RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 74
- Testo della trasmissione di giovedì 15
marzo 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il cardinale Ivan Dias inviato speciale del Papa per
il centenario dell’evangelizzazione del Ghana
Oggi su “L’Osservatore Romano”
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Timor Est: governo e ribelli chiedono la mediazione della
Chiesa per una soluzione di pace
Sulla questione nucleare,
sanzioni in vista per l’Iran, mentre si conferma la Risoluzione della Crisi per
quanto riguarda la Corea del Nord
RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Il
Papa e la Santa Sede
Nomine
Benedetto XVI ha proseguito, nell'arco della mattinata, le udienze
ai presuli della Puglia in visita ad Limina. Ieri, al termine
dell'udienza generale, il Papa aveva incoraggiato i fedeli della Regione
italiana a sentirsi “sempre più coinvolti nella missione della Chiesa” per
rispondere “alle numerose sfide sociali e religiose dell’epoca attuale”. E
aveva esortato gli stessi vescovi pugliesi a “sollecitare” i fedeli delle varie
diocesi ad aderire “integralmente” al Vangelo e “alle esigenze morali che da
esso scaturiscono”.
Il cardinale
Ivan Dias inviato speciale del Papa
per il centenario dell’evangelizzazione del Ghana
Benedetto
XVI ha nominato il cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per
l'Evangelizzazione dei Popoli, come suo inviato speciale alle celebrazioni del
centenario dell'evangelizzazione del Ghana, che avranno luogo a Navrongo il
prossimo 23 aprile.
Il vescovo
di San Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri,
sottolinea gli effetti del legame tra Eucaristia e
società,
illustrati nell’esortazione del Papa
"Sacramentum Caritatis”
L’Esortazione
apostolica postsinodale di Benedetto XVI Sacramentum Caritatis è un
insegnamento che il popolo cristiano si aspettava e in cui si riconoscerà con
una profondità immediata. E’ quanto sostiene il vescovo di San
Marino-Montefeltro, mons. Luigi Negri, sottolineando come la centralità
dell’Eucaristia, in rapporto alla Chiesa e ai Sacramenti, si riveli anche
fondamento di un’esperienza umana vissuta negli ambiti sociali, economici e
politici della storia. Ascoltiamo lo stesso mons. Luigi Negri al
microfono di Luca Collodi:
**********
R. -
L’Eucaristia è il fondamento dell’ecclesiologia, ma è anche il fondamento di
un’antropologia, di un’esperienza umana che non è vissuta fuori dal tempo ma
nella storia, nelle circostanze economiche, politiche, sociali, ambientali. E'
vissuta dentro la pressione di un’ideologia certamente anticristiana, che è
particolarmente forte e pervasiva in tutto il mondo. Ecco, allora, che da
questo fulcro eucaristico nasce una visione adeguata dell’uomo e della sua
realtà e quindi c’è un legame fra l’Eucaristia e la societas. C’è un legame fra
l’Eucaristia e coloro che nella societas si assumono la responsabilità molto
impegnativa di portare questa antropologia adeguata, come avrebbe detto
Giovanni Paolo II, dentro la vita sociale. Ecco perché non c’è da gridare allo
scandalo se da questa centralità dell’Eucaristia vengono tirate conseguenze di
carattere sociale sulla vita della famiglia, sulla sua responsabilità, sui suoi
diritti educativi. Non c’è da scandalizzarsi se vengono tirate delle
conseguenze sul fatto che chi celebra l’Eucaristia non può poi tollerare e
consentire leggi che sono evidentemente eversive dell’antropologia personale e
familiare che dall’Eucaristia scaturisce. Quindi, io credo che dobbiamo essere
grati al Papa di questo itinerario compiuto, che va dall’Eucaristia alla vita
sociale o, si potrebbe dire più tradizionalmente, dalla fede alle opere.
D. -
Mons. Negri, non c’è secondo lei il rischio che questa Esortazione apostolica
sia interpretata dalla gente comune come un Cristo che si allontana dalla
gente, dalle esigenze più semplici della persona umana, della vita quotidiana?
R. -
Io credo che sia un Cristo che non si allontani dalla vita della gente e da
quella nostra gente che - come il Papa ha detto al COngresso di Verona - è così
legata alla Chiesa. Questo è un insegnamento che il popolo cristiano si
aspettava e si aspetta, in cui si riconoscerà con una profondità immediata: il
popolo cristiano deve poi essere evidentemente educato dai pastori e dai
sacerdoti. Credo invece si allontani da quella gente da cui Cristo è già
lontano o da coloro che si sono allontanati, e che quindi cercano un’immagine
della Chiesa e di Cristo che sia il più possibile corrispondente alla mentalità
dominante. Noi pastori, soprattutto noi, dobbiamo aver cura del popolo, non
della mentalità massmediatica. E’ scontato che la comunità massmediatica
giudicherà negativamente questo documento, come alcuni documenti della Chiesa
di questo Papa o dei predecessori. Ma la preoccupazione per noi è fare di
questa esortazione il fulcro di una vera catechesi e, quindi, di una vera
pastorale.
D. -
Mons. Negri, la società civile potrebbe dare una lettura politica, ideologica,
di questa Esortazione di Papa Benedetto XVI…
R. -
Certamente la darà, ma anche a questo livello noi dobbiamo insistere con il
Santo Padre che noi non vogliamo imporre alla società nessuna visione. Noi poniamo
nella società la nostra visione. E’ dovere di coscienza porre nella società
questo pensiero alto. Noi saremmo infedeli a noi stessi e, soprattutto, non ameremmo
la società se non mettessimo dentro la società questo pensiero alto. E’ questo
impatto con il pensiero alto della Chiesa che ha poi fatto camminare non solo
la Chiesa, ma tutta la società verso una visione della umanità certamente meno
barbara e meno involuta di quella di partenza.
**********
Oggi
su "L'Osservatore Romano"
Servizio
vaticano - In primo piano: articolo di Gaetano Vallini dal titolo “Un orizzonte
ristretto”.
Servizio
estero - In evidenza la Corea del Nord, che si è detta pronta a chiudere il
reattore atomico di Yongbyon.
Servizio
culturale - Un articolo di Gian Filippo Belardo dal titolo “Stati d’animo e
paesaggi dell'interiorità che rompono gli schemi spazio-temporali”: la mostra
“Chagall delle meraviglie” aperta al Vittoriano fino al 1° luglio.
Servizio
italiano - In rilievo l’incontro tra il premier italiano, Romano Prodi, e il
presidente russo, Vladimir Putin.
RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Oggi
in Primo Piano
Gli
abusi e le violenze contro donne e bambine della Costa d'Avorio
denunciate in un Rapporto di Amnesty
International
Migliaia
di donne, di bambine, contro le quali consumare abusi di ogni tipo. E' quanto
accade da anni nella Costa d'Avorio, teatro di una sanguinosa lotta intestina
che sembra sul punto di concludersi. Sin dall’inizio del conflitto, Amnesty
International ha cominciato una serie di verifiche delle violazioni dei diritti
umani commessi nel Paese africano. Il risultato è un Rapporto che l'organismo
internazionale ha reso noto oggi e che denuncia la gamma di violenze commesse.
A parlarne al microfono di Alessandro De Carolis è Riccardo Noury,
portavoce di Amnesty Italia:
**********
R. -
Amnesty International ha iniziato a seguire con molta attenzione le vicende
riguardanti i diritti umani in Costa d’Avorio da cinque anni, da quando la
rivolta armata ha gettato il Paese in una crisi politica della quale si vede,
forse, solo adesso la fine. Come in ogni altro conflitto armato, le vittime
privilegiate della violenza sono le donne. In Costa d’Avorio, così come in
tanti altri Paesi, Amnesty international ha riscontrato l’uso della violenza
sessuale e dello stupro come una vera e propria tattica militare. Purtroppo,
anche in questo caso, quasi cinque anni di violenza nei confronti delle donne
hanno provocato terrore dilagante e, in particolare nell’ovest del Paese, hanno
fatto migliaia e migliaia di vittime.
D. -
Nel Rapporto, tra le altre, c’è una precisazione agghiacciante e cioè che
spesso le violenze vengono commesse alla presenza dei familiari stessi delle vittime
…
R. -
Sì, e purtroppo anche questa non è una novità perché fa parte della strategia
del terrore e dell’umiliazione, quella cioè di compiere stupri di gruppo anche
in pubblico, in particolare proprio di fronte ai familiari delle vittime. Lo
abbiamo riscontrato in Costa d’Avorio così come in precedenza nella Repubblica
Democratica del Congo, in Rwanda ed ancora prima - in parti più vicine a noi -
in Bosnia, durante il conflitto della ex-Jugoslavia.
D. -
Il Rapporto denuncia anche un intollerabile grado di impunità da parte dei
carnefici. Per quale motivo è così difficile assicurarli alla giustizia?
R. -
Perché la giustizia, quando si trova ad agire nei confronti della violenza sessuale,
è una giustizia che va molto a rilento, in quanto impunità e discriminazione
sono le vere e proprie architravi su cui si regge il sistema della violenza sessuale
nei confronti delle donne. A questo, dobbiamo aggiungere che la Costa d’Avorio
è spaccata in due e che intere zone del Paese sono nelle mani di chi compie la
violenza. Sarebbe, quindi, difficile che zone sottoposte ad un controllo
militare ferreo avessero un sistema di giustizia efficace, in cui tra l’altro
chi è presunto responsabile è anche chi dovrebbe giudicare se stesso. Si tratta
di crimini contro l’umanità e auspichiamo fortemente che nell’accordo
sottoscritto il 4 marzo scorso, tra il presidente e il leader delle Forze
nuove, ci sia anche spazio per fare giustizia e che vi sia anche la possibilità
che un organo di giustizia internazionale si occupi di questi che si
configurano come veri e proprie crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
D. -
Quindi è questo ciò che soprattutto voi chiedete alla comunità internazionale,
per il caso specifico della Costa d’Avorio ...
R. -
Sì. Se la Costa d’Avorio vuole avere una pace durevole e sostenibile occorre
che la violenza sessuale sia eliminata ed occorre che ci sia giustizia. Se gli
organi interni non lo faranno, è necessario che la comunità internazionale, con
i suoi organi di giustizia internazionale, si faccia carico di questo. Abbiamo
visto altrove - nella Repubblica Democratica del Congo, per esempio - che Paesi
che escono distrutti da un conflitto non hanno le risorse per sanare le ferite
della violenza sessuale e dare giustizia alle vittime.
**********
Presentato
a Roma un documentario sulla drammatica prigionia
di migliaia di libanesi nelle carceri
siriane
“I
figli perduti del Libano”. E' questo il titolo di un documentario sulla
tragedia delle migliaia di persone scomparse in Libano e detenute nelle carceri
siriane. Un fenomeno che dura da più di 30 anni - dalla prima occupazione di
Damasco nel Paese dei Cedri - e che per la prima volta è affrontato in un
toccante filmato che raccoglie le testimonianze degli ex detenuti e dei parenti
dei cittadini tuttora incarcerati. Il documentario è stato presentato ieri a
Roma dall’Osservatorio di Geopolitica Medio Orientale. Salvatore Sabatino
ha intervistato il direttore, Roger Bou Chahine:
**********
R. -
In Libano, sono state disperse 17 mila persone dall’inizio della guerra sino ad
oggi e non possiamo dare la colpa ai siriani di questi 17 mila. Ma avendo delle
testimonianze, avendo delle prove, avendo un riconoscimento sia dell’ONU, sia
di Amnesty International, sia della Comunità Europea, dell’esistenza dei
libanesi nelle prigioni siriane - con un regime che rinnega tutto ciò - questo
documentario presenta prove che l’umanità non può ignorare. Non si può non
denunciare questo argomento, non può non diventare un problema a portata di
mano di ogni politico, di ogni diplomatico, di ogni associazione dei diritti
dell’uomo che va in Libano, che va in Siria, perché non si può sorvolare su
questa tragedia: stiamo parlando di centinaia di persone che hanno vissuto
sulla loro pelle le torture, e non sappiamo se sono morti o vivi...
D. -
Come mai la comunità internazionale è assente nei confronti di un problema così
grande?
R. -
Sappiamo che è un motivo politico. Per questa ragione, noi vogliamo partire
dalla drammaticità di questo problema e farlo diventare un argomento non più
politico. Vogliamo fare un appello alla Croce Rossa Italiana, alla Croce Rossa
Internazionale, per promuovere un'azione concreta nei confronti della Siria,
per chiedere, per cercare di indagare. E chiediamo che venga fatta una
commissione internazionale con l’aiuto dell’Italia all’ONU e che diventi un
problema spinto direttamente dall'Italia nei confronti di Damasco.
D. -
Qualche giorno fa, voi avete presentato lo stesso documentario in Canada. Quali
sono state le reazioni nel continente americano?
R. -
Si sono visti i deputati canadesi piangere vedendo quel documentario. Piangevano
perché non sapevano che esisteva una situazione tanto drammatica. Non sapevano
che queste persone erano lì veramente da 30 anni - avevano 30 anni quando sono
stati presi ed oggi hanno 60 anni e le vediamo nel film da giovani e quando
sono usciti che sono diventati anziani, torturati, con le gambe spaccate, con
delle torture evidenti sul corpo. Per questo, l’argomento è molto impegnativo e
penso che tutta la comunità internazionale si stia muovendo tramite associazioni
libanesi e speriamo che diventi un argomento portato avanti da tutte le istituzioni,
specialmente europee in primo luogo, ma anche a livello internazionale.
**********
Varato
ieri, nella provincia di Trento, un piano
che prevede 31 proposte di sostegno
sociale a favore delle famiglie
E’ iniziata nel pomeriggio di ieri, alla Commissione giustizia del
Senato italiano, la discussione generale sui 10 disegni di legge presentati in
tema di unioni civili: il progetto governativo “non sarà adottato come testo
base”, ha affermato il presidente della Commissione, Cesare Salvi, “ma, ha
aggiunto, “non lo metteremo nel cassetto”. Intanto, dalla Provincia
autonoma di Trento arriva un piano varato ieri che prevede 31 proposte a favore
della famiglia. Tra le misure previste, contributi alle giovani coppie,
sostegno a famiglie in condizioni di bisogno o solitudine, ma soprattutto aiuti
ai nuclei numerosi come spiega, al microfono di Gabriella Ceraso, il
presidente della Provincia, Lorenzo Dellai:
**********
R. -
Abbiamo adottato, ad esempio, l’idea di una “tariffa famiglia” per i servizi
familiari degli asili nido, dei trasporti, delle mense scolastiche. Abbiamo
introdotto delle misure che vanno a sostenere finanziariamente le madri lavoratrici
per l’accesso ai servizi specialistici, come ad esempio l’apertura di asili
oltre l’orario normale o un sistema di assistenza a domicilio di persone che
possano curare i figli nei momenti di lavoro.
D. -
Il piano intende coordinarsi anche con politiche che prevedono il reddito di
cittadinanza?
R. -
Sì, noi pensiamo che sia particolarmente qualificato poter dare, soprattutto ai
ragazzi in cerca di prima occupazione, una soglia minima di reddito che consenta
loro di fruire dei diritti di cittadinanza ed anche questo all’interno di una
politica che vede nel nucleo familiare una grande risorsa dal punto di vista
etico, ma anche economico.
D. -
E’ questo, dunque, quello che serve per affrontare la cosiddetta crisi della
famiglia?
R. -
Questo è quello che può fare la pubblica amministrazione. Però, rischia di
valere molto poco se i mezzi di informazione, i modelli culturali, offrono
un’idea della vita radicalmente diversa, disincentivando la valutazione
dell’impegno che serve per costruire una famiglia. Sarebbe una lotta impari.
Certamente però, accanto ad un progetto culturale servono strumenti concreti di
vicinanza e di solidarietà.
D. -
Il vostro può essere un esempio che dimostra la volontà di fare davvero
qualcosa per la famiglia, in breve tempo e senza leggi aggiuntive?
R. -
Io credo che su questo piano non ci sia nessuno che possa salire in cattedra.
Credo che la cosa migliore sia quella di lasciare da parte un certo scontro
ideologico per andare invece nel concreto a vedere quante buone esperienze vi
siano di politiche familiari, dando a tutto questo il peso di un grande
progetto nazionale.
**********
Al
canadese Charles Taylor, docente di Legge e Filosofia
all''Università dell'Illinois,
l'edizione 2007 del Premio Templeton
Un
riconoscimento che premia 50 anni di docenza in campo filosofico e normativo,
per dimostrare che i problemi della violenza nella società moderna possono
essere risolti solamente se se ne affrontano le dimensioni secolare e
spirituale. Sono i motivi che fanno da sfondo al Premio Templeton 2007,
assegnato al filosofo e scrittore cattolico, Charles Taylor, canadese, docente
di Legge e Filosofia all’Università “Northwest” dell’Illinois. Le sue ricerche
nel campo delle realtà spirituali gli sono valse l'onorificenza che conta il
più alto premio in denaro in assoluto, superiore addirittura al Nobel, proprio
a sottolineare l’importanza attribuita al progresso nelle questioni a carattere
spirituale. Philippa Hitchen, della nostra redazione inglese, ha chiesto
a Charles Taylor se ritiene vi sia stato un cambiamento di rotta
nell’opinione pubblica, che si avvicini quindi alle sue teorie:
**********
R. - There was a
narrative, a secularisation narrative, that was there ...
C’era
un’impostazione mentale secolarizzata, in sottofondo, secondo la quale la
religione apparteneva al passato e che la modernità, quasi in automatico, porta
al declino se si appoggia alla religione, per cui non è grave se la si ignora
sempre più. Credo però che negli ultimi anni, questa concezione abbia subìto
gravi scossoni e le persone abbiano reagito in maniera diversa: alcuni sono
molto contrari, pensano che sia spaventoso quello che stia succedendo, ma in
realtà non ci si può limitare ad ignorarlo. Ecco come è iniziato lo spostamento
dell’opinione pubblica. Questo procedimento è molto lento, perché le discipline
accademiche sono molto, molto conservatrici: ma sì, il cambiamento è iniziato.
D. -
Lei direbbe che, negli ultimi tempi, la crescita del fondamentalismo islamico è
forse la causa di questa profonda rivalutazione del ruolo della religione nella
vita pubblica?
R. - Yes, it’s not
the only thing, but I think it’s probably the most important …
Sì.
Non è l’unica ragione, ma probabilmente la più importante. Ed in un certo
senso, significa una vera e propria crisi culturale e spirituale per
l’Occidente. Infatti, è possibile rispondere a tutto ciò in una maniera
assolutamente ostile alla religione come tale, e in questo caso all’Islam, e
attaccarsi ad una visione tremendamente semplicistica ed omogeneizzante
dell’Islam, come essenzialmente alla base di questi attacchi terroristici,
invece di tentare di comprendere la tremenda varietà e complessità interna del
mondo islamico. Trovo molto preoccupante che una gran parte dell’opinione
pubblica occidentale, la maggior parte dei media e molti studiosi che pure
dovrebbero essere informati, in realtà in tal modo alimentino e incoraggiano
questa sorta di “islamofobia”.
D. –
Lei parla della necessità urgente di una nuova comprensione della propensione
dell’Uomo alla violenza. Ma molti pensano che la religione – tutte le religioni!
– siano state e siano ancora oggi parte del problema.
R. – Yes. I mean, for
one thing it is clear that much religion has been behind ...
Sì.
Certo, è evidente che in molti casi la religione è la causa della violenza,
come in molti casi sono state le ideologie atee causa di violenza. Però, è vero
anche che molti leader religiosi si sono impegnati decisamente per superare la
violenza, per trovare soluzioni pacifiche ai problemi. Quindi, troviamo le due
categorie di persone sui due fronti. Nell'ambito della fede cristiana, abbiamo
una lunga tradizione di persone che hanno lavorato per la pace. Ecco perché
dobbiamo fondarci su di loro e porli al centro di una comprensione profonda
della nostra fede, e poi ripudiare quegli elementi del nostro passato che sono
contrari a ciò. Credo che una delle più belle caratteristiche del Pontificato
di Giovanni Paolo II sia stata il suo impegno per rendere questo concetto
assolutamente evidente: che noi siamo profondamente dispiaciuti per quelle
epoche del nostro passato che, in un certo senso, tradiscono il nostro impegno
di cristiani per la pace.
**********
Orfani, profughi, ammalati di AIDS: in
Etiopia, 5 milioni e mezzo di bambini vivono in condizioni di estrema
precarietà
In
Etiopia, sono 5 milioni e mezzo i minori che vivono in circostanze difficili.
Si tratta di orfani di guerra e di Aids, profughi e bambini abbandonati. Molti
di loro trovano nella strada un luogo dove dormire, vivere o lavorare. Risultato:
nel Paese africano, il fenomeno dei "ragazzi di strada" è in forte
incremento, tanto che secondo recenti stime i bambini abbandonati a se stessi
aumentano del 5 per cento ogni anno. Ne parla, padre Dino Viviani,
missionario Salesiano responsabile del centro Don Bosco sostenuto dal VIS, il
Volontariato internazionale per lo sviluppo ad Addis Abeba, nell'intervista di Antonella
Villani:
**********
R. -
La causa di questo fenomeno è la povertà delle famiglie che non riescono a
sostenere i figli nell’educazione. E inoltre, anche le grandi cause affrontate
in questi ultimi due anni, quelle della guerra in Eritrea, della guerra in
Somalia. I disastri che ci sono stati hanno creato davvero una situazione
difficile, per cui il primo tentativo di un ragazzo è di fuggire dalla
famiglia, allontanarsi e arrivare alla capitale Addis Abeba, dove crede di
trovare la salvezza.
D. -
Il fenomeno è particolarmente sentito e diffuso nelle grandi città: perché?
R. -
Perché la città, comunque, è un’attrazione, è una speranza per chi non ha
niente. I giovani guardano alla città come al futuro, dove poter trovare
lavoro, trovare l’avventura della vita. Se vediamo Nairobi e le altre città del
Brasile e dell’India, questo fenomeno è già esploso. Ad Addis Abeba, in questo
momento, è nella fase iniziale.
D. -
Quest’anno, poi, il fenomeno è stato ancora più grave a causa delle alluvioni…
R. -
Anche perché si trova sulla linea ferroviaria Gibuti-Addis Abeba, per cui al
primo disagio si recano in città con il treno.
D. -
Un racconto di uno di questi ragazzi…
R. -
Questa mattina, 15 ragazzi per la prima volta sono entrati nel nostro progetto.
Un terzo di questi ragazzi non sa leggere e scrivere. Non hanno saputo leggere
neppure l’insegna sulla facciata del centro. Un terzo, nonostante la vita di
strada, cerca di frequentare la scuola serale. E un altro ha ricordi vaghi di
una scuola che ha abbandonato. Loro raccontano la situazione in famiglia con
molta delicatezza. Nascondono evidentemente la verità, perché hanno bisogno di
difendersi in questo modo. Noi, pian piano, li accompagniamo in questo cammino educativo
per scoprire la loro vera realtà e poi tentare di inserirli in famiglia, di
fargli fare ritorno al villaggio, quando è possibile, oppure trovare una
sistemazione in società.
D. -
Voi, dal 2000, siete scesi in campo per contrastare questo fenomeno. In che
cosa consiste il progetto creato dal VIS?
R. -
E’ stata preparata nella periferia di Addis Abeba una scuola. Subito ci si è accorti
che alcuni ragazzi non avrebbero mai avuto accesso. Per cui la domanda era:
come aiutiamo questi ragazzi che vivono per strada? Se loro non vengono a
scuola, noi dobbiamo andare da loro. Così è nato un gruppo di volontari e Amici
del Sidamo, che con i Salesiani hanno studiato il fenomeno, supportati economicamente
dall’organizzazione VIS. Ed è nato questo progetto che prevede due fasi. Nella
prima fase, lavoriamo per le strade con dei gruppi di educatori, i che incontrano
i ragazzi nello stesso luogo, nello stesso giorno, di sera, e con loro vivono,
chiacchierano e non offrono loro assolutamente nulla, perchè non vogliamo
cadere nell’assistenzialismo. Si crea, quindi, un’amicizia e cerchiamo di
scoprire una volontà di recupero, di volontà di uscita dalla strada. Dopo
questi tre mesi, noi un giorno - com'è capitato questa mattina - accogliamo il
gruppo e offriamo scuola, lavoro, aspetto ludico, giochi, un pranzo al giorno.
Alla sera, i ragazzi tornano lungo le strade. Questa è una seconda fase che
mette alla prova la volontà del ragazzo. Di solito, questa seconda fase dura
due-tre mesi, fino a quando decidiamo di accogliere il ragazzo definitivamente.
D. -
Voi puntate moltissimo sull’inserimento in famiglia e nella società…
R. -
L’obiettivo fondamentale è scoprire una relazione familiare con chiunque,
perché è il cammino giusto per il ragazzo. Quando questo non avviene o la situazione
è disperata, il ragazzo compie tutto il percorso del progetto, per arrivare alla
fine con una preparazione scolastica, con una piccola professione, per potersi
inserire così in società con le sue abilità, con le sue caratteristiche.
D. -
Quale futuro prevede per questi bambini?
R. -
Questi ragazzi hanno delle grosse risorse. E’ davvero un peccato che siano
abbandonati, perchè accompagnati in questo percorso loro esprimono tutte le loro
capacità, la voglia di recupero e anche capacità di autogestione. Noi abbiamo
un gruppo di ragazzi che attualmente sono inseriti in società e riescono a
vivere.
**********
RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Chiesa
e Società
Timor Est: governo e ribelli chiedono la mediazione
della Chiesa
per una soluzione di pace
Nuovi
spiragli di pace per Timor Est dove, dopo i violenti disordini della primavera
2006, non si è ancora raggiunta la pacificazione sociale e la tensione resta alta,
nonostante la presenza delle Forze internazionali di sicurezza. Nei giorni scorsi,
il leader ribelle, Alfredo Alves Reinado, il militare all’origine dei disordini
di un anno fa che causarono la morte di alcune persone e oltre 155 mila
sfollati, ha espresso la sua disponibilità a trattare con la mediazione della
Chiesa, in particolare attraverso il vescovo di Dili, Ricardo Da Silva. La
proposta è stata al centro di un colloquio lunedì tra il presule e il primo
ministro timorese, José Ramos-Horta, che ha illustrato le intenzioni del
governo, dicendosi favorevole a un negoziato mediato dalla Chiesa. La tensione
a Timor Est, indipendente dall’Indonesia dal 1999, è tornata alta dopo gli
scontri che il mese scorso hanno coinvolto anche i soldati australiani della Forza
Internazionale di Stabilizzazione (ISF). Tra le ragioni che hanno innescato la
spirale della violenza, vi è la carestia di riso che ha colpito tutto il Paese.
Un appello alla fine delle violenze e a costruire una “cultura della pace e del
rispetto reciproco” era stato rivolto nei giorni scorsi dal nuovo nunzio
apostolico a Timor Est, l'arcivescovo Leopoldo Girelli, e dai vescovi Alberto
Ricardo Da Silva e Basilio Do Nascimento in un messaggio congiunto in occasione
della sua prima visita pastorale nel Paese. Il piccolo Stato del sud-est
asiatico si avvicina ad un passaggio decisivo della sua pur giovane e
travagliata storia: le elezioni presidenziali che si terranno il 9 aprile
prossimo. (L.Z.)
Contro il
nuovo programma nucleare del governo britannico
una coalizione di personaggi pubblici e leader
religiosi.
Tra questi anche il vescovo di Lancaster
Mons.
Patrick O’Donoghue, vescovo di Lancaster e responsabile della pastorale dei
migranti e rifugiati della Conferenza episcopale inglese e gallese si è unito
al coro di ‘no’ al nuovo piano di ammodernamento nucleare varato dal governo
Blair. Al centro del dibattito c’è il Trident, il sistema missilistico di
deterrenza mediante missili montati su sommergibili nucleari, operativo da metà
degli anni Novanta. Il governo Blair lo vuole sostituire con sommergibili di
nuova generazione, ma la maggioranza dei britannici è contraria. Contro il
progetto di ammodernamento si è mobilitata una coalizione di un centinaio di
personaggi pubblici, tra cui leader religiosi, attori, scrittori e scienziati
che chiede al governo britannico di impiegare le sue risorse in un altro modo,
specie in un periodo storico in cui le minacce più gravi non vengono da singoli
Paesi, ma da gruppi terroristici. In una nota diffusa martedì, alla vigilia del
dibattito parlamentare iniziato ieri, mons. O’Donoghue invita “il primo ministro e il governo a non
procedere alla sostituzione del Trident e ad impegnarsi a smantellare gli
attuali sistemi di armamento nucleare ottemperando in questo modo gli obblighi
fissati dal Trattato di non proliferazione e dando nuovo impulso agli sforzi
internazionali per il disarmo”. “L’unico
vero deterrente nucleare - sottolinea la nota - è un passo verso il completo
disarmo nucleare”. Dello stesso tenore sono stati gli appelli delle Chiese
Anglicana, Battista, Metodista e Riformata unita. Secondo l’arcivescovo di Canterbury,
Rowan Williams, “non esistono argomenti a favore della moralità delle armi
nucleari” (L. Z.)
Il
Parlamento europeo ribadisce il suo "no" agli esperimenti nucleari
e chiede maggiori controlli su
esportazioni di materiali fissili
In
vista della riunione del Comitato preparatorio per la revisione del Trattato di
non proliferazione (TNP), che si terrà a Vienna dal 30 aprile all’11 maggio, il
Parlamento europeo ha adottato una risoluzione per la non proliferazione delle
armi nucleari. Nel documento, che sarà inviato al Consiglio e alla Commissione
europei, si sottolinea - riferisce l'agenzia SIR - che il Trattato “costituisce
la pietra angolare del regime globale di non proliferazione nucleare”. La
risoluzione ha avuto il sostegno di quasi tutti i gruppi politici
dell’Euroassemblea. In particolare, i deputati domandano “un contributo europeo
coordinato, concreto e tangibile per la revisione del Trattato”. Si tratta “di
sancire il divieto di produzione di materiali fissili e di accelerare la firma
e la ratifica del Trattato sull’interdizione totale degli esperimenti
nucleari”. I recenti casi dell’Iran e della Corea hanno risvegliato
l’attenzione della comunità internazionale sul tema nucleare. Anche per questo,
l'Europarlamento “sollecita controlli sulle esportazioni e controlli alle
frontiere per ridurre il rischio del terrorismo nucleare”. Si fa inoltre
pressione affinché gli Stati che stanno violando il regime di non
proliferazione, pongano fine “al loro comportamento sconsiderato e
irresponsabile”. (R.G.)
Polemiche in Spagna, dopo il decesso di una donna
che
aveva chiesto e ottenuto il distacco dal respiratore artificiale
che la
teneva in vita
La
morte di una donna, dopo una lunga malattia irreversibile, fa discutere la
Spagna sulla differenza tra eutanasia attiva e interruzione dell’accanimento
terapeutico. Oggi è notizia di primo piano in gran parte dei giornali
nazionali. Inmaculada Echevarria, questo il suo nome, aveva 51 anni, era
vedova, e da molti anni malata: a causa delle sue condizioni di salute, aveva
dovuto cedere in adozione un figlio perché non in grado di assicurargli tutte
le cure materne. Afflitta da distrofia muscolare progressiva, da dieci anni era
ormai costretta a letto e tenuta in vita con un respiratore artificiale. Da
tempo, chiedeva di essere lasciata morire. Recentemente, la direzione
dell’ospedale nel quale era ricoverata, gestito da religiosi, aveva dato parere
favorevole all'interruzione del mezzo artificiale che la teneva in vita. Ma
altre voci autorevoli nella Chiesa ritenevano che si sarebbe trattato di vera
eutanasia. In mancanza di opinione univoca da parte della Chiesa, i religiosi
avevano deciso di trasferire la paziente in un altro ospedale, sempre
accompagnata dagli stessi medici che l’avevano assistita fino a quel momento.
Le autorità civili della regione avevano autorizzato l’intervento medico,
affermando che si trattasse di un caso di interruzione di accanimento
terapeutico e non di eutanasia. Ieri, Inmaculada Echevarria è deceduta poche
ore dopo l’interruzione del sistema di respirazione artificiale che la teneva
in vita. Ma attorno a questo caso, in tutta la sua complessità, si sono
riaperte le polemiche sul piano morale sulla questione dell’eutanasia e le
risorse della scienza medica per prolungare la vita dei pazienti terminali.
“San
Raffaele dei Carabi”, nasce la nave-ospedale che porterà assistenza sanitaria
nei villaggi e nelle isole più
povere della Costa del Pacifico
Un
ospedale galleggiante per curare le popolazioni del Sud America e dei Caraibi,
costrette a vivere in pessime condizioni igienico-sanitarie, in luoghi distanti
giorni, a volte settimane, dall’ospedale più vicino. L’idea è stata concepita
da don Luigi Verzè, fondatore e presidente dell’ospedale “San Raffaele” di
Milano. Il progetto “San Raffaele Natante dei Carabi” è promosso dalla
Fondazione San Raffaele del Monte Tabor e dall' Associazione italiana per la
solidarietà tra i popoli (Aispo), e realizzato grazie alla "Fundacion
Colombia te quiere ver", fondata dal calciatore Ivan Ramiro Cordoba. Avrà
un costo di circa tre milioni di euro e sarà presentato ufficialmente oggi. Si
tratta di una nave-ospedale di 60 metri, quattro ponti e un equipaggio di una
quarantina di persone, tra medici e personale di supporto, che partendo dalla
Colombia porterà gli specialisti del San Raffaele nei villaggi e nelle isole
più povere della costa del Pacifico. Al suo interno, l’imbarcazione ospiterà
una sala operatoria, alcuni posti letto per la degenza, laboratori e una sala
per il pronto soccorso. Per gli interventi d’urgenza, sarà equipaggiata anche
di una “lancia-ambulanza” - in grado di raggiungere anche i villaggi situati
sulle sponde dei fiumi più interni - e di un ponte per l’elisoccorso. Sulla
nave, che avrà un’autonomia di trenta giorni, verrà svolta anche un’importante
attività di educazione sanitaria per la popolazione e di formazione del
personale medico locale. “Malaria, tubercolosi, infezioni, sono solo alcune delle
malattie che falcidiano la popolazione della costa pacifica della Colombia, a
causa della mancanza di acqua potabile e di un’alimentazione insufficiente”,
spiega don Verzè. Già da qualche anno, i medici del San Raffaele sono presenti con
una piccola imbarcazione, “La Esperanza”: in due settimane, si raggiungono
circa dieci villaggi e si effettuano in media mille visite mediche, con
vaccinazioni per 300 bambini e distribuzioni di kit sanitari per 7.000 persone.
“Per molte persone questo è l'unico modo per avere cure sanitarie - sottolinea
il direttore dell’AISPO, Renato Corrado - con il “San Raffaele Natante” questo
aiuto potrà essere fornito con maggiore qualità dei servizi e in modo
continuativo”. (E.L.)
Suor Eugenia Bonetti eletta “Donna di coraggio” per la sua azione
a favore delle vittime del traffico
degli essere umani
Prestigioso riconoscimento per Suor Eugenia Bonetti,
missionaria della Consolata da anni impegnata a contrastare la tratta delle
donne. Il Dipartimento di Stato Statunitense – riferisce l’agenzia Fides - le
ha conferito il premio “Donna di coraggio”. “Le rendiamo omaggio per il suo
eccezionale coraggio e capacità di direzione. I suoi risultati hanno aiutato a
creare un cambiamento nel suo Paese e hanno creato un positivo esempio per le
leader donne emergenti in tutto il mondo” ha scritto in una lettera a Suor
Eugenia, Paula J. Dobriansky, il Sottosegretario per la Democrazia e gli Affari
Globali. Il Premio viene conferito alla donne che operano per la promozione della
donna e la difesa dei loro diritti in tutto il mondo. Suor Eugenia ha ricevuto
il riconoscimento nella sede dell’Ambasciata americana presso la Santa Sede,
che dal 2000 ha fatto della lotta al traffico degli esseri umani un punto
centrale della sua missione. Nel 2004, suor Eugenia è stata eletta come una dei
sei “Eroi che si battono per porre fine alla moderna schiavitù” nel rapporto
annuale sul traffico delle persone pubblicato dall’Ufficio per il monitoraggio
e la lotta al traffico delle persone del Dipartimento di Stato americano. Sul
dramma delle donne vittime dello sfruttamento sessuale l’Agenzia Fides ha
pubblicato nell’agosto 2004 un ampio dossier. (L.M.)
Dal 24 marzo capolavori dell'arte europea in mostra
al Quirinale
per celebrare il 50mo anniversario dei Trattati di
Roma
Capolavori
dell'arte europea saranno in mostra al Palazzo del Quirinale dal 24 marzo al 20
maggio per celebrare il cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma,
firmati il 25 marzo del 1957 - nella sala degli Orazi e Curiazi in Campidoglio
- da sei Paesi europei: Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi
Bassi. L’esposizione, che sarà ospitata nel Salone dei Corazzieri, presenterà
opere degli attuali ventisette Paesi dell'Unione. Ogni Nazione ha scelto
un'opera ritenuta emblematica della propria storia ed idea d'Europa. A queste
si aggiunge come simbolo della comune appartenenza un vaso del IV secolo a.C.
recuperato dai Carabinieri della Tutela Patrimonio Culturale raffigurante il
"Ratto di Europa" che verrà esposto accanto agli originali dei
Trattati sulla comunità economica Europea e sull'Euratom. La rassegna coprirà
un arco cronologico che va dal III millennio dell'era precristiana, con la
“Madre terra” di Malta, fino al 1976 con il dipinto di Kirkeby “Profezia su
Venezia”, prestato dalla Danimarca. Ad inaugurare la mostra il 23 marzo sarà
dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, dal Presidente della Commissione
Europea, José Manuel Barroso, dai presidenti di tutti i Parlamenti dei Paesi
dell'Unione e dai rispettivi ministri della Cultura. La mostra sarà aperta
gratuitamente al pubblico ad eccezione delle domeniche quando con il consueto
biglietto da cinque euro è prevista anche la visita al Palazzo del Quirinale.
(R.G.)
RADIO
VATICANA
Radiogiornale
- A cura di Fausta Speranza –
- In
varie zone di Baghdad sono stati ritrovati ieri almeno 16 cadaveri, gettati in
strada o nelle discariche con evidenti segni di tortura, mentre almeno altri 11
sono stati ritrovati a Baquba, 57 km a
nord-est della capitale. Da ormai un mese è in corso a Baghdad una massiccia
operazione antiterrorismo denominata “Imporre la Legge”, cui partecipano circa
90 mila uomini, tra forze di sicurezza irachene e soldati americani. Le
violenze registrate in Iraq nei primi mesi del 2007 hanno subito un’ulteriore
impennata record e gli scontri settari per il potere sono ora la caratteristica
principale del conflitto. Lo indica il rapporto quadrimestrale pubblicato dal
Pentagono e consegnato al Congresso americano, in cui si sottolinea che a
gennaio e inizio febbraio ci sono stati in media 1.047 attacchi alla settimana.
Ma le cifre tengono conto solo degli incidenti registrati dalle forze USA e
quindi “danno solo un'immagine parziale della violenza subita dagli iracheni”.
Intanto, il presidente tedesco Horst Köhler ha chiesto il rilascio dei due
cittadini tedeschi rapiti in Iraq, con un video mandato in onda a partire da
ieri sera dalla televisione pubblica tedesca ARD e dal canale satellitare arabo
Al Jazeera. Sempre in relazione all’Iraq, è morto a 77 anni l’ex presidente del
parlamento iracheno, Sadoun Hammadi, uno dei più importanti esponenti del
deposto regime di Saddam. E’ considerato uno dei primi fondatori del partito
Baath.
- I
talebani hanno fatto recapitare un nuovo messaggio audio di Daniele Mastrogiacomo
all’agenzia di stampa afgana Pajhwok Afghan News. Nella registrazione si
ascolterebbe una voce parlare in lingua pashtun che invita il giornalista di “Repubblica”
a spiegare che il suo governo ha solo due giorni di tempo per iniziare i
negoziati. “Per favore fate qualcosa, avete solo due giorni a disposizione”,
afferma Mastrogiacomo.
- Il
presidente della Camera bassa del Parlamento afghano, Younus Qanooni, in
conferenza stampa a Palazzo Chigi ha fatto sapere di aver inviato una delegazione
del governo nella provincia di Helmand, dove è stato sequestrato il giornalista
italiano. Il leader afghano ha più volte condannato il rapimento dell’inviato
di “Repubblica”. Da parte sua, il premier italiano, Romano Prodi, ha affermato
che l’appello di ieri di Mastrogiacomo “trova tutto il governo unito e
determinato a operare per la liberazione nei tempi più rapidi possibili”.
-
Israele non collaborerà col governo di unità nazionale palestinese, la cui formazione
è stata annunciata dal presidente Abu Mazen e dal premier Ismail Haniyeh, in
quanto la sua piattaforma politica non accoglie le condizioni minime poste
dalla comunità internazionale: “Il riconoscimento di Israele, la rinuncia al
terrorismo e l’accettazione dei precedenti accordi firmati con Israele”. Lo ha
affermato una portavoce del ministero degli Esteri a Gerusalemme. Questa
dichiarazione è giunta mentre il premier palestinese, Haniyeh, confermava a
Gaza che la lista dei ministri nel governo di unità nazionale palestinese è
stata approvata dal presidente Abu Mazen. Già nella giornata di ieri è stata
data notizia dell’accordo tra Fath e Hamas per un governo di unità nazionale,
ma un annuncio ufficiale è atteso alla fine di questa settimana.
- Un
miliziano di al Fatah, Mohammed Abu Tuema, di 22 anni, è morto in seguito alla
gravità delle ferite subite negli scontri scoppiati ieri con uomini armati di
Hamas a Bet Lahiya, nel nord della Striscia di Gaza. Il movimento pacifista
israeliano Peace Now (Pace Adesso)
rende noto in un rapporto che “Lo Stato di Israele ha costruito e continua a
costruire sistematicamente colonie su terre private palestinesi”. Il documento
corregge le stime diffuse in merito alcuni mesi fa. Secondo i dati aggiornati,
131 insediamenti ebraici in Cisgiordania si trovano del tutto o in parte su
terre private palestinesi; solo 31 colonie non lo sono. Il 32 per cento delle
terre degli insediamenti appartengono a privati palestinesi. Alcuni mesi fa, Peace Now aveva stabilito che le terre
private erano il 40%. Un portavoce delle autorità israeliane in Cisgiordania ha
replicato che anche il nuovo rapporto del movimento pacifista è incorretto e
“non rispecchia la realtà”.
-
Soddisfazione e sollievo in Italia per il rilascio durante la notte dei due
tecnici italiani dell’AGIP, Francesco Arena e Cosma Russo, dopo 98 giorni di
detenzione nella giungla del delta del Niger, dov'erano stati sequestrati il 7
dicembre scorso dai ribelli separatisti del MEND, Movimento per l’emancipazione
del delta del Niger. I due hanno dichiarato di stare bene, nonostante tutto,
mentre si profila un giallo sul possibile pagamento di un riscatto, al quale ha
fatto cenno stamani la moglie di Arena, dopo aver parlato al telefono con il
marito, ma che è stato smentito in modo deciso dall’ENI. Il ministro degli
Esteri, Massimo D’Alema, ha espresso il suo “più vivo compiacimento” per il
loro rilascio, ricordando il “personale e continuo interessamento del
presidente del Consiglio, Romano Prodi, che a più riprese ha richiesto al
presidente nigeriano, Obasanjo, la collaborazione necessaria in tale delicata
vicenda”. D’Alema ha “ringraziato le autorità di governo nigeriane per
l’atteggiamento costruttivo e operativo assunto durante tutta la durata del
sequestro” e i media italiani per il loro “atteggiamento responsabile”.
- Il
ministro della Giustizia italiano, Clemente Mastella, attenderà la decisione
della Corte Costituzionale sul conflitto sollevato dal governo in merito ad una
presunta violazione del segreto di Stato, prima di stabilire se inoltrare negli
Stati Uniti la richiesta di estradizione dei 26 agenti CIA di cui la Procura di
Milano ha chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio per il sequestro dell’ex imam
Abu Omar.
-
L’economia europea è in buona ripresa: è quanto afferma il Commissario UE agli
Affari Economici, Joaquin Almunia, al ‘The
Economist’ dedicato ai primi 50 anni della UE. “Siamo in un momento di
ripresa economica, stiamo creando posti di lavoro e stiamo migliorando le
nostre performance”, ha detto Almunia
ricordando il ruolo avuto dalle riforme. Secondo il commissario, questo è un
buon argomento per convincere la società europea a proseguire gli sforzi per
diventare più dinamica, flessibile e innovativa. Almunia, peraltro, ha
confermato che “l'inflazione di base resterà sopra il 2% nella seconda parte
del 2007”.
- La
crisi nucleare legata all’Iran e quella legata alla Corea del Nord da tempo
impegnano le diplomazie mondiali, con un’alternanza di notizie positive e negative.
Nelle ultime ore ci sono sviluppi per l’una e per l’altra. Il nostro servizio:
**********
Gli ambasciatori dei cinque membri permanenti del
Consiglio di Sicurezza, più la Germania, hanno raggiunto un ''accordo di
principio'' su un pacchetto di nuove sanzioni contro l'Iran e si apprestano a
presentare una proposta di risoluzione in questo senso. E’ quanto ha detto ieri
in serata l'ambasciatore americano Wolff, reggente della missione degli USA
all'ONU. Da parte sua, il presidente iraniano, Ahmadinejad, è tornato nelle
ultime ore a mettere in guardia le grandi potenze dall'approvare sanzioni
economiche contro Teheran per il suo programma nucleare, minacciando
conseguenze non precisate. Guardando alla Corea del Nord, l’annuncio è
decisamente positivo: il Paese asiatico sta apprestandosi a chiudere il
reattore nucleare di Yongbyon, al centro di una lunga crisi internazionale conclusa
da un accordo a sei firmato a Pechino il mese scorso. La Corea del Nord
dovrebbe ottenere a breve una serie di generatori elettrici a fronte dei suoi
primi passi per 'spegnere' Yongbyon, che dovrà poi smantellare in cambio di
ampie forniture energetiche previste dall'accordo internazionale a sei. Ieri
nella sua prima visita a Pyongyang il direttore generale dell'AIEA, el Baradei,
aveva confermato la volontà nordcoreana di rispettare l'intesa e di
acconsentire prossimamente a un ritorno degli ispettori dell'agenzia dell'ONU
per l'energia atomica. A parte le dovute distinzioni e i diversi sviluppi, le
due situazioni presentano, comunque, alcuni punti in comune, in particolare per
quanto riguarda la loro utilità strategica. E’ quanto conferma, nell’intervista
di Stefano Lezszcynski, Angelo Baracca, esperto di disarmo nucleare e docente
di fisica all’Università di Firenze:
R. -
Il senso comune si potrebbe leggere nell’uso strumentale del nucleare che viene
fatto, in tutte le parti, dalle grandi potenze, dai Paesi più deboli, dai Paesi
che si sentono minacciati. Il nucleare viene visto come strumento di
deterrenza, come reazione ad imposizioni o minacce di altri Paesi da un lato, e
come strumento di accusa da parte dei Paesi più forti.
D. –
Quello che colpisce sono questi continui segnali di apertura manifestati
dall’Iran e dalla Corea e poi i repentini passi indietro con delle posizioni se
non di minaccia, quasi di arroganza nei confronti della comunità internazionale...
R. –
Mi sembra una dialettica molto articolata di “tira e molla”, dare e avere che
va avanti da molto tempo e che andrà ancora avanti per molto tempo, dove ognuno
degli attori gioca le sue carte anche con prudenza. Anche gli Stati Uniti
vorrebbero che Israele attaccasse l’Iran. Se non l’hanno ancora fatto è perché
la cosa è tutt’altro che semplice.
D. –
Ci sono altri Paesi che puntano fortemente sul nucleare, che potrebbero presto
provocare altri problemi?
R. –
Secondo una relazione dell’ONU, dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica,
sono decine i Paesi che sarebbero in grado di realizzare la bomba. Sappiamo
come il Pakistan l’abbia fatto. L’ha fatto con delle complicità internazionali
molto attive. Vorrei del resto ricordare quando veniva accusato l’Iraq di voler
fare la bomba, c’era l’Ansaldo nucleare italiana che commerciava sul piano
nucleare con l’Iran. Quindi queste cose sono molto pericolose, molto ambigue.
Io credo che sia una tecnologia troppo pericolosa, un rischio troppo grande per
continuare ad essere così una merce di scambio fatta con questa leggerezza.
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