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SOMMARIO del 27/11/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • In Vaticano, in corso la visita "ad Limina" dei vescovi della penisola di Corea
  • Gli ortodossi apprezzano Benedetto XVI, perché sottolinea la necessità di una comunione vissuta: il pensiero di mons. Pezzi, arcivescovo della Madre di Dio a Mosca
  • Oggi in Primo Piano

  • Alla Conferenza di Annapolis, presente anche la Santa Sede con una delegazione guidata da mons. Parolin
  • Centinaia di milioni di dollari per il Bangladesh del dopo-Sidr, ma l'emergenza resta alta. L'opinione di Marco Bertotto di AGIRE, e di padre Giampaolo Gualzetti del PIME
  • Pubblicato il Rapporto del Programma ONU per lo sviluppo umano: "Ridurre dell'80 per cento i gas serra entro il 2050"
  • Chiesa e Società

  • In crescita il consumo di droghe in Europa, secondo uno studio presentato oggi a Roma
  • Allarme razzismo in Europa. Lo rivela un rapporto stilato da seicento organizzazioni non governative
  • “La Chiesa a servizio dell’Iraq” così il neo-cardinale Emmanuel III Delly nella messa di ieri a Roma dopo aver ricevuto la porpora dal Papa
  • Appello della Conferenza Episcopale Boliviana per la fine delle violenze seguite all’approvazione della bozza della nuova Costituzione
  • I vescovi del Venezuela criticano la riforma costituzionale: "Limita i diritti umani"
  • Dopo le tensioni riapre la Cattedrale primate del Messico
  • Preoccupazione della Conferenza episcopale pakistana per lo stato d’emergenza nel Paese, deciso dal presidente Musharraf
  • In Sud Sudan la gente vuole la pace. Lo assicura l’arcivescovo di Giuba, mons. Paulino Lukudu Loro
  • Vent’anni fa la nascita in Kenya del "Collegio Tangaza" centro di spiritualità africana
  • Australia: i vescovi pregano affinchè il nuovo governo laburista metta al centro della politica la giustizia sociale
  • La Chiesa del Kirghizistan piccola ma molto impegnata nell’apostolato
  • In Spagna celebrata la “Giornata dei senzatetto” per lanciare l’allarme sul fenomeno
  • A Berlino è nata la “Fondazione Kolbe” per la riconciliazione in Europa
  • La città di Perugia si riunisce per ricordare Meredith Kercher. È un’iniziativa della pastorale diocesana universitaria
  • Diocesi di Roma: al via domani le "catechesi cittadine" per i giovani
  • 24 Ore nel Mondo

  • Lo spettro delle violenze del 2005 nelle periferie parigine, ancora teatro di scontri
  • Il Papa e la Santa Sede



    In Vaticano, in corso la visita "ad Limina" dei vescovi della penisola di Corea

    ◊   E’ iniziata la visita ad Limina apostolorum dei vescovi della Corea, che nei prossimi giorni saranno ricevuti da Benedetto XVI: un incontro atteso per affrontare le importanti sfide pastorali poste alla Chiesa cattolica nel Paese asiatico. Il servizio di Roberta Gisotti:

    Già sottoposta alla sovranità giapponese, occupata nel ’45 al nord dalla Russia e al sud dagli Stati Uniti, separata in due Stati nel 1948, passa attraverso una sanguinoso conflitto civile scoppiato nel ’50, che contrappone l’asse Mosca-Pechino alla coalizione internazionale guidata dagli USA, su mandato dell’ONU, oggi la Corea è sulla via di una ricercata e complessa pacificazione. Il 4 ottobre scorso, a Pyongyang, al secondo Vertice intercoreano, c'è stata la firma di una storica Dichiarazione per lo sviluppo delle relazioni, la pace e la prosperità tra le due Coree, che sulla carta sono ancora in guerra, dopo l’armistizio firmato nel ’53.
     L’accordo non ha però affrontato il tema dei diritti umani e della libertà religiosa, ha commentato mons. Lucas Kim Un-hoe, vescovo ausiliare di Seoul, presidente della Commissione dei presuli per la riconciliazione del popolo coreano, e troppo blandi - ha aggiunto - sono stati gli impegni presi la denuclearizzazione del Nord e la riunificazione delle famiglie.
     Ampia la presenza di cattolici - ben 5 milioni - in questo Paese asiatico, concentrati tutti nella Corea del Sud, oggi è la quarta nazione in Asia per numero di cristiani, dopo Filippine, India, e Vietnam. La Chiesa cattolica sudcoreana vanta anche il primato nel mondo intero per le conversioni adulte, più di 100 mila l’anno, sebbene negli anni in leggero calo, così come anche le vocazioni e la pratica religiosa. Di questi aspetti pastorali, si dicono preoccupati i vescovi coreani di fronte al crescente secolarismo favorito da modelli e stili di vita occidentali, diffusi dalla globalizzazione e dai media, che stanno pervadendo anche la società coreana, dove si espandono anche nuovi movimenti spirituali e pseudo-religiosi. Tra i campi che vedono la Chiesa coreana in prima linea: la lotta all’aborto, alla pena di morte, alla clonazione di embrioni umani, ai progetti dannosi per l’ambiente, alle guerre e alla corsa agli armamenti.
    Da sempre impegnata per la piena riconciliazione nazionale, la Chiesa coreana soffre la totale assenza di sacerdoti residenti nella Corea del Nord, dove pure è stata fondata la chiesa di Janchung a Pyongyang e dove non è mai mancata l’assistenza materiale e spirituale dei confratelli della Corea del Sud.

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    Gli ortodossi apprezzano Benedetto XVI, perché sottolinea la necessità di una comunione vissuta: il pensiero di mons. Pezzi, arcivescovo della Madre di Dio a Mosca

    ◊   La giornata di riflessione che ha preceduto il Concistoro per la creazione di 23 nuovi cardinali conferma il convinto impegno ecumenico di Benedetto XVI. Una priorità indicata dal Papa fin dall’inizio del suo Pontificato. Per un commento sul modo in cui questo impegno viene percepito nel mondo ortodosso, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo metropolita dell’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, Paolo Pezzi:


    R. - Mi pare che il giudizio che viene dato nel mondo ortodosso sia generalmente positivo, soprattutto per due ragioni. La prima, per il fatto che il Papa dà un accento ecumenico non generico, ma coglie nell’ecumenismo la necessità di una comunione vissuta. E questo mi sembra un aspetto molto ben recepito. Il secondo motivo risiede nel desiderio espresso dal Santo Padre di fare tutto il possibile per rimuovere quelli che possono essere degli ostacoli ad una piena comunione. Quindi, anche il desiderio di non nascondersi di fronte ai problemi che si possono manifestare, ma al contrario avere la pazienza e nello stesso tempo il coraggio di affrontarli.

     
    D. - Lei, mons. Pezzi, ha incontrato il Papa nei giorni scorsi. Un segno ulteriore dell’attenzione di Benedetto XVI per la Chiesa russa e per il dialogo con gli ortodossi...

     
    R. - Nell’incontro che ho potuto avere con Benedetto XVI ho colto immediatamente la passione del Papa per il bene della Chiesa cattolica, ovunque si trovi, e quindi anche per il piccolo gregge presente a Mosca. In secondo luogo, ha manifestato il suo interessamento per quella che è la nostra apertura nel rapporto con l’ortodossia.

     
    D. - Commentando la sua nomina, il metropolita ortodosso, Kirill, ha sottolineato che tra la Chiesa cattolica e ortodossa è “tempo di disgelo”. Tuttavia, non mancano le difficoltà. Sul documento di Ravenna, il Patriarcato ha espresso molte riserve. Su quali punti si può dar vita ad una nuova fase nei rapporti tra Roma e Mosca?

     
    R. - A me pare che ci siano due strade che ci possono essere di grande aiuto. La prima: non temere di mettere in comune, di condividere anche i punti di difficoltà, i punti di diversità, quelli che potremmo dire sono gli ostacoli o i problemi a questa comunione. La seconda: c’è un terreno che - mi sembra - stia divenendo un terreno sperimentale di questo cammino. Un terreno sociale, un terreno comune, in cui i valori radicati in Cristo possano essere certamente occasione di dialogo e di incontro.

     
    D. - Abbiamo fatto riferimento alle relazioni tra i vertici delle Chiese cattolica ed ortodossa. Come sono oggi i rapporti alla base in Russia tra cattolici ed ortodossi?

     
    R. - In determinate regioni, ci sono rapporti più intensi e significativi, oserei dire di amicizia, soprattutto tra il clero. In altre regioni, invece, questo è più difficoltoso. Mi sembra che soprattutto tra i fedeli occorrerebbe intensificare una maggiore e più veritiera conoscenza delle nostre Chiese, una conoscenza reciproca. Come ben sappiamo, una conoscenza non è mai astratta. Occorre che tale conoscenza sia anche accompagnata dalla carità, quindi, anche da un fare assieme.

     
    D. - Il cardinale Kasper ha ribadito recentemente che un incontro tra il Santo Padre ed il Patriarca di Mosca “sarebbe utile”. Cosa serve per farlo diventare anche possibile?

     
    R. - A questa domanda devo dire, molto sinceramente, che è difficile rispondere. Perché da utile diventi possibile occorre, innanzitutto, che lo si ritenga effettivamente utile. Occorre allora individuare per che cosa questo incontro possa essere utile. Io penso che tale incontro potrebbe essere utile proprio per approfondire il cammino verso una piena comunione. Mi sembra anche una cosa importante che non si faccia dipendere tutto da questo incontro, ma che questo evento sia collocato lungo un cammino e non sia solo un incontro esteriore. Mi sembra che l’indicazione, l’espressione del cardinale Kasper vada in questa direzione, cioè che dall’incontrarsi potrebbe scaturire un impulso al cammino che si sta facendo.

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    Oggi in Primo Piano



    Alla Conferenza di Annapolis, presente anche la Santa Sede con una delegazione guidata da mons. Parolin

    ◊   E’ tutto pronto ad Annapolis per la conferenza di pace sul Medio Oriente. Il premier israeliano, Ehud Olmert, e il presidente palestinese, Abu Mazen, sono giunti negli Stati Uniti ed entrambi hanno espresso l’auspicio per “negoziati seri”. Per la Casa Bianca, l’obiettivo rimane quello della stesura di un documento finale, nonostante finora non si sia trovato alcun accordo. Alla Conferenza, partecipa anche la Santa Sede con una delegazione guidata dal sottosegretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Piero Parolin. Il servizio di Amedeo Lomonaco:


    L’obiettivo, fissato dal presidente statunitense, George Bush, è la convivenza “tra due Stati democratici, Israele e Palestina, che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza”. Non mancano segnali positivi: il portavoce del Ministero degli esteri dello Stato ebraico ha confermato che i negoziatori israeliani e palestinesi hanno compiuto “importanti progressi verso un comunicato congiunto”. In molti sono convinti che, anche se non produrrà nessun risultato eccezionale, la conferenza di Annapolis sia comunque già un successo. E’ quanto sostiene, tra gli altri, l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Oded Ben-Hur intervistato da Luca Collodi:

    R. - Annapolis è giù un gran successo, un grandissimo successo e questo anche un’ora prima dell’apertura. E questo successo si trova nel fatto che finalmente - ripeto finalmente - con grande gioia, con grande attesa e con grande realismo, il mondo arabo, la maggior parte del mondo arabo, ha deciso di andare avanti, di accettare il fatto che ci debba essere una via di uscita a queste tragedie che hanno colpito le due parti. Dico, quindi, un grande successo. Grazie a Dio, per la prima volta, Annapolis e il giorno dopo non dipenderanno molto dai titoli dei giornali ma dalla vera voglia del mondo arabo e dei palestinesi - che penso nella maggior parte vogliano la pace e vogliano essere lasciati in pace, che è per noi è la stessa cosa - di dare un avvio a questo processo così voluto e così mancato.
     
    Ma nello Stato ebraico e nei Territori palestinesi non mancano forti scetticismi. In Israele all’ottimismo del premier, Ehud Olmert, si contrappone l’oltranzismo dell’ala dura della destra, sia all’interno della coalizione di governo, sia del Likud. Al summit non è stato invitato inoltre il movimento palestinese di Hamas, che ha già annunciato di voler ignorare le decisioni del vertice. Nella Striscia di Gaza, per dimostrare che Abu Mazen non gode dell’appoggio della popolazione di Gaza, Hamas ha anche indetto una manifestazione davanti al parlamento. Alla protesta hanno aderito anche la Jihad islamica e altri gruppi estremisti. Secondo alcuni osservatori, le intenzioni del premier israeliano e del presidente palestinese possono poi diventare ostaggio di pericolosi estremismi. Ascoltiamo al microfono di Fabio Colagrande, il giornalista palestinese, Samir Al Qariouti, corrispondente della radio televisione palestinese a Roma ed opinionista di diverse testate arabe tra cui Al-Jazeera:

    R. - I due che sono ostaggio dell’estremismo sono entrambi deboli. Abu Mazen non ha una base popolare che lo può sostenere: ha tante divergenze con Hamas, che naturalmente lo invia a questo vertice ancora più debole. Olmert, da parte sua, cerca soltanto di arrivare ad un obiettivo personale: cancellare il suo fallimento nella guerra del Libano. La partecipazione dei Paesi arabi è importante, ma dovrebbe aiutare la pace e non fare un favore ad Israele, perché per partecipare tutti alla fine poi non si ottiene niente.

     
    D. - Come la gente guarda a questo vertice? Avete dei riscontri?

     
    R. - Si riscontra che c’è molto scetticismo. Basta girare sui siti Internet. Da parte israeliana ci sono tanti problemi nel Paese e ci sono tante dichiarazioni contraddittorie, perché il problema è l’Iran e non la questione palestinese o la questione della pace in Medio Oriente. Come quella di risolvere il problema dell’Iran.

    Fa comunque sperare l’ampia partecipazione internazionale: alla Conferenza, infatti, prendono parte quasi 50 delegazioni. Quella della Santa Sede sarà guidata da mons. Pietro Parolin, sottosegretario per i Rapporti con gli Stati. Ci sono anche rappresentanti sauditi e siriani. “La Siria - fanno sapere esponenti del governo di Damasco - continua ad essere impegnata nell’iniziativa araba di pace”. La partecipazione saudita alla conferenza riveste, infine, particolare importanza per il ruolo politico e religioso di questo Paese nel mondo arabo. L'Arabia Saudita, che non ha rapporti con Israele come la maggior parte degli arabi, propone la normalizzazione dei rapporti in cambio di una pace globale.

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    Centinaia di milioni di dollari per il Bangladesh del dopo-Sidr, ma l'emergenza resta alta. L'opinione di Marco Bertotto di AGIRE, e di padre Giampaolo Gualzetti del PIME

    ◊   Anche se sta scomparendo dall'orizzone informativo dei media, la tragedia cha ha colpito il Bangladesh dopo il passaggio del ciclone Sidr non ha subito un "black out" di solidarietà. Circa 400 milioni di dollari sono stati stanziati da vari enti internazionali. Un comunicato della rete di organizzazioni umanitarie AGIRE, ovvero l'Agenzia italiana per la risposta alle emergenze, ha stilato ieri una lista di massima degli aiuti pro-Bangladesh: 100 milioni di dollari - si legge - provengono da Paesi donatori, 250 milioni sono stati messi a disposizione dalla Banca Mondiale, 15 milioni dall'ONU, 3 dalla FAO, 15 dall'UNICEF e altrettanti dalla Commissione europea. Al microfono di Fabio Colagrande, il direttore di AGIRE, Marco Bertotto, fa il punto della situazione, a quasi due settimane dalla catastrofe:


    R. - E’ una situazione molto difficile. Immaginate di evacuare una città come Roma nell’arco di poche ore e trovare milioni di persone che sostanzialmente in queste ore hanno bisogno di tutto. L’aiuto internazionale serve a dare cibo, assistenza medica, medicinali, acqua potabile, coperte e vestiti, che è il grande problema in situazioni come quelle che sta attraversando il Bangladesh. Ci sono 3 milioni di cittadini che si trovano senza un tetto, in fuga da un ciclone che ha devastato le loro abitazioni e che ha devastato il 95 per cento delle coltivazioni di riso del Paese. E’ un problema, quindi, nel breve periodo, ma anche una prospettiva molto difficile nel medio e lungo periodo. Si parla di oltre un milione e mezzo di famiglie colpite dal ciclone e ci sono un totale complessivo di 6,7 milioni di persone che, in vario modo e a vario titolo, sono state interessate dal disastro e quindi oggi hanno necessità di un intervento e di assistenza da parte dell’esterno.

     
    Oltre alla massa di sfollati e senza tetto - stando alle ultime cifre fornite dal governo di Dacca - i morti causati dal ciclone Sidr sono tremila, ai quali vanno aggiunti più di 1.700 dispersi e circa 29.000 feriti, con 650 mila ettari di coltivazioni devastati. Tuttavia, la tragedia avrebbe potuto essere ben peggiore senza i sistemi di previsione dei fortunali, messi a punto sulla base delle drammatiche esperienze del passato, come quella del terribile tifone del 1991. Lo conferma il missionario padre Giampaolo Gualzetti, direttore del PIME di Milano, appena rientrato dal Bangladesh dove ha vissuto per 15 anni. L'intervista è di Fabio Colagrande:


    R. - Da allora si è imparato molto. Ci sono state cooperazioni internazionali per costruire i rifugi per cicloni e c’è stato anche un monitoraggio per poter poi avvisare in tempo, via radio o via televisione, la gente. E questo è servito perché molta gente si salvasse in quest’ultimo ciclone. Un buon merito è che le persone che sono state colpite hanno trovato rifugio nelle scuole e nelle chiese. Ciò che era di muratura ha tenuto; contro quello che, invece, era costruito in lamiera o in intreccio di bambù il vento e l'onda hanno avuto buon gioco.

     
    D. - Padre Gualzetti, al di là di questi sviluppi in campo tecnologico, pensati per prevenire questi disastri, cosa può dirci sulla capacità di reazione delle popolazioni locali?

     
    R. - Sorprende sempre la loro capacità di reagire. La gente ha la capacità di sopportare questi tempi duri e poi di ricominciare. Sono arrivate alcune foto dove si vedevano ragazzini che tagliavano gli alberi per liberare le strade. Dunque, un po’ tutti cooperano per quello che è possibile.

     
    D. - Si dice spesso che i missionari imparano molto dai popoli che vanno ad evangelizzare. Lei cosa ha imparato da quella gente?

     
    R. - Io ho imparato l’accoglienza, ad avere pazienza anche nei momenti duri, sempre con la speranza che qualcosa cambi. E poi c'è quel loro sorriso che sempre disarma, quella capacità di dire: “Sono sì nel dolore, nella difficoltà, però non sono solo, ci sei anche tu”. In altre parole, nell’incontro, quel sorriso ti accoglie sempre e dopo si compie un cammino insieme.

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    Pubblicato il Rapporto del Programma ONU per lo sviluppo umano: "Ridurre dell'80 per cento i gas serra entro il 2050"

    ◊   Il clima cambia rapidamente e la responsabilità è dei Paesi industrializzati che non riducono le emissioni di gas serra. A puntare chiaramente il dito in questa direzione è il Rapporto sullo sviluppo umano 2007/2008, pubblicato dall'UNDP, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo umano e intitolato "Resistere al cambiamento climatico". Il Rapporto chiede un'azione urgente per allineare le politiche energetiche all'obiettivo di ''ridurre le emissioni di gas serra di almeno l'80 per cento entro il 2050''. Le Nazioni Unite fanno inoltre notare che a fare le spese maggiori di questa situazione sono proprio i Paesi meno industrializzati. Lo spiega nell’intervista di Stefano Leszczynski, il direttore dell’UNDP di Bruxelles, Antonio Vigilante:

    R. - Il cambiamento climatico non è un fenomeno esogeno, naturale, scientifico, ma è un fenomeno che riguarda la vita delle persone e la loro possibilità di vivere in condizioni decenti. I più colpiti, già oggi, sono gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo ed i Paesi più poveri, che sono i più vulnerabili e che hanno, tra l’altro, meno responsabilità nell'aver creato una situazione insostenibile per quanto riguarda la concentrazione di gas serra nell’atmosfera.

     
    D. - Di cambiamento climatico si parla da decenni. Come mai questo ritardo nell’intervenire?

     
    R. - Per molto tempo, c’è stato uno scetticismo, forse interessato, ed una tendenziosità nell’asserire la non connessione fra le emissioni di gas serra ed il mutamento climatico. A livello politico si è poi dovuto cominciare ad ammetterlo e a prenderne coscienza. Indubbiamente, penso che anche l’intensificarsi di fenomeni atmosferici in zone magari prima non interessate, abbia sensibilizzato l’opinione pubblica e, quindi, esercitato anche una pressione sui politici.

     
    D. - In sostanza, l’impatto dei disastri ambientali sulle popolazioni povere è molto più grave di quello che subiscono le regioni più ricche e sviluppate...

     
    R. - E’ proprio così e questo rischia di aumentare le disuguaglianze globali anche all’interno dei Paesi. Se quello che, ad esempio, investe Londra per proteggersi da allagamenti fosse disponibile per i Paesi in via di sviluppo, questi avrebbero ben altra capacità di resistenza.

     
    D. - Non mancano, però, risorse e non mancano le potenzialità finanziarie per porre rimedio a questa situazione...

     
    R. - Esistono delle iniziative molto promettenti ed è proprio per questo che bisogna stabilire un prezzo delle emissioni, che renda più conveniente l’energia da fonti alternative e rinnovabili e l’innovazione tecnologica. Bisogna anche stabilire dei "tetti" di emissioni, con un sistema anche di scambio di quota, in modo che si possa creare un mercato serio che dia un prezzo all’emissione e quindi, in sostanza, all’inquinamento. Questo potrebbe favorire degli sviluppi tecnologici alternativi e, tra l’altro, la ricerca e l’innovazione potrebbero favorire nuovi investimenti, quindi crescita economica ed anche nuova occupazione. Non tutto è negativo nello scenario futuro, ma esistono anche delle ricadute positive.

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    Chiesa e Società



    In crescita il consumo di droghe in Europa, secondo uno studio presentato oggi a Roma

    ◊   Oltre 7 mila persone muoiono ogni anno in Europa per overdose, un numero che ha ricominciato a crescere dopo la battuta di arresto registrata tra il 2001 e il 2003. A riportarlo è la dodicesima relazione annuale dell’Agenzia Europea delle Droghe, presentata oggi a Roma. Nei 27 Stati membri, il consumo di stupefacenti si è stabilizzato, e, in alcuni casi, come quello dell’eroina, è diminuito, ma in generale continua a mantenersi ai massimi storici. I tossicodipendenti nell’Unione sono un milione e mezzo. Circa tre milioni di cittadini comunitari, tra i 15 e i 64 anni, fanno uso quasi quotidiano di cannabis, la sostanza illecita più diffusa nel continente. Al secondo posto la cocaina, assunta negli ultimi dodici mesi da quattro milioni e mezzo di europei, un milione in più rispetto al 2006. Più positiva la valutazione sul tasso di trasmissione dell’HIV, con cui convivono circa 200 mila tossicodipendenti. La diminuzione del consumo di droga, per via parenterale, cioè tramite siringa, ha portato, infatti, ad una drastica riduzione del contagio. Tra i progressi fatti dall’Europa nella lotta alla droga, il responsabile del coordinamento istituzionale dell’Agenzia, Danilo Ballotta, sottolinea un incremento significativo degli investimenti nelle attività di prevenzione e riduzione del danno: una spesa annuale compresa tra i 13 e i 36 miliardi di euro. Aumentano anche gli interventi di contrasto dell’offerta, grazie ad una crescente collaborazione tra gli Stati. A breve sarà costituita in Portogallo una task force, finalizzata a bloccare il traffico di stupefacenti proveniente dall’America Latina e dal Nord Africa. Occorre infine una strategia di lotta globale. L’Europa sta lavorando in sinergia con l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e nel 2008 la comunità internazionale valuterà i progressi compiuti rispetto agli obiettivi fissati dall’ONU stessa 10 anni fa. (A cura di Silvia Gusmano)

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    Allarme razzismo in Europa. Lo rivela un rapporto stilato da seicento organizzazioni non governative

    ◊   Il razzismo è sempre più diffuso in Europa nonostante visibili miglioramenti sulla strada dell’integrazione. E’ quanto si legge nel terzo rapporto stilato dall’ENAR, European network against racism, che raccoglie circa 600 organizzazioni non governative; un ente nato nel 1997 in occasione dell’Anno europeo contro il razzismo. Il rapporto è basato sui sondaggi effettuati in 26 Paesi con domande sulle condizioni di vita delle varie etnie, in particolare i rom, soggetti maggiormente esposti agli atti di intolleranza. Italia, Germania, Danimarca, Finlandia, Grecia e Malta sono le nazioni nelle quali è soprattutto la mancanza di lavoro a generare sentimenti di rifiuto verso gli stranieri. Dall’altra parte, gli stessi immigrati spesso vivono in condizioni di indigenza aggravate dall’assegnazione di mansioni di scarso rilievo e nell’impossibilità di avere una carriera. L’ENAR lancia l’allarme anche per l’applicazione di leggi troppo restrittive in Europa in molti casi, infatti, il razzismo si associa anche al terrorismo. Nell’intervista al presidente dell’ENAR, riportata dall’Osservatore Romano, si chiede un maggior impegno da parte dei governi per migliorare la legislazione “allo scopo di muoverci sempre più – sottolinea Bashy Quraishy - verso un modello di Europa che sia rispettoso dei fondamentali diritti della persona”.(B.C.)

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    “La Chiesa a servizio dell’Iraq” così il neo-cardinale Emmanuel III Delly nella messa di ieri a Roma dopo aver ricevuto la porpora dal Papa

    ◊   Una messa in lingua aramaica è stata celebrata ieri dal neo-cardinale Emmanuel III Delly, patriarca caldeo di Baghdad, nella chiesa di S. Maria in Traspontina a Roma. Nella sua omelia, il porporato ha invitato la comunità cristiana a pregare per il “martoriato popolo iracheno” ed ha lanciato un appello ai giovani affinché seguano la via del sacerdozio per mettersi a servizio della chiesa irachena. “Viviamo giorni difficili” ha detto il card. Delly che ha voluto nuovamente ringraziare il Papa per la porpora cardinalizia: “un dono – ha aggiunto- per tutti gli iracheni”. Sottolineando il suo impegno e quello della Chiesa a servizio dell’Iraq, il cardinale ha affidato poi il Paese del Golfo alla Vergine Maria e “al suo esempio di dedizione e umiltà”. La messa, ripresa dalla tv cristiana irachena “Ishtar”, ha visto la partecipazione di molti fedeli iracheni giunti a Roma per il Concistoro. Come ha riferito al Sir lo stesso card. Delly, Benedetto XVI nell’udienza di ieri ai nuovi cardinali, ha parlato della “visibile felicità” del Papa perché nel gruppo iracheno c’erano “fratelli musulmani delle delegazioni governative”. Un segno per il porporato di “un dialogo sempre aperto ed un inizio di riconciliazione nel Paese”. Sempre al Sir, il card. Delly ha riferito che il Santo Padre ama l’Iraq e prega per il suo popolo “martoriato”. (B.C.)

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    Appello della Conferenza Episcopale Boliviana per la fine delle violenze seguite all’approvazione della bozza della nuova Costituzione

    ◊   Dopo gli scontri a Sucre nei quali hanno perso la vita tre persone e oltre 200 sono rimaste ferite, la Segreteria Generale della Conferenza Episcopale Boliviana, in un comunicato, ha lanciato l’allarme per il clima di violenza che si è creato ed ha invitato la popolazione perché si “abbia rispetto per la vita e si cerchi la pacificazione”. Una strada che deve essere percorsa anche dalle autorità politiche perché “si mettano a servizio del bene del Paese”. Alle persone di pace, “sconcertate e scoraggiate per gli ultimi avvenimenti”, i vescovi chiedono di mantenersi fermi nella loro posizione e di non perdere la speranza che "è possibile la costruzione di un paese attraverso la via del dialogo, nell’attenzione agli emarginati ed agli ultimi della nostra società”. Sono stati numerosi i presuli che nelle loro omelie, domenica scorsa, hanno richiamato alla pace e all’unità. Le violenze nel Paese sono scoppiate dopo che nella tarda serata di sabato, con il voto favorevole di 143 dei 145 parlamentari presenti - su un totale di 255 rappresentanti - l'Assemblea costituente ha approvato la bozza della nuova legge fondamentale della Bolivia. Si tratta in realtà di una “dichiarazione globale” che contiene i grandi principi. L'assemblea ha anche nominato una commissione speciale che dovrà redigere i vari articoli della nuova costituzione. Al precipitare della situazione però la presidente dell'Assemblea, Silvia Lazarte, ha sospeso sine die i lavori, in attesa di una soluzione politica che appare adesso sempre più improbabile, a tre settimane dal termine legale per l'approvazione della nuova Costituzione.(L.B. - B.C.)

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    I vescovi del Venezuela criticano la riforma costituzionale: "Limita i diritti umani"

    ◊   Clima di tensione in Venezuela dove domenica prossima si vota per il referendum popolare sulle sessanta modifiche apportate alla carta costituzionale dal presidente Hugo Chavez. I vescovi, in un documento, hanno nuovamente ribadito che si tratta “di una riforma non necessaria, moralmente inaccettabile e controproducente per il Paese. Oltre a restringere – proseguono i presuli - molti diritti umani, civici, sociali e politici consacrati nell’attuale Costituzione, crea motivi per la discriminazione politica e introduce nuovi ambiti di scontro e polarizzazione fra i venezuelani”. “Tutti i cittadini – si legge nel documento - hanno il diritto di esprimere un’opinione sulla proposta di riforma e anche il diritto ad esprimerla democraticamente”; con questa premessa i presuli condannano gli attacchi contro chi non condivide la riforma e in particolare viene espresso biasimo per gli insulti rivolti contro il cardinale Jorge Urosa Savino, arcivescovo di Caracas, contro altri vescovi e, in generale, contro numerose personalità della società civile. I vescovi chiamano infine tutti gli elettori a partecipare attivamente al referendum del 2 dicembre e “a esprimersi liberamente e responsabilmente col proprio voto”. “Ricordiamo al Consiglio nazionale elettorale - aggiungono testualmente - l'importante obbligo costituzionale, democratico ed etico che ha davanti a Dio e davanti alla patria, di assicurare la trasparenza della consultazione sia nella sua fase elettorale sia per quanto riguarda la consegna dei risultati. Esortiamo tutti i cattolici, tutti i cristiani nonché tutti gli uomini e donne di qualsiasi fede religiosa, a pregare intensamente l'Altissimo affinché tutti possano dare un proprio contributo alla pace”. (L.B. - B.C.)

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    Dopo le tensioni riapre la Cattedrale primate del Messico

    ◊   Sabato scorso ha riaperto la Cattedrale Primate del Messico per la Vigilia della solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. L’edificio era stato chiuso il 18 novembre scorso dopo l’irruzione di un gruppo di 200 persone che avevano interrotto la celebrazione, aggredendo ed insultando i fedeli in preghiera. Immediata era scattata la decisione di chiudere la Cattedrale ma dopo una settimana il Consiglio Episcopale ha deciso di riaprire al culto con i Vespri della Solennità liturgica di Cristo Re. Ai presuli sono giunte molte manifestazioni di solidarietà, tra queste, secondo quanto scrive l’agenzia Fides, anche la lettera inviata dalla Presidenza del CELAM, il Consiglio episcopale latinoamericano, nella quale si esprime solidarietà all’Arcidiocesi e si afferma che “l'irruzione nella Cattedrale è un segno contraddittorio rispetto alla cultura messicana”. (B.C.)

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    Preoccupazione della Conferenza episcopale pakistana per lo stato d’emergenza nel Paese, deciso dal presidente Musharraf

    ◊   Profonda preoccupazione per lo stato d’emergenza, imposto il 3 novembre scorso dal capo dello Stato Musharraf, perchè “sconvolge i cittadini e pone seri dubbi sulla stabilità del Paese e sul suo pacifico cammino verso la democrazia”. Così i vescovi del Pakistan in un documento pubblicato al termine di una riunione straordinaria della Conferenza episcopale, nella quale sono stati affrontati altri argomenti come la crescente militarizzazione delle zone centrali e di quelle settentrionali del Paese, segnale di instabilità e di paura. I presuli invitano alla preghiera perché possa illuminare quanti devono prendere decisioni sul futuro del Pakistan “per trovare la strada – si legge nel testo- verso una democrazia stabile. Il governo deve impegnarsi per la riconciliazione fra i partiti e fra gli stati sociali, che devono usare il loro ruolo per costruire un consenso su questioni di vitale importanza per tutti”. In un’intervista rilasciata ad AsiaNews, mons. Lawrence Saldanha, arcivescovo di Lahore, ha espresso la sua gioia per la decisione di Musharraf di abbandonare la guida dell’esercito. “Una decisione che porrà fine ai timori di chi vede la nascita di una nuova dittatura: la vera speranza di tutti noi – aggiunge il presule - è che i militari stiano lontani il più possibile dalla vita politica del Pakistan, che deve divenire una vera democrazia popolare”. (B.C.)

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    In Sud Sudan la gente vuole la pace. Lo assicura l’arcivescovo di Giuba, mons. Paulino Lukudu Loro

    ◊   Sembra sempre più forte la volontà popolare di arrivare alla pace in Sud Sudan. Lo ha sottolineato ai microfoni di “Sudan Radio Service”, l’arcivescovo di Giuba mons. Paulino Lukudu Loro, commentando il bagno di folla dei giorni scorsi all’arrivo del Presidente del Governo del Sud Sudan, Salva Kiir. Il presule ha lanciato anche un forte appello alla pace “dono di Dio all’umanità” ed ha invitato le fazioni politiche al dialogo. Secondo mons. Paulino Lukudu Loro la popolazione vuole che si continui sulla rotta tracciata dal Naivasha Agreement, l’accordo di pace che dal gennaio 2005 ha determinato l’autonomia del Sud Sudan da Khartoum, fissando per il 2011 il referendum sulla secessione. L’auspicio del vescovo è che anche il recente ritiro dalla coalizione che regge il governo federale da parte dell’SPLM, (il partito separatista del Sud il cui leader è lo stesso Kiir) sia da porre in relazione con la volontà di verificare i progressi compiuti dalla firma dell’accordo. “Se così non fosse - afferma il presule - si andrebbe incontro ad una recrudescenza della guerra civile, ma i popoli del Sudan non sarebbero disposti a seguirli.” L’accordo del 2005 poneva fine a ventidue anni di guerra civile tra il potere centrale di Khartoum, controllato dal National Congress Party, d’ispirazione islamica e l’SPLM o Sudan People’s Liberation Army, braccio armato degli insorti del Sud, in prevalenza cristiani ed animisti. (A.M.)

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    Vent’anni fa la nascita in Kenya del "Collegio Tangaza" centro di spiritualità africana

    ◊   Importante traguardo per il "Collegio Tangaza" di Nairobi che ha festeggiato i venti anni di promozione e di studio della spiritualità. Più di mille studenti di diverse nazionalità, tra i quali religiosi di venti congregazioni e laici, frequentano la scuola di teologia e i 6 istituti affiliati. Al termine dei loro studi ottengono il certificato in spiritualità o il diploma in formazione religiosa e in direzione spirituale. Collabora con il "Collegio Tangaza" l’Università di De Paul a Chicago, che cura anche l’ottenimento di un baccalaureato. La struttura è gestita oggi dai Carmelitani scalzi della comunità di Nairobi, che stanno assolvendo un compito sempre più importante nel promuovere lo studio e nell’impegnare i giovani religiosi africani nel ministero della formazione e della direzione spirituale. Agli inizi di quest’anno il "Collegio Tangaza" ha festeggiato i 10 anni di vita dell’Istituto di spiritualità e di formazione religiosa (ISRF), aperto dal Consiglio superiore carmelitano di Tangaza, su insistenza della Provincia carmelitana anglo-iberica. L’Istituto, nel maggio scorso, in collaborazione con l’Università cattolica dell’Africa Orientale e della Università Teologica Unita di San Paolo del Brasile, ha promosso un'importante conferenza internazionale sulla spiritualità africana con 170 partecipanti. Da questa iniziativa è stato gettato il seme per l’istituzione di un'Associazione africana della spiritualità.(A.M.)

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    Australia: i vescovi pregano affinchè il nuovo governo laburista metta al centro della politica la giustizia sociale

    ◊   La Conferenza Episcopale dell’Australia ha espresso le sue congratulazioni al nuovo governo federale della nazione, guidato dal leader laburista Kevin Rudd, vincitore delle elezioni del 24 novembre scorso. I Vescovi, riuniti a Sydney in Assemblea, riferisce l'Agenzia Fides, hanno colto l’occasione per invitare il governo a tener fede agli impegni promessi, a non deludere le aspettative dell’elettorato e ad operare sempre per il bene comune dell’Australia. Mons. Philip Wilson, Presidente della Conferenza Episcopale, ha auspicato che il nuovo governo persegua politiche che sappiano integrare il benessere economico con la giustizia sociale, con una seria attenzione per la vita e la dignità umana di tutti gli australiani”. I presuli hanno chiesto al governo di adottare politiche “che tutelino e proteggano i più vulnerabili, compresi i nostri fratelli e sorelle aborigeni, i rifugiati e quanti cercano asilo politico, le persone con disabilità e i malati, gli emarginati e i disoccupati”. I Vescovi australiani hanno rivolto grande attenzione alla politica nel periodo pre-elettorale, ricordando che la prima preoccupazione di elettori ed eletti dev’essere il “bene comune” richiamando le questioni di bioetica e la difesa della vita, invitando il governo a contribuire a raggiungere gli Obiettivi del Millennio. (R.P.)

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    La Chiesa del Kirghizistan piccola ma molto impegnata nell’apostolato

    ◊   Ha pochi mezzi ma si dedica con energia all’apostolato la Chiesa cattolica del Kirghizistan. Lo comunica mons. Nikolaus Messmer – riferisce l’agenzia Zenit - amministratore apostolico per la più orientale tra le repubbliche asiatiche nate dalla dissoluzione dell'Unione sovietica. All’Opera “Aiuto alla Chiesa che Soffre” – si legge in un comunicato dello stesso organismo - il presule comunica la speranza che le elezioni parlamentari, in calendario per il 16 dicembre, possano portare alla nascita di un governo attento alla condizione della comunità cattolica del Paese: 600 persone suddivise in tre parrocchie e guidate da soli sette sacerdoti, in assenza di chiese dove celebrare e partecipare alle liturgie. Malgrado le difficoltà mons. Messner si dice ottimista per il futuro e sottolinea che non ci sono problemi di convivenza con la locale comunità musulmana. "Aiuto alla Chiesa che Soffre" ha devoluto 20 mila euro per sostenere la costruzione di un centro parrocchiale cattolico. (C.D.L.)

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    In Spagna celebrata la “Giornata dei senzatetto” per lanciare l’allarme sul fenomeno

    ◊   Con l’intenzione di portare all’attenzione dei media e della società civile il fenomeno dei cosiddetti “barboni” si è celebrata in Spagna, domenica scorsa, la “giornata dei senzatetto” promossa dalle Caritas diocesane in collaborazione con la Federazione delle associazioni dei centri per l’integrazione e l’aiuto agli emarginati. L’iniziativa ha voluto anche portare alla luce gli ostacoli e le difficoltà quotidiane delle persone senza casa che non hanno accesso alla sanità. I problemi di salute sono, secondo i dati dell’associazione, la causa ma anche la conseguenza del vagabondaggio. Le speranze di vita sono pari a 20 anni e i senzatetto hanno problemi di salute fino a 50 volte in più rispetto alla media. La Federazione chiede per tutti un sistema sanitario equo, gratuito e accessibile. (B.C)

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    A Berlino è nata la “Fondazione Kolbe” per la riconciliazione in Europa

    ◊   Rispondere alle devastanti conseguenze dei totalitarismi del XX secolo in Europa con la riconciliazione. Con questa intenzione è nata a Berlino la “Fondazione Maximiliam Kolbe per i modi di riconciliazione in base alla forza della memoria”, i cui beneficiari saranno le vittime di violenze, guerre ed espulsioni. Alla presentazione hanno partecipato il cardinale Karl Lehmann, presidente della Conferenza Episcopale tedesca e il presidente dei ministri del Land Turingia. L’associazione, aperta a tutti indipendentemente dalla religione, dalla confessione e dall’ideologia, ha intenzione di finanziare progetti che rivelino gli effetti delle ingiustizie e della violenza “per rendere – si legge nello statuto della fondazione - praticamente vivibile una nuova coesistenza pacifica”. Il cardinale Lehmann ha sottolineato come i “grandi progetti totalitari” del secolo scorso, abbiano causato “catastrofi materiali e spirituali che ancora esercitano il proprio influsso pertanto - ha ribadito il porporato - si avverte la necessità di un confronto critico e autocritico con la storia nonché la riconciliazione tra le nazioni, un compito che appartiene all’Europa". (B.C.)

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    La città di Perugia si riunisce per ricordare Meredith Kercher. È un’iniziativa della pastorale diocesana universitaria

    ◊   Ricordare Meredith Kercher e tutte le giovani vittime di morti violente. Questo l’intento dei giovani che domani sera parteciperanno alla veglia promossa dai giovani della pastorale diocesana universitaria di Perugia. Pensata in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, nella chiesa dell’Università, a partire dalle 18.30, i presenti si dedicheranno alla lettura di testi biblici e a momenti di meditazione. A celebrare la messa, secondo quanto riporta l'Agenzia Sir, mons. Elio Bromuri, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale universitaria, don Riccardo Mensuali, referente umbro della Comunità di Sant’Egidio e padre Andrea Carrè, francescano, membro della pastorale universitaria. Tutta la cittadinanza è inviata a partecipare. (C.D.L.)

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    Diocesi di Roma: al via domani le "catechesi cittadine" per i giovani

    ◊   Partiranno domani sera alle ore 20,30, dalla Basilica di San Carlo al Corso, con padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa pontificia, le “catechesi cittadine” organizzate dal Servizio di pastorale giovanile della diocesi di Roma. Quello di domani – informano i promotori – è il primo di tre incontri formativi per “mettere a fuoco dal punto di vista della fede alcuni temi centrali per la crescita umana e spirituale dei ragazzi”. “Gesù è il Signore! Educare alla fede, alla sequela, alla testimonianza”: questo il tema portante di tutto l’anno pastorale, che farà da conduttore ai tre incontri in programma. “Gesù è il Signore” sarà il tema della catechesi che terrà domani padre Cantalamessa. Dopo di lui, la stessa basilica, alla stessa ora, ospiterà il vescovo Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, che il 13 febbraio interverrà su “Cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Il 14 maggio, invece, sarà la volta del nuovo assistente ecclesiastico generale dell’Azione cattolica italiana, il vescovo di Palestrina Domenico Sigalini, che ai ragazzi proporrà una riflessione sul tema: “L’amore di Cristo ci spinge” (2Cor 5, 14). Destinatari dell’iniziativa sono i giovani delle parrocchie, delle associazioni, di gruppi e movimenti, ma anche i loro coetanei “che dalla vita della Chiesa sono un po’ più distanti”. Dopo ogni incontro è previsto un “dialogo aperto” con i relatori. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Lo spettro delle violenze del 2005 nelle periferie parigine, ancora teatro di scontri

    ◊   Ancora una notte di violenza a Villier-le-Bel, località a venti chilometri a nord di Parigi, teatro dalla scorsa domenica di sanguinosi scontri fra la polizia locale e gruppi di giovani. Innescato dalla morte di due adolescenti, rimasti uccisi in un incidente con un’auto della polizia, i tumulti fanno registrare oggi 64 agenti feriti, negozi e ristoranti devastati, una biblioteca incendiata e decine di auto e cassonetti dati alle fiamme. Un’esplosione di violenza che ha contagiato anche i vicini centri di Cergy, Ermont, Goussainville, Fosses e Argenteuil e che si teme possa degenerare in un conflitto sociale di più ampia portata. Ancora forte è il ricordo degli scontri che, nell’autunno del 2005, per tre settimane, misero a ferro e fuoco le periferie della capitale francese. Dalla Cina, dove si trova in visita ufficiale, il presidente Sarkozy invita ad attendere i risultati delle indagini volte ad accertare la responsabilità dell’incidente in cui i due giovani hanno perso la vita. Nella città è intanto atteso il ministro dell'Interno, Michele Alliot-Marie, che ha chiesto ai cittadini di isolare i gruppi violenti.

    Georgia
    La Georgia ha fatto sapere che il 5 gennaio, giorno delle elezioni presidenziali anticipate, si terrà un referendum sull'adesione del Paese all'Alleanza Atlantica. Se la consultazione popolare avesse esito positivo, quali ripercussioni geopolitiche si avrebbero con Tbilisi nella NATO? Risponde Fulvio Scaglione, vicedirettore di "Famiglia Cristiana", esperto di questioni ex sovietiche, intervistato da Giada Aquilino:


    R. - L’adesione della Georgia alla NATO è una specie di super garanzia rispetto alle influenze della Russia e rispetto anche ai tentativi - che i georgiani ritengono manovrati da Mosca - di spezzettare il Paese in diverse entità. Dal punto di vista dell’equilibrio internazionale, l’eventuale ingresso di Tbilisi nella NATO potrebbe essere interpretato da Mosca come un ulteriore segnale di quel tentativo di accerchiamento che - a giudizio degli analisti del Cremlino - gli Stati Uniti vanno conducendo con lo scudo spaziale in Polonia, con la "Rivoluzione Arancione" in Ucraina e, appunto, con la presenza americana in Georgia.

     
    D. – I rapporti della Russia con Tbilisi come cambierebbero?

     
    R. – Credo che aumenterebbero le tensioni e, d’altra parte, l’adesione alla NATO comporterebbe degli obblighi per Tbilisi, ma evidentemente comporterebbe anche una presenza di truppe e di installazioni NATO nella stessa Georgia. Con accanto la Cecenia, l’Ossezia, l’Abkazia, il Caucaso in generale, mi sembra che quella sia una regione che ha bisogno di essere svuotata di armi e non piuttosto ulteriormente colmata.

     
    D. – Il presidente uscente Saakashvili, da una parte, ha firmato il decreto per il referendum sulla NATO e, dall’altra, ha autorizzato l’uso della forza nel reprimere la protesta di piazza dell’opposizione. Come appare la sua riconferma?

     
    R. – L’idea di collegare le elezioni presidenziali al referendum sull’ingresso nella NATO – dal suo punto di vista – è astuta, perché è possibile che l’adesione all’Alleanza Atlantica abbia una maggioranza di consensi e quindi Saakashvili spera che parte di quella maggioranza si trasferisca anche sulla propria candidatura. Io non giurerei però su una sua riconferma, in questo momento. Certo è che dietro a Saakashvili non c’è molto: uno dei candidati alle elezioni presidenziali della Georgia è addirittura l’oligarca Badri Patarkashvili, che è accusato di colpo di Stato.

    Kosovo
    Ancora aperta la questione dell’indipendenza della provincia autonoma della Serbia. A Baden, in Austria, proseguono i colloqui che vedono divise le rappresentanze kosovare e albanesi dalla coalizione formata da Russia, Stati Uniti e Unione Europea, la cosiddetta troika. Ma se i delegati kosovari non intendono rinunciare all’indipendenza della propria regione da Belgrado, le autorità serbe definiscono il progetto pericoloso per la stabilità della regione dei Balcani occidentali e dunque inaccettabile. Si cerca l’accordo in vista dell’ultimatum fissato dall’ONU al 10 dicembre, termine ultimo per siglare un'intesa.

    Iraq
    In Iraq, sono almeno sei le persone morte in seguito ad un suicidio compiuto, a Baquba, contro il quartier generale provinciale della polizia irachena. Sul versante politico, intanto, presidente americano, George W. Bush, ed il primo ministro iracheno, Nouri al Maliki, hanno firmato a Washington una dichiarazione che prevede l’estensione soltanto di un anno del mandato ONU sull’Iraq. Successivamente, sarà un patto bilaterale a regolare gli aspetti economici, politici e di sicurezza dei rapporti fra i due Paesi.

    Pakistan
    In vista del giuramento del prossimo giovedì, il presidente pakistano, Pervez Musharraf, rinuncia all’incarico di capo dell’esercito e si congeda dai vertici delle forze armate. Le visite di commiato sono iniziate dal quartier generale dell’Esercito nella città di Rawalpindi e dal quartier generale della Marina a Islamabad. Fonti locali comunicano intanto che, dopo giorni di combattimenti, le truppe regolari pakistane hanno strappato ai militari integralisti vicini da Al Qaeda il controllo di punti strategici nella valle di Swat, nel nord ovest del Paese.

    Myanmar
    Nonostante le richieste internazionali di boicottaggio, oltre 2 mila commercianti stranieri hanno partecipato alla più importante asta di pietre preziose della ex Birmania, dove due mesi fa è stata repressa nel sangue dalla giunta militare una manifestazione di monaci buddisti. Le aste di pietre preziose in Myanmar richiamano compratori da tutto il mondo per un giro d’affari medio stimato intorno a 100 milioni di dollari. Nella ex Birmania, uno degli Stati più poveri al mondo, viene estratto il 90 per cento della produzione mondiale di rubini. Nello Stato asiatico si trovano poi ricchi giacimenti di giada, pietra particolarmente apprezzata nella confinante Cina.

    Ciad
    In Ciad è stato rotto l’accordo di pace sottoscritto il 25 ottobre scorso in Libia tra rappresentanti di gruppi ribelli e del governo. In violenti scontri, avvenuti nella parte orientale del Paese, sono morte ieri oltre cento persone. La guerriglia accusa il presidente del Ciad, Idriss Deby, di non avere rispettato i termini della tregua. Il servizio di Giulio Albanese:

     
    Un centinaio di ribelli dell’Unione delle Forze per la democrazia e lo sviluppo sarebbero stati uccisi dall’Esercito ciadiano nel corso di aspri combattimenti avvenuti ieri in una zona vicino alla frontiera con il Sudan. In un comunicato diffuso dalla televisione di ‘Ndjamena si parla di diverse centinaia di morti tra le file del gruppo antigovernativo, che un mese fa aveva raggiunto, sia pure con scarsa convinzione, un accordo di pace con le autorità ciadiane. La zona degli scontri è localizzata a meno di 100 km da Areche, principale città del Ciad orientale, nei pressi del confine con la regione sudanese del Darfur. Si tratta del primo vero e proprio scontro dall’aprile scorso, dopo che la formazione ribelle aveva firmato il 25 ottobre a Sirte, in Libia, un accordo di pace con il governo di ‘Ndjamena insieme ad altri tre gruppi armati, i quali per ora si limitano ad accusare il presidente ciadiano Idris Deby di non aver rispettato i termini di quell’intesa e di aver attaccato i campi della guerriglia. (Per la Radio Vaticana, Giulio Albanese)

    Zimbabwe
    Robert Mugabe, 83.enne presidente dello Zimbabwe, ha annunciato oggi che intende partecipare al prossimo vertice Unione Europea – Africa, in programma a Lisbona dal 7 al 9 dicembre prossimi. Alcuni leader europei, tra i quali il primo ministro britannico Gordon Brown, avevano fatto sapere che avrebbero boicottato il vertice se Mugabe vi avesse partecipato. Il presidente dello Zimbabwe è accusato dall'opposizione, e da alcune organizzazioni non governative internazionali, di ripetute violazioni dei diritti umani. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco e di Claudia Di Lorenzi)


    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI no. 331

     

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