RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 20  - Testo della trasmissione di sabato 20 gennaio 2007

 

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il ruolo della Romania in Europa per il recupero del patrimonio cristiano del continente nelle parole del Papa al nuovo ambasciatore romeno presso la Santa Sede

 

Famiglia e nuova evangelizzazione: sono questi i temi toccati da Benedetto XVI nel suo discorso alla plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina

 

Il Papa, alla vigilia della memoria di Sant’Agnese, benedice gli agnelli, la cui lana servirà a confezionare i sacri pallii, che verranno imposti ai nuovi arcivescovi metropoliti il 29 giugno

 

I problemi ecclesiali più gravi e urgenti che riguardano la Chiesa in Cina, primo fra tutti quello della libertà religiosa, sono stati al centro di una riunione di due giorni conclusa oggi in Vaticano

 

Terzo giorno della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: il rev. Donald Bolen ci parla dei rapporti tra cattolici e anglicani

 

Il cordoglio del cardinale Ignace Moussa I Daoud per la scomparsa di mons. Cyril Mar Baselios Malancharuvil, arcivescovo maggiore di Trivandrum

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Al via oggi a Nairobi, in Kenya, il World Social Forum. La riflessione di Sergio Marelli

 

Festa dell’UNITALSI oggi nell’Aula Paolo VI in Vaticano. Intervista con Alessandro Pinna

 

Nei cinema, in Italia, il film di Al Gore “Una scomoda verita’”. Con noi, il regista

 

Il commento di padre Marko Ivan Rupnik al Vangelo di domani

 

CHIESA E SOCIETA’:

Un piano di sviluppo nazionale il cui centro sia la persona umana: è quanto auspicano i vescovi di Panamá, al termine della loro 178.ma assemblea plenaria

 

I laici della Chiesa indiana rischiano di essere emarginati dalla pastorale: lo rivela un’indagine della Commissione episcopale per il laicato

 

Perplessità della Chiesa pakistana per il progetto di riforma governativa della scuola

 

Pubblicata la prima “Dichiarazione interreligiosa sulla situazione dell’infanzia in America Latina e nei Caraibi”

 

Ridotto del 75% in Africa e del 60% nel resto del mondo il tasso di mortalità da morbillo

 

Presentato a Milano il libro “Umanizzazione, storia ed utopia”, che raccoglie testi e interventi di fra Pierluigi Marchesi, superiore dei Fatebenefratelli, scomparso nel 2002

 

24 ORE NEL MONDO:

Le autorità turche condannano l’omicidio del giornalista armeno, assassinato ieri ad Istanbul

 

Forti preoccupazioni della comunità internazionale dopo un test missilistico cinese

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

20 gennaio 2007

 

IL RUOLO DELLA ROMANIA IN EUROPA PER IL RECUPERO

DEL RICCO PATRIMONIO CRISTIANO DEL CONTINENTE,

NELLE PAROLE DEL PAPA AL NUOVO AMBASCIATORE ROMENO RICEVUTO OGGI PER LA PRESENTAZIONE DELLE LETTERE CREDENZIALI

 

La Romania nell’Unione Europea, il patrimonio dei cristiani nel Continente, le sfide della globalizzazione, il cammino ecumenico: i temi toccati dal Papa ricevendo stamane in Vaticano il nuovo ambasciatore della Romania presso la Santa Sede, Marius Gabriel Lazurca, per la presentazione delle Lettere credenziali. Il servizio di Roberta Gisotti.

 

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 “Con soddisfazione” la Santa Sede, che da tempo – ha ricordato Benedetto XVI - intrattiene “stretti e proficui rapporti” con la Romania, ne ha accolto dopo “anni di sforzi” l’ammissione nell’Unione Europea, segno dell’unità ritrovata dal continente europeo, dopo il “lungo e triste periodo” della guerra fredda. La Romania “ricca di quell’innegabile patrimonio” cristiano, che ha contribuito a modellare l’Europa delle Nazioni e l’Europa dei popoli può infatti – ha sottolineato il Papa – portare “il suo contributo originale all’edificio europeo perché “non sia solamente una forza economica ed un grande mercato di beni di consumo, ma possa ritrovare un nuovo slancio politico, culturale e spirituale, capace di costruire un avvenire promettente per le nuove generazioni”. Se da tempo la Romania è impegnata “in un profondo lavoro di rinnovamento della società, con la preoccupazione di curare le ferite del passato e permettere a tutti di godere delle libertà fondamentali e di beneficiare dei progressi economici e sociali”, Benedetto XVI ha richiamato i responsabili politici a porre attenzione “alle esigenze di una solidarietà attiva tra tutti gli strati della popolazione ad evitare che nell’ora della globalizzazione non si scavi un fossato crescente tra i cittadini che accedono legittimamente allo sviluppo economico e quelli che si trovano progressivamente emarginati, esclusi da questo processo, come si osserva in molte società moderne”. Occorre ugualmente – ha aggiunto il Papa - garantire “una giustizia indipendente e trasparente, capace di lottare efficacemente contro coloro che non rispettano il bene comune e piegano le leggi al loro profitto”.

 

In tema di liberta religiosa, Benedetto XVI ha raccomandato “giustizia ed equità” perché “tutti i culti riconosciuti” trovino “il loro posto legittimo in seno alla società romena”, rallegrandosi per i progressi del governo “nella delicata gestione della restituzione dei beni confiscati alle comunità religiose”, esprimendo invece particolare “inquietudine” per la vicenda della Cattedrale di San Giuseppe a Bucarest, al centro di vivaci polemiche per il progetto di costruirvi a meno di 10 metri un grattacielo di 19 piani. Il Papa ha reiterato l’esigenza “di preservare il patrimonio storico e i valori di fede che questa rappresenta, non solo per la comunità cattolica, ma per tutta la popolazione romena”. Infine i migliori auspici del Santo Padre per il dialogo a tutti i livelli tra fedeli cattolici e ortodossi, in vista anche dell’incontro ecumenico europeo, che sarà ospitato nella città romena di Sibiu, nel settembre prossimo.

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OCCORRE OFFRIRE LA TESTIMONIANZA DI UN CRISTIANESIMO PROFONDAMENTE

RADICATO NEL VANGELO E CHE POSSA FAR FRONTE AL PROLIFERARE

DELLE SETTE E DEI NUOVI GRUPPI PSEUDORELIGIOSI:

È QUANTO BENEDETTO XVI CHIEDE ALLA CHIESA DELL’AMERICA LATINA

 

Famiglia e nuova evangelizzazione: sono questi i temi toccati da Benedetto XVI nel suo discorso ai partecipanti alla Plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina, ricevuti oggi in udienza. Il Papa ha esortato in particolare i cristiani dell’America Latina ad offrire una forte testimonianza dinanzi alle sette che prosperano e ai nuovi gruppi pseudoreligiosi. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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Per il Santo Padre la V Conferenza generale dell’Episcopato latinoamericano e dei Caraibi, convocata ad Aparecida, in Brasile, dal 13 al 31 maggio prossimi, dovrà dare un rinnovato impulso alla evangelizzazione. L’annuncio del messaggio della salvezza – ha detto – deve impregnare le radici della cultura e deve incarnarsi nell’attuale momento storico dell’America Latina, per rispondere meglio alle sue necessità e legittime aspirazioni. Ha sottolineato la necessità di un cristianesimo fortemente vissuto, quindi ha aggiunto:

 

“Si deve riconoscere e difendere sempre la dignità di ogni essere umano come criterio fondamentale dei progetti sociali, culturali ed economici, che aiutano a costruire la storia secondo il disegno di Dio”.

 

Il Papa ha parlato anche dei problemi che toccano i latinoamericani, in particolare del proliferare delle sette e di nuovi gruppi pseudoreligiosi. Gli uomini e le donne dell’America Latina, ha detto, hanno una grande sete di Dio:

 

“Quando nella vita delle comunità ci si sente come orfani rispetto a Dio Padre, è vitale il lavoro dei vescovi, dei sacerdoti e degli altri operatori pastorali, che diano testimonianza – come Cristo – del fatto che il Padre è sempre Amore provvidente che si è rivelato nel suo Figlio. Quando la fede non si alimenta della preghiera e della meditazione della Parola divina, quando la vita sacramentale langue, allora prosperano le sette e i nuovi gruppi pseudoreligiosi che provocano l’allontanamento di molti cattolici dalla Chiesa”.

 

Di fronte a tale realtà occorre radicarsi in Gesù Cristo, essere suoi veri discepoli, ha proseguito il Santo Padre, che con queste parole ha offerto ai cristiani latinoamericani queste indicazioni:

 

“Per il futuro della Chiesa nell’America Latina e nei Caraibi, è importante che i cristiani approfondiscano e assumano lo stile di vita proprio dei discepoli di Gesù: semplice e allegro, con una fede solida radicata nella parte più intima del cuore e alimentata dalla preghiera e dai sacramenti”.

 

Il vero discepolo, ha concluso Benedetto XVI, cresce e matura nella famiglia, nella comunità parrocchiale e diocesana; diventa missionario quando annuncia la persona di Cristo e il suo Vangelo ovunque. La famiglia infatti è il luogo privilegiato per vivere e trasmettere la fede e le virtù.

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IL PAPA, ALLA VIGILIA DELLA MEMORIA DI SANT’AGNESE, BENEDICE GLI AGNELLI,

LA CUI LANA SERVIRÀ A CONFEZIONARE I SACRI PALLII, CHE VERRANNO IMPOSTI

AI NUOVI ARCIVESCOVI METROPOLITI IL 29 GIUGNO PROSSIMO

 

Stamane il Papa, in occasione della memoria di Sant’Agnese, che ricorre domani, ha benedetto due agnelli, la cui lana servirà a confezionare i sacri pallii, che verranno imposti ai nuovi arcivescovi metropoliti il 29 giugno nella Solennità dei Santi Pietro e Paolo. La breve cerimonia si è svolta, come di consueto, nella Cappella intitolata a Urbano VIII nel Palazzo Apostolico. Il pallio è una fascia di lana bianca su cui spiccano sei croci di seta nera: è un’insegna liturgica d’onore e di giurisdizione, simbolo del particolare legame che unisce gli arcivescovi metropoliti al Successore di Pietro.

 

Si tratta di una tradizione che affonda le sue radici nel martirio di Sant’Agnese, adolescente e vergine romana, martirizzata durante la persecuzione di Decio o di Diocleziano, tra il III e il IV secolo, per avere testimoniato Cristo in un periodo in cui molti fedeli rinnegavano la propria fede. Agnese, dodicenne, fu trafitta con un colpo di spada alla gola, nel modo con cui si uccidevano gli agnelli. Per questo nell’iconografia è raffigurata spesso con una pecorella o un agnello, simboli del candore e del sacrificio.

 

 

I PROBLEMI ECCLESIALI PIÙ GRAVI E URGENTI CHE RIGUARDANO LA CHIESA

IN CINA, PRIMO FRA TUTTI QUELLO DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA,

AL CENTRO DELLA RIUNIONE CONVOCATA DAL PAPA SULL’ARGOMENTO

 

I problemi ecclesiali più gravi e urgenti che riguardano la Chiesa in Cina, primo fra tutti quello della libertà religiosa, sono stati al centro della riunione di due giorni convocata dal Papa sull’argomento, presieduta dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, e che si è conclusa oggi in Vaticano. Lo rende noto un comunicato della Sala Stampa vaticana. Ce ne parla Sergio Centofanti.

 

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La riunione – spiega il comunicato – era stata convocata da Benedetto XVI, “nel desiderio di approfondire la conoscenza della situazione della Chiesa cattolica nella Cina Continentale”. Il Papa, al termine della mattinata, ha salutato quanti hanno partecipato all’incontro: tra questi alcuni rappresentanti dell’Episcopato cinese (Hong Kong, Macao e Taiwan) e coloro che, per la Santa Sede, seguono più da vicino la questione. “L’ampio ed articolato dibattito – afferma la Sala Stampa - è stato animato da franchezza e da fraterna cordialità”.

 

Durante i lavori, “alla luce della travagliata storia della Chiesa in Cina e dei principali avvenimenti degli ultimi anni, sono stati presi in esame i problemi ecclesiali più gravi e urgenti, che attendono adeguate soluzioni in relazione ai principi fondamentali della costituzione divina della Chiesa e della libertà religiosa. Si è preso atto, con profonda riconoscenza, della luminosa testimonianza, offerta da vescovi, sacerdoti e fedeli, i quali, senza cedere a compromessi, hanno mantenuto la propria fedeltà alla Sede di Pietro, a volte anche a prezzo di gravi sofferenze. Con particolare gioia si è, altresì,  constatato che oggi la quasi totalità dei vescovi e dei sacerdoti è in comunione con il Papa”.

 

“Sorprendente, inoltre – sottolinea il comunicato della Sala Stampa vaticana - è stata la crescita numerica della comunità ecclesiale che, anche in Cina, è chiamata ad essere testimone di Cristo, a guardare in avanti con speranza e a misurarsi, nell’annuncio del Vangelo, con le nuove sfide che la società sta affrontando”.

 

Nella molteplicità dei contributi dei partecipanti, è emersa dalla riunione “la volontà di proseguire il cammino di un dialogo rispettoso e costruttivo con le Autorità governative, per superare le incomprensioni del passato. Si è, inoltre, auspicato di pervenire a una normalizzazione dei rapporti ai vari livelli, al fine di consentire la pacifica e fruttuosa vita della fede nella Chiesa e di lavorare insieme per il bene del Popolo cinese e per la pace nel mondo”.

 

Il Papa, che è stato ampiamente ragguagliato in merito alle proposte maturate nel corso della riunione – conclude il comunicato -  ha  deciso di indirizzare una Sua Lettera ai cattolici in Cina.

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ALTRE UDIENZE E NOMINE

 

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina i presidenti della quinta Conferenza dell’Episcopato latino-americano: il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, il cardinale Francisco Javier Errázuriz Ossa, arcivescovo di Santiago del Cile e presidente del CELAM, il cardinale Geraldo Majella Agnelo, arcivescovo di São Salvador da Bahia e presidente della Conferenza episcopale brasiliana.

 

Il Papa riceverà questo pomeriggio il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

 

Il Santo Padre ha nominato vescovo di Purea, in India, il padre gesuita Angelus Kujur, direttore del Jeevan Dhara a Raiganj. Padre Angelus Kujur è nato il 14 luglio 1946 nel villaggio di Mundaltoli, nello Stato di Bihar, diocesi di Purnea. Nel 1968 è entrato nella Compagnia di Gesù. Ha completato gli studi filosofici presso lo Jnana Deepa Vidyapeeth di Pune, e quelli teologici al Seminario Gesuita di Vidyajyoti, Delhi. È stato ordinato sacerdote il 13 aprile 1980.

 

Il Papa ha nominato ausiliare della diocesi di Awka, in Nigeria, il rev. Paulinus Chukwuemeka Ezeokafor, rettore del Seminario Minore di Awka, assegnandogli la sede titolare vescovile di Tetci. Il rev. Paulinus Chukwuemeka Ezeokafor è nato il 13 settembre 1952, a Nanka, “Orumba North Local Government Area”, nello Stato di Anambra (diocesi di Awka). È stato ordinato sacerdote il 30 giugno 1984.

 

Il Santo Padre ha nominato membro del Pontificio Consiglio della Cultura mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto.

 

 

TERZO GIORNO DELLA SETTIMANA DI PREGHIERA PER L’UNITA’ DEI CRISTIANI:

IL REV. DONALD BOLEN CI PARLA DEI RAPPORTI TRA CATTOLICI E ANGLICANI

 

L’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice ha invitato oggi i fedeli a partecipare giovedì prossimo 25 gennaio, alle ore 17.30, ai Secondi Vespri della Solennità della Conversione di San Paolo presieduti da Benedetto XVI nella Basilica Papale di San Paolo fuori le Mura, a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani. Oggi si celebra il terzo giorno della Settimana sul tema “Lo Spirito Santo ci dona la Parola”. Proprio ieri il Papa ricevendo una delegazione ecumenica della Finlandia ha sottolineato che “lo Spirito Santo è il vero protagonista dell’impegno ecumenico”. Un impegno che vede in prima linea Benedetto XVI che in questi 21 mesi di Pontificato ha incontrato numerosi rappresentanti delle confessioni cristiane: tra questi, il 23 novembre scorso in Vaticano, il Primate della Comunione anglicana, l’arcivescovo di Canterbury, il dott. Rowan Williams. Ascoltiamo in proposito, al microfono di Giovanni Peduto, il rev. Donald Bolen che, in seno al Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, si occupa, tra l’altro, dei rapporti tra cattolici e anglicani:

 

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R. – Nonostante la situazione complessa che attualmente è presente nella Comunione Anglicana, la visita è stata molto fruttuosa. Ha aiutato il fatto che Benedetto XVI e l’arcivescovo siano entrambi teologi rinomati. Il Santo Padre e il Primate anglicano si sono trattenuti insieme in dialogo, hanno pregato insieme per l’Ora Media e firmato una Dichiarazione Comune, nella quale si rende grazie per i rapporti positivi di questi ultimi quarant’anni, e hanno richiamato alla testimonianza comune e ad una più stretta collaborazione in una vasta gamma di aree.

 

D. – Il dialogo è comunque sempre foriero di benefici effetti?

 

R. – Uno dei benefici di questo dialogo ecumenico che continua da tanto tempo è la capacità di parlare in modo franco, e allo stesso tempo in uno spirito di amicizia, riguardo alle sfide poste dalle nostre relazioni ecumeniche. Recenti sviluppi in seno alla Chiesa Episcopale degli Stati Uniti e in una diocesi anglicana in Canada che riguardano i riti di benedizione per le coppie omosessuali e l’ordinazione all’episcopato di un vescovo omosessuale sono stati pubblicizzati ampiamente dalla stampa. Nella loro Dichiarazione Comune Papa Benedetto XVI e l’arcivescovo di Canterbury hanno sostenuto che questi sviluppi, che mostrano divisioni in seno alla Comunione Anglicana, presentano seri ostacoli al progresso ecumenico. La recente visita ha tuttavia confermato che il nostro dialogo può e deve continuare. Infatti, come il cardinale Kasper ha affermato nel passato, è precisamente quando nuove difficoltà minacciano di dividerci che il dialogo è ancora più importante.

 

D. – Parliamo ora più specificamente di queste divisioni …

 

R. - E’ importante notare che la Comunione Anglicana nel suo insieme ha continuato ad affermare l’insegnamento tradizionale cristiano sul matrimonio e la sessualità. Le tensione nelle due province anglicane tendono ad attirare la vasta attenzione dei media, anche di quelli religiosi, che parlano ampiamente delle controversie ma non danno sufficiente risalto ai processi di riconciliazione introdotti dagli anglicani. Alla fine di febbraio ci sarà un importante incontro di tutti i primati della Comunione Anglicana. Sicuramente discuteranno delle attuali tensioni in seno alla Comunione Anglicana e nessuno sa esattamente come esse saranno risolte. Quindi da un punto di vista ecumenico noi siamo in una posizione di “aspetta e vedi / attendi e guarda” e preghiamo che la Comunione Anglicana riesca a rimanere una comunione, e che come tale possa mantenere la lunga tradizione della Chiesa sugli attuali punti di controversia. D’altra parte non siamo solo in una attesa passiva. I bisogni e le necessità del mondo richiedono la nostra risposta comune, come indicato dal Santo Padre e dal Primate anglicano.

 

D. – Ma sono state prese anche iniziative a seguito dell’incontro fra il Papa ed il Primate della Comunione Anglicana?

 

R. - Nel corso della recente visita dell’arcivescovo di Canterbury, sono state prese alcune decisioni riguardo le nostre commissioni di dialogo. La Commissione internazionale cattolica – anglicana per il dialogo teologico (ARCIC) ha recentemente completato la sua seconda fase di lavoro con la pubblicazione di un documento sul ruolo di Maria nella dottrina e nella vita della Chiesa. Nei prossimi mesi una commissione preparatoria si incontrerà per discutere su alcuni argomenti da proporre per una terza fase del dialogo. In secondo luogo, nelle prossime settimane, sarà pubblicato un documento preparato dalla seconda commissione di dialogo, la Commissione cattolico–anglicana per l’Unità e la Missione (IARCCUM). Questa Commissione, formata principalmente da vescovi, ha prodotto un documento che offre un sommario delle principali conclusioni di ARCIC nel corso dei 35 anni passati e offre delle proposte pratiche per crescere insieme nella missione e nella testimonianza. Questo testo sarà reso pubblico così da essere studiato e discusso dalle nostre Chiese. Si spera che sarà uno strumento costruttivo nell’aiutare a esprimere il grado di fede condiviso da cattolici e anglicani.

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UNA GUIDA INTELLIGENTE E GENEROSA, CHE SI È PRODIGATA PER IL BENE SPIRITUALE

 E MATERIALE DEI FEDELI: COSÌ IL CARDINALE IGNACE MOUSSA I DAOUD

NELLA SUA LETTERA DI CORDOGLIO ALLA CHIESA INDIANA PER LA SCOMPARSA

DI MONS. CYRIL MAR BASELIOS MALANCHARUVIL, ARCIVESCOVO MAGGIORE

DI TRIVANDRUM DEI SIRO-MALANKARESI

 

Il cardinale Ignace Moussa I Daoud, patriarca emerito di Antiochia dei Siri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, ha espresso in una lettera il suo cordoglio alla Chiesa siromalankarese per la morte di mons. Cyril Mar Baselios Malancharuvil, arcivescovo maggiore di Trivandrum dei Siro-Malankaresi. Una guida intelligente e generosa, lo definisce il porporato, con la mente e con il cuore, che senza risparmiare fatica, si è prodigato per il bene spirituale e materiale dei fedeli. Si deve alla sua tenacia, alla sua intraprendenza e al suo intenso lavoro apostolico, si legge nella lettera del cardinale Daoud, il provvedimento di Giovanni Paolo II che ha elevato la Chiesa siromalankarese al grado arcivescovile maggiore. “Era un insigne pastore, ma per me un incomparabile amico e fratello. Continuiamo … in quella fedeltà alla tradizione orientale e nella comunione col successore di Pietro che egli aveva ereditato dai vostri padri - scrive ancora il porporato alla Chiesa siromalankarese - e che vi ha trasmesso come il più prezioso tesoro”.

 

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti alla riunione plenaria della Pontificia Commissione per l’America Latina: il Papa ha esortato ad incarnare il messaggio della salvezza nell’America Latina di oggi.  

Il discorso del Santo Padre al nuovo ambasciatore di Romania: l’Incontro ecumenico europeo in programma a Sibiu nel settembre del 2007 possa costituire - ha auspicato Benedetto XVI - una tappa importante nel cammino verso l’unità dei cristiani.

 

Servizio estero - In evidenza l’Iraq: accesa polemica fra lo speaker della Camera dei Rappresentanti e la Casa Bianca sulla nuova strategia decisa dal Presidente USA, Bush.

 

Servizio culturale - Un articolo di Luciana Frapiselli da titolo “L’influenza esercitata da Piranesi sul suo tempo attraverso stampe curate fin nel minimo particolare”: in una mostra a Roma l’eclettica personalità di un artista di rara eleganza.

 

Servizio italiano - In rilievo il tema delle liberalizzazioni.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

20 gennaio 2007

 

AL VIA OGGI A NAIROBI, IN KENYA, I LAVORI DEL VII WORLD SOCIAL FORUM.

TEMA CENTRALE: “DIAMO VOCE ALL’AFRICA E ALLA SUA SETE DI GIUSTIZIA”

- Con noi, Sergio Marelli -

 

Un’imponente marcia per la pace partita da Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi, in Kenya, con 800 mila abitanti, ha aperto stamani il World Social Forum, giunto alla VII edizione e per la prima volta organizzato in Africa. “Diamo voce all’Africa e alla sua sete di giustizia” è il tema centrale dell’evento, cui partecipano circa 100 mila rappresentanti della società civile. 1200 le iniziative in programma fino al 25 gennaio, per confrontarsi sui grandi temi globali della sovranità e autodeterminazione dei popoli, delle attese di pace e di giustizia, dei diritti al cibo, alla salute, all’istruzione e al lavoro per ogni abitante del pianeta. E sulla marcia di questa mattina, ascoltiamo da Nairobi Marina Piccone:

 

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Una folla di 40 mila persone ha attraversato, cantando e ballando, le vie della città, raggiungendo infine Uhuru Park, il Parco della Libertà. Sul palco, allestito nel cuore del grande parco, il primo presidente della Zambia libera, Kenneth Kaunda, ha salutato i partecipanti insieme a Flavio Lotti, responsabile della Tavola per la pace, l’organismo italiano che ha fatto parte del Comitato organizzatore internazionale e che ha condotto a Nairobi 250 persone. Per la cerimonia di apertura, è prevista anche la traduzione nella lingua dei segni per i sordomuti. Hanno partecipato veramente in tanti oggi. Padre Kizito, il padre comboniano che qui a Nairobi gestisce comunità di bambini di strada, dice che non ha mai visto una cosa del genere. A piedi, su camionette, persino su cammelli, donne, uomini e bambini hanno dato il loro contributo per la pace. La statua di una donna incinta crocifissa rappresenta la sofferenza delle donne africane e la folta delegazione degli abitanti delle baraccopoli partecipa a nome dei due milioni e mezzo di baraccati di Nairobi alla marcia. “Senza casa, ma non senza speranza”, si legge sulle loro magliette.

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E sull’importanza della presenza cattolica al World Social Forum di Nairobi, ascoltiamo, al microfono di Luca Collodi, il presidente delle ONG italiane e della FOCSIV, che riunisce le associazioni di volontariato cattoliche, Sergio Marelli:

 

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R. - Non va mai dimenticato che all’origine proprio di questi forum sociali mondiali, già dalla sua prima edizione, c’è stata una forte spinta del mondo cattolico e quindi una presenza che, fin dalla sua origine, è stata caratterizzata anche da un apporto positivo e significativo del nostro mondo, e che anche quest’anno, come in tutte le altre edizioni, vuole in qualche modo portare anche la nostra sensibilità, i nostri valori e anche le nostre proposte, le nostre prospettive e visioni insieme a questo grande happening, questo grande appuntamento dove molte culture, molte religioni, molte sensibilità, si metteranno ancora una volta a confronto per costruire delle prospettive sostenibili.

 

D. – L’Africa sarà un po’ al centro di Nairobi 2007. Quindi, si parlerà dei conflitti africani, delle possibili soluzioni, dell’economia africana. Ma forse si parlerà anche molto di Nazioni Unite, saranno un po’ alla base di tanti dibattiti, di tanti discorsi…

 

R. - E’ fuori dubbio che sullo scenario resta questo grande problema che è un problema al tempo stesso di grande dibattito e discussione, ma è anche un grande problema che vede tra le priorità, per esempio della FOCSIV, e non solo, proprio quella di come dare vita a un cosiddetto “governo” mondiale, meglio dire una governance, cioè una governabilità di questo pianeta, con le sue problematiche ormai diventate sopranazionali, che sembra andare, in qualche modo, verso degli scenari futuri di grande preoccupazione. La riforma delle Nazioni Unite – cioè ritrovare un rilancio, una riforma, una riorganizzazione di questa che resta l’unica organizzazione internazionale candidata a potere farsi carico di questo problema della governabilità – è chiaro che sta sullo sfondo e un po’ attraversa tutte le discussioni che caratterizzeranno il Forum sociale mondiale di Nairobi. Perché è chiaro che senza un riconoscimento, un rafforzamento, senza in qualche modo che gli Stati nazionali cedano parte della propria sovranità a delle organizzazioni internazionali, risulta sempre più difficile affrontare queste gravi problematiche che attraversano trasversalmente il nostro pianeta.

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E sempre a Nairobi, si è concluso ieri un incontro della famiglia ignaziana – che riunisce sacerdoti e religiosi gesuiti, ma anche collaboratori e laici che condividono la spiritualità di Sant’Ignazio di Loyola – in preparazione ai lavori del World Social Forum. Al centro del dibattito, iniziato mercoledì, la ricerca di una strategia comune per raggiungere una maggiore coesione familiare in tutto il mondo. Ce ne parla Uta Sievers:

 

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Come ha osservato uno dei presenti, si è trattato di “un’occasione per condividere speranze e per ottenere una visione più ampia e veritiera di quanto avviene in Africa e nel mondo". Suor Ephigenia Gachiri, proveniente dal Kenya, ha descritto come si è avvalsa della pedagogia ignaziana per combattere la mutilazione genitale femminile. Si era resa conto che la pratica era errata e priva di fondamento scientifico; ma che, per contro, nei riti tradizionali legati al passaggio all’età adulta c’erano molti aspetti positivi. Ha quindi modificato il rito, eliminando da esso uno degli elementi rituali. “Non dobbiamo mai dimenticare - ha precisato suor Ephigenia - che trasformare una società non significa distruggere del tutto la sua cultura e le sue tradizioni”. Parlando dei valori ignaziani, padre Valerian Shirima, giunto dalla Tanzania, ha spiegato che “il nostro impegno fattivo per la trasformazione del mondo imita l’azione della Trinità. L’incarnazione è un segno dell’impegno di Dio nei confronti di ciascun essere umano – ha aggiunto – siamo tutti chiamati, senza esclusione, ad essere famiglia e a prendere parte al Banchetto di Dio”. Al termine dell'incontro si è avuta l'impressione che i partecipanti non fossero più un gruppo di estranei, bensì membri di un'unica famiglia, una famiglia che accetta la diversità come elemento costitutivo del proprio essere e che procede su questa direttrice.

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FESTA DELL’UNITALSI OGGI NELL’AULA PAOLO VI IN VATICANO

- Intervista con Alessandro Pinna -

 

 “Servire oggi”: questo il tema della prima giornata di Adesione all’UNITALSI di Roma, in programma oggi in Vaticano, nella Aula Paolo VI. Oltre 5 mila persone tra volontari, disabili e bisognosi di cure hanno assistito, stamane, alla celebrazione eucaristica. Nel pomeriggio, alle 16, seguirà una riflessione di mons. Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, sulla figura della Beata Madre Teresa di Calcutta. Ma quale obiettivo si pone questa giornata? Isabella Piro lo ha chiesto ad Alessandro Pinna, presidente UNITALSI Roma:

 

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R. – L’impegno che io vorrò dare a tutti i nostri volontari è quello di portare 365 giorni all’anno il sorriso alle persone che si trovano in difficoltà.

 

D. - Al centro della giornata, anche una riflessione sulla figura della Beata Madre Teresa di Calcutta: cosa rappresenta per l’UNITALSI questa religiosa?

 

R. – Ci dà la forza. Come lei ha potuto servire gli ultimi, i bisognosi, così noi la dobbiamo prendere ad esempio, affinché riusciamo a portare veramente il Signore attraverso il nostro servizio.

 

D. – Quanti sono i giovani che aderiscono alle vostre iniziative?

 

R. – Molti giovani partecipano ai nostri pellegrinaggi. Noi, in particolar modo, nella nostra sezione romano-laziale, abbiamo un treno, il treno dei bambini malati, a Loreto, che facciamo tutti gli anni a giugno. E’ chiamato il treno della gioia. Potrebbe sembrare un controsenso, ma se sentiamo parlare questi giovani, sentiamo parlare queste mamme, non fanno altro che ringraziare, perchè i loro figli sono visti senza diversità.

 

D. – La realtà di Roma è sicuramente molto complessa: tra i tanti progetti che seguite, qual è quello più rilevante, secondo Lei?

 

R. – Un progetto che ci sta molto a cuore è ilprogetto bambini’. Abbiamo a Roma quattro case di accoglienza, vicino al Policlinico pediatrico Bambin Gesù e due vicino all’Oncologico del Gemelli, dove ospitiamo gratuitamente le famiglie che devono venire a Roma per poter curare i propri figli. 

 

D. – Lei si è recato spesso a Lourdes insieme ai malati: c’è un episodio che ricorda in particolar modo?

 

R. – Era il mio primo pellegrinaggio. Una signora in carrozzina, che non riusciva a parlare e parlava attraverso un alfabeto scritto, mi ha chiesto di accompagnarla alla grotta e mi ha detto: “Io sono qui per pregare per mia nipote che ha dei problemi”. Quello che mi ha colpito è che noi andiamo lì e chiediamo, chiediamo, chiediamo. Loro vanno lì e pensano prima agli altri e poi a loro stessi. Non so quante volte noi riusciamo a fare questi gesti. Partiamo con la convinzione che andiamo a donare. Tornando a Roma ci siamo resi conto che i malati hanno donato a noi, ci hanno donato la forza di vivere, la forza di andare avanti, il loro sorriso, nonostante le loro difficoltà.  

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NEI CINEMA, IN ITALIA, IL FILM DI AL GORE “UNA SCOMODA VERITA’”

- Intervista con Al Gore -

 

         Da ieri sugli schermi italiani, dopo l’inaspettato successo americano, Una scomoda verità, un appassionato film nel quale Al Gore, ex vice-presidente degli Stati Uniti, qui in veste di attore e realizzatore, denuncia il pericolo, per il nostro pianeta e per l’umanità, innescato dal surriscaldamento globale. Il servizio di Luca Pellegrini.

 

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(musica)

“Questa mattina all’alba, l’uragano Katrina si è abbattuto su New Orleans. E’ possibile che ci si debba preparare ad ulteriori minacce oltre a quella del terrorismo?”

 

Domanda di genuina gravità: minaccia da chi? Meglio: da che cosa? E’ possibile che la meravigliosa creazione, il nostro pianeta Terra, la bellezza della natura, il perfetto meccanismo biologico che è iscritto nei fenomeni che ci circondano e ci permettono la sopravvivenza, è possibile che tutto questo possa diventare una minaccia subdola e devastante?  Al Gore, politico americano che mancò la Casa Bianca ed ora neo-regista impegnato nella causa ecologista, pone un’inquietante citazione di Mark Twain all’inizio del suo documentario: “A metterci nei guai non è ciò che sappiamo, ma ciò che pensiamo sia la verità e, invece, non lo è”. Una verità scomoda, dunque: l’intero sistema climatico è sconvolto, il surriscaldamento globale è una minaccia vera per l’umanità, l’assenza di scrupoli, di morale e di obiettività, rende i prossimi decenni estremamente problematici e vulnerabili. Il film è sincero e rigoroso: Al Gore fa riprendere una sua lezione eco-scientifica – una delle tante che ha tenuto nei più diversi Paesi del mondo– e, dati alla mano, con grafici, immagini, dichiarazioni, esempi, traccia un ritratto alquanto doloroso e impietoso sullo stato di salute del nostro pianeta. Un urgente appello etico suggella l’impegno del regista: la terra ha ancora molte risorse, spetta all’umanità sentire l’improrogabile necessità di saperle equamente condividere, rispettando tutto ciò che nei sei giorni precedenti alla creazione di Adamo è stato poi messo nelle sue mani. Una dichiarazione dello stesso Al Gore spiega, infine, ai nostri microfoni, i motivi che lo hanno condotto a realizzare Una scomoda verità:

 

R. – I hope this film will help to promote a conversation …

Spero che questo film aiuti a promuovere un dialogo e sfidi tutti noi a fare esperienza di ciò che solo poche generazioni nella storia hanno avuto il privilegio di conoscere. E’ la missione di una generazione, un proposito morale obbligato, un corso condiviso e unico, forzato dalle circostanze. Bisogna mettere da parte la meschinità e il conflitto, che è ciò che ci frena. Questa crisi climatica è una sfida per ogni cittadino di questo pianeta. Noi dobbiamo unirci, perché ci vuole la cooperazione globale dei governi, delle varie amministrazioni e della società civile, per trascendere i nostri limiti e per sollevarci e risolvere questa crisi. Se questo film vi ispirerà - e spero proprio sarà così – ci sono così tanti passi che ciascuno di voi può fare per fare la differenza ed essere parte di questa soluzione.

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IL VANGELO DI DOMANI

 

 

Domani, 21 gennaio, terza Domenica del Tempo Ordinario, la Liturgia ci presenta l’inizio del Vangelo secondo Luca, indirizzato all’illustre Teòfilo. L’evangelista racconta l’episodio in cui Gesù si reca nella sinagoga di Nazareth e legge un passo del Libro di Isaia dove è scritto: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”. Gesù quindi dice:

 

 «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».

 

Su questo brano evangelico, ascoltiamo il commento del teologo gesuita, padre Marko Ivan Rupnik:

 

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Luca comincia il suo Vangelo parlando del racconto degli “eventi successi tra di noi”. Ritiene di essere in grado di ordinare un resoconto all’illustre Teofilo, perché lui si possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che ha ricevuto. Questo insegnamento è Gesù Cristo. Luca non incomincia solo a parlare di Gesù Cristo, ma lo mette direttamente in relazione con lo Spirito Santo nella sola forza del quale noi siamo in grado di dire: “Nostro Signore e Nostro Dio!”. Gesù Cristo è la Parola, quella concreta Parola che è giunta all’antico Israele per mezzo dei profeti e che si ascoltava di generazione in generazione. Questa stessa Parola che la gente ascoltava con le proprie orecchie, ora la vede con i propri occhi. L’orecchio e l’occhio, l’udire e il vedere, la parola e l’immagine: ascoltando la Parola e portandola con amore nel cuore, le si diventa simili. E questa è la nostra vita custodita in Cristo.

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CHIESA E SOCIETA’

20 gennaio 2007

 

 

UN PIANO DI SVILUPPO NAZIONALE IL CUI CENTRO SIA LA PERSONA UMANA:

È QUANTO AUSPICANO I VESCOVI DI PANAMÁ, AL TERMINE

DELLA LORO 178.MA ASSEMBLEA PLENARIA

- A cura di Luis Badilla -

 

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PANAMÁ. = “E’ urgente procedere all’elaborazione di un Piano di sviluppo nazionale il cui centro sia la persona umana”: è quanto affermano i vescovi di Panamá, nel documento finale della loro 178.ma Assemblea plenaria, conclusasi lo scorso 12 gennaio a Panamá. I presuli esortano governanti, dirigenti sociali e partiti politici a lavorare per la crescita nazionale “con una chiara visione del Paese e un’opzione per i poveri, che garantisca le condizioni di giustizia ed equità che richiede tutta la popolazione panamense, per la quale è necessario rispettare le intese raggiunte”. Rispetto all’approvazione del Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, i vescovi di Panama esortano a tener conto “dell’indicatore morale degli accordi, che dovrebbe suscitare un effetto positivo sulla vita e sulla dignità delle famiglie e dei lavoratori poveri e vulnerabili”. Sebbene nel Paese si sia verificata una crescita economica impressionante – sottolineano i presuli – “continuiamo a mantenere alcuni livelli di povertà vergognosamente alti, perché non siamo stati capaci di riuscire ad avere la partecipazione di tutti nella produzione e nella distribuzione della ricchezza”. Quindi, un riferimento alla V Conferenza Generale del CELAM, il Consiglio episcopale latinoamericano, in programma a maggio in Brasile, che servirà, secondo i presuli panamensi, “a rivedere la nostra identità cattolica e a dare un nuovo impulso alla nostra azione, attraverso una grande missione per rispondere alle sfide della realtà attuale, dove i nostri Paesi attendono, con ansia, di realizzare una società giusta, equa, solidale ed in pace”. I presuli chiedono allora a tutta la comunità panamense di pregare affinché “nel Santuario di Nostra Signora di Aparecida, avvenga una nuova Pentecoste, che spinga la Chiesa del continente, con il fervore dei primi discepoli, all’annuncio del regno di giustizia e di pace”. Infine, vengono rese note le nomine per il triennio 2007 – 2010: è mons. José Luis Lacunza Maestrojuán, vescovo di David, il nuovo presidente della Conferenza episcopale di Panamá, mentre mons. José Domingo Ulloa Mendieta, vescovo ausiliare di Panamá, è stato eletto segretario generale.

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I LAICI DELLA CHIESA INDIANA RISCHIANO DI ESSERE EMARGINATI

DALLA PASTORALE: LO RIVELA UN’INDAGINE

DELLA COMMISSIONE EPISCOPALE PER IL LAICATO.

IL PRESIDENTE DEI VESCOVI INDIANI DI RITO LATINO, MONS. GRACIAS:

OCCORRE UNA MAGGIORE COLLABORAZIONE FRA CLERO E LAICI

 

KOCHI. = Più spazio ai laici nella vita della Chiesa indiana: è quanto ha chiesto   l’arcivescovo di Mumbai e presidente della Conferenza episcopale indiana di rito latino, mons. Oswald Gracias, commentando i risultati di un’indagine condotta dalla Commissione episcopale per il laicato, che segnala il rischio di un’emarginazione dei laici dalla pastorale. “La Chiesa dovrebbe pian piano eliminare l’errata concezione che riduce i laici a ‘gregge passivo’”, ha affermato mons. Gracias che, durante un incontro con altri vescovi locali, ha sottolineato la necessità di un laicato più presente nella leadership dei programmi pastorali, nell’associazionismo, nel proporre iniziative per animare con i valori cristiani la società e la politica.  “I laici devono ricoprire un ruolo importante nella comunità ecclesiale, in tutti i campi dell’apostolato – ha aggiunto – soprattutto nella società, nella politica, nei mass-media, nell’istruzione”. Il presule ha insistito su una maggiore collaborazione fra clero e laici nelle diverse realtà ecclesiali, notando che i laici sono presenti in realtà in cui preti e religiosi non hanno accesso, e quindi hanno una specifica potenzialità di evangelizzazione che abbraccia anche la valorizzazione del contributo femminile. Al laicato oggi è affidato gran parte del lavoro missionario, a partire dalle famiglie, da piccoli gruppi che mettono al centro della vita la Parola di Dio e l’amore per i poveri. “I laici - ha concluso l’arcivescovo di Mumbai - sono chiamati ad essere protagonisti nella Chiesa, per difendere l’identità cristiana nella società e per svolgere un importante lavoro di sensibilizzazione ed evangelizzazione, in accordo con la dottrina sociale della Chiesa”. (T.C.)

 

 

PERPLESSITA’ DELLA CHIESA PAKISTANA PER IL PROGETTO DI RIFORMA

DELLA SCUOLA AL VAGLIO DEL GOVERNO MUSHARRAF, CHE MANTIENE

LO STUDIO OBBLIGATORIO DELLA RELIGIONE ISLAMICA

 

LAHORE. = In Pakistan, continua a suscitare forti preoccupazioni da parte della Chiesa cattolica il progetto di riforma dell’insegnamento scolastico attualmente allo studio del governo Musharraf. Da tempo, le minoranze religiose pakistane accusano i programmi e i testi scolastici in uso nel Paese di istigare all’odio settario per i loro contenuti discriminatori verso i credenti non musulmani. In risposta, il governo ha deciso di avviare un processo di riforma e lo scorso dicembre ha pubblicato un Libro Bianco in cui illustra le proposte, chiedendo il parere delle minoranze. Il progetto è giudicato insufficiente e incoerente dai vescovi e dagli educatori cattolici, che lamentano di non essere stati consultati durante lo studio della nuova politica educativa. La questione è stata discussa nei giorni scorsi durante una conferenza organizzata a Lahore dalla Commissione episcopale Giustizia e Pace e dalla Conferenza dei Superiori maggiori del Pakistan. I partecipanti, tra cui vescovi e direttori scolastici cattolici, hanno segnalato i numerosi pregiudizi contenuti nei libri di testo contro cristiani, indù ed ebrei. Ma la principale obiezione riguarda lo studio della religione islamica (Islamiyat), che nel progetto di riforma resta materia obbligatoria. Secondo i relatori del convegno, l’insegna-mento della religione dovrebbe essere invece facoltativa. In questo senso, si era espresso l’estate scorsa il presidente della Conferenza episcopale pakistana, mons. Lawrence John Saldhana, che in una lettera aperta al presidente Musharraf aveva proposto di sostituire l’ora di religione con un’ora di etica. (L.Z.)

 

 

CONTRO LE CRESCENTI VIOLENZE SUI BAMBINI E GLI ADOLESCENTI

IN AMERICA LATINA E NEI CARAIBI, UNA “DICHIARAZIONE INTERRELIGIOSA”

DELLE PRINCIPALI ORGANIZZAZIONI LOCALI

 

SANTA CRUZ DE LA SIERRA. = “Considerando che sta diminuendo il rispetto per il diritto alla vita di molti bambini, bambine e adolescenti dell’America Latina e dei Carabi, sentiamo la necessità di unire gli sforzi per prevenire, diffondere ed educare la società latinoamericana e caraibica, per superare tutte le forme di violenza di cui soffre questa fascia di popolazione”: è quanto affermano i rappresentanti delle principali organizzazioni religiose regionali dell’America Latina e dei Carabi nella prima “Dichiarazione interreligiosa sulla situazione dell’infanzia in America Latina e nei Caraibi”, che sintetizza le conclusioni della Consulta interreligiosa latinoamericana e caraibica sull’infanzia, celebrata a Panama nel giugno scorso, insieme all’Ufficio regionale per le Americhe e i Carabi del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF/TACRO). Nel documento, emesso durante la recente sessione di Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, e citato dall’agenzia ZENIT, i rappresentanti religiosi riaffermano “il valore indiscutibile di ogni vita umana, soprattutto quella di bambini, bambine e adolescenti”. La violenza che li minaccia – affermano – “ha ora un impatto sempre più negativo, perché si infiltra nelle nostre case, nei centri educativi, nelle strade, e – dobbiamo esserne consapevoli – anche nelle nostre comunità di fede”. “Per questo – aggiungono i rappresentanti – la nostra priorità nell’agenda degli impegni comuni sarà quella di vigilare, distinguere, identificare e denunciare tutte le manifestazioni di violenza contro questa fascia di popolazione che possano avvenire in spazi collegati alla nostra vita religiosa e spirituale, nella famiglia, nella scuola e nella comunità, anche quando provengono da individui, istituzioni, regimi o credenze”. Un’attenzione particolare è poi rivolta alla “diffusione dell’HIV/AIDS tra i bambini e gli adolescenti dell’America Latina e dei Caraibi”, un fenomeno che “deve impegnare le comunità religiose e spirituali a coinvolgersi in tutti gli sforzi volti a prevenire e combattere la propagazione di questa pandemia, agendo come comunità sicure in cui i bambini, le bambine e gli adolescenti possano avvicinarsi e ricevere informazioni e assistenza su questa malattia”. “A questo scopo – concludono – le comunità religiose e spirituali dovranno motivare e istruire il personale specializzato per quest’opera”. (R.M.)

 

 

RIDOTTO DEL 75% IN AFRICA E DEL 60% NEL RESTO DEL MONDO

IL TASSO DI MORTALITA’ DA MORBILLO. IL DATO, DIFFUSO DALL’OMS

E DAI PARTNER DELL’“INIZIATIVA CONTRO IL MORBILLO”,

E’ CONSIDERATO “UNA VITTORIA STORICA PER LA SANITÀ MONDIALE”

 

NEW YORK.= Dal 1999, il tasso di mortalità da morbillo è sceso del 75% in Africa e del 60% nel resto del mondo. Lo ha annunciato l’OMS, insieme ai partner dell’“Iniziativa contro il morbillo”: UNICEF, American Red Cross, United Nation Foundation, CDC (United States Centers for Disease Control and Prevention), che hanno definito il risultato “una vittoria storica per la sanità mondiale”. Secondo il Rapporto, i casi mortali di morbillo, passati da 873 mila nel 1999 a 345 mila nel 2005, sarebbero il frutto delle ultime campagne di vaccinazione lanciate nei 45 Paesi più colpiti e di un efficace monitoraggio della malattia. Inoltre, si sono rivelati necessari gli interventi salva-vita e le cure integrate a favore dei bambini al di sotto dei cinque anni, che hanno rappresentato la quasi totalità delle 340 mila morti registrate nel 2005. Quasi un terzo delle vittime proviene dal continente africano, che conta 126 mila decessi, inferiori del 75% rispetto a quelli di 6 anni fa. “La nostra promessa di dimezzare le morti da morbillo e di salvare la vita a centinaia di migliaia di persone, non solo è stata mantenuta, ma siamo andati oltre le aspettative", ha dichiarato Margaret Chan, direttore generale dell’OMS, secondo cui i dati fanno sperare in un debellamento totale della malattia. “In teoria – ha affermato Peter Strebel, coautore dello studio per l’OMS – il virus del morbillo può essere debellato perché l’uomo è l’unico portatore e abbiamo un vaccino sicuro e efficace”. (A.D.F.)

 

PRESENTATO STAMANI A MILANO IL LIBRO “UMANIZZAZIONE, STORIA ED UTOPIA”,

CHE RACCOGLIE TESTI E INTERVENTI DI FRA PIERLUIGI MARCHESI,

SUPERIORE GENERALE DELL'ORDINE FATEBENEFRATELLI, SCOMPARSO NEL 2002

- A cura di Fabio Brenna -

 

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MILANO. = “Umanizzare” il rapporto col malato. E’ una sfida quanto mai attuale quella lanciata 25 anni fa da fra Pierluigi Marchesi, superiore generale dell'Ordine Fatebenefratelli, scomparso nel 2002. La nuova antologia “Umanizzazione, storia ed utopia”, presentata stamani a Milano, durante il convegno “Umanizzazione in Sanità: storia o utopia”, raccoglie testi e interventi di fra Marchesi e rilancia la meta dell’umanizzazione della medicina. Il cardinale Fiorenzo Angelini, già presidente del Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari, scrive nella prefazione dell’antologia che, “in anticipo sui tempi, Marchesi aveva compreso che l’umanizzazione della medicina non attiene soltanto alla prevenzione, alla diagnosi, alla terapia e alla riabilitazione per il miglior equilibrio psico-fisico della persona, ma anche a tutto ciò che riguarda la politica, la legislazione, la programmazione e l’amministrazione sanitaria propria di ciascun Paese, cioè quella che chiamiamo abitualmente Sanità”. “Non si tratta di un’operazione d’immagine – ha detto fra Marco Fabello, direttore della rivista Fatebenefratelli – ma dell’impegno di farsi carico della persona malata e della sua personalità, di accompagnare il malato rimettendolo al centro del sistema sanitario, spodestando – come denunciava già fra Marchesi – gli ‘usurpatori’ che mettono al centro se stessi e la loro funzione di operatori sanitari”. L’impegno va ora concentrato sull’aspetto della formazione: nei curricula degli operatori sanitari non sono obbligatori, infatti, insegnamenti che hanno a che fare con l'umanizzazione della medicina e del sistema sanitario. Nel corso del convegno milanese è stato presentato, inoltre, il documento “Umanizzazione della cura”. E' un tentativo di mettere in rete le varie organizzazioni, associazioni e strutture cattoliche che operano nel settore sanitario. Uno strumento di conoscenza reciproco, di impegno ad operare per mettere al centro dell’azione il malato e una dichiarazione d’intenti per sinergie che consentano di affrontare le sempre più impegnative sfide economiche e normative del settore.

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24 ORE NEL MONDO

20 gennaio 2007

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

        

Dura condanna delle autorità turche sull’omicidio del giornalista armeno Hrant Dink, assassinato ieri a colpi di arma da fuoco ad Istanbul. Dink, 53 anni, era stato condannato nell’ottobre 2005 a sei mesi di prigione con la condizionale per insulto all’identità nazionale turca, per le sue denunce sul genocidio degli armeni durante la Prima Guerra Mondiale. La polizia ha fermato 8 persone per l’omicidio ed il primo ministro Erdogan ha definito l’accaduto un attentato alla pace e alla stabilità del Paese. Anche l’Unione Europea – attraverso il commissario all'allargamento Olli Rehn – ha parlato di “brutale atto di violenza” di “un rispettabile intellettuale che contribuiva ad aprire un dibattito pubblico” sulla causa armena. Ma la morte di Hrant Dink va davvero collegata al suo impegno per il riconoscimento del genocidio degli armeni? Giada Aquilino lo ha chiesto ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera e grande conoscitore delle questioni turche:

 

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R. - Assolutamente sì, tra l’altro Dink era uno di quegli intellettuali di punta che sostenevano la necessità di una discussione sulla morte - tra il ‘15 e il ‘17 in Turchia - di un milione e mezzo di armeni. Lui era di origine armena ed era il direttore del settimanale Agos, scritto in due lingue: turco e armeno. Dink era praticamente il simbolo degli armeni di Turchia - circa 80 mila – e proprio il suo impegno lo aveva portato molte volte ad essere bersaglio di pesanti minacce da parte degli ultranazionalisti turchi, che lo consideravano un traditore.

 

D. – Quindi qual è la pista che si segue?

 

R. – Proprio questa degli ultranazionalisti e dell’estrema destra, di quelli che noi conosciamo meglio come Lupi Grigi, pure se appartengono ad un gruppo legato ad uno schieramento che è stato anche partito di governo, l’MHP. Ora, secondo i sondaggi, alle elezioni di novembre, proprio l’MHP - in vista di questa ondata ultranazionalista che sta montando, anche sulla base della disaffezione nei confronti del cammino intrapreso dalla Turchia per entrare nell’Unione Europea - potrebbe superare la barriera del 10 per cento e presentarsi in Parlamento.

 

D. – Proprio in vista delle presidenziali di maggio e delle politiche di novembre, l’omicidio di Dink rischia di inasprire il confronto politico?

 

R. – Assolutamente sì. Tra l’altro, questo è un anno delicatissimo per la Turchia perché alle elezioni presidenziali di maggio, il candidato che può contare su un sostegno talmente vasto in Parlamento da poter essere quasi sicuro della sua nomina a capo dello Stato è proprio il primo ministro Erdogan. Ma se Erdogan dovesse abbandonare il partito per diventare presidente della Repubblica, l’AKP – guidato proprio dall’attuale premier - rischierebbe a novembre di subire un tracollo elettorale, perché un partito senza la guida di Erdogan sarebbe un partito più fragile.

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“La continuità della politica italiana verso l’adesione della Turchia all’Unione Europea prescinde dai governi”. Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, nell’intervista concessa all’agenzia di stampa turca “Anadolualla vigilia della sua visita in Turchia. “Ci uniscono – ha detto Prodi - la nostra appartenenza alla comune dimensione mediterranea, l’esposizione ai rischi dovuti all'instabilità della regione mediorientale, ma anche una storia secolare intessuta di fecondi momenti di scambio e reciproca conoscenza”.

 

In Iraq le truppe irachene, impegnate a garantire stabilità e sicurezza, continuano ad incontrare grandi ostacoli: molti soldati curdi stanno disertando, infatti, per evitare di essere inviati a Baghdad e partecipare ad operazioni di smantellamento delle milizie sciite. Per la maggioranza dei curdi iracheni, il problema principale è la sicurezza del Kurdistan. Molti temono, poi, che prendere parte ad operazioni militari nella capitale possa coinvolgerli in violenze e scontri tra sciiti e sunniti. Il premier iracheno, Nouri Al Maliki, ha deciso di inviare a Baghdad truppe curde perché l’esercito regolare iracheno è composto in maggioranza da sciiti, non giudicati affidabili nel contrastare le milizie sciite legate all’imam radicale Moqtada Al Sadr.

 

In Afghanistan, cinque soldati della NATO sono morti per l’esplosione di un’autobomba nel sud del Paese. In Italia, intanto, il governo resta diviso sull’opportunità di prorogare, o meno, la missione nel Paese asiatico. La sinistra radicale chiede un vertice di maggioranza per ridiscutere la missione e i verdi lanciano “una proposta pacifista”. Rifondazione comunista sollecita inoltre “una soluzione unitaria, che segni un’ulteriore discontinuità rispetto al passato”. Il primo ministro italiano, Romano Prodi, è intenzionato, invece, a chiedere la fiducia sul decreto per rifinanziare la missione in Afghanistan.

 

In Italia, la maggioranza di centrosinistra resta divisa anche sull’ampliamento della base militare americana a  Vicenza. Almeno cento persone hanno partecipato a Roma al sit-in davanti a alla Camera per dire ‘no’ all’ampliamento. Hanno aderito alla manifestazione parlamentari di Rifondazione Comunista e dei verdi. Anche il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, si è detto contrario all’allargamento. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, ha invece dichiarato nei giorni scorsi che il governo non si oppone all’ampliamento della base.

 

Una nuova fase delle proteste dell’opposizione libanese guidata da Hezbollah contro il governo del premier Fuad Siniora è stata annunciata, nella notte, dal leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah. Il capo del movimento sciita ha nuovamente sollecitato, durante un’intervista televisiva, la formazione di un nuovo esecutivo di “unità” e la “convocazione di elezioni anticipate. L’opposizione ha lanciato in Libano, dallo scorso primo dicembre, una campagna di proteste con sit-in e manifestazioni contro il governo di Fuad Siniora. Secondo analisti locali, l’escalation delle proteste antigovernative potrebbe avere come obiettivo il rafforzamento del potere negoziale di Hezbollah in vista di un compromesso con il premier libanese.

 

Il ciclone Kyrill ha iniziato a perdere la sua forza ma il bilancio delle vittime è pesante: i morti sono almeno 40 morti e decine i feriti. In diverse aree del nord Europa il traffico aereo è tornato alla normalità. Ma restano disagi sulle strade e nei collegamenti marittimi e ferroviari. Secondo il WWF, l’Europa rischia di dover pagare fino a 2 miliardi di dollari per danni provocati da eventi catastrofici come Kyrill.

 

Nelle Filippine, il governo ha annunciato che il corpo di un uomo, rimasto ucciso durante scontri avvenuti a settembre tra estremisti e truppe filippine, è quello di Khaddafy Janjalani, capo del gruppo islamico “Abu Sayyaf”. Secondo gli inquirenti, la formazione terroristica filippina è legata ad Al Qaeda. Nei giorni scorsi è stato inferto un altro duro colpo al gruppo “Abu Sayyaf”: nel sud del Paese soldati governativi hanno ucciso, lo scorso 16 gennaio, uno dei più importanti leader dell’organizzazione terroristica, Abu Sulaiman.

 

La Cina non ha ancora ufficialmente commentato la notizia di un suo recente test missilistico. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese si è limitato a dire che la Cina “non rappresenta una minaccia” ma diversi Stati hanno già espresso i loro timori. Il nostro servizio:

 

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Gli Stati Uniti e altri Paesi hanno espresso preoccupazione dopo che la Cina ha effettuato con successo un test missilistico, distruggendo un proprio satellite in orbita attorno alla Terra. “Gli Stati Uniti ritengono che lo sviluppo e il test di una simile arma non si accordi con lo spirito di cooperazione cui aspirano i due Paesi nell’area civile dello spazio”, ha dichiarato il portavoce del Consiglio nazionale di Sicurezza americano. Proteste ed espressioni di preoccupazione sono giunte anche da Australia, Canada e soprattutto dal Giappone. Si temono, infatti, nuove e pericolose fratture nelle relazioni, già difficili, tra i governi di Pechino e Tokyo. Il rischio di nuove laceranti contrapposizioni è reale: i Paesi che possiedono paesi chee,le ha anche inviato recentemente la missione. 7600 militari nel Paese africano per stabilizzare la situazione,. armi spaziali, tra cui gli Stati Uniti, possono aspirare ad una posizione di netta supremazia. Le armi spaziali possono essere utilizzate, infatti, per privare un eventuale nemico dei suoi satelliti per l’osservazione, la navigazione e le previsioni meteorologiche. In passato, solo gli Stati Uniti e l’allora Unione Sovietica hanno condotto test per la distruzione di satelliti. Erano gli anni ‘80  e dopo oltre 20 anni, quei timori tornano adesso a destare nuove preoccupazioni. Il test cinese, non ancora confermato ufficialmente da Pechino, potrebbe dar luogo, infatti, ad una inquietante corsa agli armamenti nello spazio.

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Nuovi casi di influenza aviaria in Asia e in Africa: in Indonesia una donna è morta a causa del virus H5N1 dopo essere venuta a contatto con pollame infetto. L’influenza aviaria ha causato, poi, un’altra vittima in Egitto. Anche in questo caso si tratta di una donna. Ma l’allarme resta alto soprattutto nei Paesi asiatici: in Corea del Sud sono stati abbattuti 386 mila polli infetti e in Giappone è stato scoperto un nuovo focolaio in una provincia sudorientale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), il virus H5N1 ha contagiato in totale, dal dicembre del 2003, 258 persone provocando almeno 150 morti.

 

In Somalia, una colonna di carri armati è stata attaccata da un commando armato a sud di Mogadiscio. Lo hanno riferito testimoni locali precisando che sono rimaste uccise almeno 4 persone. La Commissione Pace e Sicurezza dell’Unione Africana ha annunciato, intanto, il prossimo invio di 7600 militari nel Paese africano per stabilizzare la situazione. Al momento, però, solo l’Uganda si è detta pronta a fornire truppe per la missione di pace in Somalia. 

 

Rafforzare la democrazia e promuovere lo sviluppo. Sono le priorità emerse dal vertice del MERCOSUR, il Mercato comune dell’America meridionale conclusosi ieri a Rio de Janeiro. Il servizio di Maurizio Salvi:

 

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Pur senza realizzare visibili passi in avanti nel consolidamento del blocco, il 33.mo vertice di Rio si è concluso lasciando gli analisti convinti che l’integrazione sudamericana, semmai sarà una realtà, può avvenire solo attraverso le strutture di un MERCOSUR riformato. Per questo il ministro degli Esteri brasiliano, Celso Amorin, ha invitato a non fermarsi alle apparenze e a considerare le discussioni e le polemiche fra i Paesi membri associati e osservatori dell’organizzazione, come avviene in una famiglia che è impegnata a rafforzarsi e a crescere. Una polemica è sorta, in effetti,  ieri fra i presidenti di Bolivia e Colombia, Evo Morales e Alvaro Uribe. Il documento finale ha riaffermato l’impegno del MERCOSUR per il consolidamento della democrazia nella regione  per lo sviluppo ed il benessere di tutti i suoi cittadini. La riduzione delle asimmetrie economiche e sociali – si dice ancora – è l’obiettivo centrale del processo di integrazione che deve soprattutto essere per la gente. A dimostrazione inoltre che non esiste un particolare problema Chavez, la presidente del Cile, Michelle Bachelet, ha annunciato che intende realizzare in aprile un viaggio in Venezuela per rafforzare le relazioni tra i due Paesi.

 

Dall’America Latina, Maurizio Salvi, ANSA, per la Radio Vaticana.

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