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Sommario del 16/11/2008

Il Papa e la Santa Sede

  • Benedetto XVI all'Angelus: diffondere i doni di Cristo, senza soffocarli con pregiudizi o inerzia. Il Papa prega per le vittime della strada
  • Oggi in Primo Piano

  • Le misure del G20 per il riassetto globale di finanza e mercati
  • Al via, a Cipro, il 22.mo meeting "Uomini e religioni". Intervista con il Patriarca ortodosso, Chrysostomos II
  • Emergenza umanitaria a Gaza dopo la ripresa delle violenze
  • Sulla vicenda di Eluana Englaro, le riflessioni del prof. Gianluigi Gigli e del filosofo Vittorio Possenti
  • La Giornata mondiale della sicurezza stradale: cultura del rispetto per limitare le stragi
  • Chiesa e Società

  • Tensione in Orissa per la manifestazione degli indù che minacciano nuove violenze
  • A Milano una fiaccolata a sostegno dei cristiani perseguitati in India
  • Stanno bene le suore rapite in Kenya. In corso le trattative per il rilascio
  • Nella Giornata Internazionale per la tolleranza il messaggio di Ban Ki-moon
  • Nell’Anno Paolino nasce ad Antiochia il “Centro Culturale San Paolo”
  • I sovrani del Belgio alla Messa in suffragio per suor Emmanuelle
  • A Roma un convegno sul contributo dei Padri della Chiesa alla cultura europea contemporanea
  • Un convegno di Pax Christi a Firenze in solidarietà con i popoli della Terra Santa
  • Il cardinale Bagnasco inaugurerà l'Anno accademico dell'Università europea di Roma
  • Un ricordo del cardinale Augustin Bea nel 40.mo della scomparsa
  • 24 Ore nel Mondo

  • Le truppe Usa lasceranno l'Iraq nel 2011. Baghdad approva l'accordo con Washington
  • Il Papa e la Santa Sede



    Benedetto XVI all'Angelus: diffondere i doni di Cristo, senza soffocarli con pregiudizi o inerzia. Il Papa prega per le vittime della strada

    ◊   La Parabola dei “talenti” insegna ai cristiani ad essere attivi e intraprendenti nel testimoniare nel mondo i doni di Dio e non a seppellirli sotto pregiudizi “che paralizzano la fede e le opere”. E’ la riflessione che Benedetto XVI ha sviluppato all’Angelus di oggi in Piazza San Pietro. Il Papa ha anche ricordato l’inizio del Tempo d’Avvento che cade oggi nell’arcidiocesi di Milano dove, sempre oggi, entra in vigore anche il Nuovo Lezionario Ambrosiano, salutato da Benedetto XVI come un segno della Parola di Dio che salva “l’umanità di tutti i tempi”. Il servizio di Alessandro De Carolis:

     
    Nella penultima domenica del Tempo ordinario, prima dell’inizio dell’Avvento, il Vangelo presenta Gesù che si sofferma con i suoi discepoli con una delle sue parabole più celebri: quella dei “talenti”. Moneta romana di grande valore, nel comune sentire il talento, ha osservato il Papa, diventa “sinonimo di dote personale, che ciascuno è chiamato a far fruttificare”. Ma non si tratta solo di “trafficare” una qualità naturale. Gesù, ha affermato Benedetto XVI, intende il talento in modo più ampio, comprendendo cioè quelle “ricchezze” da lui lasciateci “in eredità: il Vangelo, il Battesimo, la preghiera del “Padre nostro”, l’Eucaristia, il suo perdono. In una parola, ha soggiunto il Papa, il “tesoro” affidato da Gesù ai suoi amici” è lui stesso, il Regno di Dio realizzato:

     
    “La parabola odierna insiste sull’atteggiamento interiore con cui accogliere e valorizzare questo dono. L’atteggiamento sbagliato è quello della paura: il servo che ha paura del suo padrone e ne teme il ritorno, nasconde la moneta sotto terra ed essa non produce alcun frutto. Questo accade, per esempio, a chi avendo ricevuto il Battesimo, la Comunione, la Cresima seppellisce poi tali doni sotto una coltre di pregiudizi, sotto una falsa immagine di Dio che paralizza la fede e le opere, così da tradire le attese del Signore”.

     
    L’esempio positivo viene invece dai discepoli, che non hanno occultato i talenti dietro il velo della paura o della gelosia ma, ha sottolineato il Papa, hanno fatto fruttificare questo dono “condividendolo, partecipandolo”, proprio perché - ha ribadito - il tesoro lasciato da Gesù “è fatto per essere speso, investito, condiviso con tutti”:

     
    “L’insegnamento evangelico, che oggi la liturgia ci offre, ha inciso anche sul piano storico-sociale, promuovendo nelle popolazioni cristiane una mentalità attiva e intraprendente. Ma il messaggio centrale riguarda lo spirito di responsabilità con cui accogliere il Regno di Dio: responsabilità verso Dio e verso l’umanità”.

     
    Benedetto XVI, che ha salutato la folla raccolta sotto la sua finestra in sei lingue, ha voluto ricordare in particolare due avvenimenti. La Giornata pro Orantibus, del 21 novembre prossimo, dedicata alle comunità di clausura, per le quali il Pontefice ha implorato nuove vocazioni e un impegno a “sostenere i monasteri nelle necessità materiali”. Quindi, l’inizio dell’Avvento dell’arcidiocesi di Milano, nella quale da oggi entra in uso il Nuovo lezionario Ambrosiano, che il cardinale arcivescovo della città, Dionigi Tettamanzi, aveva presentato nei giorni scorsi a Benedetto XVI. Il quale ha commentato:

     
    “E’ significativo che ciò avvenga all’indomani dell’Assemblea del Sinodo dei Vescovi dedicata alla Parola di Dio. Possa la Chiesa Ambrosiana, nutrita con sapienza e abbondanza delle Sacre Scritture, camminare sempre nella verità e nella carità e rendere valida testimonianza a Cristo, Parola di salvezza per l’umanità di tutti i tempi”.

     
    In coincidenza, poi, con la Giornata della sicurezza stradale, il Papa ha levato in lingua inglese una preghiera per le vittime degli incidenti stradali e le loro famiglia. "Il nostro comportamento sulle strade - ha detto - deve essere caratterizzato da responsabilita', considerazione e rispetto per gli altri".

     
    Dunque, secondo le parole di Benedetto XVI all'Angelus, il Nuovo Lezionario Ambrosiano è un dono particolare che aiuta a professare, celebrare e vivere la fede a partire dalla Parola di Dio. Un pensiero ribadito anche dall’arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, nel corso della prima celebrazione in Duomo con i nuovi testi biblici propri del Rito ambrosiano. Da Milano, ci riferisce Fabio Brenna:

    Il nuovo lezionario era stato presentato ufficialmente a Papa Benedetto XVI al termine dell’udienza generale, mercoledì scorso. Non a caso è stata scelta la Messa del sabato, poiché il nuovo Lezionario da una particolare importanza alle celebrazioni vigiliari. “Una novità che ha lo scopo di rilanciare l’importanza dell’ingresso nella Pasqua della settimana, la Domenica, il Giorno del Risorto” ha detto l’arcivescovo nel corso della Messa trasmessa in diretta via radio, Tv e web. Il nuovo Lezionario ambrosiano pone poi in maggiore evidenza l’intimo legame che unisce l’Antico e il Nuovo Testamento. Così il cardinale Tettamanzi:

    “Non è in gioco una semplice sostituzione di brani biblici, ma un diverso modo di accostare le ricchezze della Sacra Scrittura, ossia guidati in modo sapiente da una tradizione come quella ambrosiana, le cui radici profonde attingono al patrimonio della Chiesa indivisa del primo millennio e alla sensibilità teologica, liturgica, spirituale veicolata dagli scritti del suo grande vescovo e patrono, Sant’Ambrogio. Radici per la verità che qui sono costantemente coniugate con le rinnovate esigenze liturgiche e pastorali, oggi, delle nostre comunità”.

    Per far conoscere le novità introdotto dal nuovo Lezionario, che non cambia la struttura della Messa, l’arcivescovo aveva inviato nei giorni scorsi una lettera a tutti i fedeli della diocesi, ed aveva fatto dono dei nuovi libri ad ogni parrocchia. Il nuovo Lezionario, ha sottolineato inoltre l’arcivescovo, esalta la caratteristica della liturgia ambrosiana come ponte con la Tradizione Orientale particolarità, questa, stabilita fin dai tempi del patrono, Sant’Ambrogio.

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    Oggi in Primo Piano



    Le misure del G20 per il riassetto globale di finanza e mercati

    ◊   Rilanciare l’economia aumentando la spesa pubblica, ma evitando derive protezionistiche e regolamentare i mercati attraverso la sorveglianza e la trasparenza. Nel G20 che si è chiuso ieri sera a Washington, sono state tracciate le linee d’azione comuni contro la crisi e sono state poste le basi per una profonda riforma del sistema finanziario globale. Dalla capitale Usa, ci riferisce Elena Molinari:

    Il valore del G20, conclusosi ieri, è racchiuso più nell’immagine che nel comunicato finale. Quando i leader dei 20 Paesi si sono messi in posa per le foto di rito, oltre ai soliti volti americani, europei o giapponesi, balzano agli occhi il castano di re Abdullah dell’Arabia Saudita, il turbante del primo ministro indiano e la pelle nera del presidente sudafricano. Tutti, poi, hanno evidenziato la preoccupazione per le ricadute di una crisi che sta contagiando il mondo intero. La volontà di lavorare insieme, dunque, non è più retorica ma necessità, e la partecipazione dei Paesi emergenti non è un gesto di magnanimità delle potenze sviluppate, ma una presa d’atto del loro peso nell’economia mondiale. Era il primo vertice del G20 a livello di capi di Stato e di governo, e già ha messo in forse l’autorità del G8. Il summit si è concluso con affermazioni di principio importanti, ma necessariamente vaghe. I 20 hanno ribadito sia la fiducia nei principi del libero mercato che del commercio aperto, sia il bisogno di mercati finanziari che siano regolamentati in maniera efficace. Di più, sarebbe stato difficile fare, data l’assenza di Barack Obama. L’appuntamento per iniziative più concrete è dunque per aprile, dopo l'avvio del mandato del nuovo presidente americano, quando i 20 si ritroveranno. Entro quella data, si sono impegnati a definire misure per la regolamentazione globale, la supervisione e la trasparenza dei mercati. Sempre entro la fine di marzo, i 20 presenteranno una lista nera delle istituzioni finanziarie più a rischio. In primo piano sono tornati anche i negoziati del “dual round” sul commercio internazionale: i 20 hanno deciso infatti di concluderli entro l’anno.

     
    Il vertice di Washington ha dunque dimostrato che esiste una forte necessità di allargare la cooperazione alle economie emergenti. Ma con il G20 si è effettivamente creato un fronte comune contro l’attuale crisi economica? Marco Guerra lo ha chiesto al prof. Riccardo Moro, economista e direttore della Fondazione Giustizia e Solidarietà della Conferenza episcopale italiana:

    R. - Un fronte comune esisteva già: è sotto gli occhi di tutti la necessità di un’azione concordata e i leader di tutti i Paesi si sono già parlati e si erano già parlati in questi mesi. La riunione in sé aggiunge qualcosa di nuovo, ma non cambia le prospettive: direi che non aggiunge elementi di grandissima novità, soprattutto per la debolezza fondamentale di essere presieduta e ospitata da un presidente degli Stati Uniti che tra un mese e mezzo non avrà più alcun ruolo.

     
    D. - La presa di posizione dei grandi del mondo può realmente risolvere la crisi economico-finanziaria in corso?

     
    R. - Mi pare un passo in un cammino che è necessario: è un passo, dunque, dovuto per certi aspetti ma per ora assolutamente non sufficiente. Non si può risolvere una crisi sistemica di questo tipo con una sola riunione. E’ stato prodotto un documento molto lungo, molto articolato che, evidentemente, era stato redatto in precedenza e non può essere frutto di una sola giornata di lavoro, e che non può esaurire la complessità delle questioni. Abbiamo di fronte a noi alcune tappe. Una tappa si aprirà tra 10 giorni a Doha, con la Conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo. Vi sono altre sedi nelle quali le questioni del regolamento dei mercati finanziari verranno affrontate. Direi che è un passo, quello compiuto nella giornata di ieri, anche se sicuramente non ancora sufficiente.

     
    D. - No al protezionismo ma via libera ad una massiccia spesa pubblica antirecessione. Come valuta le due linee guida fissate dal G20 per uscire dalla crisi?

     
    R. - Direi che, in realtà, ce ne sono tre di linee guida, nel senso che la battuta sul veto ad un’iniziativa eccessivamente protezionistica effettivamente esiste ed è forse figlia di una preoccupazione soprattutto britannica nei confronti di alcune notizie lasciate trapelare dall’amministrazione americana, di una disponibilità ad un finanziamento all’industria automobilistica statunitense. Ma mi pare che i due elementi più importanti siano, da un lato, di autorizzare spese pubbliche espansive rispetto a quello che è stato lo stile degli ultimi anni, ma, dall’altro lato, una chiara intenzione di affrontare la questione della regolamentazione dei mercati: sia proprio attraverso la definizione di regole e che attraverso un rafforzamento del lavoro di definizione di standard contabili.

     
    D. - Questa crisi ha messo in risalto il peso delle economie emergenti: non si potrà più prescindere, dunque, dal format a 20 partecipanti agli incontri internazionali?

     
    R. - Certamente, il ruolo del G20 sta surclassando, in questo momento, il ruolo del G8. E' vero, però, che anche la sede del G20 non è sufficiente. Noi abbiamo la necessità di dare centralità alle sedi multilaterali autentiche e complete, come è quella delle Nazioni Unite, come sono le Conferenze internazionali che le Nazioni Unite convocano.

     
    D. - Professor Moro, c'è il rischio che le decisioni del G20 provochino una ricaduta negativa per i Paesi poveri ed in via di sviluppo?

     
    R. - Io non direi, in questo momento. Sicuramente, la crisi ha determinato delle ricadute negative, generando perdite da un lato e dall’altro, riducendo disponibilità e accesso al credito per i Paesi in via di sviluppo, che hanno necessità di finanziarsi. Dunque, un problema che è nato in una parte del mondo ha avuto ricadute dappertutto. Non credo, quindi, che si possa dire che questa riunione possa arrecare dei danni, nei Paesi più poveri.

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    Al via, a Cipro, il 22.mo meeting "Uomini e religioni". Intervista con il Patriarca ortodosso, Chrysostomos II

    ◊   Duecento personalità religiose e politiche da oltre 60 Paesi: stanno giungendo in queste ore a Nicosia per partecipare - da questa sera a martedì prossimo - alla 22.ma edizione di "Uomini e Religioni", l'annuale incontro organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, in collaborazione con la Chiesa ortodossa di Cipro, che nell'edizione 2008 ha per titolo “La civiltà della pace: fedi e culture in dialogo”. Un appuntamento che intende contribuire con idee e dialoghi al raggiungimento della pace nel mondo. Da Nicosia, la nostra inviata, Francesca Sabatinelli:

    Cipro: ultimo muro d’Europa non ancora crollato, ma che qualcuno crede potrebbe forse incrinarsi in questi giorni, che vedono la parte sud dell’Isola teatro dell’incontro organizzato da Sant’Egidio, dove oltre a culture e religioni si incroceranno dialogo e diplomazia. A Nicosia - capitale attraversata dalla linea verde che divide il sud dei greco-ciprioti dal nord occupato nel 1974 dalla Turchia - due liturgie hanno già scandito il ritmo di questi giorni. La prima ieri sera, nella chiesa della Santa Croce, tagliata dal confine, con le finestre dell’abside che affacciano sulla parte occupata, separate da un muro dal resto dell’edificio. Qui, il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, alla presenza dell’arcivescovo ortodosso di Cipro, Chrysostomos II, ha indicato le vie per “coltivare il vero talento costituito dalle religioni”: accoglienza, pazienza e speranza. Le religioni, ha detto lanciando un appello a sostegno dei cristiani nella regione indiana dell’Orissa, sono “una straordinaria forza vitale per l’umanità”.

     
    Questa mattina, poi, la Divina liturgia ortodossa, presenti alcuni cardinali, presieduta da Sua Beatitudine Chrysostmos II, che ha di nuovo sottolineato come questo ritrovo della Chiesa cipriota con le altre Chiese sorelle sia il momento per ripetere che la pace non è un valore relativo ma assoluto. L’intento dei partecipanti è stato dimostrato dal successivo attraversamento del confine di una delegazione: una quarantina di persone tra esponenti delle diverse religioni e personalità della cultura, tra loro molti musulmani, sono passate nella parte occupata, superando il bazar oltre il check point della zona nord di Nicosia, dirette alla moschea Selymie, l’antica cattedrale cattolica di Santa Sofia. Due momenti dunque, ieri e stamane, indicati dagli organizzatori come “l’anteprima di un meeting che entra nell’ultima ferita d’Europa”, che nonostante alcuni flebili segnali di distensione, è ancora “alla ricerca di soluzioni spirituali e politiche.

    Dal 1974, come detto, Cipro è separata in due, con la parte nord invasa dalla Turchia e tuttora riconosciuta solo da Ankara come autoproclamata Repubblica del nord. Dal 2003, esiste la possibilità di attraversare la linea di demarcazione e da poco è ripreso un delicato processo di pace tra le due parti. La speranza - come spiega al microfono di Francesca Sabatinelli, il Patriarca ortodosso Chrysostomos II, arcivescovo di Nuova Giustiniana e tutta Cipro - è che l’incontro di Sant’Egidio possa contribuire al disgelo:

    R. - (parole in greco)
    Crediamo che questo incontro avrà un ruolo molto positivo per quanto riguarda il processo di pace a Cipro ma anche in tutto il mondo. Crediamo anche che, per quanto riguarda Cipro, darà i messaggi giusti ai rappresentanti delle due comunità, affinché lavorino con tenacia e con concentrazione per una soluzione giusta per entrambe le comunità, affinché regni finalmente la pace e perché si possa vivere felicemente una accanto all’altra.

     
    D. - Quali sono le attuali difficoltà del negoziato?

     
    R. - (parole in greco)
    I problemi del dialogo sono tanti. A Cipro, di sono due Stati e non uno singolo. La volontà è che si dissolva la Repubblica di Cipro per poi formare due Stati indipendenti, che tra loro abbiano una relazione molto sottile, in una sorta di confederazione. Ankara, inoltre, vuole conservare il diritto di mantenere le sue truppe a Cipro, anche dopo una soluzione, con diritto d'intervento, cosa che noi non possiamo accettare. Cipro, però, è uno Stato piccolo per essere diviso in due. La Comunità Europea ha riconosciuto Cipro come un Paese unito, tutto intero, malgrado l’aquis communautaire non venga applicato nella parte occupata. L’Europa ci ha accettati così come siamo e pensa che così possiamo vivere - greci e turchi - in pace.

     
    D. - Durante il suo incontro a Roma con Benedetto XVI, avete entrambi ribadito la volontà di proseguire e intensificare la ricerca della piena unità tra cristiani. Secondo lei, a che punto è, questo cammino?

     
    R. - (parole in greco)
    Il dialogo continua. Noi, come Chiesa di Cipro, appoggiamo questo dialogo. Noi abbiamo deciso di ospitarlo l’anno prossimo qui, a Cipro. Come Chiesa locale, noi offriremo i nostri buoni servigi per un esito positivo, perché non è ammissibile che la Chiesa di Cristo sia divisa: la Chiesa deve avere un pastore, deve essere un popolo, un gregge. Non si può continuare a vedere la Chiesa spezzettata: la Chiesa dev’essere unita. E noi faremo di tutto per gettare ponti per unire questa Chiesa.

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    Emergenza umanitaria a Gaza dopo la ripresa delle violenze

    ◊   Non si fermano gli scontri al confine tra Israele e la Striscia Gaza dopo la violazione, venerdì scorso, della tregua siglata a giugno tra Hamas e lo Stato ebraico. Stamani, quattro miliziani palestinesi sono rimasti uccisi ad est di Gaza City in un raid aereo israeliano. Secondo le forze di Tel Aviv, il gruppo si accingeva a sparare razzi contro Israele. Intanto, con la ripresa delle violenze e la chiusura dei valichi, è cessata la distribuzione degli aiuti alimentari nella Striscia e a nulla sono valsi per ora gli appelli dell’Onu e dell’Unione Europea per ristabilire gli approvvigionamenti al territorio palestinese. A questo proposito Gabriella Ceraso ha raccolto la testimonianza di un'insegnante cristiana che vive a Gaza e che per ragioni di sicurezza preferisce mantenere l’anonimato:

    R. - La situazione è molto difficile, è tutto chiuso per noi. Ad esempio, mia figlia ha finito la scuola quest’anno ed io non ho potuto mandarla fuori all’università. Questa è la cosa più difficile: che non possiamo uscire, è come una prigione: una prigione così grande che non si può partire, non si può andare da nessuna parte.

     
    D. - Per quanto riguarda medicinali, i bisogni che avete?

     
    R. - Non sempre si trova tutto. Per esempio, se abbiamo una malattia seria, gli ospedali qui non sono troppo buoni. Allora non è facile uscire, avere il permesso.

     
    D. - Quale testimonianza, anche di vita, si può dare in un clima di questo genere, di paura, di limitazione?

     
    R. - Io, ad esempio, insegnavo ad una scuola frequentata solo da musulmani ed era un’esperienza molto bella, perché si vede che c’è Gesù in loro. Io guardavo ognuno come se ci fosse Gesù in lui anche se qualche volta non mi capivano perché sono cristiana - loro non hanno un’idea dei cristiani come sono. Con la vita, tante di loro hanno capito che una persona cristiana vive l'amore.

     
    D. - Che rapporto c’è invece con la pace? Se ne parla, che idea c’è?

     
    R. - Tutti dicono che vogliono la pace, ma non so se hanno capito bene cosa voglia dire “pace”.

     
    D. - Educare i giovani alla pace è un’esperienza che tu hai fatto?

     
    R. - Quando ero con i figli - erano più piccoli - hanno cominciato dalle nove di sera fino al mattino, sempre con i bombardamenti e i bambini avevano tanta paura. Loro hanno cominciato a dire qualche parola: “Perché fate così”, ed io ho detto: “Perché non dite che Gesù ha detto che dobbiamo amare i nemici. Questa è un’occasione, no?” Allora mi hanno detto: “Come possiamo amare loro?” Ed io ho detto: “Possiamo non dire niente ma possiamo pregare per loro, possiamo chiedere a Gesù che metta il suo amore in loro, che li faccia pensare che non stanno facendo una cosa bella.” Allora abbiamo pregato insieme per loro e dopo, anche se continuavano i bombardamenti, non avevano più paura.

     
    D. - C’è la speranza, è cambiato qualcosa negli ultimi anni? Senti che c’è un progetto?

     
    R. - Non sento che ci sia qualcosa di serio perché non vediamo niente: vediamo che le cose vanno male, vanno peggiorando.

     
    D. - Andare via è ipotizzabile?

     
    R. - Non sarà facile, ma per il futuro dei figli sarebbe stato meglio uscire fuori per farli studiare, per trovare un lavoro buono. Ma qui, adesso, con questa situazione, non c’è speranza.

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    Sulla vicenda di Eluana Englaro, le riflessioni del prof. Gianluigi Gigli e del filosofo Vittorio Possenti

    ◊   Giornata di preghiera ieri per Eluana Englaro: tante le iniziative, animate dalle parrocchie e dai movimenti ecclesiali, che hanno voluto così esprimere solidarietà ai tanti malati che credono nella dignità della persona e della vita umana, anche in situazioni limite. Intervenendo da Sestri Ponente sulla vicenda, il cardinale arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha rinnovato ieri la "vicinanza al dolore" patito dalla donna, in stato vegetativo da quasi 17 anni, e dai suoi familiari. Tuttavia, il proporato ha ribadito la "indisponibilità del grande dono della vita" che, ha detto, ha bisogno di essere "custodita, amata e curata" specie se malata o ferita. In questi giorni, è circolata la voce che l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine o altre strutture ospedaliere della regione Friuli-Venezia Giulia potrebbero mettersi a disposizione per accogliere Eluana negli ultimi momenti della sua vita. Su questa ipotesi, Adriana Masotti ha sentito il prof. Gianluigi Gigli, docente di Neurologia all’Università di Udine e coordinatore della commissione ministeriale sullo stato vegetativo:

    R. - E’ una ipotesi che circola moltissimo e che io spero non si realizzi. Abbiamo combattuto perché Eluana non morisse: sarei molto triste che avvenisse nel luogo in cui io lavoro. C’è stata una reazione, ovviamente, a questa ipotesi, ci sono stati interventi anche autorevoli, a cominciare dal nostro arcivescovo, e anche del sottoscritto, sotto forma di una lettera aperta che è molto circolata sulla stampa locale e in parte anche nazionale, indirizzata al presidente della giunta regionale. Posso anche dire che all’interno della stessa Giunta regionale ci sono state manifestazioni di dissenso circa un’ipotesi di aprire le strutture della regione alla morte programmata - diciamo così - di Eluana. Quello che io mi chiedo comunque su questo tema è: perché sia necessaria una struttura sanitaria. Se sono così convinti, i nostri interlocutori, che si tratti semplicemente di una morte naturale, di una morte indolore, io credo che la scelta più razionale dovrebbe essere quella di portarla a casa e farla morire a casa, e guardarla, per 14 giorni, serenamente - come essi dicono - spegnersi.

     
    D. - A questo proposito, che possibilità ci sono che Eluana senta la fame e la sete? Cosa dice la scienza su questo?

     
    R. - Diciamo che ne sappiamo poco, ma quel poco che sta emergendo nel corso degli ultimi anni ha dimostrato che almeno in alcuni di questi pazienti vi sia ancora una capacità di analizzare, di discriminare, e in alcuni casi anche in maniera relativamente elaborata, le informazioni che vengono mandate dall’esterno. Non sappiamo se questo sia il caso di Eluana. E per quanto riguarda il dolore, posso dirle che la nostra conoscenza della neurofisiologia del dolore è altamente lacunosa ed imperfetta e nessuno di noi sa esattamente con quali tonalità e con quale intensità possa avvertire disagio la paziente quando sarà sottoposta alla morte per fame e per sete. E’ certo, comunque, che qualche dubbio se lo pongono anche coloro che dicono che sarà una fine serena, tant’è che lo stesso giudice La Manna, nella sua sentenza, ha previsto un rituale di lenimenti per le sofferenze delle mucose e di sedazione profonda affinché la paziente non avverta il dolore.

     
    D. - Veniamo alle reazioni di questi giorni: c’è chi ritiene la sentenza della Cassazione un omicidio, c’è chi invece la vede come un atto di civiltà. Come mai questa valutazione così opposta? E soprattutto: è questione di essere credenti o no - come qualcuno sostiene - che fa la differenza?

     
    R. - No. La fede certamente dà un supplemento, ma non è necessaria la fede per mettere in discussione questa sentenza. Qui si scontrano due concezioni che riguardano il potere dei giudici e il cambiamento che questo tipo di intervento giudiziario produce su tre aspetti fondamentali del nostro vivere civile. Primo, il fondamento stesso dell’ordinamento giuridico che nella nostra tradizione è stato sempre quello della indisponibilità del bene “vita”. Secondo, la deontologia professionale del medico. Terzo, lo stravolgimento a livello della convivenza, dei legami che questa convivenza reggono nel corpo sociale, perché certamente verrebbe rimessa in discussione la possibilità di un’accoglienza senza “se” e senza “ma” alle persone più fragili della nostra società.

     
    D. - Ormai tutti chiedono una legge sul “fine-vita”. Lei, da medico che si occupa proprio di malati in stato vegetativo, che cosa si augura stabilisca questa legge?

     
    R. - Io dico che una legge di questo tipo non può partire dal fatto che l’autodeterminazione sia un bene assoluto. La vita umana è anche un bene sociale. Un’ipotesi legislativa sulle dichiarazioni anticipate di fine-vita dovrebbe prevedere, a mio avviso, che le dichiarazioni stesse siano rese obbligatoriamente per iscritto, siano prese esclusivamente dal soggetto quando era nel pieno delle sue capacità mentali e non da terzi - nemmeno dal padre, nemmeno dal tutore, nemmeno dal giudice - e che queste decisioni vengano rinnovate in maniera periodica e avvengano al termine di un processo informativo che metta effettivamente il soggetto nella possibilità di esprimersi. Comunque, ritengo che l’idratazione e la nutrizione non debbano far parte di queste possibilità di dichiarazione anticipata, perché costituiscono l’assistenza di base e non le terapie mediche. E quindi, probabilmente tutto questo non risolverebbe il caso del paziente in stato vegetativo. Inoltre, dovrebbero non essere in alcun modo vincolanti per il medico queste stesse decisioni: il medico deve essere lasciato libero di poter decidere in scienza e coscienza, perché il suo rapporto con il paziente non può essere di tipo contrattuale, cioè come di puro prestatore d’opera.

    La vicenda di Eluana Englaro, per la quale dopo la sentenza della Corte di Cassazione si avvicina il momento dell’interruzione dell’alimentazione e idratazione, ha riportato in primo piano i rischi insiti in una medicina che non guardi alla persona nella sua integralità. Anche il cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha levato oggi un appello affinché “l’ideologia non oscuri del tutto le coscienze”, presiedendo a Montecatini la Messa conclusiva del XVIII Convegno nazionale dei Centri di aiuto alla Vita. Sul tema, Alessandro Gisotti ha chiesto un'opinione al filosofo Vittorio Possenti, docente all’Università di Venezia e membro del Comitato nazionale per la Bioetica:

    R. - Certamente, va riaffermato che il diritto alla vita di Eluana Englaro non può essere sottoposto a decisioni di magistrati e che quindi attraverso un dispositivo giuridico viene introdotta surrettiziamente la fattispecie dell’eutanasia. Questo apre certamente scenari inquietanti e molto difficili. Vorrei però attirare l’attenzione su un aspetto che a mio parere non è stato molto presente, ma che diventerà un nodo problematico morale-giuridico-politico sempre più difficile: vale a dire questo rapporto qualche volta impazzito tra una tecnologia medica sempre più avanzata - ma anche sempre più invadente - e le decisioni da assumere su tali situazioni.

     
    D. - C’è anche una questione culturale: c’è un influsso dello spirito del tempo, portato ad una autodeterminazione spinta e ad un individualismo radical,e che si confronta poi con i temi dirimenti della vita e della morte…

     
    R. – Indubbiamente, la cultura prevalente in Europa e in Italia è tuttora una cultura, che io chiamo, filosoficamente, di indirizzo “liberale-individualistico”, che fa perno in maniera molto forte sul self-interest dell’individuo e sul principio di autonomia e di autodeterminazione dell’individuo, che viene fatto valere in campi molto vari. Per quanto riguarda il rapporto della persona - quindi parlerei di persona più che di individuo - con la propria vita e con se stessi, è evidente che esista una portata non trascurabile del criterio di autodeterminazione, quanto meno in rapporto al tema di sottoporsi oppure no a trattamenti considerati poco rispettosi e invasivi. Sotto questo profilo, abbiamo dinanzi due fattispecie che non sono paragonabili: la fattispecie del rifiuto di intraprendere certe cure - o della rinuncia una volta che siano state intraprese - e la fattispecie dell’eutanasia. Considero che queste due fattispecie rimangano profondamente diverse. Ciò che viene espresso fondamentalmente nel problema del rifiuto o rinuncia di trattamenti sproporzionati e invasivi non è un diritto a morire, che non sussiste; ma un diritto, appunto, a lasciare in qualche modo che il processo naturale della vita e della morte segua il suo cammino, senza una presenza qualche volta - come dicevo - impazzita e invasiva della tecnologia.
     

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    La Giornata mondiale della sicurezza stradale: cultura del rispetto per limitare le stragi

    ◊   Come ricordato all'Angelus da Benedetto XVI, con il suo appello alla responsabilità, oggi si celebra nel mondo la Giornata della sicurezza stradale indetta dall'Onu. Molte le manifestazioni organizzate per far luce su una problematica che ogni anno, nella sola Italia, causa settemila morti, 300 mila feriti e 20 mila disabili. Una guerra non dichiarata, segnata dall’alto consumo di alcol, dalla guida aggressiva, dalla disattenzione e da alcuni atteggiamenti scriteriati al volante. “Occorre accrescere il senso di responsabilità nelle coscienze di ognuno”, ha sottolineato il presidente dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada, Giuseppa Cassaniti Mastrojeni. Una convinzione ribadita al microfono di Federica Andolfi:

    R. - E’ una Giornata che pone l’attenzione sulle vittime, cioè su questa strage infinita. Il messaggio che noi vogliamo lanciare, come Associazione, è che questa strage deve essere presa in considerazione, si debbono accendere i riflettori su di essa: parlarne in maniera da uscire dall’indifferenza, dalla sottovalutazione dei pericoli, ed incrementare il senso di responsabilità nelle coscienze sia delle persone sia di coloro che operano nelle istituzioni e nelle aziende. Perché, se non c’è la condivisione di un impegno sinergico e di un obiettivo, non si potrà mai risolvere questo problema legato, com’è, a valori, a consapevolezze, a comportamenti.

     
    D. - Come si promuove la cultura legata alla sicurezza stradale?

     
    R. - Facendo crescere nella persona il significato del proprio essere nel mondo. In altre parole, noi dobbiamo capire perché ci siamo nel mondo: noi siamo in rapporto con gli altri, quindi bisogna partire da una formazione di base, dalla formazione sociale, e rendersi conto che noi non siamo i padroni della realtà. Noi viviamo insieme con gli altri e quindi l’educazione alla sicurezza, alla prevenzione, passa attraverso la famiglia, la scuola e poi anche attraverso il comportamento degli adulti. Per esempio, ciò che viene veicolato attraverso i mezzi di comunicazione può aiutare la formazione della persona e può anche disorientarla. Pensi un po’ alla pubblicità ingannevole: la sicurezza è il rispetto reciproco.

     
    D. - E’ possibile parlare di cause ricorrenti nell’ambito degli incidenti stradali?

     
    R. - Oggi, c’è questa eccedenza di comportamenti devianti dovuti all’alcol, alla droga… Poi c’è questo senso di “onnipotenza” alla guida, per cui c’è la guida aggressiva e l’eccesso di velocità, la mancanza di rispetto delle regole. C’è questa maniera di sentirsi adulti perché si trasgredisce. Invece, si è adulti perché si è responsabili e dunque perché si risponde anche delle azioni che si compiono.

     
    D. - Ci sono degli Stati, ad esempio i Paesi nordici, dove maggiore è il consumo di alcol: può essere questa una causa di maggiori incidenti stradali?

     
    R. - C’è un maggiore consumo di alcol anche nei Paesi nordici, ma c’è anche un maggior senso di responsabilità per cui lì, veramente, coloro che guidano non bevono. Anche perché ci sono delle sanzioni molto pesanti. Anche in Italia, adesso, sono aumentate le sanzioni, ma il problema è quello dei controlli: se anche ci sono le sanzioni e poi non ci sono controlli, le sanzioni sono inutili, non avranno effetto.

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    Chiesa e Società



    Tensione in Orissa per la manifestazione degli indù che minacciano nuove violenze

    ◊   Dicono di volere “difendere l’induismo e la cultura tribale” i 100 mila estremisti indù scesi in piazza ieri a Bhubaneshwar, nello stato dell’Orissa, per “fermare le conversioni” e chiedere al governo di individuare i responsabili dell’omicidio del leader Saraswati, la cui morte, alla fine dello scorso agosto, diede inizio ai pogrom contro i cristiani. Un vero e proprio ultimatum allo scadere del quale, il 15 dicembre, se il governo non avrà soddisfatto le richieste degli estremisti, nuove violenze saranno scatenate in tutto il Paese, con particolare intensità nel giorno del Natale cristiano, il 25 dicembre. La manifestazione si è svolta senza incidenti, ma la tensione resta alta dopo gli ultimi episodi di persecuzione: tre cristiani sono stati arrestati nella notte del 12 novembre con l’accusa di induzione alla conversione, ed una chiesa in costruzione è stata rasa al suolo nel villaggio di Tiangia. “Motivi politico-elettorali” spiegherebbero il clima di intolleranza secondo il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione delle Chiese orientali, rientrato la scorsa settimana da un viaggio pastorale in India. “Alla vigilia delle importanti elezioni federali” - ha osservato il porporato - le violenze non sarebbero il frutto “dell’odio contro i cristiani di per sé ma di una campagna di odio, comunque terribile, generata da motivazioni nazionalistiche”. (C.D.L.)

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    A Milano una fiaccolata a sostegno dei cristiani perseguitati in India

    ◊   Fiaccole accese a Milano per richiamare l’attenzione sul dramma dei cristiani perseguitati in India. Per iniziativa del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime), della Cappellania generale dei Migranti e della parrocchia di S. Eustorgio, in occasione della veglia annuale per le migrazioni una fiaccolata attraverserà il prossimo 22 novembre le vie di Milano, dal Duomo alla chiesa di S. Stefano, per esprimere solidarietà alle migliaia di cristiani vittime in India delle persecuzioni di matrice indù. Un’iniziativa che intende inoltre denunciare la scarsa attenzione dei mezzi di comunicazione al dramma dei cristiani perseguitati: in una nota, riferisce il Sir, il Pime sottolinea che “la stampa italiana, esclusa quella cattolica, parla pochissimo di quanto sta accadendo in India” e ricorda come il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, abbia definito questo vuoto informativo un “assordante silenzio dei mezzi di comunicazione”. Secondo il Pime, “queste ingiustizie, queste persecuzioni, non possono e non devono continuare nel silenzio e dell’indifferenza”: piuttosto, è necessario unirsi ai cristiani nella loro richiesta di giustizia e insieme imparare dalla loro testimonianza e dal loro coraggio, giacché “in questa situazione così dolorosa continuano comunque a indicare il perdono come unica forza di riportare davvero la pace”. (C.D.L.)

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    Stanno bene le suore rapite in Kenya. In corso le trattative per il rilascio

    ◊   Stanno bene le due suore italiane rapite in Kenya, al confine con la Somalia, nella notte tra il 9 e 10 novembre. Lo riferisce un funzionario del governo keniano secondo cui le religiose sarebbero trattenute in territorio somalo, a circa 100 chilometri di distanza dal luogo del rapimento, la cittadina di El Wak, dove da oltre 35 anni si occupavano dell’assistenza ai bisognosi. Il “provincial commissioner” per il Kenya del nord-est, Josephat Maingi - secondo il quotidiano Avvenire - avrebbe riferito che per il rilascio delle donne non è stato chiesto alcun riscatto e che accanto all’intervento delle autorità “che stanno facendo tutti gli sforzi necessari” per assicurare la liberazione delle religiose, sono all’opera anche gli anziani leader che governano i villaggi nelle remote regioni di confine. Negata invece la possibilità di un’azione militare contro i sequestratori, la cui identità non è stata ancora chiarita, come pure l’appartenenza a bande locali piuttosto che a gruppi di matrice religiosa. L’ufficiale governativo riferisce infatti che, sebbene le trattative siano in corso, al momento nessun contatto diretto è stato effettuato con i rapitori. Dall’Italia, intanto, il Ministero degli esteri continua ad operare nel massimo riserbo. (C.D.L.)

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    Nella Giornata Internazionale per la tolleranza il messaggio di Ban Ki-moon

    ◊   “La tolleranza fornisce la base per il rispetto e la comprensione reciproca”; è un approccio alla vita che consente la fioritura delle culture nel mondo, ciascuna con il proprio specifico patrimonio, ed è “la pietra angolare dei nostri sforzi tesi a promuovere l’armonia globale”. Così il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, per l’odierna Giornata internazionale della tolleranza. In un messaggio diffuso per l’occasione, citando la Dichiarazione dei Principi sulla Tolleranza, redatta dall’Unesco nel 1995, Ban Ki-moon sottolinea come la strada della tolleranza sia di fondamentale importanza nel cammino verso l’armonia tra i popoli, giacché essa consente di “sostituire la cultura della guerra con quella della pace”. Guardando all’attuale congiuntura sociale e politica globale, il segretario generale dell’Onu ribadisce che “la promozione della tolleranza è particolarmente importante” a fronte della rapida crescita di fenomeni come la “globalizzazione, la mobilità, e l’interdipendenza” dei popoli e delle nazioni, perché può aiutare a prevenire il diffondersi di ideologie che teorizzano la superiorità razziale o culturale, per invece favorire l’emancipazione di popoli o gruppi sociali dalla prigione dei pregiudizi e degli stereotipi negativi. La tolleranza - precisa Ban Ki-moon - non va però confusa con l’accondiscendenza: essa riguarda piuttosto la tensione alla scoperta, la comunicazione, il dialogo, la comprensione e la speranza. Percorsi che - conclude - devono essere promossi attraverso l’educazione, che rappresenta “una delle migliori vie per prevenire l’intolleranza”, perché consente di scoprire gli elementi di condivisione fra popoli diversi e sollecita il rispetto per le differenze. (C.D.L.)

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    Nell’Anno Paolino nasce ad Antiochia il “Centro Culturale San Paolo”

    ◊   Approfondire la storia e la spiritualità di San Paolo, nei luoghi, in Turchia, che videro l’Apostolo delle genti portare la parola di Cristo. Sarà possibile presso il “Centro Culturale S. Paolo”, a breve inaugurato nella città di Antiochia, nell’ambito delle iniziative dedicate alla celebrazione dell’Anno paolino. Realizzata su iniziativa della comunità francescana dei Frati Cappuccini, presente ad Antiochia presso la Chiesa di Pietro e Paolo, con il sostegno del vescovo di Padova, Antonio Mattiazzo, e della comunità cattolica locale, la struttura - riferisce l'agenzia fides - si compone di una biblioteca specializzata su San Paolo e di un Centro studi a disposizione di esperti, religiosi e laici. La biblioteca conterrà libri anche sull’Antiochia romana e bizantina, sulle origini del cristianesimo e della Chiesa, e volumi sul rapporto cristianesimo-islam, specialmente in terra turca. Nell’anno dedicato a San Paolo, la Chiesa cattolica in Turchia sta registrando un notevole aumento dei pellegrinaggi, soprattutto nei luoghi paolini di Tarso e Antiochia. Fu ad Antiochia, sull’Oronte, che i seguaci di Gesù furono per la prima volta definiti “cristiani”. (C.D.L.)

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    I sovrani del Belgio alla Messa in suffragio per suor Emmanuelle

    ◊   I sovrani del Belgio e i membri della famiglia reale saranno tra i partecipanti alla Messa in suffragio di suor Emmanuelle, che sarà celebrata dal cardinale Godfried Danneels il prossimo 18 novembre, nella cattedrale Saint-Michel et Gudule di Bruxelles. Lo rifersce l'agenzia Sir citando l’agenzia di stampa cattolica Catho.bel. Suor Emmanuelle si è spenta nella notte tra il 19 e il 20 ottobre a Callian nel sud della Francia. Oggi avrebbe compiuto 100 anni. La notizia della sua morte è stata seguita da testimonianze di ammirazione per l’impegno della religiosa a favore dei più svantaggiati. “Per quasi un secolo, questa grande donna ha irradiato la sua generosità ed entusiasmo contagiosi in tutto il mondo", scrissero i vescovi del Belgio in un comunicato ricordando il suo operato. "La sua vita ci invita a una maggiore solidarietà nelle prove e ci ricorda che è l'amore che salva il mondo”. (C.D.L.)

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    A Roma un convegno sul contributo dei Padri della Chiesa alla cultura europea contemporanea

    ◊   “Offrire un contributo costruttivo, non polemico, al dibattito in corso, individuando nella grande stagione dei Padri della Chiesa un punto di riferimento solido ed imprescindibile della cultura europea contemporanea”. E’ l’obiettivo del Convegno su “I Padri della Chiesa. Classici e maestri di pensiero”, che si svolgerà il prossimo giovedì 20 novembre presso l’Università "La Sapienza" di Roma. Un’iniziativa, riferisce l'agenzia Sir, promossa dal Dipartimento di studi storico-religiosi dell’ateneo romano, dall’Istituto patristico Augustinianum, da Città Nuova editrice e la Nuova Biblioteca Agostiniana, che in una nota spiegano che “I padri della Chiesa sono protagonisti di una fecondissima stagione culturale nella quale si verifica l’innesto sul tronco della grande cultura greco-romana e delle culture limitrofe della straordinaria novità portata dal cristianesimo, capace di improntare tutti i secoli a venire”. Contributi che “non di rado anche sul piano letterario raggiungono vertici di perfezione stilistica e di creazione di generi che diventano patrimonio della letteratura universale”. Il convegno vedrà tra i relatori Manlio Simonetti, Paolo Siniscalco, Luigi Franco Pizzolato, Marcello Marin, Gaetano Lettieri, Sofia Boesch, Lisania Giordano. (C.D.L.)

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    Un convegno di Pax Christi a Firenze in solidarietà con i popoli della Terra Santa

    ◊   Porre attenzione al dramma delle Chiese e dei popoli della Terra Santa, per dare sostegno nella sofferenza e favorire l’apertura di spiragli di pace. E’ questo l’obiettivo del Convegno promosso da movimento internazionale Pax Christi in occasione della Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, il prossimo 29 novembre, a Firenze. “Le Chiese e i Popoli che vivono in Terra Santa - afferma Pax Christi, riferito dall'agenzia Sir - soffrono oggi profondamente oltre che per le conseguenze di un conflitto infinito, anche per l’abbandono nel quale vengono lasciati, per il dover portare da soli il peso insopportabile di una memoria ferita e lacerata”. Inserito nell’ambito della campagna “Ponti e non Muri” - sul tema “Terra Santa Terra Ferita. Dalla memoria alla profezia” - l’incontro vedrà la presenza del Patriarca di Gerusalemme dei Latini, mons. Fuad Twal che proporrà una riflessione su “Le comunità cristiane in Israele e Palestina tra esodo, presenza e testimonianza”. Parteciperanno alla tavola rotonda anche Ugo Tramballi, corrispondente de Il Sole 24ore, Hafez Huraini, coordinatore del "South Hebron Hills Commitee", e Filippo Landi, corrispondente Rai da Gerusalemme. (C.D.L.)

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    Il cardinale Bagnasco inaugurerà l'Anno accademico dell'Università europea di Roma

    ◊   Tratterà de “Il futuro della Chiesa Cattolica in Italia” la lectio magistralis con la quale il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, aprirà la cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Accademico 2008-2009 dell’Università europea di Roma, il prossimo 19 novembre. Dopo un saluto del rettore, padre Paolo Scarafoni, in programma anche l’intervento del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, sul tema “Il futuro della città di Roma”, e quello del presidente della Fondazione Roma, Emanuele F.M. Emanuele, su “Il futuro dell’economia italiana”. La cerimonia - informano i promotori - si concluderà con il canto del Coro dell’Università europea di Roma e con la premiazione dei migliori studenti. L’Università europea di Roma ha iniziato le sue lezioni nell’ottobre 2005 ed ha quattro corsi di laurea: giurisprudenza, economia e gestione aziendale, scienze storiche e scienze e tecniche psicologiche. (C.D.L.)

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    Un ricordo del cardinale Augustin Bea nel 40.mo della scomparsa

    ◊   Si spegneva 40 anni fa, a Roma, il cardinale tedesco, Augustin Bea, gesuita, biblista e specialista in archeologia biblica. Nato a Riedböhringen, in Germania, nel maggio del 1881, entrò nella Compagnia di Gesù nel 1902 e fu ordinato sacerdote dieci anni più tardi. Nel 1924, venne chiamato a Roma per insegnare al Pontificio Istituto Biblico, del quale fu rettore tra il 1930 e il 1949. Fu confessore del Papa Pio XII dal 1945 al 1958, e nel 1959, nominato cardinale da Giovanni XXIII, divenne primo presidente del Segretariato per la promozione dell’Unità dei cristiani, primo organismo della Santa Sede dedicato unicamente alle questioni ecumeniche, con lo speciale compito di collaborare alla preparazione del Concilio. L’assise conciliare vide il cardinale Bea impegnarsi nella promozione dei rapporti con i rappresentanti delle diverse confessioni religiose e nella diffusione degli obiettivi dell’ecumenismo. Fu l’artefice della Dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, promulgata il 28 ottobre 1965. Stimato dai membri di tutte le Chiese cristiane - anglicani, evangelici, ortodossi - il cardinale fu insignito della laurea honoris causa dell’Università di Harvard, negli Stati Uniti, e di altri riconoscimenti per il suo sforzo incessante a favore del dialogo tra uomini e religioni. Autore di centinaia tra libri e articoli, si spense a Roma, il 16 novembre 1968 e venne sepolto in Germania, nella parrocchia della località natale di Riedböhringen. (C.D.L.)

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    24 Ore nel Mondo



    Le truppe Usa lasceranno l'Iraq nel 2011. Baghdad approva l'accordo con Washington

    ◊   Le truppe americane lasceranno completamente l’Iraq entro la fine del 2011. E’ quanto sancisce l’accordo di sicurezza con gli Stati Uniti approvato oggi dal governo iracheno, dopo quasi un anno di negoziati tra Baghdad e Washington. L'intesa permette alle forze statunitensi di restare nel Paese per tre anni oltre la fine del mandato Onu. L'accordo ora passerà all'esame del parlamento per la necessaria approvazione. Sul terreno intanto non si fermano le violenze. Stamani, un'autobomba è esplosa contro un posto di blocco della polizia irachena, provocando la morte di 15 persone, fra cui 8 civili, e il ferimento di altre 14, nei pressi del tribunale di Jalawlaa, località nel nordest a 200 chilometri dalla capitale Baghdad.

    Afghanistan - cronaca
    Ancora attacchi alle truppe della coalizione internazionale in Afghanistan. Un soldato britannico è stato ucciso in seguito all'esplosione di una bomba nel sud del Paese. Secondo fonti Nato, il militare è stato ucciso il 15 novembre da un ordigno di fabbricazione artigianale esploso al passaggio della sua pattuglia. Vittime anche tra le milizie talebane. Il comando statunitense ha annunciato di aver ucciso circa 30 ribelli in un'operazione condotta nella notte nel distretto di Nahr Surkh.

    Afghanistan - Rapporto Onu-droga
    Calano nel 2008 la coltivazione e la produzione di oppio in Afghanistan, che vanno a concentrarsi soprattutto nelle cinque province meridionali di Farah, Nimroz, Helmand, Kandahar e Uruzgan, sempre più sotto il controllo dei talebani. A fotografare la situazione della coltivazione oppiacea - della quale l'Afghanistan è monopolista mondiale - è il Rapporto 2008 stilato dall'Ufficio Droga e Crimine delle Nazioni Unite (Unodoc) e presentato a Roma dal direttore esecutivo, Antonio Maria Costa. Il servizio di Stefano Leszczynski:

    La coltivazione e la produzione di oppio in Afghanistan rappresenta la chiave di volta di un “circolo vizioso” che alimenta la guerriglia talebana e contribuisce all’instabilità dell’intero Paese. Nonostante gli sforzi internazionali, diretti a contrastare la coltivazione dei papaveri da oppio, che ha portato a un calo del 20 per cento rispetto al 2007, la lavorazione e il traffico di droga afghana nel 2008 ha generato un’entrata addizionale di circa 400 milioni di dollari. Una dicotomia che Antonio Maria Costa, vicesegretario generale delle Nazioni Unite, spiega così:

     
    “Indubbiamente, l’Afghanistan oggi è segnato da due problemi fondamentali, oltre che da molti altri: da un lato, l’instabilità ed il rischio portato alla struttura del Paese dai talebani e dagli insorti, dall’altro la droga. Ovviamente, il Rapporto sottolinea che questi due elementi interagiscono. E’ fondamentale che il progresso che è stato raggiunto negli ultimi mesi, a proposito della riduzione delle coltivazioni, venga riflesso anche in un aumento della stabilità del Paese”.

     
    A rendere meno vantaggiosa la produzione di oppio - sottolinea il Rapporto 2008 dell’Ufficio Onu per la lotta alla droga e al crimine organizzato - è stato anche l’aumento del prezzo del grano, che ha reso questa coltivazione altamente competitiva. Di qui, la strategia proposta dalle Nazioni Unite di continuare a sfruttare l’alto prezzo del grano, che non accenna a calare, intervenendo però con “generose distribuzioni di cibo per evitare rivolte e proteste”. Sullo sfondo di questa situazione, tuttavia, regna una grande incognita. L’Unodoc, l’Ufficio dell’Onu contro la droga e il crimine organizzato, stima infatti che in Afghanistan vi sia una grandissima quantità di oppio stoccato. Secondo gli operatori Onu, i talebani lo conserverebbero in vista di un ulteriore calo nella produzione, per ricavarne in seguito maggiori profitti.

     
    Congo
    Nuove speranze di pace per il Congo. Il capo dei ribelli della martoriata regione del Nord Kivu, Laurent Nkunda, ha detto di voler negoziare con le autorità congolesi ''per trovare un accordo di cessate il fuoco'' e avviare un processo di pace nell'est della Repubblica democratica del Congo. Nkunda lo ha dichiarato, oggi, dopo aver incontrato l'inviato dell'Onu, Olusegun Obasanjo (ex presidente nigeriano), a Jomba, nella provincia di Kivu. Nkunda ha detto inoltre di aver accolto le richieste di Obasanjo di aprire un corridoio umanitario per aiutare i rifugiati. Il capo dei ribelli ha affermato poi che, da parte sua, continuerà a rispettare il cessate-il-fuoco proclamato unilateralmente dal suo movimento il 29 ottobre. Sul terreno, intanto, continua l’emergenza legata agli oltre 200 mila profughi del conflitto.

    Somalia
    Continua la controffensiva delle corti islamiche in Somalia. Il presidente somalo, Abdullahi Yusuf, ha ammesso che gli insorti controllano la maggior parte del Paese. Per Yusuf, il governo rischia di non reggere una tale situazione. I miliziani legati alle Corti islamiche e, secondo le accuse americane, anche alla rete del terrorismo internazionale, stanno avanzando lentamente verso Mogadiscio e l'accordo tra le fazioni dei vecchi "signori della guerra", sponsorizzato dall'Onu, è sempre più a rischio.
     
    Cina
    È di almeno 3 morti e 17 dispersi il bilancio, ancora provvisorio, del crollo di una metropolitana in costruzione ad Hangzhou, nella Cina orientale. Oltre dieci veicoli, secondo l'agenzia di stampa cinese Xinhua, sono precipitati nel cratere largo 20 metri formatosi dopo il crollo della strada che si trovava sopra il tunnel della metropolitana in costruzione. Tra i veicoli rimasti incastrati si contano anche un camion e un autobus. Oltre duemila soccorritori sono al lavoro per pompare acqua fuori dal tunnel crollato e cercare di recuperare eventuali superstiti.

     
    India
    Grave incidente sul lavoro in India. Secondo la polizia locale, 23 operai sono dispersi dopo il crollo di un ponte in costruzione su un fiume himalaiano, a un centinaio di chilometri da Srinagar, principale centro del Kashmir.


    Stati Uniti
    La California ancora nella morsa degli incendi. Il governatore, Arnold Schwarzenegger, ha proclamato lo stato di emergenza a Los Angeles per gli incendi che stanno devastando lo Stato. Solo il 20% delle fiamme, alimentate dai venti secchi che soffiano fino a 120 chilometri orari, viene tenuto sotto controllo dai vigili del fuoco. Già venerdì era stato proclamato lo stato di emergenza per la zona di Santa Barbara e Montecito, dove 111 abitazioni sono andate distrutte. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 321

     
    E' possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.va/italiano.

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