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SOMMARIO del 25/07/2007
Terz'ultimo giorno di permanenza di Benedetto XVI in Cadore. La gioia dei parroci per l'incontro di ieri con il Papa. Mons. Andrich: le sue parole, una fonte di sapienza pastorale
◊ Dopo l'importante incontro di ieri mattina con il clero delle diocesi bellunese e trevigiana, quella appena trascorsa è stata una mattinata di riposo per Benedetto XVI, all'interno della villetta di Lorenzago di Cadore che lo ospita dallo scorso 9 luglio. Ieri pomeriggio, il Santo Padre non ha però rinunciato alla consueta passeggiata e alla recita del Rosario nel verde della natura. Al microfono di Tiziana Campisi, l’inviato del quotidiano “Avvenire” Salvatore Mazza:
R. - Benedetto XVI, come d’abitudine, verso le 18 ha lasciato la villetta ed è tornato in uno dei luoghi dove era già stato nei giorni scorsi, nella Cappella di Sant’Antonio Abate, che si trova vicino a Lorenzago. Qui, ha recitato il Rosario. Si è fermato un attimo nel piccolo parco intorno alla cappellina per passeggiare. Non ci si aspettava che uscisse, perché ieri c’è stato un violentissimo temporale, tanto violento quanto breve. Si pensava quindi che non fosse la giornata adatta. Ma passato il temporale, è tornato un tempo assolutamente splendido e il Papa ha quindi deciso di uscire comunque. E’ rientrato, come sempre, tra le 19 e le 19.15, alla villetta, dove ha cenato e trascorso la serata.
D. - Il Papa anche stavolta ha fatto degli incontri? Si è fermato con qualcuno?
R. - No, anche perché non c’era nessuno in giro, proprio a causa del temporale verificatosi poco prima. E’ stata una cosa molto riservata. Ovviamente, in molti lo hanno visto passare. C’era gente che lo ha salutato e il Papa ha ricambiato i saluti dal finestrino, ma senza fermarsi e senza fare altri incontri.
D. - Nella mattina di ieri, Benedetto XVI ha incontrato il clero delle diocesi di Belluno-Feltre e di Treviso. Quali risonanze ha avuto questo incontro?
R. - Parlando con i sacerdoti, dopo l’incontro, posso dire che erano tutti molto contenti. Hanno sottolineato l’importanza di quanto detto dal Papa. Si è parlato anzitutto di pastorale e di problemi molto concreti, come il dialogo con gli immigrati, i giovani, l’educazione, il ministero del sacerdote.
L'incontro del Pontefice con il clero locale ha toccato diversi argomenti, sintetizzati dalle dieci domande poste a Benedetto XVI dai sacerdoti delle diocesi di Belluno-Feltre e di Treviso. All’incontro, che si è svolto ad Auronzo di Cadore, nella chiesa di Santa Giustina, hanno preso parte circa 400 tra parroci e sacerdoti. Luca Collodi ha raccolto il commento di mons. Giuseppe Andrich, vescovo di Belluno-Feltre:
R. - E’ stato veramente memorabile questo incontro per noi, per la semplicità e la profondità. Il Papa non è stato sbrigativo, non ha dato l’idea di una semplicità che fosse imprecisione, o risposte date per comodo, superficiali, ma una semplicità che andava all’essenziale e che denota in lui, mi pare di poter dire, quella capacità di vedere in simultanea moltissimi aspetti, individuando con grande precisione le priorità, per dare uno sguardo alla dimensione pastorale della nostra Chiesa e dei nostri preti, per renderli capaci di essere pastori e non "burocrati".
D. - Difatti, uno dei temi centrali ha riguardato la pastorale e qui il Papa è stato molto chiaro: il prete non è un "burocrate del sacro"...
R. - Certamente. Questo punto è stato particolarmente accolto da quei preti, con i quali poi ho parlato, come fondamentale, perché l’organizzazione attuale che noi vescovi dobbiamo dare per una distribuzione del clero che sia rispondente a quella diminuzione forte del numero dei preti, quel un nuovo tipo organizzativo che vede la vita comune del clero di più al servizio di tutti, comporta per molti versi una preoccupazione esagerata nei preti per tante cose organizzative. Ma credo che si debba veramente condividere la nostre responsabilità con i laici, perchè molto spesso si chiede alla Chiesa e anche al prete molte cose che sviano da quel servizio fondamentale al Vangelo e alla crescita dell’amore nel mondo.
D. - Il Papa ha affrontato il tema della pastorale giovanile: un tema che sta molto a cuore a Benedetto XVI...
R. - Certamente. In particolare, vorrei sottolineare l’intervento del Santo Padre che cercava di individuare il motivo di tanta sofferenza nell’animo giovanile, al di là della superficialità apparente del loro modo di comportarsi. Quella sofferenza che porta alla disperazione, che il Papa ha individuato come un non-senso alla vita, che deriva da una cultura che oggi non riesce più ad affrontare i problemi reali, soprattutto di chi ha grande aspirazione alla felicità. Come pure il problema dei suicidi o delle morti sulle strade per delle corse spericolate, alla ricerca di un’emozione che non può pagare in soddisfazione e felicità. Questi temi sono stati affrontati con molta partecipazione dal Santo Padre.
D. - Benedetto XVI ha parlato della presenza di una ragione creatrice che può dare nuovo stimolo anche per la vita, per l’esistenza, per il futuro ai giovani...
R. - Ha tracciato una prospettiva storica ed anche una prospettiva sul futuro, per questo mito di una scienza che in qualche maniera si contrappone alla fede. Questo problema di un mondo in cui Dio non c’è, che diventa un mondo dell’arbitrarietà e che, come tale, crea dei percioli per l'uomo.
Grande, come detto, l’entusiasmo dei sacerdoti che hanno incontrato il Papa. Particolarmente apprezzate le risposte di Benedetto XVI alle loro domande. Ascoltiamo,+ al microfono di Tiziana Campisi, don Sergio De Martin Modolado, parroco della chiesa dei Santi Ermagora e Fortunato di Lorenzago di Cadore:
R. - Il Papa ha sottolineato molto l’ascolto ieri, in quasi tutte le risposte: l’ascolto. Forse abbiamo troppe cose da dire e oggi nessuno ascolta più. E invece credo che questo atteggiamento tipicamente mariano, quello di ascoltare per capire bene l’altro - che può essere anche un laico, che può essere anche una persona di diversa opinione o religione - sia importante. Poi, sono venuti fuori problemi attinenti al Concilio Vaticano II. Qui, il Papa ha detto così: “Umiltà senza trionfalismo”. "Questo è molto bello, però", ha aggiunto, anche con decisione. E ancora, ha sottolineato alcuni aspetti positivi circa la partecipazione più attiva dei laici nella vita della Chiesa, dei Movimenti, la loro disponibilità.
D. - Che cosa ha sottolineato, in particolare, Benedetto XVI?
R. - Ci ha parlato della crescita nella Chiesa, e poi ha detto: “Noi dobbiamo sempre essere testimoni della speranza”, quindi ci ha esortato ad annunciare, qualche volta con le parole, ma soprattutto con la vita, la convinzione che Dio ci ama e ha sottolineato che talvolta è necessaria, per farlo, anche la "croce".
D. - Quali altre domande sono state poste al Papa?
R. - Un sacerdote ha chiesto che risposte possiamo dare noi sacerdoti in circostanze difficili, di fronte a quei matrimoni cristiani che in situazioni irreversibili sono causa di tanta sofferenza perchè molti non possono accostarsi al sacramento della Comunione. La risposta del Papa è stata: “La verità con amore, con carità”. Qui, c’è tutta una sensibilità pastorale che credo che non sia legata a nessuna laurea, ma venga dal cuore.
D. - Di questo colloquio con il Santo Padre, cosa le è rimasto particolarmente impresso?
R. - Le sue risposte, che hanno avuto sempre dei riferimenti a Dio. Come sempre, il Santo Padre riporta a Dio. La famiglia, ad esempio, come l’ha pensata Dio, come Dio l’ha posta sulla terra. Al di là, invece, oggi, c’è una cultura che si è allontanata da questo progetto di Dio, per cui ci si trova dinanzi ad una realtà che fa soffrire. L’uomo oggi soffre, è inquieto, si crea problemi. Allora, il Santo Padre ci ha detto di essere testimoni di speranza, anche con il sorriso, con l’incontro, con la benevolenza: fermarsi a vedere ciò che abbiamo di fronte in positivo. E parlando della figura del parroco, ha detto: “Non sia un 'burocrate de sacro', ma un pastore che accompagna, che vive insieme, che cresce, che annuncia”. La nostra tipica specialità è proprio questa: portare l’uomo a Dio, senza lasciarsi travolgere da quello che non spetta a noi. Qualche volta, questa è una grave tentazione che ci stressa, che ci butta giù, per cui, dopo, la preghiera non è più quella e il rapporto con Dio non è più profondo. Le parole del Papa ci hanno incoraggiato molto. Ecco, ciò che noto è che la gente si accosta al Santo Padre, lo cerca, vuole ascoltarlo come chi ha sete. Si corre come verso una fonte che ha parole semplici e profonde. E quando parla, Benedetto XVI dà risposte ai problemi che la gente poi si porta dentro.
Nomina
◊ In Canada, Benedetto XVI ha nominato vescovo di Hearst mons. Monsignor Vincent Cadieux, degli Oblati di Maria Immacolata, finora vescovo di Moosonee, il quale governerà le due circoscrizioni unite “in persona Episcopi”. Mons. Cadieux, 67 anni, è entrato nel 1960 nel noviziato della Congregazione degli OMI ed ha compiuto gli studi filosofici presso l’Università di Ottawa e quelli teologici presso la St. Paul’s University della stessa città. Dopo l'ordinazione sacerdotale, ha svolto attività pastorale e missionaria prevalentemente a vantaggio delle popolazioni aborigene delle diocesi di Amos, Rouyn-Noranda e Timmins. Eletto Vescovo di Moosonee nel 1991, ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 29 marzo 1992. Il 18 luglio 2006 è stato nominato pure Amministratore Apostolico di Hearst.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Servizio vaticano - L'incontro di Benedetto XVI con il clero ad Auronzo di Cadore
Servizio estero - Iraq: per Bush, Osama bin Laden è direttamente coinvolto nelle operazioni terroristiche che insanguinano il territorio
Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo "Il paradigma perduto della 'natura umana' ": riflessioni sull'antropologia contemporanea
Servizio italiano - In primo piano gli incendi nel Sud
I vescovi della Bulgaria soddisfatti per la liberazione delle infermiere bulgare condannate all’ergastolo in Libia. Intervista con il vicepresidente della Commissione UE, Frattini
◊ Viva soddisfazione da parte dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e della Conferenza episcopale bulgara per la positiva conclusione della vicenda delle infermiere bulgare detenute in Libia. Un’odissea giudiziaria durata otto anni e conclusasi ieri con la grazia concessa dal presidente bulgaro ai suoi cittadini appena rientrati in patria, ma condannati invece all’ergastolo dalla suprema corte libica. L’accusa - lo ricordiamo - era quella di avere intenzionalmente infettato con il virus dell’HIV centinaia di bambini libici. Nel pomeriggio, il medico e le infermiere graziati interverranno in conferenza stampa. La cronaca della collega della redazione bulgara della nostra emittente, Iva Mihailova.
Il presidente dei vescovi bulgari, mons. Hristo Proykov, ha ringraziato Dio per aver ascoltato le preghiere dei bulgari. Molte sono state le preghiere in questi lunghi anni, che avevano visto riunite tutte le confessioni religiose presenti nel Paese per chiedere a Dio un miracolo, la libertà per gli operatori sanitari. "Il male è stato vinto", ha osservato mons. Proykov. E parole di ringraziamento da parte del presule sono state rivolte anche all'Unione Europea, che ha preso così a cuore il problema delle infermiere bulgare. Grazie - ha detto il presidente dei vescovi bulgari - anche alla Francia e a queste donne meravigliose, la Sarkozy e la Ferrero-Waldner, che si sono prodigate in questa missione senza clamori. Stamattina, il primo ministro bulgaro, Sergey Stanishev, ha detto in conferenza stampa che il governo bulgaro non ha preso ancora una decisione sulle modalità di partecipazione al Fondo di Bengasi, creato per aiutare i bambini contagiati dall'HIV. Secondo il ministro, una possibilità potrebbe essere il debito di Libia verso la Bulgaria. Non si tratta né di riscatto, né di colpa ha precisato il premier bulgaro, ma di aiuto umanitario. Il ministro degli esteri bulgaro, Ivaylo Kalfin, invece ha commentato i diversi passi della riuscita missione diplomatica da parte del governo bulgaro, l'UE, la Gran Bretagna e la Francia. Il primo passo è stato la creazione del Fondo internazionale di Bengasi, ha detto Kalfin. Altra parte del processo di liberalizzazione erano le richieste di indennizzo e le visite in Libia del ministro degli Esteri tedesco, Franc Walter Steinmeier, e dell'eurocommissario, Benita Ferrero Waldner. E' stato nell'interesse di Gheddafi non isolarsi dalla comunità internazionale, ha concluso il ministro degli Esteri bulgaro.
Il riavvicinamento tra UE e Libia dopo la soluzione della vicenda delle infermiere bulgare viene considerato un indiscutibile successo diplomatico, anche se non mancano le polemiche relative alle compensazioni finanziarie versate in favore di Tripoli. Sentiamo l’intervista di Stefano Leszczynski a Franco Frattini, vicepresidente della Commissione Europea:
R. - Un risultato importante, lo sforzo diplomatico dell’Unione Europea, ma anche il contributo concreto per alleviare le sofferenze di bambini libici che sono purtroppo malati. Abbiamo fatto molto per ripristinare l’ospedale di Bengasi e anche per spiegare con la forza della persuasione che le infermiere bulgare non avevano nessuna responsabilità.
D. - Tuttavia, da un punto di vista giuridico, l’esito non è stato forse così di successo come da un punto di vista diplomatico. Comunque, la condanna all’ergastolo da parte libica su queste persone rimaneva?
R. - Rimaneva, ma conoscendo un po’ anche le modalità di funzionamento dell’amministrazione libica, io ritengo un successo aver persuaso in primo luogo i giudici nel convertire la condanna a morte in una condanna all’ergastolo e soprattutto a consentire che le persone imprigionate da molti anni potessero tornare in Bulgaria cioè in patria.
D. - Presidente, si è parlato di un contributo finanziario da parte dell’Unione Europea e della Francia per favorire il rilascio di queste persone, è vero?
R. - E’ un contributo che l’Unione Europea ha dato come accennavo e alcuni Paesi europei, in particolare la Francia, per alleviare le sofferenze di coloro che sono stati contagiati, soprattutto bambini, le loro famiglie. Non che questo fosse il prezzo per la liberazione dei prigionieri, delle prigioniere bulgare, ma è stato un gesto di solidarietà importante.
D. - Ci saranno degli sviluppi positivi da parte libica, anche istituzionali?
R. - Ci sono già degli sviluppi positivi, verranno annunciati i termini di un accordo di cooperazione organica tra Europa e Libia, in settori importanti che si estenderanno dall’assistenza sanitaria al recupero dei preziosi beni archeologici della storia che si trovano nello Stato africano, ad una cooperazione sul terreno dell’immigrazione per prevenire i flussi di immigrazione clandestina e per contrastare il traffico di essere umani e direi, ancor più importante, per salvare le vite umane in mare: cosa che si potrà fare, se avremo una collaborazione della Libia all’interno delle asue cque territoriali.
Concessi i funerali religosi a Giovanni Nuvoli, il malato di SLA morto l'altro ieri. L'opinione dell'arcivescovo, Elio Sgreccia
◊ Verranno celebrati questo pomeriggio nella chiesa di San Giuseppe ad Alghero, in Sardegna i funerali di Giovanni Nuvoli, 53 anni da sette ammalato di sclerosi multipla amiotrofica, attaccato ad un respiratore artificiale, lasciatosi morire rifiutando per giorni acqua e cibo. E prosegue dopo la sua morte nell’opinione pubblica il dibattito acceso che ha accompagnato gli ultimi mesi di vita di Nuvoli: qualcuno ha obiettato sulla decisione della Chiesa di permettere le esequie religiose che invece erano state negate nel dicembre scorso ad un altro ammalato di uguale forma di sclerosi, Piergiorgio Welby, deceduto dopo l’interruzione da lui richiesta della ventilazione meccanica. Su questo aspetto particolare della vicenda, Roberta Gisotti ha raccolto il parere dell’arcivescovo Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia della vita:
R. - Sì, la concessione dei funerali religiosi a chi si lascia morire o nel caso che abbiamo in considerazione o in altri casi simili o di suicidio, viene regolata dall’autorità pastorale del luogo in base ad alcuni criteri: quando c’è un’esplicita opposizione alla fede cattolica, un dichiarato rifiuto dei Sacramenti, è chiaro che non si può dare il funerale religioso anche per rispettare la volontà del paziente stesso, per non imporre una religiosità per forza, dall’esterno. Quando questo non risulta e ci sono situazioni drammatiche, la Chiesa solitamente interpreta in maniera benigna e concede il funerale religioso. Io penso che in questo caso sia stato applicato un criterio pastorale comprensivo, andando incontro ad una situazione che è stata di lunga sofferenza. Quindi, noi dobbiamo ritenere che non solo è pienamente legittimo ma accompagnarlo con la nostra preghiera, perché le sofferenze affrontate da questo nostro fratello siano state incontrate dalla misericordia e dalla ricchezza di grazia del nostro Signore Gesù Cristo, Redentore di tutta l’umanità.
Le due vicende riguardanti Giovanni Nuvoli e Piergiorgio Welby hanno fatto levare da più parti, in Italia, la richiesta di legiferare in materia di testamento biologico. Adriana Masotti ha chiesto l'opinione di Vincenzo Saraceni, presidente dell’Associazione medici cattolici:
R. - Io non sono abituato a discutere le sentenze della magistratura. Dico che questa sentenza mi lascia perplesso, perché crea un precedente. Ma per quanto riguarda i riflessi sulla classe medica è una sentenza che non mi trova d’accordo, perchè ho l’impressione che crei più vincoli alla classe medica, che invece deve mantenere la sua autonomia e l’assunzione delle responsabilità nei confronti della vita del paziente. Continuo a pensare che il nostro ordinamento costituzionale preveda proprio che il medico abbia questa funzione di garanzia della salute e che quindi sia suo dovere intervenire quando è possibile salvare una vita umana.
D. - Quindi, tra la professionalità del medico e la volontà del paziente lei dice conta più la prima?
R. - Non direi più o meno: direi che tra questa determinazione e la responsabilità del medico ci deve essere un incontro forte, ci deve essere un’alleanza e dentro questa alleanza bisogna prendere decisioni responsabili.
D. - Molti ritengono che a dare risposta ai tanti interrogativi posti dalla questione delle cure terminali possa essere il testamento biologico. Da parte cattolica ci sono delle perplessità...
R. - Sono anch’io perplesso. Se questa legge - ammesso che si debba fare, ma non credo che sia necessaria - si dovesse arrivare a promulgarla, bisognerà dire che il medico tenga conto della volontà del paziente, senza subirla. Credo che saranno sempre di più i casi difficili ed è bene lasciarli a questa alleanza fra medico e paziente, piuttosto che alla legge. Fermo restando che ci deve essere un limite, che è l’indisponibilità a disporre della vita propria e della vita altrui.
D. - C’è e ci sarà in questi giorni una certa informazione che punta all’emotività della gente e che sottolinea la sofferenza dei malati, cui non è concessa la morte. Sembra che sia non "umano" lasciar soffrire delle persone...
R. - Ma le persone non devono essere lasciate soffrire. Da parte nostra, da parte del mondo cattolico, c’è il fermo impegno ad alleviare il dolore sempre e comunque: con le cure palliative, la vicinanza con il malato, l’assistenza medica, infermieristica e dei familiari.
Maltempo nel nord Europa, incendi nel sud Italia. Nel Gargano, un rogo costringe all'evacuazione 4 mila turisti
◊ La città di Oxford in "ostaggio" delle esondazioni del Tamigi, che hanno provocato un centinaio di sfollati. La Germania e gli Stati Uniti vittime del maltempo. Più a sud, l'Italia devastata dagli incendi. In fiamme la Sicilia, già distrutti 600 ettari di area boschiva e terreni tra Enna e Piazza Armerina. Bruciata la zona collinare di Messina. Nel Gargano, in Puglia, la situazione si sta lentamente normalizzando dopo le due vittime di ieri nel rogo di Peschici. Oltre 4 mila i turisti evacuati dai campeggi e villaggi vacanze. Paolo Ondarza ha raggiunto il parroco della Chiesa di S. Antonio a Peschici, don Angelo Dinunzio:
R. - Sembrava un "fuocherello" di poco conto, ma purtroppo il vento fortissimo ha sostenuto le fiamme. La gente è stata costretta a buttarsi in mare ed è stata poi da lì tratta in salvo dai pescatori.
D. - Al momento, la zona è fortemente danneggiata?
R. - E’ un’apocalisse, praticamente.
D. - Due persone anziane hanno perso la vita nel rogo…
R. - Erano i parenti del parroco che mi ha preceduto qui in questa parrocchia.
D. - Gli interventi operativi per spengere l’incendio sono stati tardivi?
R. - Se ci fosse stato un intervento immediato e molto più consistente, si poteva bloccare e salvare parecchio. Certo, bisognerebbe pensare anche ad una forma di prevenzione. Occorre una maggiore manutenzione, una maggiore attenzione perché il verde è bellissimo ma bisogna anche saperlo proteggere.
D. - Alcune note organizzazioni ambientaliste denunciano che il rogo del Gargano è stato un disastro annunciato e dietro ci sarebbe la mano di chi poi avrebbe interessi a costruire alberghi, ville…
R. - Per quanto ne sappia io, non credo che si tratti di speculazione per poter costruire ancora perché ci sono zone dove potrebbero sorgere altri alberghi senza distruggere la natura. Tuttavia, se loro dicono che c’è questa situazione di ecomafia, evidentemente avranno anche gli elementi per poterlo dire. Noi vediamo soltanto il disastro che viene procurato.
D. - Qual è in queste ore l’appello che si eleva da parte vostra?
R. - Certamente c’è un senso di rabbia, di rabbia grandissima per il ritardo degli aiuti. Io credo che adesso, dopo un primo smarrimento, bisogna rimboccarsi le maniche e rimettere tutto quanto in ordine perché il turismo qua è la fonte primaria dell’economia di questa zona.
D. - La sua gente ha le risorse necessarie?
R. - Io dico che la volontà ce l’ha. Certamente, ci sarà bisogno anche delle istituzioni. Può darsi che domani o dopodomani tutti quanti diranno che daranno l’aiuto necessario ma può darsi che tra un mese o due avranno già dimenticato. Chiaramente come comunità, noi invochiamo dal Signore una benedizione particolare: che ci dia coraggio e ci sostenga in questo momento di prova particolare.
Centocinquantamila pellegrini alla Messa solenne nel Santuario di Compostela per la festa di San Giacomo
◊ E' festa oggi nel celebre Santuario spagnolo di Santiango de Compostela, in una giornata illuminata dal sole dopo il maltempo dei giorni precedenti e in una cornice di decine di migliaia di pellegrini. Verso le 10.30, il Patrono della Galizia e di tutta la Spagna è stato celebrato nel giorno della memoria liturgica con una solenne liturgia eucaristica. Il servizio di padre Ignacio Arregui:
Dopo la processione civico-religiosa che ha percorso alcune strade del centro storico, è iniziata la solenne eucaristia nella cattedrale presieduta dall’arcivescovo mons. Julian Barrio accompagnato dai vescovi della regione. Erano presenti anche le massime autorità locali e regionali. L’arcivescovo di santiago de Compostela, Julian Barrio Barrio, ha fatto un appello in favore del riconoscimento pubblico dei valori cristiani, che fanno parte importante dell’eredità storica e culturale di tutta la Spagna. E ha proposto gli ideali del martire San Giacomo come esempio per i credenti nei momenti di fragilità, di crisi, per riaffermare la fede e la fedeltà ai valori del Vangelo. La presidentessa del parlamento regionale, Dolores Vilarino è stata la personalità incaricata di pronunciare l’atto tradizionale di affidamento a San Giacomo del popolo della Galizia e della Spagna. Il suo intervento ha messo in risalto alcune tra le preoccupazioni e aspettative oggi in Galizia e in Spagna. Ha fatto accenno alla violenza armata, come motivo di massima preoccupazione degli spagnoli, per riferirsi poi agli ideali di una grande Europa, nello spirito del Cammino di Santiago. Infine, ha fatto un preciso elenco delle questioni sociali che oggi richiedono un’attenzione particolare per una Spagna più giusta, nella pace e nella convivenza. Compostela vive oggi una splendida giornata festiva, con la presenza di circa 150 mila pellegrini provenienti dalla Spagna e da un gran numero di altri Paesi soprattutto europei.
Migliaia di pellegrini da tutto il mondo sono giunti, dunque, nella città galiziana per prendere parte alle celebrazioni in onore di San Giacomo. Ascoltiamo la testimonianza di uno di loro, Luc Adrian, che ha tradotto la sua esperienza del "Cammino" di Santiago in un libro dal titolo “Compostela, appunti di strada di un pellegrino”. L’intervista è del collega della redazione francese della nostra emittente, Simon de la Tour:
Tout d’abord le merveille...
Anzitutto, la meraviglia. E’ un cammino in cui la meraviglia esplode davanti allo splendore della natura, una natura così diversa, così come davanti allo splendore dell’architettura, che è stata realizzata nel Medio Evo per accogliere i pellegrini. Un’esperienza, quella del Cammino, che mette in contatto con il proprio essere, con la totalità del proprio essere, con il proprio misticismo e il proprio spirito. E una esperienza di separazione che ogni giorno si manifesta attraverso le mille piccole difficoltà del Cammino (si ha sete, si ha male ai piedi). Sono mille piccole cose che ci ricordano che la vita è un’esperienza di separazione e che è proprio attraverso la separazione che noi siamo chiamati a crescere e a raggiungere, alla fine, il Signore. Quando si cammina in pellegrinaggio verso San Giacomo, si cammina in realtà verso una tomba, verso un luogo simbolico della morte. E’ il punto del mondo in cui il sole sembra essere nel mare. Ma Compostela significa non soltanto il "Campo delle stelle", dove è stato cioè trovato il cuore di San Giacomo, significa anche sentiero, un pellegrinaggio cioè verso un luogo che ci dona la promessa della vita eterna. Ma per farlo bisogna passare attraverso la morte. Questo cammino è simbolicamente una morte in se stessa per aprirsi poi alla vita in Cristo. E’ una dimensione, questa, ormai troppo poco vissuta: si vuole, sì, andare in pellegrinaggio a Santiago, ma per tornare si prende l’aereo o il battello. Sono molto pochi i pellegrini che tornano dal cammino a piedi. E questo è un peccato, un verso peccato, perché si tratta in realtà di un cammino in due fasi: andando, si cammina verso la morte, verso la propria morte, verso la tomba della resurrezione che è simbolizzata dalla tomba dell’Apostolo Giacomo, il Santo pastore. Tornando, però, si compie il cammino verso l’est e quindi verso Gerusalemme, verso il sole che sorge. Si è diventati uomini nuovi, si è pieni dalla fede in Cristo risorto, che ci dona una nuova luce e una nuova dimensione della nostra vita. Noi sappiamo che la vita eterna è in noi, attraverso Gesù Cristo.
Conclusa la visita in Angola del cardinale Ivan Dias: un'occasione per sottolineare la vicinanza della Chiesa agli angolani e per dimostrare gli ottimi rapporti fra Stato e Chiesa
◊ “Un segno della vicinanza della Chiesa al popolo dell’Angola”. Una fonte ecclesiastica locale definisce così all’agenzia Fides la visita del cardinale Ivan Dias, Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che si è recato nel Paese africano dall’11 al 23 luglio. Seguita con grande attenzione dalla stampa a dalla televisione locale, la visita – ha aggiunto la fonte di Fides - “ha costituito un momento sicuramente importante per la Chiesa locale che, attraverso il cardinale Dias, ha rinnovato la sua profonda vicinanza spirituale con il Santo Padre”. Ma è stata anche l’occasione per dimostrare i buoni rapporti fra Stato e Chiesa. Il cardinale ha infatti incontrato il presidente della repubblica, José Eduardo dos Santos, il primo ministro, Fernando da Piedade Dias dos Santos, altre importanti cariche istituzionali. Nel suo discorso d’apertura dell’ottava assemblea dell’IMBISA, l’associazione inter-regionale dei vescovi dell’Africa Australe, il 20 luglio a Luanda, il porporato ha sottolineato proprio l’importanza della collaborazione tra Stato e Chiesa per combattere la povertà: “La buona collaborazione tra Chiesa e Stato nel rispetto delle rispettive competenze e della fedeltà alla missione di ciascuno nel solo interesse dell’umanità, costituisce una leva imprescindibile per il bene integrale e la convivenza fraterna di tutti gli uomini”. Anche il Nunzio Apostolico mons. Angelo Becciu ha ricordato gli ottimi rapporti esistenti tra Stato e Chiesa e, lodando l’impegno dei governanti per il progresso del Paese, ha sottolineato la necessità di assicurare lo sviluppo per tutti gli angolani. Il 22 luglio il cardinale Dias ha poi partecipato presso la nunziatura di Luanda alla festa del Papa organizzata in questa insolita data proprio per la sua presenza. (E.B.)
Tutto è pronto nel Maitland, in Australia, per l’arrivo della Croce e dell’icona della GMG di Sidney 2008
◊ Migliaia di fedeli sono attesi da oggi fino a martedi prossimo, 31 luglio, nella diocesi australiana di Maitland-Newcastle per accogliere la Croce e l’icona mariana, i simboli della Giornata mondiale della gioventù (GMG), in programma per l’anno prossimo. I simboli stanno compiendo il pellegrinaggio in territorio australiano e arriveranno a Sidney per l’inizio della Gmg che si aprirà il 15 luglio 2008. Come riporta l’agenzia Sir, l’appuntamento è per oggi ad Aberdeen dove la Croce e l’icona saranno accolte da oltre 600 studenti delle scuole locali. Da qui i simboli, portati dai giovani, saranno condotti tra i contadini della zona che recentemente hanno visto i loro terreni devastati da violente inondazioni. In programma anche una processione e una più tradizionale cerimonia aborigena del fumo. Il 31 luglio i giovani di Maitland-Newcastle consegneranno la Croce e l’icona della Gmg ai coetanei della diocesi di Lismore. Secondo quanto riferito nel suo sito, la diocesi di Maitland spera di ospitare oltre 3 mila giovani tra americani, olandesi, inglesi e sudamericani. Per prepararsi al meglio sono in fase di svolgimento in questo mese di luglio catechesi, azioni di solidarietà e di volontariato. (E. B.)
La crisi irachena al centro delle preoccupazioni dei vescovi USA, che stanno promuovendo una serie di incontri con le autorità per porre fine alla guerra
◊ I vescovi degli Stati Uniti hanno chiesto un incontro con i membri repubblicani della camera dei deputati con l’obiettivo di discutere una “transizione responsabile” per porre fine alla guerra in Iraq. Come ricorda l’agenzia Zenit, la richiesta arriva dopo che, la scorsa settimana, la conferenza dei presuli statunitensi si è accordata per incontrare un gruppo di deputati democratici cattolici. Sullo sfondo, la continua richiesta al congresso e all’amministrazione Bush di uscire dallo stallo politico e di raggiungere una politica bipartisan per far cessare la guerra il prima possibile. La richiesta è stata sottolineata in una lettera del vescovo Thomas Wenski, presidente del comitato episcopale di Politica Internazionale, al deputato John Boehner, leader dell’opposizione alla Camera. “La situazione attuale in Iraq – si legge - è inaccettabile e insostenibile, come lo sono la politica e lo stallo politico tra i decision makers a Washington”. “La nostra conferenza”, ha spiegato il vescovo, “spera di lavorare con il congresso e l’amministrazione per forgiare politiche bipartisan sui modi per realizzare una transizione responsabile e arrivare alla fine della guerra”. (E. B.)
In un clima di forte emozione, padre Bossi è tornato tra la sua gente nella parrocchia di Payao, nelle Filippine. Ad attenderlo una folla di persone
◊ Padre Giancarlo Bossi, il missionario sequestrato il 10 giugno e rilasciato dopo 39 giorni di prigionia nella notte tra giovedì e venerdì scorso, è tornato oggi nella sua parrocchia del villaggio di Payao, nella provincia di Zamboanga, nelle Filippine, dove era stato rapito. Lo ha riferito all’agenzia Misna padre Giulio Mariani, confratello di padre Bossi, già superiore regionale del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) nelle Filippine. “Padre Giancarlo è arrivato a Payao dove ha trascorso parte della giornata visitando la gente della sua comunità. Per domani è prevista una ‘thanksgiving mass’, una messa di ringraziamento” ha detto padre Mariani che ha parlato di un clima di forte emozione con padre Bossi circondato e salutato da una folla di persone. Il missionario dovrebbe restare a Payao solo fino a domani: “Dapprima rientrerà a Zamboanga - ha aggiunto padre Mariani - in seguito a Manila dove il 6 agosto inizierà un raduno della comunità del PIME nelle Filippine a cui parteciperà anche il superiore generale, padre Gian Battista Zanchi”. La stampa filippina, dal ‘Mindanao Examiner’, al ‘Daily Inquirer’, riporta oggi in evidenza il ritorno di padre Bossi a Payao: “Perdono i miei rapitori e prego per loro” ha ribadito il missionario, dicendosi felice “di essere di nuovo tra la gente che amo”. Nel frattempo, riferisce l'Agenzia AsiaNews, leader religiosi e intellettuali di Zamboanga hanno pubblicato un documento nel quale fanno appello “alla pace e alla sobrietà”: i firmatari – mons. Romulo G. Valles, arcivescovo di Zamboanga, p. Angelo Calvo, p. Sebastiano D’Ambra, Arsenio L Gonzales Jr e p. Antonio Moreno SJ – pur esprimendo felicità per la liberazione di p. Bossi si dicono “preoccupati per il suo sequestro e l’uccisione dei marines impegnati nelle ricerche, alle cui famiglie manifestiamo il nostro cordoglio e vicinanza”. Vista la situazione di grave instabilità nell’area di Basilan, essi invitano la popolazione “a restare calma e a mantenere un comportamento sobrio al fine di non esacerbare la situazione”. “Il sogno – concludono i firmatari – è che la pace sia fondata attraverso un processo di reale sviluppo” economico e sociale. (E. B.)
In Spagna, fa discutere la materia di “Educazione per la cittadinanza” che mira alla formazione della coscienza morale degli alunni
◊ Nel prossimo anno scolastico, che inizierà a settembre, in tutti i centri scolastici spagnoli sarà insegnata la materia di “Educazione per la cittadinanza”. La materia è obbligatoria e, come stabilito dal ministero dell’Educazione, ha per oggetto la formazione della coscienza morale degli alunni, secondo quanto afferma l’Associazione “Professionisti per l’etica”. In Andalusia – riporta l’agenzia Fides - l’associazione ha preso visione di una bozza del contenuto della materia, mettendo in luce alcuni concetti che entrano a pieno titolo nella formazione morale degli alunni. Tra questi: diverse realtà familiari, superamento dei pregiudizi omofobici, rifiuto delle discriminazioni in funzione della preferenza sessuale, dimensione morale degli esseri umani, il pluralismo morale ed il rifiuto dell’intolleranza etica, processo di socializzazione del genere. Indipendentemente dai contenuti, l’associazione “Professionisti per l’etica” denuncia che la polemica sulla materia “si basa su quello che è, di per se stessa, moralizzante ed indottrinante. Per questo motivo numerosi genitori hanno presentato il formulario con l’obiezione di coscienza affinché i loro figli non assistano a questa materia”. Luis Carbonel, Presidente della CONCAPA (Confederazione cattolica nazionale dei padri di famiglia e dei padri degli alunni) ha affermato che “opporsi alla materia è un obbligo per ogni famiglia responsabile. È questione di libertà, di difesa del diritto fondamentale e superiore ad educare i nostri figli secondo i nostri principi”. Il CONAPA ha poi denunciato che “il governo utilizza la materia per usurpare il ruolo dei genitori ed educare le coscienze dei nostri figli come se fossero suoi”. Perciò “sempre più famiglie si oppongono all’arroganza di un Governo che pretende di colonizzare l’anima dei nostri figli, che si oppone al dialogo, che cerca soltanto di imporre il suo modello di cittadino, insensibile al valore della libertà e dignità che merita ogni persona”. Il CONAPA ha quindi chiesto al ministero di sospendere l’insegnamento e di aprire un dialogo con i rappresentanti dei genitori per concordare i contenuti della materia e stabilire il suo carattere volontario. Altrimenti – afferma - “sarà inevitabile un'altra grande manifestazione per esigere libertà di insegnamento”. Benigno Blanco, presidente del Foro spagnolo della famiglia, ha inviato una lettera al parlamento europeo nella quale spiega che “in Spagna esiste un conflitto tra il Governo e le famiglie; non tra il Governo e la Chiesa, perché quest’ultima si è limitata solamente ad appoggiare le iniziative civili avviate dai genitori per difendere la loro libertà”. Blanco ha infine affermato che le famiglie spagnole non si oppongono a questa materia, bensì ad alcuni contenuti che sono “incompatibili con l’esercizio nella libertà delle responsabilità formative che spettano ai genitori”. (E. B.)
Appello delle Nazioni Unite per i 500 mila sfollati somali. Servono 35 milioni di euro per garantire loro assistenza
◊ Trentacinque milioni di euro per garantire, fino a fine 2008, l’assistenza ai quasi 500 mila rifugiati e sfollati in fuga dal conflitto che ha insanguinato la Somalia nell’ultimo anno. E’ l’appello lanciato ieri alla comunità internazionale dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR). Di quella somma, 16 milioni serviranno per gli sfollati interni in Somalia, più di 9 milioni per i rifugiati in Etiopia, 5 per quelli arrivati in Kenia, 3,5 per quelli riparati nello Yemen e 1 milione per i rifugiati a Gibuti. L’assistenza agli sfollati comprenderà materiali per gli alloggi e altri beni non alimentari. Secondo fonti dell’ACNUR a Mogadiscio, almeno 10 mila persone hanno lasciato la città la settimana scorsa, aggiungendosi al flusso di persone fuoriuscite dalla capitale somala nei mesi scorsi. A Mogadiscio, peraltro, continuano i combattimenti e gi attentati. Proprio ieri tre civili, tra cui una donna incinta, sono marti nel corso di un attacco contro truppe governative avvenuto in un quartiere a sud della città. (E.B.)
Sono 12 mila gli sfollati in Darfur. Lo afferma la missione dell’ONU nella regione mentre proseguono gli sforzi della comunità internazionale per trovare una soluzione alla crisi
◊ Nuovi movimenti di popolazione a causa dell’insicurezza sono stati registrati dalla missione ONU in Sudan (UNMIS), secondo la quale sarebbero circa 12 mila i nuovi sfollati nel Darfur occidentale, uno dei tre Stati (con il Nord e il Sud Darfur) che compone l’omonima regione dell’ovest del Sudan, teatro dal 2003 di una grave crisi umanitaria causata dal conflitto che oppone gruppi ribelli all’esercito. Come riporta l’agenzia MISNA, la portavoce dell’UNMIS, Marie Okape, ha riferito che migliaia di persone stanno scappando per paura di attacchi in preparazione da parte dell’esercito sudanese. Nei giorni scorsi il presidente Omar Hassan al-Bashir, in visita nella regione, aveva invece detto che in Darfur “la popolazione sta conducendo una vita normale”. Nell’ambito delle iniziative diplomatiche internazionali per trovare una soluzione alla crisi – come il possibile dispiegamento di un contingente di pace ‘ibrido’ Unione Africana (UA)-ONU, in via di definizione – l’Unione Europea ha lanciato un appello ai gruppi ribelli non firmatari dell’accordo di Abuja, sottoscritto il 5 maggio 2006 in Nigeria tra una fazione maggioritaria dell’Esercito di liberazione del Sudan e il governo di Khartum. Bruxelles li esorta a “partecipare in maniera costruttiva” ai negoziati previsti ad Arusha (Tanzania) dal 3 al 5 agosto, organizzati da Unione Africana (UA) e ONU per trovare un’intesa con i ribelli in via di futuri colloqui con il governo sudanese, che potrebbero svolgersi già a settembre. Intanto Francia e Gran Bretagna hanno presentato una nuova bozza per arrivare ad una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il testo, che attenua la minaccia di “nuove misure” contro il Sudan nel caso in cui ostacolasse il processo di pace, dà il via libera al dispiegamento di 26 mila soldati nella regione. (E. B.)
Una parrocchia nell’est del Congo ha avviato un programma per il reinserimento sociale degli ex bambini soldato
◊ Nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, la parrocchia di Bunyuka ha avviato un programma per il reinserimento sociale e lavorativo degli ex bambini soldato. Come riporta l’agenzia Fides, secondo quanto dichiarato all’agenzia congolese DIA, dal parroco don Jérôme Saytabu, “i giovani sono stati rapiti nei campi e hanno subito umiliazioni gratuite. Ci siamo accorti della sofferenza di questi bambini e abbiamo deciso di aiutarli”. La parrocchia è già riuscita a reinserire nella comunità locale un centinaio di ex combattenti della milizia locale Mai Mai. Ora è il turno di una cinquantina di ragazzi congolesi arruolati a forza in un movimento di guerriglia ugandese, chiamato Nalu, che agisce lungo la frontiera tra Uganda e Repubblica Democratica del Congo. Nel corso di un’operazione dell’esercito congolese, condotta l’anno scorso, i ragazzi sono riusciti a sfuggire ai sequestratori e a ritornare nei loro villaggi, dove sono stati accolti nell’indifferenza totale. Grazie all’impegno della parrocchia questi ragazzi hanno frequentato un corso di alfabetizzazione, con l’obiettivo di avviarli a studi professionali. Un impegno non sempre facile per i volontari. Se infatti alcuni ragazzi sono entusiasti di riprendere gli studi, altri necessitano di essere seguiti fino a casa per convincerli, con l’aiuto dei genitori, a recuperare la ragione e a ritornare a scuola. (E. B.)
Il governo indiano dovrà pronunciarsi nei prossimi giorni sui diritti ai "dalit" cristiani e islamici. Diverse le richieste di non discriminazione rispetto agli indù
◊ In India bisogna riconoscere i diritti agli “intoccabili” non indù. E’ quanto chiesto da Joseph Souza, presidente dell’All India Christian Council, al governo di Nuova Delhi che, dopo una sollecitazione dell’Alta Corte di Giustizia, dovrà pronunciarsi nei prossimi giorni a riguardo. La legge attuale – riporta l’agenzia Asia News - esclude i Dalit cristiani o islamici dai privilegi riconosciuti alle Scheduled Castes. La vecchia legge del 1950 riconosceva vari diritti solo ai Dalit indù, ma questa esclusione appare iniqua e non rispettosa né delle finalità della legge di compensare i Dalit per la loro posizione sociale deteriore, né della laicità dello Stato indiano che rifiuta di favorire alcuna religione. La Commissione nazionale per le minoranze religiose e linguistiche NCTLM, che per conto delle autorità ha studiato la questione, ha concluso raccomandando la cancellazione del paragrafo della legge in questione. L’AICC, che raccoglie migliaia di gruppi, ha chiesto alla Commissione nazionale per le Scheduled Castes CNSC, incaricata dal governo di dirimere la questione, di confermare l’opinione della Commissione Mishra, che ha compiuto uno studio accurato e completo. (E. B.)
Nelle Filippine, la diocesi di Bohol lancia l’allarme ecologico in seguito alle trivellazioni per il rilevamento sismico che potrebbero celare la ricerca di petrolio nella zona
◊ Nelle Filippine, le diocesi di Bohol si è opposta con vigore alla decisione di sondare i terreni di 4 cittadine della provincia, alla probabile ricerca di nuovi giacimenti petroliferi. Come riporta l’agenzia AsiaNews, in un documento ufficiale mons. Leonardo Medroso – arcivescovo di Bohol – esprime tutta la “costernazione” del clero locale in seguito ad una serie di rilevamenti sismici condotti nelle acque a largo di Panglao, Dauis, Maribojoc e Loon, a sud di Manila e che nasconderebbero la ricerca di nuovi pozzi petroliferi. “Il mare dello stretto di Bohol – afferma nella nota l’arcivescovo – continuerà a essere un’oasi di vita per le generazioni presenti e quelle future, o si trasformerà in un insieme di acque fangose prive di vita, orribile promemoria della nostra indifferenza e irresponsabilità?”. Il presule ha inoltre sottolineato che né il governo né l’azienda incaricata di effettuare le ispezioni hanno consultato i cittadini. Intanto la compagnia straniera NorAsian Energy Ltd (NAEL), ha cominciato una serie di trivellazioni con il beneplacito del sia del Dipartimento per l’energia (DOE), sia di quello dell’Ambiente e delle Risorse naturali (DENR). “A questo proposito – aggiunge mons. Medroso – vogliamo che i due dicasteri di energia e ambiente facciano chiarezza sulle rilevazioni che vengono effettuate e soprattutto sui rapporti contrattuali che vincolano la società e gli eventuali benefit per la popolazione, che deve essere coinvolta nella vicenda”. Mons. Medroso denuncia inoltre che gli scavi sono effettuati in una zona considerata “area marina protetta” dal governo e che è stata riclassificata secondo un “certificato di non-copertura” dal ministero dell’Ambiente. Una mossa che consente di aggirare la legge che obbliga “al mantenimento dell’ecosistema nazionale”. (E. B.)
Etiopi e copti: due Chiese ortodosse che hanno trovato l’unità, sancita da un accordo firmato nei giorni scorsi al Cairo
◊ La riconciliazione tra la Chiesa ortodossa copta e la Chiesa ortodossa etiope Tewahedo, per anni “non in comunione”, è stata celebrata nei giorni scorsi dal Consiglio mondiale delle Chiese (WCC) con la firma di un accordo al Cairo in Egitto. Come riferisce l’agenzia cattolica CISA, ripresa dall’agenzia Misna, le due Chiese hanno “dichiarato solennemente la loro unità di fede, l’impegno alla testimonianza comune e la disponibilità a approfondire ed estendere la collaborazione”, lasciandosi dietro oltre due decenni di tensioni. Con una lettera inviata ai capi delle rispettive comunità, il segretario generale del WCC, Samuel Kobia, ha ricordato che l’evoluzione delle Chiese orientali ortodosse è profondamente radicata nella popolazione africana sin dall’inizio della storia cristiana. Kobia ha poi affermato che la ripresa del dialogo tra le due entità religiose “è una conferma che è possibile un’autentica riconciliazione tra le Chiese”. Entrambe appartengono alla famiglia delle Chiese orientali ortodosse, diffuse, tra l’altro, in Siria, India ed Eritrea. (E.B.)
Si terrà a Saint Maurice, in Svizzera, l’incontro dei giovani delegati della Conferenza delle Chiese europee all’assemblea di Sibiu
◊ I giovani delegati della Conferenza delle Chiese europee (KEK) alla terza assemblea ecumenica europea di Sibiu s’incontreranno a Saint Maurice, in Svizzera, sulla via Francigena, dal 27 al 30 luglio. Come riporta l’agenzia Sir, i 35 partecipanti, con età dai 18 ai 30 anni, provengono da tutta Europa in rappresentanza delle Chiese ortodosse (Romania, Russia, Armenia) protestanti e anglicane. Durante l’incontro, verranno presentati i temi dell’Assemblea ecumenica: “La Luce di Cristo e la Chiesa” (Unità, spiritualità e testimonianza); “La Luce di Cristo e l’Europa” (Europa, religioni e migrazione); “La Luce di Cristo e il mondo” (Creazione, giustizia e pace). “L’incontro – spiega Smaranda Dochia, coordinatrice dell’evento – intende prima di tutto aiutare i giovani a conoscersi tra di loro, in modo che a Sibiu non si sentano persi. Sarà anche occasione per fare una prima esperienza ecumenica”. L’introduzione ai temi dell’assemblea – spiega ancora - vuole aiutare i giovani ad andare a Sibiu preparati, in modo che possano avere il coraggio di prendere la parola e far sentire la propria voce”. A Saint Maurice verrà inoltre presentato il documento conclusivo del secondo incontro ecumenico nazionale dei giovani per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, tenutosi a Milano lo scorso aprile. (E. B.)
Si è aperta oggi a Fatima l'Assemblea generale della Confederazione internazionale dei movimenti delle famiglie cristiane
◊ Si è aperta oggi a Fatima, e proseguirà fino al 29 luglio, presso il Centro pastorale Paolo VI, la 10ª Assemblea mondiale/14ª Assemblea generale della Confederazione internazionale dei movimenti delle famiglie cristiane (Cimfc), fondata in Venezuela nel 1966 con l’intento di aiutare la famiglia a vivere la propria vocazione umana e cristiana e a testimoniarne i valori essenziali, secondo gli insegnamenti del Vangelo e della dottrina della chiesa. All’incontro, riferisce l'Agenzia Sir, che si svilupperà attorno al tema “L’eredità di Fatima a favore della famiglia - spiritualità e sacrificio”, partecipano sacerdoti, vescovi, famiglie e operatori familiari provenienti da Angola, Argentina, Brasile, Colombia, Slovacchia, Spagna, Filippine, Guatemala, Olanda, Honduras, Ungheria, India, Italia, Giappone, Malta, Messico, Panama, Perù, Sao Tomè, Sri Lanka, Tailandia, Usa e Venezuela. La Cimfc ha infatti numerose affiliazioni nei cinque continenti, e un totale di 92 mila famiglie iscritte, di cui 3900 europee e 80 mila circa appartenenti all’America Latina. La famiglia attualmente incaricata della presidenza è costituita da Elma e Nop Muangkroot di Bangkok. (R.P.)
Medio Oriente: Olmert propone ad Abu Mazen un accordo di principio, mentre in Libano riprendono i bombardamenti dell’esercito contro i miliziani di Fatah al Islam - Liberato, in Afghanistan, il giornalista tedesco rapito insieme al suo interprete. Intanto, si teme per la sorte dei 23 sudcoreani ancora nelle mani dei Talebani
◊ All’indomani della missione in Medio oriente del rappresentante del Quartetto, Tony Blair, il premier israeliano, Olmert, lancia la proposta di un accordo di principio al presidente palestinese, Abu Mazen. Intanto, in Libano, si riaccende la battaglia intorno al campo profughi palestinese di Nahar al Bared, dove da oltre due mesi sono asserragliati i miliziani del movimento estremista, Fatah al Islam. Il servizio è di Stefano Leszczynski:
Un "accordo di principio" sulle caratteristiche del futuro Stato palestinese e sui suoi legami con Israele potrebbe essere discusso fin d'ora con il presidente palestinese, Abu Mazen, secondo il premier israeliano. A riferirlo, è il quotidiano israeliano, Haaretz, secondo cui il progetto di Olmert seguirebbe un approccio graduale affrontando via via le questioni più semplici, mentre la controversia su Gerusalemme e la sorte dei profughi palestinesi dovrebbero attendere la fase finale. Intanto, un nuovo impulso alla normalizzazione giunge anche dal nuovo capo dello Stato, Shimon Peres, che ha ricevuto nella sua residenza di Gerusalemme i ministri degli Esteri di Egitto e della Giordania. Resta invece esplosiva la situazione in Libano, dove da questa mattina sono ripresi violenti i bombardamenti dell’esercito sul campo profughi palestinesi di Nahar el Bared. In oltre due mesi di combattimenti, il conflitto con i miliziani del movimento qaedista Fatah al Islam ha provocato più di 200 morti e la fuga di 31 mila persone.
- In Afghanistan, è stato liberato il giornalista tedesco rapito nella notte insieme al suo interprete afghano nella provincia di Kunar, mentre stava cercando di raggiungere un remoto villaggio bombardato da aerei della NATO. Lo hanno reso noto poco fa le autorità provinciali. Resta invece ignota la sorte dell'altro cittadino tedesco rapito mercoledì scorso nel Sud del Paese insieme a un connazionale, trovato poi morto. Ed è scaduto l’ultimatum per i 23 sudcoreani sequestrati cinque giorni fa a Ghazi. I ribelli sono tornati a minacciare la loro esecuzione, se non verranno rilasciati otto loro compagni attualmente in prigione. Intanto, un ufficiale dell'esercito francese è morto per l’esplosione di un razzo in un attacco della guerriglia nella provincia sud-orientale di Wardak.
- E' di almeno 15 morti e oltre 40 feriti il bilancio dell’attacco sferrato nelle ultime ore da miliziani integralisti contro la cittadina di Bannu, nella parte nord-occidentale del Pakistan. Subito sono intervenute le forze regolari di Islamabad. La zona delle violenze costituisce un passaggio obbligato per accedere al remoto Waziristan del Nord, una delle aree tribali semi-autonome lungo la frontiera con l'Afghanistan, dove si nascondo postazioni di Al Qaeda. Gli scontri giungono a poche settimane dalla crisi di inizio luglio alla Moschea Rossa di Islamabad, conclusasi con un attacco dell’esercito contro gli estremisti islamici asserragliati nell’edificio e oltre 100 vittime. Ma in Pakistan si sta assistendo davvero ad una escalation di violenza? Risponde Francesca Marino, direttrice del sito internet "Stringer Asia", intervistata da Giada Aquilino:
R. - Sì, certamente, se si calcola che dall’inizio del mese in Pakistan ci sono stati circa 350 morti in episodi legati alle violenze, senza contare ovviamente quelli provocati dall’attacco alla Moschea Rossa di Islamabad.
D. - La zona interessata dalle violenze è quella attigua al Waziristan del Nord. E’ una delle aree tribali semi-autonome, al confine con l’Afghanistan. Qui si annida la guerriglia di Al Qaeda. Che poteri ha il governo centrale di Islamabad?
R. - Pochi, perché tradizionalmente il governo centrale non ha potere sulle province autonome. Oltre tutto l’anno scorso, in settembre, il presidente Musharraf aveva firmato un accordo - molto contestato - con i capi tribali, secondo il quale il governo si impegnava a ritirare le truppe dalla provincia in cambio della collaborazione degli stessi leader locali, che promettevano, anche se in modo piuttosto vago, di espellere dalla zona tutti i militanti stranieri.
D. - Quanto influisce in questo quadro l’alleanza tra il presidente Musharraf e gli Stati Uniti?
R. - A livello psicologico influisce moltissimo, nel senso che poi questa è la bandiera sventolata dagli integralisti per definire Musharraf "traditore". Tutta questa situazione di tensione, però, potrebbe giovare moltissimo proprio al presidente, che tra qualche mese dovrebbe rimettere il suo mandato e affrontare le elezioni.
- Dopo aver inaugurato ieri una seconda tornata di colloqui con gli Stati Uniti sulla sicurezza in Iraq, l’Iran ha annunciato di essere disponibile a nuovi colloqui a livello di viceministri degli Esteri. Lo ha reso noto il capo della diplomazia di Teheran, Mottaki. “Se l'America farà una richiesta ufficiale in tal senso - ha aggiunto - è possibile esaminarla”.
- Non sarà completata prima dell'autunno 2008, quindi con un anno di ritardo, la centrale atomica di Bushehr, in Iran, la prima di cui si doterà la Repubblica islamica nell'ambito del proprio controverso programma nucleare: lo ha annunciato Ivan Istominm, direttore generale della compagnia costruttrice, la russa EnergoProgress. Sulla realizzazione della struttura nucleare, tra le autorità di Mosca e Teheran si sono spesso verificate frizioni, soprattutto per il presunto mancato rispetto delle scadenze dei pagamenti da parte iraniana.
- Il governo indiano ha approvato un accordo bilaterale per aprire alla cooperazione con gli Stati Uniti sull’uso civile del nucleare. L’accordo, sul quale le due parti si erano espresse favorevolmente in linea di principio già due anni fa, permetterà all’India di accedere, per la prima volta in 30 anni, a risorse e apparecchiature nucleari degli Stati Uniti per far fronte alle sue necessità energetiche.
- La neopresidente dell’India, Pratibha Patil, 72 anni, eletta sabato scorso, si è formalmente insediata nell’incarico di capo dello Stato durante una cerimonia nel parlamento di New Delhi. Si tratta della prima donna a ricoprire questo ruolo. Nel suo discorso, la Patil ha elogiato la figura di Gandhi come “padre della nazione”.
- Al via oggi, a Vienna, una nuova riunione del cosiddetto “Gruppo di contatto sul Kosovo”, composto da Gran Bretagna, Francia, Italia, Germania, Stati Uniti e Russia. L’incontro giunge quando all’ONU le discussioni su una possibile indipendenza della provincia serba a maggioranza albanese si sono bloccate, a causa della resistenza di Mosca, e proprio mentre il parlamento di Belgrado ha ribadito la propria opposizione a un Kosovo totalmente staccato dalla Serbia. Ma qual è la posizione dell’Unione Europea rispetto alla questione? Klaudia Bumci, collega della redazione albanese della nostra emittente, lo ha chiesto a Pier Virgilio Dastoli, direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea:
C’è un consenso abbastanza ampio fra i Paesi membri dell’Unione Europea nel tener conto, della questione del Kosovo, anche della sensibilità o della suscettibilità russa, cosa che invece è meno considerata da parte degli Stati Uniti, che vorrebbero andare in direzione di un Kosovo indipendente. Comunque - come è stato nel caso della Slovenia, o nei negoziati che abbiamo iniziato con la Croazia, e poi quelli che inizieranno con la Macedonia e successivamente anche con la Bosnia - l’Unione Europea resta comunque per il Kosovo un interlocutore se non essenziale, un interlocutore importante e quindi qualunque passo che il Kosovo debba fare, deve tenere conto anche della necessità per il Kosovo di mantenere un buon rapporto con l’Unione Europea perché poi, nel momento in cui si passerà al concreto - per esempio, ad investimenti ulteriori per la stabilità economica della zona, così come noi facciamo anche con la Serbia - l’aiuto dell’Unione Europea diventa determinante e quindi ciascuno evidentemente deve tener conto degli interessi degli altri ma anche il Kosovo, secondo me, deve tener conto della posizione dell’Unione Europea.
- In Spagna, presunti membri del movimento separatista basco, ETA, hanno annunciato con una telefonata alle autorità locali di aver piazzato bombe lungo il tratto spagnolo del Tour de France in corso oggi. Lo ha reso noto nella tarda mattinata Radio Cadena Ser, secondo cui si sarebbe già verificata una piccola esplosione. E sempre la polizia spagnola ha arrestato due cittadini siriani sospettati di attività legate al terrorismo islamico: lo riferisce in un comunicato il ministero degli Interni di Madrid. I due uomini sono sospettati di “collaborazione con una organizzazione terroristica, falsificazione di contratti e riciclaggio di danaro”.
- Clima impazzito in Europa. Temperature di fuoco in Bulgaria, dove 30 persone sono morte, ma anche in Macedonia e Serbia. In Gran Bretagna, invece, centinaia di case sono state evacuate in particolare ad Oxford, in seguito alla rottura degli argini del Tamigi.
- Ennesima tragedia del mare in Italia. Sarebbero almeno nove gli immigrati morti a bordo di due imbarcazioni in navigazione verso il canale di Sicilia. A lanciare l’allarme gli stessi migranti. (Panoramica internazionale a cura di Roberta Moretti)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI No. 206
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