RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 27 - Testo della trasmissione di sabato 27 gennaio 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Domani 54a Giornata mondiale dei malati di lebbra: con
noi il dott. Sunil Deepak
Assenso
all’elezione dell’arcivescovo di Saïda (Libano) dei greco-melkiti
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il
Rapporto FAO 2006, presentato nei giorni scorsi, invita a considerare modalità
diverse di aiuto
a
seconda della diversa realtà dei Paesi in difficoltà: intervista con il dott. Luca
Russo
CHIESA E SOCIETA’:
In
corso a Roma alla Lateranense il Seminario sul
dialogo fra teologia e scienze naturali
Nuovi scontri tra Hamas e al Fatah
a Gaza. Congelato il dialogo per un governo di unità nazionale
27 gennaio 2007
IL
RELATIVISMO ETICO COLPEVOLE DELL’ATTUALE CRISI SUL SENSO DEL MATRIMONIO, CHE
CONTAGIA ANCHE MOLTI FEDELI. BENEDETTO XVI ESORTA I GIUDICI
DELLA ROTA ROMANA A DIFENDERE LA SUPERIORE “VERITA” DEL VINCOLO CONIUGALE CRISTIANO,
EVITANDO DISTORSIONI E COMPIACENZE NEL RICONOSCIMENTO
DELLA
NULLITA’ MATRIMONIALE
Il matrimonio, così come pensato da Dio, possiede una sua
verità più alta e più forte del pensiero umano. E tale verità va compresa e
difesa specialmente in un’epoca come la nostra in cui il relativismo etico e il
positivismo giuridico, unito a una concezione “libertaria dell’esperienza
sessuale”, tendono a considerare il vincolo coniugale una mera sovrastruttura
senza più il carattere dell’indissolubilità. Sono alcuni dei concetti espressi
stamattina da Benedetto XVI nell’udienza concessa ai membri della Rota Romana,
per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Il servizio di Alessandro De
Carolis.
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Il senso del matrimonio è in “crisi”, perché il
relativismo etico oggi diffuso anche tra molti credenti porta a snaturare la
“verità” che è insita nell’unione coniugale: unione che rivela il “potente
legame stabilito da Dio” nel rapporto uomo-donna e che dunque non può essere né
soggetta al solo libero arbitrio delle persone né alla volubilità dei
sentimenti umani, né tanto meno può essere “manipolata” a piacimento dalla
giurisprudenza, nei casi di nullità matrimoniale, pensando con ciò di agire per
il bene delle persone.
Con un discorso ampio e articolato, Benedetto XVI ha
riflettuto sul ruolo cui è chiamato il tribunale della Rota Romana,
nell’udienza concessa questa mattina agli officiali,
ai prelati uditori e ai collaboratori rotali, guidati dal loro decano, mons. Antoni Stankiewicz. Prendendo
spunto dalle cause di nullità matrimoniale che, come ha ricordato nel suo
indirizzo di saluto al Papa il decano, “sono le più ricorrenti nella Rota”,
Benedetto XVI ha stigmatizzato un rischio di tipo giuridico figlio della
diffusa mentalità secolarizzata. il rischio è che, in
una causa di nullità matrimoniale, la “verità processuale” perda di vista la
“verità del matrimonio”:
“L’espressione “verità del matrimonio” perde però rilevanza
esistenziale in un contesto culturale segnato dal relativismo e dal positivismo
giuridico, che considerano il matrimonio come una mera formalizzazione sociale
dei legami affettivi. Di conseguenza, esso non solo diventa contingente come lo
possono essere i sentimenti umani, ma si presenta come una sovrastruttura
legale che la volontà umana potrebbe manipolare a piacimento, privandola
perfino della sua indole eterosessuale”.
Questa crisi di senso del matrimonio, ha proseguito il
Pontefice, “si fa sentire anche nel modo di pensare di non pochi fedeli” e gli
“effetti pratici” si avvertono
“in modo particolarmente intenso nell’ambito del matrimonio e della famiglia”.
E qui Benedetto XVI non ha nascosto che una certa idea che non considera più
indissolubile il vincolo matrimoniale si è “diffusa anche in certi ambienti ecclesiali”,
in nome di un malriposto senso di solidarietà verso i
cosiddetti “cristiani normali”. In nome di questa idea, si vorrebbe una
“regolarizzazione canonica” anche per le persone in “situazione matrimoniale
irregolare” e questo, ha contestato il Papa, “indipendentemente dalla validità
o nullità del loro matrimonio, indipendentemente cioè dalla ‘verità’ circa la
loro condizione personale:
“La via della
dichiarazione di nullità matrimoniale viene di fatto
considerata uno strumento giuridico per raggiungere tale obiettivo, secondo una
logica in cui il diritto diventa la formalizzazione delle pretese soggettive”.
Invece, ha ripetuto Benedetto XVI, nel solco del magistero
dei suoi predecessori, il matrimonio possiede “una sua verità, alla cui
scoperta e al cui approfondimento concorrono armonicamente ragione e fede”.
“Ogni matrimonio è certamente frutto del libero consenso dell’uomo e della
donna”, ha affermato il Papa, ma la loro libertà traduce la capacità che hanno
di unire per sempre quelle dimensioni naturali di mascolinità e femminilità
create da Dio nel suo disegno della creazione e della redenzione.
“Di fronte alla relativizzazione
soggettivistica e libertaria dell’esperienza sessuale, la tradizione della
Chiesa afferma con chiarezza l’indole naturalmente giuridica del matrimonio,
cioè la sua appartenenza per natura all’ambito della giustizia nelle relazioni
interpersonali (...) Amore e diritto possono così unirsi fino al punto da far sì che
marito e moglie si debbano a vicenda
l’amore che spontaneamente si vogliono:
l’amore è in essi il frutto del loro libero volere il
bene dell’altro e dei figli; il che, del resto, è anche esigenza dell’amore
verso il proprio vero bene”.
Benedetto XVI ha terminato il suo
intervento riaffermando l’importanza del contributo dei tribunali ecclesiastici
al “superamento della crisi sul senso del matrimonio. “Rimanendo fedeli al
vostro compito - ha concluso - fate sì che la vostra azione s’inserisca
armonicamente in una globale riscoperta della bellezza di quella ‘verità sul matrimonio’ – la verità del ‘principio’
– che Gesù ci ha pienamente insegnato e che lo Spirito Santo ci ricorda
continuamente nell’oggi della Chiesa”.
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DOMANI 54A GIORNATA
MONDIALE DEI MALATI DI LEBBRA
-
Intervista con il dottor Sunil Deepak
-
Domani, si celebra la 54a
giornata mondiale dei malati di lebbra. In un documento pubblicato ieri, il Pontificio Consiglio per
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R. -
D. - Qual è la situazione della
lebbra nel mondo oggi?
R. - Gli ultimi dati
disponibili dall'Organizzazione Mondiale della Salute parlano di circa 220 mila
persone con l'infezione della lebbra, bisognosi di cure specifiche. Nel 2005,
sono stati scoperti circa 300 mila nuovi casi di lebbra in tutto il mondo.
Oltre a questi, vi sono circa 14 milioni di persone cosiddette
"guarite", molte delle quali hanno disabilità fisiche e sociali dovute
alla lebbra.
D. - Qual è il significato di
questi dati, la situazione sta migliorando?
R. - A livello globale possiamo
dire che vi è stato un netto miglioramento, soprattutto negli ultimi 2 anni.
Comunque, bisogna vedere la situazione a livello dei singoli Paesi per capire
la realtà, perché in alcune zone non si vede ancora questo miglioramento.
Ormai, da circa venti anni abbiamo i farmaci efficaci contro la lebbra e a
partire dal 2000, questi farmaci sono forniti ai governi gratuitamente tramite
l'Organizzazione Mondiale della Salute. Quindi, i farmaci ci sono e sono
accessibili. Il problema riguarda invece la possibilità di recarsi presso un
ambulatorio, trovare qualcuno in grado di diagnosticare la malattia e
distribuire le medicine. In molti Paesi, soprattutto in Africa subsahariana, molte zone sono senza strutture sanitarie e
senza personale formato. Negli ultimi anni, la situazione è peggiorata per il
dilagare dell'epidemia di AIDS. Questo influisce molto sull'accesso ai servizi
sanitari, anche per la cura della lebbra. Se guardiamo la situazione della
lebbra in diverse zone del mondo, la situazione varia. In Estremo Oriente, in
diversi Paesi come l'Indonesia e le Filippine, il numero di nuovi casi di lebbra
resta alto. Nel Sud dell'Asia, il miglioramento più importante è stato in
India, ma l'India resta comunque il Paese con più alto numero di nuovi casi di lebbra nel mondo. Anche altri Paesi in
questa parte del mondo, soprattutto Nepal e Bangladesh, continuano ad avere un
alto numero di nuovi casi. In Africa, la situazione è stagnante da anni con
alto numero di nuovi casi in Repubblica Democratica del Congo,
Mozambico, Tanzania, Nigeria, Madagascar, Etiopia, ecc. In America Latina, il
Brasile resta il Paese con più malati ma un certo numero di malati sono presenti
in molti altri Paesi del continente americano. Per esempio, vi sono stati 166
nuovi casi di lebbra negli Stati Uniti nel 2005.
D. - Qualche tempo fa vi erano
notizie sul rischio di lebbra tra i malati sieropositivi, esiste questo
rischio?
R. - In teoria il rischio di
lebbra tra le persone sieropositive esiste perché nelle persone sieropositive
il sistema immunitario è compromesso e questo favorisce le diverse infezioni,
compresa quella del bacillo della lebbra. Ma in pratica, finora il numero di
nuovi casi di lebbra tra le persone sieropositive è stato abbastanza limitato,
forse perché la lebbra è una malattia soprattutto dei Paesi poveri e delle
fasce più povere e richiede anni di incubazione per svilupparsi e manifestarsi
clinicamente, mentre queste persone, se sono sieropositive, non hanno accesso
ai farmaci anti retrovirali
per contenere il virus dell'HIV e hanno tassi di mortalità molto alti, per cui non fanno in tempo a sviluppare la lebbra.
D. - Vi sono collegamenti tra
la lebbra e le altre malattie tropicali?
R. - Il bacillo che causa la
lebbra appartiene alla famiglia dei micobatteri. I micobatteri sono responsabili per altre due malattie molto
importanti per i Paesi poveri: la tubercolosi e l'ulcera di Buruli.
Per questo motivo, spesso i farmaci utili contro una
di queste malattie possono avere efficacia anche sulle altre malattie causate
da micobatteri. Diverse malattie tropicali come la
leishmaniosi, la malattia del sonno, l'ulcera di Buruli,
la filariosi, l'oncocercosi
e la lebbra sono chiamate anche "malattie dimenticate", perché sono
tutte malattie dei poveri, colpiscono soprattutto le fasce povere nei Paesi
meno sviluppati. Sono diffuse nelle zone dove i servizi sanitari e il personale
sanitario scarseggiano. L'industria farmacologia non dedica molte energie a
queste malattie tropicali per cercare nuove e più efficaci terapie. Per
esempio, per la lebbra, non esiste ancora un test per la sua sierodiagnosi nella fase precoce. Dobbiamo sempre aspettare
che la malattia si manifesti clinicamente per diagnosticarla. Il trattamento
della lebbra dura 12 mesi e questo è un altro problema per assicurare che le
persone ricevano cure regolarmente e le prendano per tutto il periodo. Questi
problemi sono comuni a tutte le malattie dimenticate, per molte delle quali non
abbiamo ancora i farmaci efficaci. Per questo motivo, AIFO, la nostra
associazione, promuove sempre progetti integrati nelle comunità, dove le
persone povere possano curarsi sia per la lebbra, sia per altri problemi legati
alla povertà.
D. - Cosa possiamo fare per
aiutare la lotta alla lebbra?
R. - Per celebrare la 54a
giornata mondiale della lebbra, la cosa più importante è di ricordare che la
lebbra esiste e che ancora oggi milioni di persone, spesso dimenticate da
tutti, vivono nell'ombra dell'emarginazione. Le congregazioni ed i missionari
hanno svolto un lavoro molto importante per prendersi cura delle persone
affette dalla lebbra. Oggi vi sono molte altre emergenze che attirano
l'attenzione di tutti, ed è giusto rispondere a queste emergenze, senza
dimenticare però i malati di lebbra e altre malattie dimenticate. Per questa
giornata, migliaia di volontari dell'AIFO saranno presenti in tante piazze
d'Italia, per parlare della lebbra, per offrire i vasetti del Miele della
Solidarietà, per sensibilizzare e per raccogliere sostegno per la lotta alla
lebbra in Brasile. In tanti Paesi del mondo le autorità parleranno di lebbra al
pubblico. Unitevi a noi, ai nostri volontari in questa lotta.
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ASSENSO
ALL’ELEZIONE DELL’ARCIVESCOVO DI SAÏDA (LIBANO)
DEI
GRECO-MELKITI
Il Papa
ha concesso il Suo assenso all’elezione canonicamente fatta dal Sinodo della
Chiesa Greco-Melkita cattolica il giorno 11 ottobre
2006, del reverendo padre Elie Haddad,
dell’Ordine Basiliano del Santissimo Salvatore dei Melkiti, ad arcivescovo di Saïda
(Libano) dei Greco-Melkiti.
Nato il 28 gennaio
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Nel discorso alla Rota Romana,
Benedetto XVI ha richiamato l'esigenza di riscoprire la bellezza di quella
"verità sul matrimonio" che Gesù ci ha pienamente insegnato.
Servizio estero - Iraq: il leader radicale
sciita Al Sadr promette di disarmare le milizie.
Servizio culturale - Per la rubrica
"Oggi" un articolo di Gaetano Vallini dal
titolo "Il Sacramento profanato"; l'oltraggiosa inchiesta di un
settimanale: finte confessioni in cerca di un ignobile "scoop".
Servizio italiano - In rilievo il tema delle
liberalizzazioni.
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27 gennaio 2007
“
CONTRO RIGURGITI DI ANTISEMITISMO E ALTRE
FORME DI INTOLLERANZA:
COSI’
IL SEGRETARIO DELL’ONU, BAN KI-MOON
NELLA
GIORNATA MONDIALE IN MEMORIA DELLE VITTIME DELL’OLOCAUSTO
-
Intervista con Samuel Modiano -
Oggi è
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R. - Avevo 13 anni, mia madre era già morta due anni
prima. Eravamo rimasti io, mio padre e mia sorella. Nel 1944 c’è stata la
deportazione e insieme a tutta la comunità ebraica di Rodi, siamo stati presi,
caricati su 5 battelli cargo e trasportati fino al Pireo,
da lì poi trasportati fino ad Auschwitz- Birkenau.
D. - Arrivati ad Auschwitz-Birkenau
cosa è successo?
R. - Di notte, al nostro arrivo ad Auschwitz-Birkenau
c’era un medico che con un dito selezionava e diceva chi doveva andare a
lavorare e chi doveva essere eliminato immediatamente e mandato ai forni
crematori. Mio padre l’avevano scelto per andare a lavorare, io ho seguito mio
padre. Mia sorella anche è stata scelta per andare a lavorare.
D. - Che altri ricordi ha?
R. - Che erano giornate in cui come vestiti avevamo un
pigiama a righe che ci copriva, un paio di zoccoli e un cappello a righe. Con
questo vestiario dovevamo sopportare il freddo, la fame e il lavoro pesante.
Allora in queste condizioni, uno fino a quando può sopportare?
D. - Suo padre e sua sorella poi sono morti nel campo di
sterminio...
R. - Mio padre un mese dopo la deportazione ha
incominciato a star male. Si è presentato in un ambulatorio per farsi curare ma andarsi a curare era come andare direttamente alla
camera a gas o ai forni crematori. Il primo mese con mia sorella, quando
ritornavamo dai lavori, la sera, sul tardi, avevamo un
punto di riferimento dove potevamo vederci da lontano, a distanza di sette,
otto metri, e scambiarci qualche parola. Poi mia sorella, –io ero attaccatissimo a mia sorella, che mi ha fatto anche da
mamma - anche lei non ce l’ha fatta. Un giorno non si
è presentata a quegli appuntamenti. Sono andato una seconda volta, una terza
ancora, ma da quel momento in poi non l’ho più vista.
D. - Cosa è successo poi, quando c’è stata la liberazione?
R. - E’ evidente che sono arrivato
al momento della liberazione in uno stato pietoso, ero pelle ossa e se ero in
vita non lo sapevo neanche io. Quando sono stato liberato avevo 14 anni. A 14
anni uno rimane in vita e ci si chiede il perché di tutto questo e questa è una
domanda che mi sono portato appresso fino ai giorni d’oggi. Oggi può darsi ci
sia una risposta, Dio ha voluto che rimanessi in vita, o non so se era scritto
così, per trasmettere la mia esperienza alle nuove generazioni, perché questo
non deve succedere mai più.
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IL RAPPORTO
FAO 2006, PRESENTATO NEI GIORNI SCORSI,
INVITA
A CONSIDERARE MODALITA’ DIVERSE DI AIUTO
A SECONDA DELLA
DIVERSA REALTA’ DEI PAESI IN DIFFICOLTA’
-
Intervista con il dott. Luca Russo -
Dibattito
aperto in sede ONU, e non solo, sull’efficacia degli aiuti alimentari ai Paesi
più poveri o colpiti da calamità. Nell’ultimo rapporto 2006
sullo stato dell’alimentazione e dell’agricoltura nel mondo,
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R. – La FAO sostiene che in caso di grandi crisi, in cui non
c’è accesso ad alimenti nel Paese, l’aiuto alimentare rimane il sistema più
diretto e più logico di intervenire. Invece nei casi
in cui ci sono i mercati che funzionano, disponibilità di aiuti alimentari nel
Paese, la FAO sostiene che, acquistando in loco o aiutando i beneficiari
tramite, ad esempio, dei buoni alimentari o dei trasferimenti in denaro, si
recuperi in efficienza.
D. – Nel rapporto si dice che fino al 90% delle risorse
destinate agli aiuti alimentari possono essere vincolate e questo rende
difficile per le agenzie umanitarie raggiungere effettivamente le persone
bisognose. Che cosa vuol dire aiuti vincolati?
R. – Si intende un tipo di aiuto che è legato ad alcune
condizioni. La condizione più tipica è che il prodotto venga
acquistato nel Paese donatore. Significa a volte che i prezzi nel Paese
donatore sono più cari rispetto a Paesi limitrofi al Paese dove c’è la crisi. C’è
il problema del trasporto, c’è il problema anche dei tempi, perché dal momento
in cui scoppia una crisi al momento in cui il cibo arriva nel Paese colpito,
possono passare anche sei mesi.
D. – La FAO propone comunque una visione “rivoluzionaria”.
Si aspetta di trovare consenso oppure di aprire un dibattito, anche aspro e di
sollevare polemiche...
R. – Queste questioni sono state sollevate da molti anni e
il rapporto mette in luce alcune cose. Prima di tutto che alcuni Paesi hanno
già accettato questo tipo di condizioni, per esempio l’Unione europea sono
ormai anni che non vincola più i suoi aiuti alimentari all’acquisto in Europa. Altri
Paesi che stanno seguendo sono per esempio il Canada.
D. – In particolare, sono gli Stati Uniti che invece
ricorrono a questo tipo di aiuti...
R. – Le donazioni degli Stati Uniti rappresentano più del
50% del totale degli aiuti alimentari. Quindi, chiaramente, gli Stati Uniti
sono un attore importante in questo dibattito.
D. – Non c’è pericolo che poi ci si trovi impreparati a
rispondere alle crisi umanitarie, crisi di carestia cronica...
R. – Assolutamente, lei solleva un punto corretto. La FAO
fa questa raccomandazione e allo stesso tempo è molto prudente su questa cosa perchè
se questi aiuti alimentari non vengono sostituiti da
una equivalente forma di assistenza, per esempio, in termini finanziari, il
rischio di trovarsi impreparati durante le crisi croniche rimane e potrebbe
essere drammatico.
D. – Chi, appunto, poi controllerà questo meccanismo di
trasmissione di denaro e di buoni pasto che credo sia molto delicato?
R. – Chiaramente tutto questo non è soltanto un meccanismo
tecnico è anche un meccanismo di governo. Richiede che nei Paesi beneficiari ci
siano dei sistemi di controllo che permettano questo
tipo di passaggio. In mancanza di governi stabili, che siano responsabili, c’è
chiaramente il rischio di un’accentuazione di alcuni fenomeni di corruzione,
che sono tipici degli aiuti allo sviluppo.
D. – Il passaggio di soldi non avverrebbe da governo
donatore a governo beneficiario ma forse andrebbe
piuttosto agli organismi non governativi o organismi delle Nazioni Unite...
R. – Ci sono Paesi che hanno un sistema finanziario
trasparente e quindi gli aiuti si possono fare da Paese a Paese. In altri casi
bisognerebbe usare per esempio le organizzazioni non governative. Dipende da
caso a caso.
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SI
ALLARGA IL NUMERO DI PAESI CHE SPERIMENTANO LA ‘SCUOLA DI PERDONO
E RICONCILIAZIONE’ DI PADRE LEONEL NARVÀEZ GOMEZ, COLOMBIANO
INSIGNITO
NEL 2006 DEL PREMIO UNESCO PER
-
Intervista con padre Gomez -
Per costruire la pace occorre estirpare l’odio. Su questa
base nasce Espere, un metodo per insegnare il perdono
e la riconciliazione che fonde il messaggio cristiano con i contributi più
avanzati delle scienze sociali. Ad idearlo padre Leonel
Narvàez Gomez, colombiano,
missionario della Consolata che ha maturato una lunga esperienza nella gestione
dei conflitti lavorando in prima persona ai negoziati di pace tra il governo e
le Forze Armate Rivoluzionarie in Colombia, nella regione del Caguàn. Per i risultati ottenuti con il suo progetto in 15
anni di attività, padre Leonel è stato insignito, nel
2006, del premio UNESCO per la pace e oggi la sua Scuola di Perdono e
riconciliazione è presente in 7 Paesi latinoamericani e in 2 Paesi sudafricani.
La sua testimonianza nell’intervista di Antonella Villani:
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R. – I conflitti avevano una base fondamentale per poter
essere risolti: rabbia, risentimento e desiderio di vendetta. Gesù propone come
centro di tutto il perdono e la riconciliazione e, basandoci su questo tema,
stiamo cercando di scoprire cosa sia l’esercizio del perdono e della
riconciliazione.
D. – Ma come si può trasformare la rabbia e la voglia di
vendetta in perdono e riconciliazione?
R. – E’ un invito a tutte le persone a cambiare quell’archetipo che è dentro di noi, Caino, che vuol dire
violenza, e cominciare invece a proporre l’altro archetipo, Abele, nel senso
della tenerezza, della volontà e della misericordia. Quindi, la nostra proposta
è quella di sviluppare ed aiutare le persone con delle tecniche molto facili,
perchè possano abbandonare la rabbia e sviluppare questo modello di Abele nella
vita. Noi in questo momento abbiamo centinaia di ex combattenti delle
guerriglie e cominciamo ad accorgerci come loro si pieghino davanti a questa
proposta e come le persone che sono state vittime riescano a decidere di
perdonare. Sono persone che rimangono libere. Perché il grande problema del perdono e della riconciliazione è
quello di amministrare la memoria. Una persona che resta con la memoria tragica
di un’offesa, resta schiava del passato.
D. – Lei da questa sua esperienza ha messo a punto il
metodo Espere, in che cosa consiste?
R. – Creare dei gruppi che comincino a raccontare le loro
esperienze, facilitando così la scelta del perdono. Il bello sono le
testimonianze che le persone danno e la gioia che viene fuori. Forse il merito
di questa nostra proposta sta nel fatto che le persone riescono a vedere
l’effetto che ha nelle loro vite e cominciano a fare lo stesso percorso nei
loro ambienti. Il grande lavoro per noi è, quindi, il sostegno e
l’accompagnamento dei gruppi.
D. – Oggi l’esperienza di Espere
ha toccato 20 città in Colombia, coinvolgendo circa 50 mila persone. C’è una
speranza, dunque, di porre fine a questa guerra civile che da quasi 40 anni sta
imperversando nel Paese?
R. – La pace è la somma di molte cose e, quindi, non
vorrei ignorare anche la necessità di risolvere il problema della povertà, dei
problemi di salute e che ci sia una casa per tutti.
D. – Che futuro prevede a questo punto per la Colombia?
R. – La parola ‘riconciliazione’ ormai si è posizionata a
livello politico e a livello accademico, anche se la parola ‘perdono’ non viene accettata come la riconciliazione. La gente, purtroppo,
non si accorge che ci può essere il perdono senza la riconciliazione, ma non il
contrario. In questi giorni in Colombia, i paramilitari cominciano a fare delle
confessioni pubbliche. Questo è un segno di speranza.
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IL VANGELO DI DOMANI
Domani, 28 gennaio, quarta Domenica del Tempo Ordinario,
la Liturgia ci presenta Gesù nella sinagoga di Nazareth. Gesù, dopo aver letto
un passo del profeta Isaia dice: “Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi
avete udita con i vostri orecchi”. Tutti gli rendevano testimonianza ed erano
meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano:
“Non è il figlio di Giuseppe?”. Ma egli rispose: “Di certo
voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo
udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella
tua patria!”. Poi aggiunse:
“Nessun profeta è bene accetto in patria”.
Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento del
teologo gesuita, padre Marko Ivan Rupnik:
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Da secoli Israele attendeva il Messia. L’attesa ha creato
l’immaginazione dei tempi messianici. Ora viene Cristo e leggendo il brano di
Isaia dichiara che questa attesa con Lui è compiuta. Lui riscuote una grande
adesione dagli ascoltatori, i quali pieni di entusiasmo e di meraviglia fissano
lo sguardo su di Lui. Immediatamente si avverte però un brusco cambiamento,
perché delusi che un evento così tanto atteso potesse presentarsi in modo così
semplice, umile, quotidiano e per niente spettacolare. Un certo discredito che
si avverte porta gli ascoltatori ad un radicale rigetto di Cristo. Lo scandalo
della banalità e della quotidianità della sequela
Christi può far perdere Cristo e lasciarci da
soli con le nostre convinzioni.
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27 gennaio 2007
PERÙ: L’EPISCOPATO INVITA IL PAESE
A MOBILITARSI PER INVIARE AIUTI
ALLE REGIONI COLPITE DALLE ALLUVIONI
E PER IL 25 FEBBRAIO HA INDETTO UNA
COLLETTA NAZIONALE
LIMA. = I vescovi del Perù hanno lanciato in un
comunicato un appello “a tutti gli uomini di buona volontà” perché aiutino le
popolazioni di San Martín, Huanuco
e Junín, nella regione amazzonica, colpite dalle
recenti alluvioni. Sono migliaia le famiglie che si trovano in difficoltà a
causa degli smottamenti e delle inondazioni; cominciano a scarseggiare acqua e
cibo e i presuli invitano i peruviani a manifestare la loro solidarietà verso
quanti stanno vivendo grossi disagi. La Caritas-Perù ha avviato una
campagna per raccogliere alimenti non deperibili, vestiti, materiale per la
copertura dei tetti, rotoli di plastica, bidoni vuoti ed
offerte in denaro. L’episcopato peruviano sta affiancando
l’organizzazione ed ha indetto per il 25 febbraio, prima domenica di Quaresima,
una colletta nazionale in tutte le parrocchie del Paese che avrà come slogan
“Solidarietà in azione”. Le piogge torrenziali hanno cominciato ad abbattersi
sulla provincia peruviana di Chanchamayo il 22 gennaio
scorso. Secondo i dati resi noti dal responsabile dell’Istituto Nazionale di
Difesa Civile, Luis Felipe Palomino, per ora si contano 14 morti e circa 200 feriti,
ma ci sono anche molti dispersi, il cui numero è molto difficile da determinare
al momento. Il governo peruviano ha dichiarato lo stato di emergenza nella
provincia di Chanchamayo e specialmente nei distretti
di San Ramón e Vitoc, che
sono i più colpiti. Le autorità hanno già inviato varie tonnellate di alimenti
ed acqua ed hanno allestito rifugi di fortuna per gli sfollati. Proseguono
anche le operazioni di prevenzione delle epidemie di malaria, di malattie
intestinali e respiratorie. Gli aiuti alla Caritas-Perù si possono versare sui seguenti conti della
Banca di Credito: “Cáritas - Emergencia
Selva Central” Conto Corrente Moneta Nazionale:
193-1586582-0-79; Conto Corrente Moneta Straniera: 193-1586951-1-16.
(T.C.)
IL RAPPORTO TRA DIO, UOMO E MONDO
NON SI RISOLVE CHIUDENDO LA PORTA ALLA RELIGIONE, MA ESPLORANDO IL LEGAME CHE
ESISTE FRA QUESTI.
LO HA SOTTOLINEATO MONS. GIUSEPPE
LORIZIO AL SEMINARIO SUL DIALOGO
FRA TEOLOGIA E SCIENZE NATURALI IN CORSO A
ROMA ALLA LATERANENSE
ROMA. = Il Progetto culturale della Chiesa italiana è
anche dialogo tra teologia e scienze naturali, che consente di trovare spazi in
cui incontrarsi e superare ostacoli e steccati del passato. È quanto è emerso
nella prima giornata dei lavori del seminario “Esseri umani, natura, Dio”, che
si sta svolgendo in questi giorni a Roma. Organizzato dall’area di ricerca
“Scienza e Fede sull’interpretazione del reale” (SEFIR) dell’Istituto “Ecclesia Mater” della Pontificia
Università Lateranense, l’incontro ha radunato una trentina di fisici,
matematici, informatici, insieme a teologi e filosofi. Aprendo i lavori, il
preside dell’“Ecclesia Mater”,
mons.
SI CHIAMA “ZOOM” IL NOTIZIARIO
TELEVISIVO CATTOLICO ON-LINE LANCIATO,
NEI GIORNI SCORSI, DALLA RETE
CANADESE “SALT + LIGHT TELEVISION”,
CHE PROPONE SERVIZI SUGLI AVVENIMENTI PIÙ IMPORTANTI
DELLA VITA DELLA CHIESA
NEL 25.MO
DELLA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II IN GABON,
LA CHIESA LOCALE CELEBRA UNO
SPECIALE ANNO GIUBILARE
LIBREVILLE. = La Chiesa in Gabon ha indetto quest’anno uno
speciale giubileo per celebrare il 25.mo anniversario
della visita di Giovanni Paolo II, avvenuta il 17 e 18 febbraio 1982.
L’anniversario – spiegano gli organizzatori, con in
prima linea l’arcivescovo di Libreville, mons. Basilé Mve Engone
– sarà un’occasione per rilanciare l’esortazione del Papa alla Chiesa gabonese:
“Alzati e cammina”. In programma figurano numerose iniziative e manifestazioni
che ruoteranno attorno a sette temi principali. Le celebrazioni si concluderanno
nel gennaio 2008. Evangelizzato 162 anni fa, il Gabon è oggi un Paese a maggioranza
cattolica, con una presenza animista ancora forte. La
figura di Giovanni Paolo II è particolarmente cara ai gabonesi: alla sua morte
il governo ha proclamato cinque giorni di lutto nazionale. (L.Z.)
LE SCENE DEL NUOVO TESTAMENTO
DEL TINTORETTO
IN MOSTRA DA LUNEDÌ AL
MUSEO DEL PRADO DI MADRID, IN SPAGNA.
IN ESPOSIZIONE 65 OPERE
DELL’ARTISTA VENEZIANO
MADRID. = - Sarà inaugurata lunedì in Spagna,
al museo del Prado di Madrid, da re Juan Carlos e dal presidente
della Repubblica italiana Giorgio Napoletano, una grande mostra sul Tintoretto. In esposizione vi saranno anche le sei scene
del Nuovo Testamento del pittore. Vissuto nel XVI secolo, Jacopo Robusti, il
piccolo tintore, detto Tintoretto per la sua minuta
statura e per l’attività del padre, si vantava di aver fuso il disegno di
Michelangelo con il colore di Tiziano. “Erano settanta anni che non si faceva
un’esposizione così e sul Tintoretto c’era chi la riteneva
impossibile”, spiega il curatore Miguel Falomir. Attraverso un percorso cronologico, evidenziato
all’inizio e alla fine dai due autoritratti di Jacopo giovane e vecchio, la
mostra mette in luce la dimensione di “pittore narrativo religioso”
dell’artista. L’allestimento annovera 49 dipinti, 13 disegni e 3 statue
provenienti dalla collezione del Prado, da chiese e
musei veneziani ma anche di altre città italiane ed europee nonché dagli Stati
Uniti. Per la prima volta in 400 anni saranno finalmente riuniti due capolavori
eseguiti per la Chiesa di San Marcuola a Venezia:
l’Ultima Cena e la Lavanda dei Piedi. (T.C.)
PIÙ VERDE IN LIBIA E IN MAROCCO.
GRAZIE A CAMPAGNE DI RIMBOSCHIMENTO,
NEI DUE PAESI VERRANNO
PIANTATI 30 MILIONI DI ALBERI
TRIPOLI.= Piantare 3 milioni di
alberi d’alto fusto e di ulivi nelle diverse regioni della Libia. È questo
l’obiettivo della campagna di rimboschimento promossa dal ministero
dell’Agricoltura e delle Risorse Animali e Idriche del Paese. Grazie
all’ausilio di 9 mila volontari, riferisce l’agenzia MISNA, sono già stati
piantati un milione e 200 mila arbusti nella capitale,
Tripoli, nel distretto nordorientale di Jabal Al-Akhdhar, nella regione
occidentale di Habal Al-Gharbi,
nonché nel Parco nazionale di Sorman e nelle città di
Zaouia, Benghazi e Muserata. Anche il Marocco ha fatto partire un progetto
simile, ‘Piantiamo per il pianeta’,
che si propone di ricostruire il patrimonio forestale degradato dallo sfruttamento.
L’Alto commissariato marocchino dell’acqua e delle foreste e della lotta contro
la desertificazione ha annunciato che entro la fine dell’anno verranno piantati 27 milioni di alberi. (A.D.F.)
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27 gennaio 2007
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
Nei Territori palestinesi è di almeno 16 morti il
bilancio, ancora provvisorio, degli scontri scoppiati nelle ultime 24 ore tra
sostenitori di al Fatah,
formazione del presidente Abu Mazen,
e militanti del gruppo radicale Hamas. Alla drammatica situazione sul terreno,
si aggiungono poi nuove preoccupanti fratture politiche: è stato “congelato” infatti il dialogo tra Hamas e al Fatah
per la formazione di un governo di unità nazionale. Il nostro servizio:
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Sono ripresi stamani a Gaza violenti scontri tra
sostenitori di al Fatah e
Hamas: in seguito ad una sparatoria avvenuta nei pressi dell’Università
islamica sono rimasti uccisi almeno due palestinesi. Nelle ultime 24 ore la
situazione si è gravemente deteriorata: ieri sono morte 14 persone e miliziani di al Fatah
hanno rapito 19 attivisti di Hamas. Si tratta degli episodi più gravi da
quando sono riprese le ostilità tra le due fazioni. Sul
versante politico, Hamas ha anche annunciato la
decisione di sospendere le trattative per la formazione di un governo unitario.
La rottura dei negoziati tra i due principali gruppi politici palestinesi è destinata
a produrre una frattura insanabile o ci sono ancora possibilità di riprendere
le trattative? Risponde l’arcivescovo di Akka dei greco-melkiti cattolici, mons. Elias Chacour, fondatore e presidente di “Mar Elias Educational Institutions”,
prima Università in Galilea per studenti cristiani, musulmani ed ebrei.
R. - TOUT LE PEUPLE PALESTIEN DANS LES TERRITOIRES OCCUPES…
Tutto il popolo palestinese dei Territori occupati si
attende e spera che i negoziati vengano riavviati,
affinché si possa ritrovare un poco di pace. I Territori palestinesi vivono una
condizione di profonda disillusione. Il dialogo ed i negoziati tra Hamas e al Fatah sono veramente molto importanti, perchè da questo
dipende in realtà la possibilità di poter presto cominciare un vero negoziato
con lo Stato di Israele. Altrimenti è impossibile.
D. – E’ auspicabile un intervento della Comunità
internazionale?
R. – CE SERA BIEN, SE LA
COMUNITE’ INTERNATIONAL ….
Certo, sarebbe un bene se la Comunità internazionale
intervenisse. Ma è certamente molto rischioso che dei singoli Stati dovessero decidere di intervenire, in realtà per propri
interessi. Di questo si accusa da un lato Iran e la Siria e dall’altro
Stati Uniti e Francia. Tutti siamo sotto accusa. E’ necessario che una
potenza delle Nazioni Unite sia intermediaria. Il problema maggiore riguarda
proprio la democrazia, o meglio, quello che noi intendiamo per democrazia. E
quindi, chi è che ha diritto ad essere libero e chi invece non ha diritto ad
essere libero?
D. – Dunque, cosa fare per dare davvero un volto
democratico ai territori palestinesi?
R. – IL FAUT D’ABORT QUE
L’OCCUPATION SOIT TERMINE’…
E’ necessario anzitutto che l’occupazione venga interrotta e che il popolo palestinesi dei Territori
Occupati possa avere la possibilità di esprimere la propria opinione e prendere
le proprie decisioni. Io sono sicuro che la decisione comune sarà per il bene
della pace, per il raggiungimento dei negoziati veri tra Israele e Palestina,
affinché si possa giungere alla conclusione di questo conflitto sanguinoso che
dura da più di un secolo e che ha fatto così tante migliaia di vittime.
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Situazione sempre tesa anche in Iraq: due autobomba
esplose in rapida successione in un’area commerciale di un quartiere a
maggioranza sciita di Baghdad hanno causato la morte di almeno quindici
persone. Fonti militari americane hanno riferito intanto che le forze della
Coalizione hanno ucciso 14 sospetti terroristi a Baquba,
nel cosiddetto triangolo sunnita.
E’ stato in gran parte dedicato
alla situazione in Afghanistan il vertice dell'Alleanza atlantica, tenutosi
ieri a Bruxelles. Gli Stati Uniti hanno stanziato fondi aggiuntivi per 10,6 miliardi
di dollari per la sicurezza e la ricostruzione del Paese asiatico. La
Commissione europea ha reso noto che mette a disposizione un nuovo stanziamento
di 600 milioni di euro per lo sviluppo agricolo e dei settori della sanità e
della giustizia. Il portavoce della NATO ha anche
detto che i Paesi membri “intensificheranno i loro sforzi civili, militari ed
economici”.
Il testo costituzionale europeo dovrà servire
come base per un nuovo accordo sulla carta fondamentale tra i 27 Stati
dell’Unione Europea. E’ quanto sottolinea il documento finale del Vertice
tenutosi ieri a Madrid dei 18 Paesi dell’Unione che hanno già
ratificato il trattato costituzionale. Ce ne parla padre Ignacio Arregui:
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In un clima costruttivo di difesa e arricchimento dei
contenuti del Trattato europeo o Costituzione dell’Unione Europea si sono
riuniti ieri a Madrid i ministri degli Esteri dei 18 Paesi che hanno ratificato
il testo costituzionale europeo. L’obiettivo generale è stato quello di
collaborare con il governo tedesco, presieduto da Angela Merkel,
presidentessa per questo semestre del Consiglio europeo, al rilancio della
Costituzione europea che è rimasta bloccata dopo il voto negativo dell’Olanda e
della Francia. I rappresentanti dei 18 governi
europei, che si sono presentati come “amici della Costituzione”, si sono
trovati d’accordo nell’affermare che il conflitto non va risolto con una
riduzione ai minimi dell’attuale testo costituzionale ma
piuttosto ampliandolo a nuove questioni che, secondo gli ultimi avvenimenti,
interessano il cittadino europeo: in particolare l’immigrazione, il cambiamento
climatico, la creazione di uno spazio sociale europeo e il programma energetico.
Sarà necessario, ovviamente, sentire il parere dell’Olanda e della
Francia sui motivi che hanno spinto i loro cittadini al voto negativo. E
non si esclude la possibilità di un’integrazione nell’Unione con diversità di
ritmi e di impegni. C’è da mettere in risalto, in sintesi, questo atteggiamento
costruttivo che intende aiutare la Germania in favore
di un rilancio della Costituzione, rispettata nei suo valori essenziali
estremamente validi e aggiornata secondo le aspettative attuali dei cittadini
europei.
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In Somalia, presunti miliziani delle Corti
islamiche hanno sparato nella notte colpi di mortaio contro un accampamento
delle truppe etiopiche nei pressi di Mogadiscio. Non sembra ci siano state
vittime. In Italia, intanto, è stato deciso lo stanziamento di dieci milioni di
euro nel 2007 “per il contributo italiano all’Unione Africana e per
l’istituzione di una forza di pace in Somalia”. Lo stanziamento è previsto nel
decreto legge che rifinanzia le missioni italiane
all’estero, approvato dal Consiglio dei ministri.
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