vincenzo Paglia

    ◊   Mattinata intensa, oggi, per il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio in corso in Vaticano: durante la 20.ma Congregazione generale, svoltasi alla presenza di Benedetto XVI, è stato presentato l’elenco unico delle Proposizioni finali. Si tratta di un documento ancora provvisorio, redatto in latino, che dovrà poi essere emendato e messo ai voti sabato prossimo. Ce ne parla Isabella Piro:

     
    Sono stati il relatore generale ed il segretario speciale del Sinodo, rispettivamente il cardinale Marc Ouellet e mons. Laurent Monsengwo Pasinya, a presentare in aula l’elenco delle 53 Proposizioni unificate. Una lettura a due voci, quindi, in cui si è avvertita chiaramente l’eco degli interventi in Aula dei giorni scorsi.

     
    A partire da una premessa sui grandi benefici, sia teologici che pastorali, portati dalla Dei Verbum, la Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione siglata 40 anni fa, i Padri sinodali hanno innanzitutto espresso l’auspicio che i fedeli crescano nella consapevolezza della Parola di Dio, della sua forza salvifica, ma anche che la Chiesa rafforzi la sua vocazione missionaria.

     
    Come agire, allora? In primo luogo, l’elenco unico delle Proposizioni suggerisce di guardare alla riconciliazione portata dal Verbo divino. In situazioni di conflitti etnici e di tensioni interreligiose, quindi, si è auspicato l’impegno dei cattolici nella costruzione di ponti di dialogo per costruire una società più armoniosa. In questo senso - si è detto - è importante che ogni fedele abbia la propria Bibbia personale. Quindi, la Liturgia: auspicato che la Sacra Scrittura abbia un posto visibile nelle Chiese e che il ruolo dei lettori sia studiato ed approfondito, anche guardando alle nuove tecniche della comunicazione e all’uso di impianti sonori adeguati.
     
    Centrale la necessità di omelie che invitino alla missione, preparate con la preghiera e nutrite con la dottrina. Possibile, quindi, l’istituzione di un direttorio omiletico. Così come si è accennato alla revisione del Lezionario, per renderlo più adeguato ai tempi moderni, e all’importanza della donna non solo nella famiglia e nella catechesi, ma anche nel lettorato biblico. Affrontato anche il tema della Lectio divina, da promuovere nelle parrocchie, nelle famiglie, nei movimenti ecclesiali, nella formazione dei futuri sacerdoti, e della catechesi, perché la formazione del battezzati sia continua e non si riduca solo all’amministrazione dei sacramenti. Poi, sulla scia dell’intervento in Aula di Benedetto XVI, pronunciato il 14 ottobre, si è parlato dell’esegesi biblica e della necessità di superare il dualismo tra esegesi e la teologia, così come di guardare all’ermeneutica sia storica che di fede.

     
    Quindi, il grande tema della missione, in particolare verso i poveri, gli emarginati, i disabili, perché l’inculturazione della Bibbia tocchi tutti i popoli della Terra. Preoccupazione, in questo campo, è stata espressa per il fenomeno delle sètte, un fenomeno - si è detto - da studiare per fronteggiarlo al meglio. E ancora: il dialogo con gli ebrei, a partire dalla piattaforma comune dell’Antico Testamento, e quello con i musulmani, centrato sull’elemento comune dell’unico Dio. Importante, però, ribadire il valore della vita e i diritti dell’uomo e della donna. Ed un pensiero è andato anche all’ecologia, perché venga promossa sulla base della Parola di Dio, con l’impegno della salvaguardia del Creato.

     
    Infine, due ringraziamenti: il primo, a coloro che annunciano il Verbo divino in condizioni disagiate, con l’auspicio che tutti siano chiamati ad impegnarsi per la giustizia. Il secondo, al Patriarca ortodosso ecumenico Bartolomeo I: la sua partecipazione ai Vespri di sabato scorso, presieduti dal Santo Padre - si è detto - è segno di comunione profonda, anche se non ancora perfetta. La supplica da innalzare al Signore, allora, è che si giunga alla vera unità.

     
    Questi, dunque, in sintesi, i temi principali trattati nell’elenco unico delle Proposizioni, che ora i Padri sinodali dovranno emendare e votare. Ma ascoltiamo un primo commento di mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni-Narni-Amelia e presidente della Federazione Biblica Cattolica:

     
    R. - Si notano, nella sequenza delle Proposizioni, alcuni filoni particolarmente significativi. Il primo, riguarda la sottolineatura indispensabile della Parola di Dio da intendere come una persona. Ma il cristianesimo non è una religione del libro, è l’incontro con una Persona, che è Dio stesso che si è incarnato. Questa è la Parola che noi incontriamo. L’altro punto mi è parso il posto alto che viene dato alla Scrittura, in rapporto all’Eucaristia. La Chiesa, lo dice già il Concilio, venera da sempre queste due mense, che sono un’unica mensa in verità: la Ccrittura, la Parola di Dio nello scritto, e il Verbo che si fa carne nella presenza eucaristica. Questo sollecita il modo corretto di confrontarsi con la Bibbia. Il Sinodo sottolinea che la Bibbia bisogna leggerla come la si legge in Chiesa, cioè in un clima di preghiera. Un terzo elemento, che a me pare importante, è che la Bibbia non è un libro per i credenti, è per tutti: è la lettera che Dio ha mandato a tutti gli uomini. Tra gli altri punti, c’è quello di un corretto rapporto tra esegesi e teologia, l’importanza della formazione nei Seminari di ispirare tutta la vita sacerdotale alla Bibbia. E poi - punto importante che è emerso - è quello dell’omelia, che non deve essere né catechesi né moralismo, ma deve portare nel cuore la Parola del Signore, ascoltata nella Scrittura, perché susciti un dialogo e un incontro con il Signore. Il cristianesimo non è un’opera di persuasione, ma di grandezza dell’amore.

     
    D. - Si è accennato all’ecumenismo, reso possibile dalla piattaforma comune della Bibbia…
     R. - Da una parte, la Bibbia resta il terreno sul quale l’ecumenismo può fare passi più profondi e più ampi, anche perché - come giustamente sottolineava Papa Benedetto - l’ecumenismo non è opera nostra, ma è opera di Dio e la Bibbia ci permette di porci in ascolto. Quindi, se ascoltiamo il Signore, più che parlare tra noi dovremmo lasciare che Dio parli a noi e il cammino verso l’unità sarebbe più veloce. In questo senso, l’incontro con il Patriarca Bartolomeo I è stato straordinario. Il suo discorso, le sue parole, l’immersione nella tradizione patristica, che hanno fatto dire al Papa: “Se abbiamo insieme questi padri, come possiamo non essere fratelli”.

     
    D. - Quanto al rapporto interreligioso, si è detto “I cristiani costruiscano ponti di dialogo”…

     
    R. - La Bibbia non chiude, apre. Già nella Bibbia ci sono tante tradizioni che si sono intersecate e che sono state fermentate dalla Parola di Dio. La Parola di Dio, il Logos, non è incatenato. Il Logos ci spinge ad incontrare quei semina verbi che fin dalla creazione sono stati immessi nel Creato. Ecco perché l’ascolto della Bibbia ci fa diventare uomini e donne universali: perché universale è il Verbo che stava nel principio. Senza di lui, nulla è stato fatto. E se noi lo accogliamo, coglieremo tutto ciò che nel mondo c’è di bello e di buono e aiuteremo gli uomini e le donne a vivere in pace e in pienezza di vita.

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    Nomina

    ◊   In Ucraina, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Lviv dei Latini, presentata per raggiunti limiti di età dal cardinale Marian Jaworski. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Mieczysław Mokrzycki, finora coadiutore della medesima arcidiocesi.


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    Preservare la dignità del malato, favorendo la solidarietà tra il medico e il paziente: il commento del prof. Vincenzo Saraceni, all’indomani del discorso del Papa ai chirurghi

    ◊   Umanizzare la medicina, favorendo un’“alleanza terapeutica” tra medico e paziente: è il cuore del discorso che Benedetto XVI ha rivolto ieri ai partecipanti al Congresso dei chirurghi italiani. Nel suo intervento, il Papa ha ribadito che la dignità del malato va sempre preservata e che la tecnologia non può sostituire l’amore nella cura del sofferente. Su questo passaggio del discorso di Benedetto XVI si sofferma il prof. Vincenzo Saraceni, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. - Mi sembra che al centro del suo intervento ci sia il rispetto del malato. Il rispetto del malato significa il rispetto della sua dignità, sempre. Qualche volta i malati hanno la sensazione soggettiva di trovarsi in una condizione di non dignità e questo dipende dallo sguardo col quale, qualche volta, i medici si accostano al malato. Talvolta, i malati hanno la sensazione che i medici tolgano lo sguardo dalla loro condizione. Quindi, anzitutto serve il rispetto della dignità e, secondo, il rispetto della loro storia. Anzi, dice il Pontefice, questa storia, se viene accolta, può anche aiutare il medico a fare meglio la diagnosi. A volte, noi medici andiamo di corsa, non abbiamo questa pazienza di ascoltare. Terzo punto, la storia familiare. Anche questo contesto è un altro richiamo fondamentale per il rispetto del paziente.
    D. - Benedetto XVI ha detto che si deve mirare ad una vera alleanza terapeutica con il paziente, specie in un periodo nel quale si insiste sull’autonomia individuale del paziente. Ecco, un richiamo particolarmente attuale...

     
    R. - Deve essere consentita questa solidarietà tra medico e paziente: che entrambi riconoscano la propria fragilità e il proprio destino. Questa relazione di solidarietà può diventare addirittura una relazione di alleanza, se entrambi hanno a cuore il vero bene del malato. Però, da un lato, c’è il malato che ha diritto, dice il Papa, alla sua autodeterminazione, ma questa autodeterminazione evidentemente è finalizzata al bene della persona. Dall’altro, c’è il medico, che deve responsabilmente, e sempre per il bene del paziente, proporre. Con questo termine, il Papa ha voluto mostrare ancora una volta grande rispetto: il medico propone una soluzione terapeutica che il paziente deve accogliere, condividere, perché entrambi hanno questo comune denominatore, che vogliono guardare al bene della persona.

     
    D. - Il paziente, ha avvertito il Santo Padre, rischia di essere in qualche misura “cosificato”: un termine difficile, ma che rende drammaticamente l’idea del pericolo di disumanizzazione del malato, del rapporto con il malato stesso. Come evitare questa deriva?

     
    R. - Non è facile evitare questa deriva, perché purtroppo c’è una cultura dominante in campo medico, che è una cultura di neutralità. Il rischio è che la malattia venga considerata una sorta di meccanismo che si è inceppato e la terapia il ripristino automatico di questo meccanismo inceppato. Questa è una modalità di approccio che rende il paziente una "cosa". Quindi, è una riduzione del paziente alla sua malattia. Peggio ancora, ai suoi meccanismi biologici che in qualche modo sono alterati. Quando invece noi parliamo di relazione, parliamo di accoglienza della sua storia, parliamo di alleanza: evidentemente non c’è la malattia, c’è la persona umana.

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    Diplomazia e dialogo, validi mezzi per dirimere i conflitti e ristabilire la pace: lo afferma in un messaggio il Papa, a 30 anni dalla mediazione di Giovanni Paolo II nella crisi tra Argentina e Cile

    ◊   Il ricorso alla diplomazia come metodo per riportare la distensione in situazioni di conflitto è un valore sempre necessario per il presente e il futuro del mondo: lo insegnano molti esempi del passato, uno dei quali fu offerto esattamente 30 anni fa anche da Giovanni Paolo II, nella mediazione tra Argentina e Cile. E’ il pensiero di Benedetto XVI contenuto in un suo messaggio indirizzato ai partecipanti alle Giornate sui frutti della pace, organizzate dall’Università Cattolica Argentina. Ce ne parla Alessandro De Carolis:

    Lennox, Nueva, Picton. Per il possesso di queste tre isole, situate a ridosso della Terra del Fuoco, 30 anni fa Argentina e Cile si spinsero fin sull’orlo di una guerra. Situate nella parte meridionale del Canale di Beagle, che unisce l’Oceano Atlantico al Pacifico - sulla linea di confine all’estremo sud fra i due Stati latinoamericani - questi tre lembi di terra furono al centro di una disputa sempre più drammatica, contrapponendo due Paesi che condividono 5 mila chilometri di frontiera. Se dalla possibile voce dei cannoni si passò a quella dei negoziatori, e poi a formali accordi di pace, lo si deve a Giovanni Paolo II. Eletto Pontefice da pochissimi mesi, Papa Wojtyla si interessò personalmente della crisi, inviando sul posto un suo rappresentante speciale, il cardinale Antonio Samoré. Il lungo confronto diplomatico che seguì sfociò, nel 1984, nella firma, in Vaticano, del Trattato di Pace ed Amicizia tra Cile e Argentina.

     
    Quello di trent’anni fa fu “un esempio ammirevole di costruzione della pace attraverso la via maestra e sempre attuale del dialogo”. Sono le parole - riferite dall’agenzia Zenit - con le quali Benedetto XVI ha voluto ricordare e celebrare l’iniziativa diplomatica intrapresa da Giovanni Paolo II, insieme con l’allora cardinale segretario di Stato, Agostino Casaroli. Ciò che fu fatto allora, scrive il Papa, è utile per “richiamare l'attenzione della comunità internazionale” sul fatto che, all’interno in una disputa, il dialogo non pregiudica i diritti, ma anzi amplia “il campo delle possibilità ragionevoli per risolvere le divergenze”, pure accanto - riconosce il Papa - “alla pazienza e alla responsabilità delle parti implicate”. Quella mediazione pontificia, prosegue Benedetto XVI, ha prodotto frutti di pace “fino ai giorni nostri”, dimostrando la necessità - già sostenuta allora da Papa Wojtyla - di “continuare a ricorrere alla diplomazia e ai suoi metodi di negoziato per garantire la pace, la sicurezza e il benessere”, in vista della costruzione di quella “civiltà dell’amore della quale - rileva il Pontefice - Giovanni Paolo II fu profeta, anche se non sempre ascoltato”.

     
    Il dialogo, dunque, conclude Benedetto XVI, ha “come scopo non la supremazia della forza e dell'interesse, ma l'affermazione di una giustizia equanime e solidale, fondamento sicuro e stabile della convivenza tra i popoli”.

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    La Chiesa è chiamata a rispondere alle sofferenze di chi vive in strada: intervento di mons. Marchetto in Colombia all'Incontro latinoamericano di Pastorale della strada

    ◊   La mobilità umana è uno dei grandi “segni dei tempi” ai quali la Chiesa è chiamata a rispondere per aiutare bisognosi ed emarginati. E’ quanto ha detto l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti, partecipando al primo Incontro continentale latinoamericano di Pastorale della strada, che si concluderà venerdì prossimo a Bogotà, in Colombia. Nella realtà dell’America Latina - ha affermato il presule - i drammi cui deve rispondere la Chiesa sono soprattutto l’alto numero di incidenti stradali, i fenomeni della prostituzione, dei ragazzi di strada e dei senza tetto. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    L’arcivescovo Agostino Marchetto ha illustrato opportunità, drammi ed esigenze pastorali legati alla strada. La possibilità di percorrere grandi distanze in breve tempo liberamente e in relativa sicurezza - ha affermato - è una rivoluzione che negli ultimi 150 anni ha continuamente e profondamente cambiato la mobilità umana. La circolazione viaria, promuovendo lo sviluppo e l’incontro, è diventata un’esigenza ineluttabile per l’uomo contemporaneo. Ma le strade - ha aggiunto - sono anche lo specchio di nuove povertà, come nel caso delle rotte dell’immigrazione, della prostituzione e dello sfruttamento sessuale. Verso queste miserie umane si orienta il cammino missionario della Chiesa: la strada - ha osservato il presule - è storicamente una delle espressioni dell’opzione preferenziale per gli emarginati. Nella Sacra Scrittura è il simbolo del pellegrinaggio umano verso Dio. Lungo la strada sono avvenuti numerosi incontri di Gesù con bisognosi e persone escluse dalla società. Anche oggi, continua ad essere luogo di annuncio e testimonianza.

     
    Ma in America Latina questo annuncio - ha spiegato mons. Marchetto - si scontra con diversi drammi, tra cui quello del più alto tasso di morti per incidenti stradali. Alla tragica perdita di vite umane si aggiungono anche costi altissimi, soprattutto per le famiglie. Si stima che ammontino a circa il 2% del prodotto interno lordo degli Stati latinoamericani. E’ un dato inaccettabile - ha detto il segretario del dicastero pontificio - per qualunque Paese povero o in via di sviluppo.

     
    Un’altra preoccupazione pastorale è il fenomeno della prostituzione, alimentato anche dalla globalizzazione e dai crescenti flussi migratori. In America Latina, in particolare, il turismo sessuale è legato allo sfruttamento di donne costrette a prostituirsi. Per rispondere a questo turpe traffico - ha spiegato il presule - è necessaria la collaborazione tra organismi pubblici e privati e anche tra comunità cristiane e autorità locali. Altre priorità indicate dal presule sono la cooperazione dei mezzi di informazione per garantire una comunicazione corretta e l’adozione di leggi in favore delle vittime di questa tratta.

     
    Mons. Marchetto ha poi ricordato anche le difficilissime condizioni di vita dei ragazzi di strada, che in America Latina sono oltre 50 milioni. Sono vittime di una stretta correlazione tra fattori economici e politici ed in molti Paesi - ha osservato - sono percepiti come una minaccia per la società civile. Al centro di qualsiasi risposta - ha aggiunto - devono esserci politiche che attacchino i problemi alla radice, coinvolgendo anche le famiglie.

     
    Un’altra manifestazione delle nuove povertà - ha detto l’arcivescovo Agostino Marchetto – riguarda i senza tetto: in molti casi sono persone costrette a vivere in strada per mancanza di alloggio, stranieri immigrati che non hanno una casa in cui vivere, anziani senza domicilio e giovani che hanno scelto un tipo di vita vagabondo. La mancanza di un’abitazione - ha spiegato il presule - è il crollo di un mondo, delle relazioni personali e della dignità. La Chiesa è dunque chiamata a dare risposte a tutte queste necessità per promuovere un autentico sviluppo in America Latina, dove esiste un’iniqua distribuzione della ricchezza che alimenta instabilità, conflitti e povertà. La pastorale della strada - ha concluso - permette a Cristo di camminare tra queste macerie e tra quanti sono dimenticati dalla società.

     
    All’incontro continentale latinoamericano di pastorale della strada, che ha per tema “Gesù in persona si accostò e camminò con loro”, prendono parte circa cinquanta persone provenienti da 13 Paesi, tra cui vescovi, sacerdoti, religiosi, membri di associazioni di apostolato e volontariato. Tra gli obiettivi, c’è quello di offrire ai diversi operatori pastorali l’opportunità di condividere le loro esperienze, successi e difficoltà. L’incontro è anche l’occasione per studiare le diverse realtà globali e locali delle persone che vivono in strada. Altre finalità sono quelle di individuare nuove vie per la promozione della dignità anche di chi vive in strada. L’incontro è infine un’opportunità per trovare strategie di collaborazione con organismi statali e civili e di volontariato.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In prima pagina, un commento di monsignor Eleuterio F. Fortino sull'intervento del Patriarca ecumenico Bartolomeo I - per la prima volta nella storia - davanti al sinodo dei vescovi della Chiesa cattolica.

    Nell'informazione internazionale, l'intervento della Santa Sede sul "razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e le forme correlate di intolleranza" in occasione della nona sessione del Consiglio dei diritti dell'uomo, a Ginevra.

    In rilievo la Somalia: a causa delle violenze, dall'inizio del 2007 diecimila civili sono rimasti uccisi e tre milioni sono fuggiti.

    In cultura, un articolo dell'arcivescovo Gianfranco Ravasi dal titolo "L'arduo confronto con l'indifferenza": idee pesanti contro la leggerezza laicista.

    Cristiana Dobner ripercorre l'itinerario di conversione di Marguerite Aron, vittima della furia nazista.

    Un articolo di Claudio Toscani dal titolo "L'implacabile purezza dei sogni adolescenziali": tradotto in italiano l'unico romanzo di Benjamin Cremieux, critico francese morto a Buchenwald.

    Luca Miele sulle Sacre Scritture come pre-testo della canzone americana popolare e d'autore.

    Fabrizio Bisconti illustra il percorso dell'iniziazione cristiana e il ruolo dei vescovi nella formazione dell'iconografia tardoantica.

    Raffaella Giuliani sullo scavo in atto presso le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro.

    Il Papa in verde: nell'informazione religiosa, Francesco Valiante intervista Elio Cortellessa, da trentacinque anni responsabile della cura dei Giardini Vaticani.

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    Oggi in Primo Piano



    In Belgio, inaugurata la Conferenza cristiano-musulmana, promossa dalla Conferenza delle Chiese europee e dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa. Intervista con mons. Sudar

    ◊   Si è aperta ieri sera a Malines, città belga in provincia di Anversa, la Conferenza europea cristiano-musulmana. Fino al 23 ottobre, gli incontri impegneranno una cinquantina di partecipanti in rappresentanza della Chiesa cattolica, di quella ortodossa e delle Comunità protestanti europee e di membri delle comunità islamiche di vari Paesi del Vecchio continente. L'iniziativa - dal titolo “Essere cittadino di Europa e persona di Fede. Cristiani e musulmani come partner attivi nelle società europee” - è promossa dal Comitato per le relazioni con i musulmani in Europa, un organismo della Conferenza delle Chiese europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE). Mario Galgano, della redazione tedesca della nostra emittente, ha raccolto a Malines la testimonianza di una delle personalità ecclesiali presenti: quella del vescovo ausiliare di Sarajevo, Pero Sudar:

    R. - Noi siamo felici che sempre di più, in Europa, si sottolinei la necessità di conoscersi meglio, perchè ormai la religione islamica è presente nel continente. E le religioni non sono vere se creano problemi agli uomini. Le religioni, specialmente quelle del Libro, nel loro patrimonio portano veramente a un grande obbligo: quello di aiutare l’uomo a vivere da figlio di Dio già su questa terra. Senza conoscersi bene non si può capire al meglio, non ci si può accettare vicendevolmente. E senza accettarsi non è possibile collaborare, non è possibile dare quel contributo che le religioni devono dare se vogliono essere credibili, se vogliono essere veramente apprezzate ed accettate dall’uomo di oggi, dalle culture sempre più laiche. Questo è un richiamo, un impegno che non è facile. Noi l’abbiamo sperimentato in Bosnia-Erzegovina: nonostante abbiamo vissuto vicini per secoli, non siamo stati in grado di dare quel contributo alla società, all’uomo: non siamo stati in grado di convincerlo che i problemi non possono risolversi con i conflitti.

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    In Eritrea, ordinata l’espulsione di 4 missionari cristiani. Preoccupazione per la Chiesa locale. La testimonianza di padre Giovanni Battista Magoni

    ◊   Il governo eritreo ha ordinato l’espulsione di 4 missionari cristiani. Non è la prima volta che ciò accade e - dopo i 14 missionari espulsi un anno fa - la preoccupazione per le opere della Chiesa nel Paese del Corno d’Africa continua a crescere. Da parte dell’esecutivo del presidente Issaias Afewerki, al potere dal 1993, non è stata rilasciata nessuna spiegazione plausibile circa l’espulsione dei missionari occidentali e di molti laici impegnati nel settore sanitario. Eppure l’impegno della Chiesa e di molte organizzazioni non governative risulta vitale per un paese come l’Eritrea, dove più della metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Stefano Leszczynski ha chiesto a padre Giovanni Battista Magoni, superiore dei Missionari pavoniani, impegnati in Eritrea, il perché dell’ostilità del governo di Afewerki:

    R. - Evidentemente, la profezia del cristianesimo va a toccare le sfere del religioso, dell’ambito spirituale, e in qualche modo diventa anche lì lievito e fermento per tutto ciò che riguarda i diritti umani, la libertà dell’uomo. Quindi, probabilmente questo, per alcuni regimi politici ciò effettivamente da un po’ fastidio, perché sconvolge lo status quo.

     
    D. - E’ anche vero che in Eritrea la percentuale dei cristiani è minoritaria e che la Chiesa svolge una intensa attività di tipo sociale, anche, nel Paese…

     
    R. - Il cristianesimo palesa una mancanza di incisività da parte della politica proprio nella struttura sociale ed economica del Paese. E quindi il cristianesimo - soprattutto secondo la fede cattolica che unisce la Parola e le opere, la grazia e il lavoro, per cambiare la storia - dà un po’ fastidio.

     
    D. - La caratteristica dei missionari, soprattutto in questi Paesi, è quella di aiutare tutti in maniera indistinta. Quali sono gli ambiti principali in cui operano in un Paese come l’Eritrea?

     
    R. - Noi operiamo attraverso la scuola, le attività ricreative, i momenti associativi e soprattutto là, dove non ci sono i genitori, anche attraverso le comunità-famiglia. Cerchiamo di dare soprattutto ai ragazzi la possibilità di avere un futuro; un futuro che certo non appare molto roseo, perché le prospettive sono piuttosto frustranti. Ma noi continuiamo a sognare che sia possibile.

     
    D. - Anche perché in Eritrea c'è una delle tante guerre dimenticate dell’Africa…

     
    R. - Certo, la guerra porta via anche molte risorse giovanili. Si sa che il servizio militare è imposto obbligatoriamente e che si protrae per molto tempo e quindi la gioventù effettivamente soffre per questo.

     
    D. - Questa è anche una delle cause della fortissima emigrazione dall’Eritrea …

     
    R. - E’ veramente la fuga dai disperati, che magari rischiano il deserto, rischiano di essere espulsi anche da altre nazioni limitrofe e poi, una volta rientrati, rischiano anche la vita.

     
    D. - Per i missionari che ancora sono nel Paese, quali sono le speranze per il futuro? C’è qualche possibilità di fare dei passi avanti?

     
    R. - Ci stiamo portando nella prospettiva che l’Eritrea verrà aiutata dai fratelli eritrei e dunque, effettivamente, noi abbiamo gettato il seme. E' necessaria poi la corresponsabilità: i nostri fratelli in quel territorio saranno probabilmente anche più accolti, più amati, perché è gente del posto che porta avanti le ragioni del Vangelo. Anche se - naturalmente - le ragioni del Vangelo non sempre sono comode, né per chi annuncia, né per chi riceve l’annuncio.

     
    D. - Inoltre, anche la Chiesa locale, i cristiani eritrei, spesso patiscono ingiustizie nel Paese…

     
    R. - Un po’ di pressioni le ricevono certamente. Il problema, però, è sempre questo: che la religione è vista come una sorta di ottundimento della coscienza, viene snaturata del suo significato profondo.

    D. - Secondo lei, cosa può fare a questo punto il mondo, inteso come la comunità internazionale, la comunità degli Stati, per aiutare il popolo eritreo e migliorare la situazione in questa area dell’Africa?

     
    D. - Io credo che la comunità internazionale potrebbe fare un po’ di pressioni, perché il governo locale possa in qualche modo voler bene alla popolazione, al di là degli altri interessi. Poi, credo anche a forme di collaborazione economica che in qualche modo permettano al Paese di uscire da questa impasse economica. Credo sia uno dei Paesi più poveri del mondo e allora bisogna ricercare lo sviluppo: che in qualche modo i governanti aiutino questo popolo a uscire dall’emergenza alimentare.

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    Iniziato ad Assisi il Convegno annuale dei cappellani militari. Intervista con l'ordinario per l'Italia, mons. Vincenzo Pelvi

    ◊   E' in corso ad Assisi il Convegno annuale dei cappellani militari. Tema dell’incontro, "Annuncio del Vangelo e mondo militare”. Il confronto centrato sui cambiamenti indotti dall'attualità, sulle sfide pastorali e le nuove frontiere dell’evangelizzazione. Massimiliano Menichetti ha chiesto all’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, Vincenzo Pelvi, cosa rappresenti questa assise:

    R. - Vivere all’interno della comunità ecclesiale il respiro dell’insegnamento del magistero. Per cui è una felice coincidenza vivere i giorni del nostro Convegno con il cuore rivolto all’impegno dei Padri sinodali che riflettono sulla Parola di Dio nella vita della Chiesa. Un evento, quello di quest’anno dei cappellani militari, che è anche dentro l’Anno Paolino. E pure la coincidenza della pubblicazione della nuova traduzione della Bibbia ufficiale per le celebrazioni e l’uso liturgico ci fa vedere come i cappellani militari siano dei sacerdoti che amano la Chiesa e vivono, respirano nell’insegnamento della tradizione più sana e santa della comunità credente.

     
    D. - Questi tre grandi eventi, che lei ha richiamato, sembrano quasi entrare, coincidere con il tema di quest’anno: “L’annuncio del Vangelo e il mondo militare”...

     
    R. - E’ una fortunata stagione per riflettere sull’annuncio del Vangelo e noi vogliamo portarne un’applicazione concreta nel mondo militare attraverso il servizio sacerdotale.

     
    D. - Ma quali sono le problematiche del mondo militare di oggi?

     
    R. - Credo si vada a vivere il pluralismo religioso - se penso al confronto con le religioni orientali, alle missioni dei militari in teatri operativi - ad esempio, il rapporto con l’islam. Se penso al mondo militare, che è secolarizzato come il contesto civile, la privatizzazione del fatto religioso che può avvenire anche nelle nostre caserme, tutto comporta per noi, senza lasciarci spaventare, il desiderio di dare ragione alla fede. Ci vogliono nuove vie di evangelizzazione nel mondo che cambia. E cambia, si trasforma anche il mondo militare, dove non è scomparsa la sete di Dio e dove i militari aspettano la conoscenza, la predicazione su Gesù.

     
    D. - Qual è la sfida, dunque, di questo Convegno?

     
    R. - Il Convegno dei cappellani vuole mettere in risalto come la fede non sia un concetto astratto, ma una realtà vivente. L’augurio è che veramente il cuore dell’esperienza formativa donata dai cappellani sia l’ingresso più profondo nel rapporto personale di ogni uomo e donna che porta le stellette con Gesù Cristo, per rendere Dio vicino e capire che senza Dio non si va da nessuna parte.

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    Non sarà pandemia, ma l’influenza di quest’anno presenterà tre nuovi virus. Il prof. Roberto Cauda della Cattolica raccomanda il vaccino per alcune categorie sociali

    ◊   Sembra che l’influenza che arriverà quest’anno, l’Australiana, colpirà una persona su quattro in Europa, si diffonderà rapidamente e sarà caratterizzata da 3 ceppi di virus nuovi, uno dei quali particolarmente virulento. Gli esperti consigliano il vaccino alle categorie a rischio, come cardiopatici, malati cronici e ultrasessantacinquenni e a coloro che operano nei servizi essenziali come medici e paramedici. Eliana Astorri ne ha parlato con il prof. Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive dell’Università Cattolica Sacro Cuore/Policlinico Gemelli:

    R. - Per la prima volta, da 20 anni a questa parte, ci sono tre nuovi tipi di virus. Ora, questa non è una cosa assolutamente sconvolgente perché, come sappiamo tutti, il virus dell’influenza va incontro a delle modificazioni, che sono in parte piccole e in parte un po’ più grandi. Le grandi modificazioni della struttura sono quelle che determinano la comparsa di ceppi assolutamente nuovi e che sono stati responsabili, nel Novecento, delle tre grandi pandemie: la spagnola, l’asiatica e la pandemia di Hong Kong. Oggi, non c’è un rischio pandemia, per lo meno da ciò che si può comprendere di quanto si è verificato in Australia, perché quello che noi vediamo in inverno è quello che viene visto prima nell’emisfero australe. Dunque, abbiamo un po’ uno "specchio" di ciò che accadrà da noi. Prevediamo, tre virus nuovi non tali da dare una pandemia, ma sicuramente tali da mettere a letto molte persone. A meno che - anche attraverso i media, i medici, attraverso tutta una serie di informazioni - passi quello che finora non è passato: cioè una cultura della vaccinazione preventiva.

     
    D. - Lei diceva tre virus nuovi: questo significa che si presenteranno anche nuovi sintomi?

     
    R. - No, i sintomi dell’influenza sono sempre identici, può solo variarne la gravità. Da un punto di vista sintomatologico, l’influenza si presenterà nell’identico modo al quale siamo abituati e che, avendone sofferto più o meno tutti, sappiamo qual è.

     
    D. - E per quanto riguarda i vaccini?

     
    R. - Sulla necessità di vaccinarsi, ci sono voci certamente più autorevoli delle mie che vengono dall’Istituto superiore di Sanità, dal Ministero della salute, che in qualche modo invitano, alcune categorie in particolare, a vaccinarsi. Ma per una serie di ragioni come disattenzione, poco interesse, forse anche false informazioni - false nel senso di convinzioni che ci portiamo dietro da anni ed anni sulla vaccinazione - solo un italiano su 4 si vaccina.

     
    D. - Qual è il periodo migliore per vaccinarsi?

     
    R. - Il periodo ottimale va da metà ottobre fino a metà novembre, primi di dicembre. Questo sarebbe il periodo ottimale, ma i ritardatari possono vaccinarsi fino alla fine di dicembre.

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    Chiesa e Società



    Cristiani del Pakistan condannano le violenze in India

    ◊   Domenica scorsa i cristiani pakistani hanno manifestato la loro solidarietà ai confratelli dell’India, condannando “con forza le violenze” perpetrate dai fondamentalisti indù. Attraverso un comunicato diffuso dal quartier generale di Islamabad, Shahbaz Bhatti, parlamentare e presidente dell’Alleanza delle minoranze di tutto il Pakistan (Apma), esprime il proprio biasimo per i “maltrattamenti contro le minoranze religiose in India” e chiede l’intervento delle Nazioni Unite per assicurare la “protezione della vita umana e delle proprietà delle minoranze del Paese”. Condannando l’attacco contro persone e luoghi di culto, l’attivista cattolico - ripreso dall'agenzia Asianews - sottolinea come “le religioni siano motivo di discriminazione in India”, nazione che per costituzione si definisce laica; una persecuzione che ha causato morti, feriti, chiese bruciate, luoghi di culto profanati e oltre 50mila fedeli costretti a rifugiarsi nei campi profughi. “In Orissa, Karnataka, Jharkand – continua Shahbaz Batti – chiese e cristiani sono vittime di continui attacchi” e all’origine vi è sovente il “senso di impunità” di cui godono le frange fondamentaliste indù, i cui crimini rimangono spesso irrisolti. Egli non nasconde il timore di nuovi attacchi da parte di frange che hanno preso di mira “le minoranze etniche e religiose” e per questo invita il governo a prendere “misure drastiche”. Sempre domenica il Partito nazionale cristiano del Pakistan ha organizzato una manifestazione davanti agli uffici del circolo della stampa di Karachi per “sensibilizzare gli organi di informazione sul genocidio dei cristiani in India”. (R.P.)

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    Sicurezza ristabilita a Mosul. L’esercito iracheno invita i cristiani a tornare in città

    ◊   “Le zone dove si trovano i cristiani, comprese le chiese, sono tutte sicure grazie al dispiegamento di ulteriori forze dell’ordine”. Con queste parole il capo delle operazioni militari della provincia di Ninive, generale Riad Jalal, ha rassicurato i cristiani fuggiti da Mosul nelle ultime settimane, invitandoli a fare ritorno nella loro città. L’ufficiale iracheno, durante una conferenza stampa tenuta ieri assieme al vice primo ministro Rafi al Eissawi, ha poi confermato che già “350 famiglie sono tornate alle loro case”. Il giorno prima il ministro per i Diritti umani Ghanem al Ghanem aveva affermato che la fuga dei cristiani dalla città si è fermata da mercoledì scorso, da quando l’esercito ha cominciato a pattugliare le zone più pericolose, riportando la serenità tra la popolazione. Secondo i dati diffusi dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite (UNHCR), citati dalla Misna, nell’ultima settimana, circa 1560 famiglie sono andate via da Mosul in seguito ad una serie di attacchi che ha colpito principalmente la loro comunità, causando la morte di almeno 12 persone; la popolazione di sfollati – in totale quasi 9400 persone – rappresenterebbe quasi la metà dell’intera comunità cristiana del capoluogo della provincia di Ninive, circa 400 chilometri a nord di Baghdad.(M.G.)

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    La libertà religiosa dei cristiani nel mondo fotografata nel rapporto di prossima presentazione di “Aiuto alla Chiesa che Soffre”

    ◊   L'associazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) presenterà giovedì 23 ottobre in contemporanea a Roma, Berlino, Parigi e Madrid, la sua nuova pubblicazione “Libertà religiosa nel mondo” per l'anno 2008. Si tratta di più di 600 pagine e pubblicato in sei lingue (italiano, inglese, tedesco, francese, spagnolo e portoghese) che, come spiega una nota ripresa dalla agenzia Zenit, vuole offrire “un compendio generale del grado di libertà religiosa esistente in ciascuno dei Paesi del mondo”, sottolineando anche le forme e i motivi della repressione che subiscono i vari gruppi religiosi. L'associazione spera di “generare nei Paesi in cui non è garantita la libertà religiosa, un processo di presa di coscienza tra governanti e dirigenti religiosi” che contribuisca a “migliorare le condizioni di vita di milioni di esseri umani che vedono calpestato il loro diritto più intimo e profondo”, come segnala padre Joaquín Alliende nel prologo. ACS spiega poi che la Chiesa vede se stessa come “difensore delle persone e che, in quanto tale, leva la voce contro la violazione dei diritti umani”. “Il fatto che negli ultimi tempi Benedetto XVI e altri rappresentanti di spicco della Chiesa – si legge ancora nella nota – abbiano segnalato in varie occasioni l'importanza della libertà religiosa, evidenzia l'attualità di questo tema”. Dopo la presentazione si svolgeranno delle conferenze stampa in vari luoghi tra cui Lisbona e Vienna. A quella di Roma parteciperanno, tra gli altri, il presidente internazionale di ACS, padre Joaquín Alliende, padre Bernardo Cervellera, esperto di Asia e direttore dell'agenzia di notizie “AsiaNews”, e il giornalista Marco Politi. Aiuto alla Chiesa che Soffre attualmente sovvenziona progetti in 140 Paesi con i fondi ottenuti dai suoi uffici in 17 Paesi e ha previsto di pubblicare ogni due anni un rapporto sulla libertà religiosa nel mondo. (M.G.)

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    Somalia: ad Afgoye, vicino a Mogadiscio, la più alta concentrazione di sfollati al mondo

    ◊   La cittadina di Afgoye, alla periferia di Mogadiscio, riparo per circa 400 mila persone fuggite a causa del conflitto, conta oramai la più alta concentrazione di sfollati del pianeta. Lo denuncia il Programma Alimentare Mondiale (Pam), secondo cui, al flusso di abitanti che da anni abbandona la capitale - teatro di violenti scontri tra l’esercito etiopico e gruppi armati dell’opposizione – si sono aggiunte, solo nelle ultime settimane, circa 37.000 persone. “Quelli che hanno fortuna riescono a salvare qualche oggetto prima di partire. Gli altri hanno solo la possibilità di fuggire lasciandosi alle spalle morti e feriti e perdendo i propri mariti, mogli e figli, nella folla di persone in esodo verso Afgoye” afferma un resoconto del Pam ripreso dall'agenzia Misna. Un “incubo lungo 30 chilometri” lo definisce Peter Smerdon, responsabile del Pam e dei programmi di aiuti alimentari che fornisce agli sfollati; senza l’intervento delle organizzazioni umanitarie infatti, il popolo di diseredati che abita la periferia della capitale non potrebbe sopravvivere, privato di ogni bene e della possibilità di lavorare per mantenersi. “Nella clinica di Afgoye, lunghe file di donne portano in braccio bambini malnutriti perché i dottori li visitino – racconta Smerdon, precisando che i tassi di malnutrizione e malattie infantili sono raddoppiati nell’ultimo anno proprio a causa dell’alta concentrazione di persone. Dal 1991, anno della caduta del dittatore Siad Barre, la Somalia è rimasta in una sostanziale anarchia istituzionale dominata dagli scontri tra clan rivali per il controllo del territorio. Da mesi, le Nazioni Unite stanno mediando un difficile negoziato di pace a Gibuti con rappresentanti del governo di transizione e membri dell’Alleanza per la riliberazione della Somalia (Ars), in esilio ad Asmara. (R.P.)

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    L’ONU chiede la fine delle violenze contro gli operatori umanitari dopo l'uccisione di un ingegnere dell'UNICEF

    ◊   In Somalia la violenza non risparmia nemmeno gli operatori umanitari. L’ultimo a farne le spese è stato un ingegnere idrico somalo, Mukhtar Mohammed Hassan, che faceva parte dello staff dell’Unicef. Mukhtar, colpito domenica scorsa a distanza ravvicinata dopo essersi recato in moschea, forniva supervisione tecnica per gli interventi idrici e igienico-sanitari sostenuti dall’organizzazione umanitaria nelle zone centrali e meridionali del Paese. Ferma la condanna dell’Unicef , che per voce del suo vice rappresentante in Somalia, Hannan Sulieman, ha elogiato l’indispensabile lavoro Mukhtar per migliorare la vita dei bambini e delle donne somale. L’ONU ha quindi reiterato l’appello per porre fine agli atti di violenza contro gli operatori umanitari e ha chiesto nuovamente sicurezza per i movimenti del proprio staff, in modo che siano in grado di dare sostegno alla popolazione somala costretta già a vivere in circostanze estremamente difficili. Nella nota ripresa dal Sir, l’Unicef si unisce infine al cordoglio della famiglia di Mukhtar: “Il nostro collega ci mancherà profondamente, ma il suo lavoro non sarà dimenticato”.(M.G.)

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    Torture, ritardi e negligenze denunciati dal Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte in Nigeria

    ◊   Sollecitare il Governo nigeriano ad adottare un’immediata moratoria sulle esecuzioni. Con questo obiettivo Amnesty International ha presentato un nuovo rapporto sulla pena di morte in Nigeria, intitolato “Aspettando il boia”. Nel documento l’organizzazione per i diritti umani espone un “campionario di fallimenti”, del sistema giudiziario nigeriano, “dominato da corruzione, negligenza e una quasi criminale mancanza di risorse”. Il rapporto, che è stato redatto in collaborazione con Legal Defence and Assistance Project (Ledap), sostiene infatti che sono moltissime le persone innocenti già condannate a morte. Nel mirino di Amnesty finiscono le confessioni, che spesso sarebbero estorte con la tortura; i ritardi: i processi capitali possono durare oltre 10 anni, alcuni appelli sono in corso da 14, 17 o addirittura 24 anni; la negligenza: molti condannati a morte non possono presentare appello perché i loro fascicoli processuali sono andati persi; le condizioni di vita nei bracci della morte e l’uso della pena di morte nei confronti dei minorenni, applicato nonostante il diritto internazionale lo vieti. “La legge nigeriana prevede che una confessione estorta sotto pressione, minacce o tortura non possa essere usata come prova in tribunale. I giudici sanno che c’è un vasto ricorso alla tortura da parte della polizia, eppure continuano a infliggere condanne basate sulle confessioni, mandando incontro alla morte molti possibili innocenti”, ha spiegato in conferenza stampa Chino Obiagwu, coordinatore nazionale di Ledap. Il rapporto di Amnesty International prende poi ad esempio il caso di Jafar, 57 anni, in carcere dal 1984. Ha presentato appello contro la condanna a morte 24 anni fa ma, poiché il suo fascicolo è stato smarrito, è ancora in attesa che sia esaminato. “Molti prigionieri in attesa di processo o nel braccio della morte – si legge ancora nel rapporto - hanno riferito ad Amnesty International e a Ledap che la polizia al momento dell’arresto ha chiesto soldi per lasciarli andare; chi non era in grado di pagare e’ stato incriminato per rapina a mano armata”. Alla fine di febbraio, nei bracci della morte della Nigeria si trovavano 736 persone (725 uomini e 11 donne), di cui almeno 40 minorenni all’epoca del presunto reato. Ma le esecuzioni in Nigeria sono avvolte dal segreto. Il governo non segnala ufficialmente esecuzioni dal 2002 sebbene sia emerso che almeno 7 prigionieri (tra cui 6 che non avevano mai presentato appello) siano stati messi a morte nel 2006. (M.G.)

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    Filippine: volontarie rapite, missionario negoziatore lancia un appello alle istituzioni

    ◊   Sono giorni di grande apprensione sull'isola di Basilan, nelle Filippine, per la sorte di due volontarie rapite cinque settimane fa da un gruppo armato ribelle. I negoziati con i rapitori sono condotti da padre Angel Calvo, missionario clarettiano, che raggiunto dalla Misna ha riferito dell’ultimo contatto: “La scorsa settimana abbiamo potuto parlare al telefono con loro. Sono molto spaventate e non in perfetta salute, ma sono vive”. Entrambe le donne facevano parte di un gruppo misto di volontari impegnati in un progetto per il sostegno all'infanzia nella cittadina di Tipo Tipo. Esperancita Hupita e Milet Mendoza, la prima operatrice dell'associazione locale cristiano-musulmana 'Nagbilaab', di cui padre Calvo è presidente, e la seconda una volontaria dell'organizzazione non governativa Mercy Malesya. Secondo padre Angel sulla strada della liberazione si pone l’insormontabile ostacolo di un esorbitante riscatto: "I rapitori hanno chiesto un riscatto altissimo di 16 milioni di pesos (250.000 euro), e non vogliono rilasciarle insieme. Noi abbiamo cercato di spiegare che anche con l'aiuto di tutti - familiari, associazioni, amici - non riusciremo mai a raggiungere quella cifra, ma finora non c'è stato modo di trovare un accordo su un riscatto più ragionevole". Il missionario, già in passato coinvolto nelle trattative in diversi rapimenti tutti risoltisi positivamente, lamenta in particolare la mancanza di appoggio delle autorità locali, dopo un primo momento di forte mobilitazione che faceva ben sperare. Il sequestratori – che si ritiene essere un 'lost comand', come viene definito un gruppo di miliziani disposti a unirsi a questa o quella tra le formazioni armate attive sull'isola – si è rifugiato in un territorio sono controllo dei ribelli del Fronte di liberazione islamico Moro (Milf) e né l'esercito né le forze di sicurezza intendono entrare e pattugliare la zona, violando un accordo di cessate il fuoco. "Ma comunque sarebbe necessario che le autorità locali trovino il modo di fare delle pressioni, altrimenti i sequestratori difficilmente si sentiranno spinti a sbloccare la situazione e trovare un accordo" dice padre Calvo. Anche riguardo alla ricerca dei soldi per il riscatto, i familiari e gli amici delle sequestrate si sentono abbandonati dalle istituzioni. "Non dobbiamo disperare; le riporteremo a casa. Continueremo a trovare tutte le vie per un accordo, anche se ci sarebbe bisogno di maggior collaborazione da tutti" conclude il missionario. (M.G.)

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    I vescovi statunitensi chiedono che ai cittadini haitiani venga concesso lo status di "protezione temporanea"

    ◊   I vescovi degli Stati Uniti hanno chiesto all’Amministrazione americana di concedere uno status di "protezione temporanea di 18 mesi ai cittadini haitiani che si trovano nel Paese, in considerazione dell’attuale emergenza umanitaria in cui versa l’isola caraibica. Inferiore allo status di rifugiato, il Temporary Protected Status consente ai richiedenti asilo che non rispondono ai requisiti previsti per il riconoscimento di tale status, di soggiornare negli Stati Uniti a discrezione delle autorità, finché non sia giudicato possibile un rimpatrio in condizioni di sicurezza. In una lettera al Presidente George Bush, il presidente della Conferenza episcopale, cardinale Francis George, rileva che Haiti avrebbe tutti i requisiti per ottenere questo status speciale avendo affrontato “solo negli ultimi otto mesi agitazioni politiche, quattro disastri naturali (due uragani e due tempeste tropicali) e una grave crisi alimentare, senza contare la devastazione dell’Uragano Jeanne nel 2004. Questo status – osserva l’arcivescovo di Chicago ripreso dall'agenzia Cns – permetterebbe ai cittadini haitiani espatriati di lavorare e mandare rimesse al loro Paese che ne ha tanto bisogno in questo momento”. Una simile concessione – evidenzia ancora la missiva - non provocherebbe un arrivo massiccio di immigrati da Haiti, dal momento che si applicherebbe solo ai cittadini haitiani che già sono sul suolo americano. Alla richiesta dei vescovi, ha risposto il portavoce del Dipartimento per la Sicurezza nazionale Russ Knocke, affermando che la Casa Bianca non può concedere lo status di "protezione temporanea" senza avere prima ottenuto l’autorizzazione del Congresso, ma si è comunque attivata per sospendere l’applicazione della legislazione sull’immigrazione ai cittadini haitiani. (L.Z.)

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    USA: l’aborto è la prima causa di morte nella comunità afroamericana

    ◊   “L’industria dell’aborto negli Stati Uniti ha preso di mira gli afro-americani”. A denunciarlo è mons. Martin David Holley, responsabile della pastorale afro-americana della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, che in una nota commenta così i risultati di uno studio sull’evoluzione dell’aborto nel Paese dalla sua legalizzazione nel 1973. Lo studio, commissionato dalla “Planned Parenthood”, una delle più influenti lobby pro-aborto negli Stati Uniti, mostra che tra le donne ispaniche e quelle afro-americane il tasso di abortività è oggi, rispettivamente, tre e cinque volte superiore a quello delle donne bianche: 50 afro-americane su mille ricorrono all’interruzione volontaria della gravidanza contro 11 bianche. Secondo mons. Holley - riferisce l'agenzia Cns - questi dati dimostrano una precisa scelta politica dell’industria abortista che ha deciso di puntare sul controllo delle nascite tra le minoranze etniche. Nella dichiarazione il vescovo, che collabora anche con la Commissione episcopale per le attività pro-vita, fa notare che l’80% delle cliniche abortive della “Planned Parenthood” si trovano nei quartieri abitati da minoranze. Pochi sanno – evidenzia inoltre la nota - che dal 1973 negli Stati Uniti la prima causa di morte nella comunità afro-americana è proprio l’aborto, che ha mietuto più vittime dell’Aids, degli incidenti, della criminalità, del cancro e delle malattie cardio-vascolari. Il risultato, denuncia mons. Holley, è che “abbiamo perso 13 milioni di vite umane , pari a un terzo della popolazione nera attuale”. Di qui l’appello rivolto alla comunità afro-americana a difendersi da questo attacco e “a recuperare i valori della famiglia e del matrimonio, a promuovere il carisma della castità e la fedeltà coniugale e a difendere la vita e la dignità di ogni essere umano”. “Planned Parenthood” (Genitorialità pianificata), è un’associazione affiliata alla “International Planned Parenthood Federation”, una federazione di organizzazioni nazionali impegnate nella promozione della pianificazione familiare. Negli Stati Uniti è la più grande rete di cliniche abortive. (L.Z.)

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    OCSE lancia l’allarme “disuguaglianza sociale”: si allarga la forbice dei redditi tra ricchi e poveri

    ◊   Ricchi sempre più ricchi, poveri sempre più poveri. La fotografia di una società dalle disparità economiche e sociali sempre più marcate emerge dal rapporto dell'OCSE 'Growing Unequal', che sottolinea come il fenomeno sia in aumento più o meno in tutti i Paesi anche se con ritmi molto diversificati. Tra i 30 stati membri dell'Organizzazione, la disuguaglianza è maggiore in Messico, seguono Turchia, Portogallo, Usa, Polonia e Italia. All'opposto Danimarca, Svezia e Lussemburgo, dove le distanze sono meno profonde. ''La disuguaglianza di reddito - si legge nel rapporto citato dall’Ansa – è cresciuta significativamente dal 2000 in Canada, Germania, Norvegia, Stati Uniti, Italia e Finlandia, mentre è diminuita in Gran Bretagna, Messico, Grecia ed Australia''. Nel complesso la disparità è aumentata in due terzi dei Paesi che fanno parte dell'organizzazione, spiega l'OCSE, e questo è avvenuto “perché le famiglie ricche hanno raggiunto risultati particolarmente positivi rispetto alla classe media e alle famiglie che si trovano ai livelli più bassi della scala sociale”. Come parametro di misurazione per la disuguaglianza, l'OCSE utilizza un coefficiente denominato 'Gini', che indica proprio la disparità di reddito. Tra i Paesi dell'Organizzazione si sono registrate differenze molto profonde, basti pensare che in Messico la forbice è due volte più larga rispetto alla Danimarca. I due paesi sono all'opposto nella classifica con un coefficiente di 0,23 per la Danimarca e di quasi 0,50 per il Messico contro una media OCSE di 0,30. Il rapporto evidenzia anche come la risposta dei singoli governi nazionali sia stata concentrata sul fronte degli ammortizzatori sociali, aumentando la spesa a favore di una popolazione che tende ad invecchiare velocemente. Si tratta però, secondo l'organizzazione, di una risposta che può essere ''solo temporanea''. Secondo l’OCSE “l'unica via sostenibile per ridurre le disuguaglianze” è assicurarsi che le persone siano in grado di trovare e mantenere un'occupazione. (M.G.)

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    Francia: l'83.ma Settimana sociale a Lione in programma dal 21 al 23 novembre 2008

    ◊   "Le religioni: minaccia o speranza per le nostre società?" è il tema su cui si confronteranno i 4.000 partecipanti alla 83ª Settimana sociale dei cattolici di Francia, in programma al Centro di congressi di Lione dal 21 al 23 novembre. Quest'anno vi saranno ospiti europei, tra cui una nutrita delegazione dall'Est, e sarà rappresentata la maggior parte delle religioni, per consentire un ricco dialogo interreligioso. "Le religioni sono fattore di divisione, come dicono alcuni, o partecipano realmente, come esse affermano, alla coesione della società?". A sollevare l'interrogativo è Jérôme Vignon, presidente delle Settimane, sottolineando che la questione "viene a porsi in Europa in un momento in cui l'autorità morale degli Stati è in calo e la politica si rinchiude progressivamente in un atteggiamento più di gestione che di visione". Tra gli argomenti dei laboratori in programma durante la Settimana - riferisce l'agenzia Sir - la religione nello spazio pubblico; la religione nei media e l'espressione culturale; la religione, l'educazione e la formazione dei cittadini; religione e coesione sociale; religione e società di fronte alla scienza e ai dilemmi etici. Al termine della sessione verrà stilato un messaggio rivolto ai partecipanti ed alla società in generale. Le Settimane Sociali di Francia sono nate nel 1904 con lo scopo di far conoscere il pensiero della Chiesa e contribuire al dibattito sociale. (R.P.)

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    Belgio: messaggio di cordoglio dei vescovi per la morte di suor Emmanuelle

    ◊   In un messaggio diffuso ieri, i vescovi della Conferenza episcopale del Belgio ricordano la figura di suor Emmanuelle, che si è spenta lunedì notte all’età di 99 anni in una casa di riposo a Caillan, in Costa Azzurra. In questo stessa località si terranno domani i funerali. “E’ con profonda emozione che abbiamo appreso della sua morte, pochi giorni prima del suo centesimo compleanno. – si legge nel testo ripreso dall'agenzia Sir - Per quasi un secolo, questa grande donna ha irradiato la sua generosità ed entusiasmo contagiosi in tutto il mondo. La sua vita ci invita a una maggiore solidarietà nelle prove e ci ricorda che è l'amore che salva il mondo”. “A nome dei cattolici del Belgio - un paese che è stato un po’ suo - presentiamo alla famiglia di Suor Emmanuelle e alla sua comunità religiosa il nostro cordoglio. Non dobbiamo essere tristi! Parlando della sua morte, ha detto Suor Emmanuelle di recente: "Mi preparo al grande incontro con il Signore. Vedendo la morte ogni giorno un po’ più vicina, penso al bambino che sta per buttarsi nelle braccia di suo padre”. Con Suor Emmanuelle, vogliamo soprattutto ringraziare Dio per questa vita così piena di gioia e di speranza”. Nata Madeleine Cinquin, di origine belga, nel 1980 ha dato vita alla fondazione Suor Emmanuelle. L'associazione che porta il suo nome continua ad aiutare bambini poveri in tutto il mondo, dall'Egitto al Sudan, dal Libano alle Filippine, dall'India al Burkina Faso. Laureata in filosofia alla Sorbona, Suor Emmanuelle aveva insegnato letteratura e filosofia a Istanbul, Tunisi, Il Cairo e Alessandria, e aveva scritto diversi libri. Spesso paragonata a Madre Teresa, Suor Emmanuelle aveva definito "ridicolo" l’accostamento con la santa di Calcutta. In Francia era stata decorata con la Legione d'onore nel 2002 e nominata Gran Ufficiale nel febbraio scorso. (A.M.)

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    Le Chiese accompagneranno dal punto di vista ecumenico il semestre di presidenza ceca dell'UE

    ◊   Le Chiese della Repubblica Ceca intendono accompagnare il semestre di presidenza ceca dell'Ue da un punto di vista ecumenico. Questo obiettivo è emerso nel corso dell'assemblea plenaria della Conferenza episcopale cattolica ceca, svoltasi nei giorni scorsi a Praga. In tutte le città della Repubblica Ceca in cui si svolgeranno incontri dei ministri Ue, verrà infatti presentata la vita delle Chiese nell'ambito di programmi collaterali. Durante la plenaria si è inoltre discusso sui preparativi del 1150° anniversario dell'arrivo degli apostoli Cirillo e Metodio in area ceca, che verrà celebrato nel 2013. L'evento "è legato alle radici storiche non solo del popolo ceco, bensì anche degli altri popoli slavi", hanno affermato i vescovi, che hanno inoltre deciso la costituzione di una commissione di storici. Tra gli altri argomenti all'ordine del giorno - riferisce l'agenzia Sir - vi era la discussione delle valutazioni sulla recente GMG di Sydney, sul meeting dei giovani "ActIv 8", svoltosi in contemporanea con l'evento in Australia, e che aveva visto la partecipazione di giovani provenienti sia dalla Repubblica Ceca che dalla Slovacchia impossibilitati a recarsi a Sydney. I vescovi hanno infine discusso sulla situazione della comunità cattolica ceca a Bruxelles e deliberato sulle iniziative dell'organizzazione Christian Solidarity International che si occupa di sensibilizzare l'opinione pubblica sulle persecuzioni dei Cristiani in tutto il mondo e di aiutare le vittime della repressione religiosa e di catastrofi naturali. (R.P.)

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    Sri Lanka: il primo santuario dedicato a San Pio di Pietrelcina attira anche fedeli buddisti e indù

    ◊   Un anno fa, nell’autunno 2007, veniva inaugurato alla periferia di Colombo, capitale dello Sri Lanka, il primo santuario del Paese dedicato a San Pio di Pietrelcina. Oggi, a un anno di distanza e dopo le resistenze che hanno accompagnato la fase iniziale della sua costruzione, il santuario è diventato un polo di attrazione anche per credenti non cattolici. Al punto che alla celebrazione per l’anniversario della sua inaugurazione hanno partecipato anche diversi monaci e fedeli buddisti locali. Non solo, ma una quarantina di famiglie buddiste della capitale ha partecipato alla preparazione dei festeggiamenti, contribuendo anche economicamente. L’ostilità iniziale sembra insomma avere ceduto il passo all’interesse della popolazione locale, favorendo i buoni rapporti interreligiosi, come ha confermato all’agenzia Ucan l’amministratore del santuario, padre Albert Pulliyandan. “Molti bambini nell’area sono stati chiamati con il nome del Santo cui si attribuiscono diversi miracoli”, ha detto il padre francescano all’agenzia Ucan, aggiungendo che la fama del luogo si sta diffondendo rapidamente in tutto il Paese. La realizzazione del Santuario di Padre Pio di Colombo è il risultato della volontà e generosità di un fedele americano molto devoto al Santo di Pietrelcina, Mario Bruski, che aveva presentato il progetto nel 2003, ottenendo l’assenso dell’arcivesoco Oswald Gomis. Bruski ha contribuito a metà delle spese, mentre l’altra metà è stata coperta dall’arcidiocesi e dai fedeli. (L.Z.)

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    La crisi alimentare e il ruolo della cooperazione internazionale al centro del convegno organizzato da “Mani Tese”

    ◊   “Gli equilibri della fame. La cooperazione è la risposta?”, è titolo del convegno internazionale sulla crisi alimentare, promosso da “Mani Tese” 1 e il 2 novembre a Riva del Garda (Trento). La tavola rotonda chiama a confrontarsi, spiegano gli organizzatori al SIR, “attori internazionali, protagonisti della cooperazione italiana e rappresentanti delle comunità locali del Sud del mondo, che contribuiranno a tracciare lo scenario dei fattori più rilevanti che intervengono ad acuire la crisi alimentare”. La due giorni muove da un interrogativo ben preciso: “Possiamo veramente parlare di diritto al cibo?”. I dati della FAO, da cui parte l’analisi di “Mani Tese”, ci dicono di no: il numero delle persone che vivono ancora nella fame è arrivato a 925 milioni. E la comunità internazionale “non è sufficientemente impegnata per far fronte alla crisi alimentare mondiale, che nel 2008 ha visto un nuovo drammatico picco”. Per questo motivo l’obiettivo è proporre alle istituzioni presenti “una visione partecipata e concreta della cooperazione internazionale, strumento possibile per affrontare il problema della fame”. All’incontro interverranno, tra gli altri, Yash Tandon, direttore esecutivo South Centre di Ginevra; Simon Monoja Lubang, direttore del Centre for peace and development studies, Sudan; Andrea Stocchiero, (Centro studi politica internazionale), e Sergio Marelli, presidente Associazione ONG italiane. (M.G.)

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    Svizzera: le Chiese cristiane firmano un documento dedicato al 60.mo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo

    ◊   A sessant’anni dalla firma della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e in un mondo oggi minacciato dalle divisioni razziali, economiche e religiose, è più che mai necessario proclamare e difendere i suoi principi che costituiscono il fondamento della libertà, della giustizia e della pace. È quanto afferma la dichiarazione congiunta diffusa dalla Conferenza episcopale svizzera (CES), dalla Federazione delle Chiese cristiane svizzere (FEPS) e dalla Chiesa vecchio–cattolica, in vista dell’anniversario del prossimo 10 dicembre, Giornata internazionale dei diritti dell’uomo. Anche in Svizzera – constatano le Chiese cristiane elvetiche – non mancano purtroppo interventi ed iniziative che rimettono in discussione il rispetto dei diritti dell’uomo. “Accettare senza reagire la violazione di un qualsiasi diritto umano fondamentale – ammoniscono - vuol dire mettere in pericolo tutti gli altri. Riconoscere invece l’importanza dei diritti umani, implica essere disposti a sollevare questioni difficili per ciascuno di noi e per tutta la società”. Il 60° anniversario della dichiarazione universale dei diritti umani – conclude quindi il documento - ci ricorda che, come cittadini e come cristiani, dobbiamo essere vigili e agire con coraggio e con tempestività per garantire dignità e giustizia a noi tutti”. In vista della Giornata per i diritti umani le Chiese elvetiche stanno organizzando diverse iniziative di sensibilizzazione, in collaborazione con l’“Azione dei cristiani per l’abolizione della tortura” (ACAT): tra queste - riferisce l’agenzia Apic - vi è la proposta di dedicare a questo tema le omelie e le prediche della domenica precedente il 10 dicembre; la promozione di conferenze, dibattiti e incontri di informazione sui diritti umani e la partecipazione alla raccolta firme per due campagne promosse dalla ACAT sulla situazione dei diritti umani a Cuba e sulla discutibile pratica messa in atto anche dal governo svizzero del trasferimento di sospetti a Paesi che praticano la tortura. (L.Z.)

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    Taiwan: oltre 5.000 giovani hanno preso parte alla celebrazione della Giornata della Gioventù

    ◊   Oltre 5.000 giovani provenienti da diverse parti dell’isola di Taiwan hanno riempito le strade di Tai Pei, nella Giornata nazionale della Gioventù, svoltasi dal 9 al 12 ottobre nell’arcidiocesi di Tai Pei. I giovani taiwanesi hanno infatti accolto l’invito della Chiesa con grande partecipazione. In questi tre giorni - riferisce l'agenzia Fides - hanno potuto vivere insieme tanti momenti commoventi: ascoltare la testimonianza dei giovani che hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù di Sydney, assistere allo spettacolo sull’evangelizzazione, partecipare alla veglia di preghiera e alla processione, distribuire testi di preghiera alle persone comuni come segno di augurio della Chiesa a tutte le persone, come “sentinelle dell’evangelizzazione”. Infine mons. Hong Shan Chuan, arcivescovo di Tai Pei, ha conferito il solenne Mandato missionario a questi giovani, che hanno ricevuto la forza dello Spirito Santo, incoraggiandoli a seguire le orme di San Paolo per essere testimoni di Cristo portando l’amore di Dio a tutti. La Commissione dell’Evangelizzazione della Conferenza episcopale regionale di Taiwan ha infatti voluto essere in sintonia per questo raduno giovanile, con il tema della XXIII Giornata Mondiale della Gioventù svolta a Sydney nel luglio scorso - «avrete forza dallo spirito santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni» - scegliendo il tema “Ricevi la potenza dello Spirito, per essere mio testimone” per la Giornata della Gioventù di Taiwan. (R.P.)

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    Il Rwanda passa all'inglese: diventerà la lingua principale dell'amministrazione pubblica

    ◊   Nei giorni in cui si teneva in Canada il vertice della Francofonia, il Rwanda, che lo ha boicottato, ha reso noto che l'inglese diverrà la lingua principale dell'amministrazione pubblica e dell'insegnamento. Il francese, insieme al kinyarwanda, la lingua nazionale, sarà relegato ad un ruolo di secondo piano. La decisione delle autorità rwandesi segna un nuovo punto nel confronto con la Francia, che verte soprattutto sulle responsabilità del genocidio del 1994. Un confronto che è sfociato nella rottura delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. Il Rwanda, ex colonia tedesca poi divenuta belga dopo la prima guerra mondiale, è entrata nell'orbita francese dopo l'indipendenza. Con l'arrivo al potere della nuova dirigenza, proveniente dalla diaspora rwandese in Paesi anglofoni (Uganda, Kenya, Tanzania e Stati Uniti), la lingua inglese ha iniziato a soppiantare progressivamente quella francese. Si tratta ancora di un processo relegato all'élite - riporta l'agenzia Fides - ma la decisione di rendere l'inglese la lingua principale dell'insegnamento fin dalla scuola primaria, estenderà l'uso di questa lingua al resto della popolazione nel giro di pochi anni e segnerà una vera e propria rottura culturale oltre che politica. La dirigenza rwandese ha motivato il provvedimento con il fatto che l'inglese contribuirà maggiormente allo sviluppo del Paese. Il Rwanda è entrato a far parte dell'East African Community, l'associazione economica dei Paesi dell'Africa orientale (in gran parte anglofoni) ed ha chiesto di entrare a far parte del Commonwealth, mentre dovrebbe uscire dall'Organisation internationale de la Francophonie. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Iraq: 3 civili uccisi in un attentato a Baquba e 15 morti in scontri tra tribù a Hilla

    ◊   Tre civili iracheni sono rimasti uccisi stamani dall'esplosione di un ordigno a Est di Baquba (66 km a Nord-Est di Baghdad). Si tratta di una zona dove le forze di sicurezza irachene hanno subito nelle ultime due settimane una serie di letali attacchi con ordigni esplosivi. Inoltre, 15 persone sono morte e altre 40 sono rimaste ferite la scorsa notte in una serie di scontri tra due tribù innescati da una disputa territoriale, nella cittadina di Musayyab, a nord di Hilla in Iraq meridionale. Si tratterrebbe delle tribù sciite al-Awigiat e al-Awisat. Hilla, 100 km a Sud di Baghdad, è capoluogo della provincia di Babil. La polizia di Musayyab e della provincia vicina di al-Anbar hanno circondato la zona degli scontri e hanno dichiarato lo stato di allarme, per prevenire una nuova fiammata di violenze e per evitare la diffusione degli scontri alle altre zone dove sono insediate altre famiglie delle due tribù.

    Afghanistan
    Il presidente afghano Hamid Karzai ha chiesto al personale delle Organizzazioni non governative (ONG) operanti in Afghanistan di limitare “tutti gli spostamenti non necessari”, il giorno dopo l'assassinio a Kabul di una cooperante cristiana britannica da parte dei talebani. Ieri la cooperante britannica Gayle Williams, di 34 anni, è stata assassinata dai talebani mentre si recava a piedi dalla sua abitazione alla sede della ONG cristiana per cui lavora, "Serve Afghanistan". I ribelli integralisti islamici hanno accusato questa ONG di fare opera di “proselitismo cristiano”, accusa respinta dal direttore dell'organizzazione, Mike Lyth. “Chiediamo a tutto il personale umanitario di essere vigile e di evitare ogni spostamento che non sia necessario”, ha detto Siamak Hirawi, portavoce di Karzai. “Siamo consapevoli che tali avvenimenti avranno un impatto negativo sull'attività delle ONG. Le ONG da molto tempo lavorano in Afghanistan in condizioni difficili e noi speriamo che esse continueranno la loro attività. Ma il governo adotterà nuove misure per evitare che tali atti si ripetano”, ha aggiunto il portavoce, senza scendere in particolari.

    Ucciso domenica in Somalia un impiegato dell’UNICEF
    In Somalia, ha provocato sconcerto l’uccisione di un impiegato locale dell’UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia avvenuta domenica nel Sud del Paese. In una nota, l’organizzazione condanna fermamente l’uccisione, reitera l’appello per porre fine agli atti di violenza contro gli operatori umanitari e chiede di garantire maggiore sicurezza per il proprio staff.

    Zimbabwe
    Si aggrava la crisi politica dello Zimbabwe dopo la decisione del presidente Mugabe di disattendere l’accordo concluso in settembre con il leader dell’opposizione Morgan Tsvangirai per la formazione di un governo di unità nazionale. Un nuovo tentativo di mediazione da parte dell’Organizzazione per lo sviluppo dell’Africa australe previsto per oggi in Swaziland è destinato al fallimento a causa dell’assenza proprio di Tsvangirai cui è stato negato il passaporto dalle autorità di Harare. Sulla attuale situazione di stallo nel Paese africano Stefano Leszczynski ha intervistato Irene Panozzo, africanista dell’agenzia "Lettera 22":

    R. – In questo momento siamo di nuovo in una situazione di stallo e di prese di posizione molto dure tra i due principali avversari, cioè Robert Mugabe, il presidente che da quasi 28 anni governa il Paese, e Morgan Tsvangirai, che invece è il leader dell’opposizione. Due avversari che in base all’accordo di condivisione del potere, firmato a metà settembre, avrebbero dovuto diventare partner appunto di governo: Mugabe, rimanendo presidente, e Tsvangirai diventando primo ministro.

    D. – Il Sudafrica è stato protagonista di molti tentativi di negoziato...

     
    R. – Quantomeno la crisi di questi giorni rischia di mettere a repentaglio l’unico risultato. I negoziati mediati da Tabo Mbeki, l’ex presidente sudafricano, erano riusciti a portare appunto all’accordo di "power sharing", firmato a metà settembre. Era stato salutato come un grande risultato da parte della direzione Mbeki. Questa crisi naturalmente mette in discussione tutto. Ed è una crisi causata sia dalla volontà di Mugabe di non lasciare così facilmente il potere e, appunto, mantenere un controllo sui ministeri strategici, probabilmente spinto anche dai falchi della sua stessa amministrazione, ma è stata anche conseguenza della parabola politica dello stesso Mbeki, che a fine settembre è stato costretto alle dimissioni.

    D. – A questo punto si è arrivati un po' ad avere anche il mantello delle organizzazioni regionali africane, come quella per i Paesi dell’Africa Australe. Sono organizzazioni sufficientemente forti per cercare di trovare una soluzione per il bene del Paese?

     
    R. – Nel caso della comunità per lo sviluppo dell’Africa australe, il tentativo appunto di gestire regionalmente la crisi è stato forte, soprattutto negli ultimi mesi. Certo è che Mugabe continua ad avere grande potere, per cui anche le possibilità da parte dell’organizzazione regionale di intervenire pesantemente, quasi a gamba tesa, sono minime, perchè comunque si tratta di politica interna e lui rimane il presidente.

     
    Rallentamento dell’attività economica: la previsione del FMI per l’Europa
    “Anche se la crisi finanziaria causerà un brusco rallentamento dell'attività economica, le azioni messe in campo per gestire la crisi dovrebbero permettere all'Europa di evitare conseguenze peggiori”. È quanto afferma il Fondo Monetario Internazionale nel "Regional economic outlook" dedicato all'Europa in cui si dà “il benvenuto” al pacchetto anti-crisi dei Paesi UE. Si incoraggiano i leader europei a proseguire con passi decisi sul recente impegno per azioni concertate e coordinate per risolvere la crisi rapidamente”. Per quanto riguarda l’Italia, il FMI sottolinea che in un periodo di choc finanziario, per un Paese come l'Italia che ha un potenziale di crescita ed una produttività molto bassi “è molto facile andare in recessione”. La crescita del PIL italiano sarà negativa sia nel 2008 che nel 2009. Secondo il FMI, l'impatto della crisi finanziaria si farà sentire sull'economia di tutti i Paesi europei.

    Ci sarà discussione tecnica sul pacchetto clima tra UE e Italia
    “Ci sarà una discussione tecnica sul pacchetto clima tra le autorità italiane e la Commissione UE a partire dalla prossima settimana”. Lo ha detto la portavoce del Commissario europeo all'ambiente. Da parte sua, il presidente di turno dell’UE Sarkozy, intervenendo al Parlamento europeo riunito in Plenaria, ha detto che “sarebbe per l'Europa un errore storico mancare l'appuntamento con il pacchetto clima”. Sarkozy ha parlato anche di crisi dei mutui, affermando che ogni Paese europeo dovrebbe valutare l'opportunità di creare un fondo sovrano per dare una risposta industriale alla crisi. Ha anche espresso il timore che con gli attuali bassi livelli delle quotazioni di borsa, società europee vengano comprate da stranieri.

    44 morti in Sri Lanka
    In Sri Lanka è almeno di 44 morti e 48 feriti il bilancio dei combattimenti in atto tra esercito e ribelli del movimento di liberazione delle Tigri tamil nel nord del Paese. Da oltre due mesi le truppe governative hanno lanciato un’offensiva che mira a conquistare la roccaforte tamil di Kilinochchi e proprio ieri hanno annunciato la conquista del villaggio chiave di Vanerikulàm.

    Bolivia
    L’ultima colonna di sostenitori del presidente boliviano Evo Morales è arrivata ieri sera nella centrale Plaza Murillo di La Paz alle 20 (le 2 italiane di oggi) dopo aver percorso a piedi 190 chilometri da Caracollo, in provincia di Oruro, col proposito di chiedere al Parlamento l'approvazione di una legge per convocare un referendum popolare con cui ratificare la nuova Costituzione. Secondo "Radio Erbol", una emittente vicina a Morales, si è trattato “della più grande manifestazione pubblica nella storia della Bolivia”, con la partecipazione di almeno 500.000 persone. L'accordo fra governo ed opposizione sulla legge è stato raggiunto ieri pomeriggio, dopo che Morales ha accettato di cancellare dal testo costituzionale la possibilità di due elezioni consecutive di un candidato alla massima carica dello Stato. A questo punto è stato trovato un accordo per la celebrazione del referendum il 25 gennaio 2009 e delle elezioni generali anticipate nel successivo dicembre.

    Thailandia
    La Corte suprema thailandese ha deciso oggi che l'ex primo ministro Thaksin Shinawatra ha violato la legge sul conflitto di interessi durante il suo mandato e lo ha condannato a due anni. Con una decisione presa con cinque voti favorevoli e quattro contrari, la Corte ha stabilito che Thaksin era coinvolto nell'acquisto, da parte di sua moglie, di un terreno da un fondo della banca centrale.

    Thailandia - Cambogia
    Dopo gli scontri delle scorse settimane al confine tra Thailandia e Cambogia le diplomazie dei due Paesi asiatici sono al lavoro per far incontrare i primi ministri dei rispettivi governi a margine del vertice ASEM tra Asia e Europa previsto a Pechino i prossimi 24 e 25 ottobre. La contesa riguarda il territorio di frontiera comprendente lo storico tempio di Preah Vihear. Intanto è morto oggi il militare thailandese ferito alla testa nel corso degli scontri a fuoco la scorsa settimana, portando a quattro il numero delle vittime.

    Immigrazione irregolare
    Un'imbarcazione con 41 migranti è stata intercettata a 15 miglia al largo di Lampedusa. I migranti, fra cui quattro donne e altrettanti bambini, sono stati stati soccorsi dalla Guardia costiera, dalla Guardia di Finanza e da una nave della Marina militare italiana. Un’altra imbarcazione che stava andando alla deriva con a bordo 28 immigrati irregolari di nazionalità marocchina, è stata soccorsa al largo di Tangeri (Marocco). (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 295

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