RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 87
- Testo della trasmissione di mercoledì 28
marzo 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Oggi
su "L'Osservatore Romano"
OGGI IN PRIMO PIANO:
Pubblicata oggi la Nota della Conferenza episcopale italiana
sulle unioni di fatto
CHIESA E SOCIETA’:
Il Senato USA contro Bush: chiede il
ritiro dei soldati dall’Iraq entro il 2008
Il
Papa e la Santa Sede
Benedetto
XVI all'udienza generale: la vera fede
non è un
artificio intellettuale ma è quella trasmessa pubblicamente
dai vescovi.
Il Papa esorta i siciliani a testimoniare la pace
nella legalità
e nell'amore
La fede contenuta nel Vangelo non è
privilegio di pochi intellettuali, ma è raggiungibile attraverso la
predicazione dei vescovi, successori degli Apostoli, a partire dal Papa. Ai
ventimila fedeli presenti questa mattina in Piazza San Pietro per l’udienza
generale, Benedetto XVI ha parlato dell’unicità, dell’universalità e
dell’ispirazione divina del cristianesimo così come difesi e trasmessi da Sant’Ireneo di Lione già nel 200 dopo Cristo, al tempo
dell’eresia gnostica. Il servizio di Alessandro De Carolis:
**********
“Il vero
insegnamento è quello impartito dai vescovi, che possono provare di averlo ricevuto per mezzo di una tradizione ininterrotta
dagli Apostoli”. La fermezza di queste parole permise poco meno di duemila anni
fa al vescovo Ireneo di Lione di confutare il pensiero settario degli gnostici
che andavano predicando un cristianesimo di tipo “elitario,
intellettualistico”, che permetteva di cogliere a pochi le verità del Vangelo,
lasciando alle masse insegnamenti di scarsa importanza. Benedetto XVI ha
ricordato e celebrato le doti di questo antico presule francese, definito dal
Papa “campione della lotta contro le eresie” e capace
di riaffermare “il genuino concetto di tradizione apostolica”:
“La tradizione apostolica è pubblica, non
privata o segreta. Per Ireneo non c’è alcun dubbio che il contenuto della fede
trasmessa dalla Chiesa è quello ricevuto dagli apostoli e da Gesù, dal Figlio
di Dio. Non esiste altro insegnamento che questo. Pertanto, chi vuol conoscere
la vera dottrina basta che conosca la tradizione che viene dagli apostoli e la
fede annunciata agli uomini, tradizione e fede – così dice verbalmente – sono
giunte fino a noi attraverso la successione dei vescovi”.
In questa
tradizione, ha ribadito Benedetto XVI, “occorre considerare in modo speciale
l’insegnamento della Chiesa di Roma, preminente e antichissima, che - ha detto
- ha ‘maggiore apostolicità’ perché trae origine
dalle ‘colonne’ del Collegio apostolico: Pietro e Paolo”. E da costoro, fino ai
vescovi di oggi, la Tradizione apostolica mostra anche un altro carattere:
quello dell’“unicità”. Per descriverla, il Papa si è servito delle stesse
parole pensate da Ireneo per contrastare gli eretici:
“La Chiesa, benché disseminata in tutto il
mondo, custodisce con cura la fede degli apostoli, come se abitasse una casa
sola. Allo stesso modo, crede in queste verità come se avesse una sola anima e
lo stesso cuore. In pieno accordo, queste verità proclama, insegna e trasmette
come se avesse una sola bocca”.
La Tradizione apostolica, infine, ha una terza caratteristica
fondamentale: è “ispirata dallo Spirito Santo”:
“Non si tratta, infatti, di una
trasmissione affidata all’abilità di uomini più o meno dotti, ma lo Spirito di
Dio che garantisce la fedeltà della trasmissione della fede. E’ questa la vita
della Chiesa, ciò che rende la Chiesa sempre fresca e giovane, feconda di
molteplici carismi”.
Dopo la
catechesi e i saluti ai pellegrini, oggi pronunciati
in dieci lingue, Benedetto XVI ha concluso l’udienza con un pensiero
particolare alla Chiesa siciliana, i cui vescovi sono in questi giorni a Roma
per la visita ad Limina. Nell’invitare i presuli
dell'isola, sulla scorta del celebre passo di San Timoteo, ad annunziare
integralmente la Parola di Dio, “in ogni occasione opportuna e non opportuna” e
con “rinnovato slancio e fervore”, il Papa ha aggiunto:
“Nessun timore sorprenda mai e agiti il
cuore di tutti voi, cari fratelli e sorelle. Chi segue Cristo non si spaventa
delle difficoltà; chi confida in Lui va avanti sicuro. Siate costruttori di
pace nella legalità e nell’amore, offrendo luce agli uomini del nostro tempo, i
quali pur presi dagli affanni della vita quotidiana, avvertono il richiamo
delle realtà eterne”.
(applausi)
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Nomine
Il Santo Padre ha nominato vescovo di Novo Hamburgo, in Brasile, mons. Zeno Hastenteufel,
finora vescovo di Frederico Westphalen.
Mons. Hastenteufel è nato
il 14 giugno 1946 a Linha Rodrigues
da Rosa, nell’allora municipio di Montenegro, nell’arcidiocesi di Porto Alegre; dopo aver compiuto gli studi preparatori nel Seminario
minore "São José",
ha frequentato il corso di filosofia nel Seminario di Viamão
e il corso di teologia nell’Istituto della Pontificia Università Cattolica di
Porto Alegre. Dal 1981 al 1983, ha studiato Storia
Ecclesiastica in Roma, dove ha conseguito il diploma di Laurea. Ha ricevuto l’ordinazione sacerdotale l’8 luglio 1972, ed ha
esercitato poi i seguenti incarichi pastorali: amministratore parrocchiale di Sapucaia do Sul; parroco di "Santo Antônio
dos Pobres"; vicario parrocchiale della
Parrocchia "Sagrada Família";
parroco della Parrocchia "São Vicente Mártir"; parroco
della Parrocchia di São Sebastião"
dal 1996. Ha inoltre svolto le seguenti funzioni nella
Pontificia Università Cattolica di Porto Alegre:
direttore del Centro di Formazione Religiosa e del Dipartimento di Cultura
Religiosa; direttore dell’Istituto di Teologia e Scienze Religiose per due
trienni; professore nella Pontificia Università e nel Seminario maggiore di Viamão, nell’arcidiocesi di Porto Alegre.
Il 12 dicembre 2001 è stato nominato vescovo di Frederico
Westphalen, ed ha ricevuto l’ordinazione episcopale
l’8 marzo successivo.
Domani pomeriggio nella Basilica Vaticana il Papa
presiederà
una celebrazione
penitenziale e confesserà alcuni giovani:
la riflessione di mons. Comastri
Domani alle 18.00 Benedetto XVI presiederà
nella Basilica di San Pietro una celebrazione penitenziale con i giovani della
diocesi di Roma in preparazione alla Pasqua e alla Giornata Mondiale della Gioventù,
che verrà celebrata a livello diocesano il prossimo 1°
aprile, Domenica delle Palme. Durante il rito il Papa confesserà alcuni
giovani. Circa 200 sacerdoti saranno presenti in Basilica per le confessioni.
E’ stato lo stesso Benedetto XVI a lanciare l’invito, domenica scorsa
all’Angelus, a partecipare all’evento ricordando che la Confessione è un “vero
incontro con l’amore di Dio, di cui ogni uomo ha bisogno per vivere nella gioia
e nella pace”. Su questa iniziativa ascoltiamo l’arcivescovo Angelo Comastri,
arciprete della Basilica di San Pietro e Vicario del Papa per lo Stato del
Vaticano. L’intervista è di Giovanni Peduto:
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R. – E’ un’iniziativa che fu già presa da
Papa Giovanni Paolo II e che risponde all’impegno pedagogico che ha il Papa. Il
Papa con ogni gesto ci insegna, il Papa con ogni gesto ci educa, e oggi c’è
bisogno di rieducarci tutti a riscoprire il grande dono del sacramento della
Penitenza, del sacramento della Riconciliazione. E vorrei sottolineare che il
sacramento della Riconciliazione è un regalo pasquale, è nel giorno di Pasqua
che Gesù ha detto agli apostoli: “Andate in tutto il mondo, a chi rimetterete i
peccati, saranno rimessi”; perché non c’è cosa più bella di
ricevere il perdono. Se noi capissimo che il perdono è davvero la cura delle
ferite, il risanamento delle nostre angosce, noi correremmo ai confessionali e
ci inginocchieremmo con immensa gioia.
D. – I giovani oggi
si confessano poco. Perché a suo parere, eccellenza?
R. – Perché non hanno capito il sacramento
della Confessione. E’ perché talvolta anche noi sacerdoti abbiamo fatto poco
per attirarli alla Confessione, ma io sono convinto che noi sacerdoti, e la
Chiesa attraverso i sacerdoti, ha in mano una perla preziosa, ha in mano una
bomba di amore: dobbiamo disinnescarla questa bomba perché il sacramento della
Confessione può generare tanta santità e quindi può generare tanta felicità.
D. – Vogliamo precisare quando confessarsi
e perché?
R. – Evidentemente c’è la necessità della
Confessione che è legata all’eventuale peccato grave che uno possa aver
commesso. E’ chiaro che dopo un peccato grave la Confessione è indispensabile,
è irrinunciabile, perché è il sacramento che risana, è il sacramento che ci
rimette in pace con Dio. Ma la Confessione è particolarmente utile anche quando
non si cade nel peccato grave perché l’abbraccio con Dio lascia sempre dei
segni, perché quando chiediamo perdono cresce il fervore, perché quando ci
inginocchiamo sicuramente ci rialziamo rifocillati dal perdono di Dio. Pertanto
ogni 15 giorni è salutare per tutti i cristiani accostarci al sacramento della
Confessione o, almeno, una volta al mese.
D. – Come spiegherebbe la Confessione ad
una persona lontana? Molti oggi si chiedono: “ma
perché mi devo confessare”?
R. – Io credo che la Confessione non si
possa raccontare. E’ un po’ come il cibo: ad uno che dovesse mangiare e si
trova davanti un cibo che non conosce, sì, io glielo posso raccontare
ma soprattutto devo dirgli: assaggialo, prova. Una volta che avrai
assaggiato il cibo ti garantisco che ti piacerà, ti farà bene. Ugualmente, per
quanto riguarda la Confessione, dobbiamo dire a chi è lontano: guarda, la
Confessione non è fatta al sacerdote, la Confessione risponde ad un’esigenza
del tuo cuore che ha bisogno di sentire il perdono, il sacerdote è soltanto una
finestra aperta attraverso la quale Dio si affaccia e ti perdona. Il sacerdote
non è altro che un povero cuore umano nel quale rivive il cuore di Gesù Cristo,
è Gesù Cristo che ti vuole far sentire, anche fisicamente, il perdono. E’ Gesù
Cristo che vuole, attraverso la Chiesa, farti sentire anche fisicamente la
bellezza di ricevere le parole che risanano: ‘Io ti
assolvo, io ti perdono dai tuoi peccati’.
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Il rammarico della
Santa Sede per il rinvio dei negoziati
con la Delegazione israeliana
su questioni fiscali e di proprietà
della Chiesa cattolica in
Terra Santa
Domani non si svolgerà la riunione plenaria
della Commissione Bilaterale Permanente di Lavoro tra la Santa Sede e lo Stato
d’Israele, programmata in Vaticano allo scopo di trattare alcune questioni
relative all’Accordo Fondamentale, firmato dalle due parti il 30 dicembre 1993.
La Delegazione israeliana ha comunicato lunedì scorso l’impossibilità di
partecipare alla riunione, a causa di contingenze politiche internazionali. “La
Santa Sede – afferma oggi un comunicato della Sala Stampa vaticana - pur
comprendendone le ragioni, ha preso atto con rammarico della circostanza e
attende di poter concordare al più presto con la Parte israeliana la nuova data
della convocazione della Plenaria”. Al centro dei lavori figurava l’Articolo
10, laddove la Santa Sede e lo Stato d'Israele s’impegnano a negoziare “in
buona fede un accordo complessivo, che contempli soluzioni accettabili da ambo
le parti su punti non chiari, non fissati o discussi a proposito della
proprietà e di questioni economiche e fiscali che riguardano in generale la
chiesa cattolica o specifiche comunità o istituzioni cattoliche”.
Il cardinale Martino:
il rispetto dell’identità e il riconoscimento dei valori della cultura zingara
siano i presupposti della pastorale per gli Zingari
Occorre riconoscere i valori della cultura zingara,
e rispettare l’identità degli Zingari. Lo ha ribadito il
cardinale Renato Raffaele Martino, presidente Pontificio Consiglio per
la Pastorale per i Migranti e gli Itineranti in un comunicato ai partecipanti
all’Incontro annuale del Comitato cattolico internazionale per gli Zingari,
svoltosi nei giorni scorsi. Il porporato ha ricordato quanto da lui affermato
nel corso del recente Incontro dei direttori nazionali della pastorale per gli
Zingari, l’11 e 12 dicembre 2006, sottolineando che per la Chiesa è essenziale
rispondere alle aspettative degli Zingari nella loro ricerca di Dio,
orientandone i passi secondo l’insegnamento di Cristo. “Il contenuto
dell’annunzio è un messaggio di salvezza – scrive il cardinale Martino – ed è
necessario mettere a loro disposizione anche i mezzi”. Il porporato ha voluto
inoltre evidenziare le conclusioni e le raccomandazioni riportate nel Documento
finale di quell’incontro, specificando che, riguardo
agli Zingari, “nell’evangelizzazione deve ritrovare la sua validità e priorità
il processo d’inculturazione, intesa come l’incarnazione del Vangelo nella loro
cultura e insieme la loro introduzione nella vita della Chiesa”. Chiesa che, si
legge negli Orientamenti per una Pastorale degli Zingari - il primo Documento
della Chiesa, nella sua dimensione universale, dedicato agli Zingari e
pubblicato l’8 dicembre 2005 - “deve diventare, in un certo senso, essa stessa
zingara fra gli Zingari”. Il cardinale Martino ha aggiunto poi che lo stesso
documento ricorda che la Redenzione – come pienezza della solidarietà –
riguarda l’uomo nella sua integralità, compresa la sua cultura, il suo tipo di
relazioni, ecc. Quindi, nella trasmissione del Vangelo, è fondamentale
considerare i valori e la ricchezza della cultura zingara, conoscerne la
lingua, apprezzarne le usanze.
Oggi su
"L'Osservatore Romano"
Servizio vaticano - In primo piano
l’udienza generale. Benedetto XVI prosegue il ciclo di catechesi dedicate ai
Padri apostolici.
Servizio estero - In evidenza l’Iraq: il
Senato USA approva il ritiro delle truppe a marzo 2008. Il “disappunto” del
presidente George W. Bush che opporrà il veto.
Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo “La vita redenta e la promozione
integrale della persona umana”: illuminazioni cristiane sul tema della
corporeità.
Servizio italiano - In rilievo il “sì” del
Senato al rifinanziamento delle missioni all’estero.
Oggi
in Primo Piano
Pubblicata oggi la Nota della Conferenza episcopale
italiana
sulle unioni di fatto
Pubblicata oggi la nota del Consiglio
episcopale permanente della Conferenza episcopale italiana a riguardo della
famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di
unioni di fatto. Il documento specifica che solo la famiglia aperta alla vita
può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la
continuità e la cura delle generazioni. Il servizio di Tiziana Campisi:
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“Non abbiamo interessi politici da
affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene
comune”. Spiegano con queste parole i vescovi italiani le motivazioni della
nota del Consiglio episcopale permanente a riguardo della famiglia fondata sul
matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto. “Ci
sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino
il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società …
a vantaggio del bene comune”. La nota specifica che “solo la famiglia aperta
alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce
la continuità e la cura delle generazioni”. “È quindi interesse della società e
dello Stato – scrivono i vescovi – che la famiglia sia solida e cresca nel modo
più equilibrato possibile”.
I presuli ritengono poi “la legalizzazione
delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio” e “pericolosa sul
piano sociale ed educativo”. Per l’episcopato inoltre
avrebbe un effetto “inevitabilmente deleterio per la famiglia” perchè “toglierebbe
... al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che
sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro”. “Un problema ancor
più grave – si legge ancora nella nota – sarebbe rappresentato dalla
legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo
caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile”. “Queste
riflessioni – proseguono i vescovi – non pregiudicano il riconoscimento della
dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra
sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo
scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire
riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a
esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza”.
I vescovi precisano inoltre che “ci sono
situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele
giuridiche per la persona che convive” e di non esserne “per
principio contrari”, sono però convinti che “questo obiettivo sia perseguibile
nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica
che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti
di quelli che vorrebbe sanare”. Infine i vescovi hanno voluto ricordare
un’affermazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella quale si
puntualizza che nel caso di “un progetto di legge favorevole al riconoscimento
legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale
di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il
progetto di legge» (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della
Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali,
3 giugno 2003, n. 10)”.
“Il fedele cristiano è tenuto a formare la
propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del
Magistero" – concludono i vescovi – e pertanto non «può appellarsi al
principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo
soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze
etiche fondamentali per il bene comune della società» (Nota dottrinale della
Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti
l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre
2002, n. 5).
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Presentata oggi la manifestazione a
favore della famiglia
il 12
maggio a Roma
“Ciò che è bene per la famiglia
è un bene per il Paese”. Così il presidente del Forum delle associazioni
familiari, Giovanni Giacobbe, presentando questa mattina a Roma la
manifestazione “Più famiglia” convocata in piazza San
Giovanni in Laterano per il prossimo 12 maggio. Evidenziato
il carattere laico dell’iniziativa: “non contro il
governo, ma per una maggiore attenzione alle politiche familiari e contro il
riconoscimento pubblico delle convivenze non matrimoniali”. Illustrato alla
stampa anche il manifesto “Più famiglia” redatto da movimenti e associazioni
del mondo cattolico. A seguire la conferenza stampa c’era per noi Paolo Ondarza.
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“Più famiglia” è il nome della
manifestazione, convocata il 12 maggio in Piazza San Giovanni in Laterano, a Roma, dal Forum delle famiglie. “Più famiglia”
si intitola anche il manifesto redatto da movimenti e associazioni cattoliche.
Iniziative non contro qualcuno, ma per la famiglia,
maturate nell’arco di soli venti giorni. Il fine è quello di creare una piazza
degli italiani, laici e cattolici. A dar voce alla piazza ci saranno Eugenia Rocella, giornalista, e l’ex leader della Cisl, Savino Pezzotta. Tra i
punti salienti del manifesto “Più famiglia” affermare l’insostitui-bilità della
famiglia fondata sul matrimonio e aperto ad un’ordinata generazione, secondo il
dettato costituzionale, opporsi ad ogni tentativo di indebolire la famiglia,
sotto il profilo sociale e culturale o legislativo, promuovere incisive
politiche sociali a favore della famiglia, aprire spazi al soddisfacimento dei
bisogni delle persone conviventi solo attraverso la libertà contrattuale ed
eventuali ritocchi al codice civile. In sintesi, un grande sì alla famiglia e
un no al riconoscimento pubblico delle convivenze non matrimoniali, un sì a
politiche sociali audaci e impegnative a favore della famiglia.
“Ciò che è bene per la famiglia è un bene
per il Paese”, ha detto il presidente del Forum, Giovanni Giacobbe. Quest’ultimo ha anche precisato il carattere
laico della manifestazione, senza rinnegare l’identità cattolica. “Essere cattolici” ha detto “non è in contraddizione con
l’essere cittadini italiani”:
"Noi operiamo in quanto cittadini di
questa Repubblica i quali rivendicano i loro ruolo di
cattolici e rivendicano quindi il loro diritto di manifestare e di esprimere le
loro opinioni e di influire sulla formazione anche delle leggi".
Una manifestazione aperta, libera – ha
spiegato Pezzotta – ma con un preciso obiettivo e,
quindi, chi partecipa deve condividere i punti del manifesto.
Dalla Sala Stampa della Camera, Paolo Ondarza, Radio Vaticana.
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Il commento di mons. Mario Paciello,
vescovo di Altamura,
sull'invito del Papa per la Quaresima:
volgiamo lo sguardo a Cristo Crocifisso
Volgiamo lo sguardo a Cristo Crocifisso
che, morendo sul Calvario, ci ha rivelato pienamente l’amore di Dio. È quanto
Benedetto XVI suggerisce ai fedeli nel suo messaggio di Quaresima. Su questi
temi ha scritto la sua Lettera pastorale il vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti mons. Mario
Paciello. Nella sua riflessione, il presule
racconta anche del suo recente viaggio a Nairobi come membro di presidenza
della Caritas italiana; esperienza, ha detto il vescovo, che gli ha consentito
di guardare, attraverso Cristo Crocifisso, alle sofferenze dell’umanità. Lo ha
intervistato Fabio Colagrande:
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R. - Il Papa afferma chiaramente che più
contempliamo il Cristo Crocifisso, più vediamo chiaramente le piaghe del Cristo
nell’umanità di oggi. Io ho ritenuto un vero kairos,
una vera grazia, poter entrare in Quaresima dopo essere passato attraverso
l’esperienza africana.
D. – Cosa l’ha colpita di più di questo
viaggio? Quali immagini le sono rimaste negli occhi e nella mente, monsignor Paciello?
R. – Io sono stato soltanto a Nairobi e
Nairobi è una città di 4 milioni di abitanti; il 62 per cento, cioè 2 milioni e
mezzo, abitano nelle 203 baraccopoli che sono intorno alla città. Cosa mi ha
colpito? L’enorme, incalcolabile, inimmaginabile differenza tra la città
evoluta, ricca, movimentata e la condizione di enorme squallore, quindi di
profondissima ingiustizia, in cui vivono non soltanto quei 2 milioni e mezzo di
keniani, ma in cui vivono quasi due terzi dell’umanità. Ciò che mi ha
maggiormente colpito è stato vedere non soltanto la mancanza assoluta di qualunque
rispetto della persona umana per le condizioni sociali in cui tanti vivono, ma
anche sapere che per il governo della città, le 203 baraccopoli non esistono,
sono terreno libero e quelli che lì nascono, vivono, muoiono, non hanno diritto
ad avere un’anagrafe, una carta d’identità, sono persone che non esistono.
Queste sono ingiustizie enormi, insopportabili. Credo che queste immagini
mettano veramente in crisi chi si trova ad esserne testimone.
D. – Quali consigli ha dato alla sua
diocesi per un impegno concreto nel quotidiano, proprio a partire da queste
immagini, da queste testimonianze?
R. – Sto cercando di far capire che questa
parte di umanità ci appartiene, che direttamente o indirettamente noi del mondo
del benessere siamo responsabili di quella condizione di vita. Noi non possiamo
ritenerci a posto facendo le brave persone, noi consumiamo, noi usiamo per noi
quello che è anche per gli altri. Quindi, l’invito fondamentale è ad una
verifica, ad una revisione del proprio modo di vivere, di pensare. Noi dobbiamo
prendere coscienza di avere bisogni infiniti che non servono a nulla, e che
tolgono ad altri l’essenziale.
D. – Non c’è il rischio che l’impegno
solidale, l’impegno quaresimale, sia vissuto solamente come volontariato,
altruismo, senza alcun legame con Cristo?
R. – Nella lettera pastorale, tra i
suggerimenti concreti, ne faccio tante di proposte che vanno al di là del tempo
quaresimale, che sono frutto di una presa di coscienza che tutto quello che
faccio, intanto lo faccio per mandato di Cristo e per amore dell’uomo, con la
consapevolezza che l’impegno a favore degli ultimi è il modo normale di essere
del cristiano. Dall’altra parte non è possibile annunciare la salvezza a nessun
uomo se non gli si fa fare esperienza che questa salvezza, per lui comincia col
vivere in una condizione di maggiore dignità. Il diritto a vivere una vita
dignitosa è di ogni uomo che viene al mondo. Questo Cristo lo vuole e noi, come
cristiani, ne siamo particolarmente responsabili.
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Chiesa
e Società
I giovani iracheni celebrano la Giornata mondiale della gioventù
con un incontro a Erbil, “in unione con il Papa”
In vista della Domenica delle Palme del 1
aprile, XXII Giornata mondiale della gioventù, domani e venerdì prossimi 80
giovani iracheni di tutte le diocesi del Paese si riuniranno a Erbil, presso il Santuario di Maria, in concomitanza con la
preghiera del Papa con i giovani romani. A organizzare il ritiro – riferisce
l’agenzia Sir – padre Rayan
P. Atto, parroco della Chiesa caldea del Sacro Cuore
di Erbil. I partecipanti ascolteranno in diretta la
preghiera del Papa, introdotta da padre Atto e tradotta in arabo e aramaico, due delle lingue parlate dalla comunità cristiana
irachena. La giornata proseguirà con l’adorazione notturna, che terminerà il
venerdì mattina con momenti di preghiera, silenzio e lavoro nel giardino del
Santuario. Alle 12.00 verrà celebrata la Santa Messa,
cui seguirà un incontro di festa e gioia. Alcuni momenti del ritiro saranno trasmessi
in diretta da una televisione cristiana del Kurdistan iracheno. “Il sogno dei
giovani cristiani iracheni – spiega padre Atto – è quello di partecipare alla
GMG in Australia nel 2008. Una partecipazione che avrebbe un alto valore
simbolico sia per loro, membri di una comunità che sta soffrendo l’isolamento
in cui l’Iraq vive, sia per i giovani cristiani del mondo, che potrebbero così
confrontarsi con i propri fratelli iracheni direttamente, e non solo attraverso
ciò che i media riportano”. (R.M.)
“Le scelte politiche siano coerenti con i valori”:
così all’apertura, ieri a
Lourdes, della Plenaria dei vescovi francesi
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I cristiani non possono “accettare che la
loro fede sia relegata alla sfera del privato”: è questo il concetto di fondo che
ha accompagnato, ieri a Lourdes, l’apertura dei lavori dell’Assemblea plenaria
della Conferenza episcopale di Francia. In un documento firmato dal cardinale Jean-Pierre Ricard, arcivescovo
di Bordeaux e presidente dei vescovi francesi, i presuli invitano i fedeli
d’Oltralpe a “una coerenza fra le proprie scelte politiche e le proprie
convinzioni cristiane”, in vista delle imminenti elezioni presidenziali e
legislative di primavera. Come riferisce il quotidiano Avvenire, nel testo vengono richiamati alcuni “criteri” cruciali per la scelta
elettorale, che “non si indirizzano solo ai cattolici”. Innanzitutto, la
centralità della famiglia “fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, aperta
alla procreazione”, così come “al diritto che ha il bambino di avere un padre e
una madre”. Altrettanto chiaro è il “no alle unioni fra persone dello stesso
sesso e all’adozione di bambini da parte di tali coppie”. Il voto dovrà poi
considerare la posizione dei pretendenti all’Eliseo
rispetto al modo di “accompagnare le persone in fin di vita”. In questo caso, i
vescovi ribadiscono fermamente il “no all’accanimento terapeutico" e il
"no a un preteso diritto alla morte che costituirebbe una legalizzazione
dell’eutanasia”. Importante, per l’elettore, deve essere poi l’atteggiamento
dei candidati rispetto a “tutto ciò che conduce a una più grande condivisione
del lavoro e delle ricchezze”, come alle “poste in gioco ecologiche e le scelte
politiche che favoriscono uno sviluppo solidale”. Il documento dei vescovi
francesi tocca anche la questione migratoria, per sottolineare la necessità di
“un’accoglienza degli immigrati generosa, responsabile e rispettosa dei diritti
umani”. Infine, il riferimento all’impellente necessità di evitare i crescenti
rischi che si osservano “nel campo del rispetto della vita e della dignità
umana” come, ad esempio, quello di una banalizzazione dell’aborto. (A cura di Roberta Moretti)
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“Allontanare gli estremismi dal Partito del Congresso”:
è quanto chiede alla
leader, Sonia Gandhi,
l’arcivescovo di Delhi,
in India, mons. Concessao
In India, il Partito del
Congresso, forte della sua tradizione democratica, secolare, tollerante,
illuminata, rispettosa delle libertà individuali e dei diritti umani, dovrebbe
purificarsi al suo interno ed eliminare le scorie dell’estremismo e del “comunitarismo” che lo stanno inquinando: è quanto ha
chiesto mons. Vincent Michael
Concessao, arcivescovo di Delhi, alla leader del
Partito, Sonia Gandhi. In questo modo – riferisce
l’agenzia Fides – secondo l’arcivescovo, il Congresso potrebbe recuperare la
fiducia delle minoranze etniche e religiose nel Paese, che contribuì in passato
a rafforzarlo e a renderlo protagonista della liberazione dell’India dalla
dominazione coloniale inglese. Mons. Concessao ha rilasciato queste dichiarazioni, ricordando il
caso del “Freedom of Religion
Bill”, approvato nello Stato nordoccidentale
di Himanchal Pradesh. Si
tratta di un provvedimento che rientra nella categoria delle cosiddette “leggi
anti-conversioni”, che limitano la possibilità del cittadino di cambiare la
propria fede. La Chiesa ha sempre disapprovato la natura di simili leggi,
denunciando la violazione della libertà di coscienza individuale. Il documento
è passato con voto favorevole al Parlamento dello Stato, che è governato dal
Partito del Congresso: è il primo caso in cui uno Stato indiano guidato dal
Congresso approva una legislazione di questo tipo. In altri Stati dove sono in
vigore provvedimenti simili, infatti, è il partito estremista indù “Baratiya Janata Party” a detenere
il potere. L’arcivescovo Concessao ha ribadito la
contrarietà della comunità cattolica, ricordando che non vi sono prove di
“conversioni operate con la forza o con mezzi fraudolenti”, dunque non vi è necessità
di leggi di tal natura. Secondo gli osservatori, il Partito del Congresso avrebbe
approvato il documento per coagulare maggiore consenso popolare, in vista delle
elezioni generali previste nello Stato all’inizio del 2008. (R.M.)
Celebrazione ecumenica, ieri nell’abbazia londinese
di Westminster, per i 200 anni dall’abolizione della
schiavitù in tutti i Paesi del Commonwealth
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Per ricordare l’anniversario
dell’abolizione della schiavitù in tutti i Paesi del Commonwealth,
200 anni fa, le massime cariche delle istituzioni britanniche hanno partecipato
ieri a Londra, nell’abbazia di Westminster, a
un’intensa celebrazione ecumenica. Presenti la monarchia, con
la regina Elisabetta II e il duca di Edimburgo; il governo, con il premier,
Tony Blair, e alcuni ministri; le Chiese: tra cui
quella anglicana con l'arcivescovo di Canterbury, Rowan
Williams e quella cattolica, rappresentata dall’arcivescovo di Westminster, cardinale Cormac Murphy-O’Connor. Il servizio religioso si è svolto
in un clima di solennità, in memoria degli 11 milioni di schiavi che dal
continente africano furono portati nel nuovo mondo.
Alla cerimonia erano presenti anche i discendenti diretti di molti schiavi, sui
quali – ha ricordato l’arcivescovo di Canterbury – si è costruita la ricchezza
di questa nazione. Una discendente di William Wilberforce,
l’abolizionista che riuscì a far approvare la legge il 27 marzo 1807, ha
riletto l’appassionato discorso che l’antenato proclamò in Parlamento. Le dieci
campane dell’abbazia hanno poi rintoccato 200 volte. La regina ha posto una
corona di fiori per ricordare le vittime della tratta degli schiavi. (A cura di Sagida Syed)
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“E’ l’inizio di una nuova speranza, ma serve
reciproca comprensione”:
così, l’arcivescovo di
Dublino, mons. Martin, sull’accordo siglato lunedì
in Irlanda del Nord tra
cattolici e protestanti
L’accordo siglato lunedì in Irlanda del
Nord tra cattolici e protestanti “è storico e mette fine ad anni di violenze,
dolore e miseria per migliaia di famiglie. E’ l’inizio di una nuova speranza
per tutti quelli che vivono qui”: a dichiararlo all’agenzia Sir
è l’arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin, per il quale “i politici delle due parti ora hanno
l’opportunità di passare da posizioni ideologiche ad altre pragmatiche.
Potranno lavorare per dimostrare che si può vivere in pace”. “Lavorare – spiega
– non solo per costruire una giusta e pacifica società, ma anche per creare
tutto ciò che serve a progredire, come strade, servizi essenziali, favorendo
un’economia dove tutti i cittadini hanno uguali opportunità di benessere”.
Questo compito – precisa mons. Martin – “deve essere
portato avanti da Dublino e da Londra, collaborando con Belfast per il popolo
dell’Irlanda del Nord. Il successo di questo nuovo
capitolo – continua l’arcivescovo – dipende dalla partecipazione di tutte le
parti. Il solo futuro possibile per l’Irlanda è quello dove trova spazio la
mutua comprensione, tra Londra e Dublino, tra Nord e Sud, tra Unionisti e Nazionalisti,
tra cattolici e protestanti, tra credenti e non credenti”. “Il processo di
costruzione e di riconciliazione avrà la priorità per la Chiesa. Ciò che
dobbiamo fare – conclude mons. Martin - è fare
emergere ciò che di più creativo abbiamo nelle nostre tradizioni e lavorare
insieme per un’Irlanda cui ognuno sentirà di appartenere”.
(R.M.)
Medici senza Frontiere chiede aiuti
internazionali urgenti
contro l’epidemia di
meningite in Burkina Faso
“L’epidemia
che colpisce il Burkina Faso
è molto più grave che in passato, ma nonostante la drammaticità della
situazione e la mobilitazione del ministero della Salute e delle organizzazioni
umanitarie, la comunità internazionale non sta fornendo il necessario sostegno
a questo grande sforzo per salvare vite umane”: lo sostiene Meinie
Nicoali, responsabile delle operazioni di Medici senza
frontiere (MSf), una delle
ONG che stanno collaborando con le autorità del Burkina
Faso nel contenere l’epidemia di meningite in corso
dal 26 gennaio e che finora ha causato la morte di 800 persone e il contagio di
quasi 11 mila. MSF – riferisce l’agenzia MISNA – ha rilanciato l’appello del
governo, affinché la comunità internazionale metta a disposizione i fondi
necessari ad acquistare quasi due milioni di dosi supplementari di vaccino che
“tardano ad arrivare”. Metà degli oltre tre milioni di flaconi messi a
disposizione per combattere l’epidemia sarebbero ancora bloccati a causa
dell’indisponibilità di fondi. Un ritardo che rischia di vanificare l’effetto
della campagna di vaccinazioni già avviata in alcune zone del Paese. Il Burkina Faso, uno dei Paesi più
poveri al mondo, si trova nella cosiddetta “cintura della meningite”, la
regione subsahariana che si estende dal Senegal
all’Etiopia abitata da 300 milioni di persone dove, durante la stagione secca
tra dicembre e giugno, si presentano violenti epidemie
di questa malattia. (R.M.)
Concluso ad
Haiti l’incontro continentale latinoamericano e caraibico
della
Caritas. Appuntamento, per il prossimo, tra quattro anni in Argentina
Con l’elezione delle nuove
cariche, si è concluso il XVI Congresso latinoamericano
e caraibico della Caritas e il III Incontro
continentale di pastorale sociale Caritas, celebrato a Port
au Prince, a Haiti, dal 19
al 24 marzo, con il tema: “Discepoli e discepole di Gesù, per un’America
includente e solidale”. “Il mondo non si costruisce solamente con le categorie
delle ricchezze materiali o di economia. Quando mettiamo l’uomo al centro, la
persona umana, la sua dignità, la sua speranza, c’è possibilità che nasca un mondo nuovo”, ha affermato mons. Pierre-André Dumas, presidente di Caritas Haiti, citato
dall’agenzia Fides. “Per noi – ha aggiunto – questo è un avvenimento ecclesiale
che non aiuta solamente Haiti. È anche un modo per seguire tutto il processo
d’integrazione dei Paesi che avviene nel continente, di comprensione mutua, di
vivere la solidarietà”. “Per i vescovi, per i cristiani e per tutti gli uomini
di buona volontà che vivono a Haiti – ha concluso – è una maniera di prendere
di nuovo in mano il nostro destino, di essere soggetti
della nostra storia”. Durante la riunione, è stato scelto mons. Fernando María Bargalló, presidente di
Caritas Argentina, come presidente della Caritas per la Regione America Latina
e Carabi, che succede a mons. Gregorio Rosa Chávez,
vescovo ausiliare di San Salvador. La sede del prossimo Congresso regionale,
che si celebrerà tra quattro anni, sarà l’Argentina. (R.M.)
- A cura di Amedeo Lomonaco ed Eugenio Laurenzi -
- In Iraq, un duplice attacco a
Falluja ha provocato la morte di diversi militari iracheni.
A Tal Afar, città al confine con la Siria, è stato
imposto inoltre il coprifuoco dopo un eccidio perpetrato nella notte da
poliziotti sciiti in risposta agli attacchi compiuti
ieri da estremisti sunniti in un quartiere sciita. Si stima che, complessivamente,
siano morte ieri a Tal Afar più di 100 persone. Il
nostro servizio:
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L’Iraq
continua ad essere un Paese lacerato da attacchi contro forze della coalizione
e da drammatici scontri tra estremisti sunniti e sciiti. A Falluja,
roccaforte sunnita, due ordigni sono esplosi nei
pressi di un posto di controllo militare iracheno. La polizia ha riferito che
il duplice attacco ha provocato la morte di almeno 8 militari iracheni. La
tensione resta poi altissima nella città di Tal Afar,
nel nord dell’Iraq, dove è stato decretato il coprifuoco in seguito ad una
sanguinosa, drammatica catena di stragi. Nella notte, sono morte almeno 45
persone, uccise con un colpo d’arma da fuoco alla testa durante una
rappresaglia condotta casa per casa da agenti iracheni sciiti. L’eccidio è
stato compiuto infatti in un quartiere sunnita da poliziotti sciiti fuori servizio, in risposta
agli attacchi compiuti ieri, in un distretto sciita della stessa città e
costati la vita a 75 persone. Secondo gli inquirenti, dietro queste azioni
terroristiche c’è la mano di Al Qaeda.
La situazione a Tal Afar sembra tornata sotto controllo ma si temono nuovi scontri. L’emittente di Stato
irachena, Al Iraqiya, ha riferito che le strade di della città sono pattugliate dall’esercito
iracheno e da quello americano che hanno avviato un’operazione “alla ricerca di
un gruppo terrorista” legato all’organizzazione di Osama
Bin Laden.
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- Negli Stati Uniti, intanto, è scontro aperto tra Casa Bianca e
Congresso sul futuro della guerra in Iraq. Dopo il voto alla Camera, anche al
Senato di Washington i Democratici sono riusciti stanotte a sbarrare la strada
al tentativo dei Repubblicani di cancellare qualsiasi scadenza dalla legge che
deve rifinanziare con 122 miliardi di dollari le
missioni all’estero. Ce ne parla Giada Aquilino:
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Ci sono voluti tre mesi, ma dopo aver assunto il controllo di Camera e
Senato, i Democratici sono riusciti a far passare due provvedimenti che per la
prima volta indicano nel 2008 l'anno in cui i soldati statunitensi dovranno
rientrare in patria dall’Iraq. Di fatto, si apre la strada a un conflitto di
poteri, dato che il presidente Bush ha già espresso
il proprio ''disappunto'' per l’esito del voto di stanotte al Senato,
confermando che porrà un veto a qualsiasi legge che contenga scadenze per le
missioni militari all’estero. Eppure, già nei giorni scorsi la Camera aveva
varato un provvedimento che imponeva l'obbligo del "tutti a casa"
entro il primo settembre 2008. Nel voto al Senato, invece, è passata una scadenza
più ravvicinata, quella del 31 marzo del prossimo anno, anche se non
vincolante. Entro la fine della settimana, poi, arriverà il voto finale sulla
legge di rifinanziamento. Per i Democratici, è giunto
il momento di dare un segnale forte al Paese, proprio perché la violenza in
Iraq non si ferma.
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- Tra ingenti misure di sicurezza si è aperto oggi a Ryad, in Arabia Saudita, il vertice annuale della Lega
Araba, da cui ci si aspetta un rilancio di un piano di pace israelo-palestinese.
Alla vigilia del summit, il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha chiesto ai
Paesi arabi un’apertura verso lo Stato ebraico. Ma la Jihad
islamica ha già respinto in anticipo ogni decisione del vertice che possa condurre ad un riconoscimento dello Stato di Israele.
- Ancora braccio di ferro tra
Iran e Gran Bretagna sul caso dei 15 marinai arrestati nel Golfo Persico, i
quali, secondo dati del sistema satellitare GPS,
erano in acque territoriali irachene quando sono stati
catturati da agenti iraniani. Ieri, intanto, il premier britannico, Tony
Blair, ha avvertito il governo di Teheran
che se falliranno i negoziati per il rilascio, si
aprirà una “nuova fase” nei rapporti tra i due Paesi.
- I
Paesi alleati della NATO contano sull'impegno
dell’Italia in Afghanistan. E’ quanto ha detto James Appathurai, portavoce del segretario generale della NATO, dopo la riunione tra il Consiglio Nord-Atlantico
e i direttori politici dei Paesi membri. In Italia, intanto, il Senato ha
approvato il decreto per il rifinanziamento delle missioni
all’estero, tra cui quella in Afghanistan. Il capo dell’esecutivo,
Romano Prodi, e l’Unione parlano
di “svolta politica” ma definiscono “irresponsabili” le decisioni di Forza
Italia, Alleanza Nazionale e Lega di astenersi dal voto. L’opposizione sottolinea,
invece, come la maggioranza non sia autosufficiente al Senato e critica
l’appoggio dato dall’UDC.
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Ripartono le trattative per l’adesione della Turchia all’Unione Europea. I
rappresentanti permanenti dei 27 Stati membri hanno dato
infatti il via libera alla ripresa dei negoziati. Domani, sarà aperto il
secondo capitolo delle trattative che riguarda le imprese e la politica
industriale. A Bruxelles, intanto, tre italiani - due funzionari e un
eurodeputato - sono stati arrestati a Bruxelles nel quadro di un’inchiesta per
corruzione nelle istituzioni comunitarie.
- Anche il Gruppo di contatto
per il Kosovo, formato da Stati Uniti, Germania,
Francia, Italia, Gran Bretagna e Russia, discute in queste ore del piano
elaborato dall’inviato dell’ONU, Martti Ahtisaari, in vista del dibattito al Palazzo di Vetro di
New York, a partire dal 3 aprile. Il documento - presentato nei giorni scorsi al Consiglio di sicurezza dal segretario generale delle
Nazioni Unite, Ban Ki Moon - prevede una sostanziale indipendenza del Kosovo dalla Serbia, ma sotto il controllo della comunità
internazionale. Ce ne parla Roberto Morozzo della
Rocca, docente di Storia contemporanea all’Università
Roma Tre ed esperto di questioni balcaniche,
intervistato da Giada Aquilino:
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R. - E’ la soluzione forse
più semplice, più comoda, più ovvia. In Kosovo, il 90
per cento degli abitanti è albanese e - non da oggi - gli albanesi reclamano
l’indipendenza. Non è detto che questo piano venga poi
approvato, perché al Consiglio di sicurezza ONU potrebbe esserci il veto della
Russia. E’ più facile immaginare che cosa possa significare una decisione di
indipendenza per il Kosovo nel quadro dei Balcani: i serbi non accettano questa decisione che
penalizza la loro presenza in Kosovo. Se il Kosovo diventerà indipendente, è probabile che a poco a
poco la presenza serba in quella zona svanirà. D’altra parte, gli albanesi a
parole possono dare delle garanzie, ma di fatto chi
conosce il Kosovo sa purtroppo che lì chi comanda dei
due popoli poi penalizza l’altro.
D. - L’annosa questione
etnica tra serbi e albanesi come potrà evolversi?
R. - Credo che l’indipendenza
significhi per gli albanesi realizzare lo Stato-Nazione: già si è dimostrato
negli anni scorsi che questo significa un Kosovo a
tinte sempre più albanesi. Quando l’Unione Europea parla di "soluzione Ahtisaari", intesa nel senso di soluzione multietnica garantita, è un discorso retorico perché si
presuppongono buoni rapporti tra maggioranza e minoranza, ma in questo caso non
sono tali. Probabilmente, né il Kosovo albanese né il
Kosovo serbo possono garantire tale soluzione multietnica.
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- In
Spagna, una tavola rotonda tra il premier Zapatero e
cento cittadini è stata l’occasione per toccare vari temi, tra i quali
terrorismo, immigrazione ed economia. Ma si è parlato anche di questioni legate
alla vita quotidiana. Ce ne parla Ignacio Arregui:
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Una semplice battuta è
bastata per rendere popolare oggi l’abitante di una piccola città della Navarra che ieri, facendo parte di un campione di cento
persone rappresentative della popolazione spagnola, ha interpellato il
presidente del governo con questa domanda: “Ma Lei, sa quanto costa un caffè al
bar?”. Il presidente Zapatero, forse un po’
imbarazzato, risponde: “Certo, ottanta centesimi”. Immediata la replica del
cittadino: “Macché. Questo era ai tempi del nonno Francesco” (vale a dire
Franco). Lo studio televisivo dove ha avuto luogo il dibattito imitava
l’architettura classica di un parlamento, in forma di emiciclo. Lungo due ore
di colloquio, sono state formulate 42 domande sulle questioni che preoccupano
il cittadino medio: dal terrorismo al prezzo della barbabietola o delle abitazioni,
passando per gli abusi sessuali ai minorenni o la negazione del voto elettorale
agli immigrati extracomunitari. Qualcuno ha perfino formulato qualche dubbio
sulla validità oggi dell'istituzione monarchica. E non è mancata una critica ai
politici per l’aggressività e mancanza di rispetto che caratterizza oggi una
sistematica conflittualità tra il governo e l’opposizione. A metà aprile, sarà
il turno del capo dell’opposizione, Mariano Rajoy,
per un analogo incontro, in diretta televisiva, con altri cento cittadini spagnoli.
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- Nello Sri Lanka l’esercito ha conquistato una delle principali basi
delle Tigri Tamil in una zona orientale del Paese.
L’operazione è stata condotta dopo un attacco kamikaze, compiuto ieri da
ribelli in un campo militare e costato la vita ad almeno 9 persone. Il governo
di Colombo ha ribadito, intanto, la propria disponibilità ad avviare colloqui
con i guerriglieri Tamil per l’applicazione di un cessate-il-fuoco. La situazione
resta comunque critica: negli ultimi 18 mesi, almeno 4 mila persone, tra le
quali moltissimi civili, hanno perso la vita a causa dei combattimenti. Ma come
spiegare la recrudescenza delle violenze nel Paese asiatico? Amedeo Lomonaco
lo ha chiesto ad Emilio Asti, docente di culture orientali ed esperto di
Sri Lanka:
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R. - Il governo dello Sri Lanka non è riuscito a coinvolgere la popolazione civile Tamil in un processo di pace e di ricostruzione. In questo
conflitto si intrecciano poi motivi di diversa natura. Al momento, né il
governo dello Sri Lanka, né i combattenti Tamil appaiono disposti a recedere dalle loro posizioni. La
situazione appare preoccupante: il Paese rischia di precipitare nel pantano di
un conflitto su larga scala, che può preludere ad una frantumazione dell’intero
Paese. Sarebbe auspicabile una ridefinizione della
struttura politica dello Stato srilankese. Finora, il
governo non è riuscito a garantire un’effettiva autonomia alla popolazione Tamil. I combattenti Tamil,
invece, insistono per un’autonomia sempre maggiore.
D. - La Caritas ha
denunciato, poi, che l’escalation delle violenze può innescare purtroppo una
grave emergenza umanitaria. Qual è adesso la situazione?
R. - Il prezzo del conflitto,
in termini di vite umane e sviluppo economico, è molto alto. Si tratta di una
zona che era stata già devastata da un lungo
conflitto, una zona nella quale si registrava quasi un milione di dispersi.
Inoltre, dobbiamo considerare anche la mancanza di infrastrutture e
l’incapacità del governo di assicurare un minimo aiuto umanitario alla
popolazione. Le forze governative non si fanno inoltre scrupolo ad usare mezzi
pesanti contro i combattenti Tamil e la popolazione
civile paga un prezzo molto alto.
D. - A questo punto, è
auspicabile un intervento della comunità internazionale, e quali
caratteristiche dovrebbe avere questo intervento?
R. - A mio avviso, la Chiesa
cattolica che annovera fedeli sia tra i Tamil che fra
i cingalesi, può continuare a svolgere un ruolo importante come ha fatto in
passato. Anche diverse organizzazioni non governative
possono svolgere un’azione in questo senso. Sarebbe importante la convocazione
di una conferenza di pace sotto gli auspici delle Nazioni Unite, affinché le
parti in lotta possano intraprendere un dialogo e definire le loro posizioni e
le loro richieste. Occorre l’intervento di una forza che possa
agire come mediatrice tra le parti in conflitto però, purtroppo, le divisioni
tra i gruppi Tamil contribuiscono a complicare la
situazione.
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Nelle Filippine, è finito dopo otto ore un drammatico
tentativo di sequestro da parte di un direttore d’asilo. L’uomo ha sequestrato
stamani una trentina di bambini del suo stesso istituto a bordo di uno
scuolabus, nei pressi del municipio di Manila. Poi si è arreso, come aveva
promesso e concordato con la polizia. Il sequestratore aveva chiesto una
migliore istruzione ed alloggi gratuiti per i suoi alunni, che provengono da un
quartiere disagiato della capitale filippina.
Oltre 70 morti in Nigeria per l’esplosione di
un’autocisterna che trasportava benzina. Le vittime si erano ammassate intorno
al mezzo per tentare di rubare il combustibile che fuoriusciva da alcune falle
dopo un incidente. Improvviso il rogo e la conseguente tragedia.