RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n.
65 - Testo della trasmissione di martedì 6
marzo 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Quaresima, tempo del dono e del perdono: un
commento del vescovo di Oristano, Ignazio Sanna
Oggi su "L'Osservatore
Romano"
OGGI
IN PRIMO PIANO:
CHIESA
E SOCIETA’:
A Bangalore, in India, è partita la campagna “Cento giorni di
preghiera”
Internet: nuove norme in Italia per garantire la
privacy. Vietato ai datori di lavoro pubblici e privati controllare la
navigazione e la posta elettronica dei dipendenti
In Afghanistan, mentre
montano le proteste contro le forze straniere, la Nato annuncia la sua più
grande offensiva contro la guerriglia Taleban
RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Il
Papa e la Santa Sede
Rinunce e nomine
Negli Stati Uniti, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo
pastorale della diocesi di Dallas, presentata per raggiunti limiti di età dal
vescovo Victor Grahmann. Al suo posto, il Papa ha nominato mons. Kevin Joseph
Farrell, finora ausiliare di Washington. Mons. Farrell, 49 anni, ha frequentato
l’Università di Salamanca in Spagna, e poi la Pontificia Università Gregoriana
a Roma. Sempre a Roma, ha ottenuto la licenza in Filosofia ed in Teologia
all’Università di San Tommaso a Roma, quindi ha conseguito un "Master’s
Degree" in "Business administration" all’Università statunitense
di Notre Dame. Entrato nella Congregazione dei Legionari di Cristo nel 1966,
dopo l'ordinazione sacerdotale ha svolto, tra l'altro, i seguenti incarichi:
parroco, docente di studi economici, amministratore generale con responsabilità
per seminari e scuole dei Legionari di Cristo in Italia, Spagna ed Irlanda,
direttore del Centro cattolico spagnolo, segretario per gli Affari finanziari.
Sempre negli Stati Uniti, il Pontefice ha nominato vescovo di Lake
Charles il sacerdote mons. Glen John Provost, del clero della diocesi di
Lafayette, finora parroco della Our Lady of Fatima Parish a Lafayette. Il neo
presule ha 47 anni e dopo aver frequentato l’High Immacolata Seminary, ha compiuto
gli studi in letteratura inglese al Saint Joseph Seminary College di Saint
Benedict, in Louisiana. Ha perfezionato gli studi quindi presso il Collegio
Nord Americano di Roma, conseguendo il Bacellierato in Teologia all'Angelicum e
il Master in Scienze umanistiche (letteratura inglese) presso la University of
South Louisiana di Lafayette nel 1981. E' stato ordinato sacerdote nel 1975
nella Basilica di San Pietro e in seguito ha svolto, fra gli altri, gli
incarichi di parroco, di giudice del Tribunale diocesano, membro del Board del
Lafayette Catholic Service Center/Opelousas Housing Corporation. È stato
nominato Cappellano di Sua Santità nel luglio 1988. Parla l’inglese, il
francese, l’italiano e lo spagnolo.
Annunciare la verità con
coraggio: sulle priorità per i media di oggi,
richiamate da Benedetto XVI, è in corso in Vaticano
la plenaria
del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali
Si è aperta ieri nell’Aula Vecchia del Sinodo, in Vaticano,
l'Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni sociali. Tema
dell'incontro, che si concluderà venerdì 9 marzo, è “Le priorità nelle
comunicazioni sociali, per la Chiesa e per il nostro Consiglio”. Proprio nel
suo messaggio per la Giornata delle Comunicazioni Sociali di quest’anno, Benedetto
XVI ha indicato alcune grandi sfide con le quali tutti gli operatori della
comunicazione devono confrontarsi. In particolare, il Papa ha rivolto un
appello ai media di oggi, affinché siano “responsabili”, “protagonisti della
verità e promotori della pace”. Una riflessione sulle priorità per i media
cattolici ci viene offerta da Paolo Bustaffa, direttore dell’agenzia
SIR, intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. – Io vorrei rispondere con una frase che
Benedetto XVI pronunciò ricevendo in udienza il 2 giugno scorso i media
cattolici, i media della Conferenza episcopale italiana e quindi anche
l’agenzia SIR, e la frase è questa: “Costruire ponti di comprensione e
comunicazione tra l’esperienza ecclesiale e l’opinione pubblica”. Questo, credo,
sia un primo compito fondamentale che racchiude poi tutte le grandi questioni
che riguardano il linguaggio, che riguardano la professionalità, la credibilità
e l’attendibilità del nostro servizio. Quindi, questo costruire ponti significa
davvero mettersi in un atteggiamento di ascolto e racconto della realtà,
cercando di individuare i valori, gli ideali più sentiti, più veri, quelli che
danno significato pieno alla vita di ogni persona, di una società e di una
comunità.
D. - La Chiesa e il Papa annunciano un messaggio.
Spesso, però - basti pensare al caso clamoroso del discorso di Ratisbona - i
media offrono un’informazione parziale, se non addirittura strumentale. Cosa
possono fare i media cattolici per far passare la notizia in modo corretto e
completo?
R. - Non è un lavoro facile, perché una volta che
i “potenti”, i “grandi” mezzi di comunicazione stravolgono un messaggio, è
davvero molto difficile per noi cercare di offrire degli elementi conoscitivi
più profondi, più attendibili, più credibili perché l’opinione pubblica, le
persone possano rendersi conto davvero di quello che è stato detto, di quello
che è il pensiero, di chi ha parlato.
D. - Nel messaggio per l’ultima Giornata mondiale
delle Comunicazioni sociali, il Papa ha esortato i media di oggi ad essere
protagonisti della verità. Come mettere in pratica questa esortazione nell’era
della globalizzazione che propone spesso messaggi anche confusi?
R. – Io credo che sia possibile, grazie a un
percorso che attraversi le coscienze delle persone. Il nostro compito è quello
davvero di stimolare domande, di stimolare il desiderio di cercare la verità,
cercare risposte che siano nel senso della verità. Questo credo lo si possa
fare, si possa raggiungere tale obiettivo mettendo tutta la professionalità
possibile - è un tema che continuamente richiamiamo - ma avendo noi stessi poi
passione per la verità, quindi mettendoci anche noi alla ricerca della verità,
insieme a tutti coloro ai quali noi ci rivolgiamo.
**********
Quali, invece, le priorità in un mezzo di comunicazione cattolico che
opera a livello locale? Al microfono di Alessandro Gisotti, risponde Claudio
Mazza, vicedirettore de “Il Segno”, mensile della diocesi di Milano, voluto
nel 1961 dall’allora cardinale Giovanni Battista Montini:
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R. - La priorità è sostanzialmente ancora quella
dettata da Montini con molta lungimiranza allora, già dal nome, lui lo volle
chiamarlo “Il Segno” perché fosse un segno della presenza della Chiesa nella
società, attraverso le parrocchie le famiglie e le famiglie cristiane. Questo è
il senso della sua analisi di allora. Di pari passo doveva essere una specie di
supporto ai bollettini parrocchiali. E’ uno strumento laico a servizio della
Chiesa di Milano. Di fatto ci sono giornalisti professionisti, quindi non ha
niente da invidiare agli altri mensili, agli altri settimanali. L’obiettivo che
ci poniamo è quello di essere presenti all’interno del tessuto sociale e
culturale della diocesi ambrosiana.
Questo deve interagire con lo stesso territorio e in un contesto di
verità e di regole, avendo sempre davanti il bene della persona, della
comunità. Certo in un confronto aperto con tutte le culture e le persone che
convivono con noi in questo luogo e del nostro tempo.
D. - Qual è la risposta dei lettori, che cosa
apprezzano in particolare del “Segno”, e com’è cambiata nel tempo la percezione
da parte dei fedeli di questo mezzo di comunicazione diocesano?
R. - La percezione del mezzo è pressoché
identica, questo per un motivo semplice, cioè che al “Segno” nella stragrande
maggioranza sono collegate poi delle pagine di informatori locali, pagine
locali a lui più vicine. Bollettini che raccontano la vita della parrocchia, la
vita dell’associazione, dei movimenti, tutto quello che ruota attorno alla
comunità cristiana, e questo è il primo dato di lettura. Poi c’è un secondo
dato di lettura: non diamo un’attenzione solo al particolare che è la comunità,
ma al tessuto diocesano e alla Chiesa in Italia e nel mondo.
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Quaresima, tempo del dono e del perdono:
un commento del vescovo di Oristano, Ignazio
Sanna
Nel Messaggio per la Quaresima di quest’anno, Benedetto XVI invita i
fedeli a volgere lo sguardo a Cristo Crocifisso, e lo incentra sull’amore di
Dio per l’uomo. Un tema, quello di "eros e agape" (due termini della
cultura greca), che è già stato al centro della prima enciclica papale, Deus
caritas est. Ascoltiamo in proposito, il commento di mons. Ignazio Sanna,
teologo e arcivescovo di Oristano, al microfono di Fabio Colagrande:
**********
R. - Il Dio che presenta il Papa è un Dio amore e
questo amore lo si rileva in maniera molto elevata in Gesù Crocifisso. L’amore
che viene presentato non è una pura astrazione, non è pura ideologia ma è un
modo concreto con cui Dio ha dimostrato al mondo di amare l’uomo, dando suo
Figlio Gesù, che muore poi in Croce. Ora, in questo amore di Gesù c’è una
duplice dimensione, dal punto dell’eros e dell’agape. Perché il Papa ritorna su
questa unità dell’eros e dell’agape? Per recuperare in qualche modo l’eros nel
cuore stesso di Dio, cioè quel Dio cristiano che ama è un Dio che manifesta la
profondità dei suoi sentimenti. In tutta la storia della salvezza, che il Papa
richiama nel suo messaggio, è presente questa profonda dimensione umana di Dio:
un Dio che ama con il cuore, che è amico degli uomini e che è sensibile ad ogni
bisogno dell’uomo.
D. – Mons. Sanna, è interessante, proprio su
questo punto, che il Papa descriva la storia della Salvezza, il rapporto tra
Dio e il suo popolo, quasi come una storia d’amore in cui l’uomo sedotto dal
maligno rifiuta questo amore e Dio, alla fine, giunge proprio al sacrificio più
alto, donando prima suo Figlio e giungendo poi al sacrificio della Croce. E’
una lettura questa - dal punto di vista biblico, teologico - nuova, forte?
R. – Indubbiamente sì, perché intanto fa vedere
come questa parola “amore” - che il Papa ha detto in altre occasioni è
consumata, è sciupata - vada presentata nella sua profonda essenza che
comprende due dimensioni: interiorità, come pure una oblatività, ma anche
partecipazione esteriore, quella di un Dio che si commuove, che interviene, che
aiuta, che corregge anche, a seconda delle circostanze. Quindi, non un Dio
lontano, ma un Dio che è coinvolto nella storia dell’uomo. A questo riguardo
poi, il Papa dice: “Se Dio è carità e questa carità la si rivela in questa
profonda dimensione, quale deve essere la risposta del cristiano a questo
amore?” Il Papa utilizza un’espressione: parla della Quaresima come "tempo
eucaristico". E’ un’espressione interessantissima, perché mette in
evidenza come il modo più concreto di testimoniare che Dio è amore sia quello
di dare amore e l’uomo deve dare amore perché lo ha ricevuto, deve donare agli
altri quello che ha ricevuto, oppure donare perché si è donati, perdonare perché
si è perdonati. Questa è un’indicazione molto interessante, molto
significativa, di questo messaggio del Papa.
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Oggi
su "L'Osservatore Romano"
Servizio vaticano - Una pagina dedicata alle Lettere quaresimali dei
vescovi italiani
Servizio estero - Afghanistan: la NATO annuncia una vasta offensiva
nel sud contro i guerriglieri talebani
Terza Pagina - Un articolo di Irene Iarocci su alcune caratteristiche
salienti della lingua giapponese
Servizio italiano - In primo piano, il dibattito sull’Afghanistan
RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Oggi
in Primo Piano
Il Ghana celebra i 50 anni
di indipendenza. Almeno 20 mila persone
hanno
partecipato alla cerimonia, tenutasi ad Accra,
per ricordare
l’anniversario
Si celebra oggi il 50.mo anniversario dell’indipendenza del Ghana,
primo Paese dell’Africa subsahariana ad ottenere la libertà dal dominio
coloniale. In vista di questa importante ricorrenza, la Chiesa ha proclamato il
2007 “Anno di grazia del Signore”, proponendo alle diocesi e alle parrocchie di
conferire un’accentuata impronta giubilare alle celebrazioni liturgiche
dell’anno. Sul significato di questo anniversario e sulla situazione del Ghana,
ascoltiamo il vicario generale della diocesi di Sunyani, mons. George Kwame Kumi, al microfono di Amedeo Lomonaco:
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R. – Today is a very special day for Ghana, because
it a day that we are celebrating ...
Oggi, per il Ghana è una giornata veramente
speciale, perché festeggiamo i nostri 50 anni di d'indipendenza del Paese, in
Africa. Negli ultimi 50 anni, abbiamo affrontato e superato molte difficoltà e
sfide, ma abbiamo avuto anche momenti di grande incoraggiamento e di successo
in termini di sviluppo economico e specialmente per quanto riguarda lo sviluppo
della Chiesa. Dopo la nostra indipendenza, la Chiesa ha avuto una forte
crescita. Oggi, in Ghana, regna la vera democrazia: abbiamo molte stazioni
radio ed anche molti quotidiani, la gente può parlare liberamente ed esprimere
le proprie opinioni senza alcun timore di essere arrestata, come avveniva al
tempo del regime militare. Per quanto riguarda l’economia, abbiamo avuto grandi
difficoltà a causa dell’instabilità nel nostro governo.
D. – Qual è attualmente la situazione della
Chiesa nel Paese africano?
R. – For the Church, I would say, the Church has
improved tremendously since ...
Per quanto riguarda la Chiesa, direi che essa ha
avuto un grandissimo sviluppo dalla nostra indipendenza. Dal quel giorno, molte
Chiese del Ghana, compresa la Chiesa cattolica, hanno visto una grande
crescita, sostenute dalle Chiese sorelle in Europa e in America. Ci
consideriamo un Paese africano alla guida di altri Paesi africani, e vogliamo
costruire e contestualizzare la Chiesa nella nostra situazione africana nel miglior
modo possibile.
D. – Quali sono i tratti peculiari delle
celebrazioni in Ghana per questo importante anniversario?
R. – Today, we are now in the big Independence
Square in Accra and look at the …
Ci troviamo oggi nella Piazza dell’Indipendenza,
ad Accra, e stiamo guardando la televisione. Sono presenti molti capi di Stato
e gente venuta da ogni parte del Paese: è una grande festa! La gente indossa i
costumi tradizionali, che sono molto colorati. Il presidente terrà un discorso
e ci saranno altri presidenti di altri Paesi che a loro volta parleranno. Le
autorità e la gente semplice si uniscono per festeggiare: diranno parole di
incoraggiamento per tutti e di sostegno per costruire un futuro che consenta al
Paese di crescere in termini di economia, di politica e di religione.
**********
Il rapporto tra etica ed
economia nei processi di globalizzazione
al centro del
recente incontro tra i vescovi latinoamericani delegati del CELAM
“Globalizzazione, superamento della povertà e iniquità”. E’ il tema al
centro dell’incontro, conclusosi sabato scorso, tra vescovi latinoamericani
delegati del CELAM ed un gruppo di economisti, tra cui Michel Camdessus, ex
direttore del Fondo monetario internazionale. Si è discusso, in particolare,
del rapporto tra etica ed economia alla luce della centralità della persona
umana nei processi di sviluppo. I presuli hanno sottolineato come la Chiesa
metta l’accento su un’economia che non sia slegata dall’etica. Ma come viene
accolto questo impegno in America Latina in vista della quinta Assemblea generale
delle Conferenze episcopali di America Latina e Caribe, che si terrà a maggio
ad Aparecida, in Brasile, e sarà aperta da Benedetto XVI? Amedeo Lomonaco
lo ha chiesto a mons. Álvaro Ramazzini Imeri, vescovo di San Marcos e
presidente della Conferenza episcopale del Guatemala:
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R. – Credo che adesso la sfida sia come riuscire
a far sì che venga accolto questo legame tra etica ed economia. E credo che
dovremmo discutere, noi tutti che parteciperemo alla V Conferenza di Aparecida,
per riuscire a trovare le strade più pratiche, affinché questo si avveri.
D. – Come si rapporta la Chiesa al fenomeno della
globalizzazione nel contesto latinoamericano?
R. – Noi vediamo che il processo della
globalizzazione in America Latina ha delle conseguenze piuttosto negative e
poco positive: i processi di impoverimento delle grandi popolazioni aumentano.
Noi, che vediamo la realtà delle comunità nei villaggi, nei paesini,
constatiamo come quelli che potrebbero essere gli effetti positivi della
globalizzazione vadano in favore soltanto di determinati gruppi che diventano
più ricchi. Ecco perché una delle conclusioni alle quali siamo giunti in questo
incontro è stata quella di verificare l'aumento del divario tra ricchi e
poveri. Per questo, dobbiamo cercare di far cambiare questi effetti negativi,
anche perché la grande domanda è questa: chi è responsabile dei processi di
globalizzazione? Alla fine, si può rispondere: quelli che si arricchiscono di
più. Il fenomeno della globalizzazione, in questo momento in America Latina,
rende i poveri ancora più poveri.
D. – Quali sono i problemi che preoccupano la
Chiesa in America Latina e, in particolare, in Guatemala?
R. – La mancanza di rispetto per la vita umana.
Poi, ci preoccupa la violenza, che è frutto anche della povertà, ci preoccupa
la disintegrazione delle famiglie, anche perché spesso il lavoro obbliga i
genitori a stare fuori casa tutto il giorno. Ma ci preoccupa molto anche la
delusione della maggioranza dei giovani, che non vedono per loro un futuro
migliore. Ci preoccupa l’emigrazione, in aumento soprattutto verso gli Stati
Uniti. Ci preoccupano molto anche l’aumento del narcotraffico, il divario tra
fede e vita di tanti cristiani, cui fa seguito l’incapacità di considerarsi
davvero discepoli, di non vivere il loro battesimo. Ci preoccupa infine il
proselitismo aggressivo delle sette fondamentaliste non cattoliche, che offrono
una proposta di vita che – in molti casi – non ha nulla a che vedere con il
vero Vangelo del Signore Gesù. Tutte queste sono cose che ci preoccupano.
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Un
progetto per togliere dal lavoro in miniera i bambini boliviani:
lo finanzia il film italiano
"Rossomalpelo"
Cinquecentomila euro per mille bambini: con
questo slogan si presenta il “Progetto Rossomalpelo” diretto a contrastare il
lavoro dei bambini nella regione del Potosí, in Bolivia. L’iniziativa - che
coinvolge il Movimento Laici America Latina, l’Associazione Libera, i sindacati
e altre realtà della società civile - verrà finanziata interamente con i
proventi del film "Rossomalpelo" di Pasquale Scimeca, che uscirà
nelle sale il prossimo aprile. Il servizio è di Stefano Leszczynski:
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Era l’Italia di 100 anni fa, quella raccontata da Giovanni Verga nella
novella di "Rosso Malpelo", bambino minatore delle solfatare
siciliane. Un fenomeno che oggi non esiste più in Italia, anche se in molti
Paesi del mondo sono centinaia di migliaia i bambini che scavano ancora e non
per gioco. Il regista, Pasquale Scimeca:
“Il problema è che ancora oggi, nel mondo, ci
sono più di un milione di bambini che vivono e che vengono sfruttati nel lavoro
dentro le miniere. Si tratta, quindi, di un tema, purtroppo, ancora di grande
attualità. Io credo che sia una delle grandi vergogne dell’umanità”.
L’intero ricavato del film servirà a finanziare un progetto di
sviluppo e sostegno sociale nella regione mineraria del Potosí, in Bolivia,
dove il 13,7 per cento dei bambini sotto i cinque anni sono denutriti, il tasso
di scolarizzazione è di appena il 40 per cento e dove più della metà della
popolazione non ha accesso all’acqua potabile. Ancora Scimeca:
“Credo che ci sia un problema di etica che viene
prima di qualsiasi cosa, un problema di morale. Io posso capire che ci siano
delle realtà dove i bambini hanno quasi il bisogno di lavorare perché c’è la
miseria, la povertà per cui ognuno porta a casa qualcosa, anche un bambino
porta a casa qualcosa. Però, in questo caso – così come per la schiavitù – non
è giusto”.
Le organizzazioni specializzate delle Nazioni Unite stimano che oggi i
bambini costretti a svolgere lavori pesanti e pericolosi, spesso in stato di
semi-schiavitù, siano 218 milioni: oltre un milione lavorano nelle miniere del
pianeta, in Asia, Africa e America Latina. Una piaga che si può contrastare
però con politiche e interventi efficaci, come dimostrano i dati più recenti.
Sentiamo don Luigi Ciotti, presidente dell’Associazione “Libera”:
“Prendo ad esempio, il Brasile e il Messico, dove
c’è stata una diminuzione del 66%: un grande investimento sui giovani, per cui
oggi abbiamo solo un 5 per cento di minori tra
i 5 e i 14 anni che lavorano. Servono leggi
adeguate, interventi di politica sociale, sostegno alle famiglie...”.
Non basta, però, pensare ai soli bisogni dei bambini: per poterli
liberare, serve un serio contrasto anche al crimine organizzato, che li sfrutta
come merce preziosa. Ancora don Luigi Ciotti:
“Cinquanta milioni di bambini all’anno nascono e
non vengono riconosciuti, diventano invisibili: non vanno a scuola, non hanno
il diritto di avere diversi servizi e li ritroviamo poi usati in vari tipi di
circuiti. Forme di lavoro forzato, forme di schiavitù, anche. Proviamo a
combattere tutto questo a livello internazionale”.
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Carlo Casini,
fondatore del Movimento per la vita:
è la famiglia fondata sul matrimonio il
fondamento dello Stato
È necessario sostenere la famiglia fondata sul matrimonio. Così si è
espresso ieri Carlo Casini, presidente del Movimento per la Vita, alla presentazione,
presso la nostra emittente, del suo ultimo libro: “Unioni di fatto, matrimonio,
figli tra ideologia e realtà”. Un volume che arriva proprio mentre il disegno
di legge sulle unioni di fatto (DICO) inizia l’iter parlamentare nel Parlamento
italiano. Il servizio di Isabella Piro:
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Nel cuore dell’uomo c’è scritto un bisogno di eternità, a cui la
famiglia dà una risposta naturale: quella dell’amore gratuito e stabile. E’
stata questa la riflessione da cui è partito Carlo Casini per presentare
il suo ultimo libro. Un volume diviso in due parti: nella prima, si analizzano
concetti fondanti della società, come la famiglia, appunto, i figli e l’amore.
Nella seconda parte, invece, vengono analizzati ed esposti gli aspetti
giuridici e le domande più ricorrenti nel dibattito sui DICO, un dibattito che
nasconde un grosso rischio:
"Gran parte del dibattito che si sta
svolgendo ha come anima l’ideologia, non quello che si dice, cioè l’aiuto verso
le persone più deboli: non è così, è che si vuole imporre una certa ideologia.
Perchè la dimensione dell’esercizio della sessualità, quale essa sia, è il bene
pubblico da proteggere e questo, parliamoci chiaro, è collegato a una certa
visione edonistica della vita. Nessuno può impedire fisicamente a due persone,
anche dello stesso sesso, di fare quello che vogliono e di vivere o no insieme.
Lo Stato in qualche modo garantisce questa libertà, ma questa libertà che è
garantita dallo Stato va collocata nell’ambito del diritto privato".
Difendere la famiglia fondata sul matrimonio, dice ancora Casini, non
è appannaggio esclusivo dei cattolici, ma è un compito che spetta a tutta la
società, anche quella laica:
"L’articolo 29 della Costituzione che parla
della 'famiglia fondata sul matrimonio' è stato approvato a grandissima
maggioranza non in Vaticano ma dai rappresentanti del popolo italiano.
L’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, anch’essa
dichiarazione 'laicissima', dice che la famiglia è il fondamento dello Stato.
Allora il matrimonio è il fondamento del fondamento dello Stato".
Sullo stretto legame tra famiglia e vita, invece, si è soffermato mons.
Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che ha
poi sottolineato il rischio di sovvertire la legge naturale, consentendo le
unioni di fatto anche tra omosessuali:
R. - La famiglia prevede un’integrazione tra
l'uomo e la donna, una complentarietà fisica, affettiva, eccetera. Ora,
nell’omosessualità non c’è la complementarietà, non c’è l’apertura alla procreazione
quindi si passano i limiti della legge naturale.
D. - In questo contesto, allora, come possono
intervenire i cattolici?
R. - Devono anzitutto informarsi bene, quindi
avere una formazione di coscienza propria, loro, e che siano unanimi, perché la
verità nell’ambito della ragione, ma anche della fede, non consente le
contraddizioni e i compromessi.
Il nostro 'no' ai DICO è soprattutto un 'sì' alla famiglia, ha
concluso Carlo Casini. Non c’è bisogno, quindi, di alcuna legge specifica per
tutelare la dignità delle persone conviventi:
"Le singole persone che vivono una
situazione di convivenza sono coperte da una dignità umana che è uguale per
tutti. Quindi, se c’è un qualche spazio in cui questa dignità umana merita
attenzione, non lo si fa con una legge sui PACS ma lo si fa guardando ai
singoli settori dell’ordinamento giuridico. Io, che sono giurista, li ho già
guardati e posso dire che non manca nulla già ora".
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RADIO
VATICANA
Radiogiornale
Chiesa
e Società
Al rientro dalla
Terra Santa, il cardinale tedesco Karl Lehmann,
auspica che quei luoghi non diventino “un museo
vivente della cristianità”
"La Terra Santa non può diventare un museo vivente della
cristianità": il commento – riportato dall’agenzia SIR - del cardinale
Karl Lehmann, presidente dei vescovi della Germania, al rientro domenica scorsa
dal primo pellegrinaggio compiuto in Terra Santa, dai presuli delle 27 diocesi
tedesche. "Siamo venuti come pellegrini", ha affermato il cardinale
Lehmann ricordando gli incontri avuti con i cristiani del luogo e le visite
alle loro scuole e strutture. "In Terra Santa esiste una Chiesa cattolica
vitale non solo per la propria vita spirituale, ma anche per il lavoro a
livello sociale", ha osservato il porporato, citando l'Ospedale pediatrico
della Caritas a Betlemme. "E’ impressionante – ha aggiunto - la portata
del contributo della Chiesa in Terra Santa alla vita sociale attraverso scuole
e strutture sociali di qualsiasi genere. Vogliamo contribuire a far sì che i cristiani
qui possano avere un futuro. Incoraggiamo tutti i credenti a compiere
pellegrinaggi in Terra Santa”. Tra le tappe significative del viaggio, il
presidente dei vescovi tedeschi ha indicato la visita al memoriale
dell'Olocausto di Yad Vashem: “per tutti i tedeschi – ha sottolineato infine -
resta indispensabile confrontarsi con il genocidio degli Ebrei sia nel presente
che nel futuro". (R.G.)
A Bangalore, in India, è partita la campagna “Cento giorni di
preghiera”
Si chiama "Cento giorni di preghiera", la campagna
lanciata nell’arcidiocesi di Bangalore, in India, dal gruppo ecclesiale Jesus
Youth Group. Iniziata il Mercoledì delle Ceneri continuerà fino alla
Pentecoste. I giovani pregheranno incessantemente “prima di tutto per lo Stato
e per la popolazione del Karnataka", ha spiegato Frijo Francis,
rappresentante locale del movimento, all’agenzia "Fides". La campagna
si divide in due periodi: dal Mercoledì delle Ceneri fino a Pasqua e dalla
Pasqua fino a Pentecoste. “Preghiamo per tutte le necessità che abbiamo
individuato nel nostro territorio: l’unità delle famiglie, il recupero dei
tossicodipendenti, i disoccupati, gli studenti, i poveri, i sofferenti. Abbiamo
preparato un piccolo sussidio per la preghiera che segnala le necessità più
urgenti della nostra gente. Lo abbiamo distribuito chiedendo a tutti fedeli di
unirsi alla nostra iniziativa”. Il "Jesus Youth Group" è un movimento
giovanile di stile carismatico e missionario a servizio della Chiesa cattolica
che vuole portare Gesù Cristo ai giovani, con modalità e strumenti propri dei
giovani. Nato negli anni Settanta nello Stato indiano del Kerala, coinvolge un
numero crescente di giovani negli incontri di preghiera e nelle iniziative
missionarie. Ha il suo centro in India, ma oggi è presente anche in altri Paesi
dell’Asia, in America e in Europa e conta in totale oltre 30 mila giovani in
oltre venti Paesi. (R.G.)
Messaggio della Chiesa
sudcoreana “profondamente preoccupata”
per la
ripresa nel Paese asiatico degli esperimenti sugli embiorni
La Chiesa coreana si dice “profondamente preoccupata” per la ripresa
degli esperimenti sugli embrioni umani, ricordando che “ci sono altre strade
che la ricerca può intraprendere, senza per questo dover manipolare la
vita”. Così si legge nel messaggio della Commissione per la vita
dell’arcidiocesi di Seoul - ripreso dall’agenzia “AsiaNews” - dal titolo “La
posizione cattolica sulla legge che regola la bioetica”. A tal proposito, mons.
Andrew Yeom Soo jung, presidente della Commissione, osserva che “fare ricerca
sulle cellule staminali embrionali significa manipolare l’embrione, e quindi
l’uomo. Queste ricerche - aggiunge - si basano su interessi commerciali e
logiche che guardano solo al profitto: non nascono da preoccupazioni sulla
medicina”. La ricerca sulle embrionali, prosegue il messaggio, “porta con sé un
problema etico molto serio: quanto sia lecito distruggere una nuova vita, che
non può difendersi in alcun modo, per curarne un’altra”. La Chiesa,
chiarisce ancora la nota, “non è contraria alla ricerca o all’innovazione. Al
contrario, sostiene la ricerca sulle cellule staminali adulte, e continuerà a
farlo”. Da qui l’invito “a rinunciare ad ogni tipo di ricerca embrionale”, “per
la crescita etica della società”. Il messaggio è stato inviato al governo, che
in questi giorni delibera sulla ripresa della ricerca embrionale e sui limiti
applicabili ai ricercatori in base alla nuova legge sulla bioetica. (R.G.)
Appello dell’ONU in
favore dei diritti delle donne in Afghanistan:
le autorità dello Stato devono garantire giustizia
alle tante vittime di violenze e abusi
Le autorità dell’Afghanistan devono assicurare che ''sia fatta
giustizia alle vittime'', considerato che una donna su tre, in questo Paese,
subisce sevizie e abusi sessuali, spesso consumati all'interno della famiglia,
che restano quasi sempre impuniti. La denuncia ieri di Richard Bennett,
responsabile ONU per i diritti umani a Kabul. ''Mettere fine all'impunità non è
un atto politico, ma un diritto essenziale delle vittime, in tempo di pace o in
tempo di conflitto'', ha sottolineato Bennett a margine del dibattito sul
progetto di legge di amnistia adottato il mese scorso dal Parlamento afghano,
ma non ancora promulgato dal presidente Hamid Karzai. Legge che cancellerebbe i
crimini di guerra commessi in trent'anni di conflitti e che è stata duramente
contestata dalla delegazione ONU a Kabul, oltre che dai gruppi in difesa dei
diritti umani. Bennett ha sottolineato che la condizione della donna in Afghanistan ''ha fatto dei progressi reali''
dopo la caduta del regime dei Taleban nel 2001, ''ma molto resta da fare e non
si può tornare indietro''. Milioni di ragazze sono infatti tornate a scuola e
''le donne iniziano a svolgere un ruolo sempre più rilevante nella società
civile'', ha osservato Bennett. Riferendosi alla vita politica, il responsabile
ONU ha evidenziato però che il ruolo delle donne resta molto marginale,
nonostante nel Parlamento - grazie ad un sistema di quote - rappresentino il 27
per cento delle presenze. (R.G.)
Il segretario generale
dell’ONU, Ban, ha nominato il nigeriano Ibrahim Gambari consigliere speciale
per la ricostruzione dell’Iraq
Il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha nominato il
nigeriano Ibrahim Gambari consigliere speciale per l'Iraq Compact, il programma
per la ricostruzione del Paese nel dopo Saddam Hussein, e lo ha inviato come
prima missione in Arabia Saudita. Gambari, ha riferito la portavoce di Ban,
Michelle Montas, si trova in Arabia
Saudita da sabato, dove ha visitato Riad e forse andrà a Gedda. Gambari è stato
vice di Kofi Annan per gli Affari politici ed è stato sostituito dall'americano
Lynn Pascoe. (R.G.)
Internet: nuove norme in Italia per garantire la privacy.
Vietato ai datori di lavoro pubblici e privati controllare la navigazione e la
posta elettronica dei dipendenti
Nuove norme in Italia a tutela della privacy su Internet. I datori
di lavoro pubblici e privati non potranno controllare la posta elettronica e la
navigazione in Rete dei dipendenti, se non in casi eccezionali. Lo ha stabilito
il Garante per la privacy, rilevando che "spetta al datore di lavoro
definire le modalità d’uso di tali strumenti ma tenendo conto dei diritti dei
lavoratori e della disciplina in tema di relazioni sindacali". Il Garante
prescrive ai datori di lavoro di informare sulla possibilità che vengano
effettuati controlli, ma vieta che si possa in modo sistematico leggere e
registrare le e-mail e monitorare le pagine web visualizzate dal lavoratore,
configurandosi un controllo a distanza vietato dallo Statuto dei lavoratori. E
per questo sono prescritte una serie di misure tecnologiche e organizzative per
prevenire la possibilità - prevista solo in casi limitatissimi – di analizzare
il contenuto della navigazione in Internet e di aprire messaggi di posta
elettronica contenenti dati necessari all’azienda. Al datore di lavoro è
richiesto inoltre di adottare ogni misura in grado di prevenire il rischio di
utilizzi impropri, così da ridurre controlli successivi sui lavoratori. Per
quanto riguarda Internet è opportuno ad esempio, indica il garante: individuare
preventivamente i siti considerati correlati o meno con la prestazione
lavorativa; utilizzare filtri che prevengano determinate operazioni, quali
l'accesso a Siti inseriti in una sorta di black list o il download di file
musicali o multimediali. Il Garante ha chiesto infine particolari misure di
tutela in quelle realtà lavorative dove debba essere rispettato il segreto
professionale garantito ad alcune categorie, come ad esempio i giornalisti.
(R.G.)
Radiogiornale
24
Ore nel Mondo
- Il forte terremoto che ha colpito oggi l'Indonesia e Singapore ha
causato almeno 80 morti nell'isola di Sumatra, secondo quanto affermano primi
bilanci. Colpiti in particolare il distretto di Tanah Datar e quello di Solok.
L'Istituto nazionale di geofisica americano ha reso noto che la magnitudo del
sisma è stata di 6.3 sulla scala Richter e l'epicentro, nella parte centrale di
Sumatra, ad una profondità di 30 km. Gli uffici dell’UNICEF fanno sapere che ''sono
state distrutte scuole ed edifici pubblici e saranno necessari rifugi e
materiale sanitario''.
- Stava conducendo un’inchiesta su un presunto piano per un traffico
clandestino di armi russe ad alta tecnologia con Siria e Iran Ivan Safronov, il
giornalista ed ex colonnello, morto venerdì a Mosca dopo essere precipitato da
una finestra del caseggiato dove abitava. Lo sostiene Kommersant, il quotidiano
per il quale Safronov lavorava. Il giornalista, che aveva recentemente
partecipato alla fiera degli armamenti ad Abu Dhabi, aveva confidato a dei
colleghi di voler verificare alcune informazioni su possibili rifornimenti
segreti di caccia Sukhoi 30 alla Siria e di complessi missilistici S-300
all'Iran tramite la Bielorussia. Contratti occultati per evitare le critiche
occidentali. La procura di Mosca, affermano Kommersant e l'agenzia Ria Novosti,
ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio. Il segretario dell'Unione
dei giornalisti russi, Igor Iakovenko, ha annunciato un’inchiesta parallela
della stampa: “E' ovvio che non si tratti di un suicidio”, ha detto alla radio
Eco di Mosca.
- In Afghanistan, mentre montano le proteste contro le forze
straniere, la NATO annuncia l'inizio della sua ''più grande offensiva'' insieme
con l'esercito afghano nel sud del Paese contro la guerriglia talebana.
L’operazione, chiamata "Achille", coinvolge 5.500 uomini e sarà
concentrata sul nord della provincia di Helmand, dove i talebani occupano in
particolare da oltre un mese il capoluogo del distretto di Musa Qala. E proprio
nella stessa zona, che tra l’altro è ben nota per l’alta produzione di droga, i
talebani afghani hanno annunciato di aver sequestrato un cittadino britannico e
due afghani. Anche l'inviato del quotidiano italiano La Repubblica, Daniele
Mastrogiacomo, non ha più contatti con il suo giornale da domenica scorsa. Il
Ministero degli esteri italiano sta effettuando delle verifiche. A proposito
delle proteste, bisogna dire che un migliaio di studenti hanno manifestato
nelle ultime ore a Jalalabad, nell'est dell'Afghanistan, per esigere la
partenza di quelle che definiscono “forze di occupazione”, due giorni dopo
l'uccisione nella stessa area di almeno 12 persone, di cui nove civili, causata
secondo i testimoni da tiri dell'esercito americano. Uno dei leader della
manifestazione - confinata da stretti cordoni della polizia nella zona
dell'università - ha detto: ''Le forze internazionali sono venute in
Afghanistan per garantire la sicurezza,
ma ora uccidono i civili. Noi vogliamo che il nostro governo giudichi i soldati
coinvolti nella morte di civili”. Sulla difficile
situazione in Afghanistan, Salvatore Sabatino ha intervistato Guido
Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera:
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R. - I talebani sono stati molto attenti fino ad
oggi a non colpire “all’irachena”, nel senso che non si fanno saltare in mezzo
agli afghani, ma cercano di colpire obiettivi americani o comunque obiettivi
occidentali. Questo per spingere poi alle rappresaglie e le rappresaglie
ovviamente portano reclute e supporto alla guerriglia.
D. - Qual è la strategia che sta adottando
l’America in Afghanistan?
R. - E’ una strategia di contenimento, visto che
sappiamo bene che sia le forze americane che comunque quelle alleate sono
scarse, non sono sufficienti a fronteggiare l’emergenza. Quindi, cercano di
utilizzare forze speciali, hanno aumentato l’uso dell’aviazione ed esso, se da
una parte comporta meno rischi per chi attacca, può portare a errori, perché i
talebani si mescolano alla popolazione civile, non sono in divisa, quindi uno
può colpire una casa ritenendo che sia un rifugio e invece è semplicemente
un’abitazione civile.
D. - Si attende questa grande offensiva di
primavera da parte dei talebani. In che modo, secondo te, gli Stati Uniti
possono bloccarla concretamente?
R. – I talebani, di fatto, l’offensiva l’hanno
già iniziata con una raffica di messaggi accompagnati da qualche attacco ma
soprattutto messaggi propagandistici. Gli americani ora stanno cercando di
controbattere questo. Sul campo, forse cercheranno di lanciare delle azioni
mirate, di contrastare delle operazioni in modo da annunciare perdite da parte
di talebani, cattura di elementi. Io non credo a grandi scontri perchè questo
esporrebbe i talebani al volume di fuoco della coalizione.
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- Un'autobomba nella parte ovest di Baghdad ha ucciso tre persone e
ferito altre dieci, tutti pellegrini che in processione si dirigevano verso la
città santa sciita di Kerbala. Ieri, sono morti nove soldati statunitensi, in
due diversi episodi: uno nella provincia di Salaheddin - che ha come capoluogo
la cittadina di Tikrit, luogo di nascita ed ex feudo di Saddam Hussein, nel
cosiddetto "triangolo sunnita" - l’altro nella provincia di Diyala,
lacerata da violenza fra sciiti e sunniti.
- In Medio Oriente, almeno quattro razzi sono stati sparati dal nord
della Striscia di Gaza verso la vicina città israeliana di Ashqelon. Intanto,
un nuovo incontro fra il premier israeliano Olmert e il presidente palestinese,
Abu Mazen, dovrebbe avere luogo a Gerusalemme domenica o nei giorni
immediatamente successivi. Lo anticipa il quotidiano Maariv, aggiungendo che
l'obiettivo di Olmert è rilanciare trattative con Abu Mazen, fermo restando il
boicottaggio israeliano verso i dirigenti di Hamas. Secondo il giornale, il
premier israeliano è persuaso che sia ancora possibile convincere Abu Mazen a
non varare il governo di unità nazionale, basato su una cooperazione fra
al-Fatah e Hamas.
- La Cina invita l'Iran a lavorare con l'Agenzia Internazionale per
l'Energia atomica (AIEA) e a ''valorizzare i canali di comunicazione” rappresentati
dalla Russia e dall'Unione Europea. Lo ha detto oggi il ministro degli Esteri
di Pechino, Li Zhaoxing. I Paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU
sono impegnati in questi giorni a decidere se e quali nuove sanzioni imporre a
Teheran per il suo rifiuto di sospendere la produzione di uranio che potrebbe
essere usato per la produzione di armi atomiche. Il 23 dicembre scorso, il
Consiglio ha approvato una prima serie di sanzioni economiche, dando all'Iran
60 giorni di tempo per sospendere la produzione di uranio minacciando in caso
contrario nuove sanzioni. ''Nulla è più importante della pace - ha concluso Li
- e tutta la comunità internazionale trarrebbe un grande beneficio dalla
ripresa delle trattative".
- Oltre 50 anni dopo la fine della
guerra di Corea, negoziatori di Stati Uniti e Corea del Nord hanno
tenuto la prima storica tornata di colloqui sui passi necessari per riaprire le
relazioni diplomatiche dopo l'accordo di Pyongyang allo smantellamento del
programma nucleare. Il vice ministro degli Esteri nordcoreano, Kim Kye Gwan, e
l'assistente segretario di Stato americano, Christopher Hill, si sono
incontrati ieri in serata al Waldorf Astoria di New York e torneranno a vedersi oggi.
- Uno dei principali consiglieri del presidente sudcoreano Roh
Moohyun, l'ex premier Lee Haechan, è in partenza per la Corea del Nord. Fonti
politiche a Seoul parlano di un nuovo vertice intercoreano, dopo quello che nel
giugno 2000 diede l'avvio alla "politica del sorriso" del Sud verso il Nord. Tale
politica era stata frenata lo scorso anno dalla crisi missilistico-nucleare nordcoreana e il
viaggio del consigliere (pur solo nelle
vesti di esponente dell'Uri, il partito di
maggioranza nella Corea del Sud) è il principale sviluppo nelle
relazioni fra Seul e Pyongyang da oltre sei anni.
- E c’è da dire che la Corea del Nord è impegnata anche in colloqui
bilaterali con il Giappone: colloqui previsti nell'ambito dei cinque gruppi di
lavoro decisi dall'accordo internazionale sul nucleare nordcoreano firmato a Pechino
il 13 febbraio scorso. Come precondizioni per partecipare alle forniture
assistenziali ed energetiche a Pyongyang previste dall'accordo, il governo
giapponese chiede una soluzione di una vicenda di rapimenti risalenti alla fine
degli anni Settanta: si tratta di 17 giapponesi che furono sequestrati da
agenti nordcoreani per motivi mai completamente chiariti. Cinque furono
rimpatriati nel 2002 mentre gli altri 12, secondo Pyongyang, sono morti oppure
non sono mai stati condotti in Corea del Nord.
- Soldati della forza africana di pace per la Somalia sono atterrati
stamani a Mogadiscio, la capitale del Paese. Testimoni parlano di tiri di
mortaio ma senza vittime. C’è da dire che le milizie islamiche, cacciate alla
fine dell'anno dalle regioni della Somalia di cui nei mesi precedenti avevano
preso il controllo, avevano minacciato di attaccare i soldati della forza di
pace inviati dall'Unione Africana (UA). Una prima parte della forza di pace -
circa una trentina di ufficiali ugandesi - erano giunti il 1 marzo a Baidoa,
cittadina a nord-ovest di Mogadiscio. Il
contingente ugandese è il primo a schierarsi in Somalia. C’è poi l’impegno da parte di Nigeria,
Burundi, Malawi e Ghana. Intanto, a Mogadiscio la guerriglia urbana - che si
incrocia anche con scontri tra clan rivali - è sempre più violenta.
- Scontri fra l'esercito filippino e guerriglieri separatisti del
Fronte Moro di liberazione islamica (MILF) hanno provocato 17 morti - 16
ribelli e un militare - nel sud delle Filippine. Il Fronte Moro, che rivendica di avere 12.000
membri, lotta dal 1978 per l'autonomia di Mindanao, isola a maggioranza
musulmana in un arcipelago la cui popolazione è a stragrande maggioranza
cattolica. Nella stessa area, opera anche un altro gruppo separatista islamico,
Abu Sayyaf. Nel 2003, è stata firmata una tregua per consentire l'apertura di
negoziati di pace, che attualmente si trovano in un vicolo cieco.
-
Sono complessivamente 113, tra cui quattro donne, i clandestini giunti nel
corso della notte a Lampedusa in quattro sbarchi successivi. I primi due
interventi sono stati effettuati tra l'1.30 e le 2.30 da una motovedetta della
Guardia di finanza, che ha soccorso 37 immigrati su un gommone a 15 miglia a
sud dell'isola e altri 38 a nove miglia. Altri due gommoni, entrambi con 19
extracomunitari, sono stati invece intercettati a sud-est dalla costa. (A
cura di Fausta Speranza)