RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 79
- Testo della trasmissione di martedì 20
marzo 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Germania:
a Colonia una mostra biografica dedicata a Benedetto XVI
Impiccato
l’ex vice presidente iracheno, Yassin Ramadan
Il Papa e la Santa Sede
Il dovere del sacerdote: riscoprire la ricchezza e
l’“arte”
delle celebrazioni liturgiche. Un commento alla "Sacramentum Caritatis"
“Sobrietà dei segni” e “semplicità dei
gesti”. E’ principalmente in questo che sta la bellezza della liturgia
eucaristica, secondo Benedetto XVI. Ad una rinnovata cura delle celebrazioni -
e all’inopportunità di scelte che non ne rispettano la natura sacramentale - il
Papa ha dedicato ampio spazio nel suo ultimo documento magisteriale,
l’Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis. Vasta eco
hanno suscitato gli auspici del Pontefice per un rilancio della lingua latina,
in determinate circostanze della vita ecclesiale. Ma l’Esortazione apostolica
si sofferma su tutti gli aspetti basilari di quella che da sempre viene chiamata “ars celebrandi”. Alessandro
De Carolis ne ha parlato con il preside del
Pontificio Istituto Liturgico Sant’Anselmo di Roma,
il padre benedettino Juan Javier
Flores Arcas:
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R. – La seconda parte dell’Esortazione del
Santo Padre è intitolata proprio “Eucaristia, mistero da celebrare”. In essa si parla ampiamente dell’“ars celebrandi”
e parlando dell’“ars celebrandi” il Santo Padre vuole
innanzitutto favorire il senso del sacro nella liturgia, anche l’utilizzo di
quelle forme esteriori che educano il popolo di Dio a tale senso del sacro. Il
Santo Padre mette in rapporto l’“ars celebrandi” con
le norme liturgiche, dicendo che questa arte di celebrare scaturisce
dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza.
D. – Per riscoprire questa arte del
celebrare, Benedetto XVI ha anche invitato a riscoprire l’uso della lingua
latina nella liturgia, in particolare – ha detto il Papa – in alcune
circostanze. Questo suo invito ha suscitato commenti di vario segno, anche
negativi. Volevo chiederle: qual è la lettura corretta da dare a questa indicazione?
R. – L’Esortazione apostolica va letta per
intero, altrimenti non si capisce. Il Papa afferma che in momenti straordinari
e speciali – lui parla di incontri internazionali sempre più frequenti – è bene
che si adoperi la lingua latina. Ma se leggiamo bene il numero 62, dice
precisamente: “Per esprimere meglio l’unità e l’universalità della Chiesa,
vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei vescovi”. Invece, ribadisce
che le letture, l’omelia e la preghiera dei fedeli, le altre parti, quindi, la
Liturgia della Parola si facciano nelle lingue
internazionali o nella lingua nazionale dell’incontro. Quindi va letto, tutto
questo, nel suo contesto.
D. – Quali tipi di problemi riscontrate,
che oggi abbia la liturgia nel modo in cui viene
celebrata?
R. – Senz’altro, il Papa – ripetendo quanto
è stato detto al Sinodo dei vescovi – fa diversi accenni a diversi abusi, che
normalmente non vengono elencati nell’Esortazione
apostolica. Si rimedia agli abusi con una buona conoscenza e con un aspetto che
il Papa ribadisce spesso, cioè con il “sensus fidei”, il senso ecclesiale: la liturgia è liturgia della
Chiesa, non una cosa qualsiasi con la quale si possa fare quel che si vuole. E
questo viene fortemente evidenziato nell’Esortazione
apostolica.
D. – Quindi, è in questo senso che va letto
l’annuncio di un Compendio eucaristico che il Papa fa alla fine
dell’Esortazione?
R. – Infatti, è un suggerimento che era stato fatto anche al Sinodo: il Compendio è un invito,
anche se pubblicato da diversi dicasteri, a riprendere tanti elementi dispersi
qua e là, che possono contribuire senz’altro ad una migliore conoscenza. E il
Papa termina chiedendo una buona comprensione, una migliore celebrazione e
adorazione del Sacramento per una buona vita eucaristica e per l’evangelizzazione.
Ecco, questa è la conclusione dell’Esortazione.
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Nomine
In Croazia, Benedetto XVI ha nominato vescovo
di Varaždin, mons. Josip Mrzljak, finora vescovo titolare di Caltadria
ed ausiliare dell’arcidiocesi di Zagabria. Mons. Josip Mrzljak è nato a Vukovar il 19 gennaio 1944.
E' stato ordinato sacerdote il 16 novembre 1969 e consacrato vescovo il
6 febbraio 1999. È presidente della Caritas della Conferenza Episcopale Croata.
Comunicato finale dell'incontro a
Gerusalemme della Commissione
bilaterale Santa
Sede-Gran Rabbinato d'Israele sulla libertà di
religione
Evitare “l’uso improprio della religione”
ed “educare al rispetto della diversità”, perché su queste basi si costruisce
stabilmente la pace. Sullo sfondo di questo assunto, si sono incontrati dall'11 al 13 marzo scorsi a Gerusalemme le delegazioni
della Commissione della Santa Sede per i Rapporti con l’ebraismo e del Gran Rabbinato di Israele. L’argomento dei colloqui verteva
sulla libertà di religione e i suoi limiti. “L’idea del relativismo morale è
antitetica alla visione religiosa del mondo e propone una seria minaccia per
l’umanità”, si legge in un passaggio del comunicato finale. “Mentre per
principio lo Stato non dovrebbe mai limitare la libertà di religione degli
individui e delle comunità, né della coscienza morale”, esso d’altra parte -
prosegue il comunicato - ha la responsabilità di garantire il benessere e la
sicurezza della società”. Ed “è obbligato di conseguenza a intervenire laddove
ed ogni volta che una minaccia sia posta attraverso la promozione,
l'insegnamento o l'esercizio della violenza, in particolare del terrorismo e
della manipolazione psicologica compiuta in nome della religione”. Per “una società con un’identità religiosa predominante” è
dunque “legittimo” conservarne il carattere, purchè
questo - afferma ancora il documento - “non limiti la libertà delle minoranze e
degli individui di professare il loro diverso impegno religioso, né limiti
l’integrità dei loro diritti civili e lo status di cittadini, individui e comunità”.
Ciò, conclude il comunicato, “obbliga tutti a salvaguardare l'integrità e la dignità
dei luoghi santi, dei siti di culto e dei cimiteri di tutte le comunità
religiose”.
I media hanno l’obbligo di riportare la verità: così, l’arcivescovo Foley,
intervenuto ieri ad un incontro a Messina sul tema
“Informazione e tutela
dei diritti dei minori”
I giovani hanno il diritto di chiedere ai media di riportare la verità, rispettando la dignità di
ogni essere umano: è quanto affermato dall’arcivescovo John
P. Foley, presidente del Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali, che ieri ha preso parte ad un convegno a Messina su
“Informazione e tutela dei diritti dei minori”. Il presule ha ricordato che
l’ultimo messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è stato
dedicato dal Papa proprio ai giovani. Benedetto XVI, ha detto mons. Foley, sa che i media possono
aiutare i ragazzi a realizzare ideali e speranze, “a patto che vengano usati
bene”. Tuttavia, ha avvertito, molti contenuti dei mezzi di comunicazione
“possono contribuire alla corruzione piuttosto che ad un sano sviluppo”. Per
questo, è stata l’esortazione del capodicastero, i
giovani devono “diventare utenti informati e competenti dei
media”, ed “anche collaboratori”. I giovani, ha detto ancora, hanno il
diritto di “chiedere ai media quello che serve per
proteggere il bene comune: il diritto di chiedere giustizia, di contrastare la
violenza” e di “condannare la corruzione”. Il Santo Padre, ha concluso
l’arcivescovo Foley, “ha chiesto ai comunicatori ed
ai giovani di essere positivi, di non limitarsi alle lamentele, ma di
contribuire alla trasformazione della società, facendo conoscere la buona
novella di Gesù” nel mondo. (A cura di Alessandro
Gisotti)
Dal 28 marzo al 1° aprile il IX
Forum internazionale dei giovani
a Rocca di Papa sul tema dell’evangelizzazione del
mondo del lavoro
“Testimoniare Cristo nel mondo del lavoro”
è il tema scelto dal Pontificio Consiglio per i Laici per il IX
Forum internazionale dei giovani che si
terrà dal 28 marzo al 1° aprile, Domenica delle Palme, a Rocca di Papa (Roma):
sono attesi circa 300 partecipanti, giovani dai 20 ai 35 anni concretamente
impegnati nella Chiesa e nel mondo del lavoro, provenienti da un centinaio di
Paesi e da differenti esperienze
lavorative ed ecclesiali, oltre a una trentina di ospiti – relatori, testimoni,
partecipanti alle tavole rotonde – anch’essi provenienti da varie realtà di
tutto il mondo. Con l’aiuto di questi
ospiti, in quattro giorni di lavoro, si cercherà di indagare il rapporto tra
giovani e mondo del lavoro, mettendo in luce le rapide trasformazioni che
segnano l’era della globalizzazione, le problematiche
e le sfide presenti, analizzando poi nello specifico la dimensione umana del
lavoro e il suo significato nella vita dei giovani, per affrontare infine il
tema dell’annuncio di Cristo e della testimonianza evangelica nei luoghi di
lavoro. Si affronteranno tematiche come la mobilità, la precarietà e la
disoccupazione, le frustrazioni e le rivendicazioni dei quartieri poveri in
tutto il mondo – senza però trascurare le potenzialità, le capacità creative e
innovative, l’emergere di nuove figure professionali. I tempi di lavoro, di
incontro e di svago si alterneranno a tempi di preghiera e di celebrazione, al
cui culmine si pone l’incontro con Benedetto XVI e la celebrazione della XXII
Giornata mondiale della gioventù, domenica 1° aprile, sul tema “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34), importante tappa sul cammino verso Sydney.
Al via, stamani in Vaticano, la VII Assemblea
plenaria
del Pontificio Consiglio per la Pastorale della
Salute.
Con noi, il cardinale Javier
Lozano Barragán
Si è aperta stamani, nella Domus Sanctae Marthae in Vaticano, la VII Assemblea plenaria del
Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. La riflessione è incentrata
sull’impegno pastorale del dicastero nelle tre aree della Parola, della
Santificazione e della Comunione. L’assise servirà
inoltre ad una valutazione del lavoro svolto e alla pianificazione delle
iniziative future. Sul programma dei lavori della plenaria, Giovanni
Peduto ha intervistato il cardinale Javier Lozano Barragán, presidente del Pontificio Consiglio per la
Pastorale della Salute:
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R. – Esamineremo 53 programmi con gli
obiettivi specifici che il nostro Pontificio Consiglio ha stabilito cinque anni
fa. In ciascun programma si descrivono una serie di azioni da compiere. Per
ogni programma dobbiamo calcolare tra le cinque e le dieci azioni, prima di
poter constatare se siamo stati capaci di adempiere al
compito che ci è stato affidato da Giovanni Paolo II e che Benedetto XVI ci ha
confermato. Una volta terminata questa valutazione, ci avviamo alla pianificazione
ulteriore dei prossimi cinque anni a partire dal 2007 fino al 2012 al fine di poter
poi globalmente programmare l’attività del Consiglio tanto per gli obiettivi
generali quanto per quelli specifici, come anche i programmi futuri. Riguardo
alla valutazione, ci siamo riuniti per analizzare ogni situazione. Poi abbiamo
fatto una statistica, numerando i programmi progressivamente: sul totale dei
programmi – ringraziando Iddio – ne abbiamo completati con successo il 93 per
cento. L’altro momento del nostro Incontro è studiare tutti insieme l’obiettivo
generale per i prossimi cinque anni, quindi gli obiettivi specifici secondo i
tre ministeri della Chiesa, cioè la Parola, la Santificazione e la Comunione.
Tutto questo lo presenteremo al Santo Padre, perché questa programmazione ha
valore soltanto in quanto il Papa la faccia propria. Dobbiamo ricordare,
infatti, che noi siamo gli esecutori di quello che il Papa ci indica di fare.
La nostra azione è un po’ il prolungamento della persona morale del Santo Padre
nel suo primato nella Chiesa, nella pastorale della salute con tre compiti ben
definiti: orientare, nel nome del Santo Padre, la pastorale della salute nel
mondo; coordinare correttamente la pastorale della salute nel mondo e nella
Chiesa cattolica, e poi promuovere questa azione. Questo è il nostro compito.
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La Chiesa promuove l'autentico sviluppo
scientifico:
così, ai nostri microfoni, il direttore della Specola
Vaticana,
padre José Gabriel Funes
Mancano quasi due anni, ma la comunità
scientifica si sta già preparando al grande appuntamento del 2009, l'Anno
internazionale dell'Astronomia. Tra gli scienziati che attendono con
particolare trepidazione questo evento, ci sono i padri Gesuiti della Specola
Vaticana, lo storico Osservatorio astronomico direttamente dipendente dalla
Santa Sede. Una storia, quella dell'ente di ricerca scientifica, che nasce
ufficialmente con Leone XIII, come ricorda, in questa intervista di Tracey McClure, il
direttore della Specola Vaticana padre José
Gabriel Funes:
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R. – E’ stato Papa Leone XIII che ha
“creato” la Specola Vaticana: “creato” per modo di
dire, perché in Vaticano già esisteva una “Specola”, ed era situata in quella
che oggi si chiama la “Torre dei Venti”. In essa si
facevano delle osservazioni meteorologiche. Ancora prima, poi, ricordiamo Papa
Gregorio XIII e la sua riforma del calendario, per la quale egli istituì una speciale
commissione della quale faceva parte anche un famoso gesuita, il padre Clavio. Si può far risalire a quella data l’interesse
ufficiale della Chiesa per l’astronomia. Nel 1891 iniziò un periodo difficile
per i rapporti fra scienza e Chiesa, o meglio, tra uomini di scienza e uomini
di Chiesa. Papa Leone XIII era molto interessato a dimostrare che la Chiesa non
è contro la scienza, la scienza “buona”, anzi, che la stima e la promuove.
E così è nata la Specola Vaticana. Poi, con Pio XI, nel 1935 l’Osservatorio si
trasferì dal Vaticano a Castel Gandolfo,
dove è la sua sede tuttora. Per comprendere il motivo
di questo spostamento è necessario ricordare che gli astronomi hanno bisogno di
cieli bui e già negli anni ’30 Roma non offriva più questa possibilità: per
questo l’Osservatorio si è trasferito a Castel Gandolfo, per poter continuare a fare ricerche
astronomiche. In quel periodo sono arrivati alla Specola i Gesuiti: il primo
direttore gesuita è stato nominato nel 1906.
D. – C’è stato un motivo particolare per la
scelta dei Gesuiti?
R. – In quel periodo, stiamo parlando
dell’inizio del XX secolo, l’Osservatorio del Vaticano era in difficoltà. Il
direttore dell’epoca, Alfonso Rodriguez, non era un
uomo con una formazione specialistica astronomica, ma in quel periodo la Specola
Vaticana partecipava a un grande progetto internazionale che si chiamava “Carte
du ciel” – “Carta del
cielo”: ancora oggi nei Giardini delle Ville Pontificie c’è il telescopio
utilizzato all’epoca per questo progetto, che è di grande valore storico.
Alfonso Rodriguez non era in grado di portare avanti
questo progetto. Il modo migliore per riportare la Specola Vaticana al
prestigio che aveva, era quindi di rivolgersi a uomini formati nel campo
dell’astronomia. E i Gesuiti sembravano i religiosi più adatti per compiere
questa missione. Ecco come i Gesuiti sono arrivati alla Specola Vaticana, che a
tutt’oggi è affidata alla Compagnia di Gesù. Tornando
al problema dei cieli, che per le ricerche astronomiche devono essere bui,
negli anni ’80 ai Gesuiti si è riproposta la stessa difficoltà anche a Castel Gandolfo. Per continuare
nelle loro ricerche, hanno dovuto trasferire il telescopio nell’Arizona, un
luogo ideale per la ricerca astronomica grazie alle condizioni generali: le
montagne, il cielo buio ... Così, dagli anni ’80, c’è
un gruppo di ricerca della Specola a Tucson, in
Arizona. Nello stesso tempo a Castel Gandolfo si è mantenuto l’uso degli uffici per organizzare
corsi e convegni scientifici. Questo, per contro, crea a volte intralcio alla
gestione del Palazzo pontificio, perché talvolta le nostre attività possono
interferire – ad esempio – con l’organizzazione delle visite delle varie
personalità o degli ambasciatori, anche se noi abbiamo cercato di organizzare i corsi e tutte le nostre attività di modo che l’attività
del Santo Padre non ne risentisse. Ma le esigenze dei collaboratori del Santo
Padre e le ragioni di sicurezza e privacy hanno indotto a valutare che la cosa
più utile fosse trasferire la Specola Vaticana in un altro luogo, sempre
all’interno delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo. Il telescopio che si trova sul Palazzo rimarrà
sempre in uso alla Specola, ma l’organizzazione dei corsi e dei convegni si
farà nella nuova sede nei giardini. Questo è per noi una sfida, perché dovremo
pensare ad un Osservatorio per i prossimi 10, 20 anni; inoltre, questo
“trasloco” della Specola ci dà l’opportunità di riflettere sul nostro lavoro.
Sicuramente avremo l’appoggio della Santa Sede per continuare a fare un buon
lavoro in Vaticano.
D. – Quanti sono i Gesuiti coinvolti
nell’attività dell’Osservatorio?
R. – Lo staff dei Gesuiti comprende 12
persone, di cui circa 5 a Castel Gandolfo.
In estate, poi, abbiamo la visita per alcuni mesi dei Gesuiti che lavorano
negli Stati Uniti, a Tucson: essi approfittano di
questo periodo a Castel Gandolfo
per analizzare i dati raccolti in Arizona, per discutere ed analizzare con i
colleghi questi dati e scrivere gli articoli che vengono
poi pubblicati nelle riviste specializzate.
D. – Questo, immagino è un momento di
grande attività verso il 2009, quando in tutto il mondo si celebrerà l’Anno
dell’Astronomia ...
R. – Sì, sì.
D. – E come si sta preparando per questo
grande evento?
R. – Questa celebrazione è una grande
opportunità, non solo per la Chiesa e il Vaticano, ma per l’umanità tutta, per
guardare all’astronomia. Quando faccio delle conferenze, mi piace citare Dante,
la Divina Commedia, l’ultimo Canto dell’Inferno, quando Dante dice: “Uscimmo a
riveder le stelle”. Io credo che questa sia la missione dell’astronomia. Ed è
la nostra missione anche all’Osservatorio vaticano, alla Specola Vaticana: per
un momento, mettere l’umanità di fronte a qualcosa di più grande; uscire dall’Inferno
che noi stessi ci siamo creati, l’inferno delle guerre, della sofferenza, della
povertà, dei tanti guai che ci siamo creati noi, uomini e donne. Credo che
l’astronomia faccia questo: metterci di fronte alla nostra vita limitata. E’
quello che ha fatto Galileo. Galileo, 400 anni fa, ha fatto quello che si
celebrerà nel 2009: per la prima volta vicino alla Basilica di Sant’Antonio, a Padova, ha puntato il telescopio e ha
osservato i satelliti di Giove. Questo – ripeto – è importante non solo per la
storia dell’astronomia, ma anche per la storia dell’umanità. Ci siamo aperti
all’Universo ed abbiamo potuto così vedere più in dettaglio le meraviglie della
Creazione.
D. – Ci sono quindi prospettive di
cooperazione fra Chiesa e la scienza per il futuro?
R. – La storia dei rapporti fra la Chiesa e
la scienza non è stata sempre facile. Basti pensare a Galileo. Non è facile: ci
sono tensioni, e ci saranno sempre tensioni tra scienza e religione, tra Chiesa
e scienza, ma noi non dobbiamo avere paura dei conflitti, perché la scienza e
la conoscenza che ci viene dalla scienza, e la conoscenza che ci viene dalla
fede non sono in contraddizione. Ci sono situazioni in cui
può sembrare che siano in contraddizione: allora dobbiamo ricordare quello che
dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: “La verità vi farà liberi”. Se noi
cerchiamo la verità con onestà, questo ci rende liberi e quindi non dobbiamo avere
paura. La Chiesa non ha paura della scienza e dello sviluppo scientifico,
perché la “buona” scienza ci aiuta a migliorare la nostra vita.
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L’Europa unita,
un’idea cristiana.
I Pontefici e il cammino dell’Unione
Europea,
nel 50.mo anniversario della firma del Trattato di Roma
Nella settimana in cui si celebra il 50.mo anniversario dei Trattati di
Roma, ripercorriamo, seppur per sommi capi, il magistero europeistico dei Pontefici,
da Pio XII a Benedetto XVI. Un percorso che evidenzia la cura attenta e
appassionata che i Papi hanno sempre avuto per la costruzione della casa comune
europea. Un edificio che ha, nel suo patrimonio cristiano di valori, solide
fondamenta. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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(Inno alla gioia)
“Nulla è perduto con la pace. Tutto può
esserlo con la guerra”: è il 24 agosto del 1939 quando
Pio XII pronuncia questo accorato appello. Spirano venti di guerra sul
Vecchio Continente, Papa Pacelli si rivolge a tutta
l’umanità, ma è soprattutto al cuore degli europei che chiede ascolto. Il
Pontefice fa appello “alla forza della ragione”, all’anima dell’Europa, “che fu
opera della fede e del genio cristiano”. La drammatica esperienza della Seconda
Guerra Mondiale segna profondamente la visione di Papa Pacelli
sull’unificazione europea. Un traguardo che incoraggerà con entusiasmo e per il
quale chiederà l’impegno dei cristiani, chiamati ad essere protagonisti della
costruzione di una nuova Europa. Ecco il suo appello nel radiomessaggio per il
Natale del 1953:
“Noi esortiamo altresì gli uomini politici
cristiani all’azione nell’interno dei loro Paesi. Se l’ordine non regna nella
vita interna dei popoli è vano attendere l’unione dell’Europa e la sicurezza di
pace nel mondo”.
Pio XII mostra interesse per la scelta
federalista, tanto da scrivere nel 1948 che “tutto un complesso di ragioni”
invita “le nazioni europee a unirsi realmente in una federazione”. Papa Pacelli accompagna e incoraggia i primi passi del processo
economico e politico che porterà alla Comunità Europea. Tuttavia, non manca di
sottolineare che questo percorso non deve fondarsi sul materialismo. Nel 1957,
anno della firma del Trattato di Roma, Pio XII ribadisce che l’avvenimento
cristiano già fermento per l’Europa è ancora oggi “il messaggio più prezioso
dei valori di cui essa è depositaria”.
Di taglio spiccatamente pastorale sono gli
interventi di Giovanni XXIII, che si pone in continuità con il Magistero
del suo predecessore sulle istituzioni europee. Negli anni difficili in cui viene costruito il Muro di Berlino e si sfiora un conflitto
nucleare con la crisi di Cuba, Papa Roncalli afferma
con vigore di non essere d’accordo con chi ritiene impossibile la pace.
L’Enciclica Pacem in terris,
pubblicata nel 1963, richiama il valore assoluto della persona umana e
l’irragionevolezza della guerra. Nell’Europa divisa dalla Cortina di Ferro,
Giovanni XXIII invita i fedeli a superare le dolorose divisioni del passato e
del presente. E chiede all’Europa di non isolarsi, ma piuttosto di essere
solidale verso i popoli degli altri continenti. L’afflato europeo di Papa Roncalli si coglie anche nel suo convinto impegno per
l’ecumenismo. Forte della sua esperienza di Visitatore e Delegato Apostolico in
Bulgaria, Turchia e Grecia e poi di Patriarca di Venezia, Papa Roncalli cercò sempre nel rapporto con le Chiese orientali
di trovare “ciò che unisce più di quello che separa e suscita contrasti”. Se,
dunque, Pio XII pone l’accento sul cristianesimo quale forza trainante per
l’unificazione europea, Giovanni XXIII indica i principi della comune
convivenza, che nel messaggio cristiano trovano la loro linfa.
Gli insegnamenti europeistici di Pio XII e
Giovanni XXIII sono ripresi e sviluppati da Paolo VI, eletto al soglio
pontificio nel 1963, nel pieno della stagione conciliare. Tra i suoi primi atti
magisteriali, spicca – nel 1964 - la proclamazione di
San Benedetto da Norcia Patrono d’Europa. Papa Montini
vuole così ribadire le radici cristiane di un continente che, con il
trascorrere degli anni, sembra allontanarsi dai principi “distintivi e
vivificanti della sua civiltà”. Ecco le parole di Paolo VI, nell’ottobre 1964,
ai padri benedettini di Montecassino:
“Il fatto è così grande ed importante che
tocca l’esistenza e la consistenza di questa nostra vecchia e sempre vitale
società ma oggi tanto bisognosa di attingere linfa nuova alle radici, donde
trasse il suo vigore ed il suo splendore, le radici cristiane, che S. Benedetto
per tanta parte le diede e del suo spirito alimentò”.
Sono gli anni del boom economico, ma anche
di un consumismo che assurge quasi a stile di vita. Paolo VI non si scoraggia
pur riconoscendo che sono lontani i tempi in cui, sotto Pio XII, la Chiesa
poteva contare su un cattolicesimo di massa o quantomeno maggioritario. Papa Montini, come il suo predecessore, è convinto che
l’unificazione europea sia lo strumento più efficace per garantire al continente pace e sviluppo. Concetti, questi, che
accosta, anzi assimila nella Populorum Progressio. Durante il suo Pontificato, la Santa Sede
coglie dei risultati particolarmente significativi. Grazie alla Ostpolitik promossa da Agostino Casaroli,
allaccia relazioni diplomatiche con i Paesi comunisti e partecipa alla
Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione Europea di Helsinki. Nell’Atto
finale, merito della delegazione vaticana, viene
inserito il principio della libertà religiosa. Paolo VI ripropone la centralità
del messaggio cristiano quale “patrimonio ideale” dell’Europa e chiede al
Vecchio Continente di aprirsi all’Africa in vista di una “collaborazione
disinteressata”.
Il Pontificato di Giovanni Paolo II appare
dirompente per i destini dell’Europa fin dal suo atto di nascita. Il 16 ottobre
del 1978 risulta evidente a tutti la straordinarietà
dell’evento: Successore di Pietro viene eletto un cardinale della cattolica
Polonia, da trent’anni sotto il giogo del regime
comunista. Anche sull’Europa, la sua è una visione profetica. Quando nessuno
crede alla caduta dei muri, Karol Wojtyla guarda già
ad un continente riunificato politicamente e soprattutto spiritualmente.
Un’Europa che possa finalmente tornare a respirare a due polmoni. E’ un
obiettivo che il Papa polacco cerca con coraggio attraverso gesti forti e simbolici:
i viaggi nella sua terra natale, la proclamazione dei Santi
Cirillo e Metodio compatroni d’Europa, e ancora l’appoggio al sindacato Solidarnosc e lo storico incontro con il premier
russo Gorbaciov nel 1989. Proprio l’anno della caduta
del Muro di Berlino appare a Giovanni Paolo II come uno spartiacque, un momento
di svolta per riaffermare l’identità cristiana dell’Europa e puntare alla
riconciliazione tra cattolici e ortodossi. Con entusiasmo, il Pontefice convoca
un Sinodo per l’Europa. La Chiesa deve ora affrontare nuove sfide: crollato il comunismo, il materialismo ed il consumismo
minano le fondamenta cristiane dei popoli europei. Il Papa lamenta l’affermarsi
della scristianizzazione. Fenomeno che va contrastato
con una nuova convinta evangelizzazione. D’altro canto, Papa Wojtyla sottolinea
che solo riscoprendo il patrimonio spirituale del Vecchio Continente si possono
sconfiggere quei rigurgiti di nazionalismo, che, come il conflitto nei Balcani dimostra, rappresentano una forza distruttiva con
cui l’Europa deve ancora fare i conti.
Intanto, procede il processo di
integrazione fino all’adozione di una moneta unica. Un passaggio salutato con
soddisfazione dal Papa, che chiede però innanzitutto un’unificazione ancorata
ai valori, paventando lo smarrimento della memoria cristiana:
“La Santa Sede è sempre stata favorevole
alla promozione di un’Europa unita sulla base di quei comuni valori che fanno
parte della sua storia”.
“Non si tagliano le radici da cui si è
nati”, è dunque l’amaro commento di Papa Wojtyla dopo l’approvazione del Preambolo
della Carta Costituzionale continentale, che non menziona le radici cristiane
della civiltà europea. Il Cristianesimo, avverte, ha contribuito alla
formazione della coscienza dei popoli europei, “un dato innegabile che nessuno
storico potrà dimenticare”.
Evento davvero provvidenziale per l’Europa,
ad un Pontefice polacco ne succede uno tedesco. Sin
dalla scelta del nome, Benedetto XVI sottolinea quanto gli stia a cuore il patrimonio spirituale del Vecchio
Continente. Un tesoro da riscoprire e valorizzare di fronte alle spinte della
secolarizzazione, di una laicità che si trasforma in lacismo
e quindi in ideologia protesa a cancellare l’elemento religioso dalla vita
pubblica. La Chiesa, invece, è la convinzione del Papa, ha pieno diritto di
partecipare al dibattito culturale, perché tutto ciò che riguarda l’uomo interessa
naturalmente la Chiesa.
“By
valuing its Christian roots,
Nell’incontro con i parlamentari del
Partito Popolare Europeo, nel marzo 2006, il Papa enumera quei “principi non
negoziabili” – vita, famiglia, educazione – che l’Europa non può violare, pena
lo snaturamento della sua stessa civiltà. Contro “la dittatura del
relativismo”, Benedetto XVI ripropone con forza un rinnovato umanesimo radicato
nell’incontro tra fede e ragione. E’ questo il nucleo del mirabile discorso di Ratisbona, nel quale il Papa ricorda ai popoli europei che
l’Europa nasce proprio da “un incontro tra il messaggio biblico e il pensiero
greco”. Il Cristianesimo nasce in Oriente, ma, spiega Papa Benedetto, trova “la
sua impronta storicamente decisiva in Europa”, perché qui l’habitus mentale
rende più facile l’accoglienza del messaggio evangelico. Come i suoi
predecessori, anche Benedetto XVI sta dando un’impronta ecumenica al suo
Pontificato. Il cammino verso l’unità visibile dei Cristiani è per il Papa uno
strumento efficace per rinnovare la consapevolezza dell’Europa sulle proprie
radici. L’Europa unita, un’idea cristiana.
(musica)
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Oggi su "L'Osservatore
Romano"
Servizio vaticano - In primo piano la
visita di Benedetto XVI all’Istituto penale minorile romano di Casal Del
Marmo.
Servizio estero - Iraq: impiccato l’ex
vice Presidente Taha Yassin
Ramadan, a quattro anni dall’inizio della guerra. Serie di attentati a Kirkuk: 18 morti e 37 feriti (altri sette morti e 15 feriti
in episodi di violenza).
Servizio culturale - Un articolo di Enrico
Vampa dal titolo “Un rapporto dinamico col testo sacro”: il commento di Origene
al Vangelo di Matteo.
Sevizio italiano - In evidenza il tema del
possibile sciopero degli impiegati statali.
Oggi in Primo Piano
Il rettore
del Biblico, padre Pisano, sulla presentazione del libro
“Il Vangelo secondo Giuda”: non confondiamo i
Vangeli con un romanzo
Viene presentato oggi
presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma il libro dal titolo “Il Vangelo
secondo Giuda” di Jeffrey Archer.
Si tratta di un’opera letteraria che, intrecciando testi evangelici e
romanzati, propone una rivisitazione della figura di Giuda Iscariota, come
avvenuto già altre volte: il tradimento di Giuda viene
qui giustificato con la volontà di
costringere Gesù a lanciare una rivolta antiromana. Nel libro, Giuda non muore suicida, ma crocifisso dai romani. Ha collaborato al testo
il padre salesiano Francis Moloney con il desiderio
di rimettere al centro dell'attenzione il Nuovo Testamento: il teologo ha
curato tra l'altro un glossario finale e la sottolineatura differenziata delle
citazioni evangeliche rispetto alla trama letteraria. Ma perché la
presentazione di questo libro presso il Pontificio Istituto Biblico? Sergio Centofanti lo ha chiesto al Rettore, padre Stephen Pisano:
**********
R. - L’Istituto, in quanto istituzione
accademica, non ha niente a che fare con romanzi moderni; l’unico motivo per cui abbiamo accettato di permettere la presentazione, è
la presenza di padre Francis Moloney, uno studioso
del Nuovo Testamento, molto conosciuto e grande esperto. La storia di Giuda è
una storia che ha sollevato domande in tutto il corso della Storia. Noi abbiamo
accettato la richiesta di padre Moloney di presentare
questo libro, affinché egli potesse darci il suo parere su ciò che noi sappiamo
e su ciò che noi non sappiamo di Giuda, dal modo in cui egli è presentato nel
Nuovo Testamento. Io vorrei sottolineare che, permettendo la presentazione di
questo libro, ciò non implica che né l’Istituto Biblico stesso, né il Vaticano,
né il Papa abbiano accettato in alcun modo questo libro. Noi vogliamo
semplicemente fornire un luogo per una discussione accademica su un aspetto del
Nuovo Testamento, e contiamo su padre Moloney per
guidare tali discussioni.
D. – Quali sono i rischi nel presentare
questo libro presso il Pontificio Istituto Biblico?
R. – Noi siamo consapevoli del fatto che
permettendo che questo libro sia presentato qui, c’è il rischio che il nome
dell’Istituto venga utilizzato per la commercializzazione
del libro. Questo è un rischio che dobbiamo prendere. Però, il libro stesso non
sarà disponibile per l’acquisto qui, presso l’Istituto, perché questo aspetto
commerciale non ci riguarda.
D. – Quale allora l’obiettivo del Biblico?
R. – Il nostro interesse è la Bibbia
stessa, e se questa discussione incoraggerà la gente a
leggere la Bibbia, a leggerla con grande cura ed intelligenza e con la
preghiera, forse potremmo dire che la presentazione di questo libro in questa sede
è giustificata.
D. – Quali sono le sue principali
perplessità riguardo a questa opera letteraria?
R. – La cosa che forse trovo un po’
difficile, è il fatto di intrecciare citazioni dal Nuovo Testamento con il
testo, che è un testo romanzato. Questo potrebbe creare una certa confusione
nella gente che non sa cosa viene dalla Bibbia e che cosa viene dall’autore.
Temo soltanto che la gente creda che tutto ciò che viene
scritto qui sia Storia, ma non lo è: è romanzo!
**********
Costernazione nella comunità dei medici per la
circolare di una ASL di Bari che invita a distribuire
la "pillola del giorno dopo"
Fa discutere una circolare emessa dalla ASL
Bari 4: nel documento si raccomanda ai medici di distribuire e prescrivere
gratuitamente la pillola del giorno dopo. "La pillola non interrompe una
gravidanza già iniziata – si legge – e non può essere considerata aborto".
"Non è pensabile – prosegue la nota – poter giustificare la mancata
somministrazione con l’obiezione di coscienza essendo quest’ultima riservata
alla legge 194". Costernazione viene espressa da
numerosi medici e farmacisti, che fanno notare come la circolare non tenga
conto di un importante pronunciamento del Comitato Nazionale di Bioetica. Paolo
Ondarza ha intervistato Donato Dellino, responsabile dell’associazione “Medicina e
Persona” e ginecologo del San Paolo di Bari:
**********
R. – Il Comitato Nazionale di Bioetica si è
pronunciato nel 2004 all’unanimità, dicendo che nessuno può escludere che
esista un’intercezione postfecondazione.
D. – Quindi, nessuno può escludere che la
"pillola del giorno dopo" possa interrompere una gravidanza già
iniziata?
R. – Se mi devo rifare alla circolare che
mi hanno mandato, si dice che siccome la pillola viene
data entro 24 ore dal rapporto, non può esserci stata una gravidanza nel
frattempo. La gravidanza viene dopo. Per cui, siccome la 194 vale per ciò che
accade dopo il concepimento, l’obiezione della 194 non vale, perché la pillola viene data prima. La pillola espleta la sua azione dopo. Vengono dati 750 microgrammi di levonogestrel,
che costituisce il contenuto di 30 pillole: un bombardamento ormonale
incredibile.
D. – Può spiegare meglio come agisce questa
pillola?
R. – Il progestinico
è una sostanza simile al progesterone, cioè la sostanza che viene
prodotta dall’organismo umano per favorire la gravidanza. Una
volta somministrato, fa crescere la parete interna dell’utero per accogliere
una gravidanza. Il progestinico non ha solo questa
azione, può anche impedire l’ovulazione. Nel momento in cui la pillola non viene più somministrata, il livello di ormoni scende,
scendendo il livello nel sangue, la parete interna dell’utero cade. Questo
accade in natura attraverso le mestruazioni. Questa caduta fa in modo che non
si possa più impiantare l’ovulo fecondato. L’ovulo fecondato è un nuovo
organismo appartenente alla specie umana, cioè una vita che è cominciata.
D. – Quindi, chi sostiene che non si tratta
di uno strumento abortivo dà una lettura piuttosto superficiale e parziale…
R. – Sicuramente è una lettura molto
superficiale, che sorprende. Evidentemente le pressioni ideologiche sono tali e
tante da spingere a questo. La difesa della vita non è una prerogativa unica
dei cattolici.
D. – La vostra associazione “Medicina e
persona”, che ricordiamo non è un’associazione cattolica, come pensa di
intervenire?
R. – Noi stiamo cercando di far girare un
documento nel quale mettiamo in evidenza che è un problema di libertà del
medico. Nel momento in cui la direzione sanitaria ci dice di prescrivere
obbligatoriamente, a questo punto non c’è più bisogno del medico. Possono
mettere una dispensa per i profilattici, per la pillola del giorno dopo,
assumendosi loro la responsabilità di dare delle "cannonate ormonali"
di questo genere. Noi vogliamo coinvolgere anche i medici non obiettori di
coscienza, abortisti, che però credono in una posizione di libertà del medico,
rispetto a ciò che dice il politico di turno.
**********
Chiesa e Società
Rilanciare le politiche a sostegno della famiglia:
con questo obiettivo il
Forum delle associazioni familiari
ha dato appuntamento a
Roma il 12 maggio per il Family Day
“Più famiglia. Ciò che è bene per la famiglie è bene per il Paese”: con questo manifesto, il
12 maggio, 41 associazioni e 20 forum si ritroveranno a Roma, a piazza San
Giovanni in Laterano, per promuovere la famiglia ed
esprimere il loro no alla equiparazione al matrimonio di altre forme di convivenza.
Il Forum delle associazioni familiari, network di 35 associazioni che conta 3
milioni e mezzo di famiglie aderenti e che ha promosso l’iniziativa, lo ha reso
noto ieri in un documento approvato e sottoscritto, tra gli altri, da Luigi
Alici (ACI), Andrea Olivero (Acli), Kiko Arguello (Cammino Neocatecumenale), Gino Doveri (Cnal),
Sergio Marini (Coldiretti), Giancarlo Cesana (Comunione e Liberazione), Carlo Casini (Mpv), Salvatore Martinez
(Rinnovamento nello Spirito), Vincenzo Saraceni (Medici Cattolici). Il Forum
sottolinea la necessità di politiche pubbliche di promozione della famiglia e
nel manifesto scrive che anche in Italia la famiglia risente della crisi
dell’Occidente, con una diminuzione dei matrimoni e un declino demografico. “Le
sue difficoltà – si legge nel documento – incidono sul benessere della società,
ma allo stesso tempo essa resta la principale risorsa per il futuro e verso di essa si rivolge il legittimo desiderio di felicità dei più
giovani”. Nel testo si invita il legislatore alla “difesa della famiglia
fondata sul matrimonio” quale “compito primario per la politica ... come
previsto dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione”. E si aggiunge inoltre:
“Chiediamo al Parlamento di attivare – da subito – un progetto organico e incisivo
di politiche sociali in favore della famiglia”. Si auspica poi “che il
legislatore non confonda le istanze delle persone conviventi con le esigenze
specifiche della famiglia fondata sul matrimonio e dei suoi membri”. Tra i
motivi dell’opposizione da parte del Forum delle Famiglie a forme di riconoscimento
delle coppie di fatto, il “Manifesto” afferma che, “poiché ogni legge ha anche
una funzione pedagogica, crea costume e mentalità, siamo convinti che siano
sufficienti libertà contrattuale ed eventuali interventi sul codice civile per
dare una risposta esauriente alle domande poste dalle convivenze non
matrimoniali”. (T.C.)
Germania: a Colonia una mostra biografica dedicata
a Benedetto XVI
L’arcivescovo di Colonia, il cardinale Joachim Meisner, ha fatto
allestire in città una mostra biografica su Benedetto XVI in vista
dell’ottantesimo compleanno del Papa, il 16 aprile. La mostra, intitolata
“Benedetto XVI, il Papa venuto dalla Germania”,
presenta testi, fac-simili, fotografie e documentari sulla vita del 265°
Pontefice. La mostra resterà aperta fino al 29 di marzo. Il cardinale Meisner ha così voluto adempiere alla
promessa fatta ai fedeli nel duomo di Colonia all’indomani della elezione del
cardinale Joseph Ratzinger
sulla cattedra di Pietro. (A.M.)
Le Chiese di Scozia scrivono ai parlamentari per chiedere
che non venga sostituito
il Sistema di Armi Nucleari Tridente
No alla sostituzione del Sistema di Armi
Nucleari Tridente in Scozia: lo sostengono leader ecclesiali cattolici e delle
principali confessioni cristiane che hanno scritto una lettera ai parlamentari.
La missiva, scrive l’agenzia ZENIT, esorta a votare “contro la proposta del Governo quando verrà dibattuta in Parlamento” sottolineando
“la gravità del tema”. “Quest’anno è una meravigliosa opportunità perché i
nostri parlamentari di Westminster finalmente
compiano passi per rispettare gli impegni che questo Paese ha assunto molti
anni fa per disfarsi delle armi nucleari”, avevano scritto in un messaggio per
l’anno 2007 il moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il
reverendo Alan McDonald, e
il presidente della Conferenza dei vescovi cattolici di Scozia, il cardinale Keith Michael Patrick
O’Brien. “Chiediamo che i nostri deputati prendano
posizione a favore dei principi di pace e abbiano il coraggio di rifiutare il
sostegno alla sostituzione del Tridente – si affermava – .
La pace non può avanzare commissionando nuove armi di distruzione di massa”.
Nell’aprile 2006 i vescovi cattolici avevano rivolto un appello per la non
sostituzione del Tridente e anzi per la sua rescissione, perché il denaro
risparmiato venisse investito in programmi di aiuto
allo sviluppo. “Sostituire il Tridente rappresenterebbe un ulteriore annuncio
al mondo che la sicurezza può essere ottenuta solo minacciando di distruzione
di massa – affermava l’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia – questo è
incoraggiare altri a credere la stessa cosa, e quindi incoraggiare la
proliferazione”. Per chiedere di non sostituire il Tridente, l’1° dicembre
dello scorso anno le Chiese di Scozia hanno presentato al Ministero della
Difesa una petizione con 20 mila firme sostenuta da cristiani di molte
denominazioni. (T.C.)
Il vescovo della diocesi di Trincomalee e Batticaloa,
mons. Kingsley
Swampillai, chiede aiuti per i profughi dello Sri Lanka
in fuga per i
combattimenti in corso nella regione
Oltre 150 mila profughi hanno bisogno di
aiuto in Sri Lanka. A lanciare l’appello è il vescovo
della diocesi di Trincomalee e Batticaloa
mons. Joseph Kingsley Swampillai, che chiede soccorsi alla comunità
internazionale e alle organizzazioni umanitarie. Nelle tende, sotto gli alberi
o nelle scuole e parrocchie occupate, dove i profughi hanno trovato rifugio, i
rifornimenti sono sempre più scarsi, riferisce l’agenzia MISNA, cibo e acqua
sono insufficienti e iniziano a comparire le prime malattie per l’affollamento
e i problemi sanitari. Mons. Swampillai,
impegnato al fianco della Caritas ad assistere le persone in fuga dai
combattimenti in corso, a una trentina di chilometri a ovest di Batticaloa, tra forze governative e ribelli delle “Tigri
per la liberazione della patria Tamil” (Ltte), riferisce che la Caritas si sta occupando di 5 degli
89 campi di rifugiati. Questi ultimi accolgono in media 250 famiglie (almeno
1500 persone), fornendo cibo, acqua e medicine, ma i magazzini stanno per
svuotarsi. “Un problema che hanno anche le altre organizzazioni umanitarie,
incluso il Programma alimentare mondiale che fa fatto sapere di avere
disponibilità per poche settimane ancora” aggiunge mons. Swampillai.
“Gli aiuti dal governo arrivano, ma sono molto irregolari – spiega il presule –
a Batticaloa si sentono tutto il giorno risuonare in
lontananza i colpi di mortaio, ma non abbiamo nessuna informazione su eventuali
civili rimasti in quell’area, se hanno bisogno di
soccorsi. Dai media di Stato non si riesce a sapere
nulla – conclude mons. Swampillai – tutte le notizie
sono filtrate, e questa mancanza di informazione rende più difficile
pianificare e organizzare gli aiuti”. (T.C.)
India: i cristiani dell’Andhra Pradesh chiedono una legge che li tuteli. Troppe violenze
nei loro confronti
Una legge per la prevenzione delle violenze
contro le minoranze: a chiederla sono i cristiani di Hyderabad,
capitale dell’Andhra Pradesh,
in India, che denunciano frequenti aggressioni nei loro confronti. Attivisti
indù ed alcuni partiti, intanto, hanno organizzato proteste pubbliche per
bandire ogni loro attività dalla città santa indù di Tirupati.
J.J. Kumar Luke, membro della Chiesa secolare metodista Telugu, scrive l’agenzia Asianews,
ha raccontato che un pastore in Asifnagar è stato
percosso da sedicenti attivisti indù. “Quando è andato a sporgere denuncia – ha
detto – la polizia ha aperto un procedimento contro di lui con l’accusa di
conversione”. Padre Anthony Thumma,
direttore diocesano della Commissione per il Dialogo e l’ecumenismo del
Consiglio episcopale dell’Ap, da Secunderabad
ha spiegato ad AsiaNews che la Federazione cristiana
dell’Andhra Pradesh, dal
2004 chiede una legge per la prevenzione delle violenze contro le minoranze.
Mentre i cristiani chiedono maggior tutela legale, gli attivisti del Sangh Parivar hanno lanciato il 6
marzo la campagna “Salva Tirupati”, con una riunione
di protesta a Mysore (Karnataka),
contro le attività dei missionari cristiani presso il tempio Tirumala Tirupati, nella città di
Tirupati. M.A. Sampath Iyengar, nel presentare
la campagna, ha detto che i missionari cristiani tentano di turbare l’atmosfera
del Sanatana Dharma (in
sanscrito: eterna legge) e ha chiamato gli indù alla battaglia per proteggere
il tempio dal pericolo di “cristianizzazione”. I partecipanti erano attivisti
dei partiti Bharatiya Janata
Party, Viswa Hindu Parishat e Bhajrang Dal. Il
tempio del dio indù Venkateshwara di Tirupati è il primo dei luoghi sacri indù. La protesta
vuole costringere il governo federale e quello dell’Andhra
Pradesh a emanare una legge che proibisca
nella zona qualsiasi attività cristiana. (T.C.)
Il ‘social business’
sottrae i poveri alla miseria e aiuta l’economia:
così Mohammed
Yunus, economista e Premio Nobel per la pace 2006, fondatore
della ‘Grameen Bank’
che concede
microprestiti alle persone più disagiate
Sono circa 7 milioni le persone che in 73
mila villaggi del Bangladesh hanno beneficiato di microprestiti della ‘Grameen Bank’, la prima banca al
mondo a erogare prestiti ai più poveri tra i poveri, fondata nel 1983 da Mohammed Yunus, economista e
Premio Nobel per la pace 2006. Laureatosi all’Università di Chittagong
e poi direttore del dipartimento di Economia, Yunus
ha dato vita alla ‘Banca del villaggio’ dopo aver
avvertito lo stridente contrasto tra il “mondo artificioso delle eleganti
teorie economiche insegnate nel campus universitario” e la “schiacciante
povertà del mondo reale dove centinaia di migliaia di persone morivano di
fame”. È stato poi per le strade del villaggio di Jobra,
scrive l’agenzia MISNA, che il docente ha pensato a microprestiti. Con appena
20 euro Yunus ha aiutato 42 donne strette dalla morsa
degli usurai dopo aver ricevuto dei no dalle banche convenzionali, che “non
aprono le proprie porte ai poveri né tanto meno alle donne”. “Le banche
tradizionali richiedono documenti legali e garanzie di solvibilità – ha spiegato
Mohammed Yunus – noi
offriamo prestiti a chiunque perché i nostri clienti sono esseri umani e questo
ci basta; la ‘Grameen Bank’
non ha una sede e sono i suoi collaboratori a raggiungere i più poveri”. “La
povertà non è creata dai poveri, ma dalle istituzioni; i poveri non sono ‘diversi’, ma esseri umani a cui sono state negate delle
opportunità ed è possibile sottrarli alla miseria semplicemente facendo affari
con loro”, ha aggiunto Yunus che accanto alla ‘Grameen Bank’ ha avviato
un’industria di yogurt nutritivi destinati ai bambini denutriti e una catena di
ospedali per interventi alla cateratta. “Fare ‘business’, fare affari, vuol
dire fare soldi, fare ‘social business’, vuol dire
fare del bene alla gente” ha detto infine Yunus,
ricordando che il Bangladesh è riuscito a raggiungere l’obiettivo del millennio
di dimezzare la povertà. (T.C.)
Il governo cinese conta sulle donazioni caritative per far diminuire
il dislivello economico
e sociale.
Dal ministero degli
Affari civili appello alla solidarietà
Per equilibrare il crescente dislivello
economico e sociale che sta vivendo la Cina si spera
nelle donazioni caritative. Secondo Wang Zhenyao, direttore del Dipartimento disastri ed aiuto
sociale del ministero cinese per gli Affari civili, riferisce l’agenzia Asianews, la campagna “che invita a donare” può far
crescere un senso di benevolenza fra la popolazione, arrivando così a ridurre
le tensioni fra “chi ha” e “chi non ha”. Entro il 2010 si conta di raggiungere
i 50 miliardi di yuan (circa 5 miliardi di euro) per
costruire una “reale società armoniosa”. Per Wang
questi obiettivi si possono raggiungere “solo incoraggiando a donare tutti i
membri della società, non solo i ricchi. In questo modo la società diviene
veramente più armoniosa: 50 miliardi di yuan sono un
obiettivo che spinge alla solidarietà i cuori e questo è molto importante”.
Tuttavia, per far tornare la popolazione ad aver fiducia nei progetti
caritativi il governo deve affrontare diversi problemi: uno fra
tutti, lo scandalo finanziario che ha colpito alcuni anni fa il Progetto
Speranza e l’appropriazione indebita di fondi destinati alla sicurezza sociale
a Shanghai. Wang Zhenyao
dice di “essere consapevole del problema. Quando la gente dona, è soddisfatta
nel vedere che i soldi arrivano a chi ne ha bisogno e non nelle tasche di
ufficiali pubblici corrotti. Come mai ora siamo arrivati a questa situazione?
Perché mancano controlli adeguati che garantiscano la strada del denaro. Ora
questo deve cambiare”. Non cambia però la diffidenza del governo nei confronti
delle Organizzazioni non governative che operano nel Paese. Nonostante questo
invito a donare, infatti, Wang non si è pronunciato
sulla destinazione o sull’uso dei fondi raccolti. Eppure, nel corso
dell’Assemblea nazionale del popolo del 2006, Pechino ha promesso una nuova
regolamentazione, sgravi fiscali e minor controllo alle Organizzazioni non
governative che svolgono attività di volontariato nel Paese. Con oltre 50
milioni di disabili, 300 mila orfani, 150 mila senza fissa dimora, e 100
milioni di anziani, le autorità hanno riconosciuto nel piano economico tracciato
per il 2006 - 2010 di “aver bisogno delle Ong”.
Attualmente queste organizzazioni possono operare in Cina solo se trovano un
Dipartimento del governo che garantisca per loro davanti allo Stato. (T.C.)
- A cura di Amedeo Lomonaco ed Eugenio Laurenzi -
- In Iraq, è stato impiccato l’ex
vicepresidente, Yassin
Ramadan. L’esecuzione è avvenuta poche ore dopo l’intervento da Washington del
presidente statunitense, George Bush.
Esattamente 4 anni dopo l’inizio del conflitto nel Paese del Golfo, il capo
della Casa Bianca ha dichiarato di scorgere “segni di speranza” in Iraq. Ma sul
terreno non si arrestano le violenze. Il nostro servizio:
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Quattro anni
dopo l’inizio delle operazioni angloamericane, il
Paese arabo continua ad essere sconvolto dal dramma degli attentati: a Baghdad
almeno 6 persone sono morte per l’esplosione di due ordigni nei pressi di un
commissariato e in un mercato. Sempre nella capitale, la polizia ha ritrovato
30 cadaveri con evidenti segni di tortura. Fonti governative rivelano,
comunque, che la violenza in città è diminuita. Da oltre un mese, è infatti in corso a Baghdad una massiccia operazione
antiterrorismo alla quale partecipano più di 90 mila soldati americani e iracheni.
All’alba, intanto, è stata eseguita la pena capitale inflitta a Yassin Ramadan, ex vice presidente iracheno condannato a morte
per crimini contro l’umanità. Quella di Ramadan è la quarta esecuzione di un imputato
nel processo a gerarchi del deposto regime, tra cui l’ex presidente Saddam Hussein. Sono poi ore di ansia in Germania per la sorte dei due ostaggi
tedeschi prigionieri in Iraq, per i quali oggi scade l’ultimatum posto dai
rapitori. I sequestratori hanno minacciato di ucciderli se il governo di
Berlino non ritirerà le proprie truppe dall’Afghanistan. Ieri, il cancelliere
tedesco, Angela Merkel, ha dichiarato che la Germania non cederà al ricatto dei rapitori. In
occasione del quarto anniversario della guerra in Iraq, il presidente americano
Bush ha dichiarato infine che un ritiro in tempi
brevi delle forze americane dal Paese arabo avrebbe “conseguenze devastanti”
per la sicurezza degli Stati Uniti. Bush ha anche
nuovamente difeso la politica statunitense in Iraq, ma
sondaggi recenti indicano una opposizione crescente degli americani alla guerra
e una fiducia quasi inesistente, da parte degli iracheni, nella capacità delle
forze americane di fermare le violenze.
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- Dovrebbe rientrare in
serata a Roma Daniale Mastrogiacomo,
il giornalista italiano liberato ieri in Afghanistan dopo due settimane di
prigionia. Il reporter ne ha rivelato diversi, drammatici momenti, tra cui
quello dell’uccisione del suo autista. Il corpo dell’uomo, trucidato lo scorso
16 marzo, è stato consegnato alla famiglia. Non si hanno ancora notizie, invece,
dell’interprete afghano rapito insieme con il giornalista. Nel Paese asiatico,
intanto, è stato arrestato da agenti dei servizi segreti afghani il capo del
personale dell’ospedale di Emergency, figura chiave
nella trattativa per la liberazione di Daniele Mastrogiacomo.
L’ambasciatore italiano a Kabul, Francesco Sequi, ha
detto che si tratta di una normale procedura decisa dagli inquirenti per
sentire una persona informata dei fatti. Ma quale scenario politico si
prefigura adesso in Afghanistan dopo l’evoluzione della vicenda del giornalista
italiano? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto all’inviato speciale del quotidiano “Il Sole
24 Ore”, Alberto Negri, raggiunto telefonicamente
a Kabul:
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R. - Lo scambio di ostaggi è la prima volta
che avviene in Afghanistan coinvolgendo un governo straniero. Lo stesso governo
afghano ma forse anche gli inglesi si rendono conto che ovviamente se va avanti
così, questa guerriglia può durare anni o decenni. Quindi, si dovrà trovare un
modo per arrivare a una soluzione politica. Una parte dei talebani questa
situazione politica non la vuole, perché preferisce una soluzione militare e
ritornare, se possibile, al potere. Una parte, invece, potrebbe essere convinta
a costituire un’ala politica ed è questo su cui stanno lavorando adesso:
cercare di trovare il modo di costituire una rappresentanza presentabile dei
talebani.
D. - Potrebbe avere buon gioco la proposta
della Conferenza internazionale di pace a questo punto?
R. - Questa proposta della Conferenza
internazionale di pace - che naturalmente non può entusiasmare troppo gli Stati
Uniti - viene subito accolta da tutti come un’ancora
di salvataggio: servirebbe in qualche modo a ridefinire compiti e ruoli, in una
situazione dove tutti si rendono conto che non porteranno a casa molto presto i
contingenti militari che hanno inviato, anzi c’è il rischio che debbano invece
intensificare la propria presenza militare con tutto quello che consegue dal
punto di vista dei rischi umani. Quindi, dopo 5 anni è necessario anche cercare
di capire se ci sono vie di uscita alternative, fare un punto anche sulla
ricostruzione dell'Afghanistan che è ricominciata soltanto in parte: e questo
forse è uno degli insuccessi maggiori da scontare. Bisogna quindi cercare di
impegnarsi per dare una svolta vera alla questione afghana.
Poi, intervenire ovviamente sul Pakistan che in qualche modo fa da retrovia
indispensabile a sostegno della guerriglia Talebana.
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- Il presidente del
Parlamento europeo, Hans-Gert Poettering,
è in visita in questi giorni in Italia: ieri, l’incontro con il presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano, e stamani il colloquio con il premier,
Romano Prodi. Ma tra gli appuntamenti del tedesco cattolico Poettering
anche l’incontro con Benedetto XVI. Stamane un briefing
con i giornalisti che ha seguito per noi Fausta
Speranza:
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L’Europa è in una fase decisiva: il presidente Poettering
fa capire chiaramente che non si può festeggiare i 50 anni dei Trattati di Roma
senza guardare al futuro e che il vertice il 25 marzo a Berlino rappresenta un
appuntamento cruciale: ne uscirà una Dichiarazione valida - spiega -
sottolineando che a sottoscriverla sarà non solo il Consiglio europeo ma anche
Commissione e Parlamento europei. Si capisce che davvero quella dichiarazione non sarà solo di
circostanza, ma dovrà gettare le basi per superare la pausa di riflessione
seguita ai "no" alla Costituzione. Renderà chiaro, nero su bianco, le
sfide da affrontare: cambiamenti climatici, terrorismo, dialogo tra culture e
immigrazione. E poi l’obiettivo più importante: ripartire con slancio per avere
una carta che dia più potere politico all’Europa. Da Berlino - sembra chiaro -
verrà lo slancio necessario per avere, nel prossimo vertice il 22 e 23 giugno,
quella che Poettering definisce la road map del processo
costituzionale. Serve unità - sottolinea il presidente dell’Europarlamento -
riconoscendo il ruolo positivo della cancelliera Merkel, presidente di turno dell’Unione Europea, e del
presidente del Consiglio italiano, Prodi. Ma a questo riguardo sottolinea:
"La mia
visita è espressione della mia riconoscenza, per la politica europea, al
governo italiano. l'Italia è un grande esempio per
l'unificazione dell'Europa".
A proposito di
famiglia, che risulta tra le priorità riconosciute nei sondaggi dai cittadini
europei, sollecitato da un giornalista Poettering ha
risposto che, a parte le indicazioni europee, “è tra i compiti nazionali quello
di sostenere la famiglia” con politiche che, a suo avviso, dovrebbero “partire
dall’assicurare alle donne la possibilità di essere madri e di avere
un’attività lavorativa”.
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- Dolore e sconcerto per due tragedie in
Russia: almeno 63 persone sono morte la notte scorsa
per l’incendio in una casa di riposo nella regione di Kuban.
E’ salito inoltre a 106 morti il bilancio, ancora provvisorio,
dell’esplosione avvenuta ieri in una miniera di carbone in Siberia. Il servizio
di Giuseppe D’Amato:
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Disperazione ed incredulità, per l’ennesimo
incidente in miniera. Ma questa volta la tragedia è avvenuta in uno degli
impianti all’occhiello della Russia, aperto soltanto 5 anni fa e dotato delle
migliori strumentazioni possibili, e non nella solita miniera fatiscente
post-sovietica. La corsa contro il tempo per salvare i dispersi non si è
fermata un momento da quando si è registrato lo
scoppio, forse per un crollo in un tunnel. Squadre di soccorso specializzate
sono accorse in Siberia dai quattro angoli della Russia. Nella notte, poi,
un’altra tragedia a Kamyshevatskaya,
cittadina nella parte meridionale del Paese: un ospizio è andato a fuoco per
cause ancora da stabilire, mentre 97 pazienti dormivano. I soccorsi sono
arrivati con un’ora di ritardo: dista 50 chilometri la più vicina stazione dei
pompieri.
Per la Radio Vaticana, Giuseppe D’Amato
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- In Guinea, almeno 65 persone
sono morte ieri quando un camion si è rovesciato.
Altre sette sono rimaste ferite e sono in gravi condizioni di salute. Lo
rendono noto fonti ospedaliere.
- Si aggrava sempre di più la situazione
economica e politica dello Zimbabwe. Il regime del
presidente, Robert Mugabe,
porta avanti una feroce repressione contro qualsiasi forma di opposizione. Il
governo di Harare, irritato dalle critiche della
comunità internazionale, ha minacciato l’espulsione degli ambasciatori sospettati
di simpatizzare per il Movimento per il cambiamento democratico, sostenuto da Morgan Tsvangirai. Per un quadro
della situazione nel Paese, Stefano Leszczynski ha
intervistato Massimo Alberizzi, africanista del Corriere della Sera:
***********
R. - La situazione si deteriora ogni giorno
di più, l'inflazione è del 4.000 per cento. Quella giornaliera è più del 100
per cento. Quindi, la situazione è veramente grave perchè la gente non ha più
soldi e si sta veramente innervosendo e infuriando sempre più.
D. - E’ questo che alimenta l’opposizione
nel Paese?
R. - Sì, questo alimenta l’opposizione ma non solo questo, perchè poi c'è anche la
corruzione. La gente vede la classe dominante dei politici, che sono gli amici,
i familiari di Mugabe, i capi o i seguaci del suo
partito, che invece si arricchisce con la corruzione.
D. - La repressione del regime di Mugabe nei confronti dell'opposizione ha suscitato molto
scandalo in ambito internazionale. Questa oppressione, questi occhi del mondo
sullo Zimbabwe potranno servire a qualcosa?
R. - Spero di sì, anche se dubito. A questo
punto, non resta che vedere se la pressione internazionale potrà riuscire a
isolare Mugabe. E’ l’unico modo, perchè altrimenti
lui non cederà mai il potere.
***********
- Il Parlamento egiziano ha
formalmente approvato ieri sera una serie di emendamenti costituzionali che
comprendono norme più severe per la lotta al terrorismo ma che
l’opposizione e vari gruppi per i diritti umani contestano. La riforma,
passata con 315 voti a favore su 454 deputati, e fortemente voluta dal presidente
egiziano, Hosni Mubarak,
concede ampi poteri discrezionali alla polizia nelle indagini che riguardano
casi di terrorismo. Mubarak assicura che la riforma
rafforzerà sensibilmente la democrazia, mentre varie organizzazioni
internazionali l’hanno criticata. Amnesty International sostiene che gli emendamenti rappresentano
“la maggiore erosione di diritti umani” dalle leggi speciali varate nel 1981
sulla scia dell'assassinio dell’allora presidente, Anwar
Sadat.
- In Indonesia, un responsabile
del Ministero della sanità ha annunciato la morte di una ragazza di 21 anni per
influenza aviaria. Sale così a 66 il numero delle vittime legate alla malattia
su un totale di 86 casi riscontrati nel Paese. La giovane - ha precisato il
direttore generale per il controllo delle malattie infettive presso il
ministero della Sanità, Nyoman Kandun
- è morta ieri in un ospedale di Surabaya, dopo che
la settimana scorsa le era stato confermato il contagio da virus H5N1, il più
letale tra gli agenti patogeni dell’influenza aviaria. In Indonesia, che con
circa 220 milioni di abitanti è il quarto Paese più popoloso del mondo, si è
registrato il più alto numero di vittime di questa malattia tra gli esseri
umani.