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SOMMARIO del 23/10/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Curare la formazione cristiana dei giovani per superare le divisioni tribali e collaborare per l'unità del Paese: è uno degli obiettivi dei vescovi del Gabon, in Vaticano per la visita ad Limina
  • Udienze
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Da Napoli l'appello di pace delle religioni. Il cardinale Tauran: la Chiesa risponderà alla Lettera dei 138 saggi musulmani
  • Un passo importante verso il dialogo della verità: così, padre Samir Khalil Samir sulla Lettera dei dotti musulmani al Papa e ai capi cristiani
  • La Turchia respinge la tregua proposta dal PKK
  • La Svizzera non si chiuda agli stranieri e all’Europa: così, il vescovo di Lugano, Pier Giacomo Grampa, dopo il voto che ha visto il successo della destra xenofoba
  • Mons. Leuzzi lancia nuovi progetti di pastorale universitaria a Roma per l'inizio dell'anno accademico
  • Un convegno a Roma ricorda Giovanni Palatucci, il questore morto a Dachau a 36 anni dopo aver salvato oltre 5.000 ebrei
  • Nelle librerie la biografia di Carlo Acutis, quindicenne milanese morto di leucemia: ha offerto la sua vita per il Papa e la Chiesa
  • Chiesa e Società

  • Consegnata, ad Amalfi, al Patriarca Bartolomeo una reliquia di Sant’Andrea
  • "Senza Dio non si può costruire una vita felice": così il metropolita Kirill durante la visita al Duomo di Aversa
  • La Giornata Missionaria a Pechino segnata dall’ordinazione di 5 nuovi sacerdoti
  • In India oltre 20 mila cristiani del Manipur pregano per il Myanmar
  • Pakistan: i talebani all’attacco delle scuole cattoliche nella valle della Swat
  • Nelle isole Fiji, anche la Chiesa impegnata nella stesura della nuova Carta costituzionale
  • L’impegno delle Religiose nella lotta contro la tratta delle persone
  • Nord Kivu: scappano dall’arruolamento forzato i bambini delle scuole di Masisi
  • A Padova una finestra sul continente africano con "Medici con l’Africa CUAMM"
  • In Malesia, consacrato il primo vescovo della diocesi di Sandakan
  • Meeting di Loreto sulle migrazioni: non procedono solo da sud a nord i flussi migratori
  • I Focolari festeggiano i 40 anni della nascita del movimento Gen: celebrazioni in 182 Paesi
  • Alla Festa del Cinema di Roma presentati tre film su inquietudini esistenziali e problemi sociali
  • 24 Ore nel Mondo

  • Sedici civili, tra cui 6 donne e 3 bambini, muoiono in Iraq per un raid aereo americano - InAfghanistan, le forze NATO avrebbero ucciso 11 membri di una famiglia

  • Il Papa e la Santa Sede



    Curare la formazione cristiana dei giovani per superare le divisioni tribali e collaborare per l'unità del Paese: è uno degli obiettivi dei vescovi del Gabon, in Vaticano per la visita ad Limina

    ◊   Sei anni dopo l’ultima visita ad Limina, i vescovi del Gabon sono dai ieri in Vaticano per incontrare Benedetto XVI e riferire dei progressi e delle problematiche che registra la Chiesa del Paese africano. Una Chiesa radicata in uno Stato in buona salute e libera di esprimersi, preoccupata specialmente della diffusione delle sétte religiose e dunque impegnata in modo particolare nella diffusione del Vangelo, soprattutto fra i più giovani. Nei giorni scorsi, poi, il Gabon è tornato alla ribalta per una questione molto dibattuta in campo internazionale. Ce ne parla in questa scheda Alessandro De Carolis:


    Da ventiquattr’ore, l’attualità di questo Stato africano affacciato sul Golfo di Guinea ha conquistato uno spazio sulle prime pagine della cronaca internazionale con la decisione del suo presidente di abolire la pena di morte. L’annuncio è rimbalzato da Napoli, dal Meeting della Comunità di Sant’Egidio, il giorno dopo la visita alla città di Benedetto XVI. E al suo rientro in Vaticano, il Papa ha trovato proprio i vescovi del Gabon, con il loro carico di questioni pastorali e sociali vissute in uno Stato positivamente “anomalo” rispetto agli standard di molti Paesi africani: uno Stato con una buona economia - grazie a una naturale abbondanza di risorse, specie diamanti - e democraticamente più stabile da circa un ventennio, dopo l’introduzione di una nuova Costituzione e di un sistema multipartico. Prova di questo costante miglioramento delle condizioni di vita sono il crescendo degli insediamenti umani lungo le coste e attorno alla capitale, Libreville, un tempo simbolo di libertà degli ex schiavi che la fondarono e oggi centro portuale di rilievo che produce lavoro e benessere.

     
    La storia della Chiesa gabonese ha circa 160 anni. Alla sua origine, simile a quella di tanti altri Paesi un tempo considerati di “frontiera”, c’è la predicazione dei missionari, in questo caso della Congregazione dello Spirito Santo. Del 1899 è la prima ordinazione sacerdotale, a metà degli anni Cinquanta l’istituzione della gerarchia ecclesiale. Più vicina nel tempo e nella memoria dei gabonesi, la visita di Giovanni Paolo II, che arrivò a Libreville nel 1982 e che a 25 anni di distanza ha visto nell’arco di quest’anno una serie di celebrazioni commemorative di quell’evento, imperniate sulla frase che Papa Wojtyla lasciò alla Chiesa locale “Alzati e cammina”. Oggi, su un milione e mezzo di abitanti totali, oltre la metà sono cattolici, suddivisi in un’arcidiocesi metropolitana, quattro diocesi e una prefettura apostolica. La restante metà dei gabonesi appartiene a comunità protestanti o professa credenze tradizionali. Il dato più rilevante è invece la crescita delle sétte religiose, pentecostali soprattutto. Un dato e una sfida per la Chiesa del Gabon, come conferma l’arcivescovo di Libreville, mons. Basile Mvé Engone, intrervistato dal padre gesuita, Jean-Pierre Bodioko:

    R. - La Chiesa del Gabon è stata fondata dai padri dello Spirito Santo nel 1844 da p. Bessieux, che ha fondato la prima Chiesa e le prime strutture. Oggi il Paese, indipendente dal 1960, si sforza di creare le condizioni di sviluppo di cui possa beneficiare la gran parte della popolazione. Sul piano sociale il contesto non e’ di lotta ma un contesto dove i responsabili politici si sforzano di ridistribuire le ricchezze a tutti. A dispetto di una situazione generale africana dove spesso si devono attendere aiuti esterni, dobbiamo far sì che lo sviluppo nasca da noi.
     
    D. - Tra Stato e Chiesa i rapporti sono buoni?

     
    R. - Certo. La Chiesa si pronuncia. ha libertà di parola e d’espressione. Non è ostacolata nei suoi diritti, può dire ciò che crede e lo dice, a vantaggio dell’interesse comune.
     
    D. - Mons. Mvé Engone, qual è la sfida principale della Chiesa?
     
    R. - Per quanto posso vedere dalla mia diocesi, Libreville, la principale è quella della formazione. La formazione dei cristiani, dei preti, dei seminaristi, perché il messaggio evangelico possa essere inculturato e possa prendere nella società lo spazio che gli compete. Così le persone che ricevono l’annuncio potranno esserne trasformate negli stili di vita, nelle consuetudini familiari. Questa è la sfida della Chiesa, ancor più oggi in cui vediamo una moltitudine di sétte che arrivano dall’estero, in special modo dal continente americano, dal sud e dal nord, e invadono le nostre società dell’Africa subsahariana.

     
    D. - Quindi la presenza delle sétte costituisce una sfida anche per la Chiesa del Gabon?
     
    R. - Decisamente sì. E’ per questo che mettiamo l’accento sulla formazione e su un’evangelizzazione che tenga conto delle necessità della gente e che si prenda carico dei problemi. Per questo è necessario che si viva una grande comunione tra coloro che credono in Dio e bisogna che vi sia anche una grande condivisione dei beni, di ciò che siamo e di ciò che abbiamo perchè la Chiesa diventi - come abbiamo proclamato in occasione del Sinodo speciale per l’Africa - veramente una Chiesa famiglia dei figli di Dio. In quale famiglia uno può vivere nella povertà più assoluta ed un altro ha tutto? E’ quindi necessaria la condivisione alll’interno della Chiesa.
     
    D. - Lei ha parlato poc’anzi della formazione. E quella delle vocazioni, ad esempio alla vita religiosa e sacerdotale?

     
    R. - Per quanto attiene alla vita religiosa e sacerdotale potrei dire, prendendo ad esempio la mia diocesi, che le vocazioni sono in crescita. Ad esempio quest’anno ho avuto la gioia di presiedere l’ordinazione di cinque nuovi diaconi. L’anno prossimo quindi avremo cinque nuovi sacerdoti a servizio della diocesi. Parlando sempre della mia diocesi, abbiamo una ventina di seminaristi maggiori e nell'insieme in Gabon si arriva a circa 40-50 seminaristi maggiori. Certo a qualcuno potrebbero sembrare numeri modesti, ma per le esigenze della nostra Chiesa, possiamo veramente ringraziare Dio per ciò che ci dona e progredire sulla strada intrapresa a livello vocazionale.
     
    D. - E qual è il posto del laicato nella Chiesa del Gabon?
     
    R. - I laici stanno prendendo un posto sempre maggiore nel contesto ecclesiale, noi stiamo lanciando delle associazioni perchè i laici sappiano che la loro presenza è fondamentale, perché la Chiesa cammina con le loro gambe nella società. Devono essere il volto della Chiesa nella società e devono tentare di far scoprire agli altri il volto della Chiesa. Vogliamo quindi che la Chiesa sia presente nella società attraverso i suoi fedeli, i suoi laici, e ci sforziamo di fare in modo che i laici possano in misura maggiore prendere delle responsabilità nella Chiesa. Il nostro compito di pastori è quello di facilitare la loro presa di coscienza.

     
    D. - I vescovi del Gabon vengono a Roma per incontrare il successore di Pietro, quali sono le vostre preoccupazioni particolari che portate?

     
    R. - Sono numerose, abbiamo parlato adesso della formazione, perché i nostri giovani non siano dei mendicanti che vanno da tutte le parti per avere l’insegnamento cui aspirano. La gioventù infatti è in sé una grande sfida per la nostra Chiesa e per i Paesi dell’Africa. Forgiare buoni cristiani significa lavorare per l’unità. Siamo divisi in numerose tribù, ma non ci sono stranieri, siamo tutti membri di questa Chiesa ed è dunque una grande sfida per la Chiesa fare in modo che le tribù, le razze di ogni Paese e di ogni Chiesa non siano più individui che si combattono, ma di uomini che si tendono la mano e lavorano assieme per il vero sviluppo dei propri Paesi, per la vera unità, per vivere come un popolo, un gruppo umano unito attorno al Vangelo.

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    Udienze

    ◊   Il Santo Padre ha ricevuto ieri in udienza mons. Piero Marini, arcivescovo tit. di Martirano, presidente del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - L'intervento del cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, al convegno della Fondazione Ambrosiana Paolo VI: la libertà religiosa pietra miliare della nuova Europa.

    Servizio estero - In rilievo l'Iraq, con particolare attenzione alla crisi in corso al confine con la Turchia.

    Servizio culturale - Un articolo di Giuseppe Costa dal titolo “Digitalizzazione sì o no? Una sfida per il futuro dell'editoria”: oltre 2.500 eventi costruiti attorno a temi politici e sociali alla cinquantanovesima Buchmesse di Francoforte. Per l’“Osservatore libri” un articolo di Mario Spinelli dal titolo “Spiritualità e impegno sociale secondo La Pira”: pubblicati gli “Scritti vincenziani”.
     Servizio italiano - In rilievo il tema degli incidenti sul lavoro.

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    Oggi in Primo Piano



    Da Napoli l'appello di pace delle religioni. Il cardinale Tauran: la Chiesa risponderà alla Lettera dei 138 saggi musulmani

    ◊   Battute finali a Napoli per il 21.mo Meeting interreligioso di pace organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio. La chiusura questa sera vedrà, dopo la preghiera e la processione, la cerimonia conclusiva con la proclamazione e la firma di tutti il leader religiosi dell’appello di pace 2007. Da domenica ad oggi il capoluogo partenopeo è stato travolto dalla presenza di esponenti delle Chiese cristiane, da rappresentanti dell’ebraismo, dell’islam, del buddismo e di altre fedi, e dai loro costanti e ripetuti appelli alla riconciliazione e alla necessità di intensificare il dialogo tra le religioni. Di una road map per la convivenza, fare delle religioni un nome di pace ha parlato il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:
     
    R. – Questo dialogo è un lungo cammino. Abbiamo, quindi, sempre bisogno di conoscerci di più. Il dialogo è un pellegrinaggio ed un rischio. E’ un pellegrinaggio, perchè giustamente c’è bisogno di molto tempo per conoscersi, per capire le ricchezze dell’altro, ed è un rischio, perché mi pone la domanda: “Qual è il mio Dio, in cui io credo? La mia fede ha un’incidenza sulla mia vita?”. Sono spinto a fare, dunque, una specie di esame di coscienza. Ogni volta che ci troviamo di fronte ad una piccola difficoltà, ci rendiamo conto di non conoscerci abbastanza. Quindi, abbiamo sempre bisogno di dialogare, di parlare. E’ un travaglio che va sempre portato avanti.

     
    D. – Eminenza, è stata lanciata l’idea di creare una sorta di Nazioni Unite delle religioni quasi per porsi in alternativa all’azione della diplomazia per arrivare in alcuni casi alla pace. Secondo lei, questa potrebbe essere una strada perseguibile?

     
    R. – Personalmente, a prima vista, non mi entusiasma questa proposta. Abbiamo già tante possibilità come religioni per perseguire la pace. Dobbiamo poi sempre ricordare che ciò che insegna lo spirito di Assisi è che è il linguaggio delle religioni è la preghiera. Da un lato, abbiamo la diplomazia, con la sua tecnica e, dall’altra parte, abbiamo le religioni con la preghiera. La preghiera è il linguaggio delle religioni. Prima di pensare, dunque, ad una grande ONU delle religioni cerchiamo noi, uomini di religione, di formare i nostri fedeli alla preghiera per la pace, a formare i giovani a questo ascolto degli altri, delle loro convinzioni. Questo mi pare molto più concreto.

     
    D. – Qui a Napoli è presente anche qualcuno dei 138 saggi islamici, firmatari della lettera indirizzata al Papa e ai capi cristiani circa la richiesta di un maggior dialogo, di una maggiore collaborazione tra islam e cristianesimo. Si risponderà a questa lettera?

     
    R. – Certamente si risponderà, perché è un segnale positivo che è stato lanciato verso i cristiani. Come ho avuto modo di dire ci sono delle novità. Per esempio, quando si parla di Gesù, viene presentato attraverso le citazioni del Nuovo Testamento e non del Corano. Il testo poi non è polemico e ci sono tanti aspetti positivi. C’è questa volontà di collaborare alla pace, attraverso la religione. Il testo dice che musulmani e cristiani assieme rappresentano il 55 per cento della popolazione mondiale e questo è un grande potenziale per contribuire alla pace nel mondo. Il patrimonio positivo contenuto in questo messaggio va raccolto.

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    Un passo importante verso il dialogo della verità: così, padre Samir Khalil Samir sulla Lettera dei dotti musulmani al Papa e ai capi cristiani

    ◊   Ha destato ampia eco la Lettera inviata da 138 dotti musulmani a Benedetto XVI e agli altri leader cristiani. In questi giorni, il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha espresso apprezzamento per la Lettera, nella quale si ritrova il tentativo di un sincero dialogo tra cristiani e musulmani. Proposito, questo, ben visibile fin dall’impostazione del documento. A sottolinearlo è il padre gesuita Samir Khalil Samir, docente di Storia della cultura araba e islamologia all’Università Saint Joseph di Beirut, intervistato da Alessandro Gisotti:


    R. – C’è un aspetto positivo fondamentale: tutta la struttura della Lettera è chiaramente impostata sull’amore di Dio-amore dell’uomo, del prossimo. Questa impostazione non è assolutamente tradizionale nel modo di pensare e nella struttura mentale e teologica islamica. E’ propriamente cristiano dire amore di Dio, mentre è una espressione rarissima nella tradizione musulmana. Si tratta, quindi, di un atto di buona volontà, di ricerca per trovare un terreno comune.

     
    D. – Quali sono gli elementi di novità che lei ha riscontrato nella Lettera?

     
    R. – Gli aspetti nuovi positivi sono numerosi. Anzitutto riguardo alla prima Lettera inviata al Papa, che era un po’ critica, questa Lettera non mostra alcuna critica. E’ una proposta di ricerca di ciò che è comune tra le due religioni. Già nel titolo, infatti, viene ripresa dal Corano una delle parole più belle dove Maometto parla ai cristiani, dicendo loro: “Mettiamoci d’accordo almeno su una cosa e cioè sull’unicità di Dio”. Un’altra cosa da notare è che si è allargato il gruppo: da 38 della prima Lettera sono, infatti, diventati 138. Un altro aspetto positivo, che si può notare, è che nel gruppo ci sono parecchi studiosi laici e, quindi, non più soltanto imam e religiosi. Questo è molto importante, perché prende in considerazione la realtà dell’Islam, che non deve essere solo rappresentata dagli imam e dai religiosi, anche perché questo rischierebbe di dare una impostazione più dura.

     
    D. – Questa Lettera può, dunque, rappresentare l’occasione per l’inizio di un salto di qualità nel dialogo fra cristiani e musulmani?

     
    R. – Sì, certamente! Intanto perché c’è una iniziativa che non comincia con il difendersi contro chiunque. Si tratta di una iniziativa serena e il clima sereno è fondamentale, per tutti quanti. Penso che dovremmo ora passare dalla controversia al dialogo critico, laddove critico significa che non ammetto tutto ciò che l’altro mi dice, ma lo critico secondo i miei criteri, così come lui mi critica secondo i suoi criteri fin quando, insieme, troviamo dei criteri comuni. Talvolta si dice che Papa Benedetto XVI ha preso una linea dura riguardo all’Islam. Io dico “no”, ritengo che abbia assunto in tutto ciò che fa uno sguardo critico. Noi dobbiamo capire bene, perché questo rappresenta uno dei grandi malintesi: la critica non è mancanza di amore.

     
    D. – Quindi, padre Samir, si può dire che si cominciano a vedere i primi frutti di quello straordinario discorso di Benedetto XVI a Ratisbona?

     
    R. – Questo discorso è improntato fondamentalmente al dialogo. Alcuni mi dicevano che quel discorso ha rappresentato un grande errore perché da quel momento il dialogo è diventato impossibile. No, io credo che il dialogo sia passato da una specie di cortesia nelle parole, da una specie di dialogo diplomatico, che non è il vero dialogo perché basta un niente e si può rompere, ad un primo passo per dire che vogliamo offrire al mondo un progetto. Per questo io posso dire, quindi, la mia posizione, che può magari essere anche critica, su un punto e non certo su tutto, così come tu puoi dirmi la tua su qualche punto del cristianesimo e così facendo andiamo avanti. Un dialogo fatto, dunque, di amore e di verità. Mi auguro che questo documento sia veramente considerato come un primo passo di dialogo per continuare il più possibile in questa linea.

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    La Turchia respinge la tregua proposta dal PKK

    ◊   Rischia di precipitare la situazione al confine tra Turchia e Iraq. Il ministro degli Esteri di Ankara, Ali Babacan, in visita a Baghdad, ha respinto l'offerta di tregua condizionata mossa dal PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, sottolineando che la Turchia non si accorda con un gruppo “terroristico”. Il capo della diplomazia turca, in Iraq per tentare di disinnescare la crisi causata dalle incursioni dei guerriglieri curdi, ha, però, ottenuto un pubblico impegno da parte irachena ad un'azione congiunta per liquidare i campi del PKK in Nord Iraq. Da parte sua, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, durante una conferenza stampa a Londra con il premier britannico Gordon Brown, ha precisato che Ankara, nel corso di un'eventuale azione militare nel nord dell'Iraq, non attaccherà che le posizioni del PKK e non ha alcune ambizioni territoriali nel Paese del Golfo. Una questione, quella curda, che si conferma delicatissima per l’intero scacchiere mediorientale, soprattutto per le questioni economiche che hanno frenato la creazione di uno Stato autonomo, a causa della ferrea opposizione degli Stati limitrofi. A confermarlo il giornalista curdo Abib Fateh Alì, intervistato da Salvatore Sabatino:


    R. – Si tratta di un Paese ricco non soltanto di petrolio, ma anche di risorse naturali, come l’agricoltura e le fonti d’acqua di due fiumi importantissimi, come il Tigri e l’Eufrate, che provengono dai ghiacciai che sono proprio sui monti del Kurdistan. Ma sono anche altre le risorse di questo Paese. Questo è il motivo principale per il quale alcuni Paesi, come l’Iran, la Turchia e lo stesso Iraq, si sono sempre dimostrati ostili alla creazione di uno Stato curdo.

     
    D. – Sul fronte iracheno, il Kurdistan è sempre stato visto come una regione modello di convivenza e di pace in quella che è la situazione drammatica che vive il Paese del Golfo. Cosa cambia a questo punto?

     
    R. – La leadership curda, e parlo di Barzani e Talabani - uno è il capo del governo autonomo curdo e l’altro è il presidente dell’Iraq- è davvero cosciente dell’impossibilità della istituzione o della costituzione di uno Stato curdo, ma sono altrettanto coscienti del fatto che la popolazione curda nel Kurdistan iracheno è plebiscitariamente per l’indipendenza dall’Iraq. E questo perché c’è una generazione intera della popolazione curda che – dal ’91, ossia dalla “no fly zone” imposta dall’ONU alle truppe di Saddam Hussein riguardo al Kurdistan –di fatto non conosce la lingua araba, perché la televisione che vedono non è più quella centrale di Baghdad e quindi di lingua araba; non hanno mai visitato città arabe come, ad esempio, Baghdad (e questo è stato valido anche per le generazioni precedenti di curdi); hanno semplicemente visto negli arabi o comunque nell’esercito iracheno un nemico che veniva a “gasarli” come negli anni Ottanta. Oggi, poi, il Kurdistan gode di una situazione economica e sociale migliore rispetto al resto del Paese, tanto è vero che moltissimi iracheni da Baghdad sono andati a vivere nelle città curde. Il sentimento della popolazione curda è, quindi, quello della separazione dallo Stato iracheno e la leadership curda è cosciente di questa difficoltà ed ha bisogno di tempo per riuscire a far passare una linea che sia intermedia, quella cioè di una federazione autonoma, dove possa gestire la propria ricchezza economica, nonché lo sviluppo della cultura e della lingua curda.

     
    D. – Questa tensione degli ultimi giorni non rischia, però, di compromettere questo progetto di convivenza?

     
    R. – Sinceramente non lo so. Personalmente ritengo, e in questo sono abbastanza confortato da fonti curde, che un intervento massiccio dei turchi non avverrà. Compromettere, quindi, la possibilità di questo progetto curdo per una Federazione, metterebbe - secondo me - in discussione i già precari equilibri che ci sono in Iraq ed anche nell’area mediorientale nel suo insieme.

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    La Svizzera non si chiuda agli stranieri e all’Europa: così, il vescovo di Lugano, Pier Giacomo Grampa, dopo il voto che ha visto il successo della destra xenofoba

    ◊   Dopo la vittoria della destra populista di Christoph Blocher, la Svizzera si interroga sul proprio futuro e, in particolare, sui suoi rapporti con l’Unione Europea. Già primo partito dal 2003, l’UDC di Blocher ha ottenuto, domenica scorsa, il 29 per cento dei consensi in una tornata elettorale che ha anche decretato la sonora sconfitta dei socialisti e un’avanzata dei Verdi. Dal canto loro, le principali associazioni imprenditoriali elvetiche hanno sottolineato l’importanza della manodopera straniera per l’economia della Svizzera in risposta alle posizioni contro l’immigrazione di Blocher. Per una riflessione sulle speranze e le preoccupazioni della Chiesa elvetica, dopo queste elezioni, Alessandro Gisotti ha intervistato il vescovo di Lugano, mons. Pier Giacomo Grampa:


    R. – La Svizzera sta vivendo un momento di contrapposizione forte tra la destra e la sinistra, che torna un poco a scapito dei partiti storici di centro. Le preoccupazioni sono che il Paese vada verso una chiusura, soprattutto per quanto riguarda gli stranieri. Bisogna che non vincano le paure, le preoccupazioni per il posto del lavoro e per una eccessiva presenza di stranieri nel Paese. Contrariamente a quello che può sembrare, la percentuale degli stranieri in Svizzera è molto alta: è superiore al 20 per cento della popolazione residente. Le speranze sono che nel nostro sistema di democrazia semidiretta vinca la concertazione. La tradizione svizzera è che le principali forze politiche siano presenti nel governo, perchè si possano trovare con le giuste mediazioni le soluzioni più opportune.

     
    D. – Un altro tema che ha sicuramente destato l’attenzione dell’opinione pubblica svizzera è quello dell’Europa. Anche qui la Chiesa elvetica ha una posizione molto chiara...

     
    D. – La Chiesa elvetica è una Chiesa aperta, attenta, che favorisce la comprensione e l’accoglienza anche degli stranieri. Deve, però, tener conto della maggioranza del Paese che non è ancora matura per aderire all’Europa unita. Intanto, proseguiamo per la strada degli accordi bilaterali. Occorre essere vigilanti, chiari, propositivi, coraggiosi, ma anche pazienti per evitare contrapposizioni che poi tornano a danno del Paese. Occorre avere moderazione ed equilibrio. La Svizzera non è un Paese esposto agli estremismi.

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    Mons. Leuzzi lancia nuovi progetti di pastorale universitaria a Roma per l'inizio dell'anno accademico

    ◊   Coinvolgere, motivare allo studio, rinnovare le infrastrutture culturali per accogliere ogni singolo studente: sono queste alcune delle sfide affrontate dall’ufficio per la pastorale universitaria della diocesi di Roma, in collaborazione con gli atenei romani e le istituzioni locali, nel corso di una conferenza stampa tenuta ieri presso la Sala Rossa del Palazzo Lateranense. Ce ne parla Cecilia Seppia:


    Sono oltre 90 mila, le matricole che si apprestano a varcare le porte delle Università di Roma e del Lazio, e sono tante le iniziative che l’Ufficio per la pastorale universitaria, in collaborazione con le istituzioni, ha previsto per questo nuovo anno accademico. Obiettivo prioritario: mettere al centro lo studente, coordinare gli sforzi della Chiesa e della città perché insieme siano in grado di offrire un servizio, come ha spiegato mons. Lorenzo Leuzzi, direttore dell’Ufficio per la pastorale universitaria del Vicariato di Roma.

     
    “E’ necessario che l’istituzione universitaria mantenga la sua precisa vocazione di essere luogo di animazione culturale così importante non solo per il futuro di una città ma per il futuro del nostro Paese e, possiamo dirlo, per l’Europa e il mondo intero, visto il ruolo che Roma ha nella formazione di classi dirigenti non solo italiane, ma internazionali. La sfida principale è quella di far capire ai giovani che l’esperienza della fede costituisce veramente un grande dono per comprendere sia la vita universitaria, ma poi soprattutto per orientare la propria preparazione culturale. Penso che questa sintesi tra vita di fede e vita di studio, ricerca intellettuale, costituisca oggi un punto di riferimento importante”.

     
    In concreto, sono stati approvati progetti per realizzare Campus universitari, ovvero residenze integrate con tutte le attività culturali, formative e sportive che riguardano lo studente; e ancora, borse di studio, agevolazioni per l’accesso ai teatri, per i trasporti pubblici. Poi, la nascita di www.university2000.org , un portale come luogo di interazione e condivisione della vita universitaria. A breve, il pellegrinaggio dei giovani universitari ad Assisi e il 13 dicembre l’atteso incontro con Benedetto XVI, per iniziare questo nuovo anno accademico sulle orme di San Francesco, condividendo con lui la gioia di seguire Cristo anche nello studio e nella ricerca.

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    Un convegno a Roma ricorda Giovanni Palatucci, il questore morto a Dachau a 36 anni dopo aver salvato oltre 5.000 ebrei

    ◊   La figura di Giovanni Palatucci, il questore che negli anni difficili della Seconda Guerra Mondiale riuscì a salvare la vita a migliaia di ebrei, è stata ricordata in questi giorni in un convegno che si è svolto a Roma presso la sede della rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica. Ce ne parla Claudia Di Lorenzi:


    Un eroe della virtù cristiana e del merito civile, esempio luminoso di umanità e di coraggio. Questa la figura di Giovanni Palatucci, ultimo questore della città di Fiume italiana, riconosciuto “Giusto tra le nazioni” per aver salvato 5mila ebrei da morte sicura nei lager nazisti. Impresa che gli ha guadagnato la Medaglia d’Oro al merito civile, e che ha portato la Chiesa a riconoscerlo Servo di Dio. Il valore di questa figura nelle parole di padre Piersandro Vanzan, moderatore dell’incontro, e vicepresidente dell’Associazione Palatucci, dei Cappellani della Polizia di Stato, che promuove la causa di beatificazione:

     
    R. – Questa figura straordinaria di un laico cristiano che ha salvato migliaia di ebrei è un messaggio che ci ricorda il primo comandamento: “Amerai il Signore tuo Dio”. Egli Lo ha amato più di se stesso, perché ha dato la vita non per i suoi, ma per gli ebrei. Giovanni Palatucci dice ai giovani di oggi che non si può vivere senza ideali.

     
    Esempio di eroico coraggio dal valore universale, Palatucci lascia ai contemporanei un’eredità morale fatta di grandi e piccoli insegnamenti. Lo ricorda la prof.ssa Anna Foa, docente di storia presso l’Università La Sapienza di Roma e membro della comunità ebraica della capitale:

     
    R. – “Una vita salva mille vite” si dice nell’ebraismo e quindi anche quel piccolo atto di resistenza che ciascuno di noi può fare nel suo piccolo, anche senza essere un eroe, anche senza essere portato alla santità, anche senza questo, è qualcosa che serve, che conta, che costruisce.

     
    Un eroe del quotidiano che seppe interpretare nel modo più alto il valore della vicinanza alle esigenze dei cittadini. Ce ne parla il prefetto Antonio Manganelli, capo della Polizia:

     
    R. – E’ una filosofia di rispetto, di generosità, di vicinanza alla gente, di voglia di approfondire, di studiare i bisogni del cittadino, di interpretare le esigenze, di capirle per poterle poi soddisfare. Significa essere “prossimo” e Palatucci è stato “prossimo”.

     
    A conclusione della guerra gli ebrei di Fiume sopravvissuti all’Olocausto decisero di commemorare Palatucci intitolando a suo nome una strada e un parco nella città di Ramat Gan, nello Stato di Israele. Lungo quella via crescono oggi 36 alberi, uno per ogni anno della sua giovane vita stroncata a Dachau.

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    Nelle librerie la biografia di Carlo Acutis, quindicenne milanese morto di leucemia: ha offerto la sua vita per il Papa e la Chiesa

    ◊   E’ appena uscito nelle librerie, per conto delle edizioni San Paolo, la biografia di Carlo Acutis, un ragazzo milanese morto a 15 anni in seguito a una leucemia fulminante: era il 12 ottobre di un anno fa. Qualche giorno prima della sua morte aveva offerto la sua vita per il Papa e per la Chiesa. Ne traccia la biografia Nicola Gori, redattore dell’Osservatore Romano, con la presentazione di mons. Michelangelo Tiribilli, abate generale dei Benedettini di Monte Oliveto, e una testimonianza del parroco di Carlo, mons. Gianfranco Poma, che si è attivato per introdurre il processo di beatificazione presso la Curia di Milano. Ma chi era Carlo? Giovanni Peduto lo ha chiesto alla madre del ragazzo, Antonia Acutis:


    D. - La figura di Carlo è possibile riassumerla in questa sua frase : L’Eucaristia è la mia autostrada per il Cielo. Mio figlio sin da piccolo, e soprattutto dopo la sua Prima Comunione, non ha mai mancato all’appuntamento pressoché quotidiano con la Santa Messa e il Rosario, e con un momento di adorazione eucaristica. Nonostante questa intensa vita spirituale, Carlo ha vissuto pienamente e gioiosamente i suoi quindici anni, lasciando in coloro che lo hanno conosciuto una profonda traccia. Era un ragazzo esperto con i computer tanto che si leggeva i testi di ingegneria informatica lasciando tutti stupefatti, ma questa sua dote la poneva al servizio del volontariato e la utilizzava anche per aiutare i suoi amici. La sua grande generosità lo portava ad interessarsi di tutti, dagli extracomunitari ai disabili, ai bambini, ai mendicanti. Stare vicino a Carlo era come stare vicino ad una fontana d’acqua fresca. Poco prima di morire Carlo ha offerto le sue sofferenze per il Papa e per la Chiesa. Certamente l’eroicità con cui ha affrontato la sua malattia e la sua morte hanno convinto molti che veramente in lui c’era qualcosa di speciale. Quando il dottore che lo seguiva gli ha chiesto se soffriva molto Carlo gli ha risposto: “C’è gente che soffre molto più di me!”.
     
    D. – E adesso chiediamo alla signora Francesca Consolini, postulatrice per le Cause dei Santi, su cosa poggino i presupposti per l’eventuale avvio della Causa di beatificazione di Carlo:

     
    R. - La figura del giovane Carlo Acutis si presenta interessante per diversi aspetti. La sua solarità e serenità: era un ragazzo che viveva con gioia il suo essere “giovane”, la sua età, senza drammi, senza tensioni, senza paure; era felice di essere giovane e, giorno per giorno, coglieva il bello, il buono, l’imprevisto della sua vita di giovane. La sua fede, singolare in una persona così giovane, era così limpida e sicura che lo portava ad essere sempre sincero con se stesso e con gli altri. Una straordinaria attenzione verso il prossimo: era sensibile ai problemi e alle situazioni degli amici, dei compagni, delle persone che gli vivevano vicino e anche verso quanti incontrava giorno per giorno. Aveva capito il vero valore della vita come dono di Dio, come impegno, come risposta da dare al Signore Gesù giorno per giorno in semplicità. Vorrei sottolineare che era un ragazzo normale, allegro, sereno, sincero, volitivo, che amava la compagnia, che gustava l’amicizia. Aveva capito il valore dell’incontro quotidiano con Gesù nell’Eucaristia, ma non aveva un atteggiamento “bigotto” o convenzionale, era anzi molto amato e cercato dai compagni e dagli amici per la sua simpatia e vivacità. Dopo la sua morte avvenuta nell’ottobre dello scorso anno, molti hanno sentito la necessità di scrivere un proprio ricordo su di lui e altri ancora hanno dichiarato di affidarsi a lui nella preghiera: ciò ha fatto sì che la sua figura fosse guardata con interesse particolare. Come postulatrice delle Cause dei Santi sono stata interpellata per vagliare quanto si è detto e scritto su Carlo; e di lui si è già parlato con il responsabile dell’Ufficio ‘Cause dei Santi’ della Diocesi di Milano, mons Ennio Apeciti. In vista di un eventuale avvio ufficiale della Causa di beatificazione, stiamo raccogliendo – perché non si perdano le prove - tutte le testimonianze che ne mettano in rilievo la figura, per il fatto che intorno al suo ricordo si sta sviluppando quella che viene chiamata ‘la fama di santità’.

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    Chiesa e Società



    Consegnata, ad Amalfi, al Patriarca Bartolomeo una reliquia di Sant’Andrea

    ◊   Ha avuto un profondo significato ecumenico la cerimonia, ieri ad Amalfi, per la donazione al Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, di una reliquia dell’apostolo Andrea, fondatore della Chiesa di Costantinopoli. “Si tratta di un gesto – ha detto il Patriarca – che rimarrà per sempre come dimostrazione concreta” della volontà del Papa di rafforzare i legami con il patriarcato. Si tratta, dunque, di un segno molto importante per il Patriarcato ortodosso che deporrà le reliquie di Sant’Andrea nella cattedrale di San Giorgio, ad Istanbul. Il prossimo 30 novembre, giorno della festa del Santo, per gli ortodossi la più importante dell’anno liturgico, la celebrazione assumerà, inoltre, un carattere speciale. Nel discorso di ringraziamento, Bartolomeo I ha sottolineato il legame profondo e inscindibile, che testimonia “le comuni radici tra Oriente e Occidente”. Oggi – ha aggiunto – deve costituire “un motivo di fertile e fruttuoso orientamento per il ritorno dell’Europa alle sue radici cristiane”. “La visita del Patriarca alla nostra Chiesa – ha affermato pochi giorni prima del suo arrivo il vicario episcopale per la pastorale dell’arcidiocesi di Amalfi-Cava dé Tirreni, don Antonio Porpora – è un vero dono del Signore e, dopo secoli, per la prima volta, unisce Amalfi e Costantinopoli, le due città che hanno potuto custodire le reliquie dell’Apostolo Andrea”. (A.L.)

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    "Senza Dio non si può costruire una vita felice": così il metropolita Kirill durante la visita al Duomo di Aversa

    ◊   “Un uomo libero che ignora i principi etici è un uomo terribile”. Lo ha detto Kirill, metropolita di Smolensk e Kaliningrad e responsabile del dipartimento relazioni estere della Chiesa ortodossa russa, incontrando ieri il vescovo di Aversa, mons. Mario Milano. Il presule - riferisce il quotidiano Avvenire - ha mostrato al metropolita le ricchezze del Duomo di Aversa, dedicato all’apostolo Paolo. Ripercorrendo la storia russa, Kirill ha sottolineato come il popolo russo abbia capito che senza Dio “non si può costruire una vita felice”. “Quando ci vogliono convincere che la religione è un affare privato, quando vediamo che la fede è confinata in un ghetto, quando vediamo che in Europa si sono dimenticate le radici cristiane nel preambolo della Costituzione, noi vogliamo gridare ad alta voce, insieme ai nostri martiri: non lo fate, non potete costruire una vita felice senza Dio”. Rivolgendosi ai fedeli presenti nel duomo di Aversa, Kirill ha detto infine che le “diversità teologiche devono essere superate” e che “insieme possiamo portare un messaggio pastorale al mondo”. Con le stesse parole – ha concluso – possiamo parlare dei “problemi dell’umanità e dire che il mondo non è felice senza etica”. (A. L.)

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    La Giornata Missionaria a Pechino segnata dall’ordinazione di 5 nuovi sacerdoti

    ◊   Nella Giornata Missionaria Mondiale, domenica scorsa, oltre 3.000 fedeli hanno gremito la parrocchia del San Salvatore dell’Arcidiocesi di Pechino, per accogliere 5 nuovi sacerdoti nella prima ordinazione presieduta dal nuovo arcivescovo di Pechino, mons. Joseph Li Shan. Oltre 40 sacerdoti sia dell’Arcidiocesi di Pechino che di altre diocesi, hanno concelebrato la solenne Eucaristia. Nell'omelia, mons. Joseph Li Shan ha raccomandato, in particolare, l’impegno missionario, sia ai nuovi sacerdoti che a tutti i presenti, sostenendo che “l’evangelizzazione è la priorità assoluta”. Incoraggiati dalle parole dei sacerdoti, alcuni fedeli hanno messo subito in pratica la raccomandazione, offrendo un contributo ai sacerdoti presenti venuti dalla lontana diocesi di Tian Shui, della provincia nordovest, che è molto povera. I 5 sacerdoti ordinati provengono dalla Mongolia interna, da Hei Long Jiang, He Bei e Shan Xi. Alcuni di loro hanno aspettato anni per essere ordinati da un Vescovo in comunione con il Papa. Al rito erano presenti anche alcuni benefattori che hanno aiutato i nuovi sacerdoti nel loro cammino di preparazione e di formazione. (A.L.)

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    In India oltre 20 mila cristiani del Manipur pregano per il Myanmar

    ◊   In più di 100 chiese del distretto di Churachandpur in altre zone nel nord-orientale Stato indiano del Manipur, oltre 20 mila cristiani hanno iniziato domenica una campagna di preghiera per libertà e la democrazia in Myanmar. La campagna, promossa dall'organizzazione Myanmar Christians Fellowships (MCF) alla quale aderisce il gruppo Cristiani birmani in esilio, prevede anche preghiere pubbliche ogni domenica. “Questa campagna – spiega Ko Lay, segretario generale di MCF – vuole promuovere preghiere per la pace, "il ritorno della democrazia e la liberazione di tutti i prigionieri politici in Myanmar”. Ma si prega anche per “i comandanti della giunta militare birmana, perché possano cambiare”. Intanto Babloo Loitongban, direttore di Allarme diritti umani di Imphal, denuncia all'agenzia AsiaNews che “dopo l’inizio della crisi nell'ex Birmania, le autorità indiane hanno arrestato tre birmani per immigrazione illegale, ancora detenuti. Chiediamo che sia loro riconosciuto lo status di rifugiati, come anche stiamo facendo con altri birmani, tra cui molti studenti. A Imphal si sono rifugiati molti sindacalisti del Myanmar e diamo loro assistenza legale”. “L’India – prosegue Babloo Loitongban – è oggi rispettata nel sud-est dell’Asia per i valori che ha sostenuto: un approccio agli Stati vicini fondato sul rispetto dei valori morali è di primaria importanza se l’India vuole mantenere la sua rispettabilità nella regione e nel mondo". “La pressione internazionale sulla giunta militare - sottolinea infine Babloo Loitongban - è importante, ma è cruciale la risposta degli Stati vicini come Cina, Thailandia e India, soprattutto in questo momento” in cui la giunta permette l’ingresso dell’osservatore dell'ONU. (A. L.)

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    Pakistan: i talebani all’attacco delle scuole cattoliche nella valle della Swat

    ◊   Non si ferma il processo di talebanizzazione del Pakistan, nonostante le promesse formali del governo centrale e delle autorità locali: l’estremismo islamico è infatti arrivato fino alla valle della Swat, un tempo nota come “la Svizzera d’Oriente”. Lo denuncia un lungo rapporto del Minorities Concern of Pakistan, organizzazione locale che controlla la situazione delle minoranze e le violazioni commesse contro i diritti umani della popolazione. Uno dei casi citati, ripreso dall'Agenzia AsiaNews, riguarda il liceo di Sangota, nella Swat, gestito dalla diocesi cattolica locale: una lettera di due pagine, inviata nei giorni scorsi da un gruppo fondamentalista islamico, accusa l’amministrazione scolastica di “convertire a forza gli studenti” e di “allontanarli dalla morale islamica”. Il gruppo pretende l’immediato licenziamento di tutto il personale cristiano, da rimpiazzare con ferventi musulmani, e minaccia attacchi suicidi “se gli ordini non verranno eseguiti”. Invece di ascoltare la scuola, il governo locale ha dato ragione alla lettera, emanando un’ordinanza che impone alle studentesse, anche cattoliche, di vestire il velo durante tutta la giornata per “preservare la morale islamica della zona da conversioni ed ateismo”. Molti genitori preoccupati hanno deciso di ritirare le figlie dall'istituto, che è stato costretto a chiudere fino alla scorsa settimana, quando l’amministrazione locale ha deciso di distaccare alcuni agenti per garantirne la sicurezza. Tuttavia, soltanto la metà degli studenti non islamici è tornata sui banchi, e molti pensano di abbandonare il Paese per evitare altre violenze. (R.P.)

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    Nelle isole Fiji, anche la Chiesa impegnata nella stesura della nuova Carta costituzionale

    ◊   La Chiesa cattolica parteciperà, nelle isole Fiji, alla ricostruzione morale e civile del Paese: nel Consiglio Popolare, che dovrà redigere una nuova Carta costituzionale, è stato chiamato infatti anche l’arcivescovo di Suva, mons. Petero Mataca. Il presule dovrà garantire che la Carta sia rispettosa della dignità e dei diritti inalienabili della persona. Il Consiglio – riferisce l’agenzia Fides – dovrà prima di tutto “redigere un documento informativo sullo stato della nazione, offrendo una diagnosi completa della natura e della profondità dei problemi in cui si trova il Paese”. La Costituzione del 1997 ha delineato un sistema parlamentare multietnico. Adesso è necessaria, secondo gli osservatori, l’elaborazione di una Carta in grado di garantire pace, democrazia e prosperità. L’ex colonia britannica è indipendente dal 1970: la storia del Paese, arcipelago formato da circa 320 isole con una superficie di poco inferiore a quella della regione italiana del Veneto, è stata segnata da anni di guerra civile che ne hanno danneggiato il tessuto sociale, politico ed economico. Sul versante politico, in particolare, ci sono state due riforme costituzionali e diversi colpi di Stato. Quello del 2000 è stato compiuto da nazionalisti che hanno costretto alle dimissioni l’allora premier, Mahendra Chaudhry, di etnia indiana. In seguito alle elezioni del 2001, vinte dal partito melanesiano, è seguita una lunga crisi istituzionale dovuta al mancato inserimento nella compagine governativa di rappresentanti della minoranza indiana. Nel 2006 ha preso il potere, con un golpe incruento, il colonnello Frank Bainimarma, attualmente primo ministro, che ha promesso di indire libere elezioni nel 2009. Su una popolazione di circa 840 mila persone, quasi il 53 per cento è di fede cristiana. Gli induisti sono circa il 38 per cento e i musulmani l’8 per cento. (A.L.)

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    L’impegno delle Religiose nella lotta contro la tratta delle persone

    ◊   “Diciamo a coloro che sono vittime del traffico, in particolare donne e bambini: siamo accanto a voi, non siete soli. Lottiamo con voi per liberarvi dalla schiavitù”. Così le partecipanti al primo Seminario di Formazione “Costruire una rete: il ruolo profetico delle religiose nella lotta contro la tratta delle persone” riaffermano il loro impegno a favore delle vittime del traffico di essere umani. Il Seminario, sponsorizzato dall’Unione Italiana delle Superiori Maggiori (USMI) e dall’Ambasciata degli Stati Uniti d’America presse la Santa Sede, si è tenuto a Roma dal 15 al 20 ottobre riunendo, nel 200.mo anniversario dall’abolizione della schiavitù, 33 religiose appartenenti a 25 congregazioni che operano da tempo nel campo del traffico di esseri umani in 26 Paesi. I temi in discussione erano: sviluppare e rafforzare in modo significativo i meccanismi di lavoro in rete e le capacità comunicative tra le religiose che affrontano il traffico di esseri umani (TIP) nei Paesi d’origine, transito e destinazione; favorire tra le partecipanti occasioni per condividere i loro metodi e le loro strategie di interventi attraverso la presentazione di relazioni di ogni singolo Paese; sviluppare procedimenti e strutture di comunicazione per facilitare la diffusione di tali prassi di intervento che hanno dato buoni frutti; rafforzare le capacità nazionali e internazionali delle religiose nell’affrontare la tratta di esseri umani con approcci multi-disciplinari, politici e strategici. Nel documento finale, consegnato all’Agenzia Fides, si ricorda che “le statistiche indicano che vi sono 800 Congregazioni e un milione di suore cattoliche nel mondo”. Su questa base è stata creata l’International Network of Religious Against Trafficking In Persons (INRATIP), una rete internazionale di Suore cattoliche che aiuta le vittime dello sfruttamento degli essere umani e combatte i trafficanti. A conclusione del Seminario Mons. Pietro Parolin, Sotto-Segretario della Segretaria di Stato vaticana per i Rapporti con gli Stati, ha ringraziato le partecipanti e ha ribadito l’impegno della Santa Sede a operare in tutto le sedi per combattere contro il traffico delle persone e a soccorre le vittime: “Questa – ha detto - è una questione cruciale per la Santa Sede che appoggia chi lotta contro il traffico, che distrugge non solo la donna ma anche la famiglia in tutto il mondo”. (A.L.)

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    Nord Kivu: scappano dall’arruolamento forzato i bambini delle scuole di Masisi

    ◊   Fuggono per evitare l’arruolamento e il coinvolgimento nel conflitto armato. Sono i bambini delle scuole di Masisi, località nel Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo. E' quanto dichiara Radhika Coomaraswamy, rappresentante speciale dell’ONU per i conflitti armati, aggiungendo che sarebbero già centinaia i bambini soldato arruolati dai gruppi di ribelli e dai miliziani. Si tratta, nella maggioranza dei casi, di gruppi legati al generale dissidente, Laurent Nkunda. “Il reclutamento forzato di minori e la violenza sessuale in tempo di guerra - ha aggiunto Coomaraswamy - infrangono il diritto internazionale e costituiscono un crimine”. In occasione della Conferenza internazionale “Liberiamo i bambini dalla guerra”, tenutasi a Parigi lo scorso febbraio, il direttore esecutivo dell’UNICEF, Ann Venemans, aveva sottolineato, inoltre, che sarebbero circa 250 mila i bambini coinvolti nei conflitti armati in tutto il mondo; sono impiegati soprattutto come combattenti, messaggeri, spie, facchini e cuochi. Per il 40 per cento dei casi sono bambine, spesso costrette a subire abusi e violenze. Una piaga nascosta, quella dei bambini soldato, che richiede interventi tempestivi. Nel Nord Kivu, con il supporto della locale Missione dell’ONU, il governo di Kinshasa è chiamato ad impegnarsi nella lotta alle violazioni dei diritti dell’infanzia; osservatori ed analisti auspicano poi che gli stessi gruppi armati adottino misure necessarie ad evitare il coinvolgimento di minori nel conflitto. Secondo l’agenzia missionaria Misna, nelle ultime settimane un numero sempre crescente di soldati avvrebbe abbandonato, infine, i gruppi ribelli per entrare a far parte delle Forze armate congolesi: si tratta 24 mila uomini dispiegati nel Nord-Kivu che combattono con il supporto logistico dell’ONU i miliziani di Nkunda. (C.D.L.)

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    A Padova una finestra sul continente africano con "Medici con l’Africa CUAMM"

    ◊   Un viaggio nel continente africano, alla scoperta del suo fascino antico e delle sue terribili contraddizioni. E’ ciò che propone a Padova il convegno promosso dal 25 al 27 ottobre da "Medici con l’Africa CUAMM", organizzazione non governativa che da oltre 50 anni si occupa di cooperazione sanitaria nel cuore dell’Africa. Un percorso scandito a suon di musica, cinema e letteratura, rivolto a chi ama profondamente il continente africano e a chi ancora non lo conosce. Proiezioni cinematografiche sono in programma il 25 e 26 ottobre al Cinema Porto Astra, mentre la serata conclusiva del 27 si svolgerà al Teatro Verdi con la partecipazione di Enrico Ruggeri. Prevista per domani la conferenza stampa di presentazione dell’evento, mentre in questi giorni l’annuale meeting di programmazione delle attività riunisce nella sede padovana i medici i coordinatori dei progetti del CUAMM provenienti da Angola, Etiopia, Mozambico, Kenya, Tanzania, e Uganda. (C.D.L.)

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    In Malesia, consacrato il primo vescovo della diocesi di Sandakan

    ◊   In Malesia è stato consacrato, nei giorni scorsi, il primo vescovo della neonata diocesi di Sandakan, nella provincia orientale di Sabah. Mons. Julius Dusin Gitom, 50 anni, è stato ordinato da mons. Salvatore Pennacchio, delegato apostolico in Malesia, nella locale cattedrale di Santa Maria. Con lui hanno consacrato mons. John Lee Hiong Fun-Yit Yaw e mons. Cornelius Piong, vescovi rispettivamente di Kota Kinabalu e di Keningau. Hanno inoltre preso parte alla concelebrazione otto tra vescovi e arcivescovi e una settantina di sacerdoti da tutta la Malesia, dal Brunei e da Singapore. Hanno partecipato alla solenne celebrazione 4 mila fedeli e diverse autorità civili locali. Durante l’omelia, mons. Pennacchio ha ricordato come compito di un vescovo sia quello di guidare e conservare nella fede il gregge affidatogli. Il presule ha anche sottolineato come tra le priorità pastorali di mons. Gitom, ci sarà “la promozione del dialogo interreligioso e il mantenimento di un clima di armonia e intesa reciproca tra le persone di diverse fedi nel Paese”, in maggioranza musulmano. Mons. Gitom ha rilevato come la creazione della nuova diocesi servirà a rispondere meglio alle esigenze pastorali del vasto territorio. La diocesi, che conta attualmente 4 parrocchie e diverse stazioni missionarie, era stata creata lo scorso 16 luglio da Benedetto XVI. (L.Z.)

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    Meeting di Loreto sulle migrazioni: non procedono solo da sud a nord i flussi migratori

    ◊   E’ uno stereotipo quello secondo cui i flussi migratori si spostano, principalmente, dal sud verso il nord del mondo. E’ quanto emerge dal documento finale del X Meeting internazionale sulle migrazioni, svoltosi a Loreto dal 28 settembre al 3 ottobre e promosso, tra gli altri, da Missionari e Laici Scalabriniani. Su circa 200 milioni di migranti – si legge nel testo diffuso ieri – oltre 61 milioni emigrano da uno Stato del sud del mondo verso altri Paesi Poveri. Sono circa 62 milioni, poi, coloro che emigrano da Paesi poveri verso Stati ricchi. I flussi migratori da nazioni sviluppate verso altri Paesi ricchi riguarda, inoltre, più di 52 milioni di persone. A completare questo quadro, ci sono altri 14 milioni di emigranti che seguono la direttiva da nord a sud. Per quanto riguarda le varie criticità, nel Continente africano, in particolare, si vive ancora in modo drammatico l’emergenza dei rifugiati e dei profughi a causa di squilibri sociali e politici. Si tratta di una tragedia che riguarda dai 7 ai 10 milioni di africani. Nel Continente asiatico – si legge ancora nel documento – si stanno consolidando “nuovi poli di attrazione migratoria”, quali il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e Singapore. E’, nella maggioranza dei casi, una migrazione stagionale a forte rotazione, "con una limitazione spesso palese di diritti sociali e umani dei migranti". Anche in America Latina sono in corso importanti correnti migratorie, soprattutto nella regione andina e nel cono Sud. Molti Paesi europei, il Canada e gli Stati Uniti – si sottolinea infine nel documento – sembrano invece ossessionati da una situazione percepita come quella di una “fortezza assediata”. I governi di questi Stati proseguono a seguire “politiche restrittive relative agli ingressi, che producono sistematicamente una massa sempre più consistente di clandestini e di immigrati regolari”. Si mettono in luce, quindi, le conseguenze negative dell’economia globalizzata. Un’economia che, secondo l’analisi di quanti hanno partecipato al Meeting internazionale sulle migrazioni, alimenta gli squilibri di quello che viene definito il “nuovo disordine mondiale” e produce in continuazione “vite di scarto”. “Se continua la politica migratoria attuale – si avverte nel documento - dobbiamo, senza ipocrisie, essere consapevoli che i vantaggi maggiori continueranno ad essere ottenuti dall’Europa, dal nord America e dall’Australia”, che possono beneficiare “di una delle risorse dei Paesi poveri: i lavoratori altamente qualificati”. Nel testo si auspica, infine, “un buon governo dell’immigrazione” perché una gestione corretta di tale fenomeno è una “sfida inseparabile dalla capacità di disegnare un modello di sviluppo non solo economicamente competitivo, ma anche socialmente sostenibile”. Al Meeting internazionale sulle migrazioni hanno partecipato oltre 40 studiosi provenienti da vari Paesi anche non europei, tra cui Stati Uniti, Canada, Messico, India e Australia. (A.L.)

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    I Focolari festeggiano i 40 anni della nascita del movimento Gen: celebrazioni in 182 Paesi

    ◊   Festeggiano 40 anni i Gen di Chiara Lubich, seconda generazione del Movimento dei Focolari, nato dal carisma della fondatrice trentina nel lontano 1943. Sono ragazzi appartenenti a Chiese cristiane diverse e ad altre religioni di differenti razze, nazionalità ed estrazioni sociali, aperti al dialogo anche con i non credenti. “Giovani per un mondo unito - riporta il Servizio di Informazione Religiosa – che hanno scelto come codice di vita il Vangelo” e si impegnano per far sperare il mondo - augurava la Lubich nel 1967 - “in Qualcuno che non inganna mai”. “Ciò che li accomuna – si legge nel comunicato che annuncia l’incontro - è l’impegno per la fraternità universale”. Da Mosca ad Abidjan, da Algeri a Katowice, e poi da Malta a Lubiana e da Milano a Roma: nei 182 Paesi in cui il movimento è presente il prossimo sabato 27 ottobre, i Gen celebreranno l’anniversario in una “festa planetaria”. A Roma i Gen, dai 17 ai 30 anni, si incontreranno al Seraficum, in via del Serafico 1, dalle 16 alle 22.30, per condividere testimonianze, momenti di festa, contributi video e spazi dedicati all’arte. (C.D.L.)

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    Alla Festa del Cinema di Roma presentati tre film su inquietudini esistenziali e problemi sociali

    ◊   Ribellioni metropolitane a New York, precariato italiano dilagante, movimenti sociali e lotte in Francia, ma con sottofondo filosofico: tre film presentati nel corso della Festa del Cinema di Roma, legati da un sottile filo in cui si intrecciano disagi sociali, corruzioni urbane, tensioni familiari, meditazioni sull’arte. In Première sorprende l’americano Noise - Rumore, di Henry Bean, già noto sceneggiatore, in cui un borghese stravagante interpretato da Tim Robbins reagisce violentemente all’inquinamento acustico della sua città innescando una sorte di guerra che lo porterà ad affrontare anche la corruzione e l’illegalità. Bella metafora sul coraggio civile che intercetta altri disagi ambientali in un periodo in cui il nostro pianeta soffre e noi con lui. A soffrire a Genova è, invece, la coppia formata da Margherita Buy e Antonio Albanese nell’atteso ed applaudito film di Mario Soldini Giorni e nuvole: i giorni sono quelli, difficili e tesi, di una famiglia che dall’oggi al domani si ritrova ad affrontare la realtà del precariato e della difficoltà economica; le nuvole sono quelle che dal cielo talvolta riflettono la poetica luce del sole ed altre racchiudono la pioggia e la neve, così come è la vita, sospesa tra intermittenti zone di chiaroscuro. Infine, nella sezione più interessante di tutte, Extra, viene offerta una curiosa riflessione cinematografica che, partendo da un parallelo alquanto coraggioso, innerva diverse problematiche umane e sociali. Si tratta del film documentario Le pere di Adamo di Guido Chiesa, nel quale il regista pone in parallelo la volubilità, anche qui, delle nuvole, con quella dei movimenti e delle proteste che spesso sfociano in vere e proprie ribellioni violente. Eccentrico, certo, ma interessante: prendendo come spunto gli intermittenti francesi che nel 2003 bloccarono tutto il comparto dello spettacolo in Francia, si mette a confronto l’irrazionalità del clima e della società, che non presuppongono entrambi previsioni certe, e la razionalità dei numeri e delle note musicali, fondendo inaspettatamente storia sociale, vita reale, teorie filosofiche e moderna meteorologia. Detto a voce sembra impossibile, ma visto sullo schermo tutto si ricompone e assume, inaspettatamente, i contorni di un’opera di poesia. (A cura di Luca Pellegrini)

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    24 Ore nel Mondo



    Sedici civili, tra cui 6 donne e 3 bambini, muoiono in Iraq per un raid aereo americano - InAfghanistan, le forze NATO avrebbero ucciso 11 membri di una famiglia
     

    ◊   Sedici civili morti in Iraq, con tutta probabilità colpiti da un raid aereo americano: sembra che un elicottero da combattimento USA abbia avvistato tre contadini intenti ad irrigare un campo nei pressi del villaggio di Dijal. Probabilmente, scambiandoli per terroristi, ha aperto il fuoco, ferendone due. Il terzo è riuscito a portare gli altri in un’abitazione, dove nel frattempo si erano radunate molte altre persone del villaggio. Poco dopo, l'elicottero è tornato e ha bombardato la casa: tra le persone rimaste uccise, anche sei donne e tre bambini. Sulla vicenda "è stata aperta un'inchiesta". Inoltre, si deve riferire anche di tre morti nella città di Baquba, in seguito all'esplosione di un ordigno. Almeno 14 sono i feriti.

    - E stamane è giunta notizia di undici membri di una famiglia afghana che sarebbero stati uccisi ieri in Afghanistan, in un attacco aereo da parte delle forze occidentali vicino a Kabul. Lo riferisce il capo di un consiglio provinciale locale, mentre la NATO, dopo aver ammesso di aver condotto un attacco aereo contro i miliziani in un'area remota della provincia di Wardak uccidendo vari insorti, si è impegnata a verificare le morti tra i non combattenti. I talebani si sono infiltrati nel Wardak in questi ultimi mesi, lanciando attacchi contro le forze afghane e le truppe occidentali. Il ripetersi di attacchi con vittime civili in Afghanistan alimenta l'ostilità verso le forze straniere: il governo del presidente, Hamid Karzai, sostenuto da governi occidentali, ha ripetutamente chiesto alle truppe USA e NATO di fare tutto il possibile per evitare la morte di civili. Secondo i dati presentati dall'ONU, da funzionari afghani e dalle forze straniere, più 7.000 persone sono state uccise negli ultimi due anni: sono per la maggior parte insorti, ma anche centinaia di civili. Più di 370 sono stati uccisi quest'anno, secondo i funzionari afghani. Le forze occidentali contestano queste stime, ma ammettono che alcuni civili sono stati uccisi, la maggior parte quando i talebani sferrano i loro attacchi a partire da case di civili.

    - Osama Bin Laden è tornato a lanciare un nuovo messaggio audio, trasmesso dalla televisione satellitare araba Al Jazeera: il terzo di questi ultimi sei mesi, dopo quelli del 7 e dell'11 settembre. Nessuna minaccia concreta da parte del capo di Al Qaeda, ma un appello all’unione tra i ribelli iracheni. Stefano Leszczynski ha chiesto a Loretta Napoleoni, giornalista ed esperta di terrorismo, le ragioni di tale frammentazione della guerriglia islamica:


    R. - Dalla morte di Al Zarqawi, c’è stata una proliferazione dei gruppi, proprio perché manca la figura carismatica del grande leader. Questo video sicuramente conferma l’errore che è stato fatto di non sostituire Al Zarqawi con una figura di altrettanta portata come capo carismatico. Quanti sono i gruppi? Sicuramente ci troviamo di fronte a centinaia e centinaia di gruppi e gruppuscoli legati alle varie tribù e questo è molto importante, secondo me, perché dimostra come la mancanza di unità vada a detrimento degli ideali di Al Qaeda e quindi del messaggio di Al Qaeda, della costituzione di un califfato.

    - Due attivisti armati della Jihad islamica sono stati uccisi all'alba durante una sparatoria con soldati israeliani nei pressi di Jenin, nella Cisgiordania settentrionale. Un ufficiale israeliano è stato ferito leggermente durante la sparatoria, ha detto il portavoce, aggiungendo che durante l'operazione sono stati arrestati sei ricercati palestinesi. E ripetuti lanci di razzi da Gaza verso obiettivi israeliani sono segnalati da ieri in diverse località del Neghev settentrionale. Non si ha notizia di vittime. Ieri, miliziani palestinesi hanno indirizzato razzi verso la città di Sderot e colpi di mortaio verso i villaggi agricoli israeliani vicini alla Striscia. Parte di questi attacchi sono stati rivendicati dal braccio armato della Jihad islamica. Intanto, migliaia di palestinesi detenuti in Israele osservano oggi una giornata di sciopero della fame in segno di protesta dopo gli incidenti divampati ieri nel carcere di Ketziot (Neghev), costati la vita a un detenuto e varie ferite a molti altri. Il governo dell'ANP ha severamente criticato la violenta repressione delle proteste e, in solidarietà con i detenuti, l'Associazione palestinese per i prigionieri ha organizzato oggi una manifestazione nel centro di Ramallah.

    - Il presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, non ha concluso anticipatamente la sua visita in Armenia, ma l'ha portata a termine ''rispettando il programma previsto''. Lo afferma uno dei consiglieri più vicini ad Ahmadinejad, smentendo così le ''notizie diffuse da media occidentali'' secondo le quali appunto il presidente aveva interrotto anticipatamente la visita.

    - Dopo l’annuncio di un imminente arrivo due giorni fa, sembra che stamane abbiano davvero lasciato Teheran per Roma Said Jalili e Ali Larijani, il capo negoziatore iraniano sul nucleare e il suo predecessore, che devono incontrare Javier Solana, responsabile della politica estera comune della UE. L'incontro avviene tre giorni dopo la sostituzione di Larijani a capo dei negoziatori, per la quale l'Iran non ha fornito spiegazioni. Solana rappresenterà nei colloqui tutto il gruppo dei "cinque più uno", cioè USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania, che alla fine di novembre potrebbero decidere sanzioni pesanti contro Teheran nel caso non venissero ritenute soddisfacenti le informazioni fornite per fare piena chiarezza sul suo programma nucleare. L'incontro avviene una settimana dopo lunghi colloqui riservati avuti dal presidente russo, Vladimir Putin, a Teheran con le massime autorità iraniane, tra le quali la Guida suprema, l'ayatollah Ali Khamenei.

    - Idriss Osman, responsabile del Programma alimentare mondiale (PAM) per Mogadiscio, è stato rilasciato. Osman era stato arrestato il 17 ottobre, nel corso di un'irruzione effettuata da soldati somali nella sede ONU di Mogadiscio, compiuta in violazione della normativa internazionale che protegge tali uffici. Immediatamente, il PAM sospese gli aiuti alla stremata popolazione della capitale somala (avrebbero dovuto riguardare un bacino di 75.000 persone), aiuti che peraltro aveva appena ripreso dopo averli sospesi in giugno per mancanza di sicurezza. L'arresto ingiustificato - nessuna spiegazione è stata infatti fornita - aveva suscitato un'ondata di proteste internazionali, ed in particolare da parte dell'ONU.

    - Nel corso di combattimenti avvenuti sabato e domenica, il Fronte nazionale per la liberazione dell'Ogaden (ONLF) avrebbe ucciso almeno 250 soldati delle truppe governative etiopiche, tra cui 13 ufficiali, e distrutto 12 veicoli dell'esercito. Non c'è per ora alcuna conferma indipendente, così come non c'era stata dopo un analogo annuncio fatto domenica scorsa, in cui il Fronte dei ribelli affermava di aver ucciso in combattimento almeno 140 soldati etiopici. In quella circostanza, il governo di Addis Abeba smentì seccamente. L'Ogaden, ufficialmente "Quinta Regione", è un'area geograficamente molto ampia, quando arida, nell'est dell'Etiopia, confinante con la Somalia, di cui si sente parte integrante. La popolazione è di fatto tutta di etnia somala, oltre che di religione musulmana. Da sempre sono in corso moti indipendentisti, e per l'Ogaden tra Somalia ed Etiopia sono state pure combattute due guerre una negli anni Cinquanta, una 20 anni dopo.

    - Opyio Makasi, uno dei principali leader dell'Esercito di resistenza del signore, (LRA), che per oltre 20 anni ha crudelmente insanguinato il nord dell'Uganda, si è arresto alle forze ONU in Congo. Lo rendono noto fonti ufficiali. Non è il primo caso di resa di dirigenti dell'LRA, ma certo è quello più importante. Opiyo, che si è consegnato con la moglie, era il responsabile operazionale della logistica. E', tra l'altro, uno dei leader dell'LRA ricercati dal Tribunale internazionale dell'Aia per crimini di guerra. La sua resa getta una nuova ombra sui colloqui di pace tra LRA e governo ugandese che si svolgono - in realtà si trascinano- da oltre un anno a Giuba, capitale del sud Sudan. Sembra essere vincente la strategia del presidente ugandese, Yuweri Museveni, che mira a sfiancare i mediatori dei ribelli, peraltro non compatti sulla stessa linea. Voci insistenti parlano anche di grandi giri di denaro intorno alla trattativa. Intanto, la guerriglia è ferma. Ma le cicatrici resteranno indelebili: almeno 100 mila morti e due milioni di sfollati, tra atrocità spaventose.

    - Cinque feriti, fra cui un poliziotto e due giornalisti, e dodici fermi: sono il bilancio dei disordini fra dimostranti antigovernativi e polizia avvenuti ieri sera a Budapest, nella ricorrenza della rivolta del 1956. Il capo nazionale della polizia, Jozsef Bencze, ha annunciato per oggi una conferenza stampa. Fra i feriti il più grave è un operatore dell'agenzia Reuters, ferito alla testa da dimostranti estremisti. Fra le persone fermate, anche Laszlo Toroczkai, presidente dell'organizzazione "64 contee" (che rivendica i territori dell'Ungheria persi nel 1918), il quale aveva guidato il corteo non autorizzato dei dimostranti al teatro dell'Opera.

    - I dati relativi allo scrutinio del 100% dei seggi elettorali in Polonia confermano la larga vittoria di Piattaforma civica (PO) di Donald Tusk sul partito Diritto e Giustizia (PiS) del premier conservatore, Jaroslaw Kaczynski. Al PO è andato il 41,51% dei consensi, rispetto al 32,11 ottenuto dal PIS. Gli altri due partiti che hanno superato lo sbarramento del 5%, entrando così in parlamento, sono Sinistra e Democratici (LiD) dell'ex presidente postcomunista, Aleksander Kwasniewski, che si è aggiudicato il 13,15% e il Partito dei contadini (Psl) di Waldemar Pawlak con l'8,91%.

    - L'Albania è "all'ultimo chilometro sulla strada del processo dell'integrazione e delle riforme" chiesto dalla comunità internazionale. Lo ha ribadito stamani il premier, Sali Berisha, intervenendo ad un convegno organizzato nell'ambito dell'interscambio commerciale tra Albania e Germania. Il primo ministro ha così replicato al segretario generale della NATO, Jaap de Hoop Scheffer, il quale la settimana scorsa aveva sottolineato che il Paese balcanico deve realizzare ancora molti progressi per poter entrare nell'Alleanza atlantica, ma che comunque la decisione sarà presa dai 26 Stati membri nella riunione di Bucarest del prossimo aprile. Negli ultimi tempi - ha spiegato Berisha - ''sono state fatte riforme importanti, ad esempio nella lotta alla criminalità organizzata, alla corruzione nella pubblica amministrazione, nel campo economico, dove stanno arrivando gli investimenti internazionali''. ''Le riforme - ha insistito il premier - vanno avanti senza sosta, il governo è deciso a continuare su questa strada, sino al summit di Bucarest, per meritare l'invito a entrare nella NATO.

    - L'inviato speciale dell'ONU per la Birmania, Ibrahim Gambari, arriverà a Pechino domani per uno ''scambio di idee'' con i dirigenti cinesi. La Cina ha grossi investimenti in Birmania e mantiene buone relazioni con la giunta militare al potere. Dopo la sanguinosa repressione delle manifestazioni a favore della democrazia delle scorse settimane, Pechino è stata criticata per i suoi rapporti con la giunta da molti gruppi umanitari, alcuni dei quali hanno proposto il boicottaggio delle Olimpiadi del 2008 di Pechino. Gambari ha affermato che la Cina ''ha aiutato'' nell'ottenere il consenso dei militari alla sua visita in Birmania, effettuata alla fine di settembre. Nel corso della visita, Gambari ha chiesto ai militari birmani di organizzare un dialogo con l'opposizione, guidata dalla premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi. Gambari, che dovrebbe tornare in novembre in Birmania (o Myanmar, come l'hanno ribattezzata i militari), si tratterrà a Pechino per due giorni.

    - Il presidente vietnamita, Nguyen Minh Triet, ha concesso l'amnistia ad oltre 8000 detenuti in occasione della festa nazionale del Paese comunista, secondo quanto hanno annunciato oggi responsabili governativi. In tutto, 8018 prigionieri saranno liberati e altri 48 che non avevano cominciato ancora a scontare la pena non andranno in carcere. Tra questi vi sono 13 stranieri, tutti asiatici. L'ex star britannica del rock degli anni settanta, Gary Glitter, condannata nel 2006 a tre anni di carcere duro per abusi sessuali su minori aveva chiesto di poter usufruire dell'amnistia, richiesta che come previsto gli è stata rifiutata. Secondo il viceministro per la Sicurezza pubblica, Le The Tiem, tra i detenuti che saranno liberati vi sono ''11 persone condannate per attentato alla sicurezza nazionale'', ma non ha specificato in base a quali articoli siano perseguiti. I dissidenti politici in Vietnam sono generalmente condannati in base all'articolo 88 del Codice penale, che tra l'altro punisce qualunque propaganda contro il regime comunista.

    - Sconosciuti hanno lanciato ieri ordigni esplosivi a Santa Cruz, nella Bolivia meridionale, contro il locale consolato del Venezuela e la residenza di alcuni medici cubani, in attentati che il governo del presidente, Evo Morales, ha addossato al prefetto della provincia, Ruben Costas. E’ quanto riferiscono i media boliviani. Riferendosi agli insulti rivolti da Costas al presidente venezuelano, Hugo Chavez, il ministro dell'Interno boliviano, Alfredo Rada, ha sostenuto che ''questi discorsi irrazionali, carichi di odio, sono stati l'elemento scatenante degli attentati della mattinata''. Da tempo ,il governo di Santa Cruz - località al centro della regione più ricca della Bolivia - è espressione dei settori più critici nei confronti del presidente Morales. Compiuti lanciando cariche di dinamite da auto in corsa, gli attentati hanno causato danni al tetto di una casa vicino al consolato venezuelano e alla residenza di alcuni medici cubani impegnati in programmi sanitari in Bolivia. Appreso l'episodio, il ministro degli Esteri venezuelano, Nicolas Maduro, ha definito ''terroristi'' gli autori dell'attentato e assicurato che Caracas manterrà, e se necessario aumenterà, il sostegno morale, politico e materiale alla Bolivia. Due settimane fa Chavez, che appoggia apertamente il suo collega boliviano, ha sostenuto che se la destra si proponesse di rovesciare o assassinare il capo dello Stato, ''il Venezuela non resterà con la braccia conserte'' e sicuramente vi sarebbe una resistenza ''anche con l'uso di mitragliatrici''. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)


     Da domenica 28 ottobre il Radiogiornale della sera in lingua italiana, andrà in onda alle ore 19.30 sulle onde medie di 585 e 1.530 kHz e in modulazione di frequenza di 105 MHz. La trasmissione andrà in replica alle ore 21.00 e 23.00.
     

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI no. 295
     
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