RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI n. 87 - Testo della trasmissione di mercoledì 28 marzo 2007

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Benedetto XVI all'udienza generale: la vera fede non è un artificio intellettuale ma è quella trasmessa pubblicamente dai vescovi. Il Papa esorta i siciliani a testimoniare la pace nella legalità e nell'amore

 

Domani pomeriggio nella Basilica Vaticana il Papa presiederà una celebrazione penitenziale e confesserà alcuni giovani: la riflessione di mons. Angelo Comastri

 

Il rammarico della Santa Sede per il rinvio dei negoziati con la Delegazione israeliana su questioni fiscali e di proprietà della Chiesa cattolica in Terra Santa

 

Il cardinale Renato Raffaele Martino: il rispetto dell’identità e il riconoscimento dei valori della cultura zingara siano i presupposti della pastorale per gli Zingari

 

Oggi su "L'Osservatore Romano"

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

 Pubblicata oggi la Nota della Conferenza episcopale italiana sulle unioni di fatto

 

Presentata oggi la manifestazione a favore della famiglia il 12 maggio a Roma. Ai nostri microfoni, Giovanni Giacobbe

 

Il commento di mons. Mario Paciello, vescovo di Altamura, sull'invito del Papa per la Quaresima: volgiamo lo sguardo a Cristo Crocifisso

 

CHIESA E SOCIETA’:

I giovani iracheni celebrano la Giornata mondiale della gioventù con un incontro a Erbil, “in unione con il Papa”

 

“Le scelte politiche siano coerenti con i valori”: così all’apertura, ieri a Lourdes, della Plenaria dei vescovi francesi

 

“Allontanare gli estremismi dal Partito del Congresso”: è quanto chiede alla leader, Sonia Gandhi, l’arcivescovo di Delhi, in India, mons. Concessao

 

Celebrazione ecumenica, ieri nell’abbazia londinese di Westminster, per i 200 anni dall’abolizione della schiavitù in tutti i Paesi del Commonwealth

 

“E’ l’inizio di una nuova speranza, ma serve reciproca comprensione”: così, l’arcivescovo di Dublino, mons. Martin, sull’accordo siglato lunedì in Irlanda del Nord tra cattolici e protestanti

 

Medici senza Frontiere chiede aiuti internazionali urgenti contro l’epidemia di meningite in Burkina Faso

 

Concluso ad Haiti l’incontro continentale latinoamericano e caraibico della Caritas. Appuntamento, per il prossimo, tra quattro anni in Argentina

 

24 ORE NEL MONDO:

Il Senato USA contro Bush: chiede il ritiro dei soldati dall’Iraq entro il 2008

 

 

Il Papa e la Santa Sede

 

 

Benedetto XVI all'udienza generale: la vera fede

non è un artificio intellettuale ma è quella trasmessa pubblicamente

dai vescovi. Il Papa esorta i siciliani a testimoniare la pace

nella legalità e nell'amore

 

La fede contenuta nel Vangelo non è privilegio di pochi intellettuali, ma è raggiungibile attraverso la predicazione dei vescovi, successori degli Apostoli, a partire dal Papa. Ai ventimila fedeli presenti questa mattina in Piazza San Pietro per l’udienza generale, Benedetto XVI ha parlato dell’unicità, dell’universalità e dell’ispirazione divina del cristianesimo così come difesi e trasmessi da Sant’Ireneo di Lione già nel 200 dopo Cristo, al tempo dell’eresia gnostica. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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“Il vero insegnamento è quello impartito dai vescovi, che possono provare di averlo ricevuto per mezzo di una tradizione ininterrotta dagli Apostoli”. La fermezza di queste parole permise poco meno di duemila anni fa al vescovo Ireneo di Lione di confutare il pensiero settario degli gnostici che andavano predicando un cristianesimo di tipo “elitario, intellettualistico”, che permetteva di cogliere a pochi le verità del Vangelo, lasciando alle masse insegnamenti di scarsa importanza. Benedetto XVI ha ricordato e celebrato le doti di questo antico presule francese, definito dal Papa “campione della lotta contro le eresie” e capace di riaffermare “il genuino concetto di tradizione apostolica”:

 

“La tradizione apostolica è pubblica, non privata o segreta. Per Ireneo non c’è alcun dubbio che il contenuto della fede trasmessa dalla Chiesa è quello ricevuto dagli apostoli e da Gesù, dal Figlio di Dio. Non esiste altro insegnamento che questo. Pertanto, chi vuol conoscere la vera dottrina basta che conosca la tradizione che viene dagli apostoli e la fede annunciata agli uomini, tradizione e fede – così dice verbalmente – sono giunte fino a noi attraverso la successione dei vescovi”.

 

In questa tradizione, ha ribadito Benedetto XVI, “occorre considerare in modo speciale l’insegnamento della Chiesa di Roma, preminente e antichissima, che - ha detto - ha ‘maggiore apostolicità’ perché trae origine dalle ‘colonne’ del Collegio apostolico: Pietro e Paolo”. E da costoro, fino ai vescovi di oggi, la Tradizione apostolica mostra anche un altro carattere: quello dell’“unicità”. Per descriverla, il Papa si è servito delle stesse parole pensate da Ireneo per contrastare gli eretici:

 

“La Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, custodisce con cura la fede degli apostoli, come se abitasse una casa sola. Allo stesso modo, crede in queste verità come se avesse una sola anima e lo stesso cuore. In pieno accordo, queste verità proclama, insegna e trasmette come se avesse una sola bocca”.

 

La Tradizione apostolica, infine, ha una terza caratteristica fondamentale: è “ispirata dallo Spirito Santo”:

 

“Non si tratta, infatti, di una trasmissione affidata all’abilità di uomini più o meno dotti, ma lo Spirito di Dio che garantisce la fedeltà della trasmissione della fede. E’ questa la vita della Chiesa, ciò che rende la Chiesa sempre fresca e giovane, feconda di molteplici carismi”.

 

Dopo la catechesi e i saluti ai pellegrini, oggi pronunciati in dieci lingue, Benedetto XVI ha concluso l’udienza con un pensiero particolare alla Chiesa siciliana, i cui vescovi sono in questi giorni a Roma per la visita ad Limina. Nell’invitare i presuli dell'isola, sulla scorta del celebre passo di San Timoteo, ad annunziare integralmente la Parola di Dio, “in ogni occasione opportuna e non opportuna” e con “rinnovato slancio e fervore”, il Papa ha aggiunto:

 

“Nessun timore sorprenda mai e agiti il cuore di tutti voi, cari fratelli e sorelle. Chi segue Cristo non si spaventa delle difficoltà; chi confida in Lui va avanti sicuro. Siate costruttori di pace nella legalità e nell’amore, offrendo luce agli uomini del nostro tempo, i quali pur presi dagli affanni della vita quotidiana, avvertono il richiamo delle realtà eterne”.

 

(applausi)

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Nomine

 

Il Santo Padre ha nominato vescovo di Novo Hamburgo, in Brasile, mons. Zeno Hastenteufel, finora vescovo di Frederico Westphalen. Mons. Hastenteufel è nato il 14 giugno 1946 a Linha Rodrigues da Rosa, nell’allora municipio di Montenegro, nell’arcidiocesi di Porto Alegre; dopo aver compiuto gli studi preparatori nel Seminario minore "São José", ha frequentato il corso di filosofia nel Seminario di Viamão e il corso di teologia nell’Istituto della Pontificia Università Cattolica di Porto Alegre. Dal 1981 al 1983, ha studiato Storia Ecclesiastica in Roma, dove ha conseguito il diploma di Laurea. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale l’8 luglio 1972, ed ha esercitato poi i seguenti incarichi pastorali: amministratore parrocchiale di Sapucaia do Sul; parroco di "Santo Antônio dos Pobres"; vicario parrocchiale della Parrocchia "Sagrada Família"; parroco della Parrocchia "São Vicente Mártir"; parroco della Parrocchia di São Sebastião" dal 1996. Ha inoltre svolto le seguenti funzioni nella Pontificia Università Cattolica di Porto Alegre: direttore del Centro di Formazione Religiosa e del Dipartimento di Cultura Religiosa; direttore dell’Istituto di Teologia e Scienze Religiose per due trienni; professore nella Pontificia Università e nel Seminario maggiore di Viamão, nell’arcidiocesi di Porto Alegre. Il 12 dicembre 2001 è stato nominato vescovo di Frederico Westphalen, ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale l’8 marzo successivo.

 

 

Domani pomeriggio nella Basilica Vaticana il Papa presiederà

una celebrazione penitenziale e confesserà alcuni giovani:

 la riflessione di mons. Comastri

 

Domani alle 18.00 Benedetto XVI presiederà nella Basilica di San Pietro una celebrazione penitenziale con i giovani della diocesi di Roma in preparazione alla Pasqua e alla Giornata Mondiale della Gioventù, che verrà celebrata a livello diocesano il prossimo 1° aprile, Domenica delle Palme. Durante il rito il Papa confesserà alcuni giovani. Circa 200 sacerdoti saranno presenti in Basilica per le confessioni. E’ stato lo stesso Benedetto XVI a lanciare l’invito, domenica scorsa all’Angelus, a partecipare all’evento ricordando che la Confessione è un “vero incontro con l’amore di Dio, di cui ogni uomo ha bisogno per vivere nella gioia e nella pace”. Su questa iniziativa ascoltiamo l’arcivescovo Angelo Comastri, arciprete della Basilica di San Pietro e Vicario del Papa per lo Stato del Vaticano. L’intervista è di Giovanni Peduto:

 

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R. – E’ un’iniziativa che fu già presa da Papa Giovanni Paolo II e che risponde all’impegno pedagogico che ha il Papa. Il Papa con ogni gesto ci insegna, il Papa con ogni gesto ci educa, e oggi c’è bisogno di rieducarci tutti a riscoprire il grande dono del sacramento della Penitenza, del sacramento della Riconciliazione. E vorrei sottolineare che il sacramento della Riconciliazione è un regalo pasquale, è nel giorno di Pasqua che Gesù ha detto agli apostoli: “Andate in tutto il mondo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi”; perché non c’è cosa più bella di ricevere il perdono. Se noi capissimo che il perdono è davvero la cura delle ferite, il risanamento delle nostre angosce, noi correremmo ai confessionali e ci inginocchieremmo con immensa gioia.

 

D. – I giovani oggi si confessano poco. Perché a suo parere, eccellenza?

 

R. – Perché non hanno capito il sacramento della Confessione. E’ perché talvolta anche noi sacerdoti abbiamo fatto poco per attirarli alla Confessione, ma io sono convinto che noi sacerdoti, e la Chiesa attraverso i sacerdoti, ha in mano una perla preziosa, ha in mano una bomba di amore: dobbiamo disinnescarla questa bomba perché il sacramento della Confessione può generare tanta santità e quindi può generare tanta felicità.

 

D. – Vogliamo precisare quando confessarsi e perché?

 

R. – Evidentemente c’è la necessità della Confessione che è legata all’eventuale peccato grave che uno possa aver commesso. E’ chiaro che dopo un peccato grave la Confessione è indispensabile, è irrinunciabile, perché è il sacramento che risana, è il sacramento che ci rimette in pace con Dio. Ma la Confessione è particolarmente utile anche quando non si cade nel peccato grave perché l’abbraccio con Dio lascia sempre dei segni, perché quando chiediamo perdono cresce il fervore, perché quando ci inginocchiamo sicuramente ci rialziamo rifocillati dal perdono di Dio. Pertanto ogni 15 giorni è salutare per tutti i cristiani accostarci al sacramento della Confessione o, almeno, una volta al mese.

 

D. – Come spiegherebbe la Confessione ad una persona lontana? Molti oggi si chiedono: “ma perché mi devo confessare”?

 

R. – Io credo che la Confessione non si possa raccontare. E’ un po’ come il cibo: ad uno che dovesse mangiare e si trova davanti un cibo che non conosce, sì, io glielo posso raccontare ma soprattutto devo dirgli: assaggialo, prova. Una volta che avrai assaggiato il cibo ti garantisco che ti piacerà, ti farà bene. Ugualmente, per quanto riguarda la Confessione, dobbiamo dire a chi è lontano: guarda, la Confessione non è fatta al sacerdote, la Confessione risponde ad un’esigenza del tuo cuore che ha bisogno di sentire il perdono, il sacerdote è soltanto una finestra aperta attraverso la quale Dio si affaccia e ti perdona. Il sacerdote non è altro che un povero cuore umano nel quale rivive il cuore di Gesù Cristo, è Gesù Cristo che ti vuole far sentire, anche fisicamente, il perdono. E’ Gesù Cristo che vuole, attraverso la Chiesa, farti sentire anche fisicamente la bellezza di ricevere le parole che risanano:Io ti assolvo, io ti perdono dai tuoi peccati’.

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Il rammarico della Santa Sede per il rinvio dei negoziati

con la Delegazione israeliana su questioni fiscali e di proprietà

della Chiesa cattolica in Terra Santa

 

Domani non si svolgerà la riunione plenaria della Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato d’Israele, programmata in Vaticano allo scopo di trattare alcune questioni relative all’Accordo Fondamentale, firmato dalle due parti il 30 dicembre 1993. La Delegazione israeliana ha comunicato lunedì scorso l’impossibilità di partecipare alla riunione, a causa di contingenze politiche internazionali. “La Santa Sede – afferma oggi un comunicato della Sala Stampa vaticana - pur comprendendone le ragioni, ha preso atto con rammarico della circostanza e attende di poter concordare al più presto con la Parte israeliana la nuova data della convocazione della Plenaria”. Al centro dei lavori figurava l’Articolo 10, laddove la Santa Sede e lo Stato d'Israele s’impegnano a negoziare “in buona fede un accordo complessivo, che contempli soluzioni accettabili da ambo le parti su punti non chiari, non fissati o discussi a proposito della proprietà e di questioni economiche e fiscali che riguardano in generale la chiesa cattolica o specifiche comunità o istituzioni cattoliche”.

 

 

Il cardinale Martino: il rispetto dell’identità e il riconoscimento dei valori della cultura zingara siano i presupposti della pastorale per gli Zingari

 

Occorre riconoscere i valori della cultura zingara, e rispettare l’identità degli Zingari. Lo ha ribadito il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente Pontificio Consiglio per la Pastorale per i Migranti e gli Itineranti in un comunicato ai partecipanti all’Incontro annuale del Comitato cattolico internazionale per gli Zingari, svoltosi nei giorni scorsi. Il porporato ha ricordato quanto da lui affermato nel corso del recente Incontro dei direttori nazionali della pastorale per gli Zingari, l’11 e 12 dicembre 2006, sottolineando che per la Chiesa è essenziale rispondere alle aspettative degli Zingari nella loro ricerca di Dio, orientandone i passi secondo l’insegnamento di Cristo. “Il contenuto dell’annunzio è un messaggio di salvezza – scrive il cardinale Martino – ed è necessario mettere a loro disposizione anche i mezzi”. Il porporato ha voluto inoltre evidenziare le conclusioni e le raccomandazioni riportate nel Documento finale di quell’incontro, specificando che, riguardo agli Zingari, “nell’evangelizzazione deve ritrovare la sua validità e priorità il processo d’inculturazione, intesa come l’incarnazione del Vangelo nella loro cultura e insieme la loro introduzione nella vita della Chiesa”. Chiesa che, si legge negli Orientamenti per una Pastorale degli Zingari - il primo Documento della Chiesa, nella sua dimensione universale, dedicato agli Zingari e pubblicato l’8 dicembre 2005 - “deve diventare, in un certo senso, essa stessa zingara fra gli Zingari”. Il cardinale Martino ha aggiunto poi che lo stesso documento ricorda che la Redenzione – come pienezza della solidarietà – riguarda l’uomo nella sua integralità, compresa la sua cultura, il suo tipo di relazioni, ecc. Quindi, nella trasmissione del Vangelo, è fondamentale considerare i valori e la ricchezza della cultura zingara, conoscerne la lingua, apprezzarne le usanze.

 

 

Oggi su "L'Osservatore Romano"

 

Servizio vaticano - In primo piano l’udienza generale. Benedetto XVI prosegue il ciclo di catechesi dedicate ai Padri apostolici. 

 

Servizio estero - In evidenza l’Iraq: il Senato USA approva il ritiro delle truppe a marzo 2008. Il “disappunto” del presidente George W. Bush  che opporrà il veto.

 

Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo “La vita redenta e la promozione integrale della persona umana”: illuminazioni cristiane sul tema della corporeità.

 

Servizio italiano - In rilievo il “sì” del Senato al rifinanziamento delle missioni all’estero.

 

 

 

Oggi in Primo Piano

 

Pubblicata oggi la Nota della Conferenza episcopale italiana

sulle unioni di fatto

 

Pubblicata oggi la nota del Consiglio episcopale permanente della Conferenza episcopale italiana a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto. Il documento specifica che solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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“Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune”. Spiegano con queste parole i vescovi italiani le motivazioni della nota del Consiglio episcopale permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto. “Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società … a vantaggio del bene comune”. La nota specifica che “solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni”. “È quindi interesse della società e dello Stato – scrivono i vescovi – che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile”.

 

I presuli ritengono poi “la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio” e “pericolosa sul piano sociale ed educativo”. Per l’episcopato inoltre avrebbe un effetto “inevitabilmente deleterio per la famiglia” perchè “toglierebbe ... al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro”. “Un problema ancor più grave – si legge ancora nella nota – sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile”. “Queste riflessioni – proseguono i vescovi – non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza”.

 

I vescovi precisano inoltre che “ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive” e di non esserne “per principio contrari”, sono però convinti che “questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare”. Infine i vescovi hanno voluto ricordare un’affermazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella quale si puntualizza che nel caso di “un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge» (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10)”.

 

“Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero" – concludono i vescovi – e pertanto non «può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società» (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).

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Presentata oggi la manifestazione a favore della famiglia

il 12 maggio a Roma

 

“Ciò che è bene per la famiglia è un bene per il Paese”. Così il presidente del Forum delle associazioni familiari, Giovanni Giacobbe, presentando questa mattina a Roma la manifestazione “Più famiglia” convocata in piazza San Giovanni in Laterano per il prossimo 12 maggio. Evidenziato il carattere laico dell’iniziativa: “non contro il governo, ma per una maggiore attenzione alle politiche familiari e contro il riconoscimento pubblico delle convivenze non matrimoniali”. Illustrato alla stampa anche il manifesto “Più famiglia” redatto da movimenti e associazioni del mondo cattolico. A seguire la conferenza stampa c’era per noi Paolo Ondarza.

 

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“Più famiglia” è il nome della manifestazione, convocata il 12 maggio in Piazza San Giovanni in Laterano, a Roma, dal Forum delle famiglie. “Più famiglia” si intitola anche il manifesto redatto da movimenti e associazioni cattoliche. Iniziative non contro qualcuno, ma per la famiglia, maturate nell’arco di soli venti giorni. Il fine è quello di creare una piazza degli italiani, laici e cattolici. A dar voce alla piazza ci saranno Eugenia Rocella, giornalista, e l’ex leader della Cisl, Savino Pezzotta. Tra i punti salienti del manifesto “Più famiglia” affermare l’insostitui-bilità della famiglia fondata sul matrimonio e aperto ad un’ordinata generazione, secondo il dettato costituzionale, opporsi ad ogni tentativo di indebolire la famiglia, sotto il profilo sociale e culturale o legislativo, promuovere incisive politiche sociali a favore della famiglia, aprire spazi al soddisfacimento dei bisogni delle persone conviventi solo attraverso la libertà contrattuale ed eventuali ritocchi al codice civile. In sintesi, un grande sì alla famiglia e un no al riconoscimento pubblico delle convivenze non matrimoniali, un sì a politiche sociali audaci e impegnative a favore della famiglia.

 

“Ciò che è bene per la famiglia è un bene per il Paese”, ha detto il presidente del Forum, Giovanni Giacobbe. Quest’ultimo ha anche precisato il carattere laico della manifestazione, senza rinnegare l’identità cattolica. “Essere cattolici” ha detto “non è in contraddizione con l’essere cittadini italiani”:

 

"Noi operiamo in quanto cittadini di questa Repubblica i quali rivendicano i loro ruolo di cattolici e rivendicano quindi il loro diritto di manifestare e di esprimere le loro opinioni e di influire sulla formazione anche delle leggi".

 

Una manifestazione aperta, libera – ha spiegato Pezzotta – ma con un preciso obiettivo e, quindi, chi partecipa deve condividere i punti del manifesto. 

 

Dalla Sala Stampa della Camera, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.

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Il commento di mons. Mario Paciello, vescovo di Altamura,

sull'invito del Papa per la Quaresima:

volgiamo lo sguardo a Cristo Crocifisso

 

Volgiamo lo sguardo a Cristo Crocifisso che, morendo sul Calvario, ci ha rivelato pienamente l’amore di Dio. È quanto Benedetto XVI suggerisce ai fedeli nel suo messaggio di Quaresima. Su questi temi ha scritto la sua Lettera pastorale il vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti mons. Mario Paciello. Nella sua riflessione, il presule racconta anche del suo recente viaggio a Nairobi come membro di presidenza della Caritas italiana; esperienza, ha detto il vescovo, che gli ha consentito di guardare, attraverso Cristo Crocifisso, alle sofferenze dell’umanità. Lo ha intervistato Fabio Colagrande:

 

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R. - Il Papa afferma chiaramente che più contempliamo il Cristo Crocifisso, più vediamo chiaramente le piaghe del Cristo nell’umanità di oggi. Io ho ritenuto un vero kairos, una vera grazia, poter entrare in Quaresima dopo essere passato attraverso l’esperienza africana.

 

D. – Cosa l’ha colpita di più di questo viaggio? Quali immagini le sono rimaste negli occhi e nella mente, monsignor Paciello?

 

R. – Io sono stato soltanto a Nairobi e Nairobi è una città di 4 milioni di abitanti; il 62 per cento, cioè 2 milioni e mezzo, abitano nelle 203 baraccopoli che sono intorno alla città. Cosa mi ha colpito? L’enorme, incalcolabile, inimmaginabile differenza tra la città evoluta, ricca, movimentata e la condizione di enorme squallore, quindi di profondissima ingiustizia, in cui vivono non soltanto quei 2 milioni e mezzo di keniani, ma in cui vivono quasi due terzi dell’umanità. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato vedere non soltanto la mancanza assoluta di qualunque rispetto della persona umana per le condizioni sociali in cui tanti vivono, ma anche sapere che per il governo della città, le 203 baraccopoli non esistono, sono terreno libero e quelli che lì nascono, vivono, muoiono, non hanno diritto ad avere un’anagrafe, una carta d’identità, sono persone che non esistono. Queste sono ingiustizie enormi, insopportabili. Credo che queste immagini mettano veramente in crisi chi si trova ad esserne testimone.

 

D. – Quali consigli ha dato alla sua diocesi per un impegno concreto nel quotidiano, proprio a partire da queste immagini, da queste testimonianze?

 

R. – Sto cercando di far capire che questa parte di umanità ci appartiene, che direttamente o indirettamente noi del mondo del benessere siamo responsabili di quella condizione di vita. Noi non possiamo ritenerci a posto facendo le brave persone, noi consumiamo, noi usiamo per noi quello che è anche per gli altri. Quindi, l’invito fondamentale è ad una verifica, ad una revisione del proprio modo di vivere, di pensare. Noi dobbiamo prendere coscienza di avere bisogni infiniti che non servono a nulla, e che tolgono ad altri l’essenziale.

 

D. – Non c’è il rischio che l’impegno solidale, l’impegno quaresimale, sia vissuto solamente come volontariato, altruismo, senza alcun legame con Cristo?

 

R. – Nella lettera pastorale, tra i suggerimenti concreti, ne faccio tante di proposte che vanno al di là del tempo quaresimale, che sono frutto di una presa di coscienza che tutto quello che faccio, intanto lo faccio per mandato di Cristo e per amore dell’uomo, con la consapevolezza che l’impegno a favore degli ultimi è il modo normale di essere del cristiano. Dall’altra parte non è possibile annunciare la salvezza a nessun uomo se non gli si fa fare esperienza che questa salvezza, per lui comincia col vivere in una condizione di maggiore dignità. Il diritto a vivere una vita dignitosa è di ogni uomo che viene al mondo. Questo Cristo lo vuole e noi, come cristiani, ne siamo particolarmente responsabili.

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Chiesa e Società

 

I giovani iracheni celebrano la Giornata mondiale della gioventù

con un incontro a Erbil, “in unione con il Papa”

 

In vista della Domenica delle Palme del 1 aprile, XXII Giornata mondiale della gioventù, domani e venerdì prossimi 80 giovani iracheni di tutte le diocesi del Paese si riuniranno a Erbil, presso il Santuario di Maria, in concomitanza con la preghiera del Papa con i giovani romani. A organizzare il ritiro – riferisce l’agenzia Sir – padre Rayan P. Atto, parroco della Chiesa caldea del Sacro Cuore di Erbil. I partecipanti ascolteranno in diretta la preghiera del Papa, introdotta da padre Atto e tradotta in arabo e aramaico, due delle lingue parlate dalla comunità cristiana irachena. La giornata proseguirà con l’adorazione notturna, che terminerà il venerdì mattina con momenti di preghiera, silenzio e lavoro nel giardino del Santuario. Alle 12.00 verrà celebrata la Santa Messa, cui seguirà un incontro di festa e gioia. Alcuni momenti del ritiro saranno trasmessi in diretta da una televisione cristiana del Kurdistan iracheno. “Il sogno dei giovani cristiani iracheni – spiega padre Atto – è quello di partecipare alla GMG in Australia nel 2008. Una partecipazione che avrebbe un alto valore simbolico sia per loro, membri di una comunità che sta soffrendo l’isolamento in cui l’Iraq vive, sia per i giovani cristiani del mondo, che potrebbero così confrontarsi con i propri fratelli iracheni direttamente, e non solo attraverso ciò che i media riportano”. (R.M.)

 

 

“Le scelte politiche siano coerenti con i valori”:

così all’apertura, ieri a Lourdes, della Plenaria dei vescovi francesi

 

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I cristiani non possono “accettare che la loro fede sia relegata alla sfera del privato”: è questo il concetto di fondo che ha accompagnato, ieri a Lourdes, l’apertura dei lavori dell’Assemblea plenaria della Conferenza episcopale di Francia. In un documento firmato dal cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e presidente dei vescovi francesi, i presuli invitano i fedeli d’Oltralpe a “una coerenza fra le proprie scelte politiche e le proprie convinzioni cristiane”, in vista delle imminenti elezioni presidenziali e legislative di primavera. Come riferisce il quotidiano Avvenire, nel testo vengono richiamati alcuni “criteri” cruciali per la scelta elettorale, che “non si indirizzano solo ai cattolici”. Innanzitutto, la centralità della famiglia “fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, aperta alla procreazione”, così come “al diritto che ha il bambino di avere un padre e una madre”. Altrettanto chiaro è il “no alle unioni fra persone dello stesso sesso e all’adozione di bambini da parte di tali coppie”. Il voto dovrà poi considerare la posizione dei pretendenti all’Eliseo rispetto al modo di “accompagnare le persone in fin di vita”. In questo caso, i vescovi ribadiscono fermamente il “no all’accanimento terapeutico" e il "no a un preteso diritto alla morte che costituirebbe una legalizzazione dell’eutanasia”. Importante, per l’elettore, deve essere poi l’atteggiamento dei candidati rispetto a “tutto ciò che conduce a una più grande condivisione del lavoro e delle ricchezze”, come alle “poste in gioco ecologiche e le scelte politiche che favoriscono uno sviluppo solidale”. Il documento dei vescovi francesi tocca anche la questione migratoria, per sottolineare la necessità di “un’accoglienza degli immigrati generosa, responsabile e rispettosa dei diritti umani”. Infine, il riferimento all’impellente necessità di evitare i crescenti rischi che si osservano “nel campo del rispetto della vita e della dignità umana” come, ad esempio, quello di una banalizzazione dell’aborto. (A cura di Roberta Moretti)

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“Allontanare gli estremismi dal Partito del Congresso”:

è quanto chiede alla leader, Sonia Gandhi,

l’arcivescovo di Delhi, in India, mons. Concessao

 

In India, il Partito del Congresso, forte della sua tradizione democratica, secolare, tollerante, illuminata, rispettosa delle libertà individuali e dei diritti umani, dovrebbe purificarsi al suo interno ed eliminare le scorie dell’estremismo e del “comunitarismo” che lo stanno inquinando: è quanto ha chiesto mons. Vincent Michael Concessao, arcivescovo di Delhi, alla leader del Partito, Sonia Gandhi. In questo modo – riferisce l’agenzia Fides – secondo l’arcivescovo, il Congresso potrebbe recuperare la fiducia delle minoranze etniche e religiose nel Paese, che contribuì in passato a rafforzarlo e a renderlo protagonista della liberazione dell’India dalla dominazione coloniale inglese. Mons. Concessao ha rilasciato queste dichiarazioni, ricordando il caso del “Freedom of Religion Bill”, approvato nello Stato nordoccidentale di Himanchal Pradesh. Si tratta di un provvedimento che rientra nella categoria delle cosiddette “leggi anti-conversioni”, che limitano la possibilità del cittadino di cambiare la propria fede. La Chiesa ha sempre disapprovato la natura di simili leggi, denunciando la violazione della libertà di coscienza individuale. Il documento è passato con voto favorevole al Parlamento dello Stato, che è governato dal Partito del Congresso: è il primo caso in cui uno Stato indiano guidato dal Congresso approva una legislazione di questo tipo. In altri Stati dove sono in vigore provvedimenti simili, infatti, è il partito estremista indù “Baratiya Janata Party” a detenere il potere. L’arcivescovo Concessao ha ribadito la contrarietà della comunità cattolica, ricordando che non vi sono prove di “conversioni operate con la forza o con mezzi fraudolenti”, dunque non vi è necessità di leggi di tal natura. Secondo gli osservatori, il Partito del Congresso avrebbe approvato il documento per coagulare maggiore consenso popolare, in vista delle elezioni generali previste nello Stato all’inizio del 2008. (R.M.)

 

 

Celebrazione ecumenica, ieri nell’abbazia londinese di Westminster, per i 200 anni dall’abolizione della schiavitù in tutti i Paesi del Commonwealth

 

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Per ricordare l’anniversario dell’abolizione della schiavitù in tutti i Paesi del Commonwealth, 200 anni fa, le massime cariche delle istituzioni britanniche hanno partecipato ieri a Londra, nell’abbazia di Westminster, a un’intensa celebrazione ecumenica. Presenti la monarchia, con la regina Elisabetta II e il duca di Edimburgo; il governo, con il premier, Tony Blair, e alcuni ministri; le Chiese: tra cui quella anglicana con l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams e quella cattolica, rappresentata dall’arcivescovo di Westminster, cardinale Cormac Murphy-O’Connor. Il servizio religioso si è svolto in un clima di solennità, in memoria degli 11 milioni di schiavi che dal continente africano furono portati nel nuovo mondo. Alla cerimonia erano presenti anche i discendenti diretti di molti schiavi, sui quali – ha ricordato l’arcivescovo di Canterbury – si è costruita la ricchezza di questa nazione. Una discendente di William Wilberforce, l’abolizionista che riuscì a far approvare la legge il 27 marzo 1807, ha riletto l’appassionato discorso che l’antenato proclamò in Parlamento. Le dieci campane dell’abbazia hanno poi rintoccato 200 volte. La regina ha posto una corona di fiori per ricordare le vittime della tratta degli schiavi. (A cura di Sagida Syed)

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“E’ l’inizio di una nuova speranza, ma serve reciproca comprensione”:

così, l’arcivescovo di Dublino, mons. Martin, sull’accordo siglato lunedì

in Irlanda del Nord tra cattolici e protestanti

 

L’accordo siglato lunedì in Irlanda del Nord tra cattolici e protestanti “è storico e mette fine ad anni di violenze, dolore e miseria per migliaia di famiglie. E’ l’inizio di una nuova speranza per tutti quelli che vivono qui”: a dichiararlo all’agenzia Sir è l’arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin, per il quale “i politici delle due parti ora hanno l’opportunità di passare da posizioni ideologiche ad altre pragmatiche. Potranno lavorare per dimostrare che si può vivere in pace”. “Lavorare – spiega – non solo per costruire una giusta e pacifica società, ma anche per creare tutto ciò che serve a progredire, come strade, servizi essenziali, favorendo un’economia dove tutti i cittadini hanno uguali opportunità di benessere”. Questo compito – precisa mons. Martin – “deve essere portato avanti da Dublino e da Londra, collaborando con Belfast per il popolo dell’Irlanda del Nord. Il successo di questo nuovo capitolo – continua l’arcivescovo – dipende dalla partecipazione di tutte le parti. Il solo futuro possibile per l’Irlanda è quello dove trova spazio la mutua comprensione, tra Londra e Dublino, tra Nord e Sud, tra Unionisti e Nazionalisti, tra cattolici e protestanti, tra credenti e non credenti”. “Il processo di costruzione e di riconciliazione avrà la priorità per la Chiesa. Ciò che dobbiamo fare – conclude mons. Martin - è fare emergere ciò che di più creativo abbiamo nelle nostre tradizioni e lavorare insieme per un’Irlanda cui ognuno sentirà di appartenere”. (R.M.)

Medici senza Frontiere chiede aiuti internazionali urgenti

contro l’epidemia di meningite in Burkina Faso

 

“L’epidemia che colpisce il Burkina Faso è molto più grave che in passato, ma nonostante la drammaticità della situazione e la mobilitazione del ministero della Salute e delle organizzazioni umanitarie, la comunità internazionale non sta fornendo il necessario sostegno a questo grande sforzo per salvare vite umane”: lo sostiene Meinie Nicoali, responsabile delle operazioni di Medici senza frontiere (MSf), una delle ONG che stanno collaborando con le autorità del Burkina Faso nel contenere l’epidemia di meningite in corso dal 26 gennaio e che finora ha causato la morte di 800 persone e il contagio di quasi 11 mila. MSF – riferisce l’agenzia MISNA – ha rilanciato l’appello del governo, affinché la comunità internazionale metta a disposizione i fondi necessari ad acquistare quasi due milioni di dosi supplementari di vaccino che “tardano ad arrivare”. Metà degli oltre tre milioni di flaconi messi a disposizione per combattere l’epidemia sarebbero ancora bloccati a causa dell’indisponibilità di fondi. Un ritardo che rischia di vanificare l’effetto della campagna di vaccinazioni già avviata in alcune zone del Paese. Il Burkina Faso, uno dei Paesi più poveri al mondo, si trova nella cosiddetta “cintura della meningite”, la regione subsahariana che si estende dal Senegal all’Etiopia abitata da 300 milioni di persone dove, durante la stagione secca tra dicembre e giugno, si presentano violenti epidemie di questa malattia. (R.M.)

 

 

Concluso ad Haiti l’incontro continentale latinoamericano e caraibico

della Caritas. Appuntamento, per il prossimo, tra quattro anni in Argentina

 

Con l’elezione delle nuove cariche, si è concluso il XVI Congresso latinoamericano e caraibico della Caritas e il III Incontro continentale di pastorale sociale Caritas, celebrato a Port au Prince, a Haiti, dal 19 al 24 marzo, con il tema: “Discepoli e discepole di Gesù, per un’America includente e solidale”. “Il mondo non si costruisce solamente con le categorie delle ricchezze materiali o di economia. Quando mettiamo l’uomo al centro, la persona umana, la sua dignità, la sua speranza, c’è possibilità che nasca un mondo nuovo”, ha affermato mons. Pierre-André Dumas, presidente di Caritas Haiti, citato dall’agenzia Fides. “Per noi – ha aggiunto – questo è un avvenimento ecclesiale che non aiuta solamente Haiti. È anche un modo per seguire tutto il processo d’integrazione dei Paesi che avviene nel continente, di comprensione mutua, di vivere la solidarietà”. “Per i vescovi, per i cristiani e per tutti gli uomini di buona volontà che vivono a Haiti – ha concluso – è una maniera di prendere di nuovo in mano il nostro destino, di essere soggetti della nostra storia”. Durante la riunione, è stato scelto mons. Fernando María Bargalló, presidente di Caritas Argentina, come presidente della Caritas per la Regione America Latina e Carabi, che succede a mons. Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador. La sede del prossimo Congresso regionale, che si celebrerà tra quattro anni, sarà l’Argentina. (R.M.)

 

 

 

 

24 Ore nel Mondo

- A cura di Amedeo Lomonaco ed Eugenio Laurenzi -

 

- In Iraq, un duplice attacco a Falluja ha provocato la morte di diversi militari iracheni. A Tal Afar, città al confine con la Siria, è stato imposto inoltre il coprifuoco dopo un eccidio perpetrato nella notte da poliziotti sciiti in risposta agli attacchi compiuti ieri da estremisti sunniti in un quartiere sciita. Si stima che, complessivamente, siano morte ieri a Tal Afar più di 100 persone. Il nostro servizio:

 

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L’Iraq continua ad essere un Paese lacerato da attacchi contro forze della coalizione e da drammatici scontri tra estremisti sunniti e sciiti. A Falluja, roccaforte sunnita, due ordigni sono esplosi nei pressi di un posto di controllo militare iracheno. La polizia ha riferito che il duplice attacco ha provocato la morte di almeno 8 militari iracheni. La tensione resta poi altissima nella città di Tal Afar, nel nord dell’Iraq, dove è stato decretato il coprifuoco in seguito ad una sanguinosa, drammatica catena di stragi. Nella notte, sono morte almeno 45 persone, uccise con un colpo d’arma da fuoco alla testa durante una rappresaglia condotta casa per casa da agenti iracheni sciiti. L’eccidio è stato compiuto infatti in un quartiere sunnita da poliziotti sciiti fuori servizio, in risposta agli attacchi compiuti ieri, in un distretto sciita della stessa città e costati la vita a 75 persone. Secondo gli inquirenti, dietro queste azioni terroristiche c’è la mano di Al Qaeda. La situazione a Tal Afar sembra tornata sotto controllo ma si temono nuovi scontri. L’emittente di Stato irachena, Al Iraqiya, ha riferito che le strade di della città sono pattugliate dall’esercito iracheno e da quello americano che hanno avviato un’operazione “alla ricerca di un gruppo terrorista” legato all’organizzazione di Osama Bin Laden.

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- Negli Stati Uniti, intanto, è scontro aperto tra Casa Bianca e Congresso sul futuro della guerra in Iraq. Dopo il voto alla Camera, anche al Senato di Washington i Democratici sono riusciti stanotte a sbarrare la strada al tentativo dei Repubblicani di cancellare qualsiasi scadenza dalla legge che deve rifinanziare con 122 miliardi di dollari le missioni all’estero. Ce ne parla Giada Aquilino:

 

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Ci sono voluti tre mesi, ma dopo aver assunto il controllo di Camera e Senato, i Democratici sono riusciti a far passare due provvedimenti che per la prima volta indicano nel 2008 l'anno in cui i soldati statunitensi dovranno rientrare in patria dall’Iraq. Di fatto, si apre la strada a un conflitto di poteri, dato che il presidente Bush ha già espresso il proprio ''disappunto'' per l’esito del voto di stanotte al Senato, confermando che porrà un veto a qualsiasi legge che contenga scadenze per le missioni militari all’estero. Eppure, già nei giorni scorsi la Camera aveva varato un provvedimento che imponeva l'obbligo del "tutti a casa" entro il primo settembre 2008. Nel voto al Senato, invece, è passata una scadenza più ravvicinata, quella del 31 marzo del prossimo anno, anche se non vincolante. Entro la fine della settimana, poi, arriverà il voto finale sulla legge di rifinanziamento. Per i Democratici, è giunto il momento di dare un segnale forte al Paese, proprio perché la violenza in Iraq non si ferma.

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- Tra ingenti misure di sicurezza si è aperto oggi a Ryad, in Arabia Saudita, il vertice annuale della Lega Araba, da cui ci si aspetta un rilancio di un piano di pace israelo-palestinese. Alla vigilia del summit, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha chiesto ai Paesi arabi un’apertura verso lo Stato ebraico. Ma la Jihad islamica ha già respinto in anticipo ogni decisione del vertice che possa condurre ad un riconoscimento dello Stato di Israele.

 

- Ancora braccio di ferro tra Iran e Gran Bretagna sul caso dei 15 marinai arrestati nel Golfo Persico, i quali, secondo dati del sistema satellitare GPS, erano in acque territoriali irachene quando sono stati catturati da agenti iraniani. Ieri, intanto, il premier britannico, Tony Blair, ha avvertito il governo di Teheran che se falliranno i negoziati per il rilascio, si aprirà una “nuova fase” nei rapporti tra i due Paesi.

 

- I Paesi alleati della NATO contano sull'impegno dell’Italia in Afghanistan. E’ quanto ha detto James Appathurai, portavoce del segretario generale della NATO, dopo la riunione tra il Consiglio Nord-Atlantico e i direttori politici dei Paesi membri. In Italia, intanto, il Senato ha approvato il decreto per il rifinanziamento delle missioni all’estero, tra cui quella in Afghanistan. Il capo dell’esecutivo, Romano Prodi,  e l’Unione parlano di “svolta politica” ma definiscono “irresponsabili” le decisioni di Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega di astenersi dal voto. L’opposizione sottolinea, invece, come la maggioranza non sia autosufficiente al Senato e critica l’appoggio dato dall’UDC.

 

- Ripartono le trattative per l’adesione della Turchia all’Unione Europea. I rappresentanti permanenti dei 27 Stati membri hanno dato infatti il via libera alla ripresa dei negoziati. Domani, sarà aperto il secondo capitolo delle trattative che riguarda le imprese e la politica industriale. A Bruxelles, intanto, tre italiani - due funzionari e un eurodeputato - sono stati arrestati a Bruxelles nel quadro di un’inchiesta per corruzione nelle istituzioni comunitarie.

 

- Anche il Gruppo di contatto per il Kosovo, formato da Stati Uniti, Germania, Francia, Italia, Gran Bretagna e Russia, discute in queste ore del piano elaborato dall’inviato dell’ONU, Martti Ahtisaari, in vista del dibattito al Palazzo di Vetro di New York, a partire dal 3 aprile. Il documento - presentato nei giorni scorsi al Consiglio di sicurezza dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon - prevede una sostanziale indipendenza del Kosovo dalla Serbia, ma sotto il controllo della comunità internazionale. Ce ne parla Roberto Morozzo della Rocca, docente di Storia contemporanea all’Università Roma Tre ed esperto di questioni balcaniche, intervistato da Giada Aquilino:

 

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R. - E’ la soluzione forse più semplice, più comoda, più ovvia. In Kosovo, il 90 per cento degli abitanti è albanese e - non da oggi - gli albanesi reclamano l’indipendenza. Non è detto che questo piano venga poi approvato, perché al Consiglio di sicurezza ONU potrebbe esserci il veto della Russia. E’ più facile immaginare che cosa possa significare una decisione di indipendenza per il Kosovo nel quadro dei Balcani: i serbi non accettano questa decisione che penalizza la loro presenza in Kosovo. Se il Kosovo diventerà indipendente, è probabile che a poco a poco la presenza serba in quella zona svanirà. D’altra parte, gli albanesi a parole possono dare delle garanzie, ma di fatto chi conosce il Kosovo sa purtroppo che lì chi comanda dei due popoli poi penalizza l’altro.

 

D. - L’annosa questione etnica tra serbi e albanesi come potrà evolversi?

 

R. - Credo che l’indipendenza significhi per gli albanesi realizzare lo Stato-Nazione: già si è dimostrato negli anni scorsi che questo significa un Kosovo a tinte sempre più albanesi. Quando l’Unione Europea parla di "soluzione Ahtisaari", intesa nel senso di soluzione multietnica garantita, è un discorso retorico perché si presuppongono buoni rapporti tra maggioranza e minoranza, ma in questo caso non sono tali. Probabilmente, né il Kosovo albanese né il Kosovo serbo possono garantire tale soluzione multietnica.

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- In Spagna, una tavola rotonda tra il premier Zapatero e cento cittadini è stata l’occasione per toccare vari temi, tra i quali terrorismo, immigrazione ed economia. Ma si è parlato anche di questioni legate alla vita quotidiana. Ce ne parla Ignacio Arregui:

 

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Una semplice battuta è bastata per rendere popolare oggi l’abitante di una piccola città della Navarra che ieri, facendo parte di un campione di cento persone rappresentative della popolazione spagnola, ha interpellato il presidente del governo con questa domanda: “Ma Lei, sa quanto costa un caffè al bar?”. Il presidente Zapatero, forse un po’ imbarazzato, risponde: “Certo, ottanta centesimi”. Immediata la replica del cittadino: “Macché. Questo era ai tempi del nonno Francesco” (vale a dire Franco). Lo studio televisivo dove ha avuto luogo il dibattito imitava l’architettura classica di un parlamento, in forma di emiciclo. Lungo due ore di colloquio, sono state formulate 42 domande sulle questioni che preoccupano il cittadino medio: dal terrorismo al prezzo della barbabietola o delle abitazioni, passando per gli abusi sessuali ai minorenni o la negazione del voto elettorale agli immigrati extracomunitari. Qualcuno ha perfino formulato qualche dubbio sulla validità oggi dell'istituzione monarchica. E non è mancata una critica ai politici per l’aggressività e mancanza di rispetto che caratterizza oggi una sistematica conflittualità tra il governo e l’opposizione. A metà aprile, sarà il turno del capo dell’opposizione, Mariano Rajoy, per un analogo incontro, in diretta televisiva,  con altri cento cittadini spagnoli.

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- Nello Sri Lanka l’esercito ha conquistato una delle principali basi delle Tigri Tamil in una zona orientale del Paese. L’operazione è stata condotta dopo un attacco kamikaze, compiuto ieri da ribelli in un campo militare e costato la vita ad almeno 9 persone. Il governo di Colombo ha ribadito, intanto, la propria disponibilità ad avviare colloqui con i guerriglieri Tamil per l’applicazione di un cessate-il-fuoco. La situazione resta comunque critica: negli ultimi 18 mesi, almeno 4 mila persone, tra le quali moltissimi civili, hanno perso la vita a causa dei combattimenti. Ma come spiegare la recrudescenza delle violenze nel Paese asiatico? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto ad Emilio Asti, docente di culture orientali ed esperto di Sri Lanka:

 

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R. - Il governo dello Sri Lanka non è riuscito a coinvolgere la popolazione civile Tamil in un processo di pace e di ricostruzione. In questo conflitto si intrecciano poi motivi di diversa natura. Al momento, né il governo dello Sri Lanka, né i combattenti Tamil appaiono disposti a recedere dalle loro posizioni. La situazione appare preoccupante: il Paese rischia di precipitare nel pantano di un conflitto su larga scala, che può preludere ad una frantumazione dell’intero Paese. Sarebbe auspicabile una ridefinizione della struttura politica dello Stato srilankese. Finora, il governo non è riuscito a garantire un’effettiva autonomia alla popolazione Tamil. I combattenti Tamil, invece, insistono per un’autonomia sempre maggiore.

 

D. - La Caritas ha denunciato, poi, che l’escalation delle violenze può innescare purtroppo una grave emergenza umanitaria. Qual è adesso la situazione?

 

R. - Il prezzo del conflitto, in termini di vite umane e sviluppo economico, è molto alto. Si tratta di una zona che era stata già devastata da un lungo conflitto, una zona nella quale si registrava quasi un milione di dispersi. Inoltre, dobbiamo considerare anche la mancanza di infrastrutture e l’incapacità del governo di assicurare un minimo aiuto umanitario alla popolazione. Le forze governative non si fanno inoltre scrupolo ad usare mezzi pesanti contro i combattenti Tamil e la popolazione civile paga un prezzo molto alto.

 

D. - A questo punto, è auspicabile un intervento della comunità internazionale, e quali caratteristiche dovrebbe avere questo intervento?

 

R. - A mio avviso, la Chiesa cattolica che annovera fedeli sia tra i Tamil che fra i cingalesi, può continuare a svolgere un ruolo importante come ha fatto in passato. Anche diverse organizzazioni non governative possono svolgere un’azione in questo senso. Sarebbe importante la convocazione di una conferenza di pace sotto gli auspici delle Nazioni Unite, affinché le parti in lotta possano intraprendere un dialogo e definire le loro posizioni e le loro richieste. Occorre l’intervento di una forza che possa agire come mediatrice tra le parti in conflitto però, purtroppo, le divisioni tra i gruppi Tamil contribuiscono a complicare la situazione.

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Nelle Filippine, è finito dopo otto ore un drammatico tentativo di sequestro da parte di un direttore d’asilo. L’uomo ha sequestrato stamani una trentina di bambini del suo stesso istituto a bordo di uno scuolabus, nei pressi del municipio di Manila. Poi si è arreso, come aveva promesso e concordato con la polizia. Il sequestratore aveva chiesto una migliore istruzione ed alloggi gratuiti per i suoi alunni, che provengono da un quartiere disagiato della capitale filippina.

 

Oltre 70 morti in Nigeria per l’esplosione di un’autocisterna che trasportava benzina. Le vittime si erano ammassate intorno al mezzo per tentare di rubare il combustibile che fuoriusciva da alcune falle dopo un incidente. Improvviso il rogo e la conseguente tragedia.