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SOMMARIO del 17/05/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Festa dell'Ascensione in Vaticano: Gesù, salendo in Cielo, afferma il Papa, ci ha riaperto la via verso il Paradiso continuando a restare vicino a noi
  • Rincrescimento della Santa Sede per il voto rinviato in sede Onu della Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni
  • Oggi in Primo Piano

  • La crisi di Gaza: nuovi scontri tra fazioni palestinesi e nuovi raid israeliani in risposta al lancio di razzi su Sderot
  • Storica riunificazione tra la Chiesa ortodossa russa all’estero e il Patriarcato di Mosca:la soddisfazione di mons. Kondrusiewicz
  • Teologi cattolici e ortodossi riuniti a Bari per discutere sul Primato del Vescovo di Roma
  • I religiosi camilliani uniti ai laici per una maggiore giustizia e solidarietà nel mondo della sanità
  • Chiesa e Società

  • Capi dicastero intervengono alla terza giornata di lavori della V Conferenza di Aparecida
  • Condannato a 30 anni di reclusione il mandante dell’omicidio di suor Dorothy Stang, uccisa in Amazzonia nel febbraio del 2005
  • L’ONU chiede un ‘triplice’ impegno per i 260 mila sfollati del nord Uganda
  • Non vogliamo imporre il Vangelo a nessuno, ma annunciarlo con la nostra vita”: così, il presidente della Conferenza episcopale del Mali, mons. Diarra, in occasione della visita ad limina
  • Elezioni in Camerun: critica dei vescovi per la proroga delle candidature
  • La Chiesa delle Filippine sulle elezioni del 14 maggio scorso: “Più ordine, ma ancora brogli”
  • Cina: presto liberi i due sacerdoti della diocesi di Wenzhou arrestati ad agosto
  • Oggi e domani, a Roma, Convegno dell’Istituto internazionale di Teologia pastorale sanitaria “Camillianum”. Tema: “Dio è amore, ma può soffrire?”
  • Un turbine di sentimenti umani al centro delle prime tre pellicole del Festival del cinema di Cannes
  • 24 Ore nel Mondo

  • Francois Fillon nominato nuovo premier francese - Algeria al voto tra imponenti misure di sicurezza - Ripresi i collegamenti ferroviari tra due Coree
  • Il Papa e la Santa Sede



    Festa dell'Ascensione in Vaticano: Gesù, salendo in Cielo, afferma il Papa, ci ha riaperto la via verso il Paradiso continuando a restare vicino a noi

    ◊   Oggi in Vaticano si celebra la solennità dell’Ascensione del Signore al Cielo, che in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, sarà festeggiata domenica prossima. Con questa festa si ricorda la conclusione della permanenza visibile di Dio fra gli uomini che ha portato alla diffusione del cristianesimo nel mondo. Il servizio di Tiziana Campisi:

    Una manifestazione di congedo necessaria: questo è stata l’Ascensione di Gesù, il ritorno al Padre che ha completato la Redenzione. “Se non vado non verrà a voi il Consolatore, se invece vado ve lo manderò”, ha detto Gesù agli Aspostoli, secondo quanto riferisce Giovanni:

     
    “In questa festa la Comunità cristiana è invitata a volgere lo sguardo a Colui che, quaranta giorni dopo la sua risurrezione, fra lo stupore degli Apostoli ‘fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo’. Salendo al Cielo, Egli ha riaperto la via verso la nostra patria definitiva, che è il paradiso. Ora, con la potenza del suo Spirito, ci sostiene nel quotidiano pellegrinaggio sulla terra”.
     
    Con queste parole, l’8 maggio di due anni fa, Benedetto XVI ha ricordato il senso dell’Ascensione. “Dopo quaranta giorni da quando si era mostrato agli Apostoli sotto i tratti di un’umanità ordinaria, che velavano la sua gloria di Risorto – spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica - Cristo sale al cielo e siede alla destra del Padre. Egli è il Signore, che regna ormai con la sua umanità nella gloria eterna di Figlio di Dio e intercede incessantemente in nostro favore presso il Padre. Ci manda il suo Spirito e ci dà la speranza di raggiungerlo un giorno, avendoci preparato un posto”:

     
    “Salendo verso l'’alto’, Egli rivela in modo inequivocabile la sua divinità: ritorna là da dove è venuto, cioè in Dio, dopo aver compiuto la sua missione sulla terra. Inoltre Cristo ascende al Cielo con l'umanità che ha assunto e che ha risuscitato dai morti: quell'umanità è la nostra, trasfigurata, divinizzata, divenuta eterna: e rimane uomo in eterno. L'Ascensione, pertanto, rivela l'’altissima vocazione’ di ogni persona umana: essa è chiamata alla vita eterna nel Regno di Dio, Regno di amore, di luce e di pace”.
     
    È quanto ha specificato il Papa durante il Regina Caeli del 21 maggio dello scorso anno, mentre qualche mese dopo, celebrando a Monaco i Vespri, il 10 settembre, ha precisato che Gesù “nell’Ascensione non è andato in qualche luogo lontano da noi”. “La sua tenda, Egli stesso con il suo corpo – ha detto il Papa – rimane tra noi come uno di noi. Possiamo dargli del Tu e parlare con Lui. Egli ci ascolta, e se siamo attenti, sentiamo anche che Egli risponde”.
     

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    Rincrescimento della Santa Sede per il voto rinviato in sede Onu della Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni

    ◊   Si allungano i tempi in sede ONU per raggiungere il consenso degli Stati membri sui diritti dei popoli indigeni. “Rincrescimento” in tal senso ha espresso ieri a New York l’arcivescovo Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite. Il servizio di Roberta Gisotti:

     Il rinvio dell’adozione, prevista entro il 2006, da parte dell’Assemblea generale dell’ONU della bozza di Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni (DRIP), approvata lo scorso giugno, dopo 24 anni di discussioni, dal Consiglio per i diritti umani, “segna un deludente passaggio”, ha constatato con amarezza l’arcivescovo Migliore. Il rappresentante vaticano è intervenuto ieri nel Forum permanente sulle questioni indigene, dall’inizio del secolo impegnato in favore di questi popoli, e dedicato quest’anno al tema “Territori, terre e risorse naturali”. Tema di particolare rilievo proprio alla luce delle obiezioni che vengono fatte alla Dichiarazione. A tal proposito il presule – ha richiamato – “i benefici” che tale strumento giuridico potrebbe portare “specie per la vita dei più poveri nelle zone rurali, spesso di origine indigena e sovente emarginati dal mondo moderno”, e di quanti potrebbero “contribuire molto di più nella vita economica e politica laddove abitano”. C’è chi accusa la Dichiarazione – ha ricordato Migliore - di contraddire le Costituzioni nazionali, sostenendo che l’esercizio dell’autodeterminazione può riguardare solo coloro che vivono sotto regimi coloniali; altri ancora contestano che la Dichiarazione non sarebbe chiara nel definire chi sono i ‘popoli indigeni’. “Nel rispetto delle motivazioni che sono dietro ogni posizione” – ha detto l’arcivescovo Migliore – la Santa Sede ribadisce “la particolare importanza” da attribuirsi a questo Strumento incoraggiando gli Stati “a mostrare flessibilità e previdenza sociale” per ricercare un accordo durante l’attuale sessione dell’Assemblea generale. “Gli Stati – ha concluso l’osservatore permanente - hanno legittime sollecitudini riguardo sovranità, cittadinanza, eguaglianza, e giusto ed equilibrato sfruttamento delle risorse naturali, ma queste questioni non dovrebbero permettere che il progresso degli egualmente legittimi diritti e affari dei popoli indigeni vengano rinviati sine die”.

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    Oggi in Primo Piano



    La crisi di Gaza: nuovi scontri tra fazioni palestinesi e nuovi raid israeliani in risposta al lancio di razzi su Sderot

    ◊   Nei Territori Palestinesi è stata annunciata una nuova tregua: il presidente Abu Mazen, leader del partito moderato Al Fatah, ed il premier Ismail Haniyeh, leader della formazione radicale Hamas hanno ordinato ai loro uomini di cessare le ostilità. Ma le violenze continuano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

    Hamas ha proclamato un cessate il fuoco “unilaterale” e il presidente palestinese ha chiesto di rispettarlo. Ma a Gaza continua ad infuriare la battaglia tra estremisti delle due fazioni. Questa mattina è stato ucciso a colpi di arma da fuoco un militante di Al Fatah nel campo profughi di Jabaliya, nel nord della Striscia di Gaza. Da domenica scorsa, è la quarta volta che una tregua viene prima annunciata e poi violata. E il bilancio degli scontri è sempre più grave: sono almeno 49 le persone morte, a partire dallo scorso 13 maggio, a causa dei combattimenti. A causa di questo strisciante e perdurante conflitto, il presidente Abu Mazen ha deciso di annullare la prevista visita che avrebbe dovuto compiere nel pomeriggio a Gaza. Ma non è solo il governo di unità nazionale palestinese ad essere messo a dura prova da questa recrudescenza delle violenze. Anche in Israele la tensione è altissima: prosegue, infatti, il lancio di razzi, da parte di estremisti palestinesi, verso il sud dello Stato ebraico. Il governo israeliano ha già risposto con fermezza: un nuovo raid è stato condotto su Gaza. L’obiettivo dell’azione è stata la casa di un militante di Hamas. Le vittime sono almeno due. Il premier israeliano, Ehud Olmert, ha annunciato inoltre “dure misure” in risposta agli attacchi palestinesi. La situazione è preoccupante soprattutto a Sderot, raggiunta nelle ultime ore da diversi razzi. E’ stata colpita anche una scuola e almeno due persone sono rimaste ferite. Temendo nuovi attacchi, il ministero della Difesa israeliano ha avviato la parziale evacuazione della cittadina.

    La continua violazione di tregue nei Territori palestinesi, il lancio di razzi verso il sud di Israele e le dure risposte dello Stato ebraico continuano dunque a rendere esplosiva la situazione in Medio Oriente. Ma quali sono i motivi di questa crisi? Stefano Leszczynski lo ha chiesto Giorgio Bernardelli, giornalista di Avvenire ed esperto dell’area:

    R. – Gaza è un territorio di 360 chilometri quadrati in cui vivono un milione e 400 mila persone. Non può esistere in nessuna parte del mondo un posto con queste caratteristiche, che stia in piedi da solo. Purtroppo, nella situazione in cui questi scontri sono andati avanti, scontri in cui – appunto – c’è anche chi soffia sul fuoco, una situazione in cui nessuno probabilmente controlla davvero la situazione, l’isolamento fa da moltiplicatore …

     
    D. – Questa faida politica quanto danneggia l’ANP?

     
    R. – La danneggia tantissimo, però anche qui dobbiamo stare un po’ attenti anche alle sigle. Purtroppo, in quella situazione di abbandono, molto giocano anche gli scontri tra clan in una società come quella palestinese; in una situazione sociale giunta ad un degrado estremo, con anche una situazione economica molto pesante. A volte sono scontri tra bande che si colorano anche di connotazioni come quelle politiche delle etichette che siamo capaci di dare noi.

     
    D. – In sostanza, possiamo dire che il fatto che il governo dell’ANP sia troppo lontano da Gaza, non permette nessun tipo di controllo effettivo?

     R. – Anche all’interno della situazione quotidiana di Gaza, il peso di Abu Mazen rispetto ai miliziani di Fatah è abbastanza relativo. Pochi giorni fa, l’ultimo incontro che c’è stato tra Abu Mazen e Olmert, con il segretario di Stato americano Condoleezza Rice: la Rice – ha rivelato il quotidiano “Haaretz” – si era presentata con un piano che prevedeva due cose: la fine dell’isolamento di Gaza, facendo partire quel sistema di convogli, di collegamento tra Gaza e il resto della Cisgiordania, varato ancora un anno e mezzo fa ma mai divenuto operativo, e dall’altra parte, la questione del controllo sui lanci dei missili Qassam verso Israele, perché questo è l’altro volto della crisi di Gaza in queste ore: un volto che non si deve sottovalutare. Io credo che l’unica strada per uscire da questo vicolo cieco in cui Gaza si è cacciata, sia una forte iniziativa internazionale che rimetta al centro dell’attenzione questo angolo del mondo.

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    Storica riunificazione tra la Chiesa ortodossa russa all’estero e il Patriarcato di Mosca:la soddisfazione di mons. Kondrusiewicz

    ◊   La Chiesa ortodossa russa all’estero, la Rocor, e il Patriarcato di Mosca si sono riunificati stamattina, dopo uno scisma durato 80 anni, nella Cattedrale di Cristo Salvatore della capitale russa. Lo storico evento si è svolto durante una cerimonia alla quale ha preso parte anche il presidente Vladimir Putin, che nel 2003 aveva consegnato negli Stati Uniti, al capo della Chiesa ortodossa in esilio, il metropolita Laurus, un invito del Patriarca Alessio II a visitare Mosca. “L’unità della Chiesa ortodossa – ha detto Putin – è la precondizione necessaria per l’unità di tutto il mondo russo”. Ieri il Sacro Sinodo del Patriarcato di Mosca ha approvato l’ultima formalità, l’atto di comunione canonica con la Chiesa ortodossa russa all’estero. Il capo della nuova Chiesa riunificata sarà Alessio II, ma la Rocor, pur perdendo la sua indipendenza canonica, conserverà un’ampia autonomia pastorale ed economico-amministrativa. Lo scisma risale agli anni venti, in seguito alle persecuzioni religiose del regime sovietico e ad una guerra civile nella quale l’armata bianca, e con essa gli ortodossi filozaristi, ebbero la peggio. Parte del clero si stabilì dapprima in Turchia e poi in Serbia, dichiarandosi Chiesa ortodossa russa all’estero. Lo scissione si consumò ufficialmente nel 1927, dopo che il Patriarca Sergiy dichiarò fedeltà al regime comunista. Secondo stime ufficiali, la Chiesa all’estero conta 480 mila fedeli solo negli USA. Per il Patriarcato di Mosca i due terzi dei 142 milioni di cittadini russi è ortodosso, a cui bisogna aggiungere altri milioni di fedeli nelle repubbliche ex sovietiche. Ma sulla storica riunificazione ascoltiamo, al microfono di Philippa Hitchen, l’arcivescovo della Madre di Dio a Mosca, mons. Tadeusz Kondrusiewicz:

    R. – E' un fatto molto, molto importante perché ogni unificazione avviene nella volontà di Gesù, perché è Lui a chiedere che tutti siano uniti, anche se in questo caso parliamo degli ortodossi. Seconda cosa, sono sicuro che la voce della Chiesa ortodossa, che difende le radici cristiane dell'Europa anche di fronte alle sfide del mondo contemporaneo, dopo questa unificazione sarà più forte. Terza cosa importante per la Chiesa ortodossa russa è che oggi tanti russi vivono fuori del Paese e anche loro hanno bisogno della cura pastorale ed in questo caso la cura sarà più facile. Io, come cattolico, sono molto soddisfatto, perché finalmente queste due parti della Chiesa ortodossa sono unite. Auguro alla Chiesa ortodossa russa che sia forte nella proclamazione del Vangelo di Cristo e nella difesa dei valori e delle radici cristiane del Continente.

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    Teologi cattolici e ortodossi riuniti a Bari per discutere sul Primato del Vescovo di Roma

    ◊   Inizia domani a Bari il XV Colloquio cattolico-ortodosso, promosso dalla Facoltà Teologica Pugliese, sul tema “Il Primato del Vescovo di Roma. Colloquio tra Teologi”. Il Colloquio guarda alla ripresa, nel prossimo autunno a Ravenna, dei lavori della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico cattolico-ortodosso, che è impegnata proprio sulla questione del ruolo del Vescovo di Roma nella comunione fra le Chiese. Il prof. Matteo Calisi, tra i relatori a Bari, ci parla dello scopo di questo incontro. L’intervista è di Giovanni Peduto:

      R. - Lo scopo è quello di affrontare tematiche cruciali, in particolare, come ha riferito sua eminenza Ioannis Zizioulas, che è il presidente della compagine ortodossa nella Commissione mista, si tratta di definire bene il ruolo del Vescovo di Roma nella struttura della Chiesa universale. Perché gli ortodossi sono pronti ad accettare l’idea di un primato universale e noi sappiamo che secondo i canoni della Chiesa antica il Vescovo di Roma è il Primus. Inoltre questo colloquio di Bari è memore dell’appello rivolto in merito da Giovanni Paolo II nella celebre Enciclica “Ut Unum Sint” al numero 86 a tutti i teologi delle Chiese cristiane.

     
     D. - Lei da anni è attivamente impegnato nel dialogo fra cattolici e ortodossi. A che punto è il dialogo sul ruolo del Papa?

     
    R. - Il 2007 è un anno cruciale per i rapporti fra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa. L’inviato del Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I è stato ricevuto di recente da Benedetto XVI e si sta preparando questo grande evento di Ravenna tra i rappresentanti del Vaticano e di tutte le Chiese ortodosse. Un solo punto è all’ordine del giorno, ossia l’autorità del Papa nella Chiesa di tutti i cristiani. Dunque questo è il tentativo di trovare una via per superare il grande scisma del 1054, che separò la Chiesa di Oriente da quella di Occidente.

     
    D. - Recentemente c’è stato l’incontro ecumenico di Stoccarda in cui movimenti e comunità cristiane di diverse confessioni si sono ritrovate unite per rilanciare i valori evangelici in un’Europa che sembra talora rinnegare le proprie radici spirituali. Lei ha partecipato a questo incontro: come secondo lei l’ecumenismo può rinnovare l’Europa alla luce di quello che è scaturito dall’incontro di Stoccarda?

     
    R. - Sicuramente il rapporto di comunione esistente tra movimenti e nuove comunità all’interno delle Chiese cristiane europee può diventare veramente un’esperienza di una rinnovata unità spirituale anche dell’intera Europa. A Stoccarda si sono incontrati cattolici, evangelici, anglicani, ortodossi, pur mantenendo ognuno la propria autonomia ma, insieme, si sono ritrovati a riflettere su ambiti comuni, soprattutto quelli sociali come la famiglia, il lavoro, l’educazione dei giovani, i mass media, l’economia, e credo che questa sinergia rappresenti un’occasione per mostrare la vitalità di un’esperienza cristiana nel mondo di oggi e in particolare in Europa.
     
    D. - Ma non c’ è il rischio, come dice il Papa, che l’Europa stia preparando il proprio congedo dalla storia?

     
    R. - Il rischio c’è, è in agguato; per questo noi crediamo che sia necessario che ognuno con la propria diversità, debba contribuire con spirito evangelico alla realizzazione di quello che amiamo chiamare l’Europa dello spirito, un impegno che si radica nella nostra stessa identità di cristiani di diverse denominazioni. Certamente nel profondo rispetto per le culture diverse, ma noi crediamo che attraverso questo legame mutuo possiamo arrivare a una fattiva collaborazione, perché l’Europa cristiana ritorni a vivere con la sua anima.

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    I religiosi camilliani uniti ai laici per una maggiore giustizia e solidarietà nel mondo della sanità

    ◊   “Uniti per la giustizia e la solidarietà nel mondo della salute”: il tema dibattuto nel Capitolo generale dei Ministri degli Infermi, più noti come Camilliani, riunito fino a domani ad Ariccia. Sulle orme del fondatore San Camillo de Lellis, i membri dell’Ordine, riconosciuto da Papa Sisto V nel 1591, operano al servizio del malato, da sempre affiancati dal laicato camilliano. 1200 oggi i religiosi, quasi 20 mila i laici presenti in 114 strutture sanitarie, 27 centri per l’aids, 17 centri pastorali, 10 scuole infermieristiche e università, 38 seminari sparsi nel mondo. Roberta Gisotti ha intervistato il neoeletto Superiore generale dei Camilliani padre Renato Salvatore, 52 anni, già vicario generale dell’Ordine, teologo con alle spalle una consolidata attività di studi e docenza ma anche infermiere con un impegno diretto sul campo:

     
    R. – Noi in questo nostro Capitolo generale abbiamo scelto il tema della profezia, cioè noi religiosi dovremmo vivere 'scomodamente' e 'scomodare' gli altri, cioè la Chiesa, i fedeli, la società, perché ci sia più giustizia e più solidarietà nel mondo della salute. Ma il primo impegno parte da noi: dobbiamo essere noi coloro che uniti al Cristo sofferente in questo mondo della salute si fanno portavoce di questa sofferenza con una testimonianza di vita, con un annuncio del Vangelo, perché soltanto attraverso l’annuncio del Vangelo si può sradicare il male nelle strutture e nella sua radice finale conclusiva.

     
    D. – Perché avete posto l’accento proprio su questi due aspetti, giustizia e solidarietà, forse ispirati da tanti casi anche concreti che sono sotto i vostri occhi?

     
    R. – Tantissimi. Se consideriamo, per esempio, il flagello dell’AIDS ci rendiamo conto che il problema dei farmaci è un problema immenso. I popoli nei Paesi in via di sviluppo non hanno accesso al quel minimo per poter salvare la loro vita. Questo è un problema veramente di giustizia. Poi c’è l’altro aspetto, quando sottolineiamo la solidarietà, noi Camilliani vorremmo unirci a tutti gli uomini di buona volontà per iniziative che possano dare un contributo positivo per risolvere e affrontare le tematiche inerenti la giustizia all’interno del mondo della salute.

     
    D. – Quale importanza riveste nel vostro Ordine il laicato camilliano, cui avete dedicato la prima parte del vostro Capitolo? Che cosa è emerso dal dibattito?

     
    R. – Noi religiosi, come Camilliani, ci stiamo aprendo sempre più al laicato e dobbiamo dire che certo abbiamo bisogno di fare un cambiamento di mentalità per rispettare fino in fondo la dignità e il ruolo dei laici all’interno della Chiesa, quindi, anche nella collaborazione e comunione con noi. Ecco perchè anche il titolo del nostro Capitolo generale è “Uniti per la giustizia e la solidarietà”. Innanzitutto, uniti tra di noi, uniti con Dio, ma uniti poi con il laicato, tenendo conto che noi, tra l’altro, abbiamo una grandissima forza all’interno dell’Ordine, che è rappresentata prima di tutto dalla Famiglia camilliana laica, che conta nel mondo più di 3 mila membri. In più abbiamo tantissimi collaboratori dipendenti delle nostre strutture sanitarie e altre istituzioni nelle quali operiamo. Quindi, il laicato più vicino a noi è già una grande forza, ma c’è poi tutto il resto del laicato, ecclesiale e non, che dovremmo coinvolgere in alleanze comuni per risolvere problematiche che riguardano tutta l’umanità.

     
    D. – Non sempre i laici hanno questo posto di rilievo. La vostra esperienza, quindi, è sicuramente positiva e fruttuosa, può essere di esempio…

     
    R. – Sì, anche per noi è difficile, perché come accennavo dobbiamo prima noi religiosi aprirci a capire e ad entrare nella nuova ecclesiologia di comunione all’interno della Chiesa, fare questo continuo cammino di conversione, e poi, insieme ai laici, progettare e realizzare insieme. E’ un cammino nel quale c’è molto da fare, ma penso che la strada sia questa: una Chiesa, come tutti vogliamo ed è, non piramidale, ma una Chiesa nella quale si possa condividere la comune dignità di battezzati.

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    Chiesa e Società



    Capi dicastero intervengono alla terza giornata di lavori della V Conferenza di Aparecida

    ◊    La terza giornata dei lavori della V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e caraibico, in corso ad Aparecida, in Brasile, è stata scandita dagli interventi di alcuni capi dicastero direttamente coinvolti nella pastorale latinoamericana e, al tempo stesso, per definire alcuni meccanismi organizzativi che serviranno, da sabato prossimo, per il lavoro delle Commissioni che esamineranno il documento di lavoro. I vescovi hanno quindi approvato l'impianto generale del Documento finale, il “Messaggio al Popolo di Dio”, e hanno scelto gli otto membri della Commissione episcopale che sotto la presidenza dell'arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, dovranno redigere il testo che riassumerà gli orientamenti pastorali per la Chiesa in America Latina e nei Caraibi. Il documento dovrà essere elaborato a partire delle riflessioni che impegneranno i presuli fino al 31 maggio. Sono stati ugualmente scelti i cinque membri della Commissione per le comunicazioni, in pratica, per i rapporti con la stampa, che sarà guidata dall’arcivescovo boliviano di Santa Cruz, il cardinale Julio Terrazas Sandoval. Nel suo intervento, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, in riferimento ai recenti cambiamenti politici nella regione dopo la fine delle dittature militari, ha ricordato che i nuovi ordinamenti “sono tuttora fragili nella maggioranza dei Paesi, esposti costantemente a derive ideologiche sia populisti sia neoliberali, con classi dirigenti che godono di bassa credibilità e con alti indici di corruzione”. “Manca ancora una leadership solida – ha aggiunto – capace di aggregare la fiducia cittadina nelle istituzioni publiche”. Da parte sua, il presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, il cardinale Paul Poupard, ha toccato la questione della “valanga mediatica e la mentalità virtuale” che, a suo avviso, “generarono confusione, disorientamento e uniformità culturale anche fra le comunità indigene e afroamericane”. Occorre perciò – ha spiegato il porporato – “una pastorale che vada dalla famiglia alla parrocchia per identificare e proporre nuovi orizzonti e nuovi linguaggi”, per aiutare ai latinoamericani a costruire autentica “nuova cultura audiovisiva”, incentrata sul valore e la dignità della persona. Ricordando “le enormi sfide, inedite, mai viste in passato”, che derivano “da una mentalità contraria, appunto, alla famiglia e alla vita”, il cardinale Alfonso López Trujillo, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, ha offerto ai partecipanti un sussidio del suo dicastero che contiene tutte le legislazioni dell'America Latina e dei Caraibi in questa delicata materia. Il porporato ha manifestato la sua perplessità di fronte alla “trasformazione di governi e parlamenti” che, talvolta, “in nome della non discriminazione, vorrebbero introdurre nuovi falsi diritti”. Infine, il cardinale Darío Castrillón Hoyos, prefetto emerito della Congregazione per il Clero, ha voluto soffermarsi sul lavoro della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, istituita nel 1988 da Giovanni Paolo II, per seguire le diverse problematiche dei sacerdoti e dei fedeli che, dopo un primo momento di sostegno all’azione dell'arcivescovo Marcel Lefebvre, sono tornate alla comunità ecclesiale. In concreto, oltre a fare riferimento all’odierna situazione nel mondo in relazione ai cosiddetti “fedeli tradizionalisti”, il porporato ha parlato dell'unica situazione di questo tipo in America Latina, “Campos”, rientrata quasi cinque anni fa con i suoi 50 sacerdoti, seminariste, religiose e oltre 25 mila fedeli. Grande rilievo ha avuto anche l'intervento di mons. Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici e ciò perché – va ricordato – in America Latina opera il 90% dei missionari laici della Chiesa universale. “Conosciamo quanto sia importante la forte capillarità e generosità del laicato latinoamericano”, ha detto mons. Rylko prima di introdurre quelle che a suo avviso, nel contesto del magistero di Benedetto XVI, possono essere presentate come priorità per il lavoro pastorale con i laici. Prima, mettere sempre al centro come orientamento irrinunciabile la questione di Dio. Secondo, fare di ogni laico un testimone, un educatore e un comunicatore della bellezza di essere cristiani. Infine, ricordare sempre che senza un’“identità profonda e solida di persone e di popoli non è possibile costruire nulla di buono”, poiché senza radici sacramentali non si può essere “discepoli e missionari”. (A cura di Luis Balilla)

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    Condannato a 30 anni di reclusione il mandante dell’omicidio di suor Dorothy Stang, uccisa in Amazzonia nel febbraio del 2005

    ◊    Con una sentenza storica che in Amazzonia rompe il tabù dell'immunità, il fazendeiro Vitalmiro Bastos de Moura è stato condannato a 30 anni di prigione per essere il mandante dell’omicidio della suora americana, Dorothy Stang, uccisa nella località amazzonica di Anapù nel febbraio del 2005. Cinque giurati su sette hanno deciso per la condanna: 26 anni per omicidio, più quattro per aver promesso ricompensa e protezione ai killer assoldati, oltre all'aggravante dell’età della vittima (73 anni), e per aver tentato di coinvolgere nell'omicidio altri latifondisti. Uno di questi, che si associò nel progetto criminale, è ancora in attesa di giudizio, mentre i due killer erano già stati condannati l'anno scorso a 27 e a 17 anni di reclusione. Quando venne uccisa, suor Stang stava lavorando al ‘Progetto Speranza’, per lo sviluppo sostenibile nello Stato brasiliano di Parà, lungo la strada ‘transamazzonica’, un'iniziativa che appoggiava i contadini ‘Senza terra’ osteggiati dai latifondisti locali e dai trafficanti di legname. Alla lettura della sentenza, circa 300 persone nel tribunale e altre 200 all'esterno hanno esultato e festeggiato anche con fuochi d'artificio. L'importanza della condanna di Bastos de Moura va ben oltre il caso di suor Stang, perché rompe la tradizione di impunità dei mandanti degli assassinii di militanti per la difesa di diritti umani in Amazzonia. “E’ una decisione storica – ha dichiarato il coordinatore dell’ONG Terra de Deiretos – forse solo una crepa nel muro dell'impunità nel Parà e in Amazzonia, ma apre uno spiraglio affinché si riesca finalmente a farla finita con l’occupazione violenta di tutta la regione”. Durante il processo, l’avvocato del fazendeiro ha cercato di ribaltare le colpe e ha accusato la suora americana di “azioni criminali, come l'invasione di terre altrui”, e di “essere morta in quanto vittima della violenza che predicava”. Immediata la reazione dei presenti che lo hanno anche fischiato. “Sono molto felice della decisione della giustizia brasiliana - ha dichiarato il fratello della missionaria uccisa - resta però da chiarire la questione del consorzio di latifondisti che fu messo in piedi per uccidere non solo mia sorella, ma chiunque interferisse nello statu quo di soprusi e prevaricazioni in vigore da sempre ad Anapù”. (A cura di Roberta Moretti)

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    L’ONU chiede un ‘triplice’ impegno per i 260 mila sfollati del nord Uganda

    ◊   Fornire aiuti umanitari ai profughi del nord Uganda, sostenerli nelle operazioni di rimpatrio e offrire loro appoggio anche dopo il rientro a casa: lo ha sollecitato John Holmes, sottosegretario generale per gli Affari umanitari dell’ONU, in visita a Kitgum. Come riferisce l'agenzia MISNA, Holmes ha sottolineato la necessità di questo ‘triplice’ impegno nei confronti dei circa 260 mila sfollati interni, tuttora ospitati in 23 campi del distretto, a causa del ventennale conflitto tra governativi e ribelli dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA). Ha poi rimarcato l’importanza di una transizione senza soluzione di continuità dall’assistenza umanitaria al recupero della vita di tutti i giorni, fino agli aiuti allo sviluppo, ricordando che tra i problemi di coloro che rientrano nelle proprie case ci sono i diritti di proprietà terriera e gli ordigni inesplosi. Parlando con le autorità locali, l’inviato delle Nazioni Unite ha quindi osservato che la situazione relativa alla sicurezza è migliorata nella regione, ma restano ancora seri problemi dovuti al conflitto iniziato nel 1986, che ha provocato la morte di oltre 20 mila persone e costretto alla fuga circa 1,5 milioni. Infine, Holmes ha ribadito il sostegno della comunità internazionale ai colloqui di pace tra governo e LRA, ripresi lo scorso fine settimana a Juba, in sud Sudan. (R.M.)

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    Non vogliamo imporre il Vangelo a nessuno, ma annunciarlo con la nostra vita”: così, il presidente della Conferenza episcopale del Mali, mons. Diarra, in occasione della visita ad limina

    ◊   “Vogliamo essere il granello di lievito che fa crescere l’impasto, la piccola luce che illumina la società civile e le istituzioni, portando la Buona Novella e dando l’esempio con le opere concrete”: è quanto ha affermato, all’agenzia Fides, mons. Jean-Gabriel Diarra, vescovo di San e presidente della Conferenza episcopale del Mali, che si trova a Roma per la visita ad limina. “Siamo una piccola comunità cattolica che vive in un Paese in gran parte islamico – ha spiegato mons. Diarra – le statistiche ufficiali non sono molto precise, il Mali ha dai 10 ai 12 milioni di abitanti, il 3% dei quali sono cattolici”. “La comunità cattolica – ha aggiunto – si è strutturata sul modello di Chiesa-famiglia, nella quale tutti si conoscono e si aiutano reciprocamente per vivere il Vangelo. La comunità ecclesiale – ha poi precisato – è servita da un centinaio di sacerdoti di origine locale, vi sono anche alcuni ordini di religiose. I missionari, in particolare i Missionari d’Africa (i Padri Bianchi), svolgono ancora un lavoro importantissimo. Vi sono poi i catechisti che, come nel resto dei Paesi africani, sono estremamente importanti”. Mons. Diarra ha tenuto quindi a precisare: “Ecco, noi non imponiamo il Vangelo a nessuno, ma lo testimoniamo con la nostra vita”. Quindi, il presule ha raccontato un episodio emblematico: “Mi ricordo di aver visitato un dispensario gestito da un ordine religioso nella foresta – ha spiegato – una struttura indispensabile per migliaia di persone. Ho chiesto al personale che lo serviva: “Perché lo fate? Dite ai vostri pazienti perché li curate?”. E ho ricevuto risposte un po’ reticenti, quasi avessero il pudore di non urtare la sensibilità di chi non è cattolico. Ho ricordato loro che bisogna dire chiaramente che è lo spirito evangelico che ci anima: noi non vogliamo imporre la nostra fede a nessuno, ma vogliamo annunciarla”. E ha concluso: “La Chiesa non è un’organizzazione non governativa, ma è al servizio dell’Annuncio della Parola”. (R.M.)

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    Elezioni in Camerun: critica dei vescovi per la proroga delle candidature

    ◊   “L’intervento diretto del governo in questo settore delicato non può non inquietare, in un contesto dove tale atteggiamento potrebbe essere adottato di nuovo ad altri livelli”: è quanto affermano i vescovi del Camerun, in una nota in cui criticano la decisione dell’esecutivo di prorogare di una decina di giorni la data di deposito delle candidature per le elezioni legislative e municipali del prossimo 22 luglio. Il Camerun – scrive la Conferenza episcopale locale, citata dall’agenzia MISNA – “è uno stato di diritto”. Lo scorso 7 maggio, un comunicato pubblicato sul quotidiano governativo, Cameroon Tribune, riferiva che il primo ministro aveva deciso l’estensione dei termini per la presentazione delle candidature “su richiesta dei partiti politici”. Alcuni dirigenti dell’opposizione avevano denunciato questa proroga come violazione delle normative in vigore. “La legge elettorale votata e promulgata – concludono i vescovi – deve rimanere in qualsiasi circostanza un punto di riferimento per ciascuno e per tutti i cittadini. È la miglior garanzia per la stabilità e per la pace”. (R.M.)

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    La Chiesa delle Filippine sulle elezioni del 14 maggio scorso: “Più ordine, ma ancora brogli”

    ◊   Le elezioni politiche e amministrative del 14 maggio scorso nelle Filippine si sono svolte in modo relativamente pacifico, con un numero minore di violenze rispetto agli anni precedenti, ma anche questa volta sono state commesse alcune irregolarità e brogli: lo hanno detto, all’indomani del voto, vari esponenti ecclesiastici del primo Paese asiatico per numero di cattolici, intervistati dall’agenzia asiatica Ucanews. In particolare – riferisce l’agenzia MISNA – un miglioramento della sicurezza nella provincia di Masbate, agglomerato di piccole isole 375 chilometri a sudest della capitale, Manila, è stato rilevato dal vescovo locale, mons. Joel Z. Baylon, secondo il quale il controllo diretto della Commissione sulle elezioni e dei media ha contribuito a rendere meno cruenta la campagna elettorale. Compravendita di voti, persone che hanno votato in più seggi e altre scorrettezze sono state segnalate in varie parti del Paese, come ha confermato, tra gli altri, anche mons. Jemar Vera Cruz, vicario generale di Ilagan, che ha parlato di elezioni “sporche e disoneste”. Probabilmente, solo fra qualche settimana si conosceranno i risultati definitivi delle votazioni per scegliere 12 senatori, 230 deputati della Camera bassa e oltre 18 mila tra governatori, sindaci e altri amministratori locali. (R.M.)

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    Cina: presto liberi i due sacerdoti della diocesi di Wenzhou arrestati ad agosto

    ◊   In Cina, è stata confermata per questa estate la liberazione dei due sacerdoti della diocesi di Wenzhou arrestati ad agosto, dopo essere rientrati da un pellegrinaggio a Roma. Come riferisce AsiaNews, lo scorso aprile, padre Shao Zhoumin, vicario generale della diocesi di Wenzhou, nella provincia orientale di Zhejiang, e padre Jiang Sunian, cancelliere della stessa diocesi, sono stati condannati, rispettivamente, a 9 e 11 mesi di reclusione per aver falsificato il loro passaporto. Avendo però già scontato buona parte della loro pena prima del pronunciamento della sentenza, padre Shao lascerà il carcere a giugno, mentre padre Jiang sarà libero alla fine di agosto. Entrambi hanno già subito due volte il carcere, la prima volta nel 1999. In seguito padre Shao, ricoverato d'urgenza per una malattia contratta durante la detenzione, è stato scarcerato. Nel novembre dello stesso anno, invece, padre Jiang è stato fermato per aver pubblicato in maniera illegale 120 mila libretti di inni e arrestato formalmente il 23 dicembre. La sua pena doveva essere di 6 anni di carcere e una multa di 270 mila yuan, ma è stato rilasciato il giorno di Natale del 2003. Anche il vescovo di Wenzhou, mons. James Lin Xili, è stato arrestato nel 1999, ma si trova tuttora confinato nella Cattedrale locale senza libertà di movimento. Non gode di buona salute. (R.M.)

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    Oggi e domani, a Roma, Convegno dell’Istituto internazionale di Teologia pastorale sanitaria “Camillianum”. Tema: “Dio è amore, ma può soffrire?”

    ◊   “Dio è amore, ma può soffrire?”: è l’interessante tema del Convegno promosso oggi e domani a Roma dall’Istituto internazionale di Teologia pastorale sanitaria “Camillianum”. “I drammi che si rinnovano – si legge nella presentazione – ripropongono la domanda su Dio: è apatico o soffre insieme con le sue creature?”. Secondo gli organizzatori, “la cultura contemporanea sembra non riuscire più a conciliare l’onnipotenza e l’onniscienza di Dio con la sua misericordia, con la sua compassione e con la sua vicinanza ai sofferenti e agli ultimi”. “Il convegno intende riflettere – conclude la presentazione – attraverso l’apporto della teologia, della filosofia e della letteratura, sulla necessità di ribadire un’immagine di Dio in cui la vicinanza si concili con la trascendenza, in cui la vulnerabilità sia segno di amore salvifico e non di debolezza”. Tra gli interventi, quello del prof. Armando Rigobello, dell’Università LUMSA di Roma, su “Il Dio debole e il Dio drammatico”. Il prof. Giacomo Canobbio, della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Brescia, si chiederà, invece, “Dio può soffrire?”, mentre il padre Leonardo di Taranto, dell’Ufficio di pastorale della salute di Bari, rifletterà su “Il Dio invocato nell’ospedale”. (R.M.)

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    Un turbine di sentimenti umani al centro delle prime tre pellicole del Festival del cinema di Cannes

    ◊    Amore e odio, paura e speranza, dolore e piacere. Un turbine travolgente di sentimenti umani accoglie e sommerge gli spettatori dei primi tre film del Festival di Cannes, “My Blueberry Night” del cinese Wong Kar-wai, “Quattro mesi, tre settimane e due giorni” del rumeno Christian Mungiu, e “Zodiac” dell’americano David Fincher. Se quest’ultimo, cronaca di un crimine mai risolto, ci immerge nel clima della California degli Anni Sessanta, fra misteriosi criptogrammi e citazioni cinefile, mostrando i resti di vite consumate nell’ossessione della verità, “My Blueberry Night” racconta invece una storia d’amore che incomincia in un bar, davanti ad una torta di mirtilli che nessuno vuole, e si dipana attraverso varie vicende, captate “on the road” dalla protagonista, che attraverso di esse conosce la condizione umana e impara a distinguere verità e menzogna nei volti e nelle parole della gente. Saturo di colori e di sensazioni, il film che riunisce in varie partecipazioni alcuni dei più noti volti di Hollywood, conferma una volta di più i valori etico estetici di Wong Kar-wai, fatti di immagini bellissime e sorprendenti, di malinconie struggenti, di musiche che inducono al ricordo e alla contemplazione. Ci lascia invece con la morte nel cuore il rumeno “Quattro mesi, tre settimane e due giorni” che, attraverso una messinscena implacabile, memore del Kieslowski dei “10 Comandamenti”, racconta la vicenda di due studentesse e un aborto clandestino durante una notte di orrore e di angoscia nella Romania del 1987, alla vigilia della caduta di Ceausescu. Sottoposti per due ore alle immagini glauche di questo film senza luce, gli spettatori seguono le abiezioni dei corpi e dello spirito, sullo sfondo di una società agonizzante, al bivio di una duplice oppressione, quella del regime comunista al suo passato addio, e quella di un consumismo e di un edonismo che incominciano la loro lenta infiltrazione. Alla fine, resta solo la pietà. Pietà, per le donne e gli uomini in balia delle loro colpe, ma soprattutto pietà per quel bambino mai nato, alla cui esistenza spezzata il titolo del film è dedicato. (A cura di Luciano Barisone)

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    24 Ore nel Mondo



    Francois Fillon nominato nuovo premier francese - Algeria al voto tra imponenti misure di sicurezza - Ripresi i collegamenti ferroviari tra due Coree

    ◊   - E’ Francois Fillon il nuovo primo ministro francese: l’incarico gli è stato conferito questa mattina da Nicolas Sarkozy. Si tratta della prima nomina del neo-presidente dall’insediamento, avvenuto ieri. Il resto dell’esecutivo sarà annunciato domani. Da Parigi, ci riferisce Francesca Pierantozzi:

    Nessuna sorpresa, come annunciato François Fillon è il nuovo primo ministro di Francia. Consigliere politico di Nicolas Sarkozy durante tutta la campagna elettorale, ex ministro dell’Istruzione e degli Affari Sociali, considerato un gollista sociale e un abile negoziatore. E’ già a Palazzo Matignon per il passaggio di consegne con Dominique de Villepin. Prima di prendere possesso del Palazzo del Governo, Fillon ha incontrato, questa mattina presto all’Eliseo, Nicolas Sarkozy. Già domattina dovrebbe rivelare la composizione del nuovo Governo. Squadra ristretta, 15 ministri, per metà donne, con la missione di mettersi al lavoro immediatamente e render conto dei loro risultati. Questo l’Esecutivo che il presidente Sarkozy ha annunciato. “Sarà un Governo di apertura, dove figureranno anche diverse personalità del centro e della sinistra. Pare certa la presenza del socialista Bernard Kouchner, fondatore di Médécin Sans Frontière, al Ministero degli Esteri. Probabile anche il “sì” dell’ex ministro degli Esteri socialista e portavoce di Mitterrand, Hubert Védrine. Sicuramente presenti nella nuova squadra anche il centrista Borlo, l’ex ministro della Difesa, Michelle Lomarié, e l’ex premier Alain Juppé, già 'fedelissimo' di Chirac, che dovrebbe condurre il grande Ministero dello Sviluppo sostenibile, da cui dipenderanno anche i Trasporti e l’Energia. Francesca Pierantozzi, da Parigi, per la Radio Vaticana

    - Ancora attentati in Afghanistan: a Kandahar 2 bombe sono state fatte esplodere nello stesso luogo nell’arco di 15 minuti, provocando la morte di 10 poliziotti. I talebani hanno rivendicato l’attentato. La prima esplosione, una bomba radiocomandata, è stata fatta brillare contro un veicolo della polizia, uccidendo quattro ufficiali, mentre la seconda è esplosa all’arrivo dei soccorritori, provocando la morte di altri 6 agenti.

    - Iran e Stati Uniti avranno colloqui a livello di ambasciatori il 28 maggio in Iraq per discutere della sicurezza nel Paese del Golfo. Ad annunciarlo il ministro degli esteri iraniano Mottaki. Intanto un incessante susseguirsi di attentati e combattimenti ha caratterizzato gli ultimi giorni. Questa mattina insorti hanno attaccato un ponte a Baghdad, uccidendo due civili. Sono almeno 30, invece, i cadaveri ritrovati nelle ultime 24 ore in zone diverse di Baghdad.

    - Dopo 56 anni, sono ripresi i collegamenti ferroviari tra Corea del sud e Corea del Nord. L’avvenimento, che è stato trasmesso in diretta dall’emittente di Stato sudcoreana, alimenta nuove speranze di riunificazione fra i due Paesi. Il collegamento attraversa la fascia che divide i due Stati dalla guerra di Corea, conclusasi nel 1953 con un armistizio ancora in attesa di un trattato di pace. Il nostro servizio:

    Due treni, uno dal Nord e uno dal Sud, hanno riattraversato stamani, per la prima volta dopo oltre 50 anni, il confine fortificato che divide le due Coree sul 38.mo parallelo. I governi di Seul e Pyongyang hanno subito sottolineato la portata storica dell’avvenimento: il ministro sudcoreano per l’Unificazione ha dichiarato che adesso “batte di nuovo il cuore della penisola nordcoreana”. Un rappresentante del governo nordocreano ha espresso l’auspicio che i due Paesi “non deraglino dal binario” della riunificazione. Il treno, partito dalla Corea del Sud, ha percorso 25 chilometri attraverso il lato occidentale della frontiera. Il secondo, dal Nord, ha completato un tragitto di 23 chilometri sul lato orientale. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e per il momento, il treno della riunificazione è solo simbolico. La Corea del Nord ha già annunciato, infatti, che il servizio verrà interrotto nei prossimi giorni. Si spera, comunque, che l’odierna inaugurazione della linea ferroviaria possa accelerare i tempi del riavvicinamento tra le due Coree. E i segnali non mancano: si parla infatti di un vertice, entro la fine di agosto, fra il presidente sudcoreano Roh Moohyun e il capo di Stato nordcoreano, Kim Jong Il.

    - Diciotto milioni di algerini sono chiamati oggi alle urne per eleggere i 389 deputati dell'Assemblea popolare nazionale, la Camera bassa del Parlamento. Oltre 12 mila i candidati di 24 partiti e 102 liste indipendenti. E sulla consultazione si allunga l’ombra di Al Qaida, che ha esortato a boicottare la tornata. Da Algeri, il servizio di Amina Belkassem:

    Tra l’indifferenza della popolazione, la paura di brogli e la minaccia di nuovi attacchi terroristici proseguono, fino a questo momento senza incidenti, le operazioni di voto in Algeria. Dopo l’attentato di ieri a Costantina e ad un mese dagli attacchi kamikaze nel cuore di Algeri, siglati da Al Qaeda per il Maghreb islamico, l’allerta resta massima; non solo nella capitale, ma in tutto il colosso maghrebino, che con soli 33 milioni di abitanti, il 60 per cento giovani con meno di 30 anni, è grande quasi otto volte l’Italia. “Perché dovrei andare a votare? Tanto non cambierà nulla”, ci dice un ragazzo che approfitta della giornata elettorale per concedersi una gita in famiglia. La sfiducia e l’apatia serpeggiano nel Paese ricco di gas e petrolio, ma ancora afflitto da un alto tasso di disoccupazione, secondo alcuni quasi al 70 per cento tra i giovani, e dove il salario minimo è di circa 120 euro. Domani si conosceranno i risultati di queste terze elezioni libere nella storia dell’Algeria, dopo il blocco elettorale del 1992. Allora, le prime consultazioni multipartitiche del Paese furono stravinte al primo turno dal Fronte islamico di salvezza, ma l’esercito annullò lo scrutinio dando il via alle violenze degli integralisti islamici armati, che hanno provocato fino ad oggi circa 200 mila morti. Oggi, gli estremisti islamici, i pentiti, gli ex terroristi scarcerati dalla politica di riconciliazione di Bouteflika, non hanno potuto candidarsi. Secondo le previsioni si affermeranno ancora una volta l’ex partito unico Fronte di liberazione nazionale, il liberale raggruppamento nazionale democratico e gli islamici moderati del Movimento della società per la pace. Poche centinaia le donne presenti sugli oltre 12 mila candidati. Una novità per questo appuntamento elettorale: il ritorno dopo il boicottaggio del 2002 del raggruppamento per la cultura e la democrazia, uno dei principali partiti della Cabilla, la regione a maggioranza berbera da sempre in conflitto con il potere centrale.
    Da Algeri, Amina Belkassem, per la Radio Vaticana.

    - Proseguono le violenze in Somalia. L'Alto Rappresentante per la politica estera e la sicurezza europea, Javier Solana, ha condannato con forza il recente attacco a Mogadiscio contro una pattuglia dell'Unione africana che opera nel Paese del Corno d’Africa, nel corso del quale sono stati uccisi quattro soldati ugandesi. Anche stamani nuovi attacchi: alcune granate sono state lanciate nella capitale contro un convoglio a bordo del quale si trovava il primo ministro Ali Gedi, rimasto fortunatamente illeso. Come è possibile in questa situazione avviare la conferenza di pace tra governo e Corti islamiche, auspicata dall’esecutivo transitorio? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Mario Raffelli, incaricato speciale del governo italiano per la Somalia:

    R. – In Somalia, non è pensabile arrivare ad una stabilizzazione semplicemente attraverso i mezzi militari. Eravamo convinti di questo quando c’erano le Corti a Mogadiscio e cercavamo di favorire un accordo tra le Corti islamiche e il governo; siamo stati convinti di questo dopo l’intervento militare dell’Etiopia, perché pensiamo che la sconfitta militare delle Corti islamiche non abbia risolto i problemi; e lo pensiamo adesso, sostenendo che per poter partire con questa Conferenza di Riconciliazione che il governo ha annunciato, sia necessario – prima – arrivare ad un accordo a Mogadiscio tra il governo e i clan, che non si sentono in larga parte rappresentati da questo governo.

     
    D. – E’ veramente possibile realizzare un accordo tra posizioni così differenti?

     
    R. – Si dovrebbe applicare rigorosamente quanto previsto dalla Carta costituzionale transitoria, che quando fu approvata prevedeva entro cinque anni per le amministrazioni regionali autonome, elezioni generali garantite internazionalmente; in questo caso, l’accordo dovrebbe essere possibile. Ovviamente, è difficile quando si lascia la parola per troppo tempo alle armi, perché questo non fa altro che incancrenire i problemi e rendere più difficile un compromesso che, teoricamente, sarebbe possibile.

     
    D. – L’emergenza umanitaria, come può essere fronteggiata in maniera efficace?

     
    R. – A due condizioni: da una parte, non essere ostacolati come agenzie umanitarie dalla presenza militare; la seconda, mobilitare l’impegno materiale, perché fino ad oggi solo un venti per cento della popolazione coinvolta in questo disastro umanitario – parliamo di circa 300-400 mila persone – è stato raggiunto dagli aiuti.

     
    - In Nigeria, è stata rilasciata stamani la cittadina bielorussa, Irina Ekpo-Umola, rapita lo scorso 5 maggio a Port Harcourt, da alcuni uomini armati appartenenti al sedicente Movimento di liberazione del Delta del Niger (MEND). Lo riferiscono le autorità locali precisando che la donna, è in buone condizioni di salute. Attualmente sono 12, compresi quattro italiani, gli stranieri tenuti in ostaggio nel Paese africano. (Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco e Franco Lucchetti)

     

     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 137

     

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