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RADIOGIORNALE

Anno LI n. 74 - Testo della trasmissione di giovedì 15 marzo 2007

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il cardinale Ivan Dias inviato speciale del Papa per il centenario dell’evangelizzazione del Ghana

 

Il vescovo di San Marino-Montefeltro, Luigi Negri, sottolinea gli effetti del legame tra Eucaristia e società, illustrati nell’esortazione del Papa "Sacramentum Caritatis”

 

Oggi su “L’Osservatore Romano”

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Gli abusi e le violenze contro donne e bambine della Costa d'Avorio denunciate in un Rapporto di Amnesty International: ce lo illustra Riccardo Noury

 

Presentato a Roma un documentario sulla drammatica prigionia di migliaia di libanesi nelle carceri siriane: con noi Roger Bou Chahine

 

Varato ieri, nella provincia di Trento, un piano che prevede 31 proposte di sostegno sociale a favore delle famiglie: ce ne parla Lorenzo Dellai

 

Al canadese Charles Taylor, docente di Legge e Filosofia all''Università dell'Illinois, l'edizione 2007 del Premio Templeton: il professore ai nostri microfoni

 

Orfani, profughi, ammalati di AIDS: in Etiopia, 5 milioni e mezzo di bambini vivono in condizioni di estrema precarietà:. Intervista con padre Dino Viviani

 

CHIESA E SOCIETA’:

Timor Est: governo e ribelli chiedono la mediazione della Chiesa per una soluzione di pace

 

Contro il nuovo programma nucleare del governo britannico una coalizione di personaggi pubblici e leader religiosi. Tra questi anche il vescovo di Lancaster

 

Il Parlamento europeo ribadisce il suo "no" agli esperimenti nucleari e chiede maggiori controlli su esportazioni di materiali fissili

 

Polemiche in Spagna, dopo il decesso di una donna che aveva chiesto e ottenuto il distacco dal respiratore artificiale che la teneva in vita

 

"San Raffaele dei Caraibi”, nasce la nave-ospedale che porterà assistenza sanitaria nei villaggi e nelle isole più povere della Costa del Pacifico

 

Suor Eugenia Bonetti eletta “Donna di coraggio” per la sua azione a favore delle vittime del traffico degli essere umani

 

Dal 24 marzo, capolavori dell'arte europea in mostra al Quirinale per celebrare il 50.mo anniversario dei Trattati di Roma

 

24 ORE NEL MONDO:

Sulla questione nucleare, sanzioni in vista per l’Iran, mentre si conferma la Risoluzione della Crisi per quanto riguarda la Corea del Nord

 

 

 

 

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Il Papa e la Santa Sede

 

Nomine

Benedetto XVI ha proseguito, nell'arco della mattinata, le udienze ai presuli della Puglia in visita ad Limina. Ieri, al termine dell'udienza generale, il Papa aveva incoraggiato i fedeli della Regione italiana a sentirsi “sempre più coinvolti nella missione della Chiesa” per rispondere “alle numerose sfide sociali e religiose dell’epoca attuale”. E aveva esortato gli stessi vescovi pugliesi a “sollecitare” i fedeli delle varie diocesi ad aderire “integralmente” al Vangelo e “alle esigenze morali che da esso scaturiscono”.

 

Il cardinale Ivan Dias inviato speciale del Papa

per il centenario dell’evangelizzazione del Ghana

 

Benedetto XVI ha nominato il cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, come suo inviato speciale alle celebrazioni del centenario dell'evangelizzazione del Ghana, che avranno luogo a Navrongo il prossimo 23 aprile.

 

 

Il vescovo di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri,

sottolinea gli effetti del legame tra Eucaristia e società,

illustrati nell’esortazione del Papa "Sacramentum Caritatis”

 

L’Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI Sacramentum Caritatis è un insegnamento che il popolo cristiano si aspettava e in cui si riconoscerà con una profondità immediata. E’ quanto sostiene il vescovo di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri, sottolineando come la centralità dell’Eucaristia, in rapporto alla Chiesa e ai Sacramenti, si riveli anche fondamento di un’esperienza umana vissuta negli ambiti sociali, economici e politici della storia. Ascoltiamo lo stesso mons. Luigi Negri al microfono di Luca Collodi:

 

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R. - L’Eucaristia è il fondamento dell’ecclesiologia, ma è anche il fondamento di un’antropologia, di un’esperienza umana che non è vissuta fuori dal tempo ma nella storia, nelle circostanze economiche, politiche, sociali, ambientali. E' vissuta dentro la pressione di un’ideologia certamente anticristiana, che è particolarmente forte e pervasiva in tutto il mondo. Ecco, allora, che da questo fulcro eucaristico nasce una visione adeguata dell’uomo e della sua realtà e quindi c’è un legame fra l’Eucaristia e la societas. C’è un legame fra l’Eucaristia e coloro che nella societas si assumono la responsabilità molto impegnativa di portare questa antropologia adeguata, come avrebbe detto Giovanni Paolo II, dentro la vita sociale. Ecco perché non c’è da gridare allo scandalo se da questa centralità dell’Eucaristia vengono tirate conseguenze di carattere sociale sulla vita della famiglia, sulla sua responsabilità, sui suoi diritti educativi. Non c’è da scandalizzarsi se vengono tirate delle conseguenze sul fatto che chi celebra l’Eucaristia non può poi tollerare e consentire leggi che sono evidentemente eversive dell’antropologia personale e familiare che dall’Eucaristia scaturisce. Quindi, io credo che dobbiamo essere grati al Papa di questo itinerario compiuto, che va dall’Eucaristia alla vita sociale o, si potrebbe dire più tradizionalmente, dalla fede alle opere.

 

D. - Mons. Negri, non c’è secondo lei il rischio che questa Esortazione apostolica sia interpretata dalla gente comune come un Cristo che si allontana dalla gente, dalle esigenze più semplici della persona umana, della vita quotidiana?

 

R. - Io credo che sia un Cristo che non si allontani dalla vita della gente e da quella nostra gente che - come il Papa ha detto al COngresso di Verona - è così legata alla Chiesa. Questo è un insegnamento che il popolo cristiano si aspettava e si aspetta, in cui si riconoscerà con una profondità immediata: il popolo cristiano deve poi essere evidentemente educato dai pastori e dai sacerdoti. Credo invece si allontani da quella gente da cui Cristo è già lontano o da coloro che si sono allontanati, e che quindi cercano un’immagine della Chiesa e di Cristo che sia il più possibile corrispondente alla mentalità dominante. Noi pastori, soprattutto noi, dobbiamo aver cura del popolo, non della mentalità massmediatica. E’ scontato che la comunità massmediatica giudicherà negativamente questo documento, come alcuni documenti della Chiesa di questo Papa o dei predecessori. Ma la preoccupazione per noi è fare di questa esortazione il fulcro di una vera catechesi e, quindi, di una vera pastorale.

 

D. - Mons. Negri, la società civile potrebbe dare una lettura politica, ideologica, di questa Esortazione di Papa Benedetto XVI…

 

R. - Certamente la darà, ma anche a questo livello noi dobbiamo insistere con il Santo Padre che noi non vogliamo imporre alla società nessuna visione. Noi poniamo nella società la nostra visione. E’ dovere di coscienza porre nella società questo pensiero alto. Noi saremmo infedeli a noi stessi e, soprattutto, non ameremmo la società se non mettessimo dentro la società questo pensiero alto. E’ questo impatto con il pensiero alto della Chiesa che ha poi fatto camminare non solo la Chiesa, ma tutta la società verso una visione della umanità certamente meno barbara e meno involuta di quella di partenza.

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Oggi su "L'Osservatore Romano"

Servizio vaticano - In primo piano: articolo di Gaetano Vallini dal titolo “Un orizzonte ristretto”.

Servizio estero - In evidenza la Corea del Nord, che si è detta pronta a chiudere il reattore atomico di Yongbyon.

Servizio culturale - Un articolo di Gian Filippo Belardo dal titolo “Stati d’animo e paesaggi dell'interiorità che rompono gli schemi spazio-temporali”: la mostra “Chagall delle meraviglie” aperta al Vittoriano fino al 1° luglio.

Servizio italiano - In rilievo l’incontro tra il premier italiano, Romano Prodi, e il presidente russo, Vladimir Putin.

 

 

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Oggi in Primo Piano

 

Gli abusi e le violenze contro donne e bambine della Costa d'Avorio

denunciate in un Rapporto di Amnesty International

 

Migliaia di donne, di bambine, contro le quali consumare abusi di ogni tipo. E' quanto accade da anni nella Costa d'Avorio, teatro di una sanguinosa lotta intestina che sembra sul punto di concludersi. Sin dall’inizio del conflitto, Amnesty International ha cominciato una serie di verifiche delle violazioni dei diritti umani commessi nel Paese africano. Il risultato è un Rapporto che l'organismo internazionale ha reso noto oggi e che denuncia la gamma di violenze commesse. A parlarne al microfono di Alessandro De Carolis è Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:

 

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R. - Amnesty International ha iniziato a seguire con molta attenzione le vicende riguardanti i diritti umani in Costa d’Avorio da cinque anni, da quando la rivolta armata ha gettato il Paese in una crisi politica della quale si vede, forse, solo adesso la fine. Come in ogni altro conflitto armato, le vittime privilegiate della violenza sono le donne. In Costa d’Avorio, così come in tanti altri Paesi, Amnesty international ha riscontrato l’uso della violenza sessuale e dello stupro come una vera e propria tattica militare. Purtroppo, anche in questo caso, quasi cinque anni di violenza nei confronti delle donne hanno provocato terrore dilagante e, in particolare nell’ovest del Paese, hanno fatto migliaia e migliaia di vittime.

 

D. - Nel Rapporto, tra le altre, c’è una precisazione agghiacciante e cioè che spesso le violenze vengono commesse alla presenza dei familiari stessi delle vittime …

 

R. - Sì, e purtroppo anche questa non è una novità perché fa parte della strategia del terrore e dell’umiliazione, quella cioè di compiere stupri di gruppo anche in pubblico, in particolare proprio di fronte ai familiari delle vittime. Lo abbiamo riscontrato in Costa d’Avorio così come in precedenza nella Repubblica Democratica del Congo, in Rwanda ed ancora prima - in parti più vicine a noi - in Bosnia, durante il conflitto della ex-Jugoslavia.

 

D. - Il Rapporto denuncia anche un intollerabile grado di impunità da parte dei carnefici. Per quale motivo è così difficile assicurarli alla giustizia?

 

R. - Perché la giustizia, quando si trova ad agire nei confronti della violenza sessuale, è una giustizia che va molto a rilento, in quanto impunità e discriminazione sono le vere e proprie architravi su cui si regge il sistema della violenza sessuale nei confronti delle donne. A questo, dobbiamo aggiungere che la Costa d’Avorio è spaccata in due e che intere zone del Paese sono nelle mani di chi compie la violenza. Sarebbe, quindi, difficile che zone sottoposte ad un controllo militare ferreo avessero un sistema di giustizia efficace, in cui tra l’altro chi è presunto responsabile è anche chi dovrebbe giudicare se stesso. Si tratta di crimini contro l’umanità e auspichiamo fortemente che nell’accordo sottoscritto il 4 marzo scorso, tra il presidente e il leader delle Forze nuove, ci sia anche spazio per fare giustizia e che vi sia anche la possibilità che un organo di giustizia internazionale si occupi di questi che si configurano come veri e proprie crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

 

D. - Quindi è questo ciò che soprattutto voi chiedete alla comunità internazionale, per il caso specifico della Costa d’Avorio ...

 

R. - Sì. Se la Costa d’Avorio vuole avere una pace durevole e sostenibile occorre che la violenza sessuale sia eliminata ed occorre che ci sia giustizia. Se gli organi interni non lo faranno, è necessario che la comunità internazionale, con i suoi organi di giustizia internazionale, si faccia carico di questo. Abbiamo visto altrove - nella Repubblica Democratica del Congo, per esempio - che Paesi che escono distrutti da un conflitto non hanno le risorse per sanare le ferite della violenza sessuale e dare giustizia alle vittime.

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Presentato a Roma un documentario sulla drammatica prigionia

di migliaia di libanesi nelle carceri siriane

 

“I figli perduti del Libano”. E' questo il titolo di un documentario sulla tragedia delle migliaia di persone scomparse in Libano e detenute nelle carceri siriane. Un fenomeno che dura da più di 30 anni - dalla prima occupazione di Damasco nel Paese dei Cedri - e che per la prima volta è affrontato in un toccante filmato che raccoglie le testimonianze degli ex detenuti e dei parenti dei cittadini tuttora incarcerati. Il documentario è stato presentato ieri a Roma dall’Osservatorio di Geopolitica Medio Orientale. Salvatore Sabatino ha intervistato il direttore, Roger Bou Chahine:

 

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R. - In Libano, sono state disperse 17 mila persone dall’inizio della guerra sino ad oggi e non possiamo dare la colpa ai siriani di questi 17 mila. Ma avendo delle testimonianze, avendo delle prove, avendo un riconoscimento sia dell’ONU, sia di Amnesty International, sia della Comunità Europea, dell’esistenza dei libanesi nelle prigioni siriane - con un regime che rinnega tutto ciò - questo documentario presenta prove che l’umanità non può ignorare. Non si può non denunciare questo argomento, non può non diventare un problema a portata di mano di ogni politico, di ogni diplomatico, di ogni associazione dei diritti dell’uomo che va in Libano, che va in Siria, perché non si può sorvolare su questa tragedia: stiamo parlando di centinaia di persone che hanno vissuto sulla loro pelle le torture, e non sappiamo se sono morti o vivi...

 

D. - Come mai la comunità internazionale è assente nei confronti di un problema così grande?

 

R. - Sappiamo che è un motivo politico. Per questa ragione, noi vogliamo partire dalla drammaticità di questo problema e farlo diventare un argomento non più politico. Vogliamo fare un appello alla Croce Rossa Italiana, alla Croce Rossa Internazionale, per promuovere un'azione concreta nei confronti della Siria, per chiedere, per cercare di indagare. E chiediamo che venga fatta una commissione internazionale con l’aiuto dell’Italia all’ONU e che diventi un problema spinto direttamente dall'Italia nei confronti di Damasco.

 

D. - Qualche giorno fa, voi avete presentato lo stesso documentario in Canada. Quali sono state le reazioni nel continente americano?

 

R. - Si sono visti i deputati canadesi piangere vedendo quel documentario. Piangevano perché non sapevano che esisteva una situazione tanto drammatica. Non sapevano che queste persone erano lì veramente da 30 anni - avevano 30 anni quando sono stati presi ed oggi hanno 60 anni e le vediamo nel film da giovani e quando sono usciti che sono diventati anziani, torturati, con le gambe spaccate, con delle torture evidenti sul corpo. Per questo, l’argomento è molto impegnativo e penso che tutta la comunità internazionale si stia muovendo tramite associazioni libanesi e speriamo che diventi un argomento portato avanti da tutte le istituzioni, specialmente europee in primo luogo, ma anche a livello internazionale.

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Varato ieri, nella provincia di Trento, un piano

che prevede 31 proposte di sostegno sociale a favore delle famiglie

 

E’ iniziata nel pomeriggio di ieri, alla Commissione giustizia del Senato italiano, la discussione generale sui 10 disegni di legge presentati in tema di unioni civili: il progetto governativo “non sarà adottato come testo base”, ha affermato il presidente della Commissione, Cesare Salvi, “ma, ha aggiunto, “non lo metteremo nel cassetto”. Intanto, dalla Provincia autonoma di Trento arriva un piano varato ieri che prevede 31 proposte a favore della famiglia. Tra le misure previste, contributi alle giovani coppie, sostegno a famiglie in condizioni di bisogno o solitudine, ma soprattutto aiuti ai nuclei numerosi come spiega, al microfono di Gabriella Ceraso, il presidente della Provincia, Lorenzo Dellai:

 

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R. - Abbiamo adottato, ad esempio, l’idea di una “tariffa famiglia” per i servizi familiari degli asili nido, dei trasporti, delle mense scolastiche. Abbiamo introdotto delle misure che vanno a sostenere finanziariamente le madri lavoratrici per l’accesso ai servizi specialistici, come ad esempio l’apertura di asili oltre l’orario normale o un sistema di assistenza a domicilio di persone che possano curare i figli nei momenti di lavoro.

 

D. - Il piano intende coordinarsi anche con politiche che prevedono il reddito di cittadinanza?

 

R. - Sì, noi pensiamo che sia particolarmente qualificato poter dare, soprattutto ai ragazzi in cerca di prima occupazione, una soglia minima di reddito che consenta loro di fruire dei diritti di cittadinanza ed anche questo all’interno di una politica che vede nel nucleo familiare una grande risorsa dal punto di vista etico, ma anche economico.

 

D. - E’ questo, dunque, quello che serve per affrontare la cosiddetta crisi della famiglia?

 

R. - Questo è quello che può fare la pubblica amministrazione. Però, rischia di valere molto poco se i mezzi di informazione, i modelli culturali, offrono un’idea della vita radicalmente diversa, disincentivando la valutazione dell’impegno che serve per costruire una famiglia. Sarebbe una lotta impari. Certamente però, accanto ad un progetto culturale servono strumenti concreti di vicinanza e di solidarietà.

 

D. - Il vostro può essere un esempio che dimostra la volontà di fare davvero qualcosa per la famiglia, in breve tempo e senza leggi aggiuntive?

 

R. - Io credo che su questo piano non ci sia nessuno che possa salire in cattedra. Credo che la cosa migliore sia quella di lasciare da parte un certo scontro ideologico per andare invece nel concreto a vedere quante buone esperienze vi siano di politiche familiari, dando a tutto questo il peso di un grande progetto nazionale.

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Al canadese Charles Taylor, docente di Legge e Filosofia

all''Università dell'Illinois, l'edizione 2007 del Premio Templeton

 

Un riconoscimento che premia 50 anni di docenza in campo filosofico e normativo, per dimostrare che i problemi della violenza nella società moderna possono essere risolti solamente se se ne affrontano le dimensioni secolare e spirituale. Sono i motivi che fanno da sfondo al Premio Templeton 2007, assegnato al filosofo e scrittore cattolico, Charles Taylor, canadese, docente di Legge e Filosofia all’Università “Northwest” dell’Illinois. Le sue ricerche nel campo delle realtà spirituali gli sono valse l'onorificenza che conta il più alto premio in denaro in assoluto, superiore addirittura al Nobel, proprio a sottolineare l’importanza attribuita al progresso nelle questioni a carattere spirituale. Philippa Hitchen, della nostra redazione inglese, ha chiesto a Charles Taylor se ritiene vi sia stato un cambiamento di rotta nell’opinione pubblica, che si avvicini quindi alle sue teorie:

 

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R. - There was a narrative, a secularisation narrative, that was there ...

C’era un’impostazione mentale secolarizzata, in sottofondo, secondo la quale la religione apparteneva al passato e che la modernità, quasi in automatico, porta al declino se si appoggia alla religione, per cui non è grave se la si ignora sempre più. Credo però che negli ultimi anni, questa concezione abbia subìto gravi scossoni e le persone abbiano reagito in maniera diversa: alcuni sono molto contrari, pensano che sia spaventoso quello che stia succedendo, ma in realtà non ci si può limitare ad ignorarlo. Ecco come è iniziato lo spostamento dell’opinione pubblica. Questo procedimento è molto lento, perché le discipline accademiche sono molto, molto conservatrici: ma sì, il cambiamento è iniziato.

 

D. - Lei direbbe che, negli ultimi tempi, la crescita del fondamentalismo islamico è forse la causa di questa profonda rivalutazione del ruolo della religione nella vita pubblica?

 

R. - Yes, it’s not the only thing, but I think it’s probably the most important …

Sì. Non è l’unica ragione, ma probabilmente la più importante. Ed in un certo senso, significa una vera e propria crisi culturale e spirituale per l’Occidente. Infatti, è possibile rispondere a tutto ciò in una maniera assolutamente ostile alla religione come tale, e in questo caso all’Islam, e attaccarsi ad una visione tremendamente semplicistica ed omogeneizzante dell’Islam, come essenzialmente alla base di questi attacchi terroristici, invece di tentare di comprendere la tremenda varietà e complessità interna del mondo islamico. Trovo molto preoccupante che una gran parte dell’opinione pubblica occidentale, la maggior parte dei media e molti studiosi che pure dovrebbero essere informati, in realtà in tal modo alimentino e incoraggiano questa sorta di “islamofobia”.

 

D. – Lei parla della necessità urgente di una nuova comprensione della propensione dell’Uomo alla violenza. Ma molti pensano che la religione – tutte le religioni! – siano state e siano ancora oggi parte del problema.

 

R. – Yes. I mean, for one thing it is clear that much religion has been behind ...

Sì. Certo, è evidente che in molti casi la religione è la causa della violenza, come in molti casi sono state le ideologie atee causa di violenza. Però, è vero anche che molti leader religiosi si sono impegnati decisamente per superare la violenza, per trovare soluzioni pacifiche ai problemi. Quindi, troviamo le due categorie di persone sui due fronti. Nell'ambito della fede cristiana, abbiamo una lunga tradizione di persone che hanno lavorato per la pace. Ecco perché dobbiamo fondarci su di loro e porli al centro di una comprensione profonda della nostra fede, e poi ripudiare quegli elementi del nostro passato che sono contrari a ciò. Credo che una delle più belle caratteristiche del Pontificato di Giovanni Paolo II sia stata il suo impegno per rendere questo concetto assolutamente evidente: che noi siamo profondamente dispiaciuti per quelle epoche del nostro passato che, in un certo senso, tradiscono il nostro impegno di cristiani per la pace.

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Orfani, profughi, ammalati di AIDS: in Etiopia, 5 milioni e mezzo di bambini vivono in condizioni di estrema precarietà

 

In Etiopia, sono 5 milioni e mezzo i minori che vivono in circostanze difficili. Si tratta di orfani di guerra e di Aids, profughi e bambini abbandonati. Molti di loro trovano nella strada un luogo dove dormire, vivere o lavorare. Risultato: nel Paese africano, il fenomeno dei "ragazzi di strada" è in forte incremento, tanto che secondo recenti stime i bambini abbandonati a se stessi aumentano del 5 per cento ogni anno. Ne parla, padre Dino Viviani, missionario Salesiano responsabile del centro Don Bosco sostenuto dal VIS, il Volontariato internazionale per lo sviluppo ad Addis Abeba, nell'intervista di Antonella Villani:

 

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R. - La causa di questo fenomeno è la povertà delle famiglie che non riescono a sostenere i figli nell’educazione. E inoltre, anche le grandi cause affrontate in questi ultimi due anni, quelle della guerra in Eritrea, della guerra in Somalia. I disastri che ci sono stati hanno creato davvero una situazione difficile, per cui il primo tentativo di un ragazzo è di fuggire dalla famiglia, allontanarsi e arrivare alla capitale Addis Abeba, dove crede di trovare la salvezza.

 

D. - Il fenomeno è particolarmente sentito e diffuso nelle grandi città: perché?

 

R. - Perché la città, comunque, è un’attrazione, è una speranza per chi non ha niente. I giovani guardano alla città come al futuro, dove poter trovare lavoro, trovare l’avventura della vita. Se vediamo Nairobi e le altre città del Brasile e dell’India, questo fenomeno è già esploso. Ad Addis Abeba, in questo momento, è nella fase iniziale.

 

D. - Quest’anno, poi, il fenomeno è stato ancora più grave a causa delle alluvioni…

 

R. - Anche perché si trova sulla linea ferroviaria Gibuti-Addis Abeba, per cui al primo disagio si recano in città con il treno.

 

D. - Un racconto di uno di questi ragazzi…

 

R. - Questa mattina, 15 ragazzi per la prima volta sono entrati nel nostro progetto. Un terzo di questi ragazzi non sa leggere e scrivere. Non hanno saputo leggere neppure l’insegna sulla facciata del centro. Un terzo, nonostante la vita di strada, cerca di frequentare la scuola serale. E un altro ha ricordi vaghi di una scuola che ha abbandonato. Loro raccontano la situazione in famiglia con molta delicatezza. Nascondono evidentemente la verità, perché hanno bisogno di difendersi in questo modo. Noi, pian piano, li accompagniamo in questo cammino educativo per scoprire la loro vera realtà e poi tentare di inserirli in famiglia, di fargli fare ritorno al villaggio, quando è possibile, oppure trovare una sistemazione in società.

 

D. - Voi, dal 2000, siete scesi in campo per contrastare questo fenomeno. In che cosa consiste il progetto creato dal VIS?

 

R. - E’ stata preparata nella periferia di Addis Abeba una scuola. Subito ci si è accorti che alcuni ragazzi non avrebbero mai avuto accesso. Per cui la domanda era: come aiutiamo questi ragazzi che vivono per strada? Se loro non vengono a scuola, noi dobbiamo andare da loro. Così è nato un gruppo di volontari e Amici del Sidamo, che con i Salesiani hanno studiato il fenomeno, supportati economicamente dall’organizzazione VIS. Ed è nato questo progetto che prevede due fasi. Nella prima fase, lavoriamo per le strade con dei gruppi di educatori, i che incontrano i ragazzi nello stesso luogo, nello stesso giorno, di sera, e con loro vivono, chiacchierano e non offrono loro assolutamente nulla, perchè non vogliamo cadere nell’assistenzialismo. Si crea, quindi, un’amicizia e cerchiamo di scoprire una volontà di recupero, di volontà di uscita dalla strada. Dopo questi tre mesi, noi un giorno - com'è capitato questa mattina - accogliamo il gruppo e offriamo scuola, lavoro, aspetto ludico, giochi, un pranzo al giorno. Alla sera, i ragazzi tornano lungo le strade. Questa è una seconda fase che mette alla prova la volontà del ragazzo. Di solito, questa seconda fase dura due-tre mesi, fino a quando decidiamo di accogliere il ragazzo definitivamente.

 

D. - Voi puntate moltissimo sull’inserimento in famiglia e nella società…

 

R. - L’obiettivo fondamentale è scoprire una relazione familiare con chiunque, perché è il cammino giusto per il ragazzo. Quando questo non avviene o la situazione è disperata, il ragazzo compie tutto il percorso del progetto, per arrivare alla fine con una preparazione scolastica, con una piccola professione, per potersi inserire così in società con le sue abilità, con le sue caratteristiche.

 

D. - Quale futuro prevede per questi bambini?

 

R. - Questi ragazzi hanno delle grosse risorse. E’ davvero un peccato che siano abbandonati, perchè accompagnati in questo percorso loro esprimono tutte le loro capacità, la voglia di recupero e anche capacità di autogestione. Noi abbiamo un gruppo di ragazzi che attualmente sono inseriti in società e riescono a vivere. 

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Chiesa e Società

 

Timor Est: governo e ribelli chiedono la mediazione della Chiesa

per una soluzione di pace

 

Nuovi spiragli di pace per Timor Est dove, dopo i violenti disordini della primavera 2006, non si è ancora raggiunta la pacificazione sociale e la tensione resta alta, nonostante la presenza delle Forze internazionali di sicurezza. Nei giorni scorsi, il leader ribelle, Alfredo Alves Reinado, il militare all’origine dei disordini di un anno fa che causarono la morte di alcune persone e oltre 155 mila sfollati, ha espresso la sua disponibilità a trattare con la mediazione della Chiesa, in particolare attraverso il vescovo di Dili, Ricardo Da Silva. La proposta è stata al centro di un colloquio lunedì tra il presule e il primo ministro timorese, José Ramos-Horta, che ha illustrato le intenzioni del governo, dicendosi favorevole a un negoziato mediato dalla Chiesa. La tensione a Timor Est, indipendente dall’Indonesia dal 1999, è tornata alta dopo gli scontri che il mese scorso hanno coinvolto anche i soldati australiani della Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF). Tra le ragioni che hanno innescato la spirale della violenza, vi è la carestia di riso che ha colpito tutto il Paese. Un appello alla fine delle violenze e a costruire una “cultura della pace e del rispetto reciproco” era stato rivolto nei giorni scorsi dal nuovo nunzio apostolico a Timor Est, l'arcivescovo Leopoldo Girelli, e dai vescovi Alberto Ricardo Da Silva e Basilio Do Nascimento in un messaggio congiunto in occasione della sua prima visita pastorale nel Paese. Il piccolo Stato del sud-est asiatico si avvicina ad un passaggio decisivo della sua pur giovane e travagliata storia: le elezioni presidenziali che si terranno il 9 aprile prossimo. (L.Z.)

 

 

Contro il nuovo programma nucleare del governo britannico

una coalizione di personaggi pubblici e leader religiosi.

Tra questi anche il vescovo di Lancaster

 

Mons. Patrick O’Donoghue, vescovo di Lancaster e responsabile della pastorale dei migranti e rifugiati della Conferenza episcopale inglese e gallese si è unito al coro di ‘no’ al nuovo piano di ammodernamento nucleare varato dal governo Blair. Al centro del dibattito c’è il Trident, il sistema missilistico di deterrenza mediante missili montati su sommergibili nucleari, operativo da metà degli anni Novanta. Il governo Blair lo vuole sostituire con sommergibili di nuova generazione, ma la maggioranza dei britannici è contraria. Contro il progetto di ammodernamento si è mobilitata una coalizione di un centinaio di personaggi pubblici, tra cui leader religiosi, attori, scrittori e scienziati che chiede al governo britannico di impiegare le sue risorse in un altro modo, specie in un periodo storico in cui le minacce più gravi non vengono da singoli Paesi, ma da gruppi terroristici. In una nota diffusa martedì, alla vigilia del dibattito parlamentare iniziato ieri, mons. O’Donoghue  invita “il primo ministro e il governo a non procedere alla sostituzione del Trident e ad impegnarsi a smantellare gli attuali sistemi di armamento nucleare ottemperando in questo modo gli obblighi fissati dal Trattato di non proliferazione e dando nuovo impulso agli sforzi internazionali per il disarmo”.  “L’unico vero deterrente nucleare - sottolinea la nota - è un passo verso il completo disarmo nucleare”. Dello stesso tenore sono stati gli appelli delle Chiese Anglicana, Battista, Metodista e Riformata unita. Secondo l’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, “non esistono argomenti a favore della moralità delle armi nucleari” (L. Z.)

 

 

Il Parlamento europeo ribadisce il suo "no" agli esperimenti nucleari

e chiede maggiori controlli su esportazioni di materiali fissili

 

In vista della riunione del Comitato preparatorio per la revisione del Trattato di non proliferazione (TNP), che si terrà a Vienna dal 30 aprile all’11 maggio, il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione per la non proliferazione delle armi nucleari. Nel documento, che sarà inviato al Consiglio e alla Commissione europei, si sottolinea - riferisce l'agenzia SIR - che il Trattato “costituisce la pietra angolare del regime globale di non proliferazione nucleare”. La risoluzione ha avuto il sostegno di quasi tutti i gruppi politici dell’Euroassemblea. In particolare, i deputati domandano “un contributo europeo coordinato, concreto e tangibile per la revisione del Trattato”. Si tratta “di sancire il divieto di produzione di materiali fissili e di accelerare la firma e la ratifica del Trattato sull’interdizione totale degli esperimenti nucleari”. I recenti casi dell’Iran e della Corea hanno risvegliato l’attenzione della comunità internazionale sul tema nucleare. Anche per questo, l'Europarlamento “sollecita controlli sulle esportazioni e controlli alle frontiere per ridurre il rischio del terrorismo nucleare”. Si fa inoltre pressione affinché gli Stati che stanno violando il regime di non proliferazione, pongano fine “al loro comportamento sconsiderato e irresponsabile”. (R.G.)

 

 

Polemiche in Spagna, dopo il decesso di una donna

che aveva chiesto e ottenuto il distacco dal respiratore artificiale

che la teneva in vita

 

La morte di una donna, dopo una lunga malattia irreversibile, fa discutere la Spagna sulla differenza tra eutanasia attiva e interruzione dell’accanimento terapeutico. Oggi è notizia di primo piano in gran parte dei giornali nazionali. Inmaculada Echevarria, questo il suo nome, aveva 51 anni, era vedova, e da molti anni malata: a causa delle sue condizioni di salute, aveva dovuto cedere in adozione un figlio perché non in grado di assicurargli tutte le cure materne. Afflitta da distrofia muscolare progressiva, da dieci anni era ormai costretta a letto e tenuta in vita con un respiratore artificiale. Da tempo, chiedeva di essere lasciata morire. Recentemente, la direzione dell’ospedale nel quale era ricoverata, gestito da religiosi, aveva dato parere favorevole all'interruzione del mezzo artificiale che la teneva in vita. Ma altre voci autorevoli nella Chiesa ritenevano che si sarebbe trattato di vera eutanasia. In mancanza di opinione univoca da parte della Chiesa, i religiosi avevano deciso di trasferire la paziente in un altro ospedale, sempre accompagnata dagli stessi medici che l’avevano assistita fino a quel momento. Le autorità civili della regione avevano autorizzato l’intervento medico, affermando che si trattasse di un caso di interruzione di accanimento terapeutico e non di eutanasia. Ieri, Inmaculada Echevarria è deceduta poche ore dopo l’interruzione del sistema di respirazione artificiale che la teneva in vita. Ma attorno a questo caso, in tutta la sua complessità, si sono riaperte le polemiche sul piano morale sulla questione dell’eutanasia e le risorse della scienza medica per prolungare la vita dei pazienti terminali.

 

 

“San Raffaele dei Carabi”, nasce la nave-ospedale che porterà assistenza sanitaria

nei villaggi e nelle isole più povere della Costa del Pacifico

 

Un ospedale galleggiante per curare le popolazioni del Sud America e dei Caraibi, costrette a vivere in pessime condizioni igienico-sanitarie, in luoghi distanti giorni, a volte settimane, dall’ospedale più vicino. L’idea è stata concepita da don Luigi Verzè, fondatore e presidente dell’ospedale “San Raffaele” di Milano. Il progetto “San Raffaele Natante dei Carabi” è promosso dalla Fondazione San Raffaele del Monte Tabor e dall' Associazione italiana per la solidarietà tra i popoli (Aispo), e realizzato grazie alla "Fundacion Colombia te quiere ver", fondata dal calciatore Ivan Ramiro Cordoba. Avrà un costo di circa tre milioni di euro e sarà presentato ufficialmente oggi. Si tratta di una nave-ospedale di 60 metri, quattro ponti e un equipaggio di una quarantina di persone, tra medici e personale di supporto, che partendo dalla Colombia porterà gli specialisti del San Raffaele nei villaggi e nelle isole più povere della costa del Pacifico. Al suo interno, l’imbarcazione ospiterà una sala operatoria, alcuni posti letto per la degenza, laboratori e una sala per il pronto soccorso. Per gli interventi d’urgenza, sarà equipaggiata anche di una “lancia-ambulanza” - in grado di raggiungere anche i villaggi situati sulle sponde dei fiumi più interni - e di un ponte per l’elisoccorso. Sulla nave, che avrà un’autonomia di trenta giorni, verrà svolta anche un’importante attività di educazione sanitaria per la popolazione e di formazione del personale medico locale. “Malaria, tubercolosi, infezioni, sono solo alcune delle malattie che falcidiano la popolazione della costa pacifica della Colombia, a causa della mancanza di acqua potabile e di un’alimentazione insufficiente”, spiega don Verzè. Già da qualche anno, i medici del San Raffaele sono presenti con una piccola imbarcazione, “La Esperanza”: in due settimane, si raggiungono circa dieci villaggi e si effettuano in media mille visite mediche, con vaccinazioni per 300 bambini e distribuzioni di kit sanitari per 7.000 persone. “Per molte persone questo è l'unico modo per avere cure sanitarie - sottolinea il direttore dell’AISPO, Renato Corrado - con il “San Raffaele Natante” questo aiuto potrà essere fornito con maggiore qualità dei servizi e in modo continuativo”. (E.L.)

 

 

Suor Eugenia Bonetti eletta “Donna di coraggio” per la sua azione

a favore delle vittime del traffico degli essere umani

 

Prestigioso riconoscimento per Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata da anni impegnata a contrastare la tratta delle donne. Il Dipartimento di Stato Statunitense – riferisce l’agenzia Fides - le ha conferito il premio “Donna di coraggio”. “Le rendiamo omaggio per il suo eccezionale coraggio e capacità di direzione. I suoi risultati hanno aiutato a creare un cambiamento nel suo Paese e hanno creato un positivo esempio per le leader donne emergenti in tutto il mondo” ha scritto in una lettera a Suor Eugenia, Paula J. Dobriansky, il Sottosegretario per la Democrazia e gli Affari Globali. Il Premio viene conferito alla donne che operano per la promozione della donna e la difesa dei loro diritti in tutto il mondo. Suor Eugenia ha ricevuto il riconoscimento nella sede dell’Ambasciata americana presso la Santa Sede, che dal 2000 ha fatto della lotta al traffico degli esseri umani un punto centrale della sua missione. Nel 2004, suor Eugenia è stata eletta come una dei sei “Eroi che si battono per porre fine alla moderna schiavitù” nel rapporto annuale sul traffico delle persone pubblicato dall’Ufficio per il monitoraggio e la lotta al traffico delle persone del Dipartimento di Stato americano. Sul dramma delle donne vittime dello sfruttamento sessuale l’Agenzia Fides ha pubblicato nell’agosto 2004 un ampio dossier. (L.M.)

 

 

Dal 24 marzo capolavori dell'arte europea in mostra al Quirinale

per celebrare il 50mo anniversario dei Trattati di Roma

 

Capolavori dell'arte europea saranno in mostra al Palazzo del Quirinale dal 24 marzo al 20 maggio per celebrare il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, firmati il 25 marzo del 1957 - nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio - da sei Paesi europei: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi. L’esposizione, che sarà ospitata nel Salone dei Corazzieri, presenterà opere degli attuali ventisette Paesi dell'Unione. Ogni Nazione ha scelto un'opera ritenuta emblematica della propria storia ed idea d'Europa. A queste si aggiunge come simbolo della comune appartenenza un vaso del IV secolo a.C. recuperato dai Carabinieri della Tutela Patrimonio Culturale raffigurante il "Ratto di Europa" che verrà esposto accanto agli originali dei Trattati sulla comunità economica Europea e sull'Euratom. La rassegna coprirà un arco cronologico che va dal III millennio dell'era precristiana, con la “Madre terra” di Malta, fino al 1976 con il dipinto di Kirkeby “Profezia su Venezia”, prestato dalla Danimarca. Ad inaugurare la mostra il 23 marzo sarà dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, dal Presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, dai presidenti di tutti i Parlamenti dei Paesi dell'Unione e dai rispettivi ministri della Cultura. La mostra sarà aperta gratuitamente al pubblico ad eccezione delle domeniche quando con il consueto biglietto da cinque euro è prevista anche la visita al Palazzo del Quirinale. (R.G.)

 

 

RADIO VATICANA

Radiogiornale

24 Ore nel Mondo

- A cura di Fausta Speranza –

 

- In varie zone di Baghdad sono stati ritrovati ieri almeno 16 cadaveri, gettati in strada o nelle discariche con evidenti segni di tortura, mentre almeno altri 11 sono stati ritrovati a  Baquba, 57 km a nord-est della capitale. Da ormai un mese è in corso a Baghdad una massiccia operazione antiterrorismo denominata “Imporre la Legge”, cui partecipano circa 90 mila uomini, tra forze di sicurezza irachene e soldati americani. Le violenze registrate in Iraq nei primi mesi del 2007 hanno subito un’ulteriore impennata record e gli scontri settari per il potere sono ora la caratteristica principale del conflitto. Lo indica il rapporto quadrimestrale pubblicato dal Pentagono e consegnato al Congresso americano, in cui si sottolinea che a gennaio e inizio febbraio ci sono stati in media 1.047 attacchi alla settimana. Ma le cifre tengono conto solo degli incidenti registrati dalle forze USA e quindi “danno solo un'immagine parziale della violenza subita dagli iracheni”. Intanto, il presidente tedesco Horst Köhler ha chiesto il rilascio dei due cittadini tedeschi rapiti in Iraq, con un video mandato in onda a partire da ieri sera dalla televisione pubblica tedesca ARD e dal canale satellitare arabo Al Jazeera. Sempre in relazione all’Iraq, è morto a 77 anni l’ex presidente del parlamento iracheno, Sadoun Hammadi, uno dei più importanti esponenti del deposto regime di Saddam. E’ considerato uno dei primi fondatori del partito Baath. 

 

- I talebani hanno fatto recapitare un nuovo messaggio audio di Daniele Mastrogiacomo all’agenzia di stampa afgana Pajhwok Afghan News. Nella registrazione si ascolterebbe una voce parlare in lingua pashtun che invita il giornalista di “Repubblica” a spiegare che il suo governo ha solo due giorni di tempo per iniziare i negoziati. “Per favore fate qualcosa, avete solo due giorni a disposizione”, afferma Mastrogiacomo.

 

- Il presidente della Camera bassa del Parlamento afghano, Younus Qanooni, in conferenza stampa a Palazzo Chigi ha fatto sapere di aver inviato una delegazione del governo nella provincia di Helmand, dove è stato sequestrato il giornalista italiano. Il leader afghano ha più volte condannato il rapimento dell’inviato di “Repubblica”. Da parte sua, il premier italiano, Romano Prodi, ha affermato che l’appello di ieri di Mastrogiacomo “trova tutto il governo unito e determinato a operare per la liberazione nei tempi più rapidi possibili”.

 

- Israele non collaborerà col governo di unità nazionale palestinese, la cui formazione è stata annunciata dal presidente Abu Mazen e dal premier Ismail Haniyeh, in quanto la sua piattaforma politica non accoglie le condizioni minime poste dalla comunità internazionale: “Il riconoscimento di Israele, la rinuncia al terrorismo e l’accettazione dei precedenti accordi firmati con Israele”. Lo ha affermato una portavoce del ministero degli Esteri a Gerusalemme. Questa dichiarazione è giunta mentre il premier palestinese, Haniyeh, confermava a Gaza che la lista dei ministri nel governo di unità nazionale palestinese è stata approvata dal presidente Abu Mazen. Già nella giornata di ieri è stata data notizia dell’accordo tra Fath e Hamas per un governo di unità nazionale, ma un annuncio ufficiale è atteso alla fine di questa settimana.

 

- Un miliziano di al Fatah, Mohammed Abu Tuema, di 22 anni, è morto in seguito alla gravità delle ferite subite negli scontri scoppiati ieri con uomini armati di Hamas a Bet Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza. Il movimento pacifista israeliano Peace Now (Pace Adesso) rende noto in un rapporto che “Lo Stato di Israele ha costruito e continua a costruire sistematicamente colonie su terre private palestinesi”. Il documento corregge le stime diffuse in merito alcuni mesi fa. Secondo i dati aggiornati, 131 insediamenti ebraici in Cisgiordania si trovano del tutto o in parte su terre private palestinesi; solo 31 colonie non lo sono. Il 32 per cento delle terre degli insediamenti appartengono a privati palestinesi. Alcuni mesi fa, Peace Now aveva stabilito che le terre private erano il 40%. Un portavoce delle autorità israeliane in Cisgiordania ha replicato che anche il nuovo rapporto del movimento pacifista è incorretto e “non rispecchia la realtà”.

 

- Soddisfazione e sollievo in Italia per il rilascio durante la notte dei due tecnici italiani dell’AGIP, Francesco Arena e Cosma Russo, dopo 98 giorni di detenzione nella giungla del delta del Niger, dov'erano stati sequestrati il 7 dicembre scorso dai ribelli separatisti del MEND, Movimento per l’emancipazione del delta del Niger. I due hanno dichiarato di stare bene, nonostante tutto, mentre si profila un giallo sul possibile pagamento di un riscatto, al quale ha fatto cenno stamani la moglie di Arena, dopo aver parlato al telefono con il marito, ma che è stato smentito in modo deciso dall’ENI. Il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, ha espresso il suo “più vivo compiacimento” per il loro rilascio, ricordando il “personale e continuo interessamento del presidente del Consiglio, Romano Prodi, che a più riprese ha richiesto al presidente nigeriano, Obasanjo, la collaborazione necessaria in tale delicata vicenda”. D’Alema ha “ringraziato le autorità di governo nigeriane per l’atteggiamento costruttivo e operativo assunto durante tutta la durata del sequestro” e i media italiani per il loro “atteggiamento responsabile”. 

 

- Il ministro della Giustizia italiano, Clemente Mastella, attenderà la decisione della Corte Costituzionale sul conflitto sollevato dal governo in merito ad una presunta violazione del segreto di Stato, prima di stabilire se inoltrare negli Stati Uniti la richiesta di estradizione dei 26 agenti CIA di cui la Procura di Milano ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per il sequestro dell’ex imam Abu Omar.

 

- L’economia europea è in buona ripresa: è quanto afferma il Commissario UE agli Affari Economici, Joaquin Almunia, al ‘The Economist’ dedicato ai primi 50 anni della UE. “Siamo in un momento di ripresa economica, stiamo creando posti di lavoro e stiamo migliorando le nostre performance”, ha detto Almunia ricordando il ruolo avuto dalle riforme. Secondo il commissario, questo è un buon argomento per convincere la società europea a proseguire gli sforzi per diventare più dinamica, flessibile e innovativa. Almunia, peraltro, ha confermato che “l'inflazione di base resterà sopra il 2% nella seconda parte del 2007”.

 

- La crisi nucleare legata all’Iran e quella legata alla Corea del Nord da tempo impegnano le diplomazie mondiali, con un’alternanza di notizie positive e negative. Nelle ultime ore ci sono sviluppi per l’una e per l’altra. Il nostro servizio:

 

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Gli ambasciatori dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, più la Germania, hanno raggiunto un ''accordo di principio'' su un pacchetto di nuove sanzioni contro l'Iran e si apprestano a presentare una proposta di risoluzione in questo senso. E’ quanto ha detto ieri in serata l'ambasciatore americano Wolff, reggente della missione degli USA all'ONU. Da parte sua, il presidente iraniano, Ahmadinejad, è tornato nelle ultime ore a mettere in guardia le grandi potenze dall'approvare sanzioni economiche contro Teheran per il suo programma nucleare, minacciando conseguenze non precisate. Guardando alla Corea del Nord, l’annuncio è decisamente positivo: il Paese asiatico sta apprestandosi a chiudere il reattore nucleare di Yongbyon, al centro di una lunga crisi internazionale conclusa da un accordo a sei firmato a Pechino il mese scorso. La Corea del Nord dovrebbe ottenere a breve una serie di generatori elettrici a fronte dei suoi primi passi per 'spegnere' Yongbyon, che dovrà poi smantellare in cambio di ampie forniture energetiche previste dall'accordo internazionale a sei. Ieri nella sua prima visita a Pyongyang il direttore generale dell'AIEA, el Baradei, aveva confermato la volontà nordcoreana di rispettare l'intesa e di acconsentire prossimamente a un ritorno degli ispettori dell'agenzia dell'ONU per l'energia atomica. A parte le dovute distinzioni e i diversi sviluppi, le due situazioni presentano, comunque, alcuni punti in comune, in particolare per quanto riguarda la loro utilità strategica. E’ quanto conferma, nell’intervista di Stefano Lezszcynski, Angelo Baracca, esperto di disarmo nucleare e docente di fisica all’Università di Firenze:

 

R. - Il senso comune si potrebbe leggere nell’uso strumentale del nucleare che viene fatto, in tutte le parti, dalle grandi potenze, dai Paesi più deboli, dai Paesi che si sentono minacciati. Il nucleare viene visto come strumento di deterrenza, come reazione ad imposizioni o minacce di altri Paesi da un lato, e come strumento di accusa da parte dei Paesi più forti.

 

D. – Quello che colpisce sono questi continui segnali di apertura manifestati dall’Iran e dalla Corea e poi i repentini passi indietro con delle posizioni se non di minaccia, quasi di arroganza nei confronti della comunità internazionale...

 

R. – Mi sembra una dialettica molto articolata di “tira e molla”, dare e avere che va avanti da molto tempo e che andrà ancora avanti per molto tempo, dove ognuno degli attori gioca le sue carte anche con prudenza. Anche gli Stati Uniti vorrebbero che Israele attaccasse l’Iran. Se non l’hanno ancora fatto è perché la cosa è tutt’altro che semplice.

 

D. – Ci sono altri Paesi che puntano fortemente sul nucleare, che potrebbero presto provocare altri problemi?

 

R. – Secondo una relazione dell’ONU, dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, sono decine i Paesi che sarebbero in grado di realizzare la bomba. Sappiamo come il Pakistan l’abbia fatto. L’ha fatto con delle complicità internazionali molto attive. Vorrei del resto ricordare quando veniva accusato l’Iraq di voler fare la bomba, c’era l’Ansaldo nucleare italiana che commerciava sul piano nucleare con l’Iran. Quindi queste cose sono molto pericolose, molto ambigue. Io credo che sia una tecnologia troppo pericolosa, un rischio troppo grande per continuare ad essere così una merce di scambio fatta con questa leggerezza.

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