RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI n. 77 - Testo della trasmissione di domenica 18 marzo 2007

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Una vita senza Dio non funziona, perché priva di luce: così, Benedetto XVI nella Messa celebrata nel carcere minorile romano di Casal del Marmo

La gioia e l’amore cristiano scaturiscono dall’Eucaristia: così, il Papa all’Angelus dedicato alla Sacramentum Caritatis

                                                                                                                                    

Di fronte al peccato, è urgente recuperare la pedagogia della conversione: a ribadirlo è il reggente della Penitenzieria Apostolica, mons. Gianfranco Girotti

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Da 28 anni al fianco dei bambini delle baraccopoli tailandesi: il racconto di padre Adriano Pelosin, missionario del PIME

 

Lo sviluppo mancato dell’Africa nell’indifferenza dei Paesi ricchi denunciato in un convegno del VIS-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo: intervista con Antonio Raimondi

 

Il disfacimento di una famiglia a causa degli egoismi raccontato nel film “Proprietà privata” del regista belga Joachim Lafosse

 

CHIESA E SOCIETA’:

Al via domani ad Haiti il XVI Congresso latinoamericano e caraibico della Caritas e il III Incontro continentale di pastorale sociale-Caritas

 

In Myanmar, il Comitato Internazionale della Croce Rossa chiude due uffici a causa delle forti restrizioni da parte del governo

 

Negli ultimi due mesi, in Africa, circa 1700 morti per l’epidemia di meningite - Da oggi in vigore la Convenzione dell’UNESCO sulla protezione delle diversità culturali. Il documento promosso dalla Francia è stato ratificato da 53 Stati

 

Rappresentata in prima assoluta, ieri sera a Todi, un’opera teatrale sulla figura di Jacopone, nel VII centenario della morte

 

E’ nata a Bologna “Antoniano onlus”, iniziativa per finanziare i progetti di solidarietà nel mondo

 

24 ORE NEL MONDO:

Notizie contrastanti sulla liberazione del giornalista italiano, Mastrogiacomo, in mano ai talebani.

 

Il governo israeliano approva la proposta del premier di boicottare il nuovo esecutivo palestinese

 

 

 

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Il Papa e la Santa Sede

 

 

 

Una vita senza Dio non funziona, perché priva di luce: così, Benedetto XVI nella Messa celebrata nel carcere minorile romano di Casal del Marmo

 

“Abbandonare il peccato e scegliere di tornare a Dio. Facciamo insieme questo cammino di liberazione interiore”. Così, il Papa durante l’omelia della Messa celebrata questa mattina nell’Istituto penale per i minori “Casal del Marmo” di Roma. Nella sua prima visita ad un carcere, Benedetto XVI ha scelto dunque gli adolescenti, soli, per lo più stranieri ed emarginati. Ha voluto ascoltarli, pregare con loro e soprattutto essere testimone dell’amore di Dio, che, ha ricordato, è “Padre misericordioso e fedele, nonostante gli errori dei figli”. Ad accogliere il Pontefice c’erano il cardinale Camillo Ruini, vicario generale per la diocesi di Roma, il vescovo ausiliare Benedetto Tùzia, l’ispettore generale dei cappellani, mons. Giorgio Caniato, e padre Gaetano Greco cappellano del carcere. In rappresentanza del governo italiano, era presente il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Con lui i dirigenti e il personale dell’Istituto, ma anche i familiari dei ragazzi. La visita del Papa è stata seguita per noi da Gabriella Ceraso:

 

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(Musica)

 

“Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Sono state queste parole del Vangelo di Luca il filo conduttore del “primo contatto con il mondo delle carceri” di Benedetto XVI, per usare le sue stese parole.

 

(Canto)

 

Un clima di attesa colmo di emozione e di sguardi felici e un po’ curiosi accoglie il Papa nella piccola cappella del Padre Misericordioso all’interno dell’Istituto penale, immerso nel verde di una silenziosa periferia romana. I ragazzi ci sono tutti, una cinquantina: le loro voci forti, nei canti preparati a lungo, i loro lineamenti che svelano le loro origini non italiane. Sono tutti uniti nel momento più importante dell’incontro con il Papa:

 

“Sono venuto volentieri a farvi visita, e il momento più importante del nostro incontro è la Santa Messa, nella quale si rinnova il dono dell’amore di Dio: amore che ci consola e dà pace, specialmente nei momenti difficili della vita. In questo clima di preghiera vorrei rivolgere il mio saluto a ciascuno di voi”.

 

Quell’amore che Cristo stesso ci insegna, dice il Papa, facendosi presente nella celebrazione eucaristica. “Ma quanto è difficile amare sul serio”, domanda il Pontefice ai ragazzi. E per questo a loro si rivolge in modo accorato e familiare per spiegare la parabola del figliol prodigo, una storia di famiglia. Un padre e due figli, con alle spalle “due progetti di vita abbastanza diversi”. “Ambedue”, spiega il Papa, “vivono in pace” e nel benessere, tuttavia un disagio interiore che si trasformerà in un vero e proprio percorso, coglie il figlio più piccolo, il più simile forse ai tanti ragazzi presenti. Ed è su questo che il Papa si sofferma:

 

“Ma no, la vita è di più, devo trovare un’altra vita in cui io sono realmente libero, posso fare quanto mi piace, una vita libera da queste discipline e norme dei comandamenti di Dio, del padre; vorrei essere solo io e avere la vita tutta totalmente per me con tutte le sue bellezze. Adesso è soltanto lavoro”. 

 

“E così decide di prendere il suo patrimonio e di avviarsi in un paese molto lontano” alla ricerca, continua il Papa, di un cambiamento anche interiore, che crede sia la libertà cioè fare quel si vuole, avere una vita piena. Nonostante tutto “man mano sente anche qui la noia”, il “vuoto interiore inquietante”, i soldi finiscono e anche questo diventa una routine che non soddisfa:

 

“E così comincia a riflettere se era questa realmente la strada della vita: libertà interpretata come il fare quanto voglio io, vivere, avere la vita solo per me e se non sarebbe forse più vita vivere per gli altri, contribuire alla costruzione del mondo, alla comunità umana...

 

E così “comincia un nuovo cammino interiore che lo porta a riconsiderare tutti questi concetti”, spiega il Papa ai ragazzi. Cammino che diventa presto anche esteriore. Il giovane, infatti, decide di ripartire con la sua vita e di ritornare dal padre, che, rispettandone la libertà lo aveva lasciato andare perché capisse cosa è vivere e cosa è non vivere. Il ritorno a casa è all’insegna della festa, la vita ricomincia da qui.

 

“Egli capisce che proprio il lavoro, l’umiltà, la disciplina di ogni giorno crea la vera festa e la vera libertà”.

 

Le “tentazioni torneranno”, aggiunge il Papa, ma ormai il giovane ha capito che “una vita senza Dio non funziona: manca l’essenziale, la luce, manca il grande senso dell’essere uomo”.

 

“Capisce che i Comandamenti di Dio non sono ostacoli per la libertà e per una bella vita, ma sono gli indicatori della strada dove andare per trovare la vita. Capisce che anche il lavoro, la disciplina, l’impegnarsi non per sé, ma per gli altri allarga la vita. E proprio questa fatica di impegnarsi nel lavoro dà profondità alla vita, perché abbiamo alla fine contribuito a fare crescere questo mondo che diventa più libero e più bello”.

 

Cosa insegna dunque questo Vangelo. Innanzitutto, spiega Benedetto XVI, a capire chi è veramente Dio. “Egli è Padre misericordioso che in Gesù ci ha amato oltre ogni misura, Lui ci accoglie e ci restituisce la dignità di figli suoi”. “Inoltre questa parabola ci aiuta a capire anche chi è l’uomo”, immagine di Dio, ma anche “creatura fragile, esposta al male e capace del bene”. Di qui, l’invito del Papa alla “conversione”, in questo periodo di Quaresima, conversione che non è solo” sforzo di cambiare i propri comportamenti”.

 

“E’ un’opportunità per decidere di “alzarsi e partire”, abbandonare cioè il peccato e scegliere di tornare a Dio. Facciamo insieme questo cammino di liberazione interiore”.

 

Il Papa, dunque, con i giovani per mostrare loro il volto del Padre misericordioso che perdona, che permette a ciascuno il proprio rinnovamento. E’ questo il clima che accompagna l’intera celebrazione e che non cambia nel passaggio al secondo momento forte della visita all’Istituto di pena. Il Papa raggiunge la palestra e dopo i saluti e i ringraziamenti dei dirigenti, ascolta i giovani. A ciascuno di loro, che porge doni frutto dei laboratori di falegnameria, ceramica e pittura, il Papa risponde, e prima di abbracciarli, rammenta di stare nella gioia anche se “privi della libertà”. Come farlo, è il segreto che lascia loro:

 

“Il segreto, dunque, sta qui: occorre che Dio occupi sempre il primo posto nella nostra vita”.

 

(Musica)

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La gioia e l’amore cristiano scaturiscono dall’Eucaristia:

così, il Papa all’Angelus dedicato alla Sacramentum Caritatis

 

All’Angelus in Piazza San Pietro, Benedetto XVI ha ricordato la visita nella mattinata al carcere minorile di Casal del Marmo, quindi si è soffermato sull’Eucaristia, “sorgente della gioia cristiana”. Il Papa ha messo l’accento sul legame tra la sua prima Enciclica, Deus caritas est e l’Esortazione postsinodale Sacramentum Caritatis, presentata martedì scorso. Poi, guardando alla solennità liturgica di domani, il Pontefice ha invocato San Giuseppe, affinché il Popolo di Dio diffonda gioia e pace in tutta l’umanità. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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Nell’Eucaristia, che Cristo ci ha lasciato come Cibo spirituale, troviamo “la sorgente della gioia cristiana”: è la riflessione offerta dal Papa ai fedeli radunati in Piazza San Pietro per l’Angelus domenicale. Ha poi rammentato che la liturgia di questa quarta domenica di Quaresima “invita a rallegrarci perché si avvicina la Pasqua, il giorno della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte”. Dall’Eucaristia, ha poi ribadito, “scaturisce la gioia cristiana, la gioia dell’amore”:

 

"L’Eucaristia alimenta nei credenti di ogni epoca quella letizia profonda, che fa tutt’uno con l’amore e con la pace, e che ha origine dalla comunione con Dio e con i fratelli".

 

Il Pontefice si è soffermato sull’Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, pubblicata martedì scorso, che ha come tema proprio l’Eucaristia “fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”. Questo documento, ha detto il Papa, è “espressione della fede della Chiesa universale nel Mistero eucaristico e si pone in continuità con il Concilio Vaticano II e il magistero” di Giovanni Paolo II e Paolo VI. Il Papa ha, quindi, sottolineato il legame tra l’esortazione postsinodale e la sua prima enciclica sull’amore cristiano:

 

"Ecco perché ho scelto come titolo Sacramentum caritatis, riprendendo una bella definizione dell’Eucaristia di San Tommaso d’Aquino “Sacramento della carità”. Sì, nell’Eucaristia Cristo ha voluto donarci il suo amore, che lo ha spinto ad offrire sulla croce la vita per noi. Nell’ultima Cena, lavando i piedi ai discepoli, Gesù ci ha lasciato il comandamento dell’amore: 'Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri'".

 

Ma, ha avvertito il Pontefice, “poiché questo è possibile solo rimanendo uniti a Lui, come tralci alla vite, ha scelto di rimanere Egli stesso tra noi nell’Eucaristia perché noi potessimo rimanere in Lui”. Per questo motivo, è stata la sua riflessione, quando “ci nutriamo con fede del suo Corpo e del suo Sangue, il suo amore passa in noi e ci rende capaci a nostra volta di dare la vita per i fratelli”. “Donna eucaristica” per eccellenza, ha proseguito, è Maria “capolavoro della grazia divina”. Accanto a Lei, a custodia del Redentore, ha detto il Papa, “Iddio ha posto san Giuseppe, di cui domani celebreremo la solennità liturgica”:

 

"Invoco particolarmente questo grande Santo, mio patrono, perché credendo, celebrando e vivendo con fede il Mistero eucaristico, il Popolo di Dio sia pervaso dall’amore di Cristo e ne diffonda i frutti di gioia e di pace in tutta l’umanità".

 

Dopo la recita dell’Angelus, il Papa ha rivolto un saluto particolare al Comitato di Collegamento di Cattolici per una Civiltà dell’Amore che, in occasione della festa di San Giuseppe, rilancia la campagna “Adotta un papà”, in collaborazione con gli Istituti missionari, a beneficio delle famiglie povere nei Paesi in via di sviluppo. Infine, ha rivolto un pensiero alla folta rappresentanza dell’UNITALSI, raccolta in Piazza San Pietro, in occasione della sua sesta giornata nazionale.

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Di fronte al peccato, è urgente recuperare la pedagogia della conversione: a ribadirlo è il reggente della Penitenzieria Apostolica,

mons. Gianfranco Girotti

 

“Oggi pare che si sia perso il senso del peccato” ma “abbiamo bisogno tutti di attingere alla fonte inesauribile dell’amore divino”, che si sperimenta in particolare nel Sacramento del perdono e della riconciliazione. Così, Benedetto XVI – venerdì scorso – nell’udienza ai partecipanti al Corso del Foro Interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica e conclusosi l’altro ieri. Il Papa invita a riscoprire la confessione anche nella Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis. Ma in che modo oggi guardare a questo incontro con l’amore misericordioso di Dio? Giovanni Peduto lo ha chiesto a mons. Gianfranco Girotti, reggente della Penitenzieria Apostolica:

 

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R. - Purtroppo, ai nostri giorni, questo Sacramento, così fondamentale per la salute e la santificazione delle anime, appare investito da preoccupante crisi. È proprio per fronteggiare questa crisi che la Penitenzieria si fa carico di promuovere giornate di studio, soprattutto per irrobustire la formazione dei sacerdoti, ministri della riconciliazione, ai quali incombe il dovere grave di possedere una solida dottrina teologica, morale e canonistica. Il Santo Padre, molto opportunamente, nella Esortazione apostolica postsinodaleSacramentum Caritatis”, resa pubblica martedì scorso, ha avuto parole di grande apprezzamento per il Sacramento della Riconciliazione. In particolare, ha invitato tutti a riscoprire il perdono sacramentale. Nel constatare che i fedeli si trovano oggi immersi in una cultura che tende a cancellare il senso del peccato, favorendo un atteggiamento superficiale, che porta a dimenticare la necessità di essere in grazia di Dio, il Papa ha richiamato quegli elementi che esplicitano la coscienza del proprio peccato e contemporaneamente della misericordia di Dio. Ci ha ricordato che il peccato non è mai una realtà esclusivamente individuale e che comporta sempre anche una ferita all’interno della comunione ecclesiale. Incisivo mi è parso il richiamo ad un deciso recupero della pedagogia della conversione, che nasce dall’Eucaristia e favorisce la confessione frequente.

 

D. - Anche il ricorso alle Indulgenze viene sottolineato dal Santo Padre …

 

R. - Siamo molto riconoscenti al Santo Padre per il richiamo che Egli ha fatto a tutti i fedeli del dono delle Indulgenze. Non bisogna dimenticare che la dottrina e la pratica delle Indulgenze nella Chiesa sono strettamente legate agli effetti del Sacramento della Penitenza. Il Catechismo ci ricorda che l’Indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, remissione che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della Chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei Santi. Il Santo Padre, nella citata Esortazione, ricorda che l’uso delle Indulgenze ci aiuta a comprendere che con le nostre sole forze non saremmo capaci di riparare al male compiuto.

 

D. - Non è mancato nel vostro Corso l'attenzione ai coniugi: cosa dire della crisi dell'Istituto del matrimonio?

 

R. - In un’epoca di profondi mutamenti sociali, di mentalità come la nostra, che hanno profondamente inciso sulla pratica cristiana, il Sacramento del Matrimonio ha una sua particolare attenzione. Non raramente, nell’ambito del Foro Interno, più spesso in quello sacramentale, ma talvolta anche in quello non sacramentale, si presentano situazioni di particolare delicatezza e perciò di particolare impegno per il confessore. La dottrina e la prassi ufficiale della Chiesa tuttora in atto cerca di percorrere una via fedele al mandato rivoltole dal suo Signore, che è quello di amministrare il perdono e la misericordia. La Chiesa, anche di fronte a situazioni talvolta delicatissime, - e il Santo Padre ce lo ricorda nella sua recente Esortazione Apostolica - agisce sempre secondo lo spirito di Gesù, che ha compassione dei peccatori, non spezza la canna incrinata e non spegne il lucignolo fumigante.

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Oggi in Primo Piano

 

Da 28 anni al fianco dei bambini delle baraccopoli thailandesi:

 il racconto di padre Adriano Pelosin, missionario del PIME

 

Dolore e abbandono. E’ questo che accomuna i bambini delle baraccopoli di Bangkok. A prendersi cura di loro, padre Adriano Pelosin, missionario del PIME, da 28 anni in Thailandia, di cui gli ultimi 10 trascorsi nelle zone più degradate della capitale. Qui ha creato 10 case famiglia in cui ospita 200 bambini, mentre altri 2000 sono assistiti grazie a una rete di volontarie e nonne adottive. Al microfono di Antonella Villani padre Adriano descrive il volto di questa città:

 

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R. - Bangkok è una città ricchissima. Ma questa è l’apparenza, piena di macchine, autostrade, sopraelevate, ecc. Poi invece ci sono queste cittadine, dentro la città di Bangkok, che vivono la miseria sia fisica sia morale, dove ci sono tantissimi problemi. Soprattutto troppa disoccupazione oppure “l’occupazione criminale”. Purtroppo, abbiamo trovato tantissimi bambini senza genitori, senza assistenza, che non andavano a scuola…

 

D. – Lei sono 28 anni che vive in Thailandia ma nelle baraccopoli è entrato solo dieci anni fa. Perché?

 

R. - Sapevo di questa realtà però non avevo mai il coraggio di entrarci dentro perché mi faceva paura. Era un po’ un pregiudizio perché poi quando ho cominciato, ho visto che la gente quasi aspettava che qualcuno si interessasse di loro e così abbiamo cominciato con due bambine figlie di una prostituta che vivevano in una baracca. Metà del pavimento era nel fango; abbiamo riparato la baracca, poi abbiamo capito che la mamma non sarebbe tornata, se non ogni venti giorni e da lì c’è venuta l’idea di dover fare qualcosa per i bambini.

 

D. – In questi dieci anni avete aperto dieci case famiglia. Che tipo di assistenza offrite?

 

R. – Soprattutto protezione, affetto che questi bambini non hanno avuto nella vita. In secondo luogo, da mangiare, da bere, vestiti, e la scuola. Ci preoccupiamo che tutti i bambini delle baraccopoli dove operiamo, vadano a scuola. E’ essenziale per inserire questi giovani nella società più grande di Bangkok.

 

D. – Oggi, alcuni di questi bambini vanno già nelle università…

 

R. – Questa è una cosa eccezionale perché non era mai capitato che un ragazzo della baraccopoli potesse arrivare all’università. Questi ragazzi, tra l’altro, dopo scuola, aiutano i ragazzi più piccoli a fare i compiti.

 

D. – Chi finisce nelle baraccopoli, non ci finisce tanto per una questione di mancanza di soldi, ma per come li sperpera. Come rompere questa spirale?

 

R. – I thailandesi che vengono dalla periferia, vengono dai villaggi per cercare fortuna in città. Non sono preparati alla vita esigente della città: alla mattina bisogna alzarsi presto, fare due o tre ore di autobus nel traffico, lavorare otto ore pagati molto poco perché non hanno istruzione, allettati dalle tante cose di Bangkok: divertimenti, cibi, spendono più di quanto prendono, si indebitano con gli usurai, alcuni se ne ritornano a casa però a casa, a volte, non c’è più niente perché hanno venduto tutto e allora si costruiscono una capanna. Sono persone piene di problemi, e allora qualsiasi cosa va bene: la droga, per esempio, è un modo per fare soldi molto in fretta. Magari nascono dei figli e questi bambini non hanno una famiglia, non hanno chi li segua, e anche loro entrano in questo tipo di vita di sopravvivenza.

 

D. – Quindi la scuola è un sistema per tirarli fuori?

 

R. – Con la scuola noi cerchiamo anche di dare loro il valore della vita, dell’onestà, della amicizia. Devono accettare un po’ la situazione cioè perdonare i genitori che li hanno abbandonati e perdonare quelli che li hanno seviziati, in modo che prendano coscienza della loro situazione e sappiano poi gestirla senza buttarsi nella droga, nell’alcool, per non ricordare queste esperienze cattive della loro vita.

 

D. – Le difficoltà sono tante. Che cos’è che la spinge ad andare avanti?

 

R. – I bambini hanno la capacità di dar forza, riescono a fare dei miracoli verso tante persone che vengono ad aiutarci o visitarci.

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Lo sviluppo mancato dell’Africa nell’indifferenza dei Paesi ricchi denunciato in un convegno del VIS-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo

 

Perché lo stallo e l’arretramento dello sviluppo in Africa? Perché l’Africa non é mai al centro della politica internazionale? Domande alle quali si è cercato di dare risposte in un convegno organizzato, nei giorni scorsi, a Roma dal VIS-Volontariato Internazionale per lo Sviluppo e patrocinato dal comune capitolino. Un incontro durante il quale si sono analizzate la cause del mancato sviluppo del continente ma soprattutto le possibili soluzioni. Ce ne parla Francesca Sabatinelli:

 

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Se l’Africa è il continente che meglio rappresenta le angosce e le speranze della nostra contemporaneità, se è lì che si palesano le contraddizioni della nostra globalizzazione, allora perché l’Africa nell’agenda internazionale non trova una giusta collocazione? E’ questa sicuramente una provocazione, ma anche una fondamentale questione che deve interrogare soprattutto l’Europa, continente fratello che deve abbandonare le politiche colonialiste ancora oggi esistenti. L’Africa non è più da depredare e da sfruttare, è una terra alla quale ridare soggettività, sono le nuove generazioni che la esigono, loro che non sono soggiogate da modelli esterni di sviluppo, ma pronte a cercarne di propri. Grande ruolo quello della cooperazione che non deve essere più episodica ma sistematica, come sottolinea Antonio Raimondi presidente del VIS – Volontariato Internazionale per lo Sviluppo:

 

“Per noi l’Africa non è un continente da sfruttare e da colonizzare e anche le ONG devono avere un approccio nuovo. Noi possiamo certamente dare delle cose importanti, come per esempio la democrazia, i diritti umani, la capacità di leggere l’organizzazione dell’economia della società europea, ma questo senza imporre modelli. La democrazia non si esporta. E’ un cammino lungo da fare con la società civile africana”.

 

Fondamentale è per l’Africa il passaggio da condizioni “infra-umane” a condizioni umane, spiega il congolese Jean Leopardi Touadi, assessore capitolino, giornalista e scrittore, il cui ultimo libro si intitola Africa in Pista. A breve si arriverà ad un miliardo di abitanti. E’ a loro che bisogna restituire i beni fondamentali, occorrono rapporti internazionali improntati alla giustizia, bisogna abbandonare il pietismo:

 

“L’Unione Europea deve capire che l’Africa è il suo interesse. Non è una questione umanitaria, è una scelta geopolitica per la sua stabilità e per la sua prosperità. Se non si capisce questo, esponiamo le future generazioni a dei pericoli, derivanti da un vicino di casa instabile e povero”.

 

Pace, giustizia e sviluppo è ciò che oggi serve all’Africa, continente tanto ricco di risorse e potenzialità eppure schiacciato da un inesorabile ritardo economico e sociale.

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Il disfacimento di una famiglia a causa degli egoismi raccontato

 nel film Proprietà privata del regista belga Joachim Lafosse

 

Una casa, una madre, una famiglia: il crollo degli affetti viene tragicamente raccontato nel secondo lungometraggio del regista belga Joachim Lafosse, Proprietà privata – Nue proprieté, da venerdì sugli schermi italiani. Film intenso che ha ricevuto una menzione speciale da parte della Giuria del Premio Signis all’ultima Mostra cinematografica di Venezia. Il servizio di Luca Pellegrini:

 

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“Non può vendere la casa, non ha il diritto, è nostra! E’ nostra! Papà l’ha data a noi! Lei non c’entra, è nostra!

 

Tu vuoi che crepi qui dentro, vero? Vuoi la mia morte!”

 

“Basta un’onda d’urto, la possibile vendita della casa, perché tutto l’edificio crolli, perché il legame che unisce Pascale, la madre, ai suoi figli faccia emergere tutta la propria violenza. Il mio film è il racconto dell’esplosione di un mondo circoscritto, in cui la violenza è la conseguenza di un divorzio incompiuto, in cui la rivalità dei due figli è lo specchio della rivalità irrisolta dei genitori”. Così Joachim Lafosse descrive incisivamente Nue proprieté, un film “nudo” come la casa co-protagonista, spoglio e arido come i cuori di chi vi abita. I figli sono Thierry e François, legati indissolubilmente da un rapporto d’amore e rivalità con i genitori, che vedono, nei loro litigi, la causa dello sfacelo della loro vita affettiva e familiare. In un mondo circoscritto e affaticato, le pareti della casa rimangono l’unico riferimento stabile nella liquidità e dissolubilità dei sentimenti e dei rapporti.

 

Quando la madre, una intensa e splendida Isabelle Huppert, decide di venderla, l’innestarsi delle tensioni porterà alla tragedia. Un film in cui minuziosa e perfettamente scandagliata è l’analisi del crollo del nucleo familiare, quando le regole non sono più dettate dall’affetto ma dagli egoismi, quando i mattoni dell’esistenza cedono d’importanza rispetto a quelli materiali di un edificio. La casa e la famiglia, in questa dimensione distorta, divengono la prigione, l’arena in cui ferirsi, in cui la libertà e il rispetto sono soppiantati dall’interesse personale. L’incomunicabilità vera trionfa, non si ascoltano più le ragioni altrui. Vittime tutti di un materialismo sociale e culturale in cui la proprietà – di un bene, ma anche di una persona – diventano termine di riferimento per la propria vita: i personaggi del bel film di Lafosse sono gli esempi di un mondo lacerato che, forse non accorgendoci più, potrebbe essere quello dei nostri vicini. E che ha disperatamente bisogno d’aiuto.

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Chiesa e Società

 

Al via domani ad Haiti il XVI Congresso latinoamericano e caraibico

 della Caritas e il III Incontro continentale di pastorale sociale-Caritas

 

Sviluppo e democrazia, riconciliazione e pace, migrazioni: sono i temi principali del III Incontro continentale di pastorale sociale-Caritas e del XVI Congresso latinoamericano e caraibico della Caritas, che si apriranno domani ad Haiti. Le due iniziative - si legge nel comunicato che annuncia gli incontri - hanno lo scopo di rinforzare e coordinare le azioni solidali che dovranno essere portate avanti per accompagnare le persone e le comunità più povere dell’America Latina. Si tratta di un nuovo passo verso la V Conferenza generale di Aparecida, in Brasile, prevista dal 13 al 31 maggio, che sarà aperta da Benedetto XVI. Fino al 24 marzo, ad Haiti si discuterà anche di questioni legate alla giustizia, alla riconciliazione e alla pace, alle migrazioni e alla tratta delle persone, all’ecosistema, alla gestione dei rischi e delle emergenze e allo sviluppo umano integrale e solidale. “Il mondo attende da noi una luce, un segno chiaro che un altro mondo è possibile”, ha detto all’agenzia Fides mons. Gregorio Rosa Chávez, presidente regionale della Caritas. L’Incontro continentale di pastorale sociale-Caritas si realizza ogni quattro anni dopo una serie di incontri zonali che analizzano la realtà sociale, politica, economica, culturale ed ecclesiale di ogni Paese e pongono le basi per il Congresso. In queste riunioni, ogni nazione ha presentato progetti che illustrano problematiche e risultati ottenuti. Padre Francisco Hernández, coordinatore regionale della Caritas, da mesi ad Haiti per preparare gli eventi, ha spiegato che la scelta di questo Paese, il più povero del continente americano come sede per un incontro ecclesiale, è un modo per guardare “agli ultimi, agli esclusi e ai più poveri”. (L.B)

 

 

In Myanmar, il Comitato Internazionale della Croce Rossa chiude due uffici

a causa delle forti restrizioni da parte del governo

 

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) ha reso noto di aver chiuso due dei suoi uffici nel Myanmar a causa delle restrizioni imposte dal governo militare. Provvedimenti che hanno portato alla 'semi-paralisi' delle loro attività. L’ente umanitario ha dichiarato che il suo personale non ha potuto far visita ai detenuti nell’ex Birmania o svolgere inchieste indipendenti nelle aree “sensibili” alle frontiere, e quindi di non poter rispettare il proprio mandato di garantire aiuti umanitari neutrali. “Un recente incontro con il ministro dell’Interno non ha avuto sbocco”, ha dichiarato in un comunicato il direttore delle operazioni Pierre Kraehenbuehl. “Per questo il CICR ha deciso di chiudere due dei suoi uffici, uno a Mawlamyine (Stato di Mon) e l’altro a Kyaing Tong (Stato di Shan Est). È da valutare con attenzione - conclude il comunicato - se mantenere aperti gli altri uffici d’area”. Il governo canadese ha giudicato “inaccettabile” il comportamento del governo di Myanmar e chiede immediatamente all'esecutivo – in un comunicato del ministro degli Esteri, Peter Mackay – di autorizzare il CICR a ricominciare a lavorare senza ostacoli e di eliminare le restrizioni che hanno compromesso le possibilità del Comitato di svolgere il proprio mandato. (E.L.)

 

 

Negli ultimi due mesi, in Africa, circa 1700 morti

per l’epidemia di meningite

 

Sono 1670 le persone morte e quasi 16 mila quelle contagiate negli ultimi due mesi in Africa dalla epidemia di meningite. Lo riferisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), precisando che, finora, circa 1 milione e 500 mila persone hanno potuto beneficiare delle campagne di vaccinazione lanciate nei quattro Paesi maggiormente colpiti: Burkina Faso, Repubblica Democratica del Congo, Sudan e Uganda. Come riferisce l’agenzia MISNA, la situazione più grave è quella del Burkina Faso, dove, dallo scorso gennaio, la meningite ha causato la morte di 432 persone e il contagio di 5 mila. Il ministero della Sanità di Ouagadougou ha lanciato un appello per la consegna rapida di nuove dosi di vaccino, dal momento che, nonostante le recenti richieste di aiuto, le scorte delle autorità sanitarie sono quasi terminate. Il Burkina Faso, così come gli altri Paesi interessati dalle epidemie in corso, si trova in quella che gli esperti chiamano “la fascia della meningite”, la zona a sud del Sahara che va dal Senegal all’Etiopia, in cui vivono 300 milioni di persone. La meningite, in genere, fa la sua comparsa durante la stagione secca, quando, tra dicembre e gennaio, comincia a spirare il caldo e secco vento Harmattan, principale vettore dei germi responsabili della malattia. (R.M.)

 

 

Da oggi in vigore la Convenzione dell’UNESCO sulla protezione

delle diversità culturali. Il documento promosso dalla Francia

è stato ratificato da 53 Stati

 

Entra oggi in vigore la convenzione promossa dall'UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali. Il documento era stato adottato meno di un anno e mezzo fa. La prossima tappa sarà la prima conferenza degli Stati aderenti, in programma tra il 18 ed il 20 giugno prossimo. In tale occasione, ha detto il portavoce del ministero degli Esteri francese, Jean-Baptiste Mattei, “saranno definiti i grandi orientamenti e la messa in opera del testo”. Ad oggi la Convenzione è stata ratificata da 53 Paesi tra i quali 19 Stati membri dell’Unione Europea e 27 Stati membri associati all'area francofona. Lanciata nel 2002 e promossa da Francia e Canada, la Convenzione è stata approvata dall'UNESCO il 20 ottobre 2005 a Parigi. Solo Israele e Stati Uniti, su un totale di 150 Paesi, avevano votato contro, mentre quattro governi si erano astenuti. Il documento, che consacra il ruolo della cultura come attore dello sviluppo, autorizza gli Stati - rompendo le regole del commercio internazionale - a prendere una serie di misure di sostegno alle diverse espressioni culturali. Per esempio, saranno possibili sovvenzioni al teatro, la fissazione di un prezzo unico per i libri, e ancora la protezione dei monumenti storici e quote per la diffusione musicale al fine di proteggere una lingua. Il contenuto del documento è stato al centro di accese polemiche da parte degli Stati Uniti. Il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice, aveva dichiarato che “la convenzione permetteva a dei regimi dispotici di soffocare i dissidenti o le minoranze etniche”. In risposta alle polemiche mosse da Washington, i governi di Francia, India e Brasile hanno ricordato che il cinema americano monopolizza attualmente l'85 per cento della diffusione mondiale. (A.G.)

 

 

Rappresentata in prima assoluta, ieri sera a Todi, un’opera teatrale

sulla figura di Jacopone, nel VII centenario della morte

 

Ieri sera, nella basilica cattedrale di Todi, in Umbria, in occasione delle celebrazioni per il VII centenario della morte di Jacopone da Todi (1306 – 2006), la compagnia teatrale “I Rusteghi” ha ricordarto l’autore delle laudi con “Jacopone”. L’iniziativa riferisce l’agenzia SIR, in collaborazione con l’Ufficio Cultura della diocesi di Orvieto-Todi, ha voluto portare in scena l’opera, mai finora rappresentata, di Margherita Chiaramonti Caporali. Scomparsa nel 1988, la poetessa tuderte aveva riportato in auge il teatro sacro con diverse rappresentazioni. Di “Jacopone”, mistero in tre atti e cinque quadri, stampato in pochi esemplari numerati fuori commercio nel 1948 e dedicato appunto alla vicenda di Jacopone da Todi, la compagnia teatrale ha proposto un adattamento, in prima assoluta, che, pur modificando parzialmente l’impianto scenico, conserva l’originaria ispirazione della scrittrice senza tradirne lo spirito devozionale e didascalico. Lo spettacolo sarà replicato stasera alle 21 a Collazone, nella chiesa di San Lorenzo. (T.C.)

 

E’ nata a Bologna “Antoniano onlus”, iniziativa

per finanziare i progetti di solidarietà nel mondo

 

Si chiama “Antoniano onlus” e finanzierà progetti di solidarietà nel mondo, ma anche la mensa dei poveri e il centro di riabilitazione del capoluogo emiliano. A 50 anni dalla fondazione dell’Antoniano dei Frati minori di Bologna, questa nuova realtà intende “facilitare il rapporto con i donatori”, ha spiegato all'Agenzia SIR, padre Alessandro Caspoli, direttore dell’Antoniano, e a “dare risposte concrete a situazioni di disagio”. Con il progetto “Il fiore della solidarietà”, ad esempio, l’Antoniano finanzia in tutto il mondo, dal ’91 ad oggi, scuole, ospedali, case famiglia, centri di accoglienza, ambulatori. Il centro di riabilitazione “Antoniano insieme” assiste circa 120 bambini con disabilità diverse. La mensa del povero ospita invece, ogni giorno, circa 60 persone e opera anche come centro di ascolto. La nascita della onlus è accompagnata da una campagna mediatica intitolata “Testimoni non testimonial”, per dire che “non ci sono vip che invitano a donare”, né “pietismo ad ogni costo”: protagonisti sono i donatori, destinatari stessi della comunicazione. (R.P.)

 

 

RADIO VATICANA

Radiogiornale

24 Ore nel Mondo

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

- La reazione di Israele al programma del nuovo governo di unità nazionale palestinese sembra irremovibile: l’esecutivo dello Stato ebraico ha approvato la proposta presentata dal premier, Ehud Olmert, di boicottare il nuovo governo di unità nazionale. E’ stata anche confermata la sospensione dei finanziamenti all’Autorità Nazionale Palestinese: l’amministrazione statunitense ha annunciato di non voler sbloccare gli aiuti ma si è detta pronta ad avviare contatti con alcuni esponenti dell’esecutivo palestinese. L’Unione Europea ha reso noto, poi, che la ripresa degli aiuti dipenderà da una definizione delle azioni del nuovo governo. L’esecutivo di unità nazionale palestinese, che ieri ha ricevuto la fiducia del Consiglio legislativo, nasce dunque tra molte insidie ma costituisce, comunque, un fatto positivo. E' quanto sostiene, al microfono di Amedeo Lomonaco, il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa:

 

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R. – Il nuovo governo palestinese ha appena ricevuto la fiducia. Non è la prima volta che si parla di governo di unità nazionale. Ci sono ancora molti problemi. Le tensioni tra al Fatah e Hamas sono ancora molto alte, per cui è sicuramente un gesto molto positivo, ma ci sono ancora molti punti di discordanza tra Israele ed i palestinesi e all’interno della stessa compagine governativa. Bisognerà vedere quale linea prevarrà per sapere se veramente siamo ad un punto di svolta o siamo ancora in una situazione di stallo.

 

D. – Il governo israeliano ha già reso noto di non voler collaborare con il nuovo esecutivo palestinese. Si possono comunque scorgere segnali di speranza?

 

R. – Il comunicato del governo israeliano non stupisce. Anzi, era previsto. Sappiamo anche che ci sono comunicati ufficiali, ma poi ci sono anche situazioni reali. Un minimo di dialogo ci sarà sicuramente. Anche all’interno della politica israeliana è stato detto che bisogna conservare almeno un punto di riferimento dentro al governo, perchè il dialogo è imprescindibile.

 

D. – Il dialogo per trovare un punto di incontro forse dovrebbe partire da una ricerca maggiore di concordia tra Hamas e Fatah, per tendere la mano ad Israele; poi Israele dovrebbe togliere l’embargo e cercare di non boicottare il governo palestinese. Sono questi i due punti chiave?

 

R. – Sì, questi sono i punti chiave. Bisogna dire, però, che c’è ancora molto sospetto, molta paura e rancore sia da parte israeliana sia da parte palestinese. Per cui ci vorrà, secondo me, ancora molto tempo prima che il governo israeliano faccia un passo, un gesto concreto, nei confronti dell’Autorità Nazionale Palestinese.

 

D. – La Chiesa cosa sta facendo e cosa può fare per accompagnare la popolazione palestinese verso un nuovo futuro di pace?

 

R. – La Chiesa sta facendo molto dal punto di vista sociale, con le sue istituzioni, con le sue opere. E poi i vescovi e tutti i cattolici insistono sul bisogno di riconciliazione, di unità e sull’importanza del dialogo. Di più non possiamo fare.

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- In Iraq, sei soldati americani sono stati uccisi, ieri, per l’esplosione di due bombe di fabbricazione artigianale mentre erano di pattuglia nelle vie di Bagdad e in zone limitrofe. Un altro militare è morto accidentalmente a Tikrit. E’ quanto ha riferito oggi il Comando militare americano. E’ così salito a 3.219 il numero dei soldati americani uccisi dall’inizio dell'intervento militare americano in Iraq nel marzo 2003.

 

- Il giornalista italiano del quotidiano "La Repubblica", Daniele Mastrogiacomo, rapito lo scorso 5 marzo in Afghanistan, non è stato liberato. Lo ha reso noto il governo italiano smentendo la notizia, diffusa questa mattina, del rilascio del giornalista. L’organizzazione non governativa Emergency ha fatto sapere che nelle trattative, arrivate molto vicino al rilascio, sono sorti problemi perchè non sono state soddisfatte tutte le condizioni poste dai talebani. Il nostro servizio:

 

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La speranza, accesa dalla notizia del rilascio data dall’agenzia Reuters, si è trasformata presto in prudenza: le verifiche avviate dal ministero degli Esteri italiano non hanno purtroppo portato alle conferme sperate. Le agenzie di stampa hanno prima riferito che Daniele Mastrogiacomo ed il suo interprete sarebbero stati consegnati a capi tribali, nel ruolo di mediatori. La notizia, diffusa per certa a Kabul, non ha trovato ulteriori conferme. Successivamente, i talebani hanno smentito il rilascio di Mastrogiacomo ed il vice presidente di Emergency ha dichiarato che non sono state interamente soddisfatte le condizioni dei sequestratori. L’unica certezza è che le trattative, ritenute questa mattina vicine ad un esito positivo, adesso sembrano arenate. Ieri, sono stati rilasciati, come richiesto dai rapitori, due detenuti nelle carceri afgane. Secondo varie fonti, i talebani sono ora in attesa della liberazione di un terzo uomo. I negoziati procedono e la vicenda del giornalista italiano non si sblocca. Le ultime notizie non sono rassicuranti, ma tengono comunque accesa la speranza: fonti di Palazzo Chigi hanno confermato che “Daniele Mastrogiacomo non è libero e si sta lavorando febbrilmente con tutti i contatti possibili”.

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- Cesare Battisti, membro dei Proletari Armati per il Comunismo (PAC), latitante dal 2004 è stato arrestato in Brasile. Lo si apprende da fonti giudiziarie, riprese da alcune agenzie di stampa italiane.

 

- Urne aperte in Finlandia per rinnovare i 200 seggi del Parlamento. Sono circa 4,3 milioni i finlandesi chiamati al voto. L'esito delle elezioni appare incerto, con la maggioranza di centrosinistra in leggero vantaggio nei sondaggi rispetto ai conservatori. Il servizio di Vincenzo Lanza:

 

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Le elezioni odierne sono in un certo senso storiche. Sono, infatti, cento anni da quando in Finlandia venne costituito il Parlamento unicamerale, dopo aver proclamato la propria indipendenza nel 1907 come Granducato, sotto lo Zar di Russia. E primo Paese al mondo, in Finlandia, venne deciso, sempre cento anni fa, il diritto di voto delle donne e contemporaneamente la loro eleggibilità in Parlamento. In questa campagna elettorale per il 35.mo Parlamento dal lontano 1907, non ci sono stati i tradizionali toni accesi di scontri ideologici su questioni interne. La coalizione di centro, socialdemocratici e liberali di lingua svedese si vanta di aver creato stabilità e benessere economico e quindi si presenta all’elettorato con la certezza-speranza di una riconferma. Probabile quindi che il premier uscente, il 51.enne centrista, Matti Vanhanen, sarà ancora capo del governo, dopo lo scrutinio delle urne questa notte. Poco dibattuti argomenti come adesione alla NATO, necessità di aumentare la difesa con mezzi tecnici più efficienti, in un momento in cui la Russia sta dislocando più vicino alla frontiere finlandese missili e militari; non ultima, c’è la questione di come non perdere la capacità di controllare le acque del Golfo di Finlandia a Nord del Mar Baltico, sempre più nella sfera di interessi russi, che stanno già progettando un enorme oleodotto e gasdotto sottomarino, collegato alla Germania settentrionale.

 

Per la Radio Vaticana, da Stoccolma, Vincenzo Lanza.

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- Successo del keniano Chelimo Kemboi nella Maratona di Roma. L’atleta africano si è imposto fermando il cronometro sul tempo di 2h09’36. Secondo posto per lo spagnolo Josè Manuel Martinez, primo degli europei; la terza piazza è andata all’altro keniano Johnatan Kiprokoi Kosgeila. La vittoria tra le donne va all'algerina Souad Ait Salem. Il via alla maratona è stato dato questa mattina dal sindaco di Roma, Walter Veltroni. Ad aprire la corsa un grande striscione su cui c'era scritto “Liberate Daniele Mastrogiacomo”. Alla maratona si sono iscritte oltre 15 mila persone.