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SOMMARIO del 28/05/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Diffondere e custodire in India la preziosa eredità del Vangelo: così il Papa al nuovo arcivescovo maggiore dei Siro-Malankaresi, Baselios Mar Cleemis
  • Il dramma della fame al centro dell'incontro tra il Papa e il presidente esecutivo del PAM
  • Altre udienze e nomine
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • Libero, dopo oltre 8 mesi di prigionia, l’allevatore sardo Giovanni Battista Pinna. Il Papa aveva chiesto il suo rilascio, all’Angelus del 29 ottobre scorso

  • La chiusura in Venezuela di “Radio Caracas Television”, decisa dal governo, solleva aspre proteste ed apre il dibattito sulla libertà di stampa


  • Ultimi giorni di lavori alla Conferenza di Aparecida
  • Il vescovo di Macerata, mons. Claudio Giuliodori, presenta ai nostri microfoni il pellegrinaggio mariano Macerata-Loreto
  • Un Convegno a Roma e in Vaticano rilancia lo studio del latino per non perdere la ricchezza del patrimonio culturale europeo
  • Il festival di Cannes premia un film contro l'aborto
  • Chiesa e Società

  • Incontro a Roma di associazioni e movimenti cattolici a sostegno della riforma della legge sulla cittadinanza
  • 13 Paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno accettato di creare una regione libera dalle ‘bombe a grappolo’
  • Continua la fuga dei civili nel Darfur: secondo l’ONU almeno 110 mila, solo nei primi tre mesi di quest’anno
  • Oltre mille persone hanno partecipato, ieri ad Hong Kong, alla Marcia per ricordare la strage di Tiananmen, che precede la Veglia del 4 giugno in memoria delle vittime
  • Militanti filo-governativi hanno impedito ieri a Yangon una veglia di preghiera in favore della leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi
  • Il 44.mo Capitolo generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane ha riconfermato oggi come superiore generale il costaricense fratel Alvaro Rodriguez Echevarria
  • 24 Ore nel Mondo

  • Stati Uniti e Iran rilanciano le relazioni bilaterali con un incontro a Baghdad - Decine di morti in Afghanistan in seguito a violente manifestazioni nel nord e a scontri nel sud
  • Il Papa e la Santa Sede



    Diffondere e custodire in India la preziosa eredità del Vangelo: così il Papa al nuovo arcivescovo maggiore dei Siro-Malankaresi, Baselios Mar Cleemis

    ◊   Impegno nell’evangelizzazione e dialogo condotto in modo fruttuoso con le altre religioni del subcontinente indiano: è l’obiettivo che Benedetto XVI ha indicato questa mattina alla Chiesa locale Siro-Malankarese, nel ricevere in udienza il nuovo arcivescovo maggiore di Trivandrum, Sua Beatitudine Baselios Mar Cleemis. Il Papa ne aveva confermato l’elezione, nel febbraio scorso, in seguito alla scomparsa di Sua Beatitudine, Cyril Mar Baselios. Il servizio di Alessandro De Carolis:

     
    Il Kerala è lo Stato della costa sudoccidentale dell’India che conta il 20% di cristiani su 32 milioni di abitanti, in altre parole la percentuale più alta di tutto il Subcontinente. Un stato di cose che ha spinto Benedetto XVI a ribadire una serie di priorità che dovranno scandire l’azione pastorale del nuovo Sinodo Siro-Malankarese, guidato dal nuovo patriarca, Baselios Mar Cleemis. “Nella vostra veste di capo e guida della Chiesa di Siro-Malankese - ha affermato il Papa - è stata affidata a Vostra Beatitudine la missione di condurre e di sostenere la testimonianza cristiana e la vita ecclesiale dei fedeli di quella nobile Chiesa, lungo il vasto Subcontinente indiano e le altre regioni in cui si trovano i cattolici Siro-Malankaresi”. Quella del Vangelo è una “preziosa eredità”, che la tradizione fa risalire alla predicazione in quelle zone da parte dell’Apostolo Tommaso e che deve essere rapportata, ha detto il Pontefice, “alle sfide principali che si presentano all'inizio di questo Terzo millennio cristiano”:

     
    “Now is a time of new evangelization…
    Ora, è un tempo di nuova evangelizzazione, un tempo di dialogo costantemente rinnovato e convinto con tutti i nostri fratelli e sorelle che condividono la nostra fede cristiana, un tempo d’incontro rispettoso e fruttuoso fra le religioni e le culture per il bene di tutti e particolarmente per i più poveri fra i poveri. Il nostro impegno nell’evangelizzazione dev'essere rinnovato costantemente, poichè ci sforziamo di costruire la pace, nella giustizia e nella solidarietà, per l’intera famiglia umana”.

     
    Benedetto XVI si è congratulato anche per il 75.mo anniversario della costituzione della gerarchia Siro-Malankarese ed ha auspicato un rinnovato, reciproco arricchimento tra l’arcidiocesi di Trivandrum e la Sede di Pietro:

     
    Now the universal Church…
    Ora, la Chiesa universale, insieme con tutti coloro che appartengono alla vostra tradizione ecclesiale, conta su Vostra Beatitudine per assicurarsi che la comunità Siro-Malankarese possa continuare lungo un percorso duplice. Da una parte, con con la piena fedeltà al Sede Apostolica voi parteciperete sempre in pienezza all’anelito universale dell'unica Chiesa di Cristo; dall’altra, la vostra fedeltà ai caratteri specificatamente orientali della vostra tradizione permetterà alla Chiesa intera di trarre beneficio da ciò che nella sua saggezza molteplice 'lo Spirito sta dicendo alle Chiese'”.

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    Il dramma della fame al centro dell'incontro tra il Papa e il presidente esecutivo del PAM

    ◊   Il dramma della fame nel mondo è stato al centro del colloquio che il Papa ha avuto stamani in Vaticano con la signora Josette Sheeran, nuovo presidente esecutivo del Programma Alimentare Mondiale, eletta lo scorso aprile. Susan Hodges l’ha intervistata:  

     R. – Well, the Holy Father has a heart for the hungry, and he made clear that ...
    Il Santo Padre ha indubbiamente molto a cuore gli affamati; ha ribadito chiaramente che sia per lui che per i cattolici nel mondo, la cura e l’attenzione per le persone affamate e per tutte le persone vulnerabili ed a rischio, ha una posizione prioritaria nei suoi impegni di lavoro. Il messaggio che ci ha dato è molto chiaro: andare avanti, noi del Programma Alimentare Mondiale, e fare il possibile per collaborare con tutti coloro, al mondo, che sono dipendenti da altri, per portare il nostro aiuto in situazioni di crisi o in situazioni di carestia. Da parte mia, ho voluto esprimere al Santo Padre i miei ringraziamenti per essersi fatto difensore degli affamati nel mondo. Gli ho detto che lui è il vento sotto le nostre ali: ogni volta che egli parla della piaga dei poveri e degli affamati nel mondo, egli ci dà un nuovo impulso a continuare nel nostro lavoro, perché contribuisce ad aumentare la coscienza nel mondo ma anche ad ottenere il supporto da parte di tutti per dar da mangiare agli affamati. Gli ho detto che a noi, dare da mangiare ad un bambino che va a scuola in Africa, ci costa soltanto 21 dollari; con quei 21 dollari, noi riusciamo a riempire una tazza di porridge, e questo aiuterà il bambino non solo a vivere, ma ad imparare, perché così avrà l’energia per imparare, ed è questo che opera i cambiamenti. Ecco l’importanza di ogni sostegno che riceviamo: ci aiuta a colmare le tazze degli affamati in tutto il mondo. 

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    Altre udienze e nomine

    ◊   Stamani il Papa ha ricevuto anche alcuni presuli della Conferenza episcopale della Repubblica Centroafricana, in visita "ad Limina" guidati da mons. Paulin Pomodimo, arcivescovo di Bangui.

    Ieri il Papa ha ricevuto Robert Spaemann, professore emerito dell’Università di Monaco (Baviera).

    In Italia, il Santo Padre ha nominato vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Palermo mons. Carmelo Cuttitta, finora parroco della parrocchia di San Giuseppe Cottolengo a Palermo, assegnandogli la sede titolare vescovile di Novi. Mons. Carmelo Cuttitta è nato a Godrano, provincia ed arcidiocesi di Palermo, il 24 marzo 1962. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso la Pontificia Facoltà Teologica "San Giovanni Evangelista" come alunno del Seminario Arcivescovile Maggiore di Palermo, ottenendo il Baccellierato in teologia e frequentando, in seguito, i corsi per la Licenza. Ha ricevuto l’ordinazione presbiterale il 10 gennaio 1987, per l’imposizione delle mani del cardinale Salvatore Pappalardo. Ha svolto i seguenti incarichi: vice rettore del Seminario Arcivescovile Maggiore "San Mamiliano" (1987-1988); assistente diocesano dell’Azione Cattolica Giovani (1987-1995); Vice Parroco della parrocchia "S. Atanasio" a Ficarazzi (1988-1990); segretario particolare dell’arcivescovo di Palermo (1990-1996). Dal 1992 è segretario aggiunto della Conferenza episcopale siciliana; dal 1997 membro del Consiglio presbiterale e dal 2002 membro del Collegio dei consultori. Dal 1996 è parroco della parrocchia di "San Giuseppe Cottolengo" e dal 2004 è pure Commissario arcivescovile della Congregazione degli Angeli (Ente gestore della Scuola Cattolica "S. Lucia"). È membro della Commissione liturgica diocesana, Consulente ecclesiastico del Centro di pastorale familiare, ed è inserito nella Commissione diocesana per la canonizzazione del Servo di Dio Don Giuseppe Puglisi. Ha anche collaborato come membro del Comitato regionale preparatorio al Convegno ecclesiale di Verona. Dal 2004 è cappellano di Sua Santità.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano – “Roma è il nome concreto della cattolicità e della missionarietà”: al Regina Caeli della solennità di Pentecoste il Papa fa memoria delle origini della Chiesa “che parla tutte le lingue e va incontro a tutte le culture”.

    Servizio estero – In evidenza l’Iraq: colloqui tra USA ed Iran per tentare di risolvere la crisi.

    Servizio culturale - Un articolo di Massimo Marchetti dal titolo “Uno spazio con caratteristiche inedite per cogliere le nuove forme espressive”: inaugurato nei 10.000 metri quadrati degli ex Forni del Pane il “Mambo”, Museo d'Arte Moderna di Bologna.

    Servizio italiano - Governo: famiglia e precari le nuove priorità; verso la riforma della “legge Biagi”.

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    Oggi in Primo Piano



    Libero, dopo oltre 8 mesi di prigionia, l’allevatore sardo Giovanni Battista Pinna. Il Papa aveva chiesto il suo rilascio, all’Angelus del 29 ottobre scorso
     

    ◊   Un momento atteso con trepidazione da 250 giorni: è tornato in libertà l’allevatore sardo Giovanni Battista Pinna, rapito vicino al suo podere, a Bonorva nel sassarese, nel settembre scorso. Stanco e provato, ma in buone condizioni, Pinna è ora in ospedale ad Oristano, dove è stato raggiunto dai suoi familiari. Pinna avrebbe riferito di essersi liberato da solo. Il 29 ottobre scorso, all’Angelus, Benedetto XVI aveva lanciato un vibrante appello contro i sequestri di persona, chiedendo la scarcerazione di Giovanni Battista Pinna:

    Mentre ribadisco la più ferma condanna di questo crimine, assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutte le vittime e per i loro familiari e amici. In particolare, mi unisco al pressante appello recentemente rivoltomi dall’arcivescovo e dalla comunità di Sassari in favore del signor Giovanni Battista Pinna ... perché sia presto restituito ai suoi cari”.

    E’ grande, dunque, la gioia dell’arcivescovo di Sassari, Paolo Mario Virgilio Atzei, che aveva chiesto al Santo Padre di rivolgere un appello per la liberazione di Pinna. Raggiunto telefonicamente in Sardegna da Alessandro Gisotti, mons. Atzei esprime tutta la sua soddisfazione:

    R. – E’ una bellissima notizia. Io penso alla bella notizia che tocca la famiglia, li abbraccio tutti perché gli siamo stati molto vicini. Una bella notizia che tocca il parroco di Bonorva, la comunità bonorvese. Penso soprattutto al Santo Padre. Nell’incontro con lui, nella visita ad Limina, gli ho parlato di Pinna e mi ha chiesto con molta attenzione paterna quale fosse l’evoluzione del caso. Gli ho detto che eravamo ancora speranzosi anche se non si avevano più notizie.

     
    D. – Che cosa hanno significato le parole del Papa, quell’appello del 29 ottobre scorso?

     
    R. – Dico semplicemente che l’hanno sentito più volte, la famiglia ne ha fatto una registrazione, delle cassette per tutto il paese di Bonorva. Lei deve capire che è la voce del Papa, e il Papa è per noi, in Sardegna, la voce stessa di Cristo! Quindi ha significato una voce profetica ed una coscienza critica, anche, un dito puntato alla coscienza di questi rapitori.

    Tra le prime dichiarazioni rilasciate, il 37enne Giovanni Battista Pinna ha affermato che, durante la prigionia, ha sempre pregato. Dal canto suo, la comunità di fedeli di Bonorva, il paese di Pinna, è stata molto vicina alla famiglia del sequestrato in questi lunghi mesi. Ecco la testimonianza del parroco della parrocchia della Natività di Maria Vergine di Bonorva, don Salvatore Ruzzu, intervistato da Alessandro Gisotti:

    R. - C’è tanta gioia e tanta commozione. C’è stato subito movimento, una serie di telefonate di tante persone ed abbiamo fatto suonare le campane. Noi avevamo previsto per giovedì prossimo – il 31 maggio – a conclusione del mese mariano, come è da noi tradizione, una fiaccolata. Una fiaccolata organizzata per pregare la Madonna per la liberazione di Giovanni Battista e per protestare e per denunciare l’immoralità del sequestro di persona. Questa circostanza sarà invece trasformata in una festa di ringraziamento alla Madonna, ma anche certamente una manifestazione di condanna dell’immoralità del crimine del sequestro.

     
    D. – Lei è sempre stato vicino alla famiglia Pinna. Come ha vissuto questi mesi?

     
    R. – Hanno vissuto momenti di angoscia. All’inizio, direi anche di molta preoccupazione perché purtroppo in famiglia c’era il precedente del 1980, quando è stato sequestrato lo zio, anche lui con lo stesso nome e cognome, anche lui Giovanni Battista Pinna. Poi però, incoraggiati dagli investigatori, incoraggiati dalla comunità, dal vescovo, hanno continuato a sperare e non hanno mai perso la speranza.

     
    D. – Sicuramente di conforto saranno state anche le parole del Santo Padre?

     
    R. – Decisamente. Quello è stato un momento veramente molto forte e molto significativo. Si sono, infatti, anche premurati di ringraziare il Santo Padre per questo suo intervento. Quello è stato un momento determinante, perché credo che anche i sequestratori abbiano sentito la condanna morale del Papa e forse hanno sentito anche lo scrupolo di coscienza.

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    La chiusura in Venezuela di “Radio Caracas Television”, decisa dal governo, solleva aspre proteste ed apre il dibattito sulla libertà di stampa

     
     

    ◊   Vibrate proteste in Venezuela e ripercussioni anche internazionali per la chiusura definitiva stamane dell’emittente radiotelevisiva privata “Radio Caracas Television”, cui il governo ha negato il rinnovo della concessione. Il servizio di Roberta Gisotti:

     Dopo 53 anni, alle 6.01 ora italiana, la popolare RcTv, “Radio Caracas Television” ha sospeso le sue trasmissioni sostituita dalla nuova TV di Servizio pubblico, TVes ovvero “Televisione venezuelana sociale”, voluta dal presidente Hugo Chavez, che ha inaugurato i suoi programmi con l’inno nazionale “Gloria al Bravo Pueblo”. Cinque mesi fa lo stesso capo di Stato aveva annunciato il clamoroso provvedimento, ed ora il Governo si difende dagli attacchi di aver voluto censurare “Radio Caracas Television” per ragioni politiche, affermando per voce del ministro della Comunicazione, William Lara che si è trattato di “una decisione sovrana” “espressione delle leggi venezuelane”, per cui “è sbagliato parlare di una chiusura d’autorità”. Ha replicato Marcel Granier, direttore dell’emittente con i maggiori ascolti nel Paese, che il presidente Chavez cosi “coltiva il terrore e stimola l’autocensura”, avendo intrapreso un cammino “molto pericoloso nella direzione di un maggior autoritarismo e concentrazione dei poteri”. Un chiaro monito governativo a tutta la stampa, secondo i sostenitori di “Radio Caracas Television”, dentro e fuori i confini del Venezuela. Accese proteste e manifestazioni di strada hanno accompagnato il fine settimana nella capitale, e scontri tra manifestanti e polizia si sono avuti ieri sera davanti la sede della Commissione nazionale delle comunicazioni, con un bilancio di 11 agenti feriti. Intanto monta il dibattito internazionale sulla libertà d’espressione. A tale proposito si ricorda la recente raccomandazione dell’episcopato venezuelano: “In un Paese democratico – sottolineano i vescovi - ai mezzi di comunicazione sociale va garantita la maggiore libertà possibile poiché la libertà di espressione è fondamentale per il corretto funzionamento di un sistema democratico”.

     Dunque, quale significato dare alla presa di posizione del presidente Chavez nei confronti di "Radio Caracas Television" e quali possibili effetti interni ed esteri? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Roberto Da Rin, esperto di questioni latinoamericane de "Il Sole 24 Ore":

      R. – Non è mai bello chiudere un canale televisivo o limitare la libertà di stampa di un giornale o di un altro mezzo, questo a nessuna latitudine e a maggior ragione in Venezuela, in un momento in cui il presidente Hugo Chavez ha mostrato i muscoli più di una volta negli ultimi anni. Direi, però, che la chiusura di questo canale televisivo storico si inquadra invece in un piano del governo venezuelano che è lucidissimo. Che poi, naturalmente, sia molto contestabile, è un fatto; ma prevede alcune tappe che vanno tutte nella stessa direzione, e cioè la riorganizzazione del Paese.

     
    D. – Questo disegno socialista e statalista di riordino dello Stato, non rischia – alla lunga – di essere controproducente?

     
    R. – Il gioco delle nazionalizzazioni può essere pericoloso, certo. Nessuno sa dire esattamente quanto il Paese sia effettivamente migliorato in termini di strutture economiche, di infrastrutture, depurato dall’aumento dei prezzi del petrolio che ha favorito gli ingressi in valuta del Venezuela. In altre parole: è difficile dire se Chavez in qualche modo stia in piedi perché distribuisce le risorse che gli vengono dal petrolio.

     
    D. – Le manifestazioni che si sono verificate in seguito alla chiusura di questo canale televisivo, si possono considerare quindi come un fatto marginale, passeggero o potrebbero essere una spia d’allarme di una opposizione crescente?

     
    R. – Non sono un fatto passeggero, perché ormai dal 2002 ad oggi, le manifestazioni sono all’ordine del giorno: pro-Chavez o anti-Chavez. Ma alle elezioni, Chavez fino ad ora, in un modo o nell’altro, è riuscito a mobilitare tutti i poveri che non hanno mai votato nelle favelas venezuelane, portando a casa sempre dei risultati elettorali indiscutibili, secondo la comunità internazionale. L’opposizione, fino ad ora, ha fatto delle grandi manifestazioni in piazza ma non ha mai saputo coagularsi attorno ad un candidato credibile che poi riuscisse a contrastare davvero questa ondata di nazionalismo.

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    Ultimi giorni di lavori alla Conferenza di Aparecida

    ◊   Comincia oggi ad Aparecida, in Brasile, l’ultima fase dei lavori della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi. Giovedì 31 maggio una solenne concelebrazione eucaristica presso il Santuario di Nostra Signora Aparecida e la pubblicazione del tradizionale Messaggio al Popolo di Dio chiuderanno ufficialmente l’importante evento. Il servizio di Luis Badilla:

     Ieri, nelle numerose Messe che sono state celebrate da decine di vescovi nella cittadina brasiliana, molti presuli, nelle loro omelie hanno ricordato l’imminenza di questa chiusura e, soprattutto, hanno sottolineato i frutti dell’incontro i cui partecipanti – è stato rilevato - “hanno lavorato con grande spirito di comunione e fratellanza”. In sostanza, da oggi, si torna al lavoro nelle sedute plenarie per esaminare e votare il testo del Messaggio al Popolo di Dio che sarà reso pubblico durante l’Eucaristia conclusiva, così come le centinaia di paragrafi che formano i sette Capitoli del documento finale da consegnare alla Santa Sede per l’approvazione del Santo Padre. Numerose Commissioni e sottogruppi specializzati hanno continuato a lavorare durante il fine settimana con lo scopo di fornire alle plenarie il materiale necessario. Dal resoconto dei numerosissimi interventi sia dei membri della Conferenza sia degli invitati ed esperti, si evince chiaramente che l’agenda dell’incontro è stata rispettata e seguita con puntualità. L’essere “discepoli” e “missionari” di Gesù ha catalizzato gran parte delle riflessioni e delle proposte. Questa doppia sfida, come ha detto il vescovo di San Pedro, mons. Alvaro Ramazzini, presidente dell’Episcopato guatemalteco, “costituirà il binario dell’evangelizzazione dei prossimi anni”. “Evangelizzazione - ha ricordato il cardinale Clàudio Hummes, prefetto della Congregazione per il clero - che “non sarà mai separata dalla promozione umana”: ragion per cui - ha spiegato l’arcivescovo di Tunja e presidente dell’Episcopato colombiano mons. Luis Castro Quiroga - “abbiamo voluto guardare con gli occhi di pastori l’odierna realtà socio-economica e politico-culturale dei nostri popoli. Si tratta - ha aggiunto - di condizioni che l’annuncio del Vangelo non può ignorare”. In quest’ottica si può rilevare che per la totalità dei vescovi la globalizzazione, insieme ai suoi aspetti positivi (“in particolare l’interdipendenza tra i popoli” come ha ricordato l’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio) ha rappresentato per la regione l’accrescersi di numerose difficoltà e problemi, soprattutto l’acuirsi dell’iniquità sociale con la comparsa di nuovi settori sociali “esclusi”, da un lato, e dall’altro, come hanno precisato i cardinali Renato Raffaele Martino e Paul Poupard, l’inserimento degli spazi e delle identità culturali della regione “nel gigantesco traino dell’omologazione che spesso schiaccia le radici storiche e autentiche di questi popoli” introducendo “pseudo-valori o modelli di vita avulsi dal modo di essere latinoamericano”.

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    Il vescovo di Macerata, mons. Claudio Giuliodori, presenta ai nostri microfoni il pellegrinaggio mariano Macerata-Loreto

    ◊   Presentata, stamani a Macerata, la 29.ma edizione del Pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto, in programma il 2-3 giugno prossimi. Nell’occasione, il 2 giugno, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, celebrerà una Messa per i pellegrini. All’incontro di stamani con i giornalisti ha preso parte anche il vescovo di Macerata, mons. Claudio Giuliodori, che - intervistato da Alessandro Gisotti – si sofferma sul significato di questo pellegrinaggio per i fedeli marchigiani:
     
    R. – E’ un evento che appartiene ormai alla coscienza profonda del territorio maceratese e non solo, anche a quello regionale e nazionale. C’è, quindi, una preparazione prolungata, fatta soprattutto di preghiera, perché il pellegrinaggio si pone al termine dell’anno scolastico e dell’anno pastorale.

     
    D. – Quanto è forte oggi la devozione mariana nella vostre terre?

     
    R. – La devozione mariana non solo è forte, ma oserei dire che è in crescita, perché sentendo i parroci ed incontrando le comunità ecclesiali percepisco un’attenzione che cresce di anno in anno, soprattutto, recuperando quelle tradizioni che per lunghi secoli hanno accompagnato la vita spirituale di queste terre e sviluppando anche nuovi percorsi di spiritualità mariana.

     
    D. – Tra i tanti aspetti e significati di questo pellegrinaggio, giunto alla sua 29.ma edizione, ce ne è uno che vuole sottolineare in particolare?

     
    R. – Credo che il significato si lega molto anche al tema. E’ stata, infatti, scelta una frase di Leopardi “E io che sono?”. Questo interrogativo sull’identità dell’uomo, sul suo destino sgorga dall’intimo dell’esperienza umana. Non c’è uomo che non si ponga questo interrogativo. Ancora oggi vediamo che è necessario riflettere attentamente su quale sia l’identità, la dignità, il valore dell’essere umano. Sono interrogativi di grande attualità che attendono ancora oggi risposte autentiche e per noi credenti ovviamente risposte illuminate dalla fede.

     
    D. – A Loreto, a settembre, i giovani incontreranno il Papa. Quali sono le aspettative per questo avvenimento?

     R. – E’ un avvenimento che si inserisce, come sappiamo, nell’Agorà dei giovani, un cammino con un percorso triennale, che ha come prima tappa – quest’anno – l’appuntamento a Loreto. Le diocesi si stanno preparando, soprattutto le 32 diocesi che accoglieranno nei giorni precedenti i giovani che verranno da tutta Italia. Questo luogo mariano, Loreto, rappresenta un riferimento luminoso per i giovani, perché il sì di Maria è l’incoraggiamento ad un sì generoso, quel sì che anche il Papa ha ricordato ai vescovi a Verona e alla recente assemblea della CEI. Il grande sì di Dio all’uomo deve spingerci ad un sì coraggioso e forte sulle strade dell’amore, del servizio, della gioia. E questo perché credo che i giovani sapranno esprimere anche la gioia di seguire il Signore e di spendere la vita per il suo progetto di amore verso l’umanità.

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    Un Convegno a Roma e in Vaticano rilancia lo studio del latino per non perdere la ricchezza del patrimonio culturale europeo

    ◊   Si è svolto in questi giorni a Roma e in Vaticano un convegno sul futuro del latino nell’odierna società dominata dalla cultura tecnico-scientifica. A promuovere l’evento il CNR, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, e il Pontificio Comitato di scienze storiche. Durante il convegno è stato presentato un Manifesto in favore della necessità di attingere alle fonti dalle quali è scaturito il grande patrimonio spirituale e culturale dell’Europa. Ascoltiamo in proposito, al microfono di Fabio Colagrande, don Cosimo Semeraro, segretario del Pontificio Comitato di scienze storiche e ordinario di Storia della Chiesa moderna e contemporanea alla Pontifica Università Salesiana:

     R. - Nel cammino di un’Europa che cerca di raggiungere sempre più una compattezza ed uno sviluppo non soltanto economico ma culturale, riteniamo che il patrimonio delle lingue classiche sia molto, molto importante. Non vogliamo soltanto cautelare quei mezzi che puntano allo sviluppo economico ma vogliamo salvaguardare anche quegli elementi che puntano ad un progresso di tipo culturale e le lingue classiche, riteniamo siano tali.
     
    D. – Chi avete invitato a questo convegno?

     R. - Abbiamo invitato non tanto studiosi del fenomeno della lingua latina o della lingua greca, ma soprattutto personalità che nel campo istituzionale, politico, culturale, possano spingere, stimolare chi fa norme, chi fa leggi, a garantire lo studio di queste lingue, a garantire la valorizzazione di queste lingue nelle sedi appropriate.


     Ma sul ruolo del latino per la costruzione e l’identità dell’Europa ascoltiamo il rettore della LUMSA, il prof. Giuseppe Dalla Torre, intervistato da Fabio Colagrande:


     R. – Siamo convinti che il latino e la cultura che il latino veicola e cioè la cultura classica sia e possa essere un fattore di unità e di identità all’interno di una comunità che si sta allargando, ma che certamente ha una storia comune alle spalle.
     

     D. – Impegnarsi per il ritorno al latino, fondandosi sulla sua utilità è forse la prospettiva sbagliata?
     

     R. – Io direi di no. E’ certamente una operazione culturale e certamente siamo convinti che la elevazione culturale, anche di coloro che sono addetti a professioni scientifiche, sia un fatto positivo per la stessa ricerca scientifica. Detto questo non vi è dubbio che c’è un’utilità nel recupero dalla lingua latina e nel recupero della cultura classica. Utilità, questa, che si trova anzitutto nella individuazione di valori che sono stati sedimentati da secoli di esperienza e di saggezza e che possono oggi costituire, in una società tecnologicamente avanzata e scientificamente avanzata, punti di riferimento ad una scienza e ad una tecnologia che sono capaci di raggiungere certi obiettivi, ma che non hanno in sé i criteri per valutare poi la positività o meno di questi obiettivi in ordine alla crescita positiva per l’umanità.

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    Il festival di Cannes premia un film contro l'aborto

    ◊   La vita contro la morte: il 60.mo Festival di Cannes celebra con i film vincitori l’eterno confronto fra la carne e lo spirito. A sorpresa, la Palma d’Oro è andata a “Quattro mesi, tre settimane e due giorni” di Christian Mungiu, una parabola livida che si compie tutta in una notte, nella Romania senza luce del regime comunista di Ceaucescu. Ce ne parla Luciano Barisone.  

     Siamo nel 1987, in piena agonia della dittatura, con la modernità che entra nel Paese dell’Est portandovi il meglio e il peggio di sé: ventate di libertà e ribellione, ma anche individualismo egoista, gretto edonismo, tragico abbandono alle spirali del consumo. Due studentesse complottano un aborto clandestino, seguendo un itinerario meccanico di paura, umiliazione e violenza, fra adulti opportunisti e coetanee senza cervello. In mezzo al conformismo di una società, abbandonata al materialismo delle merci e del denaro, si compie il gesto che spezza una vita, nella banalità dei comportamenti, senza alcun sussulto della coscienza. Mungiu orchestra una messa in scena implacabile, che pone il pubblico di fronte alle sue responsabilità di testimone. Non gli risparmia nulla: né la crudele e abietta trattativa fra il medico abortista e le due ragazze, né la volgarità della classe dirigente, né l’indifferenza attonita della gente. Resta solo la pietà per quei corpi lasciati a se stessi, primo fra tutti quello del bambino mai nato, alla cui breve esistenza il titolo del film è dedicato.

     
    Il Premio Speciale della Giuria, “La forêt de Mogari” della giapponese Naomi Kawase, racconta invece l’incontro inconsueto fra due esistenze tormentate, che porta ad un momento di luce e di verità. Protagonisti della vicenda sono una donna che ha appena perso il figlio, e un vecchio malato di Alzheimer. Un corpo invaso dal dolore, che vuole dimenticare, e un altro in preda all’oblio, che ogni tanto si sovviene, fanno insieme un tragitto nel folto di una foresta, una notte d’estate, fino ad un compassionevole abbraccio che per un istante annulla le pene del mondo. Kawase è una regista della materia, attraverso cui passa per raggiungere la consapevolezza di uno spirito che investe di sé tutte le cose. Sulla stessa linea si pongono gli altri film premiati, dal biblico “The Banishment” (Esilio), di Andrei Zviaguintsev, al dreyeriano “Stellet Licht” (Luce silenziosa), di Carlos Reigadas, al commovente “Le scaphandre et le papillon” di Julian Schnabel: tutti alla ricerca dei segni per continuare a sperare nel presente e nel futuro dell’uomo. (Da Cannes, Luciano Barisone, per la Radio Vaticana)
     

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    Chiesa e Società



    Incontro a Roma di associazioni e movimenti cattolici a sostegno della riforma della legge sulla cittadinanza

    ◊   L’attuale legge sulla cittadinanza è un istituto da rivedere: lo dicono Caritas italiana, Comunità di Sant’Egidio, Fondazione Migrantes, Centro Astalli e ACLI, a sostegno dell’iniziativa legislativa per la riforma dell’attuale normativa. La legge in vigore è in effetti modellata su un Paese di emigranti, anziché di immigrazione e ha mostrato in questi anni tutta la propria incapacità di interpretare ed orientare il bisogno di integrazione e appartenenza espresso da molti immigrati in Italia. Da questa constatazione, emerge l’importanza di giungere in tempi brevi alla conclusione dell’iter parlamentare di riforma di questa materia. In effetti, i modi di acquisto della cittadinanza contemplati dalla normativa sono sostanzialmente connessi all’applicazione dello “ius sanguinis”, quindi per trasmissione dai genitori. Nessun riconoscimento è invece presente, come accade in tanti Paesi, tra i quali Stati Uniti e Canada, alla facoltà di acquisto basata sulla nascita o l’integrazione scolastica e sociale, possibilità, queste, incentrate sullo “ius soli” e sullo “ius domicili”. E’ in questa direzione che, denunciano le associazioni cattoliche, occorrerebbe operare una riforma significativa. Alcuni dati importanti poco conosciuti: gli immigrati in Italia sono 2 milioni e 777 mila contro i 15 milioni della Germania. La popolazione italiana invecchia ed è in attivo solo per la presenza di figli di stranieri. Il 5 per cento degli iscritti a scuola è figlio di immigrati. Inoltre gli immigrati pagano le tasse: 1,87 miliardi di euro di imposte sono stati versati dagli immigrati. Ma l’Italia spende solo 206 milioni di euro per gli stranieri presenti nel Paese; di questi, 190 milioni sono stati spesi per l’espulsione, solo 15 milioni di euro sono stati spesi invece per l’integrazione. “Insomma, gli immigrati in Italia stanno superando tanti esami ma pochi lo sanno”, ha detto Mario Marazziti della Comunità di Sant’Egidio: “più ridurremmo la marginalità, più favoriremo la sicurezza nel Paese”. ( A cura di Paolo Ondarza)




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    13 Paesi dell’America Latina e dei Caraibi hanno accettato di creare una regione libera dalle ‘bombe a grappolo’

    ◊   13 paesi dell’America Latina e dei Carabi – riferisce l’agnezia MISNA - hanno accettato la proposta del Perù di creare nel Continente americano una prima regione nel mondo libera dalle ‘bombe a grappolo’. L’intesa è stata raggiunta nella seconda Conferenza internazionale organizzata a Lima, cui hanno partecipato un centinaio di delegazioni di una cinquantina di Paesi. Un passo avanti nel processo lanciato a febbraio ad Oslo per giungere ad un Trattato per il bando totale dei micidiali ordigni. Nonostante l’assenza del Brasile, produttore di queste armi, e la richiesta alternativa dell’Argentina di utilizzare i sistemi di autodistruzione degli ordigni - ritenuti però fallaci e insufficienti dalla Coalizione mondiale contro le ‘bombe a grappolo’ (CMC) - la proposta peruviana ha raccolto il maggiore consenso, rinviando al prossimo summit latinoamericano, fissato in agosto in Costa Rica, la strategia per raggiungere l’obiettivo. “La nostra prima preoccupazione - ha detto il vice-ministro della Difesa peruviano, Fabian Novak - è la salvaguardia delle popolazioni civili”, per questo – ha aggiunto – “è necessario procedere all’adozione di uno strumento legale che proibisca l’uso, la produzione e lo stoccaggio di queste bombe”. Anche il Cile, già produttore di ‘bombe a grappolo’ fino alla metà degli anni ’90, ha appoggiato la proposta del Perù, pur ammettendo di mantenere ancora nei suoi depositi alcune partite di ordigni. “Dopo questa Conferenza sono convinta che un numero sempre più vasto di Paesi sia deciso ad eliminare le ‘bombe a grappolo’ dalla faccia della terra”, ha detto all’agenzia IPS il Premio Nobel per la pace l’americana Jody Williams, tornando a criticare la posizione degli Stati Uniti che – assenti a Lima – chiedono di spostare la discussione nell’ambito della “Convenzione su talune armi convenzionali” (CCW, anche detta “Convenzione sulle armi inumane”), un ambito ritenuto dagli organismi presenti nella capitale peruviana eccessivamente burocratico e inefficace. “Non mi sorprende - ha osservato la Williams - che gli USA vogliano discutere della questione in sede di CCW: i Paesi che vi aderiscono hanno già respinto nel novembre 2006 un’iniziativa per avviare dei negoziati per la messa al bando delle bombe a grappolo e in più non rappresentano neanche gli Stati più colpiti da questi ordigni”. Secondo la Coalizione mondiale contro le bombe a grappolo sono ancora 34 i Paesi del Pianeta che continuano a produrre questi ordigni, almeno altri 25 le hanno utilizzate in diversi conflitti – Iraq, Afghanistan e Libano, per citare quelli più noti – e 75 ne conservano in magazzino quantità giudicate “una grave minaccia per l’umanità”. La terza Conferenza internazionale, prevista a dicembre, si svolgerà a Vienna. (R.G.)

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    Continua la fuga dei civili nel Darfur: secondo l’ONU almeno 110 mila, solo nei primi tre mesi di quest’anno

    ◊   Sono almeno 110 mila i civili che - nei primi tre mesi di quest’anno - hanno abbandonato i propri villaggi nella regione sudanese del Darfur per sfuggire alla repressione e ai combattimenti. Lo documenta un rapporto della Commissione umanitaria dell'ONU, di cui ha dato notizia Radio Nairobi. La gran parte di questa ondata di profughi, riferisce l'Agenzia MISNA, circa 80 mila provengono dal sud della martoriata regione, teatro dal febbraio del 2003 di sanguinosi scontri tra movimenti indigeni ribelli e truppe governative, sostenute da milizie arabe. In questi tre anni e tre mesi, l'ONU stima vi siano stati almeno 2 milioni e 100 mila sfollati interni, ed altri 200 mila profughi riparati nel confinante Ciad. Più di 200 mila (forse 250.000) sarebbero i morti, tra orrori senza fine: stragi, stupri di massa, persone rese schiave, torture, villaggi incendiati, razzie di bestiame. Mostruosità di cui sono imputati soprattutto i famigerati 'janjaweed', letteralmente ‘diavoli a cavallo’, popolazioni nomadi di stirpe araba alleati del governo di Khartoum. Si è rivelato effimero l’accordo di pace firmato il 5 maggio dello scorso anno, mentre i combattimenti si moltiplicano, e così pure gli attacchi ai convogli umanitari, indispensabili alla sopravvivenza di milioni di persone. L'ONU aveva deciso l'invio di una Forza di pace di 20 mila unità nel Darfur, ma Khartoum si è sempre opposta ed il Consiglio di Sicurezza è paralizzato dai veti di Russia e Cina - principali acquirenti del petrolio sudanese - che impediscono di comminare sanzioni al governo del Sudan, che recentemente ha approvato la presenza di una Forza mista, che veda aggiungere ai 7 mila soldati dell'Unione Africana - già sul campo da anni e senza aver ottenuto alcun risultato - 3 mila uomini dell'ONU, tra soldati, poliziotti e personale impiegato. Molto pochi - secondo gli esperti - mentre la tragedia nel Darfur continua. (R.G)

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    Oltre mille persone hanno partecipato, ieri ad Hong Kong, alla Marcia per ricordare la strage di Tiananmen, che precede la Veglia del 4 giugno in memoria delle vittime

    ◊   Nonostante una pioggia battente, oltre mille dimostranti hanno sfilato ieri ad Hong Kong, in memoria del 18mo anniversario del massacro di piazza Tiananmen. La Marcia, che si tiene ogni anno, precede la Veglia di commemorazione per le vittime, prevista per il 4 giugno. I manifestanti – riferisce l’agenzia AsiaNews - hanno marciato con degli striscioni per chiedere al governo di Pechino di rivedere il verdetto ufficiale sul movimento pro-democrazia ed anti-corruzione del 4 giugno, rendere pubbliche le vere statistiche sulla sua repressione e condannare Ma Lik, il deputato pro-Cina che ha definito il massacro “un’invenzione”. Szeto Wah, uno degli organizzatori, si è detto soddisfatto dell’affluenza a dimostrare “con chiarezza alla leadership di Pechino che la popolazione di Hong Kong non dimenticherà mai quello che loro hanno fatto il 4 giugno del 1989”. Secondo l’Alleanza democratica del Territorio – che riunisce partiti politici e movimenti popolari – la Marcia di ieri “fa sperare in una buona affluenza anche per la Veglia del 4 giugno e per la Marcia del 1 luglio”, organizzata per chiedere alla Cina il suffragio universale e la piena democrazia. (R.G.)

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    Militanti filo-governativi hanno impedito ieri a Yangon una veglia di preghiera in favore della leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi

    ◊   Circa 200 persone si sono radunate nell’ex capitale per il 17mo anniversario della vittoria del partito del Nobel per la Pace Suu Kyi, cui la giunta militare il 25 maggio ha prorogato di un altro anno gli arresti domiciliari. La decisione ha sollevato un coro di proteste da tutto il mondo, mentre la Cina considera ancora la questione un “affare interno” del Myanmar.
     Subito dopo la manifestazione, riferisce l’Agenzia AsiaNews, davanti alla sede della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), i dimostranti dovevano procedere verso una pagoda buddista nel centro cittadino, dove avevano intenzione di pregare per il rilascio della dissidente. A impedire l’evento, un centinaio di sostenitori del regime militare che con insulti, minacce e aggressioni hanno fermato il corteo pacifico. Nel 1990 la Lnd ha vinto le elezioni, i cui risultati non sono mai stati riconosciuti dalla giunta. Aung San Suu Kyi, ha trascorso 11 degli ultimi 18 anni da prigioniera politica. Forti le critiche internazionali alla proroga degli arresti e le voci che chiedono il rilascio del Premio Nobel. Il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, tramite la sua portavoce, ha detto di “credere fermamente che prima le misure restrittive contro Suu Kyi e altre figure politiche saranno tolte, prima il Myanmar potrà procedere verso la riconciliazione nazionale, il ritorno della democrazia e il pieno rispetto dei diritti umani”. La scorsa settimana anche i Paesi membri dell’Associazione delle Nazioni dell'Asia Sud-Orientale (Asean) hanno rotto la classica politica di non-interferenza e chiesto alla giunta birmana di liberare Suu Kyi. (R.P.)

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    Il 44.mo Capitolo generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane ha riconfermato oggi come superiore generale il costaricense fratel Alvaro Rodriguez Echevarria

    ◊   Il 44.mo Capitolo Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane ha riconfermato oggi, all'indomani della Pentecoste, il 26.o successore di San Giovanni Battista de La Salle come superiore generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane. Si tratta di fratel Alvaro Rodriguez Echevarria. Il religioso è nato in Costa Rica nel 1942; dopo vari incarichi formativi, ha lavorato in Guatemala e Nicaragua durante il periodo tumultuoso degli anni 1970-1980. Come professore e direttore di varie scuole dei Fratelli, ha sperimentato più volte personalmente la violenza e le tensioni dei contesti sociali in cui ha operato. E' stato vice-presidente dei religiosi della regione Latinoamericana. Nel 1993 è stato eletto Vicario Generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane e nel 2000 ha ricevuto la fiducia dei Fratelli per il mandato di Superiore Generale, fiducia rinnovata oggi, per un nuovo mandato. Fondato nel 1680 in Francia, l'Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane conta oggi nel mondo circa 1000 scuole, con circa 900.000 alunni e più di 77.300 laici associati nella missione educativa lasalliana. L'istituto conta oggi nel mondo circa 5.300 fratelli, presenti in tutti i continenti. A loro è affidata l'unica Università di Betlemme, in Terra Santa. (R.P.)

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    24 Ore nel Mondo



    Stati Uniti e Iran rilanciano le relazioni bilaterali con un incontro a Baghdad - Decine di morti in Afghanistan in seguito a violente manifestazioni nel nord e a scontri nel sud

    ◊   - Dopo 27 anni di gelo diplomatico, Stati Uniti e Iran rilanciano le relazioni bilaterali con un incontro, a Baghdad, tra gli ambasciatori di Washington e Teheran. I colloqui hanno riguardato temi legati soprattutto alla sicurezza in Iraq. L’odierno incontro a Baghdad è stato preceduto da un altro vertice, tenutosi recentemente in Iraq, tra rappresentanti di Washington e Teheran. Lo ricorda Ahmad Rafat, giornalista iraniano, già presidente della Stampa estera in Italia, intervistato da Giada Aquilino:

    R. - Qualche mese fa, una delegazione iraniana guidata da un viceministro incontrò a Baghdad una rappresentanza degli Stati Uniti capeggiata dall’allora ambasciatore in Iraq, Zalmay Khalilzad, che oggi è ambasciatore presso le Nazioni Unite.

     
    D. - Ma cosa ha spinto Teheran a partecipare all’incontro di oggi?

     
    R. - L’obiettivo dell’Iran è facilitare la partenza degli americani dalla regione, anche perché l’Iran si sente, in un certo senso, circondato dagli americani. Gli statunitensi sono infatti presenti in Pakistan, in Afghanistan, in Iraq ed hanno inoltre basi navali nel Bahrein, un comando centrale nel Qatar, un altro comando nel Kuwait. Pertanto, Teheran preme per un’uscita degli americani dalla regione, per poi imporre la propria egemonia sull’area.

     
    D. - E le intenzioni degli Stati Uniti, invece, quali sono?

     
    R. - Secondo me, gli Stati Uniti vorrebbero l’aiuto dell’Iran al governo iracheno per la realizzazione del cosiddetto "Piano per la pace e la stabilità in Iraq". Il premier iracheno, Al Maliki, è sciita e quindi molto vicino all’Iran: Washington spera dunque di poter convincere l’Iran ad aiutare, se non gli americani, almeno Al Maliki a riportare un minimo di pace e stabilità in Iraq.

     
    D. - Cosa manca per un riavvicinamento più consistente tra Washington e Teheran?

     
    R. - I due Paesi non troveranno una base su cui discutere fin quando non sarà risolto il nodo nucleare.

    - In Iraq, intanto, una potente esplosione ha devastato la moschea sunnita di Kilani, nel centro di Baghdad, provocando un alto numero di vittime: secondo fonti locali, sono morte almeno 19 persone.
    - Anche il nord e il sud dell’Afghanistan continuano ad essere sconvolti dalle violenze: la parte settentrionale del Paese è stata teatro di sanguinose proteste. Nella zona meridionale, invece, si registrano nuovi scontri tra ribelli talebani e forze della coalizione. Il nostro servizio:

    Una manifestazione di protesta contro il governatore di una provincia settentrionale afghana è finita in tragedia: gli agenti hanno sparato per disperdere i dimostranti e hanno ucciso almeno dieci persone. Un’altra violenta manifestazione è costata la vita ad almeno nove miliziani in un’area settentrionale del Paese. I dimostranti protestavano, in questo caso, contro le accuse lanciate ad un signore della guerra di aver ispirato un attentato contro un esponente locale. Un civile afghano e una ventina di presunti guerriglieri talebani sono rimasti uccisi poi in combattimenti seguiti a due attacchi della guerriglia, entrambi respinti, contro un convoglio della coalizione internazionale a guida americana e della polizia afghana nel sud dell’Afghanistan. Il convoglio, composto da 24 camion, è stato attaccato con armi automatiche. I soldati della coalizione hanno subito risposto al fuoco e hanno chiamato in appoggio l’aviazione, che ha bombardato le postazioni della guerriglia. Si tratta di un’ennesima battaglia avvenuta nella turbolenta provincia di Helmand, un’area dove i talebani hanno intensificato, negli ultimi giorni, offensive e attacchi.

     
    - Ancora tesa la situazione nel nord del Libano: nella notte sono state colpite da granate postazioni dell’esercito governativo intorno al campo profughi palestinese, nel quale sono asserragliati i miliziani di un gruppo integralista che si ispira ad Al Qaeda. L’esercito ha subito risposto all’attacco, bombardando alcune presunte basi dei ribelli. Proseguono, dunque, gli scontri nonostante la tregua siglata martedì scorso dopo tre giorni di combattimenti, che avevano provocato 78 morti. Si continua a cercare intanto di porre fine alla crisi. Il governo libanese chiede la resa dei miliziani islamici. Le fazioni palestinesi che stanno mediando una soluzione della crisi sono divise, invece, sulla soluzione da adottare. Per i civili, intanto, la situazione è sempre più critica. Nel campo profughi dove prima della crisi erano ospitati circa 30 mila rifugiati, si trovano adesso quasi cinquemila persone.

    - In Siria, il ministro degli Interni ha definito altissima e “senza precedenti” la partecipazione degli elettori al referendum per il rinnovo del mandato del presidente Bashar al-Assad. Il ministro ha inoltre precisato che i risultati definitivi della consultazione svoltasi ieri in Siria saranno comunicati domani durante una conferenza stampa a Damasco. Sono stati circa 12 milioni, su una popolazione totale di 18,6 milioni, i siriani a cui è stato chiesto di esprimersi su un nuovo mandato di sette anni per l’attuale presidente. In Siria., non sono ammessi partiti di opposizione e Assad, che ha 41 anni, è stato nominato candidato unico all’unanimità dal parlamento eletto lo scorso mese.

    - In Spagna, l’astensione di un’ampia fascia di elettori è stata la nota più significativa nelle elezioni amministrative di ieri. La partecipazione al voto è stata del 63 per cento. Nelle precedenti elezioni del 2003, l’affluenza aveva superato di poco il 67 per cento. Il servizio di Ignacio Arregui:
     
    Si è votato per scegliere più di 8.000 sindaci e oltre 66 mila consiglieri comunali. E, contemporaneamente, i governi di tredici tra le 17 regioni nelle quali è divisa la Spagna. In quanto al numero totale di voti, il Partito popolare ha superato i socialisti con uno scarso margine. Nelle precedenti elezioni del 2003, era stato invece il Partito socialista a superare i Popolari. Sul risultato ha avuto un peso notevole la schiacciante vittoria dei Popolari a Madrid. Nelle elezioni per i comuni, i Socialisti hanno superato i Popolari per numero di consiglieri comunali. Sono invece più numerosi i sindaci Popolari. Rimane incerta la situazione per alcuni tra i tredici governi regionali nei quali si è votato, poiché dipenderà dalle alleanze che si faranno. Il controllo delle grandi città rimane fondamentalmente invariato. I Popolari hanno vinto di nuovo a Madrid e a Valencia, e i Socialisti a Barcellona e a Siviglia. Ci vorranno probabilmente nuove alleanze in alcune regioni, in particolare nella Navarra, nelle Isole Baleari e nelle Canarie dove i popolari, o i loro alleati, governavano con ampie maggioranze. Nei Paesi baschi, il Partito socialista ha migliorato la propria situazione, a danno dei Nazionalisti e del Partito Popolare. E si ripropone il gioco delle alleanze tra i partiti per raggiungere le necessarie maggioranze. D’altra parte, si è registrato un alto numero di schede nulle o bianche il che può essere interpretato come un gesto di protesta contro la esclusione di candidati Radicali a causa della loro appartenenza al partito Batasuna, dichiarato illegale. La forte astensione in generale in queste elezioni richiede adesso una seria analisi in quanto può riflettere, tra l’altro, una crescente sfiducia della popolazione nei confronti della classe politica. Dopo questo 27 maggio, si comincia ormai a pensare alle elezioni generali che si terranno fra meno di un anno.

     
    - L’accordo di ieri per lo svolgimento di elezioni parlamentari il prossimo 30 settembre, in Ucraina, è stato accolto con soddisfazione dal responsabile della politica estera dell'Unione europea, Javier Solana. L’intesa tra il presidente Viktor Yushchenko e il primo ministro Viktor Yanukovich - ha spiegato Solana - allontana la preoccupante eventualità di un colpo di mano per superare la situazione di stallo politico nel Paese. L’accordo impegna le parti a non intromettersi nel lavoro del sistema giudiziario. Nelle prossime ore, è prevista una sessione straordinaria del parlamento ucraino, la Rada, per cambiare la legge elettorale. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco)

     Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 148

     

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