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Sommario del 26/05/2008

Il Papa e la Santa Sede

  • Iniziata in Vaticano la visita "ad Limina" dei vescovi del Myanmar. Ieri la Conferenza dei donatori di Yangon ha stanziato 100 milioni di dollari per le vittime del ciclone Nargis
  • Altre udienze e nomine
  • Il Pontificio Consiglio per i migranti condanna le violenze xenofobe in Sudafrica
  • Speranze e difficoltà dei cristiani nei Paesi arabi: la testimonianza di mons. Fitzgerald
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La vicinanza e le parole del Papa ci danno coraggio: così, il cardinale Zen Ze-kiun, dopo la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina e il nuovo appello, all’Angelus, per i terremotati del Sichuan
  • Libano: l'elezione del presidente Suleiman allontana lo spettro della guerra civile. Intervista con mons. Raï
  • Mons. Riboldi sulla questione dei rifiuti: basta con la violenza, si torni a ragionare!
  • Sui bambini rapiti nella guerra civile in Salvador un incontro organizzato dal mensile "Popoli"
  • La Chiesa ricorda San Filippo Neri, Patrono della gioia
  • Chiesa e Società

  • Terremoto in Cina: il bilancio sale a 65 mila morti e 23 mila dispersi
  • A Manila, Messa per le vittime dei disastri in Cina e Myanmar
  • Le condoglianze del Consiglio Ecumenico delle Chiese alle autorità cinesi per le vittime del terremoto
  • L'arcivescovo di Kirkuk: "i cristiani in Iraq sempre più dimenticati e isolati"
  • Presentato a Roma il Rapporto delle ONG e di ActionAid sugli aiuti allo sviluppo in Europa
  • Concluso il Vertice di Kobe per combattere il riscaldamento globale
  • Sì dei vescovi USA ad una proposta di legge sui cambiamenti climatici a tutela dei più poveri
  • Clemenza per la donna algerina fermata in possesso di testi cristiani, a chiederla la segretaria di Stato francese ai Diritti dell'Uomo Rama Yade.
  • Nota dei vescovi francesi sul dialogo tra cristiani e musulmani
  • Portogallo: il Forum delle famiglie lancia una petizione contro il nuovo progetto di legge sul divorzio
  • La Festa del Corpus Domini in Gabon
  • La Chiesa del Pakistan inaugura l'Anno della Bibbia
  • Verso la GMG di Sydney in Australia: 75 i delegati delle 6 diocesi della Thailandia
  • La Chiesa delle Filippine fa il punto sull’evangelizzazione dei “nomadi del mare”
  • Germania: dal 30 maggio a Ravensburg, Giornata ecumenica internazionale
  • Il Regina Apostolorum presenta il primo numero di "Studia Bioethica"
  • Il film francese “Entre les murs” di Laurent Cantet vince il Festival di Cannes
  • 24 Ore nel Mondo

  • Israele detta le condizioni per la rimozione del blocco alla Striscia di Gaza
  • Il Papa e la Santa Sede



    Iniziata in Vaticano la visita "ad Limina" dei vescovi del Myanmar. Ieri la Conferenza dei donatori di Yangon ha stanziato 100 milioni di dollari per le vittime del ciclone Nargis

    ◊   E’ iniziata questa mattina, e si protrarrà fino a sabato prossimo, la visita ad Limina in Vaticano dei vescovi del Myanmar. Benedetto XVI ha ricevuto oggi i primi cinque presuli del Paese, recentemente salito alla ribalta delle cronache per la catastrofe umanitaria provocata, all’inizio del mese, dal ciclone Nargis, che ha fatto oltre – secondo stime dell’ONU - 30 mila morti e 2 milioni e mezzo di senzatetto. Mentre a Yangon, la Conferenza dei Paesi donatori ha iniziato da ieri a farsi carico in modo organico della tragedia, per i vescovi dell’ex Birmania è il momento di aggiornare il Papa e la Curia Romana anche sullo stato di salute della Chiesa locale, che rappresenta una piccola minoranza in un Paese di tradizione buddista. Il servizio di Alessandro De Carolis:
     
    Seicentotrentamila cattolici in libertà “vigilata”. Una minuscola comunità, disseminata tra 40-45 milioni di buddisti, che vive la propria fede nel Vangelo sotto la stretta sorveglianza da parte delle autorità militari al potere in Myanmar. Ma una Chiesa viva, che ha nel suo DNA delle origini l’apostolato dei missionari - furono i portoghesi nel XVI secolo i primi a toccare il Paese, mentre l’istituzione della gerarchia risale al 1955 - e che oggi deve molto della sua vitalità ai religiosi e ai catechisti. Senza dimenticare la costante evangelizzazione che arriva “via etere” sulle onde di Radio Veritas, l’emittente cattolica della Federazione delle Conferenze episcopali dell'Asia con sede a Manila, nelle Filippine, che trasmette anche in birmano ed è molto seguita soprattutto nelle aree rurali del piccolo Stato asiatico. Il disastroso passaggio del ciclone Nargis, tra il 2 e il 3 maggio scorsi, ha brutalmente spezzato il quarantennale isolamento imposto al Myanmar dalle varie gerarchie militari a partire dal 1962: isolamento rilanciato tra la generale riprovazione internazionale nel 1990, quando le elezioni per l’Assemblea costituente volute dalla Giunta militare allora al potere videro brillare la stella di Aung San Suu Kyi. La schiacciante vittoria riportata in quella circostanza dalla leader della Lega nazionale per la democrazia (NLD) venne cancellata da un nuovo colpo di Stato militare e dal primo dei numerosi arresti cui la stessa San Suu Kyi - Premio Nobel per la pace nel 1991 - è stata ed è tuttora oggetto.

     
    Le restrizioni che gravano sulla vita sociale e politica dell’ex Birmania hanno avuto inevitabili riflessi sui fedeli locali. L’avvento dei militari negli Anni Sessanta portò alla nazionalizzazione delle chiese cattoliche, dei lebbrosari e degli ospedali e all’espulsione dal Paese di 239 missionari. E i 188 preti diocesani e la sessantina di missionari stranieri rimasti, insieme con i loro fedeli, non hanno mai visto un Papa posare il piede nel loro Paese. Giovanni Paolo II lo “sfiorò” nel maggio del 1984, durante il suo viaggio apostolico in Thailandia. In quella occasione, diversi vescovi birmani ebbero la possibilità di incontrarlo e lo stesso accadde nel novembre 1986, quando una delegazione della Chiesa in Birmania salutò personalmente Papa Wojtyla impegnato nel suo 32.mo viaggio internazionale tra l’Asia sudorientale, la Nuova Zelanda e l’Australia.

     
    In questi primi mesi dell’anno, Benedetto XVI ha avuto modo di parlare più volte del Myanmar e di invocare l’avvio della distensione interna, oltre che di solidarietà per l’emergenza recente. Emergenza che, poco prima di partire per Roma, l’arcivescovo di Yangon, Charles Maung Bo, ha descritto in una lettera riportata da Asianews come non “ancora conclusa”. Il 7 gennaio, nell’importante udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Papa levò questo appello:

     
    Et je demande au Seigneur qu'au Myanmar...
    E io chiedo al Signore che in Myanmar, con il sostegno della comunità internazionale, si apra una stagione di dialogo fra il governo e l'opposizione, che assicuri un vero rispetto di tutti i diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”.

     
    E all’udienza generale del 7 maggio scorso, un nuovo richiamo del Pontefice, accorato, per mobilitare coscienze e risorse verso il Myanmar, messo in ginocchio dalla violenza della natura e che solo da poche ore, dalla Conferenza dei donatori di Yangon di ieri, sembra aver aperto in modo più libero le proprie porte all’aiuto internazionale, stimato in 100 milioni di dollari di stanziamenti a fronte degli 11 miliardi di dollari richiesti dalla Giunta militare:

     
    “Faccio mio il grido di dolore e di aiuto della cara popolazione del Myanmar, che ha visto improvvisamente distrutte dalla sconvolgente violenza del ciclone Nargis numerosissime vite, oltre a beni e mezzi di sussistenza (…) Vorrei inoltre ripetere a tutti l’invito ad aprire il cuore alla pietà e alla generosità affinché, grazie alla collaborazione di quanti sono in grado e desiderano prestare soccorso, si possano alleviare le sofferenze causate da così immane tragedia”.

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

    Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Prince-Albert (Canada), presentata da mons. Blaise-Ernest Morand, per raggiunti limiti di età. Gli succede padre Albert Thévenot, superiore provinciale per il Canada dei Padri Bianchi. Padre Albert Thévenot è nato il 6 novembre 1945 a Treherne, in Manitoba, ed ha emesso la professione perpetua nella Congregazione dei Missionari d’Africa il 7 agosto 1975. Dopo aver compiuto gli studi teologici a Totteridge, in Inghilterra, è stato ordinato sacerdote il 2 agosto 1980. Dopo l’ordinazione sacerdotale è stato inviato in missione in Tanzania, dove ha svolto prima l’incarico di vicario parrocchiale a Bushangaro per 2 anni e poi, per altri 3, quello di assistente spirituale della gioventù dello Student Centre di Tabora. Rientrato in Canada, ha curato l’animazione missionaria del Canada Ovest dal 1985 al 1992. Ripartito per la Tanzania, è stato vicario parrocchiale e poi parroco a Tabora fino al 1996. Dal 1996 al 1998 è divenuto assistente regionale della sua Congregazione per la Tanzania, il Kenya e il Sudan. Nei sei anni successivi, dal 1998 al 2004, è stato a Roma, in qualità di membro del Consiglio generale della Congregazione, con le mansioni di responsabile delle finanze e dei religiosi anziani. Rientrato nuovamente in Canada, è stato nominato nel 2005 segretario nazionale delle Pontificie Opere Missionarie. Nel maggio 2006 è stato eletto superiore provinciale dei Padri Bianchi per il Canada.

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    Il Pontificio Consiglio per i migranti condanna le violenze xenofobe in Sudafrica

    ◊   Il cardinale Renato Raffaele Martino e l’arcivescovo Agostino Marchetto, rispettivamente presidente e segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, hanno inviato un telegramma all’arcivescovo di Johannesburg, Buti Joseph Tlhagale, esprimendo il loro dolore per le tragiche violenze xenofobe che negli ultimi giorni hanno funestato il Sudafrica. La caccia all’immigrato è iniziata l’11 maggio scorso nelle township di Johannesburg diffondendosi presto nel resto del Paese. In 2 settimane di violenze sono stati uccisi almeno 50 immigrati, giunti in Sudafrica dai Paesi africani vicini più poveri, come lo Zimbabwe, la Zambia e il Mozambico. Gli immigrati sono accusati dell’aumento della criminalità e di togliere lavoro ai residenti. Oltre 35 mila gli sfollati che ora vivono in campi di fortuna per sfuggire alle aggressioni. Il dicastero vaticano auspica che, “con gli interventi fraterni della Chiesa e di tutte le persone di buona volontà, sarà trovata una soluzione finale per questa e per altre simili situazioni e che la popolazione della regione potrà nuovamente vivere in pace, solidarietà e con prospettive di sviluppo integrale”. L’arcivescovo di Johannesburg da parte sua, ha parlato di una guerra tra poveri che rischia di creare nel Paese un nuovo apartheid. Durissima anche la condanna del presidente sudafricano Thabo Mbeki: "mai dalla nascita della nostra democrazia (nel 1994) si era vista una simile disumanità", ha detto Mbeki, aggiungendo che "le azioni vergognose di pochi hanno infangato il nome" del Paese, contraddicendo "tutto ciò che la nostra liberazione dall'apartheid rappresenta".

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    Speranze e difficoltà dei cristiani nei Paesi arabi: la testimonianza di mons. Fitzgerald

    ◊   Negli ultimi tempi si sono succeduti importanti segnali di dialogo tra le religioni. Nella recente Conferenza interreligiosa a Doha, in Qatar, si è sottolineato, in particolare, che “i capi religiosi devono educare le nuove generazioni alla pace e al rispetto reciproco”. Il re dell’Arabia Saudita si è inoltre ripetutamente espresso a favore del confronto fra musulmani, cristiani ed ebrei, finalizzato a una “coesistenza pacifica”. Ma, nonostante questi segnali incoraggianti, la situazione dei cristiani in diversi Paesi arabi continua ad essere talvolta difficile. Ascoltiamo al microfono di Giovanni Peduto, il nunzio apostolico nella Repubblica Araba di Egitto, l’arcivescovo Michael Fitzgerald, delegato della Santa Sede presso l’Organizzazione della Lega degli Stati Arabi:

    R. - E’ un momento difficile per le comunità cristiane, a causa del conflitto israelo-palestinese, a causa della guerra in Iraq, dove l’intervento dell’Occidente è visto come un intervento dei cristiani. Questo rende difficile la situazione dei cristiani autoctoni che non sono occidentali. C’è, dunque, una certa persecuzione o sfiducia nei cristiani, nel pensare che loro siano filoccidentali. Questo comporta la loro emigrazione. L’emigrazione diviene un movimento e non è solo di alcune persone, di alcuni individui, ma di tutto un gruppo. E questo andare via di tante persone indebolisce le comunità cristiane. Non è, dunque, un momento facile. Ci sono differenze da un Paese all’altro. In Egitto, dove mi trovo, non parlerei di persecuzioni. C’è una certa discriminazione in alcuni campi, ma i cristiani possono pregare apertamente e non sono nascosti. Le feste di Pasqua sono vissute con gioia.

     
    D. – Nel Qatar i cristiani hanno inaugurato la loro prima Chiesa. C’è la speranza di possibili sviluppi di questo tipo anche altrove?

     
    R. – Credo che quasi tutti i Paesi del mondo arabo abbiano chiese. L’unico Paese che resiste è l’Arabia Saudita. Anche lì vediamo una trasformazione della società e dobbiamo dire che la visita del re Abdullah al Santo Padre è stata una novità, una iniziativa che dà speranza. Ma è tutta la società saudita che deve cambiare, non solo nei rapporti tra musulmani e cristiani. Dovrebbe avvenire una specie di liberalizzazione in questa società. Ci sono delle difficoltà in questo campo, talvolta, per avere il permesso necessario per costruire una chiesa o per ripararla, fare i lavori necessari. Ma questo è sempre negoziabile. Sono, quindi, questioni locali.

     
    D. – Le sue speranze per il futuro sul dialogo islamo-cristiano ...

     
    R. – Ho accolto con gioia questa iniziativa dei 138 musulmani che hanno scritto al Papa e ad altri capi cristiani, proponendo un dialogo sulla base dell’amore: l’amore per Dio, l’amore del prossimo. Il dialogo non è l’unica forma. Gli incontri tra musulmani e cristiani continuano e si sviluppano. Io vorrei vedere questo dialogo a tutti i livelli: a livello di quartiere, a livello degli studenti, a livello dei contadini ... Questo non è sempre facile, ma si può cercare di sviluppare questo dialogo. Poi è necessario un dialogo di collaborazione. Credo che i problemi del nostro mondo siano talmente grandi che ci voglia la forza di tutti i componenti dell’umanità, componenti che abbiano uno spirito religioso e che possano dare un aspetto religioso per la soluzione di questi problemi, nel rispetto della dignità della persona umana. Credo che il campo lì sia aperto per una maggiore cooperazione tra cristiani e musulmani.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   In evidenza, nell’informazione internazionale, il Libano, con l’elezione del nuovo presidente: il voto era stato rinviato diciannove volte a causa dei fortissimi contrasti fra maggioranza e opposizione.

    In cultura, Silvia Guidi sulle celebrazioni, in Campidoglio, del quarto centenario della canonizzazione di Francesca Romana.

    Sulla figura del cardinale Francesco Maria Tarugi, a quattrocento anni dalla morte, un articolo di Edoardo Aldo Cerrato, procuratore generale dell’oratorio di San Filippo Neri.

    La cronaca di Luca M. Possati di un incontro, a Roma, dedicato al tema: “Per la formazione scientifica e altri saperi”.

    Elisabetta Galeffi sul premio conferito - dalla giuria ecumenica di Cannes - al film “Adoration” di Atom Egoyan.

    Marcello Filotei sulla riapertura, dopo cinque anni, della Sala accademica del Pontificio istituto di musica sacra.

    Nell’informazione religiosa, la prolusione del cardinale Angelo Bagnasco alla LVIII Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana.

    La conclusione della visita del cardinale Tarcisio Bertone in Ucraina.

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    Oggi in Primo Piano



    La vicinanza e le parole del Papa ci danno coraggio: così, il cardinale Zen Ze-kiun, dopo la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina e il nuovo appello, all’Angelus, per i terremotati del Sichuan

    ◊   Benedetto XVI è vicino alla Chiesa e al popolo cinese. Ieri, all’Angelus in Piazza San Pietro, il Papa ha ricordato la Giornata di preghiera per la Chiesa in Cina, celebrata sabato scorso per la prima volta. Quindi, ha rinnovato la sua vicinanza alle popolazioni del Sichuan colpite dal terremoto. Anche in questa regione devastata dal sisma, riferisce l’agenzia Fides, i cattolici cinesi hanno vissuto con intensità la Giornata di preghiera, raccogliendosi in tende adibite a piccole cappelle. Allo stesso tempo, le autorità locali hanno particolarmente apprezzato l’impegno delle religiose, in prima linea nel portare sostegno morale e psicologico ai terremotati. Ma torniamo alla Giornata di preghiera per la Chiesa cinese, fortemente voluta dal Papa. Raggiunto telefonicamente ad Hong Kong da Alessandro Gisotti, il cardinale Joseph Zen Ze-kiun racconta i momenti forti di questo avvenimento senza precedenti:

    R. – Noi siamo molto riconoscenti, perché evidentemente il Santo Padre ci teneva tanto che tutta la Chiesa pregasse per la Chiesa in Cina. Lui stesso ha composto la preghiera. Da parte nostra, qui ad Hong Kong, nella diocesi, abbiamo veramente risposto con molto fervore a questo appello e abbiamo fatto una novena peregrinante. Il 24 maggio abbiamo fatto una preghiera diocesana tutti insieme, in una parrocchia dedicata proprio a Maria Ausiliatrice. E’ venuta molta gente. Domenica c’è stata anche una prosecuzione: in un’isola della nostra diocesi, dove è venerata la Madonna di Fatima, si è svolta una grande giornata di preghiera. Come ha detto il Santo Padre, “il nostro cuore è vicino alle vittime del terremoto”. Abbiamo pregato sia per la Chiesa, per la fede, come anche per la gente che sta soffrendo.

     
    D. – All’Angelus, il Papa ha incoraggiato l’impegno di quanti in Cina non temono di parlare di Gesù, e rimanendo sempre testimoni credibili del suo amore, si mantengono uniti alla roccia di Pietro. Ecco, sono parole importanti che danno coraggio...

     
    R. – Il Santo Padre, con molta sincerità, ha ricordato a tutti la natura della Chiesa, come l’ha fatta il Signore. La Chiesa è apostolica. Ed oggi deve essere guidata dai vescovi, con a capo il successore di San Pietro. Purtroppo in Cina non è ancora possibile realizzare questo ideale della Chiesa, ma noi abbiamo avuto segni di avvicinamento, anche con la recente esibizione musicale in Vaticano alla presenza del Santo Padre. Speriamo siano segni che porteranno a cose molto più importanti, che anche in Cina si possa vivere questa fede in pace, con gioia, come dice il Santo Padre. Così si vivrà fruttuosamente, la nostra fede darà frutto, anche per il bene della società. Capisco benissimo queste parole del Santo Padre, che rievocano la sua Lettera alla Chiesa cattolica in Cina.

     
    D. – L’esibizione dell’Orchestra filarmonica di Pechino, in Vaticano, poi la vicinanza rinnovata tante volte del Papa al popolo cinese che soffre per la devastazione portata dal terremoto e, dunque, la Giornata di preghiera e le parole del Papa all’Angelus. Come viene percepita questa attenzione del Santo Padre?

     
    R. – Questo grande affetto e questa grande stima per tutta la nazione cinese è così evidente nella Lettera. Naturalmente, il disastro, questa volta, è veramente di dimensioni enormi. La parola del Santo Padre incoraggia tutti a continuare ad interessarsi a questo disastro. Dobbiamo interessarci a lungo, non per un attimo di compassione, perché sono ferite che necessitano di tempo per sanarle, specialmente nella ricostruzione. Speriamo che queste parole del Papa rimangano nella mente e nel cuore di tanti cattolici e che si continui a pregare, come anche a dare aiuti concreti.

     
    D. – Quali frutti si aspetta da questa Giornata di preghiera?

     
    R. – E’ un’iniziativa senza precedenti: il Santo Padre che mobilita tutta la Chiesa per i fedeli in Cina. Sappiamo certamente che la Madonna e lo Spirito Santo ascoltano questo desiderio del Santo Padre e tutti i fedeli del mondo hanno certamente appreso questo grande appello. Quindi, questa abbondanza di preghiera, certamente darà i suoi frutti. Perché noi crediamo veramente che molte cose che umanamente sono difficili o quasi impossibili, con la preghiera riescono.

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    Libano: l'elezione del presidente Suleiman allontana lo spettro della guerra civile. Intervista con mons. Raï

    ◊   Il neo-presidente della Repubblica libanese, il cristiano-maronita Michel Suleiman, eletto ieri dal Parlamento di Beirut, si è insediato stamani nel palazzo presidenziale di Baabda. Termina così per il Libano lo stallo istituzionale iniziato il 23 novembre scorso alla scadenza del mandato di Emile Lahoud. Domani Suleiman dovrebbe iniziare le consultazioni per la scelta del primo ministro, carica tradizionalmente affidata a un musulmano sunnita. “Un passo fondamentale verso la risoluzione della crisi libanese”; così viene giudicata, nei messaggi di congratulazioni arrivati dai governi di tutto il mondo, l'elezione di Suleiman, avvenuta alla presenza di molti rappresentanti istituzionali esteri dopo una ventina di tentativi andati a vuoto. Per il capo della Casa Bianca, Bush, il nuovo capo dello Stato proteggerà la sovranità del Libano. Intanto nella capitale ieri sera la gente è scesa in piazza per esprimere la propria soddisfazione. Ce ne parla Graziano Motta:


    Una gioia repressa è esplosa a Beirut, manifestazioni di esultanza popolare impensabili in una città che ancora agli inizi di questo mese era stata teatro di scontri da guerra civile. C’era speranza che l’elezione di Michel Suleiman, anche per il larghissimo consenso con cui è stata espressa - 118 deputati su 127 votanti - segni l’avvio della ricomposizione della frattura politica durata 18 mesi e acuitasi da novembre, da quando cioè il Paese era rimasto senza presidente della Repubblica. Dopo aver prestato giuramento, il 51enne Michel Suleiman, cristiano maronita, finora comandante dell’esercito, ha esortato all’unità del Paese e ha auspicato un rapporto amichevole, improntato al rispetto reciproco con la Siria. Certo, il compromesso raggiunto a Doha, il 21 maggio, dalla maggioranza antisiriana e dalla minoranza filosiriana, se ha spianato la via anche alla formazione di un nuovo governo di unità nazionale, ha stabilito un pesante condizionamento del partito sciita hezbollah, perchè gli assicura il potere di veto, e ha lasciato in sospeso la questione del disarmo delle sue milizie.

    Sull’avvenuta elezione del nuovo presidente libanese ascoltiamo il commento di mons. Béchara Raï, vescovo di Byblos dei Maroniti, al microfono di Stefano Leszczynski:
     
    R. – Tutto il popolo libanese ha espresso la sua gioia con euforia perché il Libano non poteva andare avanti senza capo dello Stato: tutto era paralizzato. Il secondo motivo di gioia è che il presidente gode di una grande stima in Libano e fuori.

     
    D. – Molte restano, tuttavia, le difficoltà che questo nuovo presidente dovrà affrontare: del resto, solo una settimana fa si temeva che il Libano sprofondasse nuovamente nella guerra civile ...

     
    R. – Sì. I problemi sono tantissimi. Non è ancora risolto il problema della maggioranza e dell’opposizione, vale a dire il problema del conflitto tra sunniti e sciiti, anche se questo è un conflitto dell’intero Medio Oriente che si ripercuote in Libano. Quindi, c’è ancora molto da fare negli Stati arabi per risolvere la crisi politica in Libano. Il secondo problema riguarda le armi di Hezbollah; il terzo, la formazione del governo. Poi, c’è il grandissimo problema dei debiti finanziari sotto la pressione dei quali il Libano proprio non resiste più; infine, c’è anche il problema dell’emorragia dei giovani che lasciano il Paese. Tutti questi sono problemi molto urgenti per il nuovo presidente, speriamo che riesca a portare la sua croce e far progredire il Paese. Certo, non deve portarla solo lui, questa croce, ma tutti noi libanesi, tutti quanti! Anche la Chiesa ha un grande lavoro da svolgere per continuare l’opera di riconciliazione in Libano. Dobbiamo lavorare molto per completare questa riconciliazione politica ed andare avanti con un Libano nuovo che sappia riprenderà il suo ruolo.

     
    D. – Possiamo dire che sulla svolta, sulla decisione di nominare questo presidente, abbia pesato anche la capacità di mantenere un ruolo neutrale durante la crisi?

     
    R. – Di fatto, lui ha avuto questo consenso internazionale, regionale e interno proprio per la sua posizione neutrale, non solo ultimamente, ma da quando a capo dell’esercito libanese – da nove anni. Il presidente ha sempre saputo assumere una posizione di mediazione con tutti, e non si è mai schierato in favore di una sola parte; ha saputo gestire la situazione saggiamente nel corso di tanti eventi che hanno messo alla prova l’esercito. Tutti sanno che l’esercito può essere facilmente diviso, perché è composto di musulmani, sunniti e sciiti, e questo avrebbe potuto essere alla base di una spaccatura nelle forze armate: è stata questa capacità a fornirgli il consenso!

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    Mons. Riboldi sulla questione dei rifiuti: basta con la violenza, si torni a ragionare!

    ◊   In Campania è ancora alta l’emergenza rifiuti. Trovato l’accordo a Napoli tra il sottosegretario Bertolaso e gli amministratori locali dopo le poteste dei giorni scorsi nel quartiere napoletano di Chiaiano, uno dei siti individuati per le 10 discariche previste dal Governo. Sul fronte politico, il leader del Partito Democratico Veltroni ribadisce che non va usata la forza, e nell’esecutivo il ministro dell'Interno Maroni si dice contrario all’impiego dell'esercito per tutelare l'ordine pubblico. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di mons. Antonio Riboldi vescovo emerito di Acerra che fa appello al “dialogo e all’uso della ragione”.


    R. - Bisogna prima di tutto abbattere quella specie di irrazionalità che si forma nella protesta quando si pensa che la violenza anche senza una ragione possa ottenere qualcosa. Ragionare vuol dire mettersi in condizione di dialogare con un altro. Ricordo sempre che la violenza appanna, oscura la ragione.

     
    D. - Lei ha più volte ribadito: bisogna ragionare con concretezza….

     
    R. - Non fermarsi all’oggi ma guardare avanti, con qualche piccolo sacrificio oggi, per un bene comune domani: nei termovalorizzatori ci può essere la soluzione, ci può essere veramente il traguardo da raggiungere.

     
    D. - Ecco, in questi giorni si aprono anche altre questioni, lo Stato presente o assente sul territorio, quella che viene definita la “linea dura”. Lei invece ha parlato di proposta necessaria del governo, in che senso?

     
    R. - Ad un certo punto qualcuno deve decidere e se non decide lo Stato, il governo, colui che ha l’autorità, chi deve decidere? Tanto più se poi c’è di mezzo la firma del presidente della Repubblica, Napolitano, e questo è un punto fermo: non possiamo uscire fuori da una civiltà che è la nostra società. Certo più che militarizzare, si dovrebbe aiutare con fermezza il cittadino a crescere nella ragione, nella giustizia, e nella civiltà.

     
    D. - In questo senso servono dei tavoli di confronto per risolvere insieme ad esempio agli enti locali la questione rifiuti?

     
    R. - Sì, io ho fatto l’esperienza dell’inceneritore qui ad Acerra e hanno fatto battaglie, venivano a confrontarsi parti avverse; dopo tre anni persi, si è detto: no, l’inceneritore non fa male e, quindi, mettiamolo. Abbiamo perso tre anni. Si poteva evitare, ma forse è stato provvidenziale perchè abbiamo ragionato.

     
    D. - Se ne è parlato più volte, ci può essere l’interesse della camorra, di gruppi che possono trarre un beneficio dagli scontri? Ci possono essere interessi nascosti in questa situazione?

     
    R. - Credo che ci siano. La camorra sobilla e ha tutto l’interesse a tenere aperto il discorso, che è poi il discorso della violenza, del contro-Stato. Questo è il piano della camorra. La camorra in questo momento ci gioca, l’importante è che la gente si ribelli, che abbia ragione o no. La camorra dice: intanto io comando. Bisogna tagliare la testa a questo male.

     
    D. - Come vescovi, qual è il vostro ruolo in tutto questo?

     
    R. - Noi non possiamo metterci da una parte o dall’altra perchè è politica, però possiamo dire: mettiamoci insieme, ragioniamo, diventiamo persone che pensano al bene nostro e a quello comune. Io vorrei dire a chi è interessato che non si faccia prendere dall’emozione. Vedere una montagna di rifiuti abbandonati suscita l’immediata reazione: bisogna che si superi quest’emozione e si ragioni su come uscirne.

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    Sui bambini rapiti nella guerra civile in Salvador un incontro organizzato dal mensile "Popoli"

    ◊   Il dramma dei bambini desaparecidos al centro di un recente incontro organizzato dal mensile internazionale dei gesuiti “Popoli”, consultabile anche sul sito Internet www.popoli.info Il fenomeno, molto noto per quanto riguarda l’Argentina, durante gli anni della guerra civile ha colpito anche il Salvador, come spiega al microfono di Virginia Volpe, il direttore di “Popoli” Stefano Femminis:


    R. – Il Salvador, che è un Paese molto piccolo, negli anni Settanta, durante la Guerra Fredda, era un po’ una frontiera tra due blocchi. In quel piccolo Paese si combatté una guerra civile molto sanguinosa, dove ci furono tantissime sparizioni: circa 5 mila ufficialmente, ma alcune associazioni ritengono 9 mila. Tra questi, molti bambini, sottratti alle loro famiglie. L’obiettivo dell’associazione “Pro Busqueda” è proprio quello di ritrovare, di ripercorrere, di ricostruire gli itinerari di questi bambini perché il più delle volte si tratta di giovani, quasi adulti, che non sanno quali siano le loro origini.

     
    D. – Quando è nata l'associazione e quanti casi finora ha risolto?

     
    R. – L’associazione è nata nel 1994, quindi a guerra civile conclusa; l’iniziativa è di un padre gesuita, Jon Cortina. Venne fondata l’associazione che, appunto, con grande fatica, dovendo sfidare anche un po’ l’omertà e il silenzio che era calato su questi fatti, iniziò il suo lavoro e ad oggi sono stati registrati 780 casi di scomparsa di bambini e di questi ne sono stati risolti 317. Risolti, cosa vuol dire? Significa che a questi bambini è stato consentito di trovare, in qualche modo, le proprie origini, è stato – in molti casi – anche possibile organizzare un incontro tra ragazzi, giovani che il più delle volte vivono in famiglie adottive e le loro famiglie di origine.

     
    D. – Per quale motivo i bambini venivano dati in adozione?

     
    R. – La guerra civile è stata sanguinosa e ha violato qualunque diritto umano. Quantomeno però ci si fermava di fronte ai bambini, nel senso che in questi attacchi che i militari o i paramilitari compivano venivano salvati in qualche modo questi bambini. Venivano di solito portati in orfanotrofi e poi da lì dati in adozione, alcune volte in modo del tutto illegale, venivano adottati dagli stessi militari, in altri casi – più frequentemente – i bambini venivano poi inseriti nei circuiti dell’adozione. Sicuramente c’era poi un discorso anche di sfruttamento economico di questo problema. Va detto però che le famiglie che hanno adottato questi bambini non sapevano nulla.

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    La Chiesa ricorda San Filippo Neri, Patrono della gioia

    ◊   La Chiesa celebra oggi la memoria liturgica di San Filippo Neri. Fiorentino di nascita e romano di adozione e conosciuto come il Patrono della gioia, San Filippo Neri è vissuto nel 1500, nel complesso periodo della Riforma protestante e del Concilio di Trento, fondando la Congregazione dei Fratelli dell’Oratorio. Il servizio di Sergio Centofanti.
     
    “State buoni se potete!”: è la più nota delle esortazioni di “Pippo buono”, come lo chiamavano i suoi ragazzi, piuttosto vivaci, raccolti nelle borgate di Roma. Ragazzi poveri, abbandonati a se stessi: San Filippo Neri li cerca uno per uno, li fa giocare, cantare, e li educa alla preghiera , all’ascolto della Parola di Dio e alle opere di carità: nasceva così l’Oratorio. Obiettivo principale: annunciare il Vangelo ai più piccoli in modo simpatico e piacevole puntando lo sguardo sul bene, con proposte coinvolgenti. “Figlioli – diceva – state allegramente: non voglio né scrupoli, né malinconie: mi basta che non facciate peccati”. Parla al cuore dei giovani, sta dalla loro parte ma non è un santo “buonista”: “Nel confessarvi – diceva ai ragazzi – dite prima i peccati più gravi, perché il demonio non vi tenti di occultarli alla fine”. Trascorre lunghe ore nel confessionale: spesso dall’alba fino a mezzogiorno. La forza la trae dalla preghiera: la notte di Pentecoste del 1544 ha un’esperienza mistica che gli causa una dilatazione del cuore e delle costole. Non gli mancano le tribolazioni. Viene denunciato al tribunale dell’Inquisizione come turbatore della quiete pubblica: ma Papa Paolo IV lo difende da ogni accusa. Santo del buon umore, sì, ma anche austero, amava l’ascesi e un impegno forte nel seguire il Vangelo di Gesù come diceva ai ragazzi: “Non è tempo di dormire, perché il Paradiso non è fatto per i poltroni”. E li spingeva a rendere concreta la carità aiutando soprattutto i poveri e i malati. Papa Clemente VIII voleva farlo cardinale: ma lui oppone un mite rifiuto e guardando il cielo dice: “Paradiso, paradiso!”. Giovanni Paolo II invitava i giovani a imitare San Filippo Neri: “Sforzatevi, come lui, di servire Dio nella gioia e di amare il prossimo con semplicità evangelica.”

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    Chiesa e Società



    Terremoto in Cina: il bilancio sale a 65 mila morti e 23 mila dispersi

    ◊   E’ salito a 65.080 il bilancio dei morti accertato del terremoto del 12 maggio nella regione cinese del Sichuan. I dispersi sono 23.150. Il nuovo drammatico aggiornamento è stato diffuso oggi dall’ufficio informazioni del governo cinese. Intanto, sono più di 14,4, milioni le persone sfollate dalle zone disastrate, mentre le squadre di soccorso lavorano senza sosta. Ieri, una nuova scossa di intensità pari a 6,4 gradi ha interessato le regioni occidentali della Cina, causando almeno 8 morti. Dal canto suo, riferisce l’agenzia Misna, il Servizio meteorologico cinese ha avvertito che nelle prossime ore dei temporali potrebbero colpire le zone colpite dal sisma, aumentando i rischi per la popolazione già duramente provata. Intanto, informa l’agenzia AsiaNews, sono purtroppo almeno 8 le chiese del Sichuan distrutte dal terremoto e altre 20 danneggiate. Nella Cina della regola sul “figlio unico”, i media locali danno rilievo allo speciale permesso riconosciuto dalle autorità ai genitori della regione. Le coppie che adotteranno un orfano del terremoto – rileva AsiaNews – potranno anche avere un figlio proprio. Sono inoltre sospesi i provvedimenti punitivi per chi ha violato la politica del “figlio unico”, quando un figlio sia rimasto ferito o infermo in modo grave o la casa distrutta. Tra i 5 milioni di senza tetto, a causa del terremoto, 20 mila sono cattolici, ora costretti a vivere in tende di fortuna. Da ultimo, riferisce l’agenzia Ansa, l'Ufficio politico del Partito Comunista Cinese ha sottolineato oggi che la ricerca dei sopravvissuti deve proseguire, ma che la priorità si concentra ora sulla “sistemazione dei sopravvissuti, sulla ripresa della produzione e sulla ricostruzione”. (A.G.)

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    A Manila, Messa per le vittime dei disastri in Cina e Myanmar

    ◊   Sacerdoti cinesi e birmani, religiosi filippini e laici si sono riuniti ieri nella cattedrale della capitale filippina a pregare, durante la celebrazione del Corpus Domini, per le vittime dei disastri naturali che hanno colpito Cina e Myanmar. A celebrare la messa solenne, riferisce l'Agenzia AsiaNews, l’arcivescovo di Manila card. Rosales, che ha sottolineato “l’importanza della solidarietà in queste difficili situazioni”. Una delle suore presenti, madre Zhu Fangmei, proveniente proprio dalla provincia del Sichuan, devastata dal terremoto, dopo la messa si è detta contenta di vedere tanti filippini al fianco della popolazione cinese e di quella birmana, che pregano per le vittime ed i sopravvissuti di questo disastro. Durante il rito, il porporato ha ricordato inoltre la Giornata mondiale di preghiera per la Chiesa cinese lanciata da Benedetto XVI nella sua Lettera ai cinesi ed ha chiesto ai fedeli riuniti di recitare la speciale preghiera alla Madonna di Sheshan scritta dal Papa per l’occasione. Dopo la celebrazione, la comunità ha seguito la processione del Corpus Domini per le strade di Manila. Per far fronte all’emergenza, il card. Rosales ha scritto a tutte le parrocchie dell’arcidiocesi per lanciare una raccolta fondi da inviare in Cina, che si terrà il primo giugno. Una seconda raccolta fondi, per le vittime ed i sopravvissuti del ciclone Nargis, si è invece svolta ieri. (R.P.)

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    Le condoglianze del Consiglio Ecumenico delle Chiese alle autorità cinesi per le vittime del terremoto

    ◊   Il segretario generale uscente del Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC), Rev. Samuel Kobia, ha inviato, nei giorni scorsi, una lettera al presidente cinese Hu Jintao, per esprimere le condoglianze del Consiglio alle vittime del terremoto che ha causato oltre 65 mila morti e 5 milioni di senza tetto. “A nome del CEC – scrive il Rev. Kobia – esprimo le mie più sincere condoglianze al governo, alle famiglie delle vittime e all’intero popolo cinese”. Di fronte a tale “crisi nazionale”, continua il segretario generale uscente del CEC, “assicuro che il Consiglio ecumenico delle Chiese contribuirà agli sforzi della Cina per ridurre ed alleviare le sofferenze delle vittime nella provincia di Sichuan”. In particolare, il Rev. Kobia cita la catena di aiuti già messa in moto dal Sichuan Christian Council, insieme all’Action by Churches Togheter, ovvero il settore per gli aiuti umanitari del CEC. Congratulandosi poi con il governo cinese per i soccorsi immediati portati nelle zone terremotate, il Rev. Kobia assicura al presidente Hu Jintao che “i pensieri e la solidarietà di milioni di membri del CEC in tutto il mondo accompagneranno la Cina ed il suo popolo”. (I.P.)

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    L'arcivescovo di Kirkuk: "i cristiani in Iraq sempre più dimenticati e isolati"

    ◊   “I cristiani iracheni si sentono isolati e dimenticati di fronte al grande silenzio della comunità internazionale e della stessa Chiesa, a parte il Papa ed alcuni vescovi europei. Chiedo alle Chiese di Occidente che ci confortino aiutandoci concretamente a restare nel nostro Paese”. L’accorato appello è di mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, in Iraq, che sabato prossimo 31 maggio a Milano riceverà il premio “Defensor Fidei”, promosso dalla “Fondazione Fides et Ratio” e dal mensile “Il Timone”. Commentando all’agenzia SIR la notizia, l’arcivescovo si dice “onorato per questo riconoscimento” e denuncia “gli estremismi etnici e religiosi”, “una politica che spesso guarda ai propri interessi” e “la corsa agli armamenti”. Parlando della persecuzione dei cristiani mons. Sako ricorda che “essi hanno sempre difeso l’integrità del Paese in modo coraggioso insieme ai loro fratelli musulmani”. Purtroppo, aggiunge, “in questi ultimi tempi sono presi di mira come un capro espiatorio da eliminare. In certe zone dell’Iraq soffrono per emigrazione, stupri, rapimenti, minacce e uccisioni perpetrate con moventi religiosi. Questo comportamento inusuale contraddice i valori del popolo iracheno e quelli morali dell’Islam. Un Iraq senza cristiani sarà disastroso per tutti gli iracheni”. (V.V.)

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    Presentato a Roma il Rapporto delle ONG e di ActionAid sugli aiuti allo sviluppo in Europa

    ◊   I governi dell’Unione Europea forniscono oltre la metà dell’aiuto allo sviluppo mondiale, ma ciononostante i fondi stanziati sono ancora troppo pochi. Nell’aprile 2008, infatti, si segnala un leggero calo della quota dell’aiuto pubblico allo sviluppo sul Pil europeo. E’ quanto emerge dal rapporto delle ONG italiane e di ActionAid presentato questa mattina a Roma. Tra il 2006 e il 2007, solo cinque Governi hanno aumentato i loro investimenti in questo settore: Austria, Danimarca, Germania, Lussemburgo e Spagna. Addirittura Belgio, Francia e Gran Bretagna hanno ridotto di circa il 10% i loro finanziamenti. Invece, Grecia, Italia e Portogallo sono ancora al di sotto degli obiettivi stabiliti nel 2006. Stando alle proiezioni ufficiali, la maggioranza degli Stati membri della UE, vecchi o nuovi che siano, è ben lontana dal raggiungimento degli obiettivi UE per il 2010, che prevedono uno stanziamento dello 0.51% rispetto al Pil. Per i curatori del rapporto “questa situazione è paradossale per una regione, l’Europa, che si vanta di essere leader mondiale in materia di aiuti allo sviluppo”. Tra settembre e dicembre di quest’anno saranno organizzati due Vertici internazioni per discutere di questo tema e le ONG chiedono che sia fissata un’agenda vincolante per incrementare ogni anno le risorse a disposizione. (A cura di Alessandro Guarasci)

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    Concluso il Vertice di Kobe per combattere il riscaldamento globale

    ◊   Ancora parole prima dei fatti, perché non c’è intesa ma piuttosto divergenze. ''Il principale risultato” del Vertice di Kobe, è stato riassunto per i giornalisti dal ministro giapponese, Ichiro Kamoshita, con un’ulteriore promessa: “abbiamo espresso con forza” – ha detto – la volontà di giungere nella prossima riunione dei capi di Stato e di Governo del G8, prevista in luglio nell’isola di Hokkaido, ad un accordo “per dimezzare le emissioni nocive entro il 2050”. ''Le Nazioni avanzate – ha aggiunto il ministro giapponese - dovranno dare prova di leadership per centrare l'obiettivo''. Il riferimento è al picco delle emissioni atteso entro i prossimi 10/20 anni che richiederà di patteggiare con i Paesi in via di sviluppo ed emergenti per contenere la produzione di gas nocivi. Nella dichiarazione finale di Kobe non c’è però menzione dei rapporti scientifici che impongono ai Paesi ricchi e industrializzati di ridurre del 25-40 per cento entro il 2020 le emissioni per evitare il riscaldamento del Pianeta di ben due gradi. Unione Europea, ONU e associazioni ambientaliste avevano invece puntato su una indicazione - che non c’è stata a Kobe - da parte dei ministri dell’ambiente del G8. Il nodo da sciogliere è non solo economico ma politico, per questo si attende una parola risolutiva dei massimi leader degli Otto grandi in luglio, mentre nella lotta contro il tempo per fronteggiare i cambiamenti climatici, aumentano ogni giorno i danni ambientali di cui tutta l’umanità porta e porterà pena. (A cura di Roberta Gisotti)

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    Sì dei vescovi USA ad una proposta di legge sui cambiamenti climatici a tutela dei più poveri

    ◊   Negli Stati Uniti, un progetto di legge sui cambiamenti climatici ha ricevuto il plauso dei vescovi e di altri leader religiosi, perché propone misure concrete a favore delle popolazioni povere nel mondo, che saranno le prime vittime del surriscaldamento globale. L’ultima versione del testo, che sarà presentato il prossimo 2 giugno al Senato, prevede infatti l’istituzione di un Fondo speciale per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi agli effetti dei mutamenti climatici causati dai gas serra, nonché aiuti finanziari a sostegno delle famiglie a basso reddito negli Stati Uniti per compensare gli aumenti del costo dei carburanti. “Un significativo passo avanti rispetto alle precedenti proposte”, così mons. Thomas Wenski, presidente della Commissione per la Giustizia e la Pace internazionale della Conferenza episcopale (USCCB), ha commentato il nuovo testo ad una conferenza stampa, insieme ad altri leader religiosi cristiani ed ebraici. Il presule ha peraltro precisato che i vescovi non intendono entrare nel merito dei singoli articoli della legge, ma sicuramente apprezzano “la volontà dei senatori proponenti, di affrontare gli effetti drammatici che i cambiamenti climatici avranno soprattutto sui poveri e i più vulnerabili nel nostro Paese e nel mondo”. (A cura di Lisa Zengarini)

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    Clemenza per la donna algerina fermata in possesso di testi cristiani, a chiederla la segretaria di Stato francese ai Diritti dell'Uomo Rama Yade.

    ◊   “Triste e scioccante”: così la segretaria di Stato francese ai Diritti dell’Uomo, Rama Yade, ha definito il processo in Algeria alla donna fermata, nei primi di aprile, tra Tiaret e Oran e trovata in possesso, di testi cristiani nei primi di aprile. Habiba Kouider, algerina, rischia tre anni di prigione e il verdetto dovrebbe arrivare domani. Rama Yade - riferisce la France Presse - ha auspicato, parlando ai microfoni Radio J, un gesto di clemenza ed ha sottolineato che il procedimento contro la donna “contravviene alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, che nell’art. 18 proclama la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, e “alla tradizione di ospitalità dell’Algeria”. “Il cristianesimo non minaccia l’islam in Algeria: – ha detto la segretaria di Stato francese – i cristiani in Algeria sono l’1% della popolazione, cioè circa 11 mila e 500 persone, con 32 chiese in rapporto a 32 mila moschee”. Rama Yade ha precisato che l’arresto di Habiba Kouider non è il primo caso, ricordando quello del prete cattolico francese Pierre Wallez, condannato ad aprile - dalla Corte d’appello di Tlemen - a due mesi di carcere, con sospensione, per proselitismo. “Confido nella tolleranza del popolo algerino”, ha dichiarato la segretaria di Stato francese ai Diritti dell’Uomo. La stampa algerina ha dato ampio spazio a questi ultimi avvenimenti, evidenziando le difficoltà che attualmente stanno affrontando le comunità cristiane in Algeria: 25 di queste, in massima parte protestanti, si sono viste notificare l’ordine di cessare qualunque attività. Secondo quanto affermato dal ministro algerino dell’Interno e delle Collettività locali, Yazid Zerhouni e riferito dal quotidiano algerino L’Expression, sono stati chiusi nel Paese diversi luoghi di culto e di preghiera musulmani e non, privi di autorizzazione. Il ministro ha ricordato che la legge algerina richiede un’autorizzazione per esercitare un culto, compreso quello musulmano: è necessario organizzarsi in associazione e fare richiesta di un permesso per l’apertura di luoghi di culto e per chi deve assicurare la preghiera. La Legge ha sollevato diverse polemiche e le comunità cristiane, cattoliche e protestanti, denunciano “lo zelo” con il quale vengono applicate le disposizioni. La normativa è del 28 febbraio 2006 ed è stata elaborata dal Dipartimento degli Affari religiosi per regolamentare l’organizzazione del culto musulmano e debellare le sale di preghiera ritenute anarchiche. (A cura di Tiziana Campisi)

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    Nota dei vescovi francesi sul dialogo tra cristiani e musulmani

    ◊   Il dialogo teologico, che riguarda Dio, si costruisce in un clima di apertura verso l’altro e di reciproco rispetto, ma esige al tempo stesso una reale chiarezza dell’identità della fede cristiana. E’ uno dei passaggi della nota pubblicata a Parigi dalla Commissione episcopale per la dottrina della fede sul dialogo fra cristiani e musulmani. “In che modo cristiani e musulmani parlano di Dio”: questo il titolo del documento che affronta le differenze teologiche nell’approccio del Dio dei cristiani e dei musulmani, sottolineando il diverso modo in cui le due religioni parlano di Dio. “L’islam – si legge nella nota – insiste fortemente sull’unicità di Dio e non accetta la rivelazione del cristianesimo che si basa sul fatto che Dio è Padre, Figlio e Spirito. La nozione di Trinità non è compresa. Essa è rifiutata nel nome del rigetto del politeismo”. Il documento precisa inoltre che per l’islam non si può avere l’incarnazione: sarebbe un attentato alla trascendenza di Dio. L’islam, poi, ignora qualunque mediazione e rigetta ciò che sembra essere un ostacolo tra Dio e gli uomini, mentre per il cristianesimo la salvezza è donata attraverso Cristo, il solo mediatore fra Dio e gli uomini. “Per l’islam come per il cristianesimo – prosegue il documento – Dio parla agli uomini ed esistono delle Scritture sacre. Ma le concezioni della rivelazione sono molto differenti: il Corano è il frutto di un dettato di Dio a Maometto”. Per i cristiani, invece “è Dio che ha ispirato gli autori biblici che hanno redatto i libri della Bibbia servendosi delle parole e delle forme letterarie del loro tempo”. E ancora “per i musulmani, le affermazioni del Corano hanno l’autorità della Parola di Dio. In questo modo, il dialogo dogmatico è reso assai difficile su tali questioni essenziali. Senza ignorare queste differenze fondamentali – aggiunge la nota – bisogna notare che il dialogo è possibile su altri campi della fede, come la preghiera, la vita morale, la creazione, il senso dell’uomo”. (T.C.)

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    Portogallo: il Forum delle famiglie lancia una petizione contro il nuovo progetto di legge sul divorzio

    ◊   “Un progetto che criminalizza i comportamenti dei padri e trasforma in senso giudiziale l’istituto familiare”. Così il Forum delle famiglie del Portogallo ha definito la nuova proposta di legge sul divorzio presentata dal Partito socialista. Perciò ha lanciato la petizione Cittadinanza-Famiglia-Matrimonio, opponendosi al testo legislativo. “Si vuole introdurre nella società civile - spiegano i promotori dell’iniziativa all’agenzia SIR - la supremazia dello statalismo, della legge penale che miracolosamente tutto risolve, dell'istituzionalizzazione dei bambini e dell'irresponsabilità nelle relazioni personali e nei contratti giuridici". "Si tratta di una questione di cittadinanza e di organizzazione sociale: la famiglia è la cellula base della società ed il matrimonio è l'istituto che meglio protegge gli individui, le loro relazioni affettive, ed il patrimonio", spiegano ancora i promotori. La petizione afferma, inoltre, che "il progetto di legge è rivolto ad eliminare ogni responsabilità interna al matrimonio, mentre la violazione dei doveri familiari non ha alcuna conseguenza; ad esempio, colui che picchia la moglie può addirittura avvalersi di questa circostanza per chiedere il divorzio: in tal modo s'introduce la logica dell'irresponsabilità e del lassismo". (V.V.)

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    La Festa del Corpus Domini in Gabon

    ◊   Oltre mille fedeli dell’arcidiocesi di Libreville, in Gabon, si sono ritrovati ieri mattina nella parrocchia Saint Michel di Nkembo, per prendere parte alla processione della “Festa di Dio”, solennità del Corpus Domini. La cerimonia si è aperta con un Messa celebrata dal nunzio apostolico del Gabon e del Congo, mons. Andréas Carrascosa Coso, cui è seguita la processione che si è conclusa nella cattedrale di Santa Maria. Mons. Carrascosa - scrive Gabonews - ha esortato i fedeli a consacrarsi pienamente a Dio, sforzandosi di allontanare i “desideri impuri”, iniziando seri pentimenti quotidiani, al fine di accogliere meglio Gesù Cristo. Il presule ha inoltre parlato dei problemi che riguardano il matrimonio e la castità, invitando a riflettere sul fatto che i valori ad essi legati oggi non vengono più onorati. La processione del Corpus Domini è stata guidata dall’arcivescovo di Libreville Basile Mvé Engone ed è stata animata dai cori dei sacerdoti delle 19 parrocchie dell’arcidiocesi. (T.C.)

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    La Chiesa del Pakistan inaugura l'Anno della Bibbia

    ◊   E’ iniziato ieri l’Anno della Bibbia in Pakistan, con la speranza che il Verbo “possa divenire una sfida ed un invito alla riflessione per tutti i fedeli del Pakistan, in modo da rendere salda la fede e più piena la nostra vita”. Lo dice ad AsiaNews padre Emmanuel Asi, segretario della Commissione biblica della Conferenza episcopale pakistana, che ha lanciato l’iniziativa dal tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Il tema, spiega padre Asi, “è lo stesso del Sinodo dei vescovi che si terrà il prossimo ottobre a Roma. Lo scopo di questo Anno è quello di diffondere e promuovere la Bibbia, in occasione del Giubileo della prima traduzione del testo sacro in urdu, avvenuta appunto nel 1958. I protestanti si uniranno a noi nelle celebrazioni che abbiamo preparato nel corso di tutto l’anno”. Anno che è iniziato con una messa solenne, celebrata sia a Lahore che a Karachi. Il presidente della Conferenza episcopale, mons. Lawrence Saldanha, ha presieduto la celebrazione nella cattedrale di Lahore, mentre mons. Pinto – arcivescovo di Karachi – ha inviato una lettera pastorale indirizzata alla Chiesa del Pakistan. Nel testo, raccomanda anche ai sacerdoti di prestare “particolare attenzione” alle omelie da pronunciare, perché queste “sono il nutrimento della fede nei cattolici”. Inoltre, il presule invita tutte le parrocchie a “portare la Parola di Dio al gregge in ogni modo”, e suggerisce di creare “corsi, seminari, classi di studio della Bibbia, insomma tutto il possibile per avvicinarsi al testo sacro”. (R.P.)

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    Verso la GMG di Sydney in Australia: 75 i delegati delle 6 diocesi della Thailandia

    ◊   Sono 75 i delegati che rappresenteranno la Thailandia alla XXIII Giornata mondiale della Gioventù di Sydney. Lo ha reso noto il segretario della Commissione episcopale per la pastorale giovanile, padre Suksan Chaopaknam. La delegazione, accompagnata da 12 sacerdoti e 3 religiose, sarà composta da una trentina di catechisti di etnia tribale – 30 Karen e 1 Lahu –, 23 giovani dalle sei diocesi del Paese, sei volontari stranieri operanti in Thailandia, cui si aggregheranno anche alcuni ragazzi di religione buddista. I giovani partecipanti stanno svolgendo in queste settimane una serie di incontri preparatori, centrati sul tema della GMG 2008 “Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni” ed aventi come filo conduttore lo Spirito santo e la Missione. “La nostra speranza - ha detto padre Suksan all'agenzia UCAN – è che la partecipazione a questo evento, offra loro, non solo l’occasione di uno scambio di esperienze di fede con giovani da altre parti del mondo, ma anche di sviluppare un rapporto più intimo con lo Spirito Santo che possa stimolarli a testimoniare il Vangelo soprattutto nella loro vita quotidiana e a condividere i frutti di questa esperienza nelle loro parrocchie”. (L.Z.)

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    La Chiesa delle Filippine fa il punto sull’evangelizzazione dei “nomadi del mare”

    ◊   Terza Assemblea nazionale per la cura pastorale di nomadi e Bajaus della Chiesa cattolica delle Filippine. Si è svolta a Zamboanga City la riunione per fare il punto sugli sforzi compiuti dai sacerdoti diocesani e dai missionari per portare la parola del Vangelo ai piccoli gruppi di indigeni Samal-Bajaus, comunemente chiamati gli “zingari del mare”. Queste povere e primitive comunità vivono essenzialmente di pesca e usano fragili imbarcazioni per seguire i banchi di pesce lungo le coste della Malaysia, dell’Indonesia e delle Filippine. L’opera di evangelizzazione di queste persone ha origini recenti: è stato il missionario italiano fratel Renato Rosso il primo a stabilire un contatto, quattro anni fa. In quello stesso 2004 è stata inaugurata l’Assemblea nazionale per la cura pastorale di nomadi e Bajus, e l’8 aprile del 2005 si è tenuto il primo incontro. (V.V.)

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    Germania: dal 30 maggio a Ravensburg, Giornata ecumenica internazionale

    ◊   Si svolgerà dal 30 maggio al 1° giugno a Ravensburg, in Germania, la 13ª edizione della Giornata ecumenica internazionale del Lago di Costanza. Scopo dell'iniziativa - spiega uno degli organizzatori, il sacerdote cattolico Hermann Riedle all'Agenzia Sir - è "dimostrare che la Chiesa e l'essere cristiani possono offrire attrattive ancora oggi" e di rendere tangibile lo spirito ecumenico che ormai caratterizza i rapporti tra le Chiese cattolica e protestante in Germania. Alle circa 130 manifestazioni in programma parteciperanno, secondo gli organizzatori, diverse migliaia di persone provenienti da Svizzera, Austria e Germania. Oltre all'ecumenismo, i temi centrali della tre giorni sono la convivenza tra le diverse religioni e culture, l'azione della Caritas e delle diakonie, le nuove povertà. Saranno allestiti forum, manifestazioni per bambini e giovani, spettacoli e musica. Diverse personalità del mondo politico e culturale parteciperanno ai numerosi forum. La giornata si concluderà il 1° giugno con una celebrazione ecumenica finale presieduta da mons. Johannes Kreidler, vescovo ausiliare di Rottenburg-Stoccarda e da Gabriele Wulz, Pastora evangelica di Ulm. (L.Z.)

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    Il Regina Apostolorum presenta il primo numero di "Studia Bioethica"

    ◊   Sarà dedicato a Giovanni Paolo II e al suo rapporto con la bioetica, il primo numero di "Studia Bioethica", la rivista internazionale della Facoltà di Bioetica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, che verrà presentata giovedì prossimo, 29 maggio, alle 15.30 presso la stessa Università a Roma. All'incontro - informa l’agenzia Sir - interverranno il direttore, padre Gonzalo Miranda, il direttore responsabile Antonio Gaspari, il rettore padre Pedro Barrajon ed alcuni autori. La Facoltà di Bioetica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum - la prima al mondo - è nata nel 2001 per rispondere all'invito rivolto da Giovanni Paolo II nell'Evangelium Vitae a "mettere in pratica una grande strategia in favore della vita". "In quanto Facoltà di un Ateneo pontificio - scrive nel suo editoriale il direttore padre Gonzalo Miranda - ci sentiamo strettamente legati al successore degli apostoli. E il 'Papa venuto da lontano' era quel successore quando la nostra Facoltà vide la luce, nell'ottobre del 2001. Per tutti i cattolici, ma non solo per noi, Giovanni Paolo II ha rappresentato, e rappresenta ancora, un punto fermo e luminoso di riferimento". Il primo numero della rivista ospita anche interviste al cardinale Javier Lozano Barragán, a mons. Elio Sgreccia e al cardinale Ersilio Tonini. (R.G.)

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    Il film francese “Entre les murs” di Laurent Cantet vince il Festival di Cannes

    ◊   Era già successo con “Rosetta” di Luc e Jean-Pierre Dardenne. Accade ora con “Entre les murs” di Laurent Cantet: uno degli ultimi film in concorso vince il 61° Festival International du Film di Cannes. È il coronamento della carriera per il regista francese che in passato, con “Ressources humaines”, “L’emploi du temps” e “Vers le Sud” ha ricevuto riconoscimenti prestigiosi in vari festival internazionali, segnalandosi come uno dei più attenti testimoni del suo tempo. Lo conferma anche “Entre les murs” che, seguendo l’attività del suo protagonista, un professore di scuola media superiore alle prese con allievi di varia estrazione sociale, si trova a dover affrontare la quotidianità e i rischi della democrazia in classe. Il Festival di Cannes ha anche sancito il buon momento di salute del cinema italiano, premiando con il Premio della Giuria “Il divo”, di Paolo Sorrentino e con il Gran Premio “Gomorra”, di Matteo Garrone. Il Palmarés è completato dal Premio alla regia, ottenuto dal turco Nuri Bilge Ceylan per “Three Monkeys”, dal Premio alla sceneggiatura, vinto da Luc e Jean-Pierre Dardenne con “Le silence de Lorna”, dai premi agli attori Benicio Del Toro per “Che” di Steven Soderbergh e Sandra Corveloni per “Linha de passe” di Walter Salles e dalla Caméra d’or per la miglior opera prima a “Hunger” di Steve McQueen, ricostruzione rigorosa e durissima dell’universo carcerario. A un tale profluvio di premi se ne sono aggiunti due, decisamente onorifici e alla carriera, per Catherine Deneuve e Clint Eastwood. Ci resta da aggiungere qualche parola sui premi collaterali e sulle pellicole che li hanno ricevuti. Se la Giuria Fipresci ha premiato l’esemplare pulizia stilistica di “Delta” di Kornel Mundruzco, ci sembrano particolarmente significativi il premio della Semaine Internationale della Critique, andato a “Snow” di Aida Begic, il Premio Label Europa a “Eldorado” di Bouli Lanners e quello di “Un certain regard” a “Tulpan” di Sergej Dvortsevoy. Se il primo ci propone il ritratto commosso del difficile ritorno alla vita di un villaggio bosniaco e il secondo conferma il talento comico del regista belga, “Tulpan” ci lascia rapiti e impressionati per il lavoro di totale immersione nella materia del reale che il suo autore, già documentarista di fama mondiale, ha saputo compiere, trasmettendoci un profondo rispetto per uomini e cose. (Da Cannes, Luciano Barisone)

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    24 Ore nel Mondo



    Israele detta le condizioni per la rimozione del blocco alla Striscia di Gaza

    ◊   Israele collega la rimozione del blocco della striscia di Gaza (imposto un anno fa, dopo il colpo di mano armato di Hamas) alla conclusione di uno scambio di prigionieri con Hamas, che da due anni detiene il caporale israeliano, Ghilad Shalit. Lo ha riferito la radio militare. L'emittente ha precisato che la proposta è stata avanzata dal dirigente del Ministero della difesa che, attraverso i buoni uffici dell'Egitto, sta negoziando una tregua con Hamas per la striscia di Gaza. Secondo la radio militare, Israele chiede che l'Egitto intensifichi i contatti con Hamas per lo scambio dei prigionieri e, per quanto concerne la tregua, che nel Sinai siano adottate misure tali da impedire il traffico di armi verso Gaza. Ieri, il capo dello Shin Bet (sicurezza interna), Yuval Diskin, ha rivelato che di recente Hamas ha ricevuto dall'Iran missili in grado di colpire da Gaza anche città israeliane distanti decine di chilometri, come Ashdod e Kiryat Gat. Intanto, Hamas fa sapere che il movimento sarà costretto ad esercitare un'accresciuta pressione militare sui posti di valico con Israele per rompere l'isolamento della Striscia di Gaza, se lo Stato ebraico continuerà ad avanzare “condizioni impossibili” relative ad una tregua.

    Iraq
    Sei persone uccise e altre 18 ferite, questa mattina, a nord di Baghdad. L’attentatore suicida, a bordo di una motocicletta, si è fatto saltare in aria nei pressi di un posto di blocco congiunto della polizia e di membri del Consiglio del Risveglio, nella città a maggioranza sunnita di Tarimya, circa 40 km a nord della capitale. Intanto, nella provincia di Salaheddin, nel centro-nord del Paese, un soldato statunitense è rimasto ucciso e altri due feriti. Sale così a 4.081 il bilancio dei militari americani morti in Iraq dall'invasione nel marzo 2003, secondo un conteggio dell'agenzia AFP.

    Nucleare: Iran-Ue
    L'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Unione europea, Javier Solana, non ha ancora una data fissata, ma spera di potersi recare “molto presto” in missione a Teheran, per presentare alle autorità iraniane la nuova offerta di incentivi proposta dal gruppo 5+1 (i paesi del Consiglio di sicurezza ONU più la Cina) sul dossier nucleare iraniano.

    Nigeria
    L'esercito nigeriano ha smentito quanto rivendicato oggi dai ribelli del MEND (il Movimento per la liberazione del delta del Niger), che affermano in un comunicato di aver sabotato nell'area un oleodotto della Shell e di aver ucciso in una sparatoria 11 soldati a bordo di un'imbarcazione armata. “Non c'è stato alcun attacco all'oleodotto e nessuno dei nostri soldati è stato ucciso”, ha detto un portavoce locale dei militari, Sagir Musa, che ha aggiunto: “Le affermazioni (dei ribelli) sono palesi, bugie dette con il deliberato intento di guadagnare popolarità e ingannare la gente”. Il MEND, che ha rivendicato numerosi attacchi a strutture della fiorente industria petrolifera del delta del Niger e rapimenti di numerosi addetti al settore, fra cui alcuni italiani, dichiara di lottare per porre fine all'ingiustizia creata da decenni di sfruttamento delle risorse petrolifere a danno della poverissima popolazione locale e dell'ambiente a vantaggio delle multinazionali straniere e dei politici nigeriani corrotti.

    Turchia
    Una deflagrazione si è prodotta la scorsa notte, in Anatolia settentrionale, nella struttura di un gasdotto che porta combustibile iraniano in Turchia. L'esplosione, di cui si ignorano ancora le cause, è avvenuta in un tratto del condotto che attraversa la provincia di Agri, a 13 km di distanza dalla frontiera con l'Iran e, come ha riferito il governatore locale Metin Cetin, ha provocato un incendio. “Al momento attuale non abbiamo alcun indizio che possa far pensare ad un attacco terroristico e riteniamo piuttosto che si sia trattato di un incidente”, ha detto Cetin. Da parte sua, il ministro dell'Energia, Hilmi Guler, ha affermato che l'incendio è sotto controllo ma non ha aggiunto altri dettagli. Secondo fonti dell'azienda statale Botas, che gestisce il gasdotto, si sarebbe trattato invece di un sabotaggio quasi certamente ad opera di ribelli curdi separatisti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK, fuorilegge per la Turchia), attivi nella zona.

    Etiopia
    L'ex dittatore etiopico, Menghistu Haile Mariam, è stato condannato a morte in appello insieme ad altri 18 alti responsabili del suo regime. Menghistu è stato condannato in contumacia. La Corte suprema di Addis Abeba ha deciso di accogliere la richiesta del procuratore della Repubblica che la pena dell'ergastolo sia sostituita dalla pena capitale per Menghistu e per gli altri coimputati. L'ex dittatore etiopico, che dalla caduta del suo regime nel 1991 vive in esilio nello Zimbabwe, era stato riconosciuto colpevole in primo grado, con sentenza del 12 dicembre 2006, di “genocidio” perpetrato durante il periodo del cosiddetto “Terrore rosso”, nel 1977-78.

    Zimbabwe
    Il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, accetterebbe l'eventuale sconfitta nel turno di ballottaggio dele presidenziali previsto per il prossimo 27 giugno. È quanto riporta oggi il quotidiano di Stato 'The Herald', citato da 'Radio Nairobì. La posizione di Mugabe - 84 anni, al potere dall'indipendenza del Paese nel 1980 - viene riferita da Emmerson Mnangagwa, uno dei leader del partito del presidente, lo Zanu-Pf, che per la prima volta dall'indipendenza è uscito sconfitto nelle elezioni parlamentari. È stato superato, infatti, dal Movimento per il Cambiamento Democratico (MDC), il cui leader è Morgan Tsvangirai, 54 anni, l'uomo che il 27 giugno si confronterà con Mugabe. Ufficialmente, gli sono stati accreditati il 2 maggio scorso (si era votato il 29 marzo) il 47,9% dei voti, il 43,2% al vecchio presidente. Ma il MDC ha contestato tali dati, affermando che Tsvangirai aveva superato il 50% al primo turno. Respinto all'inizio, infine il ballottaggio è stato accettato e sabato scorso Tsvangirai è rientrato in patria, da dove si era allontanato l'otto aprile. Nel frattempo, c'erano state estese violenze contro i sostenitori dell'MDC, soprattutto nelle aree rurali ed era stato anche denunciato un complotto dell'intelligence militare per uccidere Tswangirai. Ieri, poi, Mugabe ha minacciato di espellere l'ambasciatore USA, che accusa di indebita ingerenza negli affari interni dello Zimbabwe.

    Giornata per l’Africa in Italia
    Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ha assicurato la sua vicinanza alle autorità impegnate a liberare i due cooperanti italiani rapiti giorni fa in Somalia. Lo ha detto alla cerimonia per la celebrazione della Giornata per l'Africa. Il capo dello Stato ha espresso “l'estrema preoccupazione per la crescita sfrenata dei prezzi delle derrate alimentari che sta seriamente minacciando l'equilibrio economico di molti Paesi e ostacolando i programmi di lotta alla poverta”'. La crescita dei prezzi alimentari, ha aggiunto, è “una nuova grave sfida” e i consumatori africani, in un quadro aggravato dall'aumento dei prezzi dell'energia “hanno meno risorse di altri per difendersi”. Napolitano ha invitato a “riflettere seriamente”, a cercare misure correttive ed ha indicato nella Conferenza della FAO, che si svolgerà a Roma la prossima settimana, “un importante momento per riflettere su tali problematiche e per delineare possibili linee di azione”. Il presidente della Repubblica ha assicurato che interverrà alla Conferenza, annunciando che l'"Italia ha l'ambizione di assumere un ruolo-guida nella messa a punto delle strategie che dovranno essere adottate per affrontare il problema della fame e della riduzione della povertà".

    Serbia
    Trend positivo confermato per le forze europeiste serbe anche nell'importante regione della Vojvodina, stando ai risultati del secondo turno del voto locale resi noti oggi. A differenza di quanto è accaduto con le elezioni dell'11 maggio scorso per il parlamento nazionale - conclusesi con l'avanzata del blocco del presidente serbo Boris Tadic, ma senza l'indicazione di una maggioranza certa - in Vojvodina lo schieramento filo-europeo è riuscito conquistare la maggioranza assoluta nell'assemblea locale con 64 seggi su 120.

    Accordo tra UE e Bosnia per la liberalizzazione dei visti
    L'Unione Europea e la Bosnia Erzegovina hanno firmato l'accordo sulla liberalizzazione dei visti, un processo che ha come obiettivo di arrivare alla libera circolazione dei cittadini bosniaci nei Paesi dell'UE. Per giungere a un regime facilitato di visti, Sarajevo dovrà seguire una “road map” che Bruxelles presenterà nelle prossime settimane e che prevede l'adozione di passaporti biometrici, la gestione efficace delle frontiere esterne, la lotta all'immigrazione clandestina e alla corruzione e il rispetto dei valori democratici. “L'apertura del dialogo sui visti è un concreto esempio di dialogo con l'UE, il cammino della procedura ora dipende dalla capacità della Bosnia di adottare le riforme necessarie”, ha detto il commissario alla Giustizia, Libertà e Sicurezza, Jacques Barrot. Per il premier bosniaco, Nikolas Spiric, la firma dell'accordo sui visti “rafforza la convinzione europeista dei cittadini bosniaci - ha detto ai giornalisti a Bruxelles - e per questo il nostro governo comincerà da subito con lo stringere accordi bilaterali per le riammissioni di clandestini”.

    Georgia
    Manifestazione di circa 10 mila persone a Tbilisi, davanti al parlamento della Georgia, contro i risultati delle elezioni legislative del 21 maggio che hanno visto la vittoria del Movimento nazionale unito del presidente Saakashvili. I manifestanti hanno accerchiato l'edificio del parlamento denunciando brogli e chiedendo l'annullamento della consultazione. Osservatori dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), avevano riscontrato pressioni indebite e un’eccessiva mobilitazione dell'apparato statale a favore del partito del presidente. Per oggi, è atteso l'annuncio dei risultati definitivi. Saakashvili ha respinto le critiche dell'opposizione, ma si è però detto pronto al dialogo.

    UE-Russia
     I ministri degli Esteri della UE hanno approvato il mandato negoziale per un nuovo accordo di partenariato strategico tra la UE e la Russia. Ciò consente all'Unione Europea di lanciare i negoziati durante il vertice UE-Russia, previsto in Siberia il 26 e il 27 giugno, il primo al quale parteciperà il nuovo presidente russo, Dmitri Medvedev. L'accordo mette fine a 18 mesi di blocco delle trattative tra Bruxelles e Mosca - prima impedite dalla Polonia come ritorsione all'embargo russo sulla carne polacca, poi dalla Lituania che, per togliere il proprio veto, ha chiesto di accludere all'intesa una dichiarazione sui problemi dell'energia. L'Unione Europea intende negoziare con la Russia un ampio accordo strategico di partenariato, incluse nuove relazioni commerciali, economiche ed in campo energetico.

    Oggi in Russia, giornata dell’imprenditoria
    Esattamente 20 anni fa, in Unione Sovietica venne approvata una legge sulle cooperative che apriva per la prima volta la strada all'imprenditoria privata. Per ricordare quel giorno, un decreto presidenziale dello scorso ottobre stabilisce oggi la festa dell'imprenditoria russa. Lo scrive il quotidiano Nezavisimaia Gazetà, ricordando anche l'inaugurazione di un monumento al celnok, il commerciante che faceva la spola con grandi borsoni nei Paesi dove i prodotti erano a buon mercato (soprattutto Cina e Turchia) per rivendere la merce in Russia. Una statua in bronzo raffigurante un celnok con le sue enormi sporte è stata eretta a Blagoveshensk, nell'estremo oriente russo al confine con la Cina. In occasione della festa, il centro demoscopico Levada ha reso noto un sondaggio condotto su un campione di 1.500 russi per sapere come i cittadini vedono l'imprenditoria. Il 50% degli intervistati la considera utile per il Paese, ma resiste un 33% di nostalgici che considerano i businessmen dannosi.

    Turkmenistan
    Come era avvenuto in Unione Sovietica con la "destalinizzazione", così in Turkmenistan stanno gradualmente scomparendo i numerosissimi ritratti del defunto "turkmenbashì" (padre dei turkmeni), Saparmurat Nyazov, cultore fino al ridicolo della propria personalità. Il nuovo presidente, Gurbaguli Berdemukhamedov - scrive il quotidiano Vremia Novostei - non ha mai menzionato il predecessore in un discorso sulle riforme costituzionali che intende apportare nel Paese, cosa fino a qualche tempo fa impensabile. Non solo, si pensa a una riforma monetaria per far sparire da monete e banconote il profilo del Turkmenbashi. È andato già da qualche tempo in soffitta il calendario "personalizzato" di Nyazov e sono crollate le vendite del libro "Rukhnamà", i pensieri mistici del dittatore, la cui doppia lettura - secondo l'autore - avrebbe dovuto garantire il paradiso a chi la eseguiva. Resta ancora nel centro di Ashkhabad, la capitale turkmena, l'immensa statua dorata che lo raffigura, seguendo il sole, ma sarà presto spostata in periferia. Il Turkmenistan - con Kazakhstan, Tagikistan, Uzbekistan e Kirghizistan - è una delle Repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale, divenute indipendenti all'inizio degli Anni Novanta dopo la dissoluzione dell'URSS.
     
    Colombia
    Le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC) hanno confermato ieri la rivelazione fatta dal governo colombiano sulla morte del comandante guerrigliero, Manuel Marulanda Velez, annunciando che le redini sono state assunte da Alfonso Cano. La notizia del decesso del leggendario guerrigliero di 78 anni era stata affidata dal ministro della Difesa a un settimanale che, sembra, l'ha diffusa on line prima di quanto concordato, scavalcando il presidente Alvaro Uribe per un annuncio di grande importanza. Il capo dello Stato ha ricordato che “esistono 100 milioni di dollari a disposizione dei guerriglieri che decidano di abbandonare la selva e consegnare gli ostaggi nelle loro mani” e che “il governo studia meccanismi come l'amnistia per favorire questi gesti, con la possibilità anche di un trasferimento in Francia”. Ha rivolto un appello al nuovo comandante della guerriglia, l’intellettuale Cano, e al capo del dispositivo militare delle FARC, chiedendo di “approfittare dell’opportunità che offre il governo per imboccare la via della pace”. Sul significato che assume per la Colombia la morte di Manuel Marulanda, ascoltiamo Maurizio Chierici, esperto di America Latina che segue le vicende del sequestro Betancourt, intervistato da Giada Aquilino:


    R. - Credo che sia la fine di un’epoca. Ciò non vuol dire che le FARC siano per sempre battute e svaniscano. Ma Marulanda rappresenta un tipo di ribellione che non ha dato frutti. Si è aggrappato ai narcos, gestendo i territori colombiani come un capo di Stato. Poi, addirittura, è entrato nel traffico della droga. Quando gli Stati Uniti si sono impegnati per schiacciare questo traffico, una parte dei soldi necessari ad alimentare la guerriglia è stata raccolta attraverso i rapimenti ed è nata una nuova industria - davvero deleteria - che ha sconvolto il Paese. Oggi, l’“eredità” di Marulanda è rappresentata da 4 milioni di profughi, che né il governo duro di Uribe e né le FARC ammettono: ognuno riversa la responsabilità sull’altro. Si tratta di persone sradicate, si parla in particolare di 3-400 mila ragazzi che non sanno quale futuro li aspetta. Solo la Caritas è stata la prima ad assisterli e a lanciare questo allarme.

    D. - Cosa cambierà con il nuovo capo delle FARC?

     
    R. -Il nuovo capo della FARC, Alfonso Cano, è un antropologo, laureato a Bogotà. Il suo profilo è completamente diverso da quello di Tirofijo. È un uomo politicizzato ed è anche l’uomo del dialogo.

     
    D. - Il presidente Uribe ha ribadito che c’è una ricompensa per i guerriglieri che riconsegneranno gli ostaggi. Ci sono speranze per i sequestrati, come Ingrid Betancourt?

     
    R. - Ieri ho parlato con la madre di Ingrid Betancourt, Iolanda, e ho fatto la stessa domanda. Era molto preoccupata. Continua a sperare in una mediazione, sempre con i soliti protagonisti: Chavez, Correa e Sarkozy. E ha concluso dicendo: “Mia figlia non è né nelle mani delle FARC, né nelle mani di Uribe, è nelle mani di Dio”.

    Cina-Taiwan
    Il presidente del Kuomintang, il partito al potere a Taiwan, arriva in Cina per una visita di sei giorni. L'isola è di fatto indipendente dal 1949, ma Pechino afferma che è “parte integrante” del proprio territorio. La visita del presidente, Wu Poh-hsiung, sancisce il miglioramento delle relazioni seguito all'elezione a presidente del leader del Kuomintang, Ma Ying-jeou. Il Partito comunista al potere a Pechino ed il Kuomintang (o Partito nazionalista) sostengono entrambi l'esistenza di “una sola Cina”. Il Kuomintang ritiene però che la riunificazione potrà avvenire solo dopo che a Pechino sarà stato istituito un sistema democratico. Ma ha proposto una serie di misure per “la costruzione della fiducia reciproca” che hanno avuto un'accoglienza favorevole a Pechino. Wo visiterà Nanchino, Shanghai e Pechino, dove incontrerà il presidente cinese Hu Jintao.

    Tibet
    Il Dalai Lama ha affermato - in un'intervista al Financial Times, che ne riferisce sul suo sito on line - che sta perdendo il sostegno di numerosi suoi seguaci in Tibet, a causa del rifiuto del governo di Pechino di concludere un accordo con lui sul futuro del Tibet. Il leader spirituale dei tibetani ha inoltre espresso la speranza che la Cina cominci con i suoi rappresentanti nel giro di alcune settimane serie trattative su una maggiore autonomia per il territorio. Ma ha aggiunto che tibetani più radicali, favorevoli a un confronto violento con la Cina, stanno perdendo sempre più la fiducia nella sua strategia di ottenere autonomia attraverso un dialogo pacifico. A una domanda se stesse perdendo il controllo dei suoi sostenitori, il Dalai Lama ha risposto: “Sì, naturalmente. I miei sforzi per arrivare a risultati concreti sono falliti, quindi le critiche sono diventate sempre più forti”. Il Dalai Lama ha poi ripetutamente ribadito il suo rifiuto della violenza: “Dobbiamo perseguire la giusta causa” per il Tibet, “seguendo i principi della non violenza”, ha detto. “Se la violenza finirà fuori controllo - ha aggiunto - la mia unica scelta sarà di dimettermi”. Ha poi avvertito che recentemente molti tibetani hanno mostrato “chiari segni di frustrazione” per a mancanza di progressi con le autorità cinesi.

    Australia
    Oggi, in Australia, si celebra il “Sorry Day” (Giornata delle scuse, ma anche del dispiacere), che dà inizio a una settimana di eventi culturali e di meeting in tutto il Paese, incentrati sulla strada da seguire verso la riconciliazione fra australiani indigeni e bianchi. Sono in programma mostre d'arte e fotografiche, dimostrazioni della cultura aborigena, concerti e dibattiti e l'accento quest'anno si sposta dalla richiesta di scuse (già date anche dal premier laburista, Kevin Rudd, lo scorso febbraio) a quella di risarcimenti per le passate sofferenze inflitte alla popolazione aborigena. Un colorito e rumoroso corteo attraverso il centro di Sydney ha dato il via alla Settimana della riconciliazione, presentata come una celebrazione dei primi australiani, uno sguardo ai loro successi e un dibattito su come continuare a rimuovere le situazioni di svantaggio. Dopo le scuse formali presentate dal premier laburista Rudd, in contrasto con la linea di chiusura tenuta dal precedente governo conservatore, quella di quest'anno è una celebrazione improntata all'ottimismo, non più un'espressione di rabbia e di frustrazione come lo è stata per gli ultimi 10 anni. All'apertura del nuovo parlamento Rudd aveva chiesto scusa, a nome dei governi anche passati, alle generazioni rubate, le decine di migliaia di aborigeni sottratti da bambini alle madri fra il 1915 e il 1970 per essere assimilati nella società bianca. Molti leader aborigeni hanno rinnovato la richiesta di riparazioni, di indennizzi per gli individui e di finanziamenti, per servizi “culturalmente appropriati” e assistenza anche psicologica per le vittime. Secondo la direttrice di Reconciliation Australia, Shelley Reys, il nuovo umore seguito alle scuse di Rudd ha risollevato lo spirito della nazione. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

     
     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 147

     
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