RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 89
- Testo della trasmissione di venerdì 30
marzo 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Due interventi di
mons. Silvano Tomasi all’ONU sulla libertà religiosa
e sui diritti dell’infanzia
Oggi su
"L'Osservatore Romano"
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
In Myanmar si è spento padre Paolo Noè, l'ultimo missionario
del PIME nel Paese
Il Senato USA approva il ritiro delle truppe
dell’Iraq entro il marzo del 2008. Bush opportà il veto
Il
Papa e la Santa Sede
Favorire un dialogo
esigente tra culture e religioni
per promuovere pace e
sviluppo: l’esortazione del Papa
al nuovo ambasciatore
ucraino presso la Santa Sede
Dialogo tra culture e religioni, impegno
ecumenico e radici cristiane dell’Europa: sono i temi forti affrontati da
Benedetto XVI nel discorso al nuovo ambasciatore ucraino presso la Santa Sede,
la signora Tetiana Izhevska,
ricevuta stamani in Vaticano per la presentazione delle Lettere Credenziali. Il
Papa ha invitato l’Ucraina ad essere, secondo la sua vocazione, ponte tra
Oriente ed Occidente. Quindi, ha ringraziato l’ambasciatore per l’invito a
visitare l’Ucraina, ripercorrendo le orme di Giovanni Paolo II, che vi si recò nel 2001. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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In un mondo sempre più globalizzato,
è urgente “favorire un dialogo esigente ed approfondito tra le culture e le
religioni”. E’ l’esortazione di Benedetto XVI, che ha poi sottolineato come
questo dialogo non debba tendere al sincretismo, ma permettere alle religioni
“di svilupparsi nel rispetto reciproco, lavorando, ciascuno secondo il proprio
carisma, per il bene comune”. Tale prospettiva, è stata la sua riflessione,
“permetterà sicuramente di ridurre le fonti possibili di tensione e contrasto
tra i gruppi e le nazioni” garantendo a tutti “le condizioni di una pace e di
uno sviluppo durevoli”.
Il Pontefice ha, quindi, ribadito
l’importanza delle radici cristiane dell’Europa. L’Ucraina, ha costatato, ha
sempre avuto una vocazione di ponte tra l’Oriente e l’Occidente. Condizione che
ha valorizzato in questi ultimi anni con una politica di “apertura e
collaborazione con gli altri Paesi del continente”. Il Pontefice si è detto
sicuro che la nazione ucraina, la cui storia è “profondamente impregnata del
Vangelo, nella sua cultura e nelle sue istituzioni” avrà a cuore “di portare
alle altre nazioni il dinamismo della sua identità, preservandone le
caratteristiche originali”. Il Papa si è dunque rallegrato per la tutela, da
parte dello Stato ucraino, della libertà religiosa, “dimensione essenziale
della libertà dell’uomo”.
Si è così soffermato sul dialogo ecumenico.
Rivolgendosi ai fedeli cattolici d’Ucraina, Benedetto XVI ha sottolineato che
la Chiesa “porta nel suo seno la cura del dialogo permanente” tra le due tradizioni,
orientale ed occidentale. Ha, quindi, messo l’accento sul desiderio dei
cattolici di “proseguire sul cammino di unità con i fratelli ortodossi e delle
altre confessioni cristiane”. Il Papa ha espresso parole di incoraggiamento,
affinché si “mostrino sempre disponibili a consolidare
il dialogo ecumenico” per “superare le difficoltà e raggiungere l’unità tanto
attesa”. Unità volta ad offrire al mondo “una testimonianza più vera della
Buona Novella”.
D’altro canto, il Pontefice ha assicurato
l’impegno dei cattolici ucraini al servizio del bene comune. Una delle
vocazioni proprie della Chiesa cattolica, ha affermato, “s’esprime
nell’importanza che attribuisce all’educazione dei giovani”. Per la Chiesa, si
tratta di “permettere ai giovani di ricevere una formazione solida ed integrale,
fondata sui principi dell’etica cristiana” e dunque “della dignità fondamentale
dell’essere umano, creato ad immagine di Dio”. La Chiesa, ha concluso il Papa,
auspica di “partecipare attivamente a questa grande missione educativa,
mettendo la sua esperienza al servizio di ognuno”.
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Nata a Chernigiv
nel 1957, la signora Tetiana Izhevska
è sposata ed ha una figlia. E’ stata docente presso l’Accademia delle Scienze
d’Ucraina e l’Università Linguistica di Kiev. Tra gli
ultimi incarichi diplomatici ricoperti quello di vice-presidente della
Commissione governativa presso l’UNESCO e di Rappresentante d’Ucraina presso il
comitato per le Pari Opportunità del Consiglio d’Europa.
Il
Papa al Forum dei giovani: nell'economia
non
conta solo essere produttivi e competitivi.
Occorre
essere testimoni della carità
In questo tempo di grandi trasformazioni
nel campo dell’economia “non conta soltanto diventare più ‘competitivi’ e
‘produttivi’ occorre essere ‘testimoni della carità’”.
E’ quanto afferma il Papa in un messaggio inviato a mons. Stanisław
Ryłko, presidente del pontificio Consiglio per i
Laici, che sta tenendo a Rocca di Papa, vicino Roma,
il IX Forum internazionale dei giovani sul tema “Testimoni di Cristo nel mondo
del lavoro”. All’evento partecipano oltre 300 giovani delegati delle Conferenze
episcopali e di vari Movimenti e Associazioni internazionali provenienti da
tutto il mondo. Il servizio di Sergio Centofanti.
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Il Papa nel messaggio sottolinea che se, da
una parte, i progressi compiuti in quest’epoca di grandi
trasformazioni “hanno suscitato nuove speranze nei giovani, dall’altra hanno
spesso creato in loro forme preoccupanti di emarginazione e di sfruttamento,
con crescenti situazioni di disagio personale”. Sono infatti
“aumentate le difficoltà di reperire un’occupazione lavorativa che risponda
alle attitudini personali e agli studi compiuti, con in più l’aggravio
dell’incertezza circa la possibilità di poter poi mantenere nel tempo un pur
modesto impiego. Il processo di globalizzazione in
atto nel mondo – prosegue il Pontefice - ha recato con sé un’esigenza di
mobilità che obbliga numerosi giovani a emigrare e a vivere lontano dal Paese
d’origine e dalla propria famiglia. E questo – ha aggiunto - ingenera in tanti
un inquietante senso di insicurezza, con indubbie
ripercussioni sulla capacità non solo di immaginare e di mettere in atto
un progetto per il futuro, ma persino di impegnarsi concretamente nel
matrimonio e nella formazione di una famiglia”.
Il Papa invita ad affrontare queste
“problematiche complesse e delicate” alla luce della Dottrina sociale della
Chiesa che con numerosi documenti, sin dalla Rerum novarum
di Leone XIII nel 1891, hanno richiamato
“con forza la necessità di valorizzare la dimensione umana del lavoro e di
tutelare la dignità della persona” in un contesto “di liberalismo economico
condizionato dalle pressioni del mercato, dalla concorrenza e dalla
competitività”. In effetti – spiega Benedetto XVI – “il lavoro rientra nel progetto
di Dio sull'uomo … è partecipazione alla sua opera creatrice e redentrice. E,
pertanto, ogni attività umana dovrebbe essere occasione e luogo di crescita
degli individui e della società, sviluppo dei ‘talenti’ personali da
valorizzare e porre al servizio ordinato del bene comune, in spirito di
giustizia e di solidarietà”. “Non conta soltanto diventare più «competitivi» e
«produttivi» - rileva Benedetto XVI - occorre essere testimoni della carità”.
Il Papa esorta i credenti a vivere “il
lavoro come una vocazione e una vera missione” con l’obiettivo di costruire il
Regno di Dio. “Oggi, più che mai – leggiamo
ancora nel messaggio - è necessario e urgente proclamare ‘il Vangelo del lavoro’, vivere da cristiani nel mondo del lavoro e
diventare apostoli fra i lavoratori. Ma per compiere questa missione – aggiunge
il Papa - occorre restare uniti a Cristo con la preghiera e un’intensa vita
sacramentale, valorizzando a tale scopo in maniera speciale la Domenica, che è
Giorno dedicato al Signore”.
Il Papa incoraggia infine “i giovani a non
perdersi d’animo dinanzi alle difficoltà” e dà loro appuntamento per domenica
prossima, in Piazza San Pietro, per la celebrazione della Domenica delle Palme
e della XXII Giornata Mondiale della Gioventù, ultima tappa di preparazione
alla GMG, che si terrà il prossimo anno a Sidney, in Australia.
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Da Gesù, il cristiano impari non solo la
misericordia ma a gioire
del
perdono che riconcilia gli animi: così padre Cantalamessa
nell'ultima
predica di Quaresima al Papa e alla Curia Romana
“Il perdono per una comunità è come l’olio
per il motore: come l’olio anche il perdono scioglie gli attriti” e permette
agli uomini di vivere in armonia. E’ il pensiero con il quale padre Raniero Cantalamessa ha concluso stamattina il ciclo di meditazioni
quaresimali, tenuto al Papa e alla Curia Romana. Il predicatore pontificio ha
basato la sua riflessione sulla quinta Beatitudine dell’evangelista Matteo:
“Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia”. Ce ne parla Alessandro
De Carolis:
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Se le Beatitudini
sono il “ritratto” di Gesù, anche l’esercizio della misericordia va considerato
per un credente nel modo in cui Cristo lo visse. Da questa posizione di partenza,
comune anche alle altre meditazioni, padre Raniero Cantalamessa
ha mosso la riflessione del venerdì che introduce alla
Settimana Santa. Tutta la Bibbia, ha spiegato all’inizio, è pervasa dal
concetto della misericordia di Dio “verso l’infedeltà del popolo”. Misericordia
intesa in una doppia direzione: quella di Dio verso i peccatori e quella degli
uomini fra loro. Padre Cantalamessa ha ricordato gli
innumerevoli brani che nell’Antico e nel Nuovo Testamento mostrano esempi del
perdono che, se praticato, rende l’uomo davvero, più di altro, “a immagine e
somiglianza di Dio”. Ma c’è di più:
“La cosa più sorprendente, circa la
misericordia di Dio, è che egli prova gioia nell’aver misericordia (…) Ma
perché, ci si domanda, una pecora deve contare, sulla bilancia, quanto tutte le
rimanenti messe insieme, e a contare di più deve essere proprio quella che è
scappata e ha creato più problemi, la pecorella smarrita? (…)
Che dire allora delle novantanove pecorelle giudiziose e del figlio maggiore?
Non c’è alcuna gioia in cielo per essi? Vale la pena
vivere tutta la vita da buoni cristiani? (…) L’errore
del figlio maggiore sta nel considerare
l’essere rimasto sempre a casa e aver condiviso tutto con il Padre, non un
privilegio immenso, ma un merito; si comporta da mercenario, più che da
figlio”.
Dio è pronto al perdono ma rispetta la libertà dell’uomo di accogliere
questo perdono e a sua volta offrirlo ai suoi simili. Ma la misericordia di Dio
verso di noi - si è domandato poco dopo il predicatore francescano - è effetto
ed è proporzionata a quella che dimostriamo agli altri? No,
ha affermato: il perdono di Dio precede sempre quello umano:
“La parabola dei due servitori è la chiave
per interpretare correttamente il rapporto. Lì si vede come è il padrone che,
per primo, senza condizioni, rimette un debito immenso al servo (diecimila
talenti!) ed è proprio la sua generosità che avrebbe dovuto spingere il servo
ad avere pietà di colui che gli doveva la misera somma di cento denari.
Dobbiamo dunque avere misericordia perché abbiamo ricevuto misericordia, non
per ricevere misericordia; però dobbiamo avere misericordia, altrimenti la
misericordia di Dio non avrà effetto per noi e ci verrà
ritirata, come il padrone della parabola la ritirò al servo spietato”.
La Chiesa, dunque,
e ogni singolo cristiano sono sollecitati a comportarsi con altrettanta
generosità e con l’intelligenza che contraddistinse l’amore di Cristo verso i
peccatori. E parlando di peccatori, il predicatore pontificio ha contestato una
tendenza odierna che vorrebbe scagionare i farisei da tale ruolo, identificandolo
solo nei criminali peggiori e dunque facendo apparire Gesù una persona socialmente
"irresponsabile":
“Se fosse così, gli
avversari di Gesú avevano effettivamente ragione di
scandalizzarsi e di ritenerlo persona irresponsabile e socialmente pericolosa.
Sarebbe come se oggi un sacerdote frequentasse abitualmente mafiosi, camorristi
e criminali in genere, e accettasse i loro inviti a pranzo, con il pretesto di
parlare loro di Dio. In realtà, le cose non stanno così (...) Gesú non nega che esista il peccato e che esistano i
peccatori, non giustifica le frodi di Zaccheo o l’adulterio della donna. Il
fatto di chiamarli 'i malati' lo dimostra (…) Egli non banalizza il peccato, ma trova il modo di non
alienarsi mai i peccatori, ma piuttosto di attirarli a sé. Non vede in essi solo quello che sono, ma quello che possono divenire,
se raggiunti dalla misericordia divina nel profondo della loro miseria e
disperazione. Non aspetta che vengano da lui; spesso è lui che va a cercarli”.
Si tratta allora,
ha concluso padre Cantalamessa, “di reagire con il
perdono e, fin dove è possibile, con la scusa, non con la condanna”:
“Il perdono è per una comunità quello che è
l’olio per il motore. Se uno esce in auto senza una goccia d’olio nel motore,
dopo pochi chilometri andrà tutto in fiamme. Come l’olio anche il perdono
scioglie gli attriti. Cerchiamo di individuare, tra i nostri rapporti con le
persone, quello nel quale ci sembra necessario far penetrare l’olio della
misericordia e della riconciliazione e versiamocelo silenziosamente, con
abbondanza, in occasione della Pasqua”.
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Altre
udienze
Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina
un altro gruppo di presuli della Conferenza episcopale della Regione Sicilia,
in visita "ad Limina".
Questo pomeriggio riceverà il cardinale William Joseph
Levada, prefetto della Congrega-zione per la Dottrina
della Fede.
La vita è priva di senso se non s'incontra con
l'amore vero.
Cosi’ il Papa ai giovani
romani nella Basilica di San Pietro
per la liturgia
penitenziale
Un invito a “incidere con una testimonianza
autenticamente cristiana” per edificare nel mondo intero la civiltà dell’Amore.
Lo ha rivolto il Papa ieri pomeriggio ai numerosissimi giovani romani accorsi
in Basilica di San Pietro e in Aula Paolo VI per la celebrazione della liturgia
penitenziale in preparazione alla 22.ma Giornata
Mondiale della Gioventù che si celebrerà nelle singole diocesi domenica
prossima, Domenica delle Palme. “Come io vi ho amato,
così amatevi anche voi gli uni gli altri”, è il tema di quest’anno. Il servizio
è di Paolo Ondarza.
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“Un incontro attorno alla Croce”: il Papa
ha definito così la celebrazione della liturgia penitenziale a San Pietro con i
giovani di Roma. Al centro dell’altare il Crocifisso della Cappella Sistina:
segno della misericordia divina incarnata da Gesù fino alla follia della Croce.
Benedetto XVI ha ricordato il comandamento nuovo di Cristo, pronunciato prima
del tradimento: “Come io vi ho amati, così amatevi anche
voi gli uni gli altri”. 7 giovani hanno presentato all’altare i 7 vizi
capitali, poi 7 lumi sono stati accesi: la luce della speranza portata da
Cristo che illumina il buio della realtà umana macchiata dal peccato. Il Papa
ha citato l’Enciclica Redemptor hominis
di Giovanni Paolo II:
“'L’uomo non può vivere senza amore. Egli
rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso,
se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra
con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa pienamente'. Ancor più il cristiano non può vivere senza
amore. Anzi, se non incontra l’amore vero non può dirsi nemmeno pienamente
cristiano".
“L’incontro con la Persona di Cristo da
vita a un nuovo orizzonte” ha detto Benedetto XVI citando la
Deus caritas est:
"L’amore di Dio
per l’uomo, che si esprime in pienezza sulla Croce, è descrivibile con il
termine agape, ossia 'amore oblativo che cerca esclusivamente il bene
dell’altro', ma pure con il termine eros. Infatti, mentre è amore che offre
all’uomo tutto ciò che Dio è, come ho osservato nel Messaggio per questa
Quaresima, è anche un amore dove il 'cuore stesso di
Dio, l’Onnipotente, attende il ‘sì’ delle sue creature come un giovane sposo
quello della sua sposa'”.
Per dire sì a Cristo ecco il sacramento
della Confessione amministrato dal sacerdote: ricevendolo con fede e devozione
e dopo un attento esame di coscienza l’uomo abbandona “l’illusione di
un’impossibile autosufficienza e la seduzione delle menzogne del Maligno”.
La Basilica di San Pietro si è trasformata
in spazio della misericordia. I giovani romani hanno dapprima formulato una
richiesta comune di perdono, poi il momento più forte: la Confessione
individuale amministrata dal Santo Padre e da oltre 200 sacerdoti. Ai
partecipanti il Papa ha affidato un impegno:
"Uscendo da questa celebrazione, con i
cuori ricolmi dell’esperienza dell’amore di Dio, siate preparati ad 'osare' l’amore nelle vostre famiglie, nei rapporti con i
vostri amici e anche con chi vi ha offeso. Siate preparati ad incidere con una
testimonianza autenticamente cristiana negli ambienti di studio e di lavoro, ad
impegnarvi nelle comunità parrocchiali, nei gruppi, nei movimenti, nelle
associazioni e in ogni ambito della società".
“Il mondo
aspetta questo contributo per l’edificazione della civiltà dell’amore" – ha aggiunto:
“L’orizzonte
dell’amore è davvero sconfinato: è il mondo intero!”
Il
Papa ha invitato i fidanzati a vivere vivete "il fidanzamento nell’amore
vero, che comporta sempre il reciproco rispetto, casto e responsabile". Ai
giovani chiamati alla consacrazione ha chiesto di rispondere con un “sì” a Dio
"generoso e senza compromessi”. Per essere pienamente vero, libero e
sorgente di gioia – ha detto – l’amore richiede sacrificio, abnegazione,
fedeltà e perseveranza.
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Ma cosa rappresenta per i giovani il
sacramento della Confessione? Marina Tomarro
ha raccolto le voci di alcuni partecipanti alla Liturgia penitenziale:
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R. – Innanzitutto
aprire un dialogo a cuore aperto con Dio, quindi parlare con Lui senza nascondergli
nulla. Soltanto così abbiamo la possibilità di arrivare a toccarlo con lo
spirito e sentirlo dentro.
R. – E’ un momento
molto importante perché è il momento in cui il cristiano si riconosce peccatore
di fronte alla grandezza di Cristo e di conseguenza è l’unico momento in cui ci
si può riavvicinare e riappacificare con Lui.
R. – E’ la
dimostrazione dell’amore che Dio ha verso di noi, perchè
anche se noi ripetiamo ogni volta i nostri peccati c’è sempre questa
misericordia, c’è sempre questo perdono che siamo sicuri di ricevere.
D. – La Confessione è
un sacramento che hai sempre praticato o l’hai riscoperto ultimamente?
R. – L’ho riscoperto
ultimamente perchè per tanto tempo l’ho praticato sempre come una routine, ma
ora ho capito cosa vuol dire il vero perdono dei peccati.
R. – E’ un sacramento
che ho sempre praticato e tuttora lo pratico: questo mi fa andare avanti nella
fede.
R. – Da piccoli si
tentenna ad andare a confessarsi però quando si ha la consapevolezza del
peccato, quando si ha consapevolezza anche della misericordia, si riscopre il
sacramento della Confessione.
D. – Fulcro della
confessione è il perdono di Dio, ma per te cosa vuol dire perdonare?
R. – Il perdono è difficile però senza il perdono non si vive perché senza il
perdono il nostro cuore non è libero per accettare Dio e per accoglierlo
sempre, come dovremmo fare. Il perdono deve essere il nostro costante
obiettivo, anche quando ci sembra difficile.
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Due interventi di
mons. Silvano Tomasi all’ONU
sulla libertà religiosa e
sui diritti dell’infanzia
“La religione è tra quei fattori sociali
che, insieme con la scienza, ha più contribuito al progresso dell’umanità
attraverso la promozione culturale, artistica, sociale e di valori umanitari.
Pertanto ogni religione che predica o condona la violenza, l’intolleranza e
l’odio rende se stessa indegna di questo nome”. È quanto ha affermato il 22 marzo
l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente
della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra. Prendendo
parte alla IV sessione del Consiglio dei Diritti Umani, mons. Tomasi ha detto che “accanto al fanatismo pseudoreligioso ci sono esempi di fanatismi antireligiosi
che denigrano la religione o, più in generale, i fedeli di una religione. Le
legittime critiche verso certe forme di comportamento dei fedeli di una
religione – ha aggiunto il presule – non dovrebbero trasformarsi in un insulto
o un’ingiusta diffamazione, né in dileggio verso persone venerate, pratiche,
riti o simboli”.
Il rappresentante della Santa Sede ha
sottolineato che “la promozione del rispetto del diritto alla libertà di
religione e del diritto alla libertà di espressione non dovrebbe mettere da
parte la questione del rispetto concreto delle religioni, credenze e opinioni
in cui questi diritti si realizzano. Non si può considerare la messa in
ridicolo del sacro come un diritto alla libertà di espressione”. Nel pieno rispetto
di quest’ultimo, ha detto ancora mons. Tomasi, è
necessario sviluppare meccanismi e strumenti coerenti con i diritti umani, che difendano il messaggio delle comunità religiose dalle
manipolazioni ed evitino un’irrispettosa presentazione dei loro fedeli. Il
rappresentante della Santa Sede, in un altro intervento, il 23 marzo, sempre
nella stessa sede, ha affrontato il tema dei diritti dell’infanzia, osservando
che “in molti casi, la mancanza di buona volontà e di risorse impedisce che vengano applicati provvedimenti giuridici e politiche
pubbliche, con gravi conseguenze per i minori, che spesso sono le prime vittime
delle carestie e delle guerre”. Il nunzio apostolico ha aggiunto che “a molti
bambini è negato il diritto alla vita, che la selezione prenatale elimina sia i
bambini che rischiano di nascere con una disabilità, sia le bambine, solo a
causa del loro sesso, negando così il valore medesimo ed intrinseco delle
persone disabili e delle bambine ad essere membri
della famiglia e della società”.
L’arcivescovo Tomasi
ha ribadito che “il primo diritto dei minori è quello di nascere e di essere
educati in un ambiente familiare accogliente e sicuro, che garantisca la
crescita fisica, psicologica e spirituale e che sviluppi le potenzialità e dove
la consapevolezza della dignità personale sia la base del rapporto con gli
altri e nell’affrontare il futuro”. Dopo aver rimarcato che lo Stato e la
società devono “sostenere la famiglia perchè sia in grado di portare a
compimento la sua missione”, il presule ha illustrato il contributo offerto
dalla Chiesa Cattolica. “Con le sue 300 mila istituzioni sociali, caritative ed educative, opera quotidianamente per assicurare
un’educazione dell’infanzia orientata alla pace ed alla creatività, allo
sviluppo delle attitudini individuali e per favorire la reintegrazione dei
minori abbandonati o che hanno subito abusi, nelle proprie famiglie e nella
società”. “Difendere i diritti dell’infanzia ed eliminare tutte le forme di
violenza contro i minori rimane una sfida istituzionale per la comunità
internazionale – ha concluso mons. Tomasi – si
conseguiranno buoni risultati soltanto se si darà priorità al ruolo naturale
della famiglia, e se la cultura pubblica riconoscerà che anche il bambino è
pienamente persona umana”.
Oggi su
"L'Osservatore Romano"
Servizio vaticano - In primo piano:
Benedetto XVI presiede la Celebrazione della Penitenza in preparazione alla
XXII Giornata Mondiale della Gioventù.
Servizio estero - In evidenza l'intervento della Santa Sede in occasione
della quarta Sessione ordinaria del Consiglio dei diritti dell'Uomo, dal titolo
"Il rispetto delle Religioni e della libertà religiosa".
Servizio culturale - Un articolo di Gian Filippo Belardo dal titolo
"L'Enigma al centro della riflessione. Il mondo come museo di
stranezze": quasi 100 opere esposte fino al 27 maggio al Palazzo Zabarella di Padova ripercorrono la parabola creativa di de
Chirico.
Servizio italiano - In rilievo il tema del lavoro.
Oggi
in Primo Piano
Solenne esecuzione
della “Passione secondo Matteo”
composta dal vescovo ortodosso Ilarion
Alfeev.
Un concerto nel segno dell’ecumenismo fra le Chiese
d’Oriente e di Roma
Ieri sera, all’Auditorium della
Conciliazione, alla presenza di autorità ecclesiastiche e diplomatiche
cattoliche e ortodosse, è stato eseguito il concerto de “La Passione secondo
Matteo”, opera composta da Ilarion
Alfeev, vescovo ortodosso di Vienna e rappresentante
a Bruxelles degli ortodossi russi. Solo tre giorni fa, era stata celebrata a
Mosca la prima mondiale. Sul palcoscenico romano, la storica orchestra
sinfonica “Chajkovsky” di Mosca, diretta da Vladimir Fedoseev, e il coro “Tretjakov”,
specializzato nel repertorio spirituale russo. C’era per noi A.V.:
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(musica)
Una preparazione alla
Settimana Santa, attraverso il patrimonio culturale e spirituale dell’Oriente:
così il Patriarca Alessio II ha inteso l’offerta musicale di un grande oratorio
sacro, scritto secondo la tradizione ortodossa, nel messaggio riportato dal
cardinale Paul Poupard,
Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura. La celebrazione della
Pasqua, quest’anno coincidente per le due Chiese, è stata
infatti anticipata dalla comune partecipazione a un concerto che ha
fatto rivivere, attraverso il testo evangelico, l’Ultima Cena, il Processo, la
Crocifissione e la Deposizione di Cristo. Cantata in russo, con i recitativi in
italiano, la Passione secondo Matteo di Ilarion Alfeev dispiega un coro solenne e un’imponente orchestra
d’archi rafforzata nei suoni gravi da 10 contrabbassi: si apre in modo minore, ma ascendente; l’inno funebre e l’Alleluja. Il Vangelo è enunciato nei recitativi, quasi una
salmodia che poi muta in responsorio tra il solista e il coro, mentre l’umanità
dei personaggi è ricalcata dall’espressività degli strumenti, primo fra tutti il violoncello. Momenti di emozione crescente nel
coro delle Beatitudini e nelle fughe strumentali, con accenti di modernità, ma
l’Oratorio finge di ignorare la lezione di Stravinsky,
Prokof’ev o Shostakovich,
riconducendo la musica a quella tradizione russa tardo ottocentesca che trova
il suo epigono in Chajkosky, di cui l’Orchestra in
scena porta il nome. E’ il ritorno a una tradizione anche religiosa, che dopo
l’occultamento del regime sovietico torna a sgorgare pura, intatta, e che la
musica trasmette senza mediazioni, con la sua capacità di coinvolgere e
arrivare al cuore.
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Ieri a Roma quindi, il dialogo ecumenico
non è passato attraverso il confronto teologico ma attraverso l’arte e la
bellezza della musica. In questo contesto, Helène
Destombes ha chiesto al vescovo Ilarion - che fa parte tra l’altro della Commissione
mista per il dialogo tra cattolici ed ortodossi russi - a che punto siano i rapporti tra la Chiesa cattolica ed il Patriarcato
di Mosca che proprio quest’anno celebrano la Pasqua lo stesso giorno:
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R. - Quand-même, il me semble qu’il faut continuer et intensifier le contact
…
Mi sembra sia veramente necessario
proseguire su questa strada ed intensificare i contatti a livello teologico e
culturale. Il nostro programma va un po’ in questa direzione, degli scambi
culturali tra le due Chiese.
D. - Lei ha parlato anche di un eventuale,
possibile incontro tra Benedetto XVI e Alessio II in un Paese terzo. Potrebbe
essere l’Austria dove il Papa si recherà nel prossimo
mese di settembre?
R. - Ça pourrait être l’Autriche, mais ça pourrait être bien-sûr un
autre Pays …
Potrebbe essere l’Austria, ma potrebbe
essere ovviamente anche un altro Paese...
D. - Immagino si stia facendo un lavoro
importante affinché questo incontro possa aver luogo: ci può dire qualcosa in
proposito?
R. – C’est vraiment l’essence de cette rencontre, ce n’est pas vraiement
le lieu ...
In realtà, quello che è importante è il
contenuto di questo incontro e non certamente il luogo o il giorno. Quindi, è
necessario preparare questo incontro, è necessario trovare una soluzione ad
alcuni problemi che ancora ci separano, e la preparazione deve avvenire da
entrambe le parti. La nostra speranza è che così si possa realizzare.
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Inaugurato ad Alba, in Piemonte, il
Film Festival
dedicato alla
dimensione esistenziale e spirituale dell'uomo
Si è aperta ieri sera ad Alba, in Piemonte,
la sesta edizione dell’Alba International Film
Festival, un appuntamento cinematografico che si protrarrà fino al prossimo 4
aprile e si contraddistingue per l’originalità delle scelte artistiche,
orientate principalmente al confronto e all’indagine sull’uomo contemporaneo,
nella sua ricerca esistenziale e nella sua dimensione spirituale. Il servizio
di Luca Pellegrini:
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Non è una Festa né una Mostra, nemmeno una
vetrina per sole star oppure una fabbrica di notizie futili: l'Alba International Film Festival è un luogo di ricerca e di
proposta del cinema più spiccatamente culturale, ove dentro la “cultura” d’ogni
tempo e d'ogni luogo si vanno a scandagliare, evidenziare e recuperare quelle
tracce di spiritualità che la settima arte, arte dell’immagine e della parola,
spesso propone sotto metafore o nasconde dietro artifici più o meno leggibili.
Ma quando il cinema, come quello proposto in questo piccolo e ricco Festival,
parla dell’uomo, non parla anche del suo spirito, o almeno del suo anelito
all'infinito, alla risposta che cancella il dubbio, alla speranza che frantuma
le paure?
Ad Alba, sorretta dal paziente e accurato
lavoro del suo direttore, Luciano Barisone, si
esplorano anche quest’anno mondi vecchi e nuovi, anime lacerate e spiriti
coraggiosi, volti di bambini che scrivono lettere a Dio e bambine orrendamente
sfruttate in Cambogia, immensi paesaggi in cui la natura rispecchia la profonda
bellezza di Chi l'ha creata e nature urbane di ben altro tenore. Insomma, un
Festival cosiddetto “cinefilo” la cui caratteristica
è quella di proporre quotidianamente lo scambio con i suoi protagonisti,
perché il cinema vive anche al di fuori della sala e dello schermo. Si
presentano opere di maestri riconosciuti, come Sydney Pollack
e quelle di autori emergenti come l’austriaca Barbara Albert
e l’indonesiano Garin Nugroho.
E proprio al grande regista americano – regista “umanista” come è stato qui
definito –, autore tra l’altro dell’indimenticabile “Come eravamo” e del
drammatico “Non si uccidono così anche i cavalli?”, è stata affidata ieri sera
l’apertura del Festival e la prima delle lezioni di cinema nel corso della
quale ha messo in evidenza stile e contenuti delle sue opere, da quelle più spiccatamente
narrative ai film con i quali ha esplorato il nostro
difficile mondo e le sue tante contraddizioni.
Da segnalare, infine, nei prossimi giorni,
un Convegno dedicato alla paura nel cinema e curato da mons. Dario Viganò, presidente dell'Ente dello Spettacolo: studiosi e
sacerdoti chiamati ad interrogarsi sull’inquietudine e l’ansia della contemporaneità
nelle sue ricadute sociali, filosofiche, politiche ed esistenziali, così come
il cinema riesce a raccontarle e trasmetterle.
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Chiesa
e Società
Indetta oggi una giornata di preghiera e digiuno
per la pace.
A promuoverla i superiori generali
delle congregazioni religiose di tutto il mondo
La Commissione di giustizia, pace e
integrità del creato dell’Unione dei Superiori Generali (Usg)
e dell’Unione internazionale delle Superiore Generali (Uisg)
ha indetto per oggi una giornata di preghiera e digiuno per la pace. A tutte le
congregazioni è giunto l’invito a pregare perché cessino violenza e guerra in Darfur, Iraq, Afghanistan, Sri Lanka,
Uganda del Nord, Nepal, Colombia, Israele, Palestina e Libano e in tutti quei
luoghi del mondo dove ci sono discordia e divisioni. L’iniziativa vuole
ricordare anche i numerosi conflitti armati attualmente in corso che seminano
lutti e dolori, e che spesso non attirano l’attenzione del mondo
dell’informazione. Sono 17 oggi le cosiddette “guerre dimenticate”,
mentre si registrano periodicamente azioni armate in 21 “aree di crisi”.
Dal dopoguerra ad oggi si contano almeno 27 milioni di morti e 35 milioni di
rifugiati a causa delle guerre: il 90 per cento di queste vittime sono civili. Viene definita guerra quel conflitto in cui si supera la
soglia dei mille morti e che ogni anno, a causa dei combattimenti, conta cento
vittime. Oggi la maggior parte dei conflitti interessa l’emisfero sud del
mondo, in particolare l’Africa. Le nazioni che sono in guerra sono molto
povere. Una delle ragioni di fondo dello scoppio di molti conflitti risiede nel
fatto che l’apparato politico degli Stati coinvolti non è sostenuto da solide
basi democratiche. Fra i Paesi con guerre permanenti o con ricorrenti
esplosioni di violenza armata vi sono l’Afghanistan, l’Algeria, la Cecenia, la Colombia e la Repubblica Democratica del Congo; situazioni di crisi si registrano invece in Messico,
Guatemala, Spagna, Serbia e Georgia. “Pensiamo che riservare un giorno, durante
la Quaresima, per pregare insieme per la pace sulla terra, da parte di noi
tutti membri di Congregazioni Religiose, possa avere un significativo effetto
sul nostro mondo” si legge in un messaggio dell’Uisg.
(T.C.)
L'ambasciatore d'Israele presso la
Santa Sede assicura il mondo cattolico
che la
plenaria prevista ieri in Vaticano non si è tenuta
per
"contingenze di politiche internazionali"
“Il motivo del rinvio della riunione
plenaria della Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e
lo Stato d’Israele prevista ieri in Vaticano, è stato dovuto
a nuove circostanze in Medio Oriente, che richiedevano la presenza del
Direttore Generale del Ministero degli Affari Esteri Israeliano. La Conferenza
della Lega Araba a Riad, il viaggio del Segretario di
Stato Rice e la presenza in questi giorni del
Segretario dell’ONU nella zona, hanno impedito la partenza del Direttore
Generale in sede”. Ad affermarlo è l’ambasciatore di Israele presso la Santa
Sede, Oded Ben Hur che in
una dichiarazione ad AsiaNews ha voluto assicurare il
mondo cattolico che la decisione israeliana di non partecipare alla "Plenaria"
per i negoziati tra Santa Sede e Israele su alcune questioni relative
all’Accordo Fondamentale, firmato dalle due parti il 30 dicembre 1993, non ha alcun
significato di rottura, e non è neppure una mancanza di riguardo per la delegazione
ospitante. L’assenza è “unicamente” dovuta a "contingenze di politica internazionale".
Mercoledì un comunicato della Santa Sede esprimeva “rammarico” per la
cancellazione dell’incontro e attendeva “al più presto” una nuova data per la
convocazione della Plenaria. L’ambasciatore Ben Hur,
esprime “disappunto” per ciò che egli definisce fraintendimenti della vicenda,
e conclude affermando che “alla luce dei buoni rapporti tra Santa Sede e
Israele, e della buona volontà finora espressa nei colloqui bilaterali, siamo
certi di poter concertare una data per l’incontro della Commissione in tempi
più brevi possibili”. Al centro dei lavori della Plenaria, l’Articolo 10,
laddove la Santa Sede e lo Stato d'Israele s’impegnano a negoziare “in buona
fede un accordo complessivo, che contempli soluzioni accettabili da ambo le
parti su punti non chiari, non fissati o discussi a proposito della proprietà e
di questioni economiche e fiscali che riguardano in generale la chiesa
cattolica o specifiche comunità o istituzioni cattoliche”. (R.P.)
In Myanmar si
è spento padre Paolo Noè,
l'ultimo
missionario del PIME nel Paese
L’ultimo “patriarca” del Myanmar, padre Paolo Noè, è morto ieri all’età di 89
anni a Hwari. La notizia l’ha data il vescovo della
diocesi, mons. Peter Hla,
che ha confermato la sua presenza ai funerali che saranno celebrati il 2
aprile. Come riferisce AsiaNews, Padre Paolo Noè è
l’ultimo dei missionari del Pime (Pontificio istituto
missioni estere), riuscito a rimanere nel Paese dopo che il governo ha chiuso
le frontiere ai missionari stranieri nel ’66, espellendo anche tutti coloro che
erano arrivati nel Myanmar prima dell’indipendenza.
Egli era giunto nella ex Birmania nel ’48, e lì ha speso 59 anni della sua
vita. Era ormai rimasto l’unico sopravvissuto dei 29 missionari che erano
riusciti a conservare il visto. Il governo di Yangon,
li aveva minacciati che se avessero lasciato il Paese, non avrebbero
potuto più rientrare. Per questo tutti loro avevano giurato di rimanere
nel Myanmar e lì morire. Padre Noè è stato impegnato
per decenni nell’evangelizzazione diretta delle minoranze Shan
e Karen, fra i cosiddetti “Phadaung”
famosi per le “donne-giraffa”, dai lunghi collari. Per molti anni è stato anche
superiore della missione, essendo “il più giovane” dei padri. Compiuti gli 80
anni, si era ritirato a fare il coadiutore nella parrocchia di Hwari, fondata dal Pime nel 1890,
consigliando e sostenendo i sacerdoti giovani, le suore, i fedeli e lo stesso
vescovo della nuova diocesi di Pekhon, mons. Peter Hla, che nell’infanzia era
stato un suo chierichetto. La regione dove padre Noè ha lavorato fa parte delle
cosiddette “black area”, le zone ristrette, non accessibili agli occidentali;
aree dove, per molto tempo, vi sono stati contrasti e scontri fra l’esercito e
i gruppi etnici Shan e Karen
che chiedevano l’autonomia. La regione è fra le più povere e arretrate del Myanmar.
Vietnam: 8 anni di prigione al sacerdote cattolico
dissidente
Nguyen Van Ly;
è accusato di aver fatto propaganda
contro il regime comunista
Dopo 14 anni dietro le sbarre, dallo scorso
febbraio era agli arresti domiciliari, ora il sacerdote cattolico dissidente Nguyen Van Ly
è stato condannato in Vietnam ad 8 anni di prigione per propaganda contro il
regime comunista. Insieme a lui, scrive l’agenzia AsiaNews, sono stati condannati 2 uomini e 2 donne, con pene
che vanno da un anno e mezzo fino a 6 anni di reclusione. Padre Van Ly, 60 anni, era accusato di
essere tra i promotori di un movimento per la democrazia, chiamato “blocco 8406”, nato nell’aprile dello scorso anno, con 2 mila
aderenti, e di sostenere gruppi illegali quali il Partito progressista del
Vietnam. Gli altri accusati hanno tutti ammesso di essere
membri di questo partito. Il processo che ha condannato padre Van Ly è durato una sola
giornata. Negli ultimi mesi la polizia ha arrestato vari dissidenti
democratici. Fra questi vi sono Nguyen Van Dai e Le Thi Cong Nhan, due avvocati per i
diritti umani, in carcere dal 6 marzo perché avrebbero
distribuito informazioni “pericolose per lo Stato”. (T.C.)
Sarà inaugurata a fine anno
e sarà dedicata a Nostra Signora del Rosario
la prima chiesa cattolica in Qatar
dove da 14 secoli i cristiani non avevano luoghi di
culto
Dopo 14 secoli la Chiesa cattolica in Qatar
ha ottenuto il permesso per riaprire un luogo di culto. L’edificio - che
sorgerà nella parte meridionale della capitale Doha -
non sarà aperto al pubblico, ma consentirà alla comunità cattolica, composta
per la maggior parte da stranieri, di riunirsi per pregare. Il futuro parroco,
padre Tom Veneration, ha
raccontato ad AsiaNews che dopo oltre 20
anni di richieste formali, il governo ha concesso alle confessioni cristiane i
terreni per costruire i propri edifici di culto. Ai cattolici è stato assegnato
il lotto più grande, per la storica presenza nel Paese e per il fatto che la
comunità, con oltre 100 mila fedeli, è la più grande. Il terreno per la chiesa,
ha detto padre Veneration, “è stato concesso alla
Chiesa dall’emiro Amir Hamad
bin Khalifa Al Thani, che nel corso degli ultimi anni ha portato avanti
una politica di dialogo interreligioso pur mantenendo la legge che vieta alla
popolazione, per la maggior parte di fede musulmana, di convertirsi ad altre
fedi”. La chiesa sarà dedicata a Nostra Signora del Rosario. I lavori per
costruire il luogo di culto costeranno in totale circa 15 milioni di dollari: i
cattolici di tutta la Penisola arabica, per la maggior parte
filippini ed indiani, stanno contribuendo per raccogliere la somma.
L’inaugurazione è prevista per la fine dell’anno. Il Qatar ha circa 750 mila
abitanti, per la maggior parte di fede islamica. Il governo, che ha allacciato
rapporti diplomatici con il Vaticano solo nel 2002, si è opposto per quasi 15
secoli alla costruzione di chiese cristiane a causa delle pressioni della forte corrente wahabi,
maggioritaria nel Paese, che le vede come una profanazione della “terra santa”.
(T.C.)
Usava l’intelligenza come dono
di Dio, senza timore: con queste parole
il cardinale Achille Silvestrini
ha ricordato ieri pomeriggio a Bologna
la figura di Beniamino Andreatta, scomparso lunedì
scorso
"Nino Andreatta
non ha mai accettato l’opportunismo, nemmeno quello che caratterizza
l’esperienza politica di molti cristiani". Lo ha ricordato il cardinale
Achille Silvestrini che, in quanto amico di famiglia,
ha presieduto ieri pomeriggio, a Bologna, nella basilica di San Domenica, le
esequie dell’economista, già senatore e ministro della Difesa, morto all’età di
78 anni lunedì scorso dopo un coma durato sette anni. Il porporato ha ricordato
molti passaggi della vita politica di Andreatta, a cominciare dal suo impegno
contro la guerra in Jugoslavia e a quello per la pace. Andreatta, ha
sottolineato il cardinale Silvestrini, era un
cristiano fedele che usava l’intelligenza come dono di Dio, senza timore. Di
lui il porporato ha richiamato anche la consonanza con Aldo Moro e la sua
ispirazione a La Pira e Dossetti.
“Andreatta – ha concluso il cardinale Silvestrini –
ha saputo fare del sapere scientifico uno strumento per ampliare lo spazio
della giustizia”. La cerimonia religiosa è stata introdotta dal vescovo
ausiliare di Bologna, mons. Ernesto Vecchi. “La famiglia Andreatta – ha detto
il vescovo – ci ha insegnato, contro il ben pensare corrente, che la vita è
sempre e comunque degna di essere vissuta, anche nelle condizioni più estreme di precarietà”. (A cura di Stefano Andrini)
La Specola Vaticana collabora ad un progetto della NASA sullo studio
delle stelle doppie e la
formazione dei pianeti fuori dal sistema solare
Scienza e fede, una
feconda sinergia. L’ultima conferma viene da Pasadena in California, dove la
NASA ha pubblicato i risultati di un progetto di ricerca sulle stelle doppie al
quale ha collaborato anche la Specola Vaticana, l’Osservatorio astronomico
della Santa Sede. Quando si parla di stelle doppie ci si riferisce ad un
sistema in cui due stelle rivoluzionano una intorno all'altra e sono "legate"
tra loro dalla mutua forza gravitazionale. Tra le stelle doppie, risalta Sirio
l’astro più luminoso del cielo notturno. Sirio, che si trova ad una distanza di
8,6 anni luce dal nostro pianeta, è una delle stelle più vicine alla Terra.
Questo è il motivo principale della sua luminosità. Utilizzando il telescopio Spitzer Space, si legge in un comunicato
della NASA, gli astronomi hanno scoperto che ci sono almeno tanti sistemi con
stelle doppie quanti ce ne sono con una sola stella, come il nostro. E’ quindi
possibile che nell’universo esistano numerosi pianeti legati a due o più
stelle. I dati elaborati dalla NASA mostrano, inoltre, che i sistemi stellari
binari, cioè con stelle doppie, sono luoghi adatti alla formazione di pianeti.
Fino ad oggi questi sistemi erano stati largamente ignorati per le notevoli
difficoltà incontrate nello studiarli. Il progetto della NASA, portato avanti
con la Specola Vaticana ed altre istituzioni scientifiche, può dunque aprire
scenari inesplorati sulla formazione dei pianeti e la natura delle stelle. (A cura di Alessandro Gisotti)
- A cura di Eugenio Bonanata ed Eugenio Laurenzi -
- La tv iraniana ha mostrato
le immagini di tre dei 15 marinai britannici detenuti da una settimana a Teheran. Uno di loro – secondo l’emittente – avrebbe confessato
di essere entrato in acque iraniane. “Il governo britannico dovrebbe scusarsi”,
ha detto il presidente iraniano Ahmadinejad. Londra,
invece, definisce l’atto una “propaganda vergognosa”. Intanto, dopo la promessa
del premier britannico Blair di aumentare la
pressione sull’Iran, anche il responsabile della politica estera europea, Javier Solana, ha chiesto
l’immediato rilascio dei marinai. Nella vicenda è
intervenuto pure il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, esprimendo “grave
preoccupazione” e chiedendo una “rapida soluzione della crisi e che sia
garantito l'accesso consolare ai prigionieri”. Ma cosa può fare davvero la
comunità internazionale per sbloccare questa situazione? E cosa non ha fatto
fino a questo momento? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al giornalista
ed analista politico, Ahmad Rafat:
**********
R. – Credo che quello che può
fare la comunità internazionale sia aumentare le pressioni sull’Iran, perché
l’arresto di questi 15 militari britannici non si trasformi in un’altra
questione di ostaggi come quella del ’79 con i 52 diplomatici americani, che
rimasero in Iran più di un anno, dando inizio al processo di isolamento della
Repubblica islamica. Dipende, però, molto da quello che l’Iran vuol fare nei
suoi rapporti con la comunità internazionale che, a quanto pare, in questo momento
sta giocando su due tavoli. Da una parte, alcuni esponenti del governo si
dicono aperti ad un dialogo, mentre altri sono contrari ad ogni dialogo e
chiedono un inasprimento dei rapporti. Fatto sta che studenti sostenitori di Ahmadinejad ieri chiedevano addirittura l’esecuzione dei 15
militari britannici.
D. – C’è un qualche
collegamento tra la detenzione dei militari britannici e la crisi nucleare
innescata proprio da Teheran?
R. – In qualche modo, sì.
Credo che la detenzione dei 15 militari britannici abbia diversi obiettivi.
Anzitutto, i militari sono stati presi esattamente poche ore prime che il
Consiglio di Sicurezza approvasse la seconda
risoluzione sull’Iran, per quanto riguarda il dossier nucleare iraniano. Poi,
non bisogna dimenticare che sette militari iraniani sono stati arrestati dalle
forze americane in Iraq. Pertanto, questa mossa, può essere interpretata anche
come una vendetta per i militari iraniani, che attualmente sono in mano degli
Stati Uniti.
D. – Qual è la sua
impressione? Come si risolverà questa vicenda?
R. – Non credo che l’Iran
abbia interesse a rilasciarli, perché può utilizzare questi ostaggi come moneta
di scambio su vari tavoli - quello nucleare, quello della crisi irachena,
quello della crisi libanese, quello della supremazia sul Golfo - e tenerli lì
in vista di un possibile attacco militare di cui si parla molto nei confronti
dell’Iran e che molti esperti americani danno per imminente, anche se il
governo americano lo esclude.
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- Il Senato statunitense ha
approvato la legge che fissa la data di rientro delle truppe americane
dall’Iraq entro il mese di marzo del 2008, pur stanziando 122 miliardi di
dollari per le missioni all’estero. Dal canto suo, il presidente Bush, che dovrà firmare il provvedimento, ha ribadito più
volte che porrà il veto. Intanto, proprio dall’Iraq continuano a giungere
notizie di violenza. E’ di 129 morti e oltre 200 feriti il bilancio della serie
di attentati che, ieri, ha scosso diverse aree del Paese. Oggi a Baghdad lo
scoppio di una bomba ha provocato la morte di un soldato USA.
- Sempre tesa la situazione
anche in Afghanistan. Un soldato dell’ISAF, la forza della
NATO, è stato ucciso e tre sono rimasti feriti nel corso di
un’operazione avvenuta in un luogo non precisato dell’Est del Paese. Intanto,
Daniele Mastrogiacomo, il giornalista italiano
sequestrato e poi liberato in Afghanistan, ha lanciato un appello per la
liberazione del mediatore di Emergency e del suo
interprete. Dal canto loro, i talebani sono tornati a minacciare nuove azioni.
O il presidente Karzai tratta o “uccidiamo” il
traduttore, ha detto il leader talebano Dadullah, che ha chiesto il rilascio di due suoi uomini
detenuti a Kabul. Dadullah ha inoltre confermato che
guerriglieri di Al Queda
combattono al loro fianco in Afghanistan.
- “Terra in cambio della pace
con Israele”. E’ la formula contenuta nel documento finale stilato a
conclusione delle vertice della Lega Araba svoltosi a Riad, in Arabia Saudita. Il segretario generale
dell’organismo, Amr Moussa,
leggendo la dichiarazione ha anche sottolineato l’importanza di svuotare la
regione mediorientale da tutte le armi di sterminio, comprese quelle nucleari,
ma sottolineando il diritto di tutti i Paesi di accedere all’energia nucleare
pacifica. Il premier israeliano, Olmert, ha parlato
di cambiamento rivoluzionario nei rapporti tra Paesi arabi e lo Stato ebraico. Giancarlo La Vella
ha raccolto il commento di Roger Bouchaine, direttore dell’Osservatorio Geopolitico
mediorientale:
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R. – E’ un inizio molto
positivo visto che la spirale di odio tra i popoli in Medio Oriente continua ad
alimentarsi nei Paesi intorno ad Israele. Penso che una della
cose più importanti sia creare questo ponte di pace con i Paesi
confinanti: la pace con Israele e la pace con la Siria. Questa è la soluzione
che gli arabi propongono, anche se non è ancora definita. Stanno parlando di un
processo di pacificazione, ma i Paesi arabi prima devono mettersi insieme. E
questo è quello che ancora viene a mancare.
D. – Concretamente che cosa
vuol dire pace in cambio di terra?
R. – Chiaramente si tratta di
uno Stato palestinese, del Golan che viene ridato alla Siria, del ritiro immediato dai confini
del Libano. Praticamente, parlano di una specie di ritiro israeliano. E’ una
richiesta vaga. E’ un argomento molto vago e non è mirato ad una soluzione
immediata, anche se positivo.
D. – Il premier israeliano Olmert ha evidenziato che il fronte arabo è, però, spaccato…
R. – E’ chiaro che la Lega
Araba non ha prodotto un mezzo di soluzione, ha prodotto
uno spirito di soluzione. Chiaramente l’Arabia Saudita, con l’Egitto, la Giordania
e gli Stati Arabi Uniti, non può parlare a nome di
tutti i Paesi arabi. I Paesi arabi non moderati non vogliono avere niente a che
fare con Israele. Israele vuole alzare la posta, perché vorrebbe una pace che
duri, non vorrebbe perdere il territorio che ha acquisito.
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- Proseguono anche oggi i
combattimenti in Somalia tra esercito etiope, appoggiato da soldati somali, e
miliziani legati alle Corti Islamiche, che hanno bombardato il palazzo
presidenziale di Mogadiscio. Un elicottero etiope sarebbe stato abbattuto. Il
bilancio delle violenze parla di otto civili morti e 24 feriti, mentre in città
– secondo testimoni - sarebbero in arrivo altri 200
soldati da Addis Abeba. Ieri, la capitale è stata teatro di una vera e propria
carneficina: 30 i morti e almeno 200 i feriti. La situazione preoccupa il
segretario generale dell’ONU, Ban Ki
Moon, che ha chiesto alle parti di negoziare.
- Nel vertice straordinario della Comunità per lo Sviluppo
dei Paesi dell’Africa Australe, tenutosi ieri in Tanzania, i delegati dei 14
Paesi presenti hanno ricercato una posizione comune per far fronte alla crisi
politica ed economica dello Zimbabwe. Sotto accusa la
politica del presidente Mugabe nei confronti dei
rappresentanti dell’opposizione, la cui repressione ha suscitato forti
preoccupazioni nella comunità internazionale.
- Dirottato un aereo della Sudan Airways. Partito da Tripoli, con a
bordo 210 passeggeri, il velivolo è atterrato stamani all’aeroporto di Khartoum. Nella capitale il dirottatore, un sudanese,
avrebbe voluto incontrare l’ambasciatore britannico, quello americano e la
stampa, ma è stato arrestato da alcuni tiratori scelti travestiti da
giornalisti.
- Ancora colpi di
mortaio nello Sri Lanka. Nel
distretto orientale di Batticaloa, questa notte, otto
civili, tra cui due bambine, sono morti durante gli scontri tra l’esercito regolare e le Tigri Tamil,
il gruppo separatista dello Sri Lanka. Altre 18
persone sarebbero rimaste ferite. L’attacco è l’ultimo di una serie di
sanguinosi episodi avvenuti nelle ultime settimane.
- La missione europea in Kosovo in primo piano alla riunione dei ministri degli Esteri
dell’UE al via oggi a Brema, in Germania. In attesa
che il consiglio di Sicurezza dell’ONU si pronunci sul futuro status della
provincia serba a maggioranza albanese, l’UE mira a definire il suo ruolo nel
caso in cui al Kosovo venga assegnata
“un’indipendenza sotto sorveglianza internazionale”. Intanto, due esplosioni sono state udite nelle prime ore di questa
mattina nei pressi del monastero serbo-ortodosso di Decani, nel Kosovo occidentale, luogo sacro per la comunità serba e
considerato patrimonio universale dall'UNESCO.
- I tre italiani arrestati
nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti milionarie pagate per
aggirare appalti della Commissione UE resteranno in carcere almeno fino all’11
aprile prossimo. Stamani, davanti ai giudici della camera di consiglio di Bruxelles gli
avvocati difensori degli imputati hanno chiesto il rinvio dell’udienza per
poter esaminare il “voluminoso” dossier.
- Il presidente
ucraino Viktor Iushenko,
dopo mesi di braccio di ferro con il governo del premier Viktor
Ianukovic, avrebbe firmato un decreto per lo scioglimento
della Rada, il parlamento. Lo scrive l’agenzia ucraina on line ForUm, sottolineando che al momento sono in
corso consultazioni fra presidente e premier.
- Sei alti
esponenti di un gruppo militante islamico sono stati impiccati questa mattina
in Bangladesh, per aver organizzato un attentato suicida contro due giudici nel
2005.
- Si è trasformata in
guerriglia urbana la giornata in memoria del ‘giovane combattente’ a Santiago del Cile. L’anniversario si è
svolto in un clima di contestazione contro il governo della Bachelet,
duramente criticato per il nuovo piano del trasporto urbano. La polizia ha
arrestato centinaia di dimostranti. (a cura di Eugenio
Bonanata ed Eugenio Laurenzi)