RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 77
- Testo della trasmissione di domenica
18 marzo 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
E’ nata a Bologna “Antoniano onlus”, iniziativa per finanziare i progetti di solidarietà
nel mondo
Notizie
contrastanti sulla liberazione del giornalista italiano, Mastrogiacomo,
in mano ai talebani.
Il governo israeliano
approva la proposta del premier di boicottare il nuovo esecutivo palestinese
RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Il
Papa e la Santa Sede
Una vita senza
Dio non funziona, perché priva di luce: così, Benedetto XVI nella Messa
celebrata nel carcere minorile romano di Casal del Marmo
“Abbandonare il peccato e scegliere di tornare a Dio. Facciamo
insieme questo cammino di liberazione interiore”. Così, il Papa durante
l’omelia della Messa celebrata questa mattina nell’Istituto penale per i minori
“Casal del Marmo” di Roma. Nella sua prima visita ad un carcere, Benedetto XVI
ha scelto dunque gli adolescenti, soli, per lo più
stranieri ed emarginati. Ha voluto ascoltarli, pregare
con loro e soprattutto essere testimone dell’amore di Dio, che, ha ricordato, è
“Padre misericordioso e fedele, nonostante gli errori dei figli”. Ad accogliere
il Pontefice c’erano il cardinale Camillo Ruini, vicario generale per la
diocesi di Roma, il vescovo ausiliare Benedetto Tùzia,
l’ispettore generale dei cappellani, mons. Giorgio Caniato,
e padre Gaetano Greco cappellano del carcere. In rappresentanza del governo
italiano, era presente il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Con lui i dirigenti e il personale dell’Istituto,
ma anche i familiari dei ragazzi. La visita del Papa è stata seguita per noi da Gabriella Ceraso:
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(Musica)
“Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed
è stato ritrovato”. Sono state queste parole del Vangelo di Luca il filo
conduttore del “primo contatto con il mondo delle carceri” di Benedetto XVI,
per usare le sue stese parole.
(Canto)
Un clima di attesa colmo di emozione e di sguardi felici e un po’
curiosi accoglie il Papa nella piccola cappella del Padre Misericordioso
all’interno dell’Istituto penale, immerso nel verde di una silenziosa periferia
romana. I ragazzi ci sono tutti, una cinquantina: le loro voci forti, nei canti
preparati a lungo, i loro lineamenti che svelano le loro origini non italiane.
Sono tutti uniti nel momento più importante dell’incontro con il Papa:
“Sono venuto volentieri a farvi visita, e il momento più
importante del nostro incontro è la Santa Messa, nella quale si rinnova il dono
dell’amore di Dio: amore che ci consola e dà pace, specialmente nei momenti
difficili della vita. In questo clima di preghiera vorrei rivolgere il mio
saluto a ciascuno di voi”.
Quell’amore che Cristo
stesso ci insegna, dice il Papa, facendosi presente nella celebrazione
eucaristica. “Ma quanto è difficile amare sul serio”, domanda il Pontefice ai
ragazzi. E per questo a loro si rivolge in modo accorato e familiare per
spiegare la parabola del figliol prodigo, una storia
di famiglia. Un padre e due figli, con alle spalle
“due progetti di vita abbastanza diversi”. “Ambedue”, spiega il Papa, “vivono
in pace” e nel benessere, tuttavia un disagio interiore che si trasformerà in
un vero e proprio percorso, coglie il figlio più piccolo, il più simile forse
ai tanti ragazzi presenti. Ed è su questo che il Papa si sofferma:
“Ma no, la vita è di più, devo trovare un’altra vita in cui io
sono realmente libero, posso fare quanto mi piace, una vita libera da queste
discipline e norme dei comandamenti di Dio, del padre; vorrei essere solo io e
avere la vita tutta totalmente per me con tutte le sue bellezze. Adesso è soltanto
lavoro”.
“E così decide di prendere il suo patrimonio e di avviarsi in un
paese molto lontano” alla ricerca, continua il Papa, di un cambiamento anche
interiore, che crede sia la libertà cioè fare quel si vuole, avere una vita
piena. Nonostante tutto “man mano sente anche qui la noia”, il “vuoto interiore
inquietante”, i soldi finiscono e anche questo diventa una routine che non
soddisfa:
“E così comincia a riflettere se era questa realmente la strada
della vita: libertà interpretata come il fare quanto voglio io, vivere, avere
la vita solo per me e se non sarebbe forse più vita vivere per gli altri,
contribuire alla costruzione del mondo, alla comunità umana...”
E così “comincia un nuovo cammino interiore che lo porta a
riconsiderare tutti questi concetti”, spiega il Papa ai ragazzi. Cammino che
diventa presto anche esteriore. Il giovane, infatti, decide di ripartire con la
sua vita e di ritornare dal padre, che, rispettandone la libertà lo aveva
lasciato andare perché capisse cosa è vivere e cosa è non vivere. Il ritorno a
casa è all’insegna della festa, la vita ricomincia da qui.
“Egli capisce che proprio il lavoro, l’umiltà, la disciplina di
ogni giorno crea la vera festa e la vera libertà”.
Le “tentazioni torneranno”, aggiunge il Papa, ma ormai il giovane
ha capito che “una vita senza Dio non funziona: manca l’essenziale, la luce,
manca il grande senso dell’essere uomo”.
“Capisce che i Comandamenti di Dio non sono ostacoli per la
libertà e per una bella vita, ma sono gli indicatori della strada dove andare
per trovare la vita. Capisce che anche il lavoro, la disciplina, l’impegnarsi
non per sé, ma per gli altri allarga la vita. E proprio questa fatica di
impegnarsi nel lavoro dà profondità alla vita, perché abbiamo alla fine contribuito a fare crescere questo mondo che
diventa più libero e più bello”.
Cosa insegna dunque questo Vangelo. Innanzitutto, spiega Benedetto
XVI, a capire chi è veramente Dio. “Egli è Padre misericordioso che in Gesù ci
ha amato oltre ogni misura, Lui ci accoglie e ci restituisce la dignità di
figli suoi”. “Inoltre questa parabola ci aiuta a capire anche chi è l’uomo”,
immagine di Dio, ma anche “creatura fragile, esposta al male e capace del
bene”. Di qui, l’invito del Papa alla “conversione”, in questo periodo di
Quaresima, conversione che non è solo” sforzo di cambiare i propri
comportamenti”.
“E’ un’opportunità per decidere di “alzarsi e partire”,
abbandonare cioè il peccato e scegliere di tornare a Dio. Facciamo insieme
questo cammino di liberazione interiore”.
Il Papa, dunque, con i giovani per mostrare loro il volto del
Padre misericordioso che perdona, che permette a ciascuno il proprio
rinnovamento. E’ questo il clima che accompagna l’intera celebrazione e che non
cambia nel passaggio al secondo momento forte della visita all’Istituto di
pena. Il Papa raggiunge la palestra e dopo i saluti e i ringraziamenti dei
dirigenti, ascolta i giovani. A ciascuno di loro, che porge doni frutto dei
laboratori di falegnameria, ceramica e pittura, il Papa risponde, e prima di
abbracciarli, rammenta di stare nella gioia anche se
“privi della libertà”. Come farlo, è il segreto che lascia loro:
“Il segreto, dunque, sta qui: occorre che Dio occupi sempre il
primo posto nella nostra vita”.
(Musica)
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La gioia e
l’amore cristiano scaturiscono dall’Eucaristia:
così, il Papa
all’Angelus dedicato alla Sacramentum Caritatis
All’Angelus
in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha ricordato la visita nella mattinata al
carcere minorile di Casal del Marmo, quindi si è soffermato sull’Eucaristia,
“sorgente della gioia cristiana”. Il Papa ha messo l’accento sul legame tra la
sua prima Enciclica, Deus caritas est e l’Esortazione postsinodale Sacramentum
Caritatis, presentata martedì scorso. Poi,
guardando alla solennità liturgica di domani, il Pontefice ha invocato San
Giuseppe, affinché il Popolo di Dio diffonda gioia e
pace in tutta l’umanità. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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Nell’Eucaristia,
che Cristo ci ha lasciato come Cibo spirituale, troviamo “la sorgente della
gioia cristiana”: è la riflessione offerta dal Papa ai fedeli radunati in
Piazza San Pietro per l’Angelus domenicale. Ha poi rammentato che la liturgia
di questa quarta domenica di Quaresima “invita a rallegrarci perché si avvicina
la Pasqua, il giorno della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte”.
Dall’Eucaristia, ha poi ribadito, “scaturisce la gioia cristiana, la gioia
dell’amore”:
"L’Eucaristia
alimenta nei credenti di ogni epoca quella letizia profonda, che fa tutt’uno con l’amore e con la pace, e che ha origine dalla
comunione con Dio e con i fratelli".
Il
Pontefice si è soffermato sull’Esortazione apostolica postsinodale
Sacramentum caritatis,
pubblicata martedì scorso, che ha come tema proprio l’Eucaristia “fonte e
culmine della vita e della missione della Chiesa”. Questo documento, ha detto
il Papa, è “espressione della fede della Chiesa universale nel Mistero
eucaristico e si pone in continuità con il Concilio Vaticano II e il magistero”
di Giovanni Paolo II e Paolo VI. Il Papa ha, quindi, sottolineato il legame tra
l’esortazione postsinodale e la sua prima enciclica
sull’amore cristiano:
"Ecco
perché ho scelto come titolo Sacramentum caritatis, riprendendo una bella definizione
dell’Eucaristia di San Tommaso d’Aquino “Sacramento
della carità”. Sì, nell’Eucaristia Cristo ha voluto donarci il suo amore, che
lo ha spinto ad offrire sulla croce la vita per noi. Nell’ultima Cena, lavando
i piedi ai discepoli, Gesù ci ha lasciato il comandamento dell’amore: 'Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri'".
Ma,
ha avvertito il Pontefice, “poiché questo è possibile solo rimanendo uniti a
Lui, come tralci alla vite, ha scelto di rimanere Egli stesso tra noi
nell’Eucaristia perché noi potessimo rimanere in Lui”. Per questo
motivo, è stata la sua riflessione, quando “ci nutriamo con fede del suo Corpo
e del suo Sangue, il suo amore passa in noi e ci rende capaci a nostra volta di
dare la vita per i fratelli”. “Donna eucaristica” per eccellenza, ha
proseguito, è Maria “capolavoro della grazia divina”. Accanto a Lei, a custodia
del Redentore, ha detto il Papa, “Iddio ha posto san Giuseppe, di cui domani
celebreremo la solennità liturgica”:
"Invoco
particolarmente questo grande Santo, mio patrono, perché credendo, celebrando e
vivendo con fede il Mistero eucaristico, il Popolo di Dio sia pervaso
dall’amore di Cristo e ne diffonda i frutti di gioia e di pace in tutta
l’umanità".
Dopo
la recita dell’Angelus, il Papa ha rivolto un saluto particolare al Comitato di
Collegamento di Cattolici per una Civiltà dell’Amore che, in occasione della
festa di San Giuseppe, rilancia la campagna “Adotta un papà”, in collaborazione
con gli Istituti missionari, a beneficio delle famiglie povere nei Paesi in via
di sviluppo. Infine, ha rivolto un pensiero alla folta rappresentanza
dell’UNITALSI, raccolta in Piazza San Pietro, in occasione della sua sesta
giornata nazionale.
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Di fronte al
peccato, è urgente recuperare la pedagogia della conversione: a ribadirlo è il
reggente della Penitenzieria Apostolica,
mons. Gianfranco Girotti
“Oggi
pare che si sia perso il senso del peccato” ma “abbiamo bisogno tutti di attingere
alla fonte inesauribile dell’amore divino”, che si sperimenta in particolare
nel Sacramento del perdono e della riconciliazione. Così, Benedetto XVI –
venerdì scorso – nell’udienza ai partecipanti al Corso del Foro Interno
organizzato dalla Penitenzieria Apostolica e
conclusosi l’altro ieri. Il Papa invita a riscoprire la confessione anche nella
Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum
Caritatis. Ma in che modo oggi guardare a questo
incontro con l’amore misericordioso di Dio? Giovanni Peduto
lo ha chiesto a mons. Gianfranco Girotti,
reggente della Penitenzieria Apostolica:
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R. -
Purtroppo, ai nostri giorni, questo Sacramento, così fondamentale per la salute
e la santificazione delle anime, appare investito da preoccupante crisi. È
proprio per fronteggiare questa crisi che la Penitenzieria
si fa carico di promuovere giornate di studio, soprattutto per irrobustire la
formazione dei sacerdoti, ministri della riconciliazione, ai quali incombe il
dovere grave di possedere una solida dottrina teologica, morale e canonistica. Il Santo Padre, molto opportunamente, nella
Esortazione apostolica postsinodale “Sacramentum Caritatis”, resa pubblica
martedì scorso, ha avuto parole di grande apprezzamento per il Sacramento della
Riconciliazione. In particolare, ha invitato tutti a riscoprire il perdono sacramentale.
Nel constatare che i fedeli si trovano oggi immersi in una cultura che tende a
cancellare il senso del peccato, favorendo un atteggiamento superficiale, che
porta a dimenticare la necessità di essere in grazia di Dio, il Papa ha richiamato
quegli elementi che esplicitano la coscienza del proprio peccato e contemporaneamente
della misericordia di Dio. Ci ha ricordato che il peccato non è mai una realtà
esclusivamente individuale e che comporta sempre anche una ferita all’interno
della comunione ecclesiale. Incisivo mi è parso il richiamo ad un deciso
recupero della pedagogia della conversione, che nasce dall’Eucaristia e
favorisce la confessione frequente.
D. -
Anche il ricorso alle Indulgenze viene sottolineato
dal Santo Padre …
R. -
Siamo molto riconoscenti al Santo Padre per il richiamo che Egli ha fatto a
tutti i fedeli del dono delle Indulgenze. Non bisogna dimenticare che la
dottrina e la pratica delle Indulgenze nella Chiesa sono strettamente legate
agli effetti del Sacramento della Penitenza. Il Catechismo ci ricorda che
l’Indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati,
già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e
a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come
ministra della redenzione, autoritativamente dispensa
ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi. Il Santo Padre,
nella citata Esortazione, ricorda che l’uso delle Indulgenze ci aiuta a
comprendere che con le nostre sole forze non saremmo capaci di riparare al male
compiuto.
D. -
Non è mancato nel vostro Corso l'attenzione ai coniugi: cosa dire della crisi
dell'Istituto del matrimonio?
R. -
In un’epoca di profondi mutamenti sociali, di mentalità come la nostra, che
hanno profondamente inciso sulla pratica cristiana, il Sacramento del
Matrimonio ha una sua particolare attenzione. Non raramente, nell’ambito del
Foro Interno, più spesso in quello sacramentale, ma talvolta anche in quello
non sacramentale, si presentano situazioni di particolare delicatezza e perciò
di particolare impegno per il confessore. La dottrina e la prassi ufficiale
della Chiesa tuttora in atto cerca di percorrere una via fedele al mandato
rivoltole dal suo Signore, che è quello di amministrare il perdono e la
misericordia. La Chiesa, anche di fronte a situazioni talvolta delicatissime, -
e il Santo Padre ce lo ricorda nella sua recente
Esortazione Apostolica - agisce sempre secondo lo spirito di Gesù, che ha
compassione dei peccatori, non spezza la canna incrinata e non spegne il
lucignolo fumigante.
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RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Oggi
in Primo Piano
Da 28 anni al fianco
dei bambini delle baraccopoli thailandesi:
il racconto di padre Adriano Pelosin,
missionario del PIME
Dolore
e abbandono. E’ questo che accomuna i bambini delle baraccopoli di Bangkok. A
prendersi cura di loro, padre Adriano Pelosin,
missionario del PIME, da 28 anni in Thailandia, di
cui gli ultimi 10 trascorsi nelle zone più degradate della capitale. Qui ha
creato 10 case famiglia in cui ospita 200 bambini, mentre altri 2000 sono
assistiti grazie a una rete di volontarie e nonne adottive. Al
microfono di Antonella Villani padre Adriano descrive il volto di
questa città:
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R. -
Bangkok è una città ricchissima. Ma questa è l’apparenza, piena di macchine,
autostrade, sopraelevate, ecc. Poi invece ci sono queste cittadine, dentro la
città di Bangkok, che vivono la miseria sia fisica sia morale, dove ci sono
tantissimi problemi. Soprattutto troppa disoccupazione oppure “l’occupazione
criminale”. Purtroppo, abbiamo trovato tantissimi bambini senza genitori, senza
assistenza, che non andavano a scuola…
D. –
Lei sono 28 anni che vive in Thailandia ma nelle baraccopoli è entrato solo dieci anni fa. Perché?
R. -
Sapevo di questa realtà però non avevo mai il coraggio
di entrarci dentro perché mi faceva paura. Era un po’ un pregiudizio perché poi
quando ho cominciato, ho visto che la gente quasi aspettava che qualcuno si
interessasse di loro e così abbiamo cominciato con due bambine figlie di una
prostituta che vivevano in una baracca. Metà del pavimento era nel fango;
abbiamo riparato la baracca, poi abbiamo capito che la mamma non sarebbe
tornata, se non ogni venti giorni e da lì c’è venuta l’idea di dover fare
qualcosa per i bambini.
D. –
In questi dieci anni avete aperto dieci case famiglia. Che tipo di assistenza
offrite?
R. –
Soprattutto protezione, affetto che questi bambini non hanno avuto nella vita.
In secondo luogo, da mangiare, da bere, vestiti, e la scuola. Ci preoccupiamo
che tutti i bambini delle baraccopoli dove operiamo, vadano a scuola. E’ essenziale
per inserire questi giovani nella società più grande di Bangkok.
D. –
Oggi, alcuni di questi bambini vanno già nelle università…
R. –
Questa è una cosa eccezionale perché non era mai capitato
che un ragazzo della baraccopoli potesse arrivare all’università. Questi
ragazzi, tra l’altro, dopo scuola, aiutano i ragazzi più piccoli a fare i
compiti.
D. –
Chi finisce nelle baraccopoli, non ci finisce tanto per una questione di mancanza
di soldi, ma per come li sperpera. Come rompere questa spirale?
R. –
I thailandesi che vengono dalla periferia, vengono
dai villaggi per cercare fortuna in città. Non sono preparati alla vita
esigente della città: alla mattina bisogna alzarsi
presto, fare due o tre ore di autobus nel traffico, lavorare otto ore pagati
molto poco perché non hanno istruzione, allettati dalle tante cose di Bangkok:
divertimenti, cibi, spendono più di quanto prendono, si indebitano con gli
usurai, alcuni se ne ritornano a casa però a casa, a volte, non c’è più niente
perché hanno venduto tutto e allora si costruiscono una capanna. Sono persone
piene di problemi, e allora qualsiasi cosa va bene: la droga, per esempio, è un
modo per fare soldi molto in fretta. Magari nascono dei figli e questi bambini
non hanno una famiglia, non hanno chi li segua, e
anche loro entrano in questo tipo di vita di sopravvivenza.
D. –
Quindi la scuola è un sistema per tirarli fuori?
R. –
Con la scuola noi cerchiamo anche di dare loro il valore della vita,
dell’onestà, della amicizia. Devono accettare un po’ la situazione cioè
perdonare i genitori che li hanno abbandonati e perdonare quelli che li hanno
seviziati, in modo che prendano coscienza della loro situazione e sappiano poi
gestirla senza buttarsi nella droga, nell’alcool, per non ricordare queste
esperienze cattive della loro vita.
D. –
Le difficoltà sono tante. Che cos’è che la spinge ad andare avanti?
R. –
I bambini hanno la capacità di dar forza, riescono a fare dei miracoli verso
tante persone che vengono ad aiutarci o visitarci.
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Lo sviluppo mancato dell’Africa nell’indifferenza dei Paesi ricchi
denunciato in un convegno del VIS-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo
Perché
lo stallo e l’arretramento dello sviluppo in Africa? Perché l’Africa non é mai
al centro della politica internazionale? Domande alle quali si è cercato di
dare risposte in un convegno organizzato, nei giorni scorsi, a Roma dal
VIS-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo e patrocinato dal comune
capitolino. Un incontro durante il quale si sono analizzate la
cause del mancato sviluppo del continente ma soprattutto le possibili
soluzioni. Ce ne parla Francesca Sabatinelli:
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Se
l’Africa è il continente che meglio rappresenta le angosce e le speranze della
nostra contemporaneità, se è lì che si palesano le contraddizioni della nostra globalizzazione, allora perché l’Africa nell’agenda
internazionale non trova una giusta collocazione? E’ questa sicuramente una
provocazione, ma anche una fondamentale questione che deve interrogare
soprattutto l’Europa, continente fratello che deve abbandonare le politiche
colonialiste ancora oggi esistenti. L’Africa non è più da depredare e da
sfruttare, è una terra alla quale ridare soggettività, sono le nuove
generazioni che la esigono, loro che non sono soggiogate da modelli esterni di sviluppo, ma pronte a cercarne di propri. Grande ruolo
quello della cooperazione che non deve essere più episodica ma sistematica,
come sottolinea Antonio Raimondi presidente
del VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo:
“Per
noi l’Africa non è un continente da sfruttare e da colonizzare e anche le ONG
devono avere un approccio nuovo. Noi possiamo certamente dare delle cose importanti,
come per esempio la democrazia, i diritti umani, la capacità di leggere
l’organizzazione dell’economia della società europea, ma questo senza imporre
modelli. La democrazia non si esporta. E’ un cammino lungo da fare con la società
civile africana”.
Fondamentale
è per l’Africa il passaggio da condizioni “infra-umane”
a condizioni umane, spiega il congolese Jean Leopardi Touadi, assessore
capitolino, giornalista e scrittore, il cui ultimo libro si intitola Africa
in Pista. A breve si arriverà ad un miliardo di abitanti. E’ a loro che
bisogna restituire i beni fondamentali, occorrono rapporti internazionali
improntati alla giustizia, bisogna abbandonare il pietismo:
“L’Unione
Europea deve capire che l’Africa è il suo interesse. Non è una questione
umanitaria, è una scelta geopolitica per la sua stabilità e per la sua
prosperità. Se non si capisce questo, esponiamo le future generazioni a dei
pericoli, derivanti da un vicino di casa instabile e povero”.
Pace,
giustizia e sviluppo è ciò che oggi serve all’Africa, continente tanto ricco di
risorse e potenzialità eppure schiacciato da un inesorabile ritardo economico e
sociale.
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Il disfacimento di una famiglia a causa degli egoismi raccontato
nel film Proprietà
privata del regista belga Joachim Lafosse
Una
casa, una madre, una famiglia: il crollo degli affetti viene
tragicamente raccontato nel secondo lungometraggio del regista belga Joachim Lafosse, Proprietà
privata – Nue proprieté,
da venerdì sugli schermi italiani. Film intenso che ha ricevuto una menzione
speciale da parte della Giuria del Premio Signis
all’ultima Mostra cinematografica di Venezia. Il servizio di Luca Pellegrini:
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“Non
può vendere la casa, non ha il diritto, è nostra! E’ nostra! Papà l’ha data a
noi! Lei non c’entra, è nostra!
Tu
vuoi che crepi qui dentro, vero? Vuoi la mia morte!”
“Basta
un’onda d’urto, la possibile vendita della casa, perché tutto l’edificio
crolli, perché il legame che unisce Pascale, la
madre, ai suoi figli faccia emergere tutta la propria violenza. Il mio film è
il racconto dell’esplosione di un mondo circoscritto, in cui la violenza è la
conseguenza di un divorzio incompiuto, in cui la rivalità dei due figli è lo
specchio della rivalità irrisolta dei genitori”. Così Joachim
Lafosse descrive incisivamente Nue
proprieté, un film “nudo” come la casa co-protagonista, spoglio e arido come i cuori di chi vi
abita. I figli sono Thierry e François,
legati indissolubilmente da un rapporto d’amore e rivalità con i genitori, che
vedono, nei loro litigi, la causa dello sfacelo della loro vita affettiva e
familiare. In un mondo circoscritto e affaticato, le pareti della casa
rimangono l’unico riferimento stabile nella liquidità e dissolubilità dei
sentimenti e dei rapporti.
Quando
la madre, una intensa e splendida Isabelle Huppert, decide di venderla, l’innestarsi delle tensioni
porterà alla tragedia. Un film in cui minuziosa e perfettamente scandagliata è
l’analisi del crollo del nucleo familiare, quando le regole non sono più
dettate dall’affetto ma dagli egoismi, quando i mattoni dell’esistenza cedono
d’importanza rispetto a quelli materiali di un edificio. La casa e la famiglia,
in questa dimensione distorta, divengono la prigione, l’arena in cui ferirsi,
in cui la libertà e il rispetto sono soppiantati dall’interesse personale.
L’incomunicabilità vera trionfa, non si ascoltano più le ragioni altrui.
Vittime tutti di un materialismo sociale e culturale in cui la proprietà – di
un bene, ma anche di una persona – diventano termine di riferimento per la
propria vita: i personaggi del bel film di Lafosse
sono gli esempi di un mondo lacerato che, forse non accorgendoci più, potrebbe
essere quello dei nostri vicini. E che ha disperatamente bisogno d’aiuto.
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RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Chiesa
e Società
Al via domani ad Haiti il XVI Congresso latinoamericano e caraibico
della Caritas e il III Incontro continentale di pastorale sociale-Caritas
Sviluppo
e democrazia, riconciliazione e pace, migrazioni: sono i temi principali del
III Incontro continentale di pastorale sociale-Caritas
e del XVI Congresso latinoamericano e caraibico della
Caritas, che si apriranno domani ad Haiti. Le due
iniziative - si legge nel comunicato che annuncia gli incontri - hanno lo scopo
di rinforzare e coordinare le azioni solidali che dovranno essere portate
avanti per accompagnare le persone e le comunità più povere dell’America
Latina. Si tratta di un nuovo passo verso la V Conferenza generale di Aparecida, in Brasile, prevista dal 13 al 31 maggio, che
sarà aperta da Benedetto XVI. Fino al 24 marzo, ad
Haiti si discuterà anche di questioni legate alla giustizia, alla
riconciliazione e alla pace, alle migrazioni e alla tratta delle persone,
all’ecosistema, alla gestione dei rischi e delle emergenze e allo sviluppo
umano integrale e solidale. “Il mondo attende da noi una luce, un segno chiaro
che un altro mondo è possibile”, ha detto all’agenzia Fides mons. Gregorio Rosa
Chávez, presidente regionale della Caritas.
L’Incontro continentale di pastorale sociale-Caritas
si realizza ogni quattro anni dopo una serie di incontri zonali che analizzano
la realtà sociale, politica, economica, culturale ed ecclesiale di ogni Paese e
pongono le basi per il Congresso. In queste riunioni, ogni nazione ha
presentato progetti che illustrano problematiche e risultati
ottenuti. Padre Francisco Hernández,
coordinatore regionale della Caritas, da mesi ad Haiti
per preparare gli eventi, ha spiegato che la scelta di questo Paese, il più
povero del continente americano come sede per un incontro ecclesiale, è un modo
per guardare “agli ultimi, agli esclusi e ai più poveri”. (L.B)
In Myanmar, il Comitato Internazionale della Croce Rossa
chiude due uffici
a causa delle forti restrizioni da parte
del governo
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa
(CICR) ha reso noto di aver chiuso due dei suoi uffici nel Myanmar
a causa delle restrizioni imposte dal governo militare. Provvedimenti che hanno
portato alla 'semi-paralisi' delle loro attività. L’ente umanitario ha
dichiarato che il suo personale non ha potuto far visita ai detenuti nell’ex Birmania
o svolgere inchieste indipendenti nelle aree “sensibili” alle frontiere, e
quindi di non poter rispettare il proprio mandato di garantire aiuti umanitari
neutrali. “Un recente incontro con il ministro dell’Interno non ha avuto
sbocco”, ha dichiarato in un comunicato il direttore delle operazioni Pierre Kraehenbuehl. “Per questo
il CICR ha deciso di chiudere due dei suoi uffici, uno a Mawlamyine
(Stato di Mon) e l’altro a Kyaing Tong
(Stato di Shan Est). È da valutare con attenzione -
conclude il comunicato - se mantenere aperti gli altri uffici d’area”. Il
governo canadese ha giudicato “inaccettabile” il comportamento del governo di Myanmar e chiede immediatamente all'esecutivo – in un
comunicato del ministro degli Esteri, Peter Mackay – di autorizzare il CICR a ricominciare a lavorare
senza ostacoli e di eliminare le restrizioni che hanno compromesso le
possibilità del Comitato di svolgere il proprio mandato. (E.L.)
Negli ultimi due mesi, in Africa, circa
1700 morti
per l’epidemia di meningite
Sono 1670 le persone morte e quasi 16 mila quelle contagiate negli
ultimi due mesi in Africa dalla epidemia di meningite. Lo riferisce
l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), precisando che, finora, circa 1
milione e 500 mila persone hanno potuto beneficiare delle campagne di
vaccinazione lanciate nei quattro Paesi maggiormente colpiti: Burkina Faso, Repubblica
Democratica del Congo, Sudan e Uganda. Come riferisce
l’agenzia MISNA, la situazione più grave è quella del Burkina
Faso, dove, dallo scorso gennaio, la meningite ha
causato la morte di 432 persone e il contagio di 5 mila. Il ministero della
Sanità di Ouagadougou ha lanciato un appello per la
consegna rapida di nuove dosi di vaccino, dal momento che, nonostante le
recenti richieste di aiuto, le scorte delle autorità sanitarie sono quasi
terminate. Il Burkina Faso,
così come gli altri Paesi interessati dalle epidemie in corso, si trova in
quella che gli esperti chiamano “la fascia della meningite”, la zona a sud del
Sahara che va dal Senegal all’Etiopia, in cui vivono 300 milioni di persone. La
meningite, in genere, fa la sua comparsa durante la stagione secca, quando, tra
dicembre e gennaio, comincia a spirare il caldo e secco vento Harmattan, principale vettore dei germi responsabili della
malattia. (R.M.)
Da oggi in vigore la Convenzione dell’UNESCO sulla
protezione
delle diversità culturali. Il documento
promosso dalla Francia
è stato ratificato da 53 Stati
Entra oggi in vigore la convenzione promossa dall'UNESCO sulla
protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali. Il
documento era stato adottato meno di un anno e mezzo fa. La prossima tappa sarà
la prima conferenza degli Stati aderenti, in programma tra il 18 ed il 20
giugno prossimo. In tale occasione, ha detto il portavoce del ministero degli
Esteri francese, Jean-Baptiste Mattei,
“saranno definiti i grandi orientamenti e la messa in opera del testo”. Ad oggi
la Convenzione è stata ratificata da 53 Paesi tra i quali 19 Stati membri
dell’Unione Europea e 27 Stati membri associati all'area francofona. Lanciata
nel 2002 e promossa da Francia e Canada, la Convenzione è stata approvata dall'UNESCO
il 20 ottobre 2005 a Parigi. Solo Israele e Stati Uniti, su un totale di 150
Paesi, avevano votato contro, mentre quattro governi si erano astenuti. Il documento,
che consacra il ruolo della cultura come attore dello sviluppo, autorizza gli
Stati - rompendo le regole del commercio internazionale - a prendere una serie
di misure di sostegno alle diverse espressioni culturali. Per esempio, saranno
possibili sovvenzioni al teatro, la fissazione di un prezzo unico per i libri,
e ancora la protezione dei monumenti storici e quote per la diffusione musicale
al fine di proteggere una lingua. Il contenuto del documento è stato al centro
di accese polemiche da parte degli Stati Uniti. Il segretario di Stato
americano, Condoleeza Rice,
aveva dichiarato che “la convenzione permetteva a dei regimi dispotici di
soffocare i dissidenti o le minoranze etniche”. In
risposta alle polemiche mosse da Washington, i governi di Francia, India e
Brasile hanno ricordato che il cinema americano monopolizza attualmente l'85
per cento della diffusione mondiale. (A.G.)
Rappresentata in prima assoluta, ieri sera a Todi, un’opera teatrale
sulla figura di Jacopone, nel
VII centenario della morte
Ieri
sera, nella basilica cattedrale di Todi, in Umbria, in occasione delle celebrazioni
per il VII centenario della morte di Jacopone da Todi
(1306 – 2006), la compagnia teatrale “I Rusteghi” ha ricordarto l’autore delle laudi con “Jacopone”.
L’iniziativa riferisce l’agenzia SIR, in collaborazione con l’Ufficio Cultura
della diocesi di Orvieto-Todi, ha voluto portare in
scena l’opera, mai finora rappresentata, di Margherita Chiaramonti
Caporali. Scomparsa nel 1988, la poetessa tuderte aveva
riportato in auge il teatro sacro con diverse rappresentazioni. Di “Jacopone”, mistero in tre atti e cinque quadri, stampato in
pochi esemplari numerati fuori commercio nel 1948 e dedicato appunto alla
vicenda di Jacopone da Todi, la compagnia teatrale ha
proposto un adattamento, in prima assoluta, che, pur modificando parzialmente
l’impianto scenico, conserva l’originaria ispirazione della scrittrice senza
tradirne lo spirito devozionale e didascalico. Lo
spettacolo sarà replicato stasera alle 21 a Collazone,
nella chiesa di San Lorenzo. (T.C.)
E’ nata a Bologna “Antoniano
onlus”, iniziativa
per finanziare i progetti di solidarietà nel mondo
Si
chiama “Antoniano onlus” e
finanzierà progetti di solidarietà nel mondo, ma anche la mensa dei poveri e il
centro di riabilitazione del capoluogo emiliano. A 50 anni dalla fondazione
dell’Antoniano dei Frati minori di Bologna, questa
nuova realtà intende “facilitare il rapporto con i donatori”, ha spiegato
all'Agenzia SIR, padre Alessandro Caspoli, direttore
dell’Antoniano, e a “dare risposte concrete a
situazioni di disagio”. Con il progetto “Il fiore della solidarietà”, ad
esempio, l’Antoniano finanzia in tutto il mondo, dal
’91 ad oggi, scuole, ospedali, case famiglia, centri di accoglienza,
ambulatori. Il centro di riabilitazione “Antoniano insieme”
assiste circa 120 bambini con disabilità diverse. La mensa del povero ospita
invece, ogni giorno, circa 60 persone e opera anche come centro di ascolto. La
nascita della onlus è accompagnata da una campagna mediatica intitolata “Testimoni non testimonial”,
per dire che “non ci sono vip che invitano a donare”, né “pietismo ad ogni
costo”: protagonisti sono i donatori, destinatari stessi della comunicazione.
(R.P.)
RADIO
VATICANA
Radiogiornale
- A cura di Amedeo Lomonaco -
- La
reazione di Israele al programma del nuovo governo di unità nazionale
palestinese sembra irremovibile: l’esecutivo dello Stato ebraico ha approvato
la proposta presentata dal premier, Ehud Olmert, di boicottare il nuovo governo di unità nazionale.
E’ stata anche confermata la sospensione dei finanziamenti all’Autorità
Nazionale Palestinese: l’amministrazione statunitense
ha annunciato di non voler sbloccare gli aiuti ma si è
detta pronta ad avviare contatti con alcuni esponenti dell’esecutivo
palestinese. L’Unione Europea ha reso noto, poi, che la ripresa degli aiuti
dipenderà da una definizione delle azioni del nuovo governo. L’esecutivo di
unità nazionale palestinese, che ieri ha ricevuto la fiducia del
Consiglio legislativo, nasce dunque tra molte insidie ma costituisce, comunque,
un fatto positivo. E' quanto sostiene, al microfono di Amedeo Lomonaco,
il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:
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R.
– Il nuovo governo palestinese ha appena ricevuto la fiducia. Non è la prima
volta che si parla di governo di unità nazionale. Ci sono ancora molti
problemi. Le tensioni tra al Fatah
e Hamas sono ancora molto alte, per cui è sicuramente un gesto molto positivo,
ma ci sono ancora molti punti di discordanza tra Israele ed i palestinesi e
all’interno della stessa compagine governativa. Bisognerà vedere quale linea
prevarrà per sapere se veramente siamo ad un punto di svolta o siamo ancora in
una situazione di stallo.
D. –
Il governo israeliano ha già reso noto di non voler collaborare con il nuovo
esecutivo palestinese. Si possono comunque scorgere segnali di speranza?
R. –
Il comunicato del governo israeliano non stupisce. Anzi, era previsto. Sappiamo
anche che ci sono comunicati ufficiali, ma poi ci sono anche situazioni reali.
Un minimo di dialogo ci sarà sicuramente. Anche all’interno della politica
israeliana è stato detto che bisogna conservare almeno un punto di riferimento
dentro al governo, perchè il dialogo è imprescindibile.
D. –
Il dialogo per trovare un punto di incontro forse dovrebbe partire da una
ricerca maggiore di concordia tra Hamas e Fatah, per
tendere la mano ad Israele; poi Israele dovrebbe togliere l’embargo e cercare
di non boicottare il governo palestinese. Sono questi i due punti chiave?
R. –
Sì, questi sono i punti chiave. Bisogna dire, però, che c’è ancora molto
sospetto, molta paura e rancore sia da parte israeliana sia da parte
palestinese. Per cui ci vorrà, secondo me, ancora molto tempo
prima che il governo israeliano faccia un passo, un gesto concreto, nei
confronti dell’Autorità Nazionale Palestinese.
D. –
La Chiesa cosa sta facendo e cosa può fare per accompagnare la popolazione
palestinese verso un nuovo futuro di pace?
R. –
La Chiesa sta facendo molto dal punto di vista sociale, con le sue istituzioni,
con le sue opere. E poi i vescovi e tutti i cattolici insistono sul bisogno di
riconciliazione, di unità e sull’importanza del dialogo. Di più non possiamo
fare.
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- In
Iraq, sei soldati americani sono stati uccisi, ieri, per l’esplosione di due
bombe di fabbricazione artigianale mentre erano di
pattuglia nelle vie di Bagdad e in zone limitrofe. Un
altro militare è morto accidentalmente a Tikrit. E’
quanto ha riferito oggi il Comando militare americano. E’ così salito a 3.219
il numero dei soldati americani uccisi dall’inizio dell'intervento militare
americano in Iraq nel marzo 2003.
- Il
giornalista italiano del quotidiano "La Repubblica", Daniele Mastrogiacomo, rapito lo scorso 5 marzo in Afghanistan, non
è stato liberato. Lo ha reso noto il governo italiano smentendo la notizia, diffusa
questa mattina, del rilascio del giornalista. L’organizzazione non governativa Emergency ha fatto sapere che nelle trattative, arrivate molto
vicino al rilascio, sono sorti problemi perchè non sono state soddisfatte tutte
le condizioni poste dai talebani. Il nostro servizio:
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La
speranza, accesa dalla notizia del rilascio data dall’agenzia Reuters, si è trasformata presto in prudenza: le verifiche
avviate dal ministero degli Esteri italiano non hanno
purtroppo portato alle conferme sperate. Le agenzie di stampa hanno prima
riferito che Daniele Mastrogiacomo ed il suo
interprete sarebbero stati consegnati a capi tribali, nel ruolo di mediatori.
La notizia, diffusa per certa a Kabul, non ha trovato ulteriori conferme.
Successivamente, i talebani hanno smentito il rilascio di Mastrogiacomo
ed il vice presidente di Emergency ha dichiarato che non sono state interamente soddisfatte le condizioni dei
sequestratori. L’unica certezza è che le trattative, ritenute
questa mattina vicine ad un esito positivo, adesso sembrano arenate.
Ieri, sono stati rilasciati, come richiesto dai rapitori, due detenuti nelle
carceri afgane. Secondo varie fonti, i talebani sono ora in
attesa della liberazione di un terzo uomo. I negoziati procedono e la vicenda
del giornalista italiano non si sblocca. Le ultime notizie non sono
rassicuranti, ma tengono comunque accesa la speranza: fonti di Palazzo Chigi hanno confermato che “Daniele Mastrogiacomo non è libero e si sta lavorando febbrilmente
con tutti i contatti possibili”.
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-
Cesare Battisti, membro dei Proletari Armati per il Comunismo (PAC), latitante
dal 2004 è stato arrestato in Brasile. Lo si apprende
da fonti giudiziarie, riprese da alcune agenzie di stampa italiane.
-
Urne aperte in Finlandia per rinnovare i 200 seggi del Parlamento. Sono circa
4,3 milioni i finlandesi chiamati al voto. L'esito delle elezioni appare
incerto, con la maggioranza di centrosinistra in leggero vantaggio nei sondaggi
rispetto ai conservatori. Il servizio di Vincenzo Lanza:
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Le
elezioni odierne sono in un certo senso storiche.
Sono, infatti, cento anni da quando in Finlandia venne
costituito il Parlamento unicamerale, dopo aver proclamato la propria
indipendenza nel 1907 come Granducato, sotto lo Zar di Russia. E primo Paese al
mondo, in Finlandia, venne deciso, sempre cento anni
fa, il diritto di voto delle donne e contemporaneamente la loro eleggibilità in
Parlamento. In questa campagna elettorale per il 35.mo
Parlamento dal lontano 1907, non ci sono stati i tradizionali toni accesi di
scontri ideologici su questioni interne. La coalizione di
centro, socialdemocratici e liberali di lingua svedese si vanta di aver
creato stabilità e benessere economico e quindi si presenta all’elettorato con
la certezza-speranza di una riconferma. Probabile quindi che il premier
uscente, il 51.enne centrista, Matti Vanhanen, sarà ancora capo del governo, dopo lo scrutinio
delle urne questa notte. Poco dibattuti argomenti come
adesione alla NATO, necessità di aumentare la difesa con mezzi tecnici più
efficienti, in un momento in cui la Russia sta dislocando più vicino alla
frontiere finlandese missili e militari; non ultima, c’è la questione di come
non perdere la capacità di controllare le acque del Golfo di Finlandia a Nord
del Mar Baltico, sempre più nella sfera di interessi russi, che stanno già
progettando un enorme oleodotto e gasdotto sottomarino, collegato alla Germania
settentrionale.
Per
la Radio Vaticana, da Stoccolma, Vincenzo Lanza.
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- Successo del keniano Chelimo
Kemboi nella Maratona di Roma. L’atleta africano si è
imposto fermando il cronometro sul tempo di 2h09’36. Secondo posto per lo
spagnolo Josè Manuel Martinez,
primo degli europei; la terza piazza è andata all’altro keniano Johnatan Kiprokoi Kosgeila. La vittoria tra le donne va all'algerina Souad Ait Salem. Il via alla
maratona è stato dato questa mattina dal sindaco di Roma, Walter Veltroni. Ad aprire la corsa un grande striscione su cui
c'era scritto “Liberate Daniele Mastrogiacomo”. Alla
maratona si sono iscritte oltre 15 mila persone.