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SOMMARIO del 09/05/2007

Il Papa e la Santa Sede

  • Poche ore all'arrivo in Brasile di Benedetto XVI: la sosta nella città di San Paolo e venerdì il trasferimento ad Aparecida per l'inaugurazione della Quinta Conferenza generale dell'Episcopato latinoamericano e caraibico
  • Aperto a Sacrofano il Congresso internazionale sulla Fidei donum a 50 anni dalla promulgazione dell'Enciclica di Pio XII
  • L’arcivescovo Marchetto: rispettare dignità e diritti degli immigrati, anche se irregolari
  • Oggi su "L'Osservatore Romano"
  • Oggi in Primo Piano

  • La tragedia continua del Darfur. La testimonianza diretta di un Comboniano, padre Franco Moretti
  • L'importanza sociale della famiglia al centro del convegno del Forum delle Associazioni familiari svoltosi alla LUMSA
  • Chiesa e Società

  • Le relazioni con i musulmani in Europa tema della riunione del Comitato congiunto del Consiglio delle Chiese europee
  • I vescovi canadesi chiedono il riconoscimento dei bambini non nati come esseri umani a tutti gli effetti
  • Inaugurata in Asia, nella diocesi di Hsin Chu, una copia della Santa Casa di Loreto: è la terza al mondo
  • Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi in Italia. La celebrazione istituita con una legge nell'aprile scorso
  • Il Forum delle Associazioni familiari e il Comitato laico di difesa della famiglia ribadiscono il "no" alle strumentalizzazioni ideologiche del Family Day
  • Nel Niger 250 mila persone senz’acqua potabile. La Croce Rossa denuncia: inquinati e prosciugati alcuni pozzi
  • Zimbabwe: dura critica del presidente Robert Mugabe ai vescovi

  • 24 Ore nel Mondo

  • Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco
  • Il Papa e la Santa Sede



    Poche ore all'arrivo in Brasile di Benedetto XVI: la sosta nella città di San Paolo e venerdì il trasferimento ad Aparecida per l'inaugurazione della Quinta Conferenza generale dell'Episcopato latinoamericano e caraibico

    ◊   Benedetto XVI è partito per il Brasile, suo sesto viaggio apostolico extra-italiano: al centro della visita l’inaugurazione della V Conferenza generale dell’Episcopato dell’America Latina e dei Caraibi ad Aparecida domenica 13 maggio. L’aereo papale, un Boeing 777 dell’Alitalia, è decollato dall’aeroporto di Fiumicino alle 9.08. L’arrivo del Papa è previsto per le 16.30 a San Paolo: saranno le 21.30 in Italia. Sull'aereo che lo sta portando in Brasile, il Papa ha tenuto la tradizionale conferenza stampa con i giornalisti. Ce ne parla Sergio Centofanti.


    “Amo molto l’America Latina": è quanto ha detto ai giornalisti il Papa che ha espresso la sua “grande gioia” di recarsi nel “Continente della speranza” per annunciare la bellezza di essere cristiani. ''Finalita' primaria di questo viaggio – ha detto - è la V Conferenza generale dell’Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi”: il viaggio ha quindi, “di per sé, un contenuto specificamente religioso: dare la vita in Cristo e farsi discepoli di Cristo”. Ma la missione religiosa della Chiesa - ha aggiunto – pone “le condizioni per le soluzioni necessarie ai grandi problemi sociali e politici dell'America Latina''. E questo anche se “la Chiesa in quanto tale non fa politica ma rispetta la laicità”: la Chiesa, infatti, vuole formare dei credenti “capaci di essere testimoni di Cristo” nella società, maturi sia riguardo alle “virtù personali” che alle “grandi virtù sociali”.

     
    Benedetto XVI ha parlato della proclamazione del primo santo nato in Brasile, il frate francescano Antonio de Sant’Anna Galvão, uomo “di riconciliazione e di pace”. E si è soffermato sull’impegno della Chiesa contro la violenza: “chi ha fede in Cristo, in questo Dio di riconciliazione che con la Croce ha posto il segno più forte contro la violenza non è violento e aiuta gli altri a non essere violenti … e mobilita le forze contro la violenza”.
    A una domanda sulla teologia della liberazione Benedetto XVI ha ricordato che oggi la situazione è profondamente cambiata: la Chiesa - ha ribadito - è fortemente impegnata per la giustizia ma nello stesso tempo opera un discernimento per evitare i falsi millenarismi che credono di poter realizzare dalle rivoluzioni un sistema sociale perfetto.

     
    Il Papa ha parlato anche di Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso nel 1980 mentre celebrava la Messa: è un ''grande testimone della fede'' - ha detto - e non dubita ''che la sua persona meriti la beatificazione'', anche se la sua figura – ha precisato - va liberata da quelle deformazioni ideologiche di quanti hanno cercato di appropriarsene per motivi politici.

     
    Sulla diffusione delle sette in America Latina il Papa ha affermato che sono un segno che le persone hanno "sete di Dio". La Chiesa deve rispondere a questa esigenza su un piano molto concreto nella consapevolezza che oltre ad annunciare il messaggio cristiano, occorre aiutare le persone a trovare condizioni di vita giuste, micro e macroeconomiche. Ad una domanda sui politici che in Messico hanno appoggiato la legge sulla depenalizzazione dell’aborto, il Papa ha sottolineato la necessità della coerenza per i politici cristiani, ribadendo che la Chiesa annuncia il Vangelo della vita: “la vita è un dono, non è una minaccia”.

     
    Il direttore della Sala Stampa, padre Federico Lombardi, commentando alcuni lanci di agenzia in merito alla risposta del Papa, ha precisato che non essendo stata dichiarata alcuna scomunica da parte dei vescovi messicani per quei politici, Benedetto XVI non ha inteso dichiararla nemmeno lui. L'azione legislativa favorevole all'aborto - ha precisato padre Lombardi - non e' compatibile con la partecipazione all’Eucaristia. ''Ma sono dunque scomunicati?'', gli e' stato chiesto: no - ha precisato padre Lombardi - si autoescludono dalla Comunione''.

     

    E in volo verso il Brasile Benedetto XVI ha inviato i tradizionali telegrammi ai capi di Stato dei Paesi sorvolati. Il Papa ha scritto al presidente della Repubblica italiana, della Francia, dell’Algeria, della Repubblica islamica di Mauritania e del Senegal, assicurando la sua preghiera per lo sviluppo delle Nazioni. Al presidente Giorgio Napolitano il Santo Padre ha espresso fervidi auspici per il benessere spirituale, civile e sociale del popolo italiano, mentre il capo dello Stato, ha risposto di essere certo che la parola del Papa, in Brasile, “saprà ancora una volta riaffermare i valori di dignità della persona e di solidarietà posti al centro della sua alta missione apostolica.” “Il Brasile - si legge ancora nel telegramma di Napolitano - ha intrapreso con grande determinazione un cammino di crescita e sviluppo che lo ha portato ad assumere un ruolo di primo piano sulla scena mondiale”. Ma se povertà e diseguaglianza affliggono ancora oggi larghi strati della popolazione brasiliana, il presidente della Repubblica italiana è convinto che la presenza di Benedetto XVI offrirà “a tutti non solo conforto, ma anche speranza e fiducia nell’avvenire”.

     Tra circa sette ore, dunque - le 21.30 in Italia, le 16.30 in Brasile - Benedetto XVI toccherà terra sul suolo brasiliano. Dopo il suo discorso ufficiale nello scalo di Guarulhos e il saluto del presidente Lula da Silva, il Papa si sposterà in elicottero a San Paolo e lì potrà abbracciare idealmente una prima volta la popolazione quando, in serata, si affaccerà dalla loggia dello storico Monastero di Sao Bento, situato nel cuore della metropoli, dove una folla di fedeli sarà pronta ad accogliere la sua benedizione. Il nostro inviato a San Paolo, Alessandro Gisotti, ha colto l'atmosfera e le emozioni di questa vigilia ormai al termine. Il servizio:


     Il popolo brasiliano getta il cuore oltre l’ostacolo delle difficoltà quotidiane e si appresta ad accogliere con gioia Benedetto XVI. I giornali raccontano la storia di persone semplici, spesso di umili origini, che vivono con emozione e un pizzico d’orgoglio l’avvenimento tanto atteso. Un uomo di 79 anni sta percorrendo a piedi 260 chilometri per andare ad Aparecida, dove il Papa celebrerà la grande Messa di domenica 13 maggio. Un anziano lustrascarpe di 75 anni, che da mezzo secolo lavora davanti al monastero Sao Bento dove alloggerà il Papa, sogna di poter lustrare le scarpe al Santo Padre. Grande risalto sui media viene riservato all’incontro con i giovani allo stadio Pacaembu di San Paolo e alla Messa per la canonizzazione di Frei Galvao, primo Santo nato in Brasile.

     
    I quotidiani offrono servizi speciali e veri e propri vademecum per seguire passo dopo passo la visita pastorale di Papa Benedetto. Numerosi i commenti e le interviste che si soffermano sulle sfide più urgenti per la Chiesa del Paese con più cattolici al mondo, dalla famiglia alla difesa della vita, dalla povertà al fenomeno delle sette. Dal canto suo, la Conferenza episcopale brasiliana – riunita in questi giorni a Itaici nello Stato di San Paolo – ha messo a punto un documento di larga diffusione sui fondamenti della fede, dal significativo titolo “Io sono cattolico”. Con la visita del Papa cresce anche l’interesse per le opere del teologo Joseph Ratzinger, che vengono pubblicizzate sulle pagine dei giornali. Non mancano poi le notizie sugli aspetti logistici di un avvenimento che, per 5 giorni, monopolizzerà l’attenzione dei brasiliani e dei cittadini di San Paolo in particolare.

     
    A garantire la sicurezza del Papa e il regolare svolgimento della visita saranno impegnati 3 mila soldati e 5 mila poliziotti. Dieci anni dopo l’ultimo viaggio di Giovanni Paolo II in Brasile, Benedetto XVI troverà una realtà sociale dai due volti. Un Paese che conosce un rinnovato sviluppo economico, ma nel quale la diseguaglianza sociale è ancora una piaga da sanare. San Paolo, con i suoi 20 milioni di abitanti, è lo specchio del Brasile di oggi. Una metropoli dove i grattacieli si alternano alle favelas, dove la nuova ricchezza convive con la vecchia povertà. Una città dunque anche visivamente divisa, ma che si ritrova unita nell’abbraccio al Santo Padre, nell’intonare ad una voce Bem-Vindo Papa Bento, Benvenuto Papa Benedetto.
    Da San Paolo, Alessandro Gisotti, Radio Vaticana

     
     Un dono inatteso. Con queste parole il nuovo arcivescovo di San Paolo, Odilo Pedro Scherer, 57 anni, descrive la propria emozione nel poter aprire le porte dell'arcidiocesi al Pontefice. La sua nomina a capo della Chiesa paulista ha preceduto di poco l'inizio del viaggio papale: ecco allora come il presule confida la sua sorpresa e analizza lo stato attuale della Chiesa brasiliana al microfono di uno dei nostri inviati a San Paolo, Silvonei Protz:


    R. - Debbo dire che questa grazia mi è arrivata in modo del tutto inaspettato. E’ soltanto da poco che sono arcivescovo di San Paolo e mi trovo ad essere colui riceverà il Santo Padre, lo accoglierà e lo ospiterà nella sua diocesi. Questo rappresenta per me veramente una grande emozione ed una grande soddisfazione. Mi sento molto felice e molto grato al Signore per avermi concesso questa grazia. Sento, tra l’altro, che questo rappresenterà una grande gioia per tutta la gente di San Paolo e per tutto il Brasile. Il Santo Padre ci lascerà un grande dono per tutta la città di San Paolo: la canonizzazione del Beato Antonio de Sant’Anna Galvão. Con questo segno il Papa ci indica che la vita cristiana, la vita dei cattolici è segnata dalla via della santità, nella sequela di Gesù, come discepoli missionari di Gesù Cristo.

     
    D. – Che Chiesa aspetta in questo momento il Santo Padre?

     
    R. – La Chiesa brasiliana che aspetta il Santo Padre è una chiesa gioiosa, molto vivace, dinamica e con una profonda religiosità. E’ vero che la Chiesa che accoglie il Santo Padre è anche una Chiesa segnata da molti problemi. Non possiamo certo nascondere questo. Noi viviamo in un periodo di grandi cambiamenti culturali in Brasile e questo avviene già da 30-40 anni. In Brasile noi siamo segnati, in qualche modo, da un fenomeno culturale, sociale e religioso che noi chiamiamo “migrazione religiosa”, che è la conseguenza della mentalità che in Europa si è, forse, già fermata da un po’ di tempo, mentre qui in Brasile è in atto. La gente che era attaccata alla Chiesa, così come alle istituzioni stesse della Chiesa, si sente ormai molto più autonoma, molto più libera, anche per esprimere la non concordanza con quello che la Chiesa insegna. Noi viviamo, inoltre, un periodo anche di molte “offerte” religiose, anche di altri gruppi.

     
    D. – Come affrontare allora questa sfida?

     
    R. – Noi vescovi abbiamo già riflettuto molto su questo, anche durante le Assemblee plenarie degli anni scorsi. Il modo di affrontare questa sfida non può essere altro che fare bene la nostra parte e quindi andare incontro alla gente, incentivare l’educazione, la formazione cristiana; ma anche di incoraggiare lo spirito missionario nelle nostre organizzazioni, nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle comunità religiose, nella scuola. I cattolici devono riuscire, attraverso noi, a riscoprire la gioia di essere cristiani e passarlo poi anche alle nuove generazioni. I cattolici debbono partecipare alla vita della società in tutti i sensi, per costruire così la società secondo le proprie convinzioni. Questo è certamente il nostro impegno, di aiutare cioè la nostra gente a partecipare in modo consapevole ed orientata dalla Dottrina sociale della Chiesa a tutti i livelli della vita sociale, economica, politica ed anche nella comunicazione sociale.

     
    D. – Un’ultima domanda, che riguarda proprio la comunicazione sociale: i giornali scrivono che la Chiesa in Brasile chiederà al Papa di trasmettere la Messa attraverso Internet. Cosa c’è di vero?

     
    R. – Io sono sicuro che si fa già questo e non so se il Papa avrebbe qualcosa in contrario. Io credo che questo si fa e sarebbe anche un modo per cercare di arrivare più lontano ed anche per un maggior coinvolgimento della gente. E’ diverso dire che questo sostituisce il precetto domenicale, il fatto di dover andare in Chiesa. Si deve ovviamente continuare ad andare in Chiesa, a partecipare personalmente alla celebrazione comunitaria. Questo fa parte della vita della Chiesa e certo non è Internet che potrà superarlo.

     

     
    L'arrivo di Benedetto XVI in America Latina ha generato da mesi un grande fermento ecclesiale, primo fra tutti all'interno dell'episcopato brasiliano, in prima linea nell'accoglienza del Papa. Proprio oggi si conclude, a Campinas, la plenaria dei vescovi del Brasile dedicata alla Conferenza di Aparecida. Alessandro Gisotti ha avvicinato durante i lavori uno dei presidenti della quinta Conferenza generale degli episcopati latinoamericani e caraibici, il cardinale arcivescovo di San Salvador de Bahia, Geraldo Majella Agnelo:
     
    R. – La visita del Santo Padre non è la visita di un capo di Stato, ma è la visita di un pastore, di un pastore che è conosciuto dalle sue pecore, che lo amano profondamente. Noi crediamo, quindi, così come nelle volte precedenti con Giovanni Paolo II, che saranno incontri di fede e di amore.

     
    D. – Qui siamo proprio nel cuore della Chiesa brasiliana, perché tutti i vescovi sono riuniti assieme: cosa si aspetta l’episcopato brasiliano da questa visita pastorale di Benedetto XVI?

     
    R. – Sicuramente il Santo Padre ci darà un conforto per le nostre difficoltà e per predicare oggi il Vangelo di fronte alle sfide che abbiamo, in particolar modo quelle relative all’individualismo, al consumismo e che rappresentano oggi un po’ i punti cruciali. I cristiani devono cercare di non farsi coinvolgere dal consumismo, devono cercare di non relativizzare la fede o la religione.

     
    D. – Benedetto XVI viene in Brasile ad abbracciare i fedeli brasiliani, ma ovviamente il viaggio ha un’importanza per tutto il continente, visto che il motivo principale è rappresentato dall’apertura ad Aparecida della Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi. Cosa rappresenta questo evento 15 anni dopo la Conferenza di Santo Domingo e che cosa, anche in questo caso, può dare alla Chiesa dell’America Latina?

     
    R. – Nelle due Conferenze precedenti abbiamo meditato sull’evangelizzazione ed arriviamo ora ad un momento culminante. Anche noi vescovi siamo discepoli e insieme con tutti i cristiani battezzati siamo chiamati ad essere figli di Dio ed anche missionari di Cristo, per essere Cristo nel mondo di oggi.

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    Aperto a Sacrofano il Congresso internazionale sulla Fidei donum a 50 anni dalla promulgazione dell'Enciclica di Pio XII

    ◊   Nel 50.mo dell’Enciclica di Pio XII Fidei donum, che sollecitava l’invio di sacerdoti diocesani nelle terre di missione, delineando una nuova corresponsabilità nella missione della Chiesa, si tiene presso la Fraterna Domus di Sacrofano, vicino Roma, un Congresso internazionale dal titolo “Tutte le Chiese per tutto il mondo”, promosso dalla Pontificia Unione Missionaria. Il convegno desidera ripercorrere il cammino del nuovo soggetto missionario sorto in risposta all’Enciclica, e cioè i sacerdoti Fidei donum, esaminare l’identità dei Fidei donum alla luce della realtà missionaria attuale, formulare proposte per una più intensa comunione tra le Chiese. Sono presenti al Congresso circa 350 partecipanti, tra rappresentanti delle Conferenze episcopali, direttori nazionali delle Pontificie Opere Missionarie ed invitati. Ha aperto l’incontro questa mattina il cardinale Ivan Dias, prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli. Dopo l’illustrazione della metodologia dei lavori a cura del padre Vito del Prete, del PIME, segretario generale della Pontificia Unione Missionaria che ha promosso l’iniziativa, stanno seguendo le relazioni in programma. Sono in calendario tra gli altri gli interventi del vescovo Giuseppe Betori, segretario generale della CEI, e dell’arcivescovo Henryk Hoser, presidente delle Pontificie Opere Missionarie. Chiuderà venerdì l’incontro la Concelebrazione eucaristica presieduta dal Presidente della CEI, arcivescovo Angelo Bagnasco. (A cura di Giovanni Peduto)

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    L’arcivescovo Marchetto: rispettare dignità e diritti degli immigrati, anche se irregolari

    ◊   Le migrazioni al centro del Colloquio organizzato dalla Conferenza episcopale regionale dell’Africa occidentale francofona (CERAO). All’incontro svoltosi ieri ad Abijan, in Costa d’Avorio, ha partecipato l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Il servizio di Roberta Gisotti:


     “Luci ed ombre” nella gestione del fenomeno migratorio, collegato alla miseria e al sottosviluppo di popoli e Paesi, nel contesto della globalizzazione: ne ha parlato l’arcivescovo Marchetto, richiamandosi in particolare all’Istruzione “La Carità di Cristo verso gli immigrati”, pubblicato nel 2004 dal Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, dove si prospetta “una visione globale del fenomeno migratorio”, sottolineandone “soprattutto gli aspetti religiosi e socioculturali, pure incoraggiando l’impegno per un ordine mondiale, etico, economico e politico più giusto”.

     
    Nel corso degli ultimi 20 anni – ha ricordato il presule – si è dimezzata dal 40 al 20 per cento la percentuale di chi vive con meno di un dollaro al giorno. “Questo è un buon risultato”. Ma ancora oggi oltre un miliardo di persone versa in povertà estrema e la metà della popolazione sopravvive con meno di due dollari al giorno.

     
    Allora, “molto resta da fare – ha ribadito l’arcivescovo - per distribuire in modo più equo i benefici della mondializzazione e per affrontare in maniera più adeguata le sfide dell’emigrazione, interna ed internazionale, volontaria o forzata, che è divenuta un fenomeno strutturale”.

     
    Sul piano pastorale, mons. Marchetto, ha insistito che per la Chiesa la “persona con i suoi diritti e i suoi doveri deve essere rispettata pure se in una posizione irregolare”. “E’ qui entra in gioco – ha detto - la carità cristiana per gli altri”. Ha sollecitato quindi “un buon coordinamento tra la Chiesa d’arrivo e quella di partenza”, che resta “la Chiesa madre che non può abbandonare a se stessi i suoi figli che partono, verso i quali deve continuare a mostrare la sua sollecitudine attiva e la sua carità pastorale”. Necessari dunque “lo scambio regolare di informazioni tra Chiese, gli incontri bilaterali dei vescovi e le visite periodiche e reciproche dei responsabili delle Chiese per mantenere vivi i legami della memoria e la conoscenza del patrimonio culturale e religioso degli immigrati”.

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    Oggi su "L'Osservatore Romano"

    ◊   Servizio vaticano - Il viaggio apostolico di Benedetto XVI in Brasile.
    Servizio estero - Irlanda del Nord: insediato il Governo autonomo di Belfast.
    Servizio culturale - Un articolo di Armando Genovese dal titolo "Il recupero dell'Antico Testamento nel Cristianesimo delle origini": un approfondimento su alcuni passaggi cruciali nella vita della Chiesa dei primi secoli. Servizio italiano - In primo piano il tema della sanità.

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    Oggi in Primo Piano



    La tragedia continua del Darfur. La testimonianza diretta di un Comboniano, padre Franco Moretti

    ◊   I leader dei gruppi ribelli del Darfur, in Sudan, stanno cercando di definire posizioni comuni per avviare negoziati unitari con il governo sudanese. Un primo incontro tra le fazioni potrebbe avvenire a breve a Juba, la capitale del Sudan meridionale, proprio mentre domani arriveranno a Khartoum l'inviato speciale dell'ONU per il Darfur, Jan Elliasson, e quello dell'Unione Africana, Salim Ahmed Salim. Intanto, risuona a livello planetario l’accusa di Amnesty International a Cina e Russia di continuare a dare al Sudan armi che poi vengono usate nel conflitto. Una palese violazione, secondo l’organizzazione umanitaria, dell'embargo sulle armi stabilito dalle Nazioni Unite. E la conferma della drammatica situazione che si starebbe vivendo nell’area giunge anche da padre Franco Moretti, un missionario comboniano, appena tornato dal Darfur, che propone sull’ultimo numero della rivista Nigrizia, un interessante reportage. Ascoltiamo la sua testimonianza, al microfono di Fabio Colagrande:


     R. - In seguito all’accordo di pace con una delle tre fazioni dei guerriglieri del Darfur, la situazione l’insicurezza è aumentata. E questo perché, ora, non solo c’è lo scontro tra i guerriglieri del Darfur e le forze del governo, ma anche tra le stesse fazioni dei guerriglieri. Ciò che colpisce chi visita il Sudan oggi è il fatto che atterrando all’aeroporto di Khartoum non si ha alcuna impressione di arrivare nella capitale di uno Stato in guerra. Tutti sembrano ignorare quello che succede. Se si cerca, anzi, di chiedere a qualcuno nella capitale, così come in altre città del Paese, qualche opinione sul Darfur preferiscono non parlarne. E’ difficile visitare il Darfur, perché non si riescono ad ottenere i permessi. In verità, io stesso non ho ottenuto il permesso, ho rischiato. Ho, infatti, preso l’aereo e sono arrivato nella capitale del Darfur, dove abbiamo una comunità, ed ho detto che ero lì soltanto per visitare i miei confratelli. Questi hanno dovuto, a loro volta, firmare un documento, nel quale si impegnavano a tenermi per tutto il periodo della mia permanenza in Darfur nel cortile della missione. Una volta, però, uscito dall’aeroporto ho potuto visitare vari campi di sfollati e posso dire che la situazione è veramente disastrosa. Questi campi sono un inferno: visti dall’alto sembrano tutti sassi nel deserto, ma quando l’aereo si fa più basso, realizzi che sono capanne, tende. Non c’è spazio vitale in questi campi.

     
    D. - La situazione attuale, come lei la descrive, parla di combattimenti di aerei governativi su questi villaggi, su questa zona e continuano anche gli attacchi dei janjaweed, queste milizie arabe?

     
    R. - I janjaweed sono predoni del deserto e ci sono sempre stati. Ma cosa ha fatto il governo? Il governo ha potenziato questi nomadi, li ha armati e li ha scagliati contro la popolazione locale. Non solo: sostengono i loro attacchi con armi pesanti. Io stesso, con i miei occhi, ho visto aerei Mig sovietici, venduti dalla Cina e modernizzati a Karthoum. Ho visto io i soldati regolari armare le ali di questi velivoli, li ho visti partire e li ho anche fotografati. E’ inutile che il governo di Karthoum dica che non è vero che vengono bombardate le popolazioni civili.

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    L'importanza sociale della famiglia al centro del convegno del Forum delle Associazioni familiari svoltosi alla LUMSA

    ◊   “La nostra è una società fondata sul matrimonio Ogni tentativo di creare una famiglia parallela si scontra con questo diritto fondamentale della nostra Costituzione”. E' quanto ha affermato Giovanni Giacobbe, presidente del Forum delle Associazioni Familiari, durante il convegno “Famiglia o famiglie. L’importanza di discutere per capire”. Promosso dalla Libera Università Maria Santissima Assunta, l'incontro si è svolto ieri a Roma. Il servizio di Marina Tomarro:
     
    Capire il senso della famiglia nella società attuale e riscoprirne la sua unicità e il suo valore. Questi gli obiettivi che si sono proposti i partecipanti al Convegno “Famiglia o famiglie”, organizzato dalla Libera Università Maria Santissima Assunta. Giovanni Giacobbe, presidente del Forum delle Associazioni Familiari:

     
    R. - Viviamo in un clima nel quale si tende a contestare l’univocità istituzionale oltre che sociale della famiglia, che viene definita con una modalità, se non dispregiativa, certamente riduttiva tradizionale, mentre è il vero nucleo della società civile. Nel nostro ordinamento, abbiamo un modello di famiglia ben definito e consolidato, perché è indicato dalla Costituzione, che riconosce la famiglia come società naturale, fondata sul matrimonio, e impone allo Stato di sostenere la famiglia, sia nel suo sorgere, sia nel suo operare. Quindi, questo modello costituzionale di famiglia, a mio parere, è ancora ben saldo nel nostro ordinamento.

     
    E tante sono le sfide da affrontare per le famiglie nel mondo odierno. In particolare, la ricerca di una stabilità che non sempre appare facile da trovare. Ma in che modo l’istituzione familiare può essere aiutata? Donatella Pacelli, docente di sociologia generale presso l’Università L.U.M.S.A.:

     
    R. - Il gruppo famiglia soffre di problemi organizzativi. E qui dobbiamo chiamare in causa anche le politiche sociali un po’ lacunose che non aiutano l’organizzazione famiglia che, alla fine, tende ad essere fin troppo autoreferenziale, trovando anche poco appoggio all’esterno. Riesce a porsi poco fuori come soggetto sociale. Quindi, sicuramente, è necessaria una maggiore attenzione da parte delle politiche sociali, ma anche una maggiore attenzione da parte di chi, come noi, crede nella famiglia. E’ molto facile dire cosa stia succedendo fuori della famiglia. Forse, è un pochino più difficile interrogarci su quello che noi, che crediamo nella famiglia, stiamo facendo per salvaguardare la sfera comunitaria della famiglia.

     
    Quindi, la famiglia non è più un affare privato, ma un bene della società cui tutti siamo chiamati a contribuire.

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    Chiesa e Società



    Le relazioni con i musulmani in Europa tema della riunione del Comitato congiunto del Consiglio delle Chiese europee

    ◊   Hanno discusso di dialogo interreligioso i componenti del Comitato congiunto per le relazioni con i musulmani in Europa della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE). Nel corso dell’incontro, che si è svolto dal 3 al 6 maggio al St. Philip Centre di Leicester, nel Regno Unito, si è parlato anche dell’islam in Europa e della formazione degli imam e del clero cristiano. Il Comitato ha incontrato due gruppi di musulmani impegnati nel dialogo interreligioso - sette uomini e tre donne della comunità musulmana di Leicester, e lo staff della Fondazione islamica di Markfield (Leicestershire) - ed ha sottolineato la necessità di dare maggiore attenzione alle minoranze musulmane nei Paesi dell’est Europa. Minoranze, è stato osservato, che non rappresentano una popolazione immigrata, come nei Paesi occidentali, ma che hanno proprie tradizioni e che si sono radicate nelle rispettive società. A tal proposito, il Comitato ha sottolineato che la terza Assemblea ecumenica europea (AEE3) di Sibiu (Romania, 4-9 settembre 2007) sarà una preziosa occasione per trovare opportunità di dialogo con le minoranze religiose dell’Europa orientale e per portare alla ribalta la loro secolare esperienza. Preoccuppazione è stata invece espressa per la situazione dei cristiani in Turchia. Il Comitato ha osservato che i recenti omicidi di Malatya rappresentano l’espressione di un nazionalismo estremista e che non sono il frutto di un reale conflitto fra cristiani e musulmani. Ma è stata auspicata una maggiore protezione e un rafforzamento dello status legale della minoranza cristiana in Turchia. Quanto alla formazione degli imam, in vista dell’integrazione dei musulmani nelle rispettive società, è stato evidenziato che dovrebbe essere incoraggiata, particolarmente nei Paesi europei con significative minoranze musulmane. È stato inoltre evidenziato che la vita musulmana, in Europa, ha bisogno di occasioni per confrontarsi con le esigenze religiose nella vita quotidiana delle società occidentali. (T.C.)

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    I vescovi canadesi chiedono il riconoscimento dei bambini non nati come esseri umani a tutti gli effetti

    ◊   L’Organismo cattolico dei vescovi canadesi per la vita e la famiglia (OCVF) ha lanciato un forte appello perché si riconosca che il bambino non nato è a tutti gli effetti un essere umano sin dal concepimento e venga quindi rivista la legislazione canadese sull’aborto che in 36 anni ha permesso l’uccisione di tre milioni di vite umane. In occasione della 10.ma Marcia per la Vita che si terrà venerdì a Ottawa, all’insegna dello slogan “Il diritto di nascere: una questione di giustizia”, l’OCVF ha pubblicato un messaggio in cui si afferma che “la violenza silenziosa dell’aborto è un’ingiustizia flagrante” che contraddice gli ideali di pace e di rispetto della dignità umana del popolo canadese. Il documento evidenzia come sia “illusorio pensare che i diritti umani di tutti e di ciascuno possano essere rispettati se non si comincia con il rispetto del primo dei diritti fondamentali: quello alla vita riconosciuto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo”. Per l’OCVF è giunto il momento di estendere le tutele giuridiche previste dalla Carta canadese dei diritti e delle libertà, che quest’anno festeggia il 25° anniversario, anche ai bambini non nati, ai quali le ricerche scientifiche riconoscono oggi le caratteristiche di esseri umani. Si tratta, osserva l’Organismo cattolico dei vescovi canadesi per la vita e la famiglia, di una constatazione di cui si sta convincendo anche l’opinione pubblica canadese. “Considerato il progresso delle conoscenze sullo sviluppo prenatale - rileva il messaggio dell’OCVF - non si può più negare l’evidenza: distruggere un embrione o un feto significa impedire la nascita ad un essere umano unico e insostituibile”. Di qui, l’appello rivolto in primo luogo alle autorità di governo “che hanno un ruolo cruciale in questo ambito”: “I principi fondamentali della giustizia esigono che le nostre leggi riconoscano e promuovano il diritto alla vita dei più vulnerabili, che sono anche il nostro futuro”. (L.Z. – T.C.)

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    Inaugurata in Asia, nella diocesi di Hsin Chu, una copia della Santa Casa di Loreto: è la terza al mondo

    ◊   Una copia della Santa Casa della Madonna di Loreto è stata inaugurata, a Taiwan, nel convento di Miao Li delle Suore del Sacro Cuore di Gesù e Maria, nella diocesi di Hsin Chu. Alla cerimonia, presieduta dal cardinale Paul Shan Kuo-hsi, hanno preso parte oltre 2 mila fedeli. Insieme col porporato, riferisce l’agenzia Fides, anche una cinquantina di con celebranti, tra vescovi, sacerdoti e religiosi. Il Christian Life Weekly, il bollettino settimanale dell’Arcidiocesi di Tai Pei, scrive che la copia della Santa Casa è identica a quella custodita nel Santuario di Loreto, in Italia. Questa è la terza “Santa Casa” nel mondo (oltre a quella italiana ne esiste una copia nella Repubblica Ceca) ed è l’unica in Asia. Le religiose del Sacro Cuore di Gesù e Maria hanno voluto in questo modo manifestare la profonda devozione nei riguardi della Madonna. Nella sua omelia, durante la Messa per l’inaugurazione del complesso sacro, il cardinale Shan Kuo-hsi ha detto che “da questo momento i fedeli di Taiwan finalmente potranno realizzare il sogno di un pellegrinaggio alla Santa Casa della Madonna di Loreto in casa propria.” All’inaugurazione sono intervenuti numerosi ospiti italiani, tra i quali alcuni in arrivo da Loreto, dove è custodito l’originale della Santa Casa della Vergine e dove Benedetto XVI si recherà il prossimo settembre. (T.C.)

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    Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi in Italia. La celebrazione istituita con una legge nell'aprile scorso

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    Oggi, per la prima volta, l’Italia celebra la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi. La data del 9 maggio è stata scelta perché è l’anniversario dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, nel 1978, dopo 55 giorni di prigionia. La Giornata è stata istituita con una legge approvata a larghissima maggioranza dal parlamento per ricordare, capire, a anche insegnare a chi non c’era cosa è stato il terrorismo, cos’è adesso, chi sono le sue vittime, perchè dal 1967 a oggi in Italia sono morte circa duecento persone e più del doppio sono state ferite per colpa e per mano del terrorismo. Con l'istituzione di questa Giornata, ha scritto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in una lettera inviata ai familiari delle vittime, si colma un vuoto di memoria storica e di attenzione umana e civile. Nell’elenco delle vittime che saranno ricordate, sono compresi anche i 19 morti, militari e civili, di Nassiriya. La proposta di questa Giornata è stata seguita e incoraggiata dal capo dello Stato. In questo primo anno al Quirinale, Napolitano non ha perso occasione per parlare degli "Anni di piombo", della notte della Repubblica, di quanto debba essere sempre tenuta alta la guardia, perché in Italia il terrorismo ha natura carsica, scompare per poi riaffacciarsi. E il capo dello Stato ha anche rimarcato il rispetto dovuto e necessario che si deve ai familiari delle vittime. Il presidente della Repubblica ha deposto una corona di fiori in via Caetani, dove fu trovato il cadavere di Moro. E nel cinquantesimo anniversario dei Trattati di Roma, Napolitano ha voluto in particolare sottolineare il contributo offerto dallo statista democristiano all’elaborazione di una politica estera consapevole del ruolo insostituibile dell'Europa. Un orientamento - aggiunge il capo dello Stato - che mostra, oggi più che mai, la sua validità. (A cura di Giampiero Guadagni)

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    Il Forum delle Associazioni familiari e il Comitato laico di difesa della famiglia ribadiscono il "no" alle strumentalizzazioni ideologiche del Family Day

    ◊   Nuovo appuntamento questa mattina in preparazione al Family Day che si svolgerà a Roma sabato. Il Forum delle associazioni familiari e il Comitato laico in difesa della famiglia insieme, presso la sala dell’Associazione della stampa estera di Roma, hanno ribadito i principi comuni che sosterranno l’iniziativa. Anzitutto, è stato ribadito il no alle strumentalizzazioni politiche che tendono a rappresentare la partecipazione al Family Day come un elemento di divisione tra laici e cattolici. “Non sono fronti contrapposti”, si è detto, nel riconoscere il valore da dare alla famiglia, come non lo sono etnie e religioni diverse. In piazza, ci saranno infatti anche le associazioni delle donne musulmane in Italia e la Confederazione marocchina che hanno testimoniato il timore di una deriva della legislazione sulle coppie di fatto verso la poligamia. La manifestazione di sabato, è stato ricordato, vuole essere un momento di festa, una testimonianza della gioia che può dare il nucleo familiare. Una piazza di cattolici e laici, cristiani e musulmani, senza coloriture politiche, che dice soprattutto “sì”: “sì” ad una legge organica sulla famiglia, “sì” ad un fisco amico e a un sistema tariffario favorevole, “sì” al rispetto e al riconoscimento dei bisogni delle convivenze. Uno solo il “no”, e non al governo, perché il movimento promotore non è politico ma sociale: è quello alla legge sui DICO che mette in discussione il valore della famiglia. (G.C.)

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    Nel Niger 250 mila persone senz’acqua potabile. La Croce Rossa denuncia: inquinati e prosciugati alcuni pozzi

    ◊   La Federazione internazionale della Croce Rossa denuncia l’inquinamento di pozzi di acqua potabile in oltre 200 villaggi del Niger. Almeno 250 mila persone, scrive l’agenzia MISNA, non possono disporre di acqua perché diversi pozzi sono anche intasati, mentre altri si sono prosciugati. La Croce Rossa ne sta riparando una parte, mentre alcuni volontari sono impegnati al fianco della popolazione perché i pozzi vengano gestiti in modo corretto, evitando che vi si avvicinino animali oppure che vi finisca dentro sabbia o altro materiale. Le zone in cui la Croce Rossa sta intervenendo sono Tahoua, Zinder e Tillaberi, tutte regioni del sud e tutte molto povere. Ogni intervento costa circa 5 mila dollari, corrispondente ad un quarto della cifra che servirebbe per costruire una nuova struttura. In particolare, ogni pozzo viene dotato di una piattaforma di cemento che impedisce, tra l’altro, il defluire delle acque di scolo, spesso causa di malattie tra cui il colera, e di pulegge per evitare che le corde dei contenitori per portare l’acqua in superficie restino immerse nel fango. (T.C.)

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    Zimbabwe: dura critica del presidente Robert Mugabe ai vescovi
     

    ◊   In un’intervista rilasciata nei giorni scorsi al settimanale New African Magazine, con sede a Londra, il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe, ha replicato duramente alle critiche mosse al governo dall’episcopato nel suo ultimo messaggio pasquale. Nel documento, i presuli avevano accusato le autorità politiche di “corruzione” e “cattiva amministrazione”, denunciando i rischi di una possibile rivolta popolare senza libere elezioni nel Paese. Per tutta risposta, Mugabe ha bollato la lettera dei presuli come un documento “politico” attaccando duramente l’episcopato. Preoccupazione per l’evoluzione della situazione nello Zimbabwe era stata espressa lo scorso aprile anche dai vescovi degli Stati Uniti, che in una lettera avevano rivolto un appello alla comunità internazionale per un intervento mirato a porre fine alla crisi economica e politica del Paese africano. (L.Z. – T.C.)


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    24 Ore nel Mondo



    Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco

    ◊   Polemiche e orrore in Afghanistan, dove i combattimenti in corso tra taleban e soldati della coalizione internazionale hanno provocato 21 vittime civili ieri sera nella provincia di Helmand, nel sud del Paese. Il governatore locale punta il dito contro i bombardamenti della Nato, dopo che ieri erano giunte le scuse dei militari statunitensi per altre 19 vittime civili nella provincia di Nangarhar. Ma qual è la situazione sul terreno? Risponde, al microfono di Stefano Leszczynski, padre Giuseppe Moretti, superiore della "missio sui iuris" in Afghanistan:


    R. – Questa offensiva è in corso. Le forze della coalizione l’hanno preceduta con l’operazione Achille e si è spostata anche verso l’area di Herat, dove sembrava che la presenza dei talebani fosse meno consistente e quindi meno operativa. Queste offensive portano, ovviamente, gravissimi danni anche alle popolazioni civili con la corrispondente reazione da parte delle popolazioni contro le forze della coalizione e quindi in favore dei talebani.

     
    D. – Uno dei comandanti americani ha chiesto perdono alla popolazione per una strage di civili che era avvenuta nei mesi scorsi in seguito ad una reazione dei soldati americani. Questi sono, secondo lei, segnali che possono essere compresi in Afghanistan?

     
    R. – Io me lo auguro. Sulla sensibilità della popolazione afghana io sono certo. Quando poi queste azioni, legate purtroppo alla guerra, si ripetono, allora la validità delle scuse può essere messa in discussione.

     
    D. – Spesso quando si parla di ricostruzione per il futuro dell’Afghanistan viene anche da pensare alla necessità della riconciliazione?

     
    R. – Il padre spirituale di questa riconciliazione è l’attuale presidente del Senato e c’è stata anche una richiesta da parte del Parlamento di una amnistia generale pure per coloro che hanno violato i diritti umani. Su questa amnistia Karzai ha molto tergiversato. Non posso dire che questo sarà impossibile o che sia un’utopia. Certo ci vorrà del tempo. Quando le ferite - ancora molto aperte per quanto è avvenuto - si saranno rimarginate penso che questo possa essere possibile e certamente auspicabile.

    - Violenze anche in Iraq: cinque civili sono rimasti uccisi in seguito ad un raid americano e quattro iracheni sono stati assassinati da insorti a Kirkuk. E’ salito poi a 20 morti il bilancio dell’azione terroristica compiuta questa mattina ad Arbil, nel Kurdistan iracheno. L’attentato è stato compiuto da un kamikaze alla guida di un camion bomba. L’attacco è stato sferrato poco prima dell’arrivo a Baghdad, a sorpresa, del vice presidente americano, Dick Cheney, per incontrare il primo ministro iracheno, Nouri Al Maliki. Al centro dei colloqui, gli sforzi per la riconciliazione fra sciiti e sunniti.

    - Una imponente operazione della polizia britannica ha portato all’arresto di quattro persone nell’ambito delle indagini sugli attentati alla metropolitana e agli autobus di Londra del 7 luglio 2005 che hanno causato 52 morti. Secondo Scotland Yard, i quattro - due uomini e due donne - sono sospettati di aver commissionato, preparato o istigato atti di terrorismo. Il mese scorso erano state arrestate altre quattro persone.

    - Torna l’ombra del terrorismo islamico nelle Filippine. L’esplosione di un ordigno ieri in un mercato di Tacurong City, sull’isola meridionale di Mindanao, ha provocato almeno otto vittime. Per la polizia non ci sono dubbi: l’attentato porta la firma della Jamaah Islamiyah, braccio destro di Al Qaida nel sud delle Filippine.

    - A Timor Est si sono concluse senza incidenti le operazioni di voto per il secondo turno delle presidenziali. La sfida per succedere al presidente Xanana Gusmao riguarda l’attuale primo ministro e premio Nobel per la Pace, José Ramos-Horta, ed il presidente del Parlamento, Francisco Guterres. Il nuovo capo di Stato avrà il difficile compito di far uscire il Paese dalla spirale di violenze e tensioni politiche. Il nostro servizio:


    Le accuse di manipolazioni e brogli che hanno caratterizzato il primo turno dello scorso 9 aprile non hanno fortunatamente innescato nuove violenze: davanti ai seggi, presidiati da oltre 4 mila agenti delle Nazioni Unite e dalle forze di sicurezza locali, si sono formate lunghe file e il timore di possibili incidenti non ha scoraggiato gli elettori, oltre 520 mila, chiamati ad una scelta cruciale. Il futuro di Timor Est, ex colonia portoghese, si apre adesso a due possibili scenari: alla politica filo occidentale e aperta al libero mercato, sostenuta dal premier Ramos Horta, si contrappone il programma di orientamento comunista di Francisco Guterres, leader del partito FRETILIN che ha la maggioranza in Parlamento. Ma la vera priorità è quella della stabilità: il futuro del più piccolo e povero Paese dell’Asia non può essere scosso da nuove, laceranti divisioni. Per questo, la Chiesa Cattolica ha invocato un nuovo programma di pacificazione. Timor Est – si sottolinea in un documento della Commissione ‘Giustizia e Pace’ – ha bisogno di riconciliazione dopo i gravi disordini del 2006, costati la vita ad almeno 37 persone e avvenuti in seguito alle proteste di oltre 600 soldati che si erano lamentati per presunte discriminazioni di base etnica. Nel documento si auspica, poi, una nuova era nelle relazioni tra l’area orientale dell’isola di Timor e l’enclave occidentale, che fa parte dell’Indonesia. Nello Stato di Timor Est, occupato illegalmente nel 1975 dall’Indonesia, la popolazione supera i 900 mila abitanti e i cattolici sono più del 90 per cento.

    - In Francia, invece, si registrano ancora disordini pochi giorni dopo l’elezione del nuovo presidente Nicolas Sarkozy: per la terza notte consecutiva, sono avvenuti incidenti a Parigi. Il servizio di Franco Lucchetti:


    A Parigi alcune persone sono state arrestate e 150 manifestanti hanno cercato di bloccare l’accesso a piazza della Bastiglia. Tensione anche a Lione, dove una manifestazione di circa 400 persone è degenerata in scontri con la polizia. Nei pressi della città di Villeurbanne è stata inoltre incendiata la sede locale dell’UMP, il partito di Sarkozy. Sul versante politico, intanto, il neo capo di Stato, secondo anticipazioni di stampa, avrebbe già messo a punto la nuova compagine governativa: per il ruolo di primo ministro il favorito è Francois Fillon, ex ministro dell’Educazione e degli Affari sociali. Proprio Fillon ha anticipato che nel governo ci saranno rappresentanti del centro e di sinistra. Da segnalare, poi, che dovrebbero essere almeno 7 le donne a ricoprire l’incarico di ministro nel nuovo governo. Il passaggio di consegne tra l’ex presidente, Jacques Chirac, ed il nuovo capo di Stato, Nicolas Sarkozy, è previsto per il 16 maggio e l’esecutivo dovrebbe essere nominato tre giorni dopo. Il nuovo governo dovrà anche far fronte ad un trend economico in calo: il Ministero delle Finanze ha precisato, stamani, che il deficit di bilancio si è attestato a 24,7 miliardi di euro. Rispetto al 2006, la spesa è cresciuta del 9 per cento e le entrate sono diminuire quasi del 7 per cento.

    - Firmato il contratto per il trattamento in Francia del combustibile nucleare italiano. Lo rende noto un comunicato congiunto delle due società che hanno sottoscritto l’accordo, Sogin per l’Italia e Areva per la Francia. Le operazioni di trasferimento del combustibile richiederanno circa 5 anni. Dopo il trattamento nello stabilimento di Le Hague, i residui rientreranno in Italia nel 2025. L’accordo prevede trasporto, trattamento e condizionamento del combustibile delle ex centrali di Caorso, Trino e Garigliano.

    - Ancora rapimenti in Nigeria: quattro lavoratori americani sono stati sequestrati, stamani, da un gruppo di uomini armati mentre operavano nella piattaforma petrolifera di Chevron, nella regione del Delta del Niger. Lo hanno reso noto le autorità locali. Il nuovo blitz porta quindi a 13 il totale dei lavoratori stranieri rapiti nella regione petrolifera nella parte meridionale dello Stato africano. Ma non mancano notizie confortanti: sono stati liberati, ieri, 8 filippini e 3 sudcoreani rapiti lo scorso 3 maggio. Alla base dei rapimenti c’è la richiesta di una diversa distribuzione delle ricchezze derivanti dalle risorse petrolifere.


     
    Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 129

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