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SOMMARIO del 15/11/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Oggi dal Papa i vescovi del Kenya e i cardinali Castrillón Hoyos e Dias
  • Sì al primato del vescovo di Roma nella Chiesa universale, ma restano da studiarne funzioni e prerogative: lo affermano i membri della Commissione mista cattolico-ortodossa
  • Il pianeta anziani al centro della XXII Conferenza aperta in Vaticano dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute
  • Mons. Ravasi apre la Conferenza internazionale del Progetto STOQ sul tema: "Che cosa è l'uomo?"
  • Oggi in Primo Piano

  • Il vero umanesimo è frutto di un’educazione della persona nella sua integralità: sul richiamo del Papa, ieri all’udienza generale, il commento del vescovo Sigalini, assistente della Azione cattolica italiana
  • In Ghana, vescovi europei ed africani discutono sulle nuove schiavitù: ai nostri microfoni, l'arcivescovo di Accra
  • Al Parlamento europeo una Risoluzione sulle persecuzioni contro i cristiani nel mondo
  • Incontro su padre Arrupe, a Milano, nel centenario dalla nascita. Il ricordo di padre Sorge
  • Chiesa e Società

  • Allarme dell'ONU: sono almeno 35 milioni gli sfollati e i profughi nel mondo
  • Forti timori in Bangladesh per il previsto arrivo di un ciclone in un’area dove vivono più di dieci milioni di persone
  • L'arcivescovo di Mossul: in Iraq, cristiani e musulmani sono vittime di comuni violenze
  • Gli Ordinari cattolici di Terra Santa mostrano preoccupazione per la difficile situazione delle comunità cattoliche d’Israele
  • Per Natale la Fondazione ecumenica cristiana di Terra Santa propone il sostegno ai bambini cristiani della Palestina, di Israele e della Giordania
  • “No” dei vescovi dell’Uruguay alla legge che legalizza l’aborto
  • In Uruguay, migliaia di fedeli in preghiera davanti alla Vergine dei Trentatrè, patrona del Paese latinoamericano
  • Ad Antananarivo incontro dei vescovi del Madagascar: nel bilancio annuo del Paese punti di forza ed aspetti problematici
  • Serve una formazione liturgica permanente. Così il cardinale Arinze al convegno dei direttori degli Uffici liturgici diocesani
  • Nella Repubblica Ceca, non verrà emendato un atto che impone limiti alle comunità religiose. La Conferenza episcopale pronta ad appellarsi al tribunale europeo
  • L'azione esterna dell'Unione Europea al centro dell'Assemblea plenaria d'autunno della COMECE
  • Il messaggio cattolico si diffonde anche su You Tube
  • Continua in Asia il pellegrinaggio di Frère Alois, priore della comunità di Taizé
  • Rapporto Eurispes sulla nuova generazione in Italia: figli-padroni che vogliono tutto e subito
  • 24 Ore nel Mondo

  • Pakistan: dal primo dicembre il presidente Musharraf lascerà il comando delle Forze Armate
  • Il Papa e la Santa Sede



    Oggi dal Papa i vescovi del Kenya e i cardinali Castrillón Hoyos e Dias

    ◊   Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina il cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei", e un altro gruppo di presuli della Conferenza episcopale del Kenya, in visita "ad Limina Apostolorum". Questo pomeriggio riceverà il cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli.

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    Sì al primato del vescovo di Roma nella Chiesa universale, ma restano da studiarne funzioni e prerogative: lo affermano i membri della Commissione mista cattolico-ortodossa

    ◊   Per storia e tradizione ecclesiale, il vescovo di Roma va considerato come il protos, cioè il “primo” tra i Patriarchi tanto delle Chiese d’Occidente quanto d’Oriente. Tuttavia, le prerogative che derivano da questa primazia vanno meglio studiate e comprese per essere condivise dalle due tradizioni. E’ questa, in estrema sintesi, la conclusione cui approda l’importante documento reso noto oggi dalla Commissione mista internazionale per il dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. Un documento frutto dell’ultimo incontro della Commissione mista, celebrato un mese fa a Ravenna. I particolari nel servizio di Alessandro De Carolis:

     
    Chi è il capo della Chiesa universale? La domanda è tutt’altro che scontata se collocata in un’orizzonte ecumenico. In altre parole: può essere individuata una figura che, sia per i cattolici sia per gli ortodossi, occupi il primo posto pur nell’“uguaglianza sacramentale” e nella “pari dignità” propria di ogni vescovo? E quale ruolo, quali funzioni dovrebbe esercitare questo “primo tra pari”? Per una settimana, dall’8 al 14 ottobre scorsi, questi interrogativi sono stati il fulcro di una densa riflessione dottrinale ed ecclesiale sviluppata dai membri della Commissione mista cattolico-ortodossa, riunita a Ravenna. La risposta - che giunge al termine di un documento articolato in 46 punti e in una decina di pagine - può essere riassunta in questo modo: sì, cattolici e ortodossi concordano sul fatto che il vescovo di Roma - ovvero il Papa per i cattolici - sia considerato il protos cioè il primo tra i patriarchi di tutto il mondo, poiché Roma è, secondo l’espressione di Ignazio di Antiochia, “Chiesa che presiede nella carità”. E no, cattolici e ortodossi non concordano sulle “prerogative” di questo primato, poiché, afferma il documento, “esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici”:

     
    Per arrivare a queste conclusioni, il documento di Ravenna prende le mosse da due “fondamenti”: la “conciliarità” e l’“autorità”. La prima, detta anche “sinodalità”, “riflette - si afferma - il mistero trinitario”, all’interno del quale la “seconda” o la “terza” persona non implicano “diminuzione o subordinazione”. Allo stesso modo, anche la Chiesa possiede una “dimensione conciliare” che si esprime a tre livelli: locale, regionale, universale. I primi responsabili di questa conciliarità sono i vescovi: uniti in comunione - proseguono gli esperti della Commissione mista - non soltanto i vescovi “dovrebbero essere uniti tra loro nella fede, la carità, la missione, la riconciliazione”, ma essi “hanno in comune la stessa responsabilità e lo stesso servizio alla Chiesa”. L’autorità deriva invece da Cristo, si “fonda sulla Parola di Dio”, e per il tramite degli Apostoli essa è “trasmessa ai vescovi” e “ai loro successori”. Il suo esercizio, si legge, è essenzialmente “un servizio d’amore”, perché “per i cristiani, governare equivale a servire”.

     
    Stabiliti questi due presupporti, il documento di Ravenna passa ad analizzarne la loro triplice “attualizzazione” nei tre livelli di cui sopra. Al primo livello, quello “locale”, la Chiesa esiste in quanto “comunità radunata dall’Eucaristia” ed è presieduta direttamente o indirettamente da un vescovo. “Tale comunione - si ribadisce - è il quadro entro il quale è esercitata tutta l’autorità ecclesiale”. Già a questo livello la comunione che lega i membri della Chiesa “appare sinodale o conciliare” e il vescovo appare dunque come il protos, cioè il primo, il capo della comunità. Analogamente, conciliarità e autorità si esprimono anche al secondo livello, quello “regionale”, nel quale rendono evidente la comunione con le “altre Chiese che professano la stessa fede apostolica e condividono la stessa struttura ecclesiale”. Il punto 24 del documento cita un canone accettato sia in Occidente che in Oriente che stabilisce come “i vescovi di ciascuna nazione debbono riconoscere colui che è il primo tra di loro e considerarlo il loro capo”, non facendo “nulla di importante senza il suo consenso” e tuttavia senza che “il primo” faccia “nulla senza il consenso di tutti”, salvaguardando così la “concordia”. Questo principio di unità episcopale - esplicitato nei secoli in Oriente, fra l’altro, attraverso la nascita di nuovi Patriarcati e in Occidente tramite l’istituzione delle Conferenze episcopali - trova applicazione anche al livello più alto, quello “universale”, della comunione tra le Chiese di ogni luogo e di ogni tempo. Espressione di tale comunione universale sono i Concili ecumenici che, sin dai primordi della Chiesa, hanno visto riunirsi per dirimere questioni di primaria importanza i vescovi delle cinque principali sedi apostoliche - Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme - e via via di ogni altra diocesi.

     
    E’ qui, nei Concili ecumenici in particolare, in cui si riconosce il “ruolo attivo” esercitato dal vescovo di Roma, quale personalità più illustre tra i vescovi delle sedi maggiori. Tuttavia, alcune delle difficoltà tra cattolici e ortodossi nascono nella definizione di “ecumenici” data dalla Chiesa latina ad assisi conciliari tenutesi dopo la rottura causata dallo scisma. Dunque, conclude la Commissione mista, “resta da studiare in modo più approfondito la questione del ruolo del vescovo di Roma nella comunione di tutte le Chiese”, ovvero quale sia “la funzione specifica del vescovo della ‘prima sede’ in un’ecclesiologia di koinonia”, cioè di comunione, in rapporto a quanto affermato sulla conciliarità e sull’autorità. E resta da studiare anche in che modo “l’insegnamento sul primato universale dei Concili Vaticano I e Vaticano II” possa essere compreso e vissuto alla luce della pratica ecclesiale del primo millennio”. Si tratta - termina il documento - di interrogativi cruciali per il nostro dialogo e per le nostre speranze di ristabilire la piena comunione tra di noi”.

     
    Per un commento a questo nuovo passo compiuto da cattolici e ortodossi, Philippa Hitchen ha sentito il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani:


    R. - Questo documento parla della tensione fra autorità e conciliarità, ovvero sinodalità, a livello locale, cioè della diocesi, a livello regionale e universale. Il passo importante è che per la prima volta le Chiese ortodosse ci hanno detto sì, esiste questo livello universale della Chiesa e anche a livello universale c’è conciliarità, sinodalità e autorità; vuol dire che c’è anche un Primato: secondo la prassi della Chiesa antica, il primo vescovo è il vescovo di Roma, non c’è dubbio su questo. Però non abbiamo parlato di quelli che sono i privilegi del vescovo di Roma, abbiamo indicato soltanto la prassi per la discussione futura. Questo documento è un modesto primo passo e come tale dà speranza, ma non possiamo esagerarne l’importanza. La prossima volta dovremo tornare sul ruolo del vescovo di Roma nella Chiesa universale nel primo millennio, poi dovremo parlare anche del secondo millennio, del Concilio Vaticano I, il Vaticano II, e questo non sarà facile, la strada è molto lunga e difficile ma questo documento ci dà speranza, abbiamo raggiunto un primo passo importante. Siamo grati a quanti hanno collaborato e anche a quanti hanno pregato durante questo incontro a Ravenna, a tutti i fedeli che hanno veramente pregato e noi abbiamo sperimentato l’aiuto di Dio e della Vergine Maria.

     
    D. – Comunque, a quell’incontro di Ravenna la delegazione della Chiesa ortodossa-russa è andata via dalla riunione. In qualche modo, questo crea problemi per la validità di questo documento …

     
    R. - Sì, è vero, la delegazione ortodossa-russa è partita già il primo giorno perché c’era un problema inter-ortodosso, sul riconoscimento della Chiesa autonoma dell’Estonia, c’è una differenza tra Costantinopoli e Mosca. Questa è una questione inter-ortodossa, non possiamo interferire, ma noi siamo molto rattristati e preoccupati perché per noi è importante che la Chiesa ortodossa russa partecipi anche nel futuro al nostro dialogo. Perciò non possiamo interferire, ma vogliamo chiedere a Mosca e Costantinopoli di fare del loro meglio per trovare una soluzione, un compromesso e se loro vogliono possiamo anche facilitare questa soluzione o a livello bilaterale, tra Mosca e Costantinopoli, o a livello pan-ortodosso, ma non c’è dubbio, noi vogliamo la partecipazione della Chiesa ortodossa-russa. E’ una Chiesa molto importante; non vogliamo fare il dialogo senza i russi e vogliamo lavorare per questo scopo.

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    Il pianeta anziani al centro della XXII Conferenza aperta in Vaticano dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute

    ◊   “La cura dei malati anziani alla luce della Parola di Dio”, è il tema della relazione introduttiva, presentata dal cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del Pontifico Consiglio per la pastorale della salute, in apertura stamane nell’Aula Nuova del Sinodo della XXII Conferenza internazionale promossa dal dicastero vaticano. Il servizio di Roberta Gisotti:


    Quaranta gli esperti di varie discipline chiamati da 40 Paesi in tutto il mondo per offrire il loro contributo di ricerca e riflessione su come migliorare l’assistenza ai malati anziani, tenuto conto dell’importanza della vecchiaia – ha sottolineato il cardinale Barragán – “che apre alla vita senza termine”.

     
    Si è parlato nella prima giornata dei lavori della storia della cura dei malati. Il prof. Peter Crome, presidente della Società britannica di geriatria, ha sottolineato come sia indispensabile – al di là di tutti i progressi scientifici compiuti soprattutto a partire dal XIX secolo nella cura degli anziani – che le persone della terza età siano valorizzate e rispettate, e la loro salute e benessere siano una priorità dei Governi e delle società.

     
    Il prof. Antonio Golini, Ordinario di demografia all’Università “La Sapienza di Roma”, ha messo in luce sfide e responsabilità che l’innalzamento della vita media pone agli Stati per garantire gli equilibri sociali e assistere i 390 milioni di ultra sessantacinquenni che oggi vivono sul Pianeta, e che tra soli 20 anni saliranno ad 800 milioni.

     
    Si è passati poi, con il dott. Alexandre Kalache – che è stato responsabile a Ginevra del Programma sull’invecchiamento presso l’Organizzazione Mondiale della Sanità – ad esaminare le malattie che colpiscono gli anziani, anche in rapporto ai fenomeni della mondializzazione, mentre il prof. Roberto Bernabei, presidente della Società italiana di gerontologia e geriatria, ha indicato in particolare le malattie emergenti rare o che appaiono di nuovo nella vecchiaia.

     
    Infine si è approfondita l’origine delle patologie che affliggono gli anziani che dipendono da comportamenti personali, come stili di vita, alimentazione e allungamento della vita, come ha spiegato il prof. Ribera Casado, direttore del Servizio geriatria dell’Ospedale San Carlo di Madrid, o che dipendono pure da cambiamenti tecnologici e industriali, su cui si è soffermato il prof. Jihan Turner, primario presso la University Hospital a Liverpool. I lavori, che proseguono nel pomeriggio, si chiuderanno sabato mattina.

     
    Ma ascoltiamo ora il cardinale Javier Lozano Barragán, intervistato da Giovanni Peduto, su uno dei rischi maggiori che colpiscono oggi l’anziano: l’emarginazione sociale:

     
    R. – La società attuale ha come orizzonte nella cultura consumistica, nella quale viviamo, la produttività. Se qualcuno non produce, allora non serve a nulla. C’è una mentalità di essere considerati oggetti e non soggetti. C’è una mentalità di desideri che si adempiono, e non proprio di bisogni ai quali si debba fare attenzione. E perciò l’anziano, che è propriamente il detentore del senso della vita – per dirla così – perché già l’ha vissuta e per esperienza sa cosa significa, risulta ‘scomodo’ perché – disgraziatamente – molti dei nostri contemporanei, nella gioventù e nell’età adulta anche, pensano di essere immortali. E allora, quando viene la smentita più grande dall’essere anziano cosa si fa? Si nasconde l’anziano, lo si relega in un angolo per non sapere niente di niente, per indulgere ancora nell’erronea mentalità di immortalità.

     
    D. – Eminenza, un tema scottante: l’eutanasia. L’anziano, soprattutto l’anziano malato viene visto come un costo per la società. Nei Paesi occidentali, si va sempre più diffondendo questa mentalità ...

     
    R. – Veramente, l’eutanasia è un crimine e in questo senso sono stati fatti tanti convegni, tante dissertazioni per stabilire una chiara frontiera tra eutanasia e altri trattamenti che si applicano agli anziani. Ci sono tre realtà che si devono approfondire decisamente: le cure palliative sono quelle cure che non guariscono ma alleviano i dolori. L’accanimento terapeutico è l’uso di terapie inutili e sproporzionate che si fanno al malato terminale di fronte ad una imminente agonia e che non servono che a prolungare la penosa agonia senza alleviarla. E l’eutanasia che è un’azione o omissione diretta volta ad uccidere il malato con il pretesto di alleviare il dolore.

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    Mons. Ravasi apre la Conferenza internazionale del Progetto STOQ sul tema: "Che cosa è l'uomo?"

    ◊   E’ iniziato stamani a Roma, presso il Pontificio Ateneo “Regina Apostolorum”, il II Convegno internazionale del Progetto STOQ, sul tema “Ontogenesi e vita umana”: obiettivo del simposio è quello di rispondere alla grande domanda: “Che cosa è l’uomo?”. Il progetto STOQ, letteralmente “Scienza, Teologia e Ricerca Ontologica” (Science, Theology and the Ontological Quest) è un programma di ricerca post-lauream fondato sulla collaborazione di sei università pontificie con lo scopo di contribuire al dialogo tra scienza, filosofia e teologia. Ha aperto i lavori mons. Gianfraco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. Il servizio di Sergio Centofanti.


    Il Progetto STOQ, nato nel 2003, ricorda mons. Ravasi, è erede della Commissione di Studio del Caso Galileo, istituita da Giovanni Paolo II. “Una delle lezioni del Caso Galileo – ha affermato il presule - è stata appunto quella di favorire un maggior dialogo tra discipline rimaste troppo a lungo ignare del lavoro e dei risultati altrui, come sono le scienze naturali e la teologia. Quell’evento, e altri tristi episodi simili di confronto ci insegnano quanto tragica possa risultare questa reciproca incomprensione”, ha proseguito mons. Ravasi che ha sottolineato la necessità di una “visione integrale e organica del sapere”. Il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura si è richiamato nel suo intervento “alla Bibbia come al grande codice della nostra cultura, patrimonio comune di laici e credenti, senza il quale è impossibile capire noi stessi” ed è partito dalla domanda posta dal Salmo 8: “Che cosa è l’uomo perché te ne curi?” : l’uomo – ha detto – “non può essere considerato solo come un mero dato biologico o come una figura angelica”. La sua grandezza si rivela in un mirabile intreccio “tra finitudine e trascendenza”. L’essere creato a immagine e somiglianza di Dio lo rende capace di comprendere e di interloquire col suo Creatore.

     
    Mons. Ravasi parla degli inizi della vita e cita il Salmo 139, solenne inno al Dio onnisciente: “Sei tu che hai creato i miei reni, mi hai intessuto nel grembo di mia madre... Il mio scheletro non ti era nascosto quando fui confezionato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra. Anche il mio embrione i tuoi occhi l’hanno visto”. E il salmo 139 continua: “Nel tuo libro erano già tutti scritti i giorni che furono formati quand’ancora non ne esisteva uno”. “Il passo è potente nella sua forza evocatrice e allusiva – afferma mons. Ravasi - Dio delinea i giorni dell’uomo prima ancora che essi esistano. Al Creatore non solo non è celato o estraneo quel piccolo germe di vita che è il feto, ma egli è anche capace di perlustrare da signore il futuro che ancora non è. In questa prospettiva – ha aggiunto - si intuisce che per la Bibbia la finalità dell’embrione è netta: si tratta di un’unità inscindibile, di un processo unitario e coerente, compatto e armonico con la meta da raggiungere, quella della persona umana”.

     
    Mons. Ravasi invita ad un rinnovato dialogo scienza e fede superando per esempio gli equivoci sul tema dell’evoluzionismo: “la vera alternativa – afferma citando Fiorenzo Fiacchini, scienziato ed ecclesiastico - non è tra evoluzione e creazione, ma tra visione di un mondo in evoluzione, dipendente da Dio creatore secondo un suo disegno, e visione di un mondo autosufficiente, capace di crearsi e di trasformarsi da sé per eventi puramente immanenti”.

     
    Cosa è dunque l’uomo? conclude mons. Ravasi: è una “canna fragile” - secondo la celebre immagine di Pascal – “ma capace di pensare, di agire liberamente, di gioire e di soffrire, di incontrare e conoscere, sfidare e amare il suo Creatore”.

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    Oggi in Primo Piano



    Il vero umanesimo è frutto di un’educazione della persona nella sua integralità: sul richiamo del Papa, ieri all’udienza generale, il commento del vescovo Sigalini, assistente della Azione cattolica italiana

    ◊   E’ necessaria “un’educazione della personalità nella sua integralità”: l’esortazione di Benedetto XVI, ieri all’udienza generale, ha messo l’accento sull’esigenza di un vero umanesimo che valorizzi la persona in tutte le dimensioni del suo essere. Un richiamo particolarmente attuale di fronte alle sfide poste, soprattutto ai giovani, dalla società contemporanea. Ecco la riflessione di mons. Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica Italiana, raccolta da Alessandro Gisotti:


    R. – Credo sia uno degli elementi che seguiamo sempre anche in tutte le nostre pastorali. Sto pensando soprattutto al nostro interesse per il mondo giovanile, perché vediamo che sono in atto molti interventi di tipo specialistico per quanto riguarda i ragazzi, che su alcune scienze o alcuni elementi sanno tutto ma non hanno una visione di sintesi. A noi, invece, interessa sempre aiutare i ragazzi ad avere una visione globale della vita: non puoi essere espertissimo in una realtà e non sapere niente nell’altra! Pensiamo, per esempio, anche alla dimensione religiosa; se non c’è anche la dimensione religiosa dentro tutto l’insieme dei saperi, il ragazzo viene privato di una fonte di felicità decisiva per la sua vita.

     
    D. - Papa Benedetto ha anche sottolineato che l’educazione alla responsabilità davanti a Dio e all’uomo è la “vera condizione di ogni progresso di ogni riconciliazione ed esclusione della violenza”. Un richiamo particolarmente attuale, pensiamo a quanto successo in Italia in questi giorni…

     
    R. - Esatto. Perché un giovane, una persona, è matura soltanto se sa rispondere di quello che fa. Non ci possono essere situazioni di conflitto che vengono risolte per impulso, per vendetta, per rabbia; si può capire che ci siano questi sentimenti ma nella vita della persona ci deve essere assolutamente una capacità di controllo e di risposta responsabile.

     
    D. - Oggi i giovani sembrano spesso privi di riferimenti. Come questa condizione di disagio interroga un pastore come lei?

     
    R. - Dobbiamo assolutamente aiutare questi ragazzi a ritrovare questi riferimenti, perchè dentro di sé loro li cercano e pure li hanno, solo che non hanno voce, non vengono esplicitati, non vengono, soprattutto, riconosciuti. Invece, il riferimento è morale, il riferimento di un’autorevolezza, il riferimento a un padre, a un maestro, i ragazzi lo gradiscono; magari si ribellano, però dentro di sé hanno bisogno di questa sicurezza perché non sono convinti di indovinarle tutte e di avere tutte le risposte della vita! Hanno bisogno di qualcuno che con un evidenziatore sottolinei i valori fondamentali a cui si devono riferire.

     
    D. - Questa integralità della persona sottolineata da Benedetto VXI fa anche pensare a come il Santo Padre richiami la realtà fondamentale del cristianesimo, cioè un incontro con la persona, con Cristo…

     
    R. - Certo, perché anche nell’esperienza della vita cristiana noi non riusciamo assolutamente a coltivare soltanto l’intelligenza perché conosciamo alcune espressioni del Vangelo, dei comandamenti; deve esserci questo afflato personale, questo coinvolgimento con Cristo in un’esperienza. L’esperienza, per sua natura, chiama una globalità: deve coinvolgere il cuore, il sentimento, gli affetti. Il Santo Padre insiste molto anche sulla parte razionale: bisogna allargare questo spazio della razionalità, perché la fede ha diritto di stare alla pari di tutte le ricerche scientifiche. Fa parte integrante della vita della persona anche questa esperienza della fede.

     
    D. - In questo senso il Papa mette l’accento sulla pastorale dell’intelligenza…

     
    R. - Sì, perché la pastorale dell’intelligenza permette di radicare nella persona le espressioni della sua religiosità con dignità e proprietà, con motivazioni, con atti intellettualmente onesti e umanamente sensati.

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    In Ghana, vescovi europei ed africani discutono sulle nuove schiavitù: ai nostri microfoni, l'arcivescovo di Accra

    ◊   Vescovi europei ed africani partecipano fino al prossimo 18 novembre a Cape Coast, in Ghana, al seminario sul tema “La schiavitù e le nuove schiavitù”. L’incontro, promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee (CCEE) e dal Simposio delle Conferenze episcopali in Africa e Madagascar (SECAM), si concluderà domenica con una commemorazione del 200.mo anniversario della fine della schiavitù in Africa. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Aprendo il seminario, il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria e vicepresidente del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) ha detto che “molte persone, in Europa e in Africa, continuano ad essere schiave della povertà, dell’ingiustizia” soprattutto per la non equa distribuzione delle risorse del pianeta. Altrettanto preoccupante - ha aggiunto il porporato - "è l’aumento di coloro che si sentono schiavi della propria libertà, del loro libero arbitrio”. Il dramma della schiavitù - ha spiegato - ha assunto nuove forme a causa di una “scolarizzazione che tende a relegare Dio nella mera sfera privata dell’esistenza umana, e per un crescente fondamentalismo religioso che vuole imporsi con l’uso della forza”. Ricordando il cammino di cooperazione tra Africa ed Europa volto a conservare l’integrità della fede universale, il cardinale ha sottolineato che i due continenti “hanno un destino comune”. Una collaborazione apostolica tra vescovi europei ed africani, sottolineata anche dall’arcivescovo di Dakar, il cardinale Theodore Sarr. Il porporato ha quindi osservato come anche oggi, tra gli africani, ci sia “la tentazione di relegare la storia della schiavitù nel passato senza più parlarne o trarne conseguenze per il futuro”. Il vescovo ausiliare di Cape Coast, Matthias Nketsiah, ha ricordato infine le responsabilità degli africani coinvolti nella tratta della schiavitù: anche noi - ha affermato il presule - “dobbiamo imparare da questa lezione e metterla a frutto contro le schiavitù moderne, che coinvolgono soprattutto donne e bambini”.


    Tra i temi del seminario particolare rilievo viene dato, dunque, alla collaborazione tra Chiese d’Africa e d’Europa ed alla relazione tra flussi migratori e nuove forme di schiavitù. Si tratta, molto spesso, di forme di sfruttamento legate a posizioni di debolezza economica, sociale e culturale da parte di cittadini di Paesi africani. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, l’arcivescovo di Accra, mons. Charles Palmer - Buckle:


    R. - L’Africa, come continente, e l’africano come persona, sono molto vulnerabili. Allora, di fronte a questa vulnerabilità ci sono veramente delle forme di schiavitù che vediamo sia nel continente africano sia in Europa.

     
    D. - La storia dell’Africa è profondamente segnata dal flagello della schiavitù. Come evitare che questa piaga, con nuove forme dinamiche, possa colpire anche le nuove generazioni?

     
    R. - La prima cosa che facciamo è di dare a questi giovani una pubblica istruzione molto valida che li abiliti veramente a prendere i loro destini nelle loro mani, cioè a poter vivere nei propri Paesi, a lavorare nei propri Stati. Ed anche se dovessero espatriare - perché l’uomo ha diritto di vivere dove vuole, dove pensa di trovare la sicurezza - sono muniti sia di conoscenze sia di abilità adeguate. Questi giovani saranno così nella posizione di evitare nuove forme di schiavitù.

     
    D. - In Ghana, in particolare, quali nuove forme di schiavitù sono presenti?

     
    R. - Io sono ad Accra, capitale del Ghana e qui, per esempio, abbiamo più di 200 mila ragazzi e ragazze che vivono sulle strade. Venendo non ben forniti di conoscenze adeguate o di requisiti necessari nel campo educativo, vengono sfruttati anche dai propri concittadini, alcuni perfino dai loro parenti. Lavorano sulle strade, vendono per conto di altre persone ma non trovano delle remunerazioni giuste e non riescono a trovare sistemazioni adeguate per le loro vite. Alcune delle ragazze, poi, sono costrette a prostituirsi, anche nei ristoranti e nei centri turistici. Abbiamo quindi dato vita ad un'organizzazione che si occupa di questi giovani: si chiama “Catholic Action for street Children”. Ci sono inoltre delle suore e dei religiosi ed anche delle ONG che combattono seriamente per tutelare i diritti umani nel nostro Paese.

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    Al Parlamento europeo una Risoluzione sulle persecuzioni contro i cristiani nel mondo

    ◊   “Gravi episodi compromettono l’esistenza delle comunità cristiane, e altre comunità, in Medio Oriente e in altre parti del mondo”: è quanto si legge nel testo di risoluzione che verrà presentata oggi pomeriggio al Parlamento europeo, per iniziativa del vicepresidente dell'europarlamento Mario Mauro. Nel testo si ricordano diversi episodi: da persecuzioni a uccisioni, ma anche situazioni di esodo per mancanza di sicurezza. Località coinvolte: da Gaza alle Filippine, passando per Iraq, Pakistan, Turchia, Sudan. Ma ascoltiamo lo stesso promotore della Risoluzione, Mario Mauro, nell’intervista di Fausta Speranza:


    R. - Dalla lunga serie pressoché infinita di tragedie e di orrori che hanno costellato quest’anno 2007, abbiamo potuto constatare come la vita di molti in varie parti del mondo è messa a repentaglio semplicemente per la loro fede. Questo è un fatto che è fonte di estrema preoccupazione per istituzioni che hanno fatto della battaglia sui diritti un po’ la cifra della loro stessa esistenza. Questo è anche il quadro in cui si inserisce un tentativo di proporre una risoluzione che ha vinto le resistenze tipiche del “politicamente corretto”: è solito battersi per tutti i tipi di minoranze tranne quelle che, in qualche modo, possano riecheggiare l’appellativo cristiano. Invece, credo sia molto importante il fatto che, ad oggi, mi sembra stiano convergendo sul testo che proponiamo anche diversi gruppi politici e che ci fanno sperare in un esito positivo.

     
    D. - Guardiamo a questo testo: cosa si chiede alle istituzioni europee in concreto?

     
    R. - Innanzitutto di prendere atto della situazione e già questo non è poco. E’ una risoluzione con un testo abbastanza lungo, proprio perché entriamo nel dettaglio e spieghiamo i casi concreti di violazione dei diritti umani che hanno ad oggetto sistematici e gravi episodi che mettono a repentaglio la vita delle comunità cristiane. In secondo luogo, in un passaggio invece propositivo chiediamo che nelle linee di bilancio e nella messa a punto dei programmi di donazione dell’Unione Europea - ricordo che l’Europa è il più grande donatore al mondo - si tenga conto, nel riconoscere i bisogni e nel fornire gli aiuti ai vari Paesi, di quanto, come, dove, e a quali condizioni, questi Paesi rispettino oggettivamente la presenza di queste minoranze.

     
    D. - Siamo alle porte del 2008 che l’Unione Europea vuole anno interculturale: ci stiamo preparando?

     
    R. - Io direi che la risoluzione che parla delle difficoltà in cui vivono i cristiani oggi nel mondo non sia un’esibizione identitaria di cultura occidentale. E’ invece tutto il contrario: è far capire che alle istituzioni europee premono prima di tutto le persone concrete, che queste persone hanno dei diritti inviolabili e che sulla base del riconoscimento di questi diritti e di un concetto che è tutto frutto dell’esperienza cristiana, quello di dignità della persona, è possibile stabilire un dialogo proficuo. Questa risoluzione è un po’ lo strumento con cui credo meglio ci prepariamo al dialogo interculturale. Facciamo cioè capire che siamo aperti alla sofferenza in cui purtroppo spesso vive l’uomo nel nostro tempo ma che sulla base di questa sofferenza possiamo riconoscere il fondamento di una solidarietà più grande che ci fa insieme in un cammino nel quale è bene che gli uomini rimangano uniti.

     
    D. - Come tradurre questa parola, “intercultura”? Che significa?

     
    R. - Abbiamo sentito a lungo parlare di multiculturalismo: le varie differenze vivono l’una accanto all’altra senza cercare di darsi troppo fastidio. Abbiamo visto che questo modello non tiene, perché in una convivenza concreta la mescolanza ha come prima implicazione, secondo anche la definizione propositiva data dal cardinale Angelo Scola, di “meticciato”, quella di cercare di approfondire il cuore dell’identità di ognuno. Significa anche che la verità non ce l’ho in tasca io, forse neanche tu, la verità è un fatto fuori di noi che siamo chiamati a riconoscere e servire. Credo che questo sia il senso più vero dell’interculturalità.

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    Incontro su padre Arrupe, a Milano, nel centenario dalla nascita. Il ricordo di padre Sorge

    ◊   Cento anni fa nasceva padre Pedro Arrupe che fu preposito generale della Compagnia di Gesù dal 1965 al 1983, traghettando l’Ordine nel post-Concilio ed inspirando nella Chiesa l’indissolubile vincolo che lega l’impegno della giustizia alla fede. Nel corso della serata di ieri al Centro San Fedele di Milano, grazie anche a documenti sonori, letture di opere di Arrupe e la testimonianza dei professori Giovagnoli e La Bella, sono stati focalizzati alcuni aspetti di padre Arrupe come la scelta per i poveri, la dedizione per il tema dell’inculturazione del Vangelo, maturata durante i 27 anni di missione in Giappone. Ce ne parla Fabio Brenna:


    Padre Arrupe fondò il Jesuit Refugee Service, organismo che difende i diritti dei rifugiati e degli sfollati. Particolarmente sentita la testimonianza di padre Bartolomeo Sorge, direttore di Aggiornamenti Sociali, che collaborò lungamente con Arrupe. Questa –secondo il gesuita– la testimonianza di Arrupe:

    “Padre Arrupe è stato un vero profeta nel senso che ha seguito un po’ la sorte che è propria dei profeti che diventano un segno di contraddizione. Lui aveva questo dono di capire i segni dei tempi, aveva il coraggio, il carattere per poterci aiutare ad affrontare le nuove sfide, però questo lo metteva in conflitto molte volte con tutta una situazione preconciliare che ovviamente ancora non era finita. Di qui la sua sofferenza ma anche il suo apporto fondamentale alla crescita anche della Chiesa oltre che della Compagnia”.

    Padre Sorge si è poi soffermato su due passaggi cruciali nella vita di Arrupe: il primo, le incomprensioni con Paolo VI sul tema del voto di obbedienza al Papa, peculiare dei gesuiti, che fu letto all’esterno quasi come una sorte di ribellione all’autorità papale ma che viene così spiegata da padre Sorge:

    “Il padre Arrupe soffrì moltissimo perchè se c’era uno che amava il Papa e che era pronto per farsi fare a pezzi per lui era proprio il padre Arrupe e quindi questa incomprensione lo fece soffrire moltissimo e ricordo la pagina stupenda che lui scrisse alla Congregazione generale, a cui partecipavo anch’io: è una pagina biblica in cui dice: non siamo riusciti a capire qual era il desiderio del Papa, del Vicario di Cristo, per noi è un’umiliazione profonda però non scoraggiamoci, rinnoviamo la fiducia e l’obbedienza andiamo avanti”.

    Seconda testimonianza di padre Sorge, quella legata alle dimissioni presentate per la prima volta nella storia della Compagnia da un preposito al Papa:

    “Il padre Arrupe ritenne che avvicinandosi ai 75 anni di età sarebbe stato utile cambiare. Lui era generale da tanto tempo e allora dice: diamo il posto a un giovane, a uno che venga con un’energia nuova. Questo rispecchia la sua spiritualità, questa libertà interiore, che gli faceva vedere soprattutto il servizio della Gloria di Dio e della Chiesa, dimenticando se stesso”.

    Episodi questi che testimoniano l’amore per la Chiesa di Arrupe e la sua precisa volontà di attuare il Concilio nei primissimi anni dopo l’esperienza del Vaticano II:

    “Essendo stato vicino a lui in tutti quegli anni, sono di esempio grande di amore alla Chiesa le ultime sue frasi dette, proprio quando riusciva appena ad abbozzare qualche parola, al Papa che andò a trovarlo qualche giorno prima della morte; fu l’ultimo colloquio che ebbe con il Papa e disse proprio questa frase: 'Santità le rinnovo la piena obbedienza, la più totale e amorosa obbedienza da parte mia e di tutta la Compagnia di Gesù'. Quindi è un uomo tutto di un pezzo, che ha sofferto come soffrono i profeti, ma il suo sacrificio è fecondo, non solo per l’Ordine ma anche per la Chiesa”. (Da Milano per Radio Vaticana, Fabio Brenna)

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    Chiesa e Società



    Allarme dell'ONU: sono almeno 35 milioni gli sfollati e i profughi nel mondo

    ◊   I conflitti sono in diminuzione, ma non ci sono mai stati, come adesso, 35 milioni di sfollati, profughi e rifugiati costretti a lasciare le loro case a causa dei combattimenti: è quanto denuncia il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, nel suo ultimo rapporto sulla protezione dei civili nei teatri di guerra. Si stima che siano almeno dieci milioni i rifugiati e più di 25 milioni gli sfollati interni costretti a vivere nella più assoluta precarietà in contesti ostili, spesso molto lontani dai luoghi in cui sono cresciuti. Sono quattro le aree che hanno contribuito a rendere ancora più grave la situazione: l’Iraq, da dove negli ultimi anni sono fuggiti all’estero più di due milioni di persone; la Repubblica democratica del Congo, in particolare le regioni orientali del Paese; la Somalia, dove nelle ultime settimane l’esercito regolare con l’appoggio dei soldati etiopici ha provocato diverse vittime tra gli abitanti di Mogadiscio; la regione sudanese del Darfur, da quattro anni sconvolta da un conflitto che ha costretto alla fuga oltre due milioni di persone. “Il crescente numero di violenze sessuali perpetrate contro donne, bambini, ma anche uomini – ha detto inoltre Ban Ki-moon – è la prima dimostrazione del nostro collettivo fallimento nell’assicurare efficace protezione ai civili”. Il segretario generale delle Nazioni Unite – riferisce inoltre l’agenzia MISNA - ha aggiunto che, probabilmente, il mondo sta assistendo solo all’inizio di un fenomeno che potrebbe durare decenni e che sarà segnato da sofferenze, maltrattamenti e da una quotidiana lotta per la sopravvivenza: “A causa dei conflitti – si legge infine nel rapporto - ogni giorno ci sono civili uccisi, minacciati, violentati, costretti alla fuga e incapaci di sostentarsi; è questa la sfida umanitaria più importante che dobbiamo vincere”.(A.L.)

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    Forti timori in Bangladesh per il previsto arrivo di un ciclone in un’area dove vivono più di dieci milioni di persone

    ◊   Migliaia di famiglie sono state costrette a lasciare le loro case in oltre una decina di distretti costieri in Bangladesh, dove si sta dirigendo un forte ciclone proveniente dalla Baia del Bengala. La tempesta, di categoria 4, punta pericolosamente verso nord. Entro domani, secondo alcune proiezioni, potrebbe abbattersi sulle coste del Bangladesh con venti superiori ai 210 Km/h. Il rischio maggiore – precisa l’agenzia AsiaNews - è quello di forti inondazioni in una regione densamente popolata. Al momento, l’occhio del ciclone si trova a poco più di 500 km dalle coste del Bangladesh e sta aumentando di intensità. Il Dipartimento di meteorologia del Bangladesh ha innalzato a 10 - il massimo previsto - il livello di allarme al porto di Mongla, il secondo più grande del Paese. Le autorità hanno dispiegato oltre 40 mila tra volontari, polizia, militari, guardie costiere e operatori sanitari. Nella zona a rischio abitano 10 milioni di persone. Secondo gli esperti, la tempesta toccherà anche Vishakapatnam, sulla costa orientale indiana, e la località di Sittewe, in Myanmar.(A.L.)

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    L'arcivescovo di Mossul: in Iraq, cristiani e musulmani sono vittime di comuni violenze

    ◊   “Metà dei cristiani di Mosul ha lasciato la città per sfuggire alle violenze e lo stesso hanno fatto i musulmani”: lo ha detto all’agenzia missionaria Misna l’arcivescovo siro-cattolico di Mossul, mons. Basile Georges Casmoussa, aggiungendo che tutti - sia cristiani sia musulmani - sono discriminati. Il presule ha confermato, inoltre, che i cristiani abbandonano le loro case per trasferirsi in Giordania, Turchia, Siria e Kurdistan iracheno. “Nelle ultime settimane – ha detto l'arcivescovo - il governo ha preso una serie di iniziative per garantire maggiore sicurezza, chiedendo alle autorità di convincere la piccola comunità cristiana a restare a Mossul”. Ma è tutto il Paese ad essere colpito da grave instabilità. In un’intervista rilasciata all’Ufficio pastorale migranti di Torino, monsignor Jacques Isaac, vescovo ausiliare per gli affari culturali del Patriarcato di Babilonia dei Caldei e rettore del Babel College, l’unica facoltà di studi teologici in Iraq, ha sottolineato infatti che la situazione di grave insicurezza riguarda quasi tutto il Paese arabo: “La guerra - ha affermato - ha distrutto tante cose e tante persone. Nessuno di noi, specialmente a Baghdad, è sicuro di tornare a casa”. Mons. Isaac ha anche aggiunto che la comunità sta cercando di risollevarsi nonostante le violenze. “Quando, agli inizi di quest’anno, siamo stati costretti a trasferire dopo 16 anni di attività, la sede del Babel College da Baghdad ad Ankawa, nel Kurdistan iracheno - ha detto il vescovo – è stato difficile ma non potevamo fare altrimenti”. Spirito interreligioso, ecumenismo e apertura al dialogo sono i tre pilastri sui cui si fonda il Babel College: 35 insegnati sono di religione islamica e gli altri caldei, siro-cattolici, domenicani e un siro-ortodosso. Ci sono anche suore caldee, domenicane e del Sacro Cuore e tre stranieri.(A.L.)

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    Gli Ordinari cattolici di Terra Santa mostrano preoccupazione per la difficile situazione delle comunità cattoliche d’Israele

    ◊   Tempi duri per la Chiesa in Israele. L’Assemblea degli Ordinari cattolici di Terra Santa (AOCTS), conclusasi ieri a Gerusalemme, ha messo in luce le difficoltà che sacerdoti, religiosi e religiose cattolici affrontano oggi nel Paese dei cedri. Fra i temi più sentiti quello della difficoltà nel rilascio dei visti di ingresso in Israele. Un problema che – sottolinea padre Pierre Grech, segretario generale dell’ AOCTS, in un’intervista al Sir - “crea gravi problemi all’attività pastorale ordinaria della Chiesa”. “Sono stati avviati contatti con la controparte israeliana – aggiunge padre Grech - resta da vedere con quali risultati. Ma certo il tempo delle dichiarazioni è finito”. Motivo di preoccupazione è anche la diminuzione, da parte di Israele, dei fondi destinati alle scuole cattoliche e la “volontà di imporre il pagamento di tasse sulla proprietà alla Chiesa”, storicamente esente. E se i pellegrinaggi si rivelano in “grande ripresa”, l’emigrazione cristiana resta per la comunità una “ferita aperta”.(C.D.L.)

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    Per Natale la Fondazione ecumenica cristiana di Terra Santa propone il sostegno ai bambini cristiani della Palestina, di Israele e della Giordania

    ◊   Consentire ai bambini cristiani della Palestina, di Israele e della Giordania di visitare i luoghi della propria fede a Gerusalemme. Questo è l’obiettivo della campagna di solidarietà promossa dalla Fondazione ecumenica cristiana di Terra Santa, HCEF, all’approssimarsi del Natale. Offrendo 250 dollari americani i donatori potranno pagare il viaggio ad un bambino. Con soli 50 dollari in più potranno invece sponsorizzare uno dei bus che porteranno i ragazzi nella città dove è nato Gesù. Basterà collegarsi al sito dell’ente, www.hcef.org, ed effettuare la donazione con una carta di credito. Tra le iniziative della fondazione anche l’adozione di uno dei 15 mila studenti cristiani delle scuole confessionali in Terra Santa; giovani che vivono in condizioni economiche precarie che il donatore, con 25 dollari americani al mese, può sostenere nelle spese legate agli studi.(C.D.L.)

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    “No” dei vescovi dell’Uruguay alla legge che legalizza l’aborto

    ◊   “La nostra posizione contraria all’aborto non è fondata prioritariamente su premesse di ordine religioso, perché il diritto di un essere umano di venire al mondo è scritto nella stessa natura umana”: lo affermano in un documento i vescovi dell’Uruguay in attesa della decisione della Camera dei deputati, dopo l’approvazione da parte del senato, del progetto di legge sulla “Salute sessuale e riproduttiva”. “Quando si parla di vita umana non ci si riferisce a ‘qualcosa’ bensì a ‘qualcuno’ – sostengono i presuli – e quindi su di lui non è possibile esercitare un diritto assoluto di proprietà”. I vescovi hanno scelto il motto “Difendendo la vita umana vinciamo tutti” per ribadire all’opinione pubblica il loro “no” all’interruzione volontaria della gravidanza. “Legalizzare l’aborto non cambia il male in bene. Si perde una vita umana – specificano i presuli – nella madre restano ferite che non si rimargineranno facilmente. Il medico va contro l’essenza della sua nobile professione. La società perde una vita non aprendole le proprie braccia”. Per i vescovi una legge che consente di abortire colpisce la cultura della vita. Nell’esprimere massima considerazione e rispetto per ogni donna e venerazione e ringraziamento davanti alla sua maternità, l’episcopato riconosce “le circostanze difficili in cui nascono molti bambini” nell’Uruguay. “Occorre in tali situazioni – sostengono i vescovi – guardare le cause di questi squilibri sociali legati a diseguali opportunità. Non è un caso che il 50% dei bambini uruguayani nasce in famiglie povere”. Il documento a firma del presidente della Conferenza episcopale e vescovo di Mercedes mons. Carlos María Collazzi e del segretario generale e vescovo di Melo mons. Luis del Castello, riconosce “le difficoltà di molte donne che affrontano una gravidanza non desiderata”: “una situazione che va affrontata con molta sollecitudine, e mai usando rigidi dilemmi”. “I conflitti umani non si possono risolvere veramente eliminando una parte – proseguono i vescovi – in particolare quando questa parte è un soggetto di diritto completamente innocente ed indifeso”. Nel concludere la loro dichiarazione i presuli affermano poi che gli “uruguaiani hanno bisogno di tanti segnali di difesa della vita umana di fronte a fenomeni come l’emigrazione, l’inverno demografico e la crescita zero che ipotecano” il futuro. Infine i presuli ribadiscono il loro “sostegno allo sviluppo integrale della vita umana dalla prospettiva di Gesù Cristo”, “venuto a darci una vita degna ed abbondante”.(A cura di Tiziana Campisi)

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    In Uruguay, migliaia di fedeli in preghiera davanti alla Vergine dei Trentatrè, patrona del Paese latinoamericano

    ◊   Almeno 4.000 pellegrini sono arrivati nella città di Florida da varie zone dell’Uruguay per pregare davanti alla Vergine dei Trentatrè, e partecipare, domenica scorsa, al pellegrinaggio incentrato sul tema: “Con Maria condividiamo la gioia della nostra fede”. Mons. Raúl Horacio Scarrone Carrero , vescovo di Florida, ha esortato i fedeli a “chiedere alla Madonna di imparare da Lei ad essere veri discepoli e missionari di suo Figlio Gesù Cristo”. Il presule - rende noto l'agenzia Fides - ha poi espresso il “desiderio che tutti abbiano la vita e una vita piena, affinché si rispetti la vita dal momento del concepimento e fino all'ultimo momento”. Mons. Scarrone ha esortato inoltre a “creare legami di fraternità, di dialogo e di amore tra i popoli dell'Uruguay e dell'Argentina”. Il vescovo di Salto, mons. Pablo Jaime Galimberti di Vietri, ha invitato infine “sacerdoti, religiose, religiosi e fedeli, insieme alle rispettive comunità e famiglie, ad elevare preghiere” per il pronto ristabilimento della cooperazione tra Argentina ed Uruguay. La costruzione pianificata di alcune cartiere, al confine tra Argentina e Uruguay, ha portato infatti a numerose manifestazioni di protesta e ad un deterioramento nelle relazioni tra i governi di Montevideo e Buenos Aires.(A.L.)

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    Ad Antananarivo incontro dei vescovi del Madagascar: nel bilancio annuo del Paese punti di forza ed aspetti problematici

    ◊   Promossi i settori della sanità, l’educazione e le comunicazioni, meno bene invece quelli della politica, dell’economia legata agli investimenti stranieri, e dell’ordine pubblico. In Madagascar i vescovi, al termine della sessione annuale plenaria della Conferenza episcopale svoltasi ad Antananarivo, fanno il bilancio della situazione nel Paese. Un giudizio negativo, riferisce Asianews, colpisce in particolare il mondo della politica, ormai privo di credibilità agli occhi dei cittadini. “Abbiamo constatato man mano un tasso di partecipazione decrescente” notano i presuli, probabilmente dovuto al mancato rispetto delle scelte elettorali della popolazione, all’imposizione dei candidati da eleggere, e a “risultati non sempre credibili”. Per quanto riguarda l’economia, i vescovi invitano a regolamentare l’installazione di aziende straniere sul territorio in maniera più chiara e rigorosa, e a salvaguardare gli interessi dei lavoratori locali. Il plauso dei vescovi va invece al miglioramento dei servizi sanitari e ospedalieri, alle iniziative in favore dell’educazione, alla costruzione di infrastrutture e alle opere che hanno reso possibile un accesso più ampio all’acqua potabile.(C.D.L.)

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    Serve una formazione liturgica permanente. Così il cardinale Arinze al convegno dei direttori degli Uffici liturgici diocesani

    ◊   Formarsi bene per celebrare meglio. Il cardinale Francis Arinze, prefetto della Congregazione per il culto conclude in pratica con questo slogan il Convegno dei direttori degli Uffici liturgici diocesani, che ha riunito per quattro giorni ad Assisi i principali esperti di liturgia di tutta la Penisola. “Ogni membro della Chiesa ha bisogno di una formazione liturgica permanente”, ricorda il porporato fin dall’omelia della Messa che presiede di buon mattino nella Basilica di Santa Maria degli Angeli. E quindi aggiunge: “In modo speciale ne necessitano il diacono, il sacerdote e il vescovo, a causa del loro ruolo specifico”. La liturgia, infatti, “non è a disposizione del nostro arbitrio – prosegue Arinze, citando l’esortazione post-sinodale di Benedetto XVI "Sacramentum Caritatis" – e non può subire il ricatto delle mode del momento”. Una seria formazione mette perciò al riparo da tali rischi. La conferma viene poi anche da una tavola rotonda in cui alcuni direttori di uffici liturgici diocesani parlano della propria esperienza. E così ci si accorge che “formarsi bene per celebrare meglio” è molto più che uno slogan. Ma una vera e propria esigenza della vita di fede.(Da Assisi per la Radio Vaticana Mimmo Muolo)

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    Nella Repubblica Ceca, non verrà emendato un atto che impone limiti alle comunità religiose. La Conferenza episcopale pronta ad appellarsi al tribunale europeo

    ◊   La Conferenza episcopale della Repubblica Ceca esprime in una nota, la propria contrarietà alla decisione presa dalla Corte Costituzionale di rifiutare la proposta presentata dai senatori cristiano-democratici di emendare l’atto 495: lo scopo di questa norma – spiegano i vescovi – è di imporre limiti alle Chiese e alle comunità religiose qualora decidano di fondare istituti caritativi o scuole all’interno di strutture ecclesiastiche. Tutti gli istituti fondati dalle Chiese – aggiungono i presuli – devono per legge passare attraverso “un processo legale estremamente complicato”. Questa situazione, secondo i vescovi e rappresentanti delle altre Chiese cristiane, rappresenta “un atto di ingiustizia”. E’ comunque “una sentenza aperta”, sottolinea il portavoce della Conferenza episcopale, padre Juan Provecho, in quanto la stessa Corte afferma “la necessità del rispetto della libertà religiosa”. La Conferenza della Repubblica Ceca – riferisce l’Agenzia Sir – chiederà alla Corte di dare indicazioni concrete su come interpretare l’atto 495 “senza causare alcun svantaggio alle Chiese e alle comunità religiose”. Se le indicazioni date pregiudicheranno l’azione delle Chiese – dice padre Provecho – siamo pronti ad appellarci al tribunale europeo.(A.L.)

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    L'azione esterna dell'Unione Europea al centro dell'Assemblea plenaria d'autunno della COMECE

    ◊   L’assemblea plenaria d’autunno della Commissione degli episcopati della Comunità europea (COMECE), in programma dal 21 al 23 novembre a Bruxelles, sarà dedicata principalmente “all’azione esterna dell’Unione Europea”, indicandone sfide e prospettive. La sera del 21 novembre si terrà un dibattito sulla crisi in Iraq. Il giorno successivo, i vescovi della COMECE prenderanno in esame le nuove disposizioni del Trattato modificativo e della procedura di ratifica. Saranno analizzate anche le relazioni dell’Unione Europea con l’Africa, l’Europa sud-orientale ed il Kosovo. Il 23 novembre, ultimo giorno dell'Assemblea, verranno ripercorsi gli eventi che nel 2007 hanno segnato la vita della Chiesa in Europa. Ai vescovi sarà consegnato, inoltre, un rapporto delle attività in corso presso il segretariato COMECE, tra cui il documento dal titolo “Proposta per una strategia dell’Unione Europea a favore delle coppie e delle famiglie”, presentato lo scorso 5 novembre a Bruxelles. Nel testo vengono caldeggiate “iniziative politiche”, tra cui quelle volte a prevenire i divorzi, a conciliare la vita professionale e familiare e a combattere la violenza domestica. Nel testo si analizzano anche le difficoltà per le coppie in Europa: tra queste, “l’implosione demografica” e il tasso di divorzio in costante ascesa, presentano “alti costi, sociali e finanziari per la società europea”.(A.L.)

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    Il messaggio cattolico si diffonde anche su You Tube

    ◊   You Tube, popolare sito internet che consente la condivisione di oltre 100 milioni di video, costituisce un’importante leva anche per diffondere il messaggio cattolico e si rivela una miniera per la comunità no-profit. E’ quanto ha detto all’agenzia Zenit il direttore di produzione mediatica del Population Research Institute (PRI) di Front Royal, in Virginia. Il PRI ha lanciato il suo primo video a giugno per presentare il suo lavoro e le sue attività di ricerca. “Crediamo che questi video brevi, concisi, siano fondamentali nel promuovere la consapevolezza delle questioni relative alla vita nella generazione di YouTube”, ha aggiunto Mason. “Inside Catholic” ha realizzato inoltre uno spot di 57 secondi su YouTube contenente un messaggio pro-vita, “The Baby in the Box”. Brian Saint-Paul, editore di “Inside Catholic”, ha affermato che c’è stata una “grande risposta”. Il cardinale Justin Rigali, arcivescovo di Philadelphia, è stato inoltre il primo porporato ad usare il nuovo mezzo per raggiungere i fedeli: alcune sue riflessioni sul Vangelo sono state inserite su YouTube durante la Quaresima del 2007. “Il primo video mandato dal cardinale – ha detto Donna Farrell, direttore per le comunicazioni dell’Arcidiocesi di Philadelphia - è stato uno dei più visti. “YouTube – ha spiegato il cardinale - è un luogo in cui la gente comunica su molteplici cose, e sicuramente, dal punto di vista della Chiesa, abbiamo il desiderio di comunicare Cristo”. “Abbiamo – ha concluso - il messaggio del Vangelo, uno splendido messaggio di speranza, amore e fede”.(A.L.)

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    Continua in Asia il pellegrinaggio di Frère Alois, priore della comunità di Taizé

    ◊   Erano in 700 i fedeli cristiani presenti oggi nella cattedrale dell'Immacolata Concezione ad Hong Kong, in occasione della visita di frère Alois, priore di Taizè, designato dopo la morte del fondatore frère Roger. Ai presenti il religioso, che, stando a quanto riporta l’agenzia Misna, ha visitato anche la cattedrale anglicana di Saint Jhon, ha rievocato l'antica civiltà della Cina in cui "il Vangelo è riuscito a farsi strada". Solo aluni giorni fa ad attenderlo a Bangkok erano presenti circa 220 giovani; ragazzi cristiani, ma anche buddisti e musulmani, provenienti da Hong Kong, Laos, Malaysia, Singapore, India e Filippine. Il futuro della Chiesa “è rappresentato dai giovani” ha detto all’incontro, nella cattedrale dell’Assunzione, l’arcivescovo di Bangkok, il card. Michai Kitbunchu. A loro bisogna insegnare “i veri valori che fanno grande una società – ha aggiunto - non in quanto si riesce ad essere felici, ma in quanto si possa rendere felice chi abbiamo intorno”. “I diversi problemi che affliggono la società rischiano di trascinarci in un mondo senza speranza. – ha detto poi ai giovani frère Alois - Scegliendo invece l’amore, in special modo nei confronti dei meno privilegiati, testimoniamo l’amore di Cristo per l’umanità, l’unica strada per il futuro del mondo”. Nei prossimi giorni il priore della comunità di Taizè farà tappa a Yogyakarta, in Indonesia, e a Kompong Tom e Kompong Cham in Cambogia.(C.D.L.)

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    Rapporto Eurispes sulla nuova generazione in Italia: figli-padroni che vogliono tutto e subito

    ◊   Bambini prepotenti, giovani sicuri di sé e con molte pretese. È quanto emerge dalla fotografia della nuova generazione italiana realizzata dall’EURISPES, nell'ottavo Rapporto nazionale sulla condizione dell'infanzia e dell’adolescenza in Italia, presentata oggi a Roma dall’istituto di ricerca e da Telefono Azzurro. Secondo lo studio, ai bambini non manca l’affetto di papà e mamma ed è vissuta con sofferenza la separazione dei genitori. Tre su dieci dichiarano di non poter rinunciare alla Tv, mentre il 20,2% alla Playstation. Un bambino su due possiede un cellulare, ritenuto addirittura indispensabile per l'11,8% dei giovani intervistati. Il ritratto è quello di figli padroni, bambini sempre più tecnologici, protagonisti della now generation che “enfatizza l’immediatezza e il presente, poiché il futuro è pervaso da un senso di nebulositá e di incertezza”. Il rapporto contiene anche due indagini svolte all'interno del mondo scolastico che hanno interessato 52 scuole: un “identikit del bambino”, che ha coinvolto i giovanissimi studenti di età compresa tra i 7 e gli 11 anni e un “identikit dell'adolescente”, rivolto, invece, agli scolari dai 12 ai 19 anni di età. Ne emerge un completo ritratto della generazione che viene definita del “tutto e subito”. Gli esperti osservano che, se da un lato, è un bene che la conoscenza, contrariamente al passato, passi da figlio a padre, considerata l’indubbia abilità dei ragazzi a utilizzare le nuove tecnologie, dall’altro, merita attenzione il fenomeno della sempre più crescente intolleranza dei figli nei confronti dei pari, dei professori e dei genitori stessi. La ricetta per affrontare al meglio il problema è allora “restituire centralità ai valori e al ruolo pedagogico della famiglia”. (A cura di Amedeo Lomonaco)

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    24 Ore nel Mondo



    Pakistan: dal primo dicembre il presidente Musharraf lascerà il comando delle Forze Armate

    ◊   In Pakistan, entro la mezzanotte di oggi, il presidente Musharraf scioglierà il parlamento e da domani verrà formata un governo ad interim, che avrà il compito principale di organizzare le prossime elezioni. Il generale, che da otto anni guida il Paese, ha annunciato che smetterà la divisa di capo delle Forze Armate entro il primo dicembre. Intanto, i leader dell’opposizione pakistani si sono accordati per mobilitare tutte le forze popolari contro il presidente; Benazir Bhutto e Navaz Sharif, rivali negli anni Novanta, sono ora fianco a fianco nella loro lotta per la democrazia. Ma la vera differenza la faranno gli Stati Uniti. Secondo il "New York Times", infatti, l'amministrazione Bush sta perdendo fiducia nella capacità di sopravvivenza politica di Musharraf e si prepara a mettere in atto un “piano C” per il Pakistan cercando la complicità dei vertici militari. La cronaca, intanto, riferisce dell'uccisione di due civili per mano della polizia, durante una manifestazione promossa dall'opposizione, a Karachi.
     
    Stati Uniti – Iraq. Gli Stati Uniti si preparano a rivedere l’entità della loro presenza militare in Iraq. La maggioranza democratica alla Camera dei Rappresentanti ha, infatti, approvato un calendario provvisorio in cui si segnala l’inizio del rientro entro i primi 30 giorni “dal via libera” e la fine delle “azioni di combattimento” nel Paese del Golfo entro il 15 dicembre 2008. Il progetto è stato approvato con 218 voti a favore e 203 contrari. Intanto, sul terreno continuano le operazioni militari: il comando statunitense dell’area centrale dell’Iraq ha reso noto il bilancio degli ultimi scontri con i miliziani. Nel comunicato ufficiale di questa mattina, si legge di 25 sospetti terroristi uccisi e di altri 21 fatti prigionieri. L’operazione cui si fa riferimento è scattata la notte scorsa nella zona ad ovest di Tarmiyah. E’ salito, inoltre, il numero delle vittime provocate dall’attentato suicida che questa mattina si è verificato a Kirkuk. Sette i morti per l’esplosione della vettura su cui viaggiava l’attentatore, diretto contro un convoglio della polizia. Una ventina, le persone rimaste ferite.

    In Francia, sciopero dei trasporti ferroviari. Da circa due giorni, l'agitazione sta paralizzando il Paese. Tuttavia, i sindacati hanno accettato un tavolo di trattativa con il governo che ha dato un mese di tempo per risolvere la questione. Il servizio di Francesca Pierantozzi:


    Continua il braccio di ferro in Francia tra governo e sindacati sulla riforma delle pensioni a regime speciale. Per il secondo giorno consecutivo, oggi restano semiparalizzati il traffico ferroviario, quello di autobus e metro a Parigi. I sindacati hanno votato la proroga di 24 ore dello sciopero di ieri. I ferrotranvieri protestano contro la riforma delle loro pensioni, fortemente voluta dal presidente Nikolas Sarkozy, che ha ribadito più volte di volere andare fino in fondo. La riforma prevede di allineare le pensioni dei ferrotranviari con quelle dei funzionari pubblici e di portare quindi gli anni di contributi dai 37,5 attuali a 40. I sindacati vogliono negoziati più ampi. Ieri una parziale apertura è arrivata dal governo, che ha accettato di esser presente alle discussioni che si svolgeranno tra sindacati ed i diversi enti. Oggi si prevedono comunque disagi su tutta la rete ferroviaria. Nel ’95, la protesta contro un’analoga riforma aveva portato ad uno sciopero record durato oltre tre settimane. Alla fine, l’allora premier Alain Juppé aveva dovuto tirarsi indietro. (Francesca Pierantozzi da Parigi per la Radio Vaticana).

    Sciopero dei treni anche in Germania. Dalle prime ore del giorno, i macchinisti del sindacato GDL hanno aderito alla proclamazione dello sciopero nazionale indetto per il rinnovo del contratto di lavoro. Forti i disagi già registrati sull’intera rete ferroviaria, specialmente per i pendolari che potrebbero avere difficoltà sugli spostamenti fino a sabato prossimo. I macchinisti e il personale del GDL chiedono al governo un aumento salariale fino al 31 per cento.

    Italia - finanziaria. Continua l’iter della Finanziaria. Il Senato ha approvato stamani l’articolo 93 relativo, tra l’altro, alla stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione, fra cui coloro che lavorano negli uffici periferici del Ministero delle finanze. Si tratta di un emendamento dell’opposizione sul quale il governo Prodi è stato battuto per 156 voti a favore, 153 no e 1 astenuto. Continua in Aula la discussione per giungere al voto finale, che potrebbe arrivare in serata oppure slittare a domani. Il presidente del Consiglio si dice fiducioso e non intenderebbe porre la fiducia. Ma secondo il leader dei Liberaldemocratici, Lamberto Dini, il quadro politico andrebbe messo in discussione.

    Tifoso ucciso. Si aggrava la posizione dell’agente di polizia Luigi Spaccarotella, indagato per la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri, ucciso domenica scorsa sull'A1 vicino ad Arezzo da un colpo di pistola. L’agente sarà accusato di omicidio volontario. Lo ha annunciato l'avvocato difensore del poliziotto, Francesco Molino. Finora Spaccarotella era stato accusato di "omicidio colposo".

    Chavez-Spagna. Il confronto fra il presidente venezuelano Chavez e le autorità spagnole sta suscitando le prime reazioni. A difendere Chavez è il suo omologo brasiliano Lula da Silva che ha criticato quanti lamentano una presunta mancanza di democrazia in Venezuela. Intanto, il presidente Chavez ha annunciato che, dopo il suo scontro verbale con re Juan Carlos al vertice Iberoamericano in Cile, i rapporti politici, economici e diplomatici con la Spagna potrebbero essere modificati profondamente. Da Madrid, sono giunti inviti alla calma.

    ONU-Birmania. La visita in Birmania dell'inviato speciale dell’ONU per i Diritti umani, Paulo Sergio Pinheiro, giunge oggi al quinto giorno. La giunta militare gli ha permesso una ricognizione nelle carceri di Insein, nelle quali si trovano prigionieri centinaia di attivisti politici filo-democratici arrestati durante i cortei di protesta dello scorso settembre. Nonostante la presenza nel Paese di Pinheiro, l’ondata di arresti continua. Ieri, i militari hanno catturato uno dei monaci buddisti leader delle manifestazioni popolari. Si tratta di religioso membro dell'organizzazione filo-democratica "Alleanza dei Monaci Buddisti" della Birmania .

    Pena capitale - ONU. La moratoria della pena di morte deve superare il giorno più importante. Si attende per oggi, infatti, il voto finale del documento nel suo complesso dopo che ieri la terza commissione dell’assemblea dell’ONU, che si occupa della difesa dei diritti umani, ha respinto la modifica di dieci emendamenti che avrebbero potuto alleggerire il testo e favorire una spaccatura fra i Paesi favorevoli alla moratoria. Una volta approvata dalla terza commissione, la risoluzione dovrà essere ratificata dall'Assemblea Generale. (Panoramica internazionale a cura di Francesca Fialdini)

     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI no. 319

     

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