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Sommario del 05/05/2008
La Guardia Svizzera è una scuola di vita al servizio del Papa: così, Benedetto XVI ai membri del Corpo fondato da Giulio II, in occasione del giuramento di 33 nuove reclute
◊ Nel suo servizio al Papa e alla Chiesa, la Guardia Svizzera Pontificia è anche “una scuola di vita”: è l’elogio rivolto da Benedetto XVI ai membri del Corpo fondato da Giulio II nel 1506, ricevuti stamani in udienza nella Sala Clementina con i loro famigliari. Occasione dell’udienza, il giuramento di 33 nuovi alabardieri, che avverrà domani pomeriggio nel Cortile San Damaso del Palazzo apostolico. Il giuramento sarà preceduto dalla commemorazione dell'eroica morte di 147 soldati elvetici, caduti in difesa del Sommo Pontefice durante il Sacco di Roma del 1527. Benedetto XVI ha pronunciato il suo discorso nelle lingue ufficiali della Confederazione elvetica: tedesco, italiano e francese. Il servizio di Alessandro Gisotti:
“Sotto l’uniforme ognuno è una persona unica e irripetibile, chiamata da Dio a servire il suo Regno di amore e di pace”: è quanto sottolineato da Benedetto XVI, che ha invitato le Guardie Svizzere a coltivare “sempre la preghiera e la vita spirituale”. Il Papa ha espresso gli auguri alle nuove reclute ed ha rinnovato la sua gratitudine al Corpo della Guardia svizzera, chiamato a vigilare sulla sicurezza del Romano Pontefice e della sua dimora:
“Cari amici, vi ringrazio tutti per la generosità e la dedizione con cui operate a servizio del Papa. Il Signore vi ricompensi e vi colmi di abbondanti favori celesti”.
Il Papa si è quindi soffermato sull’identità e i compiti delle Guardie Svizzere, che, ha ricordato, nel 2006 hanno celebrato con importanti manifestazioni il quinto centenario di fondazione. Fu quella, ha rilevato, una circostanza propizia per cogliere “i profondi mutamenti del contesto sociale in cui, attraverso i secoli, la Santa Sede è stata chiamata a vivere e operare”. Sullo sfondo di “tale impressionante evoluzione”, ha costatato il Pontefice, “ancor più risalta ciò che non muta” come l’identità delle Guardie Svizzere:
“Nach fünf Jahrhunderten ist der Geist unverändert, der junge Schweizer...“
“A distanza di cinque secoli”, ha affermato, è rimasto “immutato” “lo spirito di fede che spinge giovani svizzeri a lasciare la loro bella terra per venire a prestare servizio al Papa in Vaticano”. Uguale, ha proseguito, è “l’amore per la Chiesa Cattolica” a cui rendete testimonianza “più che con le parole, con le vostre persone”:
“La Garde Suisse est aussi une école de vie…”
La Guardia Svizzera, ha aggiunto, “è anche una scuola di vita” e, durante l’esperienza in Vaticano, molti giovani hanno potuto scoprire la propria vocazione: al matrimonio come alla vita consacrata. “E’ questo un motivo di lode a Dio, ma - ha riconosciuto - anche di apprezzamento per il vostro Corpo”. L’udienza è stata contrassegnata da un clima festoso per la presenza dei famigliari delle Guardie. Il Papa ha avuto per loro parole d’affetto:
“Sono contento specialmente di accogliere tanti bambini, che sono i fiori più belli delle vostre famiglie e ci ricordano l’amore di predilezione che Gesù nutriva per i piccoli”.
Benedetto XVI non poi ha mancato di fare un riferimento alla caratteristica divisa delle Guardie Svizzere così riconoscibile e così ricca di significato.“Le vostre storiche uniformi - ha detto - parlano ai pellegrini e turisti di ogni parte del mondo di qualcosa che malgrado tutto non muta, parlano cioè del vostro impegno di servire Dio servendo “il servo dei suoi servi”.
In udienza dal Papa il primate della Comunione anglicana, l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams
◊ Benedetto XVI ha ricevuto stamani in udienza il primate della Comunione anglicana, Rowan Williams. L’arcivescovo di Canterbury è in visita a Roma per il settimo seminario islamo-cristiano “Building Bridges”, che si terrà a partire da domani al Collegio religioso inglese “Palazzolo” sul lago di Albano. L’evento, organizzato assieme alla Georgetown University di Washington, si protrarrà sino all’8 maggio. Mercoledì prossimo, l’arcivescovo Willimas presiederà una celebrazione nella Basilica di Santa Maria Sopra Minerva per l’insediamento del nuovo direttore del Centro Anglicano, il reverendo David Richardson. Philippa Hitchen del nostro programma inglese, ha intervistato l’arcivescovo Rowan Williams sullo stato dei rapporti tra Chiesa cattolica e comunione anglicana:
R. - It depends on what you’re looking...
Dipende dal punto di vista. Penso che, per quanto riguarda il conflitto all’interno della comunità anglicana, sia un periodo di difficoltà senza precedenti, non lo si può negare. L’altra faccia della medaglia - in parte per il lavoro dei precedenti direttori, specialmente del vescovo John Flack - è che sono state gettate delle fondamenta di mutua fiducia, in termini di facilità di accesso e di onestà nelle discussioni, e penso che ci troviamo in una fase molto buona delle relazioni. E sono assolutamente sicuro che il nuovo direttore continuerà su questa strada.
D. - Qual è il suo auspicio verso il nuovo direttore, guardando agli anni che verranno? Cosa vorrebbe che raggiungesse?
R. - He is bound to be looking…
Dovrà guardare in due direzioni. Guarderà alla propria sede, la Lambeth Palace della Chiesa d’Inghilterra, tenendoci molto aggiornati su ciò che lui vede e sente e su ciò che sta accadendo qui. E spero che sarà in grado di avere lo stesso accesso di John Flack, di svilupparlo strategicamente, di essere sicuro che noi ascoltiamo e diamo il nostro contributo alle discussioni in vari ambiti, inclusa la segreteria di Stato e la Congregazione per la Dottrina della Fede, assicurando che le nostre voci siano ascoltate chiaramente e in onestà e che noi si ascolti quello che il Vaticano ha da dirci.
D. - Ha menzionato la prossima Conferenza di Lambeth, una grande sfida per lei. Alcune persone minacciano la rottura della Comunità anglicana come la conosciamo. Quali sono le speranze, ad alcuni mesi dall’apertura?
R. - My hopes for the Conference...
Le mie speranze per la Conferenza sono che possa essere un’occasione di riflessione dove tutti abbiano la possibilità di parlare ed ascoltare nei gruppi che abbiamo creato per questa occasione. Quindi, invece di avere un grande gruppo, ci saranno più gruppi, strutturati per una più facile discussione. Spero che sia un evento nel quale la gente vada sentendosi via via arricchita per quello che ha vissuto. Ma spero anche ci dia una scossa su alcuni aspetti della vita della comunità e slancio nel verificare se le strutture internazionali siano quello di cui abbiamo bisogno.
D. - Questo corso avrà un grande impatto sui vostri rapporti con la Chiesa cattolica. A seguire i lavori vi saranno infatti degli osservatori di parte cattolica. Quanta considerazione c’è per la dimensione ecumenica durante questa conferenza?
R. - I think it is going to be...
Penso ci sarà una seria considerazione. So che secondo molte persone ciò che accadrà a Lambeth dovrà dare forma alle nostre future relazioni. Abbiamo l’obbligo di essere il più chiari possibile su quali siano le nostre speranze per la Comunione. Quindi, la dimensione ecumenica è cruciale, perché si tratta della nostra capacità di parlare onestamente e coerentemente alle altre Chiese.
I vescovi dell'Ungheria in visita "ad Limina" da Benedetto XVI. Il cardinale, Peter Erdö: la nostra Chiesa lavora per la riconciliazione nel cuore dell'Europa
◊ E' iniziata questa mattina in Vaticano, e durerà fino a sabato prossimo, la visita ad Limina dei vescovi ungheresi. Benedetto XVI ne ha incontrato questa mattina un primo gruppo, guidato dal cardinale Péter Erdö, arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente della Conferenza episcopale del Paese. Al microfono di Marta Vertse, incaricata del Programma ungherese della nostra emittente, il cardinale Erdö parla del piano pastorale che la Chiesa d'Ungheria presenterà in questi giorni al Papa:
R. - Prima di tutto, dobbiamo presentare lo status delle nostre diocesi, cioè le condizioni nelle quali vive la Chiesa ed anche i parametri di funzionamento del servizio della nostra Chiesa. Il fatto principale è che - dopo il cambiamento di sistema, dopo il comunismo - abbiamo potuto riaprire diverse istituzioni. Non è stata una nostra decisione, ma piuttosto il desiderio della società, che la Chiesa avesse di nuovo scuole proprie, buoni licei, un’università, diversi istituti sociali e così via. Allo stesso tempo, bisognava rivitalizzare le parrocchie, che oggi godono di una libertà notevole di funzionamento. Anche alcuni beni - non beni di produzione ma edifici, usati nel 1948 per scopi di vita religiosa oppure per utilità pubblica - sono potuti ritornare alla Chiesa. Dunque, dobbiamo rivitalizzare le strutture e allo stesso tempo far risvegliare le comunità, perché adesso viene teoricamente apprezzato il contributo della Chiesa alla vita della società, in quanto comunità religiosa. Quindi, abbiamo statistiche, abbiamo studi approfonditi di tipo sociologico, che affermano, almeno nel nostro Paese, che quelli che seguono la fede di una Chiesa, di una comunità religiosa determinata, e che praticano in modo permanente la loro religione, lavorano di più, apprezzano di più i rapporti umani, provano più fiducia e sollecitano più fiducia nell’ambiente dove vivono e, soprattutto, sono molto più tolleranti nei confronti degli altri. Quindi, anche la fiducia, anche il contributo della Chiesa risulta un fattore economico necessario per la vita della società, anche sotto l’aspetto della società civile. Ma per noi stessi il compito più attuale sembra la missione, la missione in una società molto secolarizzata, dove purtroppo le nascite sono molto scarse, il numero della popolazione diminuisce e, purtroppo, anche la prassi religiosa è abbastanza bassa. Per esempio, dall’8 fino al 10 per cento dei cattolici della nostra diocesi frequenta ogni domenica la Santa Messa. Anche i battesimi diminuiscono ed in certe parti del Paese diminuiscono più rapidamente della diminuzione delle nascite. C’è, dunque, una secolarizzazione preoccupante. Proprio per questo, non basta l’atteggiamento antico di aspettare nella canonica perchè vengano i fedeli, ma bisogna assumere un atteggiamento più missionario. Per questo, in molte diocesi esistono le missioni parrocchiali o diversi programmi missionari. A Budapest abbiamo avuto una missione cittadina nell’autunno 2007. Ci sono certamente problemi generali nella società, come la tristezza, la disperazione, la mancanza di prospettiva per molti, l’alta percentuale della disoccupazione, l’invecchiamento della popolazione. In emzzo a queste situazioni, dobbiamo essere segni di speranza ed anche forza di rinascita spirituale. E a tutto questo abbiamo dedicato l’anno 2006: anno del 50.mo anniversario della rivolta del 1956 e 550.mo anniversario della vittoria presso Belgrado. Un anno di preghiera per il rinnovamento spirituale di tutta la nostra nazione.
D. - Eminenza, lei ha detto che la società ungherese è secolarizzata. D'altra parte, però, ha anche bisogno della Chiesa e delle sue istituzioni. Che peso hanno l’insegnamento e la dottrina della Chiesa nelle scelte di tutti i giorni della vita pubblica del Paese?
R. - Prima di tutto, la società ha bisogno di Cristo, il mondo ha bisogno di Cristo: ha bisogno di noi cristiani e della Chiesa, in quanto noi siamo testimoni di Cristo, suoi portatori in questo contesto. Quindi, nemmeno le nostre istituzioni hanno scopi a sé, ma sono veramente strumenti di una testimonianza cristiana. E questo è un compito e una meta da raggiungere, perché stiamo lavorando ancora per creare un’atmosfera cristiana nelle nostre istituzioni. Quindi, non è facile. D’altronde, ci sono anche bisogni umani generali, come la mancanza di buona educazione, la mancanza di buona assistenza ai malati, agli anziani e così via. Queste istituzioni, quindi, costituiscono anche una forma dell’esercizio della misericordia. Tuttavia, più è grande un’istituzione più è difficile e burocratico il suo funzionamento. Le norme statali cambiano molto rapidamente e l’amministrazione a volte non riesce a seguire i cambiamenti. Non si può cambiare il sistema scolastico ogni secondo anno. Quindi, praticamente, il peso burocratico sui medici, sugli insegnanti, sui professori, sui gestori di istituzioni è così enorme che rimane poca forza e poca energia, pochi mezzi per la funzione fondamentale di questi istituti. Per questo, alcuni cominciano a preferire forme di misericordia cristiana, testimonianza cristiana, che siano meno istituzionalizzate, così da non subire più di tanto questo pericolo di burocratizzazione nel caso - ad esempio - dei gruppi della Caritas parrocchiale. Oppure, preferire diversi modi di formazione, corsi, che non abbiano un’istituzione stabile propria. Eppure, la Chiesa cattolica di Ungheria ha più di 300 scuole, ha un’università, quattro ospedali, ma in quel settore ci sono grosse difficoltà in questo momento e ci sono anche molte discussioni circa il finanziamento della sanità e dell’assistenza sanitaria.
D. - Eminenza, sono passati sette anni dall’ultima visita ad Limina dei presuli ungheresi. Nel frattempo, è cambiato lo scenario internazionale. L’Ungheria, insieme agli altri Paesi vicini, è diventata membro dell’Unione Europea. Lei, come presidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, come vede il ruolo della Chiesa che è in Ungheria, nel contesto europeo, data anche la sua posizione geografica centrale nel cuore del continente?
R. - Prima di tutto, l’Unione Europea come tale, malgrado ogni discussione circa i valori - che sono discussioni importanti, non tanto per noi ma per l’Europa - costituisce una possibilità, una opportunità per i popoli dell’Europa centrale per una riconciliazione, per una più che pacifica convivenza, una cooperazione creatrice. In questo senso, la Chiesa cattolica ha sicuramente una possibilità ed un ministero speciale: servire la riconciliazione e rafforzare la fratellanza tra i popoli. Per questo, abbiamo preso l’iniziativa di un atto di riconciliazione con l’episcopato della Slovacchia, che ebbe luogo a Esztergom nel 2006. Abbiamo regolari e buoni rapporti con i vescovi della Croazia, dell’Austria, della Polonia e adesso incominciamo a cercare una forma istituzionale regolare di dialogo anche con i vescovi della Romania. Allora, penso che, nel contesto dell’Unione Europea, la Chiesa possa contribuire fortemente alla riconciliazione, al perdono, alla purificazione della memoria, quindi alla diffusione di una cultura della carità.
D. - Eminenza, la sua espressione – cooperazione creatrice – potrebbe diventare anche un motto per questi Paesi che dovrebbero incominciare appunto a collaborare? Una bellissima espressione, che bisognerebbe divulgare...
R. – Sono convinto che sia così, anche perché nella Bolla pontificia della mia nomina arcivescovile, Giovanni Paolo II ha usato un’espressione molto rara, molto curiosa. Ha scritto che io devo trovare ispirazioni e lumi per il mio lavoro pastorale nella storia di questa antica arcidiocesi. Sappiamo che più di mille anni fa, alla fine del X secolo, è stato Sant’Adalberto, vescovo e martire, che anche nella fondazione, nella creazione della nostra diocesi ha svolto un’attività missionaria considerevole, fino al punto che il nostro primo re, Santo Stefano, voleva – subito dopo il martirio di Sant’Adalberto – far dedicare la cattedrale a Sant’Adalberto. E infatti, la cattedrale porta a tutt’oggi il suo titolo! Poi, anche i primi vescovi di questa diocesi sono stati religiosi, compagni di Sant’Adalberto, provenienti dalla Polonia, dai Paesi vicini ... Poi, anche l’eredità di San Gerardo – San Gerardo Sagredo di Venezia – che ha caratterizzato gli inizi della nostra Chiesa; anzi, San Gerardo è stato ucciso per la sua fede, dopo la morte di Santo Stefano, proprio nella città di Budapest. E quindi lui è il Santo Patrono della città di Budapest. Ecco che già all’inizio abbiamo un’esperienza profonda di questa collaborazione creatrice di diversi popoli, nel segno dell’unica fede, e questa collaborazione ha lasciato un ricordo tanto positivo e gioioso nel nostro popolo, che non ci possiamo rinunciare!
Possessi cardinalizi
◊ Sabato prossimo, vigilia di Pentecoste, ore 18.30 il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo Metropolita di Bombay, in India, prenderà possesso alle 18.30 del titolo della chiesa romana di San Paolo della Croce a "Corviale". Il giorno seguente, domenica 11 maggio, Solennità di Pentecoste, alle 17. 30 il cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, prenderà possesso della nuova Diaconia di San Lorenzo in Piscibus.
Concluso il viaggio in Bosnia-Erzegovina di mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati
◊ Una visita ufficiale all’insegna dell’ampia convergenza di vedute tra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina. E’ quanto ha realizzato dal 26 al 29 aprile scorsi l'arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Nel viaggio, iniziato a Sarajevo, il presule ha affermato di sostenere le aspirazioni di entrambi i Paesi ad entrare nell’Unione Europea e nelle istituzioni euro-atlantiche, “nella consapevolezza - ha detto mons. Mamberti - che saprete offrire ad esse un particolare contributo”. Il giorno successivo, 27 aprile, il rappresentante vaticano si è recato in Erzegovina. Nella celebrazione eucaristica nella Cattedrale di Mostar, particolarmente colpita dalla guerra nei Balcani, il presule ha ricordato Giovanni Paolo II e il suo desiderio, mai realizzato, di visitare la cittadina. Incontrando nel pomeriggio i responsabili politici croati della Bosnia e dell’Ezergovina, mons. Mamberti ha invitato ad un maggiore impegno nel favorire il bene dei cattolici e “promuovere il bene comune dell’intera popolazione”, composta in maggior parte da fedeli di altre tradizioni religiose.
Proprio al dialogo interreligioso è stata dedicata la mattinata del 29 aprile con una serie di riunioni con il Consiglio interreligioso di Bosnia ed Erzegovina ed in particolare con il Reis Ulema Mustafa Cerić, il responsabile della Comunità ebraica, Jacob Finci, e con la Conferenza episcopale locale. Il segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati ha poi celebrato nella Cattedrale di Sarajevo la Santa Messa di ringraziamento per l’inizio del terzo anno di Pontificato di Benedetto XVI. Nell’omelia, il presule ha indicato come uno dei compiti principali dei sacerdoti e dei consacrati sia “quello di rendere testimonianza di Gesù con la vita, con le parole, con il perdono, dato agli altri e dagli altri ricevuto”. Nell’ultimo giorno di visita - il 29 aprile - mons. Mamberti ha consegnato onorificenze pontificie agli attuali membri della Presidenza collegiale, in segno di gratitudine per il lavoro svolto nell’approvazione e successiva ratifica dell’Accordo di base fra la Santa Sede e la Bosnia ed Erzegovina. Nell’occasione, è stata creata una Commissione mista per l’esecuzione dell’Accordo, che sarà composta da rappresentati dei Ministeri interessati, della Nunziatura apostolica e della Chiesa locale.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Nel segno di una fede amica dell'intelligenza. In prima pagina, un editoriale del direttore sul cammino dell'Azione Cattolica Italiana: centoquaranta anni di vita, l'assemblea generale, l'incontro con il Papa.
Nell'informazione internazionale, la cronaca della visita dell'arcivescovo Dominique Mamberti in Bosnia ed Erzegovina.
In cultura, gli interventi di Paul Gilbert e di Angela Ales Bello agli incontri - alla Pontificia Università Lateranense - su san Tommaso e il pensiero del XX secolo.
Un'anticipazione del volume (in questi giorni in libreria) di Fiorenzo Facchini "Le sfide dell'evoluzione. In armonia tra scienza e fede".
Luca Serianni ricorda Giovanni Nencioni, per ventotto anni presidente dell'Accademia della Crusca.
Nell'informazione religiosa, la cronaca della messa celebrata dal cardinale Tarcisio Bertone, nel duomo di Ancona, per la festa del patrono San Ciriaco.
Dieci anni fa la tragedia di Sarno, che provocò 140 morti. Il ricordo del vescovo, Gioacchino Illiano
◊ Cinque maggio 1998: un fiume di fango, pari a due milioni di metri cubi, travolse i comuni campani di Sarno, Quindici, Siano e Bracigliano. Una valanga che non conobbe ostacoli, la cui furia spazzò via case, ospedali, scuole e palazzi: 137 le vittime accertate, tra queste anche alcuni soccorritori, famiglie intere colpite dal lutto e distrutte per aver perso il frutto dei sacrifici di una vita. Forte fu la solidarietà dell’Italia intera, con molti giovani giunti a prestare aiuto come accadde nella drammatica alluvione di Firenze del 1966. A distanza di dieci anni, sono ancora molte le mancanze nonostante i 451 milioni di euro stanziati nel solo Comune di Sarno per la ricostruzione. Bisogna però guardare anche a ciò che di positivo è stato fatto come sottolinea mons. Gioacchino Illiano, vescovo di Nocera Inferiore-Sarno al microfono di Federico Piana:
R. - Ancora una volta, si devono evidenziare carenze, difficoltà, sofferenze ma anche - grazie a Dio - tante cose che si sono fatte in dieci anni, sotto molti aspetti. Non sarei così catastrofico per la seconda volta di fronte a notizie che certamente sono ancora non buone, ma c’è tanto di positivo e riusciamo ad intravederlo. Soprattutto nella linea di quello che è un senso di responsabilità, che vorremmo si acquistasse sempre di più di fronte al Creato. Vorrei ricordare che si può morire una seconda volta, come ho detto nel messaggio che ho mandato a tutti i nostri fedeli della diocesi, se non ricordassimo la generosità... Noi abbiamo ricevuto - e mi commuovo ancora al pensiero - tanta attenzione. Abbiamo goduto dell'interesse di tutti i vescovi d’Italia. E abbiamo visto la generosità, non solo la pietà immediata. Abbiamo visto anche la Caritas vicino a noi, sempre, e abbiamo costituito una fondazione, la Fondazione San Michele, costruendo una cittadella del sociale. Invitiamo tutti a venire a visitarla.
D. - Lei ha detto che si è trattato di una solidarietà che ha toccato il suo cuore da vicino, perchè nessuno si è sottratto. Tutti sono accorsi lì ad aiutare e a scavare nel fango...
R. - 137 morti sono una tragedia grande, ma non pensavamo a quella immediatezza di intervento che c'è stata, e in modo massiccio anche in un secondo momento. Abbiamo pianto dei morti e si sono accesi tutti i riflettori su di noi, per lungo tempo.
Il mariologo, padre Stefano De Fiores: le apparizioni al Santuario francese di Laus, segno della continua predilezione di Cristo per gli umili
◊ “Un messaggio di grande attualità centrato sulla riconciliazione”. E’ quanto ha detto ieri mons. Jean-Michel di Falco-Leandri, vescovo di Gap et d’Embrum, in occasione del riconoscimento ufficiale delle apparizioni mariane nel Santuario di Notre-Dame du Laus, sulle Alpi francesi. Visioni che si verificarono a partire dal 1664 per ben 54 anni ad una pastorella di 16 anni chiamata Benedetta Rencurel. Ma qual è il significato di questo riconoscimento? Ascoltiamo il mariologo padre Stefano De Fiores al microfono di Benedetta Capelli:
R. - E’ una questione di ordine regionale, perché queste apparizioni non hanno avuto un grande successo internazionale, ma sono rimaste praticamente cisrcoscritte alla regione delle Alpi del Delfinato. Quello che impressiona in queste apparizioni è il fatto che Benedetta abbia ricevuto molte apparizioni della Vergine, dal dicembre fino all’agosto del 1664 ha assistito a 240 apparizioni di Maria. Quindi, sono in qualche modo un anticipo di quello che avverrà presumibilmente a Medjugorje, dove è apparsa per migliaia e migliaia di volte.
D. - Guardando la storia della pastorella Benedetta si evidenziano analogie con la storia di Bernardette?
R. - Le analogie sono poche, a dire la verità, perché a Lourdes Bernardette ha assistito a 18 apparizioni, mentre qui il fenomeno è continuato molto, molto più a lungo. Quindi, non c’è analogia in questo senso, se non che è sempre apparsa Maria. Il messaggio che fa incontrare Lourdes con Laus è la costruzione del Santuario, per venire in pellegrinaggio. Una differenza è poi che la Madonna non appare a Benedetta come l’Immacolata Concezione, ma come una Regina, quindi coronata e risplendente di luce nel volto, in modo particolare tenendo sulle braccia Gesù Bambino.
D. - Questo riconoscimento avviene nel 150.mo anniversario delle apparizioni di Lourdes. Ci può essere in questo un legame?
R. - Sono delle coincidenze. La Francia è di nuovo in primo piano per quanto riguarda queste apparizioni, che però saranno superate tutte da Lourdes dove sono avvenuti dei miracoli constatabili, ma dove si è assistito soprattutto a quel rinnovamento della vita cristiana, che certamente non ci sarebbe stato in tanti pellegrini, senza il riconoscimento di Lourdes. Si spera che anche questo riconoscimento possa far parte di un pellegrinaggio a più vasto raggio.
D. - Bernardette e Benedetta, entrambe pastorelle, entrambe depositarie nella loro semplicità di un messaggio della Vergine di riconciliazione e di misericordia...
R. - Questo fa parte delle preferenze di Gesù per i piccoli, per gli umili. Quindi, questo risponde a questa legge storico-salvifica che recupera anche i frammenti lasciati in disparte, quelli che sono considerati "zero" nella società, e che invece vengono scelti dal Signore per delle grandi cose, che nello stesso tempo obbligano il veggente o la veggente a non vantarsi, perché tutto in loro è opera di Dio, che manifesta in loro la sua potenza e la sua gloria.
Salvatore Martinez: i membri del Rinnovamento nello Spirito chiamati a testimoniare il "Dio sconosciuto" nella Chiesa e nel mondo
◊ Si è conclusa ieri a Rimini, di fronte a 20 mila partecipanti, la 31.ma Convocazione nazionale del Rinnovamento dello Spirito Santo, incentrata sul tema "Rigenerati dalla Parola di Dio". Oltre 500 i sacerdoti che hanno preso parte al raduno e moltissimi anche i giovani, tutti chiamati a uscire dai cenacoli per evangelizzare con nuova forza, secondo l'invito del fondatore del Rinnovamento, Salvatore Martinez. Alessandro De Carolis gli ha chiesto da dove provenga questo appello:
R. - Nasce da lontano, dal Cenacolo. Gesù dice agli Apostoli quanto sia necessario passare dalla preghiera all’evangelizzazione, dall’attesa e dalla ricezione dello Spirito Santo alla testimonianza di una vita nuova, buona, felice, quella che deriva dal Vangelo. Questo è il senso della nuova evangelizzazione: tornare a ridire con una cifra spirituale ciò che è bene e ciò che è male. Il Vangelo è sempre una parola liberante, una parola confortante, è una parola che rigenera. E coloro che si aprono alle realtà dello Spirito e vengono interiormente rinnovati non lo sentono come un dovere della coscienza, ma come una forza che si propone dall’interno, un bisogno di testimoniare e di raccontare agli altri ciò che si è vissuto, in un tempo sempre più dimentico di Cristo, svogliato e - mi si consenta pure l’espressione - ignorante del Vangelo e della Sacra Scrittura.
D. - A questo proposito, il vostro appuntamento annuale è stato incentrato sulla forza rigeneratrice della Parola di Dio e un recente studio ha mostrato invece quanta ignoranza, per l’appunto, vi sia anche tra molti cristiani della Bibbia. Resta molto da fare per rilanciare conoscenza e formazione sulla Sacra Scrittura...
R. - Assolutamente sì, e a partire proprio dai cristiani. Non a caso Giovanni Paolo II, insieme al grande tema - e ricorrono 25 anni dell’appello di Puebla - di una nuova evangelizzazione, parlò subito dopo di una rievangelizzazione dei battezzati. E in fondo, il titolo della nostra convocazione “Rigenerati dalla Parola di Dio”, rivolgendosi a chi ha già ricevuto il Battesimo vuol sottolineare proprio il desiderio e il bisogno di percepire di nuovo l’urgenza del Vangelo, la forza che c’è nel Vangelo, nella Parola di Dio. Io direi che ci troviamo in un momento in cui la "carne" e la "lettera" prevalgono sullo Spirito e sulla Parola di Dio. E’ il linguaggio paolino, dove per "carne" si intende l’uomo con tutte le sue voglie, i suoi diritti, le sue esigenze, il suo desiderio di felicità che egli vorrebbe far prolungare nella vita in una sorta di immortalità terrena, quando è invece fatto per il cielo. E poi la "legge", un giuridismo sfrenato e spesso alleato più che con la coscienza con la scienza e con questo desiderio di onnipotenza dell’uomo. Sono tutte realtà che sfidano la Parola di Dio, che è alleata, benefica degli uomini, che vuole il progresso dell’uomo, ma mai un uomo affrancato da Dio.
D. - In un passaggio del suo intervento di ieri, a Rimini, ha detto che la grazia della preghiera per l’effusione delle Spirito va fatta ancora conoscere all’interno della Chiesa e del mondo. Come a dire che lo Spirito Santo, il "Dio sconosciuto", è ancora in qualche modo tale...
R. - Sì, siamo nel tempo forte di preparazione alla Pentecoste, alla Novena di Pentecoste. Quando noi parliamo di una preghiera per una nuova effusione dello Spirito diciamo quanto sia importante slegare il Sacramento del Battesimo e della Confermazione, che sono stati dati ai cristiani, ma che non sono operanti. Guai a dimenticare che la Pentecoste è un evento sensibile, che questa effusione dello Spirito si deve vedere e sentire. Io credo che questo sia il grande desiderio di Benedetto XVI, come lo è stato di Giovanni Paolo II. Ed è l’incoraggiamento che abbiamo già avuto da Paolo VI a far sentire che questa giovinezza della Chiesa, giovinezza del mondo, passa da questa effusione dello Spirito che rende gli uomini migliori e cioè capaci di Dio e quindi un’umanità più unita, più riconciliata. Questo compie l’effusione dello Spirito, quando responsabilmente l’accogliamo e ci sforziamo di viverla.
Il prof. Diotallevi sulla ricerca riguardante la conoscenza della Bibbia: la gente la considera importante ma difficile da comprendere e chiede aiuto
◊ Un libro letto almeno una volta in una sua parte, ma sostanzialmente poco conosciuto da molti battezzati, specie in Europa: è la Bibbia così come emerge dallo studio patrocinato dalla Federazione Biblica Cattolica e presentato nei giorni scorsi in Vaticano. Per un commento sui dati di questa ricerca, Fabio Colagrande ne ha intervistato il coordinatore, il prof. Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’Università di Roma:
R. - E’ un dato che dobbiamo guardare da due punti di vista. Dal punto di vista ecclesiale è certamente un dato insufficiente, nel senso che la Bibbia è consegnata al popolo di Dio, come dice Benedetto XVI, quale suo principale strumento per l’ascolto del Signore che si rivela. Si rivela non solo nelle Scritture ma certo in modo eminente nelle Scritture. Se lo guardiamo dal punto di vista sociologico, empirico - ovviamente un punto di vista molto parziale - abbiamo un’immagine almeno in parte diversa: l’immagine di uno dei testi più presenti nella vita e nella cultura delle persone di ogni fascia di età di istruzione.
D. - Per quanto riguarda gli effetti che la secolarizzazione può aver avuto su questi dati?
R. - Questi dati ci aiutano a vedere che l’impatto della modernità sulla religione, quella cosa che noi normalmente noi chiamiamo “secolarizzazione”, è una causa non è l’effetto. L’effetto come crisi della religione non è egualmente omogeneo. Questo ci insegna che ci sono alcuni contesti nei quali gli attori religiosi, le Chiese hanno saputo essere presenti dentro la modernità e offrire una proposta più credibile e efficace. Penso al caso degli Stati Uniti, ma anche guardando all’Europa penso al caso dell’Italia: abbiamo una situazione che ha tratti di preoccupazione certamente inferiori, almeno dal punto di vista quantitativo, di quelli che ci offrono altri contesti locali, nei quali le Chiese hanno scelto altre vie per affrontare la modernità.
D. - Uno dei risultati più interessanti della vostra ricerca è che la Bibbia è percepita comunque come qualcosa di difficile...
R. - Noi abbiamo scelto come primo punto quello di mettere a disposizione del pubblico i dati che si riferivano all’interesse della popolazione, perché le opinioni pubbliche dei Paesi occidentali credenti e non credenti, praticanti e non praticanti, hanno in assoluto uno straordinario pregiudizio positivo nei confronti della Bibbia. La Bibbia fa parte non solo della nostra memoria storica ma anche del nostro presente. In questo quadro, si inserisce quello che secondo me è il risultato almeno pastoralmente più importante della ricerca: la gente avverte la Bibbia come un libro difficile e in qualche modo chiede aiuto. La gente non ce la fa e chiede una lettura ecclesiale, ovviamente, e la chiede con i termini in cui questo è possibile per una parte dell’opinione pubblica, dicendo appunto: è difficile non ce la faccio, chiedo aiuto.
D. - Ci sono i fondamentalisti, quelli che ritengono che le Scritture vadano comprese e applicate attenendosi alla lettera?
R. - Non si può negare che ci siano. Ma emerge dalla nostra ricerca un dato molto importante: sono fondamentalisti non coloro che conoscono la Bibbia di più, ma coloro che la conoscono di meno. Questo vale soprattutto tra i cattolici, che se hanno il limite di aver ripreso tardi le vie della Bibbia, hanno però il grande vantaggio di mostrare un atteggiamento più ispirato dalla Dei Verbum, in un certo senso più critico, più aperto all’interpretazione nei confronti delle Scritture. Dunque, il fondamentalismo è un tratto che noi troviamo in fasce dell’opinione pubblica che mostrano un disagio sociale e che non conoscono la Bibbia ma ne fanno in qualche modo un simbolo, un luogo nel quale scaricare incertezze. Questo è un elemento estremamente importante, perché almeno dal punto di vista sociologico il fondamentalismo non rappresenta una posizione teologica ma un indicatore di disagio totale.
Nei cinema italiani "Sopravvivere coi lupi", tratto da una falsa autobiografia ma commovente nel ricostuire il dramma della Shoah
◊ Sugli schermi italiani "Sopravvivere coi lupi" della regista francese, Véra Belmont: da un’autobiografia ritenuta autentica e scoperta poi come frutto della pura fantasia, ecco, invece, un film vero nei sentimenti e importante per i contenuti: come sopravvivere agli orrori dell’Olocausto e raccontarlo oggi ai più piccoli. Il servizio di Luca Pellegrini:
“La sua vita è stata più terribile di quella della bimba nel film ed è per questo che la Defonseca ha scritto questa storia sessant’anni dopo, mescolando finzione e realtà, più che altro per proteggersi”. La regista dal cuore vero difende la scrittrice della storia falsa. Ne è nato un complesso caso letterario e poi cinematografico che possiamo così riassumere: nel 1997 la belga Misha Defonseca – un nome acquisito perché quello autentico è Monique De Wael - riesce a pubblicare "Sopravvivere coi lupi", quella che lei professa essere la sua autobiografia: una bimba ebrea di sei anni, Misha appunto, nella Bruxelles occupata dai tedeschi è privata dei genitori deportati all’Est. Inizia così una dolorosa ricerca attraversando a piedi l’Europa nazista con l’aiuto di una bussola che le indica dove si trova l’Ucraina e un branco di lupi che la protegge e la sfama, lei circondata da uomini che nella degenerazione della guerra poco hanno ormai conservato di umano. Successo mondiale. Véra Belmont, regista di origine ebrea, papà russo e mamma polacca deportati, vi si riconosce appieno e si rende conto che questo è un romanzo perfetto, anche se coglie da subito alcune inverosimiglianze, così come fanno gli storici che sottopongono al vaglio dei fatti tutta la narrazione. Ma è ciò che cercava da sempre: poter raccontare in un film, ai giovani e alle famiglie, l’orrore dell’Olocausto percependolo soltanto a distanza. Compera i diritti del libro, lavora alla sceneggiatura, gira in condizioni atmosferiche disagiate con l’aiuto, però, di una bambina formidabile che impersona Misha, Mathilde Goffart. Il film esce con successo in Francia e in Belgio, ma nel febbraio scorso arriva, inaspettata, la confessione della scrittrice. Tutto è falso: la sua vera identità, la sua confessione religiosa, i fatti narrati, l’odissea di Misha. Tutto è frutto della fantasia. Deprecato il fraudolento comportamento della scrittrice, ora la pellicola sta acquisendo fortunatamente una vita propria, separandosi cioè da quella del libro. Il film, infatti, è girato con autentica passione, mosso da motivazioni sincere. Abbiamo chiesto alla regista Vèra Belmont perché questa storia abbia esercitato su di lei un così forte fascino.
R. - Je ne sais pas. Non lo so. Je ne comprenne pas...
Non lo so, non ne so esattamente i motivi. Ho detto ai giornalisti nelle interviste che questa storia ha molto a che fare con la mia storia di bambina. Non è che una mattina mi sveglio e decido di raccontare una storia sull’occupazione tedesca. Mano a mano che procedevo nella lettura, con questa bambina e gli animali che cercano di sopravvivere in un mondo crudele, mi convincevo che questa era la storia che avrei voluto raccontare ai ragazzi di oggi.
D. - Questa è una fiaba e un racconto morale: ci insegna che talvolta gli uomini possono diventare dei lupi e i lupi, invece, comportarsi con un istinto che assomiglia a quello dell’uomo. Accade alla piccola Misha: il lupo bianco le fa compagnia, condivide il cibo, la scalda, la protegge.
R. - Je crois que dans cet periode de folie, de nazisme et de fascisme…
In quest’epoca di follie, del nazismo e del fascismo da voi e in Francia durante il regime di Petain, penso che gli uomini siano diventati peggio dei lupi, peggio degli animali. Diventano orribili e io ho voluto anche mostrare, attraverso la fiaba, che in quell’orribile periodo i lupi diventano con i piccoli più gentili degli uomini. Uccidono sì anche loro, ma per procurarsi il cibo. L’uomo, invece, perché uccide i suoi simili? Per quali ragioni? Che cosa avevano fatto gli ebrei, noi ebrei, per essere massacrati in questo modo inumano? Quali ragioni c’erano per ucciderci? Questo ho voluto raccontare con il mio film. Anche che gli uomini possono diventare migliori di quello che sono, quando sono buoni e si allontano e rifiutano la violenza e l’orrore. Ne sono convinta.
D. - La nostra società è continuamente sottoposta a tensioni che sono talvolta imprevedibili e che sfociano in intollerabili violenze, soprattutto per i piccoli, i più poveri e i deboli. Che cosa teme di più per il nostro futuro?
R. - Moi, je pense que si nous ne faisons pas attention a aider les pauvres...
Se non facciamo attenzione ad aiutare subito i poveri del mondo - ed il mio non vuole essere un discorso rivoluzionario - cercando di sanare le ingiustizie e il baratro tra chi detiene fortune colossali è chi non ha assolutamente nulla, se non impariamo a condividere sul serio i beni della terra, moriremo tutti con loro perché si rivolteranno. Sa che cosa mi disgusta più di tutto? L’egoismo. Non lo capisco.
Il 7 maggio, alla Pontificia Università Salesiana, conferimento del Dottorato "honoris causa" in Teologia al Patriarca supremo e Catholicos di tutti gli armeni, Karekin II
◊ Attesa alla Pontificia Università Salesiana per il conferimento, il 7 maggio prossimo, del Dottorato honoris causa in Teologia pastorale al Patriarca supremo e Catholicos di tutti gli Armeni, Karekin II. Il solenne Atto accademico sarà ospitato nell’Aula Paolo VI con inizio alle ore 16. A presiedere la cerimonia, sarà il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, mentre sarà il rettore magnifico dell’Ateneo, il prof. Mario Toso, ad accogliere il Patriarca Karekin II, alla presenza delle autorità religiose, civili e militari, dei docenti e degli studenti della Pontificia Università. Il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontifico Consiglio per la promozione dell’unità dei Cristiani, pronuncerà la Laudatio per Karekin II e, dal canto suo, il prof. Giorgio Zevini, decano della Facoltà di Teologia, darà lettura della motivazione e a conferire il Diploma, preparando l’uditorio ad ascoltare la Lezione dottorale del Patriarca supremo e Catholicos di tutti gli Armeni. L’Atto accademico si colloca nel contesto della visita ufficiale che il Patriarca Karekin II farà al Papa in Vaticano, il 9 maggio, alla quale seguirà un incontro con i giornalisti nella sede della Radio Vaticana, cui prenderanno parte mons. Khajag Barsamian, arcivescovo di New York, primate della diocesi della Chiesa Armena degli USA, mons Avak Asadourian, arcivescovo dell’Iraq, primate della diocesi della Chiesa Armena in Iraq, Saro Khodaveerdi, presidente della Chiesa Apostolica Armena in Italia e l’archimandrita padre Aren Shahinian, pastore della Chiesa Apostolica armena in Italia (R.G.)
A Bruxelles incontro tra vertici comunitari, Chiese e comunità religiose: nuovo passo sulla strada del dialogo, secondo il presidente dell’Europarlamento, Poettering
◊ “Un nuovo passo importante sulla strada di un dialogo che si sviluppa progressivamente tra l’Unione Europea, le Chiese e le Comunità religiose europee”: lo ha detto Hans-Gert Poettering, presidente dell’Europarlamento, nel saluto di apertura all’incontro di oggi, a Bruxelles, fra i vertici comunitari ed i rappresentanti delle principali religioni presenti nel Vecchio continente. Presenti alla riunione - di cui riferisce l’agenzia SIR - oltre a Poettering, il presidente di turno del Consiglio UE, il premier sloveno Janez Jansa, e quello dell’esecutivo, José Manuel Barroso. Le delegazioni ospiti comprendevano invece rappresentanti cattolici, luterani, anglicani, ortodossi, ebrei e musulmani. Due i temi toccati da Poettering: riconciliazione tra i popoli e dialogo interculturale, da una parte, e problemi legati al cambiamento climatico e alla salvaguardia dell’ambiente, dall’altro. “Nel contesto europeo - ha ricordato il presidente dell’assemblea - le Chiese hanno sempre fortemente sostenuto l’integrazione, un progetto che ha portato riconciliazione, prima tra Francia e Germania, poi in tutto il continente”. Questo ruolo di riconciliazione e di pace resta di particolare attualità, considerando - ha segnalato Poettering - la situazione del Balcani. Nel suo discorso, Poettering ha richiamato il valore del 2008, Anno europeo del dialogo interculturale, affermando di essere “fermamente convinto che l’UE, così come i suoi vicini, ha tutto da guadagnare da un dialogo tra le religioni. I veri credenti - ha aggiunto - sono disposti a pagare di persona per il servizio al bene comune”. Il presidente dell’Europarlamento ha ricordato poi che è responsabilità dei capi religiosi “cercare di presentare una concezione della fede in termini di coesistenza pacifica e di riconciliazione. Voi potete contribuire - ha detto - a costruire un mondo fondato sul rispetto della dignità umana”. Tanto più nell’epoca moderna “in cui il relativismo rischia sovente di rendere fragile la nostra società, numerose persone trovano sostegno nei loro convincimenti religiosi” per orientare le proprie scelte di vita. Poettering ha infine citato la necessità di contrastare le disuguaglianze sociali e di tutelare l’ambiente. Dopo aver ribadito l’importanza del confronto tra istituzioni europee e Chiese, l’oratore ha concluso che tale dialogo “diventerà un obbligo giuridico con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona”. (R.G.)
A Roma, le conclusioni del Forum promosso dalle Unioni dei superiori e delle superiore, in collaborazione con l’ONU per sostenere i portatori del virus HIV ed i malati di AIDS
◊ Si chiude oggi, a Roma, dopo tre giorni di lavori, il Forum internazionale “In Loving Service”, promosso dalle Unioni dei superiori e delle superiore generali delle Congregazioni religiose maschili e femminili impegnate nella prevenzione e nella lotta all’HIV e all’AIDS, in collaborazione con l’Agenzia delle Nazioni Unite per la lotta all’AIDS (UNAIDS) e la Georgetown University. Al Forum - di cui riferisce l’agenzia SIR - sono stati presentati i risultati di una ricerca condotta su circa duemila istituti, per creare una “mappatura” utile ad attivare sinergie e migliorare i servizi di assistenza e di prevenzione offerti ai malati di AIDS, alle persone con HIV positivo - circa 40 milioni accertati nel mondo - e alle loro famiglie. Tra gli impegni prioritari, vi è la lotta contro i pregiudizi sull’AIDS. Circa i due terzi degli Istituti partecipanti al Progetto “Mapping” hanno riferito di portare avanti programmi di sensibilizzazione, dei quali la metà con il coinvolgimento di persone con il virus. (R.G.)
La Commissione americana per i diritti religiosi ha chiesto al Dipartimento di Stato USA di reinserire il Vietnam nella lista dei Paesi oppressori della libertà di culto
◊ Il Vietnam è uno dei Paesi che il Dipartimento di Stato USA ha tolto dalla lista dei violatori mondiali delle libertà religiose e si tratta di un errore al quale deve rimediare: è quanto sollecita la Commissione americana sulle libertà religiose internazionali (U.S. Commission on International Religious Freedoms), organismo federale di vigilanza sulle violazioni dei diritti in tema di religione. La Commissione, istituita sulla base di una legge americana del 1998, ha il compito di fare raccomandazioni alla Casa Bianca, al Dipartimento di Stato e al Congresso. Nell’ultimo rapporto, si critica in particolare il Dipartimento di Stato per non aver designato dal 2006 alcun nuovo Paese come violatore dei diritti religiosi. Da parte, sua la Commissione indica 11 Stati come oppressori della religione: oltre a Cina, Pakistan ed Arabia Saudita, anche Eritrea, Iran, Myanmar (Birmania), Corea del Nord, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Vietnam. L'ultima lista del Dipartimento di Stato, lo scorso settembre, comprendeva invece solo otto degli 11 Paesi elencati dalla Commissione. Riguardo in particolare al caso del Vietnam, i commissari segnalano che ci sono ''troppi abusi e restrizioni delle libertà religiose'' in questo Paese per poter essere ignorate. Anche la Cina preoccupa la Commissione, che denuncia ''severe repressioni" che prendono di mira buddhisti tibetani, musulmani uighuri, protestanti e vari movimenti spirituali come Falun Gong. (R.G.)
E’ finalmente ripreso in Costa D’avorio il processo di disarmo delle ex milizie anti e filo-governative, necessario a garantire corrette elezioni generali in novembre
◊ In Costa d’Avorio, un migliaio di combattenti delle Forze Nuove (FN) - ex-movimento ribelle, oggi schieramento presente nel governo d’unità nazionale - hanno consegnato le armi ed iniziato il processo di ridispiegamento, cosi come previsto dal programma di disarmo fissato negli accordi di pace. L’evento, di cui riferisce l’agenzia MISNA, è stato trasmesso in diretta televisiva in tutto il Paese. La cerimonia si è tenuta venerdì scorso a Bouaké, la città nel centronord del Paese che per anni è stata la roccaforte della ribellione. Si è dato così ufficialmente il via alla prima fase del disarmo che, entro cinque mesi, dovrà portare alla smobilitazione di oltre 40 mila combattenti. “Mi congratulo con le Forze Nuove alle quali esprimo il mio sostegno nella realizzazione del ridispiegamento”, ha affermato Guillame Soro, attuale primo ministro ed ex-comandante della ribellione. Lanciato inizialmente nel dicembre dello scorso anno, dopo una serie di annunci e rinvii, il processo di disarmo era stato interrotto dopo qualche giorno per presunte difficoltà economiche. Il disarmo delle ex-milizie, sia anti che filo-governative è una delle condizioni necessarie al corretto svolgimento delle elezioni generali previste alla fine del prossimo novembre. Dopo un tentato golpe contro il presidente, Laurent Gbagbo, il 19 settembre 2002, la Costa d’Avorio è rimasta tagliata il due per più di cinque anni, con la metà nord del Paese sotto controllo delle FN e il sud rimasto fedele al presidente Gbagbo. (R.G.)
Missione, in giugno, del Consiglio di sicurezza dell’ONU in Africa per valutare alcune situazioni critiche che investono la politica internazionale
◊ Una missione in Africa per valutare alcune situazioni particolarmente critiche di questo continente che investono la politica internazionale. A compierla sarà, nel mese di giugno, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Lo ha annunciato alla stampa a New York l'ambasciatore britannico, John Sawers, presidente di turno del Consiglio per il mese di maggio, presentando il programma di lavoro. I rappresentanti dei Quindici lasceranno New York il 31 maggio e saranno guidati dall'ambasciatore sudafricano Dumisani Kumalo. La missione durerà una decina di giorni e toccherà Kenya, Sudan, Ciad, Repubblica democratica del Congo e Costa d'Avorio. Sawers ha detto che al momento non è previsto che la missione si rechi in Somalia. Lo stesso Kumalo, nei giorni scorsi, aveva ripetuto di voler visitare con gli altri ambasciatori questo martoriato Paese, ma gli esperti di sicurezza dell'ONU lo hanno fortemente sconsigliato. (R.G.)
Domani, 6 maggio, promosso dall’Università di Firenze e dall’Ordine dei giornalisti, Convegno su “Media e Giustizia penale”. A confronto penalisti, sociologi e giornalisti
◊ Quali ragioni spingono i media ad enfatizzare i temi del delitto, del processo, del carcere? Entro quale limite l'operato degli organi di informazione è funzionale ad un doveroso controllo pubblico su vicende criminose e giudiziarie, e quand'è che invece rischia di scadere in una strumentalizzazione mediatico-politica? Che conseguenze possono avere tali dinamiche sulla tenuta delle garanzie fondamentali e sull'equilibrio nei rapporti tra poteri? A tali questioni sarà dedicato il Convegno di studi ''Media e Giustizia penale'', organizzato all'Università di Firenze dalla Facoltà di Scienze politiche ''Cesare Alfieri'' e dai Dipartimenti di Diritto comparato e penale e di Scienza della politica e sociologia, con il patrocinio dell'Ordine dei Giornalisti della Toscana. L'incontro sarà ospitato domani 6 maggio presso il polo delle Scienze sociali. A confrontarsi, in una prospettiva multidisciplinare, relatori prestigiosi, come i penalisti Franco Coppi e Tullio Padovani, il sociologo della comunicazione Mario Morcellini, il sostituto procuratore generale presso la Corte di Cassazione Francesco Mauro Iacoviello, i giornalisti Carlo Bonini, (''La Repubblica''), e Luigi Ferrarella, (''Corriere della Sera''). Apriranno i lavori Franca Alacevich, preside della Facoltà di Scienze Politiche e Massimo Lucchesi, presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Toscana. (R.G.)
Quasi 4000 morti e oltre 2800 dispersi per il ciclone nella ex Birmania
◊ Secondo i dati della televisione di Stato della ex Birmania, il drammatico bilancio del passaggio del ciclone "Nargis" sulla zona meridionale ha raggiunto al momento i 3.969 morti e i 2.879 dispersi nelle divisioni di Rangoon e di Irrawaddy. Stanno arrivando drammatici dati dalle isole situate nel delta dell'Irrawaddy, una delle zone più colpite dalla furia del ciclone. Centinaia di migliaia le persone in grave emergenza umanitaria, senza tetto e senza acqua potabile. Il servizio di Maria Grazia Coggiola:
Di fronte alla gravità del disastro causato dal passaggio del ciclone Nargis, la giunta birmana potrebbe chiedere l’aiuto internazionale per prestare soccorso a decine di migliaia di senza tetto concentrati soprattutto sulla costa sud occidentale. Il ministro degli Esteri birmano ha convocato un vertice con gli ambasciatori stranieri per fare il punto sull’emergenza che potrebbe trasformarsi nei prossimi giorni in una crisi umanitaria. Decine di migliaia di persone si trovano da due giorni senza acqua e cibo nel delta del fiume Irrawaddy e anche nelle baraccopoli dell’ex capitale Yangoon che sono state gravemente danneggiate dal ciclone. Gruppi di dissidenti birmani all’estero hanno denunciato l’inadeguatezza dei mezzi di soccorso in un Paese impoverito da oltre 4 decenni di dittatura militare e dalle sanzioni internazionali. Anche il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha rivolto un appello ai militari birmani perché permettano l’intervento delle agenzie umanitarie straniere. Nel frattempo la Croce Rossa Internazionale ha iniziato la distribuzione di generi di prima necessità attraverso i propri team locali. Nonostante lo stato di emergenza dichiarato in cinque regioni, la giunta militare ha deciso di non rinviare il controverso referendum popolare sulla nuova costituzione. Il voto è previsto per sabato.
Sulla situazione nella ex Birmania, dopo il passaggio del ciclone Nargis, ascoltiamo Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia "AsiaNews", intervistato da Giada Aquilino:
R. – La situazione sociale è molto grave. Non si sa bene se, con questa situazione di emergenza, il governo accetterà o no gli aiuti internazionali. Ci sono già dei precedenti al riguardo: quando, ad esempio, alcuni anni fa ci fu lo tsunami, il governo disse che non aveva bisogno degli aiuti internazionali perché non voleva occhi estranei sulla situazione birmana. La situazione in Myanmar, inoltre, è molto tesa in questi giorni, perché il 10 dovrebbe esserci il referendum sulla Costituzione.
D. – In particolare, con il referendum, cosa si dovrà affrontare?
R. – Il referendum dovrebbe varare la Costituzione birmana che struttura in pratica il potere della Giunta. La richiesta di una Costituzione era stata avanzata nei mesi scorsi dall’inviato ONU, Gambari, proprio per calmare la tensione tra la popolazione e la Giunta militare. In realtà la Giunta militare ha preparato un testo costituzionale in cui si elimina la possibilità per Aung San Suu Kyi di diventare presidente della Birmania, garantendo invece il potere ai militari.
D. – Da una parte la devastazione del ciclone, dall’altra la preparazione del referendum: la popolazione civile in che condizioni vive?
R. – Già prima di questo ciclone, viveva in una situazione molto grave, perché c’è molta povertà e non ci sono i beni di prima necessità. I prezzi inoltre salgono continuamente e spesso manca il cibo. Anche la sanità è inesistente. Il benessere è soltanto per la Giunta. E, con il ciclone, la situazione è peggiorata.
Sembra confermato il sì al referendum sull’autonomia di Santa Cruz in Bolivia
L'emittente televisiva P.A.T. di Santa Cruz ha proposto un exit poll sul referendum per l'autonomia svoltosi domenica nel dipartimento, sostenendo che il "sì" si sarebbe imposto con l'82%. Si tratta dello spoglio dei voti depositati in 5.253 seggi dai 935.527 aventi diritto del dipartimento. Infine, il presidente della Corte dipartimentale, Mario Parada, ha sostenuto che i risultati ufficiali saranno disponibili giovedì o venerdì prossimi. Già ieri il presidente boliviano Evo Morales ha definito domenica sera ''illegale'' ed ''incostituzionale'' il referendum in favore dell'autonomia del dipartimento di Santa Cruz, sottolineando l'alta astensione registrata. Il presidente boliviano ha anche fatto un appello al dialogo rivolto ai governatori delle regioni ribelli.
Tibet
I tibetani in esilio in India hanno accolto, ma con prudenza, l'impegno della Cina a continuare le discussioni sulla crisi in Tibet, all'indomani dei colloqui tra rappresentanti di Pechino e inviati del Dalai Lama che si sono tenuti a porte chiuse a Shenzhen, nella Cina meridionale. ''Il fatto di aver stabilito nuovamente contatti è vitale per la questione tibetana'', ha detto un portavoce del governo tibetano in esilio a Dharamsala, Thubten Samphel, ''è inoltre soddisfacente il fatto che la Cina sia propensa ad effettuare un altro incontro''. Ma un responsabile del governo in esilio, che ha chiesto di mantenere l'anonimato, ha aggiunto: ''Noi ci aspettiamo l'assicurazione che cessi la repressione''.
Scontri armati a Beirut e nell’est del Libano
Cinque persone sono state ferite da colpi di arma da fuoco durante scontri avvenuti questa notte a Beirut e nell’est del Libano. Nella capitale tre uomini sono stati colpiti nel quartiere di Corniche al-Mazraa a seguito di lotte tra sostenitori del partito sciita Amal, guidato dal presidente del Parlamento e leader d'opposizione Nabih Berri, e seguaci del partito sunnita al-Mustaqbal della maggioranza parlamentare antisiriana. Eventi analoghi anche a Mashghara, cittadina nella valle orientale della Bekaa, questa volta tra membri di Amal e altri del movimento sciita Hezbollah. Due seguaci di Amal sono rimasti feriti. Secondo media locali in entrambi i casi l'esercito libanese è intervenuto, fermando una dozzina di uomini armati.
Processo di pace israelo palestinese: colloquio Olmert - Abu Mazen
Nella residenza del primo ministro israeliano a Gerusalemme è iniziato l'incontro fra Ehud Olmert e il presidente dell'ANP, Abu Mazen, (Mahmud Abbas). In precedenza Olmert aveva incontrato il segretario di Stato statunitense Condoleezza Rice, giunta sabato sera a Gerusalemme per una nuova spola diplomatica fra israeliani e palestinesi. Ieri, Olmert ha assicurato di essere determinato a portare avanti l'attività diplomatica malgrado egli sia oggetto di un’inchiesta della polizia israeliana che viene definita dalla stampa ''molto grave'' anche se i suoi dettagli sono stati secretati. Intanto, almeno cinque razzi Qassam sono stati sparati da miliziani palestinesi dalla Striscia di Gaza verso la vicina città israeliana di Sderot nella notte. In precedenza altri razzi erano stati diretti contro villaggi agricoli israeliani nel Neghev.
Tre bambini uccisi per un ordigno a Kabul
A causa dell’esplosione accidentale di un vecchio ordigno della guerra civile afgana hanno perso la vita a Kabul tre bambini e due sono rimasti feriti. Secondo il ministero dell’Interno, i piccoli giocavano per strada. Non è raro trovare ancora oggi a Kabul munizioni che non sono esplose durante la guerra civile, che tra il 1992 e il 1996 ha coinvolto il Paese.
Nuovi scontri a Baghdad: 10 miliziani morti e un poliziotto ucciso a Kirkuk
Almeno dieci miliziani sciiti sono morti in nuovi scontri nella notte con forze militari americane a Baghdad, sei tra questi nel solo quartiere di Sadr City, bastione dei fedelissimi del leader sciita Moqtada Sadr. Fonti mediche parlano inoltre di decine di feriti, tra cui donne e bambini. I combattimenti a Sadr City hanno fatto più di 900 morti nel solo mese di aprile, stando a cifre ufficiali irachene. Intanto a Kirkuk un poliziotto iracheno è stato ucciso e altri sette sono rimasti feriti nell'esplosione di un ordigno. Danni alle abitazioni e ai negozi nel raggio di molte decine di metri.
Iran
Dodici persone sono state impiccate in Iran, di cui una sulla pubblica piazza. Lo riferiscono oggi fonti di stampa di Teheran. Il quotidiano Keyhan scrive che nove trafficanti di stupefacenti sono saliti sul patibolo a Bojnurd, nell'ovest del Paese, di cui uno in pubblico. Non è precisato quando siano avvenute le esecuzioni. Il giornale Qods aggiunge che nel carcere di Ahwaz, nel sud-est, sono stati impiccati ieri tre giovani che erano stati riconosciuti colpevoli di avere rapito, violentato e rapinato 11 ragazze. Lo scorso anno, secondo Amnesty International, sono state almeno 317 le esecuzioni capitali nella Repubblica islamica, che si e' così situata al secondo posto al mondo per numero di persone messe a morte dopo la Cina. In Iran la pena di morte è prevista per diversi reati, tra i quali l'omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, la violenza carnale, l'apostasia, l'adulterio e la 'sodomia'. Fino all'anno scorso le esecuzioni sulla pubblica piazza erano comuni, ma dal gennaio scorso il capo dell'apparato giudiziario, ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, ha disposto che esse possano avvenire solo con la sua esplicita autorizzazione.
Somalia
Migliaia di cittadini somali hanno protestato oggi a Mogadiscio contro i commercianti del settore alimentare che si rifiutano di accettare le banconote della vecchia valuta nazionale, considerate tra l'altro una delle cause dell'inflazione galoppante nel Paese. Lo riferiscono testimoni. ''La città è stata messa a fuoco e fiamme'', ha riferito uno dei manifestanti, Hussein Abdikadir, ''i commercianti si sono rifiutati di accettare le vecchie banconote. I prezzi del cibo sono altissimi e noi non abbiamo nulla da mangiare. La protesta andrà avanti fino a quando i commercianti non si convinceranno ad accettare le vecchie banconote''.
Guinea Bissau
Oltre 100 tonnellate di riso non commestibile sono state immesse sul mercato nei giorni scorsi in Guinea Bissau, uno dei Paesi più duramente colpiti dalle conseguenze dell'aumento su scala mondiale dei prezzi delle derrate alimentari. Lo ha reso noto ieri una locale Associazione di consumatori. ''E' una grande quantità di riso, più di 100 tonnellate, che è stato stoccato per troppo tempo e oggi non è più adatto al consumo - ha detto all'AFP, Bambo Sanha, presidente dell'Associazione dei consumatori della Guinea Bissau - e che commercianti corrotti vendono alla popolazione''. Questo riso, ha aggiunto Sanha, viene messo in vendita a Bissau e nell'interno del Paese ''a un prezzo inferiore a quello di mercato''. L'Associazione non è riuscita a ottenere informazioni sull'anno di produzione del riso, nè sulla sua provenienza. I sacchi in cui è contenuto non recano alcuna scritta a riguardo. Ufficialmente, la Guinea Bissau produce circa 60 mila tonnellate di riso all'anno, una quantità molto inferiore al consumo annuale del Paese, valutato a 140 mila tonnellate circa.
Algeria
Due ufficiali dell'esercito algerino sono morti e 8 sono rimasti feriti in un doppio attacco terroristico compiuto sabato notte a Baghlia, vicino a Boumerdes, in Cabilia 50 km ad est di Algeri. Lo riferisce oggi la stampa algerina. Un primo ordigno artigianale è stato fatto esplodere lungo la strada al passaggio di una pattuglia della Gendarmeria. Qualche minuto dopo un'altra bomba, azionata a distanza, ha colpito i militari accorsi sul luogo del primo attacco provocando la morte dei due ufficiali. Nella stessa zona un terzo ordigno è stato ritrovato e disinnescato poco dopo.
Italia
Il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, inizierà, domani pomeriggio, le consultazioni per la formazione del nuovo governo. E’ stata completata infatti la costituzione dei gruppi parlamentari. A partire dalle ore 16 di domani, riferisce una nota della presidenza della Repubblica, il capo dello Stato riceverà il presidente del Senato e il presidente della Camera; seguiranno i rappresentanti dei gruppi parlamentari fino al pomeriggio del 7 maggio quando le consultazioni si concluderanno con i presidenti emeriti della Repubblica.
Immigrazione clandestina sulle coste italiane
Ancora sbarchi di clandestini a Lampedusa: in mattinata, soccorso un gommone con a bordo 77 extracomunitari, tra cui 10 donne, intercettato a circa 22 miglia a sud dell’isola. Nella notte, un’altra imbarcazione che trasportava 48 persone è stata soccorsa a 40 miglia sempre a sud.
Deraglia treno metropolitana a Central Park
Due carrozze della metropolitana di New York, con a bordo 449 passeggeri, sono deragliati ieri pomeriggio a Manhattan, tra la 57.ma e la settima strada, a Midtown, nei pressi di Central Park. I viaggiatori sono stati evacuati e due di loro sono rimasti leggermente feriti. Ne danno notizia oggi i media americani. L'incidente ha avuto luogo lungo la linea del treno metropolitano 'N' che da Astoria porta a Brooklyn. L'episodio ha causato disagi sull'intera linea metropolitana, ma entro oggi tutto dovrebbe tornare alla normalita'.
Cecenia
Cinque poliziotti sono rimasti uccisi in un attentato in Cecenia, compiuto con una bomba di fabbricazione artigianale. Lo ha detto oggi il responsabile della polizia locale. "Cinque membri del ministero dell'Interno sobo stati uccisi ieri (domenica) sera in un'esplosione nel distretto du Staropomyslovski a Grozny'', capitale della repubblica del Caucaso, ha riferito Ramzan Edilov, capo del dipartimento di polizia dello stesso distretto della città. (Panoramica a cura di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 126
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