RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 14 - Testo della trasmissione di domenica 14 gennaio 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Assassinati tre buddisti nel sud della Thailandia,
a maggioranza islamica
Secondo il ministro degli Esteri
italiano, il piano americano sull’Iraq non convince. Bush
ammette, intanto, che l’intervento militare ha aumentato
l’instabilità nel Paese arabo
14 gennaio 2007
TUTELA
DEI MIGRANTI:
DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO.
SOLO
COME PROBLEMA MA COME RISORSA, RACCOMANDA BENEDETTO XVI
CHE AI
MIGRANTI CHIEDE IL RICONOSCIMENTO DEI VALORI
DELLA
SOCIETA’ CHE LI OSPITA
“Tutelare i migranti e le loro famiglie mediante l’ausilio
di presìdi legislativi, giuridici e amministrativi
specifici, ed anche attraverso una rete di servizi, di punti di ascolto e di
strutture di assistenza sociale e pastorale”. E’ quanto chiede il Papa nella
Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. Il servizio di Fausta Speranza.
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“La realtà delle migrazioni non va mai vista
soltanto come un problema, ma anche e soprattutto come una grande risorsa per
il cammino dell’umanità”. E’ quanto raccomanda il Papa, ricordando
recenti stime delle Nazioni Unite: 200 milioni di migranti per ragioni
economiche; circa 9 milioni di rifugiati; circa 2 milioni di studenti
internazionali. Ci sono poi sfollati interni e irregolari, ed ognuno ha
una famiglia, ricorda il Papa, che sottolinea anche che il fenomeno “è molto
ampio e diversificato”. In ogni caso, Benedetto XVI chiede “il rispetto della
dignità umana di tutti i migranti” ma chiede qualcosa
anche a chi arriva: “il riconoscimento da parte dei migranti stessi dei valori
della società che li ospita”. Soltanto tutto ciò - afferma - rende “possibile
la giusta integrazione delle famiglie nei sistemi sociali, economici e politici
dei Paesi d’accoglienza”.
“Auspico che si
giunga presto ad una gestione bilanciata dei flussi migratori e della mobilità
umana in generale, così da portare benefici all’intera famiglia umana,
cominciando con misure concrete che favoriscano l’emigrazione regolare e i
ricongiungimenti familiari, con particolare attenzione per le donne e i minori”.
Proprio la famiglia migrante – sottolinea – è “una risorsa
in modo speciale”, “purché venga rispettata come
tale”, aggiunge. Purché “non debba subire lacerazioni irreparabili, ma possa rimanere
unita o ricongiungersi, e compiere la sua missione di culla della vita e primo
ambito di accoglienza e di educazione della persona umana”. In un altro punto
del suo discorso il Papa ricorda “le difficoltà della famiglia migrante come
tale:
“I disagi, le
umiliazioni, le strettezze, le fragilità”.
Benedetto XVI ricorda anche di aver rivolto uno speciale
Messaggio alla famiglia migrante e poi invita a considerare che “nel dramma
della Famiglia di Nazaret intravediamo la dolorosa
condizione di tanti migranti, specialmente dei rifugiati, degli esuli, degli
sfollati, dei profughi, dei perseguitati”.
“Possiamo guardare alla santa Famiglia di Nazaret, icona di tutte le famiglie, - dice il Papa -
perché essa riflette l’immagine di Dio custodita nel cuore di ogni umana
famiglia, anche quando è debilitata e talvolta sfigurata dalle prove della
vita”. Narra l’evangelista Matteo – ricorda il Papa - che, poco tempo dopo la
nascita di Gesù, san Giuseppe fu costretto a partire per l’Egitto prendendo con
sé il bambino e sua Madre, al fine di sfuggire alla persecuzione del re
Erode.
Tra i
vari saluti nelle diverse lingue, un riferimento in inglese e in polacco al
Vangelo odierno delle nozze di Cana. “Nella Santa
Messa – sono le parole del Papa in particolare in polacco - ricordiamo il
miracolo di Gesù a Cana di Galilea e la
raccomandazione della Madre di Dio: “Fate quello che vi dirà”. Le sue parole
siano d’incoraggiamento alle famiglie dei migranti, dei rifugiati e per tutti
noi, specialmente nei momenti particolarmente difficili della vita, quando
siamo alla ricerca della verità e dell’aiuto di Dio”. In italiano, un saluto in
particolare al gruppo di giovani migranti, di varie parti del mondo,
accompagnati dal vescovo di Caserta, mons. Raffele Nogaro.
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Come
ricordato all’Angelus, il Papa per l’odierna Giornata mondiale del migrante e
del rifugiato ha pubblicato lo scorso novembre un messaggio. Giovanni Peduto ha chiesto all’arcivescovo Agostino Marchetto,
segretario del competente dicastero vaticano, di ricordare i punti salienti del
Messaggio del Papa:
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R. - Il Papa rimanda
esplicitamente alla Convenzione Internazionale per la protezione dei diritti di
tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, la quale formalizza
una cornice di tutela estesa appunto anche alle famiglie. Il Santo Padre ne
incoraggia la ratifica. Ma questa cornice va completata mediante presidi
legislativi, giuridici e amministrativi specifici e soprattutto attraverso una
rete di servizi, cui il Messaggio fa pure riferimento.
D. -
Si tratta, dunque, di iniziative mirate. Quale motivazione le sorregge?
R. - Le attività cui ci si
richiama, in effetti, non sono fine a se stesse, ma hanno come fuoco la persona umana. E qui vi è da considerare anche la
dimensione religiosa. Pertanto, una gestione bilanciata dei flussi migratori e
della mobilità, in genere, può portare benefici all’intera famiglia umana, nel
quadro di un nuovo ordine mondiale, a partire da misure concrete che favoriscano l’emigrazione regolare e i ricongiungimenti
familiari, proteggendo soprattutto donne e minori. In ogni caso anche qui i
diritti umani sono alla base della pace e dello sviluppo integrale di persone e
popoli.
D. - Il Santo Padre ha voluto
richiamare l’attenzione sulle difficili condizioni delle famiglie dei
rifugiati. Un commento al riguardo, Eccellenza?
R. – Vi è una tendenza oggi a
proteggere l’ordine e il benessere dalla minaccia che molti vedono nel continuo
arrivo di stranieri, in mescolanza di migranti e rifugiati. Quindi anche nei confronti
di questi ultimi, che cercano protezione da violenze e pericoli di vita, si va
diffondendo una visione negativa, alimentata da tensioni politiche e sociali,
contraria alla legislazione internazionale e che i media
non considerano. Ciò pregiudica anche i ricongiungimenti familiari. Di pari
passo vi è un inadeguato finanziamento dell’assistenza umanitaria che peggiora
le condizioni di vita anche nei campi di accoglienza, specialmente per donne e
bambini, con più facile pericolo di abusi spregevoli.
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TELEGRAMMA DEL PAPA PER IL DIALOGO E
IN
BOLIVIA, DOPO GLI ATTI DI VIOLENZA DEI GIORNI SCORSI
Di fronte alle notizie di scontri nella città di Cochabamba, in Bolivia, che hanno provocato diverse vittime e
feriti, oltre a considerevoli danni materiali, il Papa esprime “il proprio
cordoglio e la propria vicinanza ai pastori e a quanti si impegnano per
mantenere la concordia cittadina e la convivenza pacifica, cercando un dialogo
franco e rispettoso per risolvere eventuali divergenze”. Nel telegramma, a
firma del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone,
e indirizzato al cardinale Julio Terrazas
Sandoval, arcivescovo di Santa Cruz,
Benedetto XVI auspica che “la violenza si trasformi in collaborazione e che si
promuova veramente il bene comune”.
NESSUNO DEVE AVERE PAURA DEL PRESEPE: COSÌ IL SEGRETARIO DI STATO,
CARDINALE TARCISIO BERTONE,
DURANTE LA VISITA, QUESTA MATTINA A ROMA,
AL PRESEPE DEI NETTURBINI
“Nessuno deve aver paura del presepe, è un
segno di fraternità, intimità e amicizia che non fa male a nessuno...”. Lo ha
detto stamani il segretario di Stato Vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, dopo aver benedetto la natività di Cristo al
tradizionale “Presepe dei netturbini” allestito, come ogni anno dal 1972,
all’interno della sede dell’Azienda municipale ambiente (AMA). “Quest'anno - ha
ricordato il porporato - qualcuno ha avuto paura dei presepi e sembrava quasi
che non li volessero nelle scuole, nelle città e nei luoghi pubblici”. Il
presepe - ha aggiunto – “è un ricordo per chi crede e per chi non crede, un
invito ad una intimità delle famiglie e anche a un
rapporto positivo con Dio”. “Ogni simbolo - ha concluso il cardinale Bertone - è bello ed è bello anche ricordare, come fa
l’autore di questo presepe, tutta la storia biblica prima della nascita del
Signore, quindi anche tutta la storia ebraica”.
DIALOGO TRA CULTURE, RELIGIONI, ETNIE: TRA
NECESSITA’ E POSSIBILITA’
- Con
noi il cardinale Paul Poupard
e il prof. Carmelo Dotolo -
Il dialogo nelle società del terzo Millennio: se ne è
parlato in termini di complessità e urgenza nell’ambito del Convegno
internazionale ospitato questa settimana alla Pontificia Università Urbaniana, organizzato in collaborazione con i Pontifici
Consigli per
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“Il fenomeno della multiculturalità di una società sempre
più multietnica e multireligiosa
porta con sé indiscutibili vantaggi ma anche nuove preoccupazioni e ambiti di impegno”:
lo scenario è complesso e comporta – come ha sottolineato il cardinale Paul Poupard, presidente dei
Pontifici Consigli per la cultura ed il dialogo interreligioso – di dare
maggiore forza al dialogo. Ma come farlo nella pratica della vita quotidiana?
R. - Quel dialogo interculturale, interreligioso, non è
una moda ma una necessità vitale perché ci sono movimenti di popolazioni come
non mai. E’ una situazione progressiva nella quale troviamo in ogni angolo
della Terra delle popolazioni che hanno, da millenni, diversi modi di pensare,
di vivere. Quando arriva l’altro, con un altro modo di vivere e di pensare, ci
mette in crisi e l’altro che appare sconosciuto diventa una minaccia. Allora
per rispondere proprio al suo quesito, la prima cosa è conoscere l’altro per
capire che un altro modo di vivere, un altro modo di pensare non è una minaccia
contro di noi, ma è solo un altro modo che può essere contemplato
pacificamente. Da questo scaturisce il bisogno di approfondire la conoscenza di
se stesso, perchè talvolta vediamo in questo periodo storico uno squilibrio:
laddove c’è la volontà di aprirsi all’altro e però ci si dimentica la propria
identità, e talvolta c’è la tentazione di credere di dover nascondere la
propria identità per aprirsi all’altro, questo è un disastro.
Il dialogo tra culture, religioni,
etnie: una necessità ma anche una possibilità, come ha osservato il prof.
Carmelo Dotolo, docente di Teologia delle religioni
alla Pontificia Università Urbaniana:
R. – Le culture per loro natura non amano incontrarsi con
tanta facilità, per il semplice motivo che sono visioni della vita che tendono
a giustificarsi e a dare una risposta alle domande che gli uomini si pongono.
Soprattutto quando viene in qualche modo messo in gioco il tema dell’identità,
l’identità di una cultura non necessariamente si sente attratta da un confronto
con identità di altro tipo. Allora, questa necessità che scaturisce da un
contesto culturale che si chiama multiculturalità diventa possibilità
quando da un confronto semplicemente esterno, legato più a problemi di
convivenza, più a problemi di ordine quotidiano della gestione della vita,
incontra l’altro, cercando di mettersi in una relazione di reciprocità. Quindi,
la necessità da sola non è sufficiente per giustificare un dialogo tra le
culture. E’ opportuno che si passi ad una possibilità, cioè ad un incontro di
apertura all’altro, che diventi fecondazione reciproca.
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14 gennaio 2007
PRONTI A VIVERE DEL VANGELO E A TESTIMONIARNE I
VALORI NELLA SOCIETA’:
L’INVITO
DELL’ARCIVESCOVO DI PARIGI, MONS. VINGT-TROIS, AI
CATTOLICI FRANCESI, IN VISTA DELLE PRESIDENZIALI DEL PROSSIMO APRILE
-
Intervista con il presule -
Per i partiti politici francesi è tempo di definire le
scelte dei candidati alla corsa per le presidenziali, in programma il prossimo
aprile. Oggi, è stata la volta dell’investitura ufficiale del gollista Nicolas Sarkozy, candidato dell’UMP. A ritirarsi dalla
competizione, venerdì sera, era stata la sua collega di partito, Michele Alliot-Marie. Sarkozy correrà per
la poltrona dell’Eliseo con la
socialista Segolene Royal e
il presidente del centrista UDF, Francois Bayrou. Senza ovviamente indicare scelte di campo,
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R. –
Ce sera une année electorale importante, comme vous savez, puisque nous …
Sarà un anno elettorale importante, il 2007, perché – come
sa – eleggeremo in successione il presidente della Repubblica e i deputati,
mentre nel 2008 ci saranno le elezioni municipali e regionali. Ovviamente,
tutto questo scatenerà una competizione aspra, ma questa potrebbe essere
un’occasione per il nostro Paese e per la democrazia, perché in questo periodo
tutti i candidati saranno costretti a spiegare cosa
vogliono fare. Non lo faranno a meno che non vi siano
costretti, perché in linea di massima, i candidati alle elezioni, quando
sono onesti, rifuggono dal parlare troppo dell’avvenire, perché sanno che non
possono essere i padroni del futuro. E quindi, per indurli a spiegarsi, è
necessario porre loro delle domande perché dicano qualcosa su argomenti
importanti per la nostra vita sociale: si può parlare delle leggi relative alla
bioetica che sono in corso di revisione; di questioni che riguardano la
famiglia; di problemi che riguardano l’ambiente, e anche del modello di società
per il quale ci
si vuole impegnare in tutta Europa. Ci si vuole impegnare per una società
protezionista, che mobiliterà tutte le sue forze per preservare la propria
opulenza, oppure ci si impegnerà veramente per una società della condivisione?
Tutte queste domande io le ho poste, nello stesso modo in cui lo sto facendo
adesso, a più riprese, a diverse persone o in occasioni pubbliche ... Ma evidentemente sarà necessario che gli elettori facciano
comprendere ai candidati che è sulla base di questo che essi voteranno!
D. – Ora, i vescovi non ci suggeriscono come votare,
beninteso: la Francia è un Paese laico da ormai più di
un secolo. Come la Chiesa può far giungere la sua voce in un periodo elettorale
come quello attuale?
R. –
Bien, nous avons plusieurs manières de faire. La première, celle que nous …
Abbiamo più d’una strada ;
una è quella che abbiamo già messo in opera: a novembre, infatti, il Consiglio
permanente della Conferenza episcopale ha pubblicato un testo che vuole essere
un testo di riferimento per il periodo elettorale; poi ci sono stati gli
interventi pubblici: quando mi trovo alla Messa di mezzanotte, ho davanti a me
qualche migliaio di persone – il che non capita a tutti i candidati, quando
parlano in pubblico – e quindi posso dire un certo numero di cose! I vescovi miei confratelli fanno
la stessa cosa ...
D. – A volte si rimprovera ai cristiani, soprattutto in
Europa, di non essere capaci di farsi sentire sulla scena
pubblica, di essere poco coraggiosi ... Lei condivide questa opinione?
R. –
Je ne suis pas sûr que le courage chrétien se mesure à l’expression publique …
Non sono poi tanto sicuro che il coraggio cristiano si
misuri sulla manifestazione pubblica! Secondo me, il coraggio cristiano è dato
dalla forza che Dio ripone in noi e serve per richiamarci e per fornirci i
mezzi per vivere il Vangelo, e da questo punto di vista senza dubbio un certo
numero di cristiani non hanno coraggio. Credo che tra i nostri contemporanei,
ma in modo più rimarchevole ancora tra i cristiani, esista una sorta di
lassismo morale: è necessario
uscire da questo lassismo. E’ vero che i modi di annunciare il Vangelo sono
molto diversi, ma quello che conta è che noi siamo pronti a viverlo!
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VASTA
EPIDEMIA DI FEBBRE EMORRAGICA DAL KENYA ORIENTALE, ATTRAVERSO L’ETIOPIA, IN
DIREZIONE DELLA PENISOLA ARABICA:
A
LANCIARE L’ALLARME E’ MEDICI SENZA FRONTIERE
- Con
noi Gianfranco De Majo -
Una vasta epidemia di febbre emorragica, ancora poco
conosciuta, si sta diffondendo velocemente dal Kenya nord orientale, attraverso
l’Etiopia, in direzione della penisola arabica. L’allarme è stato lanciato da
Medici senza Frontiere che auspica un intervento diretto dell’OMS. Un centinaio
finora le vittime soprattutto tra le popolazioni nomadi e le comunità di pastori,
i più esposti al contagio da parte di zanzare e sostanze animali infette.
Stefano Leszczynski ha intervistato il responsabile
medico di MSF Italia, Gianfranco De Majo:
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R. – Presumibilmente si sta già sviluppando più a nord in
Etiopia. L’epidemia precedente che vede 170 morti alla
fine degli anni 90 coinvolse anche Yemen e Arabia
Saudita. In questo caso i morti apparentemente non sono moltissimi, 62 finora
certificati. Però essendo una popolazione nomadica,
quindi non raggiungibile da osservatori esterni, il numero che noi abbiamo nei
dati epidemiologici sono stati sicuramente rilevati per difetto. Quindi il
numero di malati e di morti è certamente maggiore, soprattutto dopo le grandi
piogge che abbiamo avuto quest’anno e
nei mesi scorsi. Quindi sviluppo della zanzara, maggiore diffusione del virus e
campanella d’allarme perché sicuramente si stanno preparando dei picchi di
epidemia di malaria, con una mortalità elevatissima presso una popolazione che
normalmente non conosce la malaria.
D. – Per quanto riguarda il virus di questa febbre
emorragica qual è la sua origine?
R. – Nel caso del virus della febbre della malaria della
Valle del Rift il contagio non è diretto animale-uomo
o uomo-uomo, come
il caso di Ebola o di Marburg
dell’anno scorso in Angola, ma immediato dalla zanzara. La diffusione del virus
dipende da questo terzo attore che è la zanzara. Allora normalmente la zanzara
sposta il sangue dall’armento all’uomo e l’uomo che, come nel caso degli altri
virus precedenti non riesce a mettere subito in atto delle difese di reazione,
ne viene invaso e devastato.
D. – Tra l’altro si crea anche una certa confusione
diagnostica…
R. – Il nostro allarme è rivolto all’OMS e all’autorità
sanitarie dei Paesi interessati perchè impostino una rete capillare per la
ricerca attiva dei gruppi dove possono essere questi ammalati.
D. – Quello che colpisce un po’ è l’apatia, la lentezza
dei governi africani a far fronte a queste epidemie in maniera preventiva...
R. – Quello che preoccupa è che appunto trattandosi di
popolazioni marginali, l’apatia sembra giustificata dal fatto che comunque
questi allarmi non mobilitano un arrivo di aiuti economici tale da poter poi
giustificare la messa in piedi del sistema, insomma diventa costoso. In più
queste economie, queste società, sono molto più abituate di noi al ricorrere
periodico di queste situazioni, quindi probabilmente anche da un punto di vista
sociale ne sono meno allarmate.
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14 gennaio 2007
“LA
CHIESA NON TEME LA VERITA’: COSI’ SCRIVONO I VESCOVI
POLACCHI
IN UNA
LETTERA AI FEDELI, DOPO LA RINUNCIA ALLA CARICA DI ARCIVESCOVO
DI VARSAVIA DA PARTE DI MONS.
STANISLAW WIELGUS.
IL
DOCUMENTO LETTO OGGI IN TUTTE LE PARROCCHIE
- A cura di Roberta Moretti -
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VARSAVIA. = “La Chiesa non ha paura della verità, anche se
è una verità dura, vergognosa e se la sua ricerca è talora molto dolorosa.
Crediamo profondamente che la verità ci renda liberi, perché verità liberatrice
è lo stesso Gesù Cristo”: è quanto affermano i vescovi polacchi, dopo la
rinuncia, nei giorni scorsi, alla carica di arcivescovo metropolita di
Varsavia, da parte di mons. Stanislaw Wielgus, che ha confermato un suo coinvolgimento nella
collaborazione con i Servizi di sicurezza e con lo spionaggio della PRL. In una
lettera ai fedeli, letta oggi in tutte le parrocchie
della Polonia durante la Messa domenicale, i presuli ringraziano Benedetto XVI
“per il suo aiuto paterno nell’evangelico misurarsi con la difficile situazione”,
esprimendo gratitudine anche all’arcivescovo Józef Kowalczyk, nunzio apostolico in Polonia, “per il suo aiuto
fraterno e competente”. Accogliendo “con rispetto” la decisione di mons. Wielgus di rinunciare al servizio di metropolita di
Varsavia, i vescovi polacchi affermano: “Non sta a noi giudicare la persona, il
confratello, che per anni ha servito con fedeltà fervore la Chiesa, fra l’altro come
professore e Rettore dell’Università Cattolica di Lublino, e poi come vescovo
di Płock”. “Sperimentiamo ancora una volta –
sottolineano i presuli – che il tenebroso passato del periodo del sistema
totalitario che ha regnato per decine d’anni nella nostra patria continua a
farsi sentire”. Ma – precisano – “solo un’analisi accurata e critica di tutte
le fonti accessibili ci permetterà di avvicinarci alla verità”. I vescovi
aggiungono che, “letti unilateralmente, i documenti preparati da funzionari
dell’apparato di repressione dello Stato comunista ostili alla Chiesa possono
seriamente recar danno alle persone, distruggere legami di fiducia sociale e di
conseguenza trasformarsi in vittoria del sistema inumano nel quale abbiamo
dovuto vivere, dopo la sua sepoltura”. Inoltre, nella lettera si ribadisce che
“abbastanza facilmente si dimentica che durante il totalitarismo comunista
tutta la Chiesa in Polonia si è opposta continuamente alla costrizione della
società ed è stata oasi di libertà e verità”. Con un appello alla
riconciliazione della Chiesa di Polonia, l’episcopato esprime il desiderio che
il 21 febbraio prossimo, mercoledì delle Ceneri, sia un giorno di preghiera e
penitenza per tutti i sacerdoti polacchi. “Che in tutte le chiese delle nostre
diocesi – esortano i vescovi – si celebrino funzioni di preghiera alla
Misericordia di Dio, chiedendo perdono per gli errori e le debolezze nel
trasmettere il Vangelo nella sua interezza”. I presuli polacchi chiedono poi ai
governanti e ai parlamentari, nonché ai mezzi di comunicazione sociale, che i materiali
trovati negli archivi vengano utilizzati e trasmessi
in modo da “non degradare la dignità umana” e auspicano la possibilità di una
verifica da parte di un tribunale indipendente, senza esprimere giudizi
superficiali. Infine, l’appello alle giovani generazioni, affinché cerchino “di
conoscere l’ardua e complessa verità dei tempi passati”. “Crediamo che ciò che
ora stiamo sperimentando – concludono i vescovi polacchi – porterà a un rinnovamento
della Chiesa, ad una maggiore trasparenza e maturità dei suoi membri”.
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A QUATTRO SETTIMANE DAL REFERENDUM SULLA DEPENALIZZAZIONE DELL’ABORTO
IN PORTOGALLO, 12 VESCOVI
CONCELEBRANO A FATIMA UNA MESSA “PER LA VITA”
FATIMA. = “Non abbiate paura di essere i
campioni della simpatia, della stima e dell’amore per ogni forma di vita
umana”: è l’esortazione di mons. Antonio Augusto dos Santos
Marto, vescovo di Leiria-Fatima, in Portogallo, che
ieri a Fatima ha concelebrato, insieme ad altri 11 vescovi e una ventina di sacerdoti, una Messa “per la vita”, nel quadro della
campagna della Chiesa portoghese contro la depenalizzazione dell’aborto. Come
riferisce la France Presse,
la Messa rientra nell’ambito di due giornate di pellegrinaggio sul tema
“Accogliere la vita come un dono di Dio”, a quattro settimane dal referendum
sulla depenalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza. Mons. Marto ha definito l’aborto una “piaga sociale”,
conseguenza di una “visione materialistica che riduce il concetto di vita umana
a un prodotto biologico”. Ha poi affermato di comprendere “il dramma vissuto da
molte donne che decidono di abortire”, tuttavia - ha ribadito - “un dramma non
si risolve con un altro dramma, che consiste nella distruzione di una vita
umana che comincia”. Nel pomeriggio, alcune decine di
persone, in maggioranza anziani, hanno percorso in processione le strade
di Fatima, recitando preghiere e intonando salmi. Altri fedeli hanno
attraversato in ginocchio la spianata antistante la Basilica della città, hanno
acceso candele o pregato davanti alla Cappella delle apparizioni, eretta nel
luogo dove i tre pastorelli annunciarono
di aver visto la Madonna nel 1917. Di fronte alla Basilica campeggiavano 12
grandi manifesti sul tema dell’aborto, con immagini di feti e scritte che
invitavano al “rispetto della creazione”. L’aborto è ora autorizzato in
Portogallo solo in caso di stupro, di pericolo per la vita o la salute della
madre, di malformazione congenita del feto. Secondo gli ultimi sondaggi, il
57-60% degli elettori dovrebbero pronunciarsi per il ‘sì’
alla depenalizzazione, anche se il fronte del ‘no’ starebbe guadagnando terreno.
(R.M.)
PRESENTAZIONE IL 16 IL 17 GENNAIO A WASHINGTON E NEW
YORK, DELLA RETE
DI OASIS, RIVISTA INTERNAZIONALE PLURILINGUE E CENTRO INTERNAZIONALE
DI STUDI E RICERCHE,
FONDATA NEL 2004 DAL PATRIARCA DI VENEZIA,
CARDINALE SCOLA, PER FAVORIRE IL DIALOGO TRA CRISTIANI E MUSULMANI
NEW YORK/WASHINGTON. = La rete di Oasis, nome che indica la rivista internazionale
plurilingue e l’omonimo Centro internazionale di studi e ricerche, sarà
presentata negli Stati Uniti in due distinte occasioni, il 16 gennaio a Washington e il 17 gennaio a New York. La
presentazione segna un ulteriore passo di crescita di questa realtà, fondata
nel 2004 dal cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, per favorire la
reciproca conoscenza e il dialogo tra cristiani e musulmani. Il 16 gennaio, il cardinale Scola,
interverrà a una giornata di studi sul tema “La relazione primordiale tra Dio e la persona umana nel cattolicesimo e
nell’islam”, promossa dal Centro culturale Giovanni Paolo II di
Washington, in collaborazione con la Commissione per l’ecumenismo e il dialogo
interreligioso della Conferenza episcopale americana. Uno dei momenti
principali dell’evento sarà il dialogo tra il porporato e Muzammil
H. Siddiqi, direttore dell’Islamic Society of Orange County, già presidente dell’Islamic
Society of America e considerato uno dei rappresentanti più autorevoli della
comunità musulmana degli Stati Uniti. “Popoli
e Religioni” è invece il titolo del dibattito che si terrà il 17 gennaio
presso la sala auditorium Dag Hammarskjöld
Library della sede ONU di New York. L’evento è promosso
dall’Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, in
collaborazione con Oasis e il centro culturale Crossroads di New York. (R.M.)
ASSASSINATI TRE BUDDISTI NEL SUD DELLA THAILANDIA, A MAGGIORANZA
ISLAMICA.
LO RIFERISCE IL SITO
INTERNET DELLA BBC
YALA. = Tre buddisti, fra cui una donna, sono
stati assassinati nel sud della Thailandia, a
maggioranza musulmana, si sospetta per mano di militanti islamici. Lo rende
noto il sito internet della BBC, secondo cui un uomo è stato decapitato e sua
moglie uccisa a colpi d'arma da fuoco all’ingresso di una piantagione di caucciù
nella provincia di Yala. Accanto ai loro cadaveri,
abbandonati, un biglietto con la scritta “Uccideremo tutti i Thai buddisti”, con la firma ‘I mujaheddin
di Pattani’, con riferimento al nome della provincia
più travagliata della Thailandia. Una terza vittima,
un uomo, è stato invece ucciso a colpi di pistola da un motociclista. Sono
almeno due mila le persone morte nelle violenze nel sud thailandese,
dove attentati e assassini sono all’ordine del giorno. I terroristi islamici spesso
colpiscono monaci buddisti, ma anche poliziotti, soldati e chiunque possa
essere sospettato di essere “collaboratore” del governo di Bangkok. (R.M.)
IL PRESIDENTE DELLA MEZZA LUNA ROSSA SAHARAOUI, BOUHEBEINI, ACCUSA
L’ALTO COMMISSARIATO ONU
PER I RIFUGIATI (UNHCR) E IL PROGRAMMA ALIMENTARE MONDIALE (PAM) PER I RITARDI
NELL’INVIO DI AIUTI ALIMENTARI
NEI CAMPI PROFUGHI DI TINDOUF, IN ALGERIA
ALGERI. = “Le riserve alimentari destinate ai
campi dei profughi saharaoui sono quasi esaurite, e
la situazione sarà catastrofica se la comunità internazionale non interviene al
più presto”: è l’allarme lanciato oggi in una conferenza stampa ad Algeri dal
presidente della Mezza Luna Rossa saharaoui, Yahia Bouhebeini, che ha
apertamente accusato i funzionari dell’Alto commissariato ONU per i rifugiati
(UNHCR) e quelli del Programma alimentare mondiale (PAM) di essere responsabili
dei ritardi nell’invio di aiuti alimentari nei campi di Tindouf,
in Algeria. Bouhebeini ha sottolineato che l’aiuto di
tre milioni di euro stanziato dall’Unione Europea per il rinnovo delle riserve
alimentari si è arenato tra le maglie della burocrazia, e che gli aiuti
annunciati di ONG di Paesi come Italia, Spagna, Stati Uniti e Svezia, che
devono transitare dal PAM, non sono mai pervenuti alla popolazione. Ha inoltre
biasimato “il silenzio dell’UNHCR, la cui missione principale è di aiutare i
rifugiati, sulla situazione catastrofica dei rifugiati saharaoui”.
Il problema degli aiuti alimentari ai profughi dell’ex colonia spagnola del
Sahara occidentale che il Marocco si è annesso nel 1975, ospitati dall’Algeria
nei campi di Tindouf, risale all’agosto 2005, quando
UNHCR e PAM hanno deciso di ridurli del 43%, considerando che i rifugiati sono
89 mila e non 158 mila, come sostiene la Mezza Luna Rossa saharaoui.
Per Bouhebeini, si è trattato di una “decisione
arbitraria”, per giunta presa all’indomani della presentazione di un’inchiesta
di un istituto internazionale, secondo la quale nei campi il 66% delle donne e
il 68% dei bambini sotto i cinque anni soffrono di forte anemia, e il 35% dei
bambini in età prescolare è sottoalimentato. A questa decisione il presidente
della Mezza Luna Rossa saharaoui da’ una spiegazione
politica: si tratta, secondo lui, di una conseguenza del discorso tenuto il 20 agosto
2005 dal re del Marocco, che per la prima volta ha parlato della necessità di
rivedere al ribasso gli aiuti umanitari ai rifugiati saharaoui.
Due giorni dopo, ha sottolineato, è arrivata la decisione del PAM e dell'UNHCR.
(R.M.)
ALMENO 17 MORTI E MIGLIAIA DI SFOLLATI, NELLO SRI LANKA
CENTRO-MERIDIONALE, PER LE ALLUVIONI E LE FRANE PRODOTTE DALLE PIOGGE MONSONICHE
COLOMBO. = Almeno 17 persone sono morte e 15
risultano disperse nello Sri Lanka centro-meridionale
a causa delle alluvioni e delle frane prodotte dalle piogge monsoniche. Fonti
diverse parlano anche di un numero imprecisato di sfollati, che varia tra i 9
mila e i 60 mila. Da giovedì, le piogge incessanti hanno causato smottamenti
nei distretti collinari centrali di Nuwara Eliya e di Hanguranketha, mentre
le alluvioni, aggravate dallo straripamento delle cisterne irrigue, hanno
distrutto case e infrastrutture nel distretto di Hambantota,
più a sud, già colpito dallo tsunami del 2004.
Elicotteri militari sono stati dispiegati per far evacuare le popolazioni
colpite e per distribuire il cibo alle migliaia di sfollati ospitati
provvisoriamente presso scuole e centri sanitari. Alluvioni e smottamenti sono
frequenti nel Paese durante le due principali stagioni monsoniche, tra maggio e
settembre e tra dicembre e febbraio. (R.M.)
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14 gennaio 2007
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
Il piano dell’amministrazione statunitense sull’Iraq, che
prevede l’invio di altri 21.500 soldati, “non ci convince” perché serve una soluzione
politica e non militare. Lo ha detto il ministro degli Esteri
italiano, Massimo D’Alema, durante una
conferenza stampa a Doha, in Qatar. “La ricerca di
una via d'uscita dalla situazione irachena – ha spiegato D’Alema
- non passa per un incremento della pressione militare, quanto piuttosto da un
rafforzamento delle istituzioni, delle forze armate e di polizia a carattere multietnico e multireligioso, che
siano in grado di prevenire lo scontro etnico”. Commentando la difficile
situazione in Medio Oriente, il ministro degli Esteri
italiano ha sottolineato, poi, la necessità di un accordo di pace “che
consenta la nascita entro il 2007 di uno Stato palestinese”.
Intanto, il presidente degli Stati Uniti George Bush ha ammesso, durante
un’intervista rilasciata alla trasmissione “60 Minutes”
dell’emittente CBS, che l’intervento militare in Iraq ha aumentato
l’instabilità nel Paese arabo. Bush ha anche
dichiarato, però, che l’attacco del 2003 era necessario perché l’ex presidente Saddam Hussein aveva intenzione
di dotarsi di armi atomiche.
Il governo dell’Iran ha chiesto l’immediato rilascio dei
cinque cittadini iraniani arrestati nei giorni scorsi dalle truppe statunitensi
ad Erbil, nel nord dell’Iraq. Secondo il comando
americano, i cinque avrebbero legami con la Guardia rivoluzionaria iraniana,
accusata di finanziare e fornire armi ai ribelli iracheni. L’Iran sostiene,
invece, che si tratta di diplomatici.
Il segretario di Stato americano, Condoleezza
Rice, a Ramallah, in
Cisgiordania, ha incontrato il presidente palestinese Abu
Mazen. Condoleezza Rice ha assicurato l’appoggio degli Stati Uniti per
l’avanzamento del processo di pace tra israeliani e palestinesi. Abu Mazen si è detto contrario a
“soluzioni temporanee” del conflitto, riferendosi al progetto di uno Stato
palestinese entro confini transitori.
Per la prima volta da 30 anni, un capo di Stato iracheno
si reca in visita ufficiale in Siria. E’ previsto infatti
oggi, a Damasco, l’incontro tra il presidente iracheno Jalal
Talabani con il capo di Stato siriano, Bashar al Assad. Iran e Siria
hanno allacciato relazioni diplomatiche nel novembre del 2006, dopo una rottura
durata più di 25 anni, in occasione della visita a Baghdad del ministro degli
Esteri siriano Walid Muallem.
In quella circostanza, il ministro aveva promesso l’aiuto della Siria per
ristabilire la sicurezza in Iraq.
La senatrice americana Hillary Rodham Clinton è in Afghanistan,
con una delegazione bipartisan,
per incontrare il presidente afghano Hamid Karzai. Secondo
fonti locali, al centro dei colloqui ci saranno “argomenti di interesse comune, come l’invio di truppe supplementari, le
crescenti tensioni fra Afghanistan e Pakistan e la ricostruzione e i diritti
delle donne”.
In Bangladesh, l’opposizione guidata dalla ‘Lega Awami’ ha
annunciato che parteciperà alle elezioni legislative. Nei giorni scorsi, il
presidente, Iajuddin Ahmed,
aveva accettato le richieste dell’opposizione e rinviato la consultazione
elettorale. Dopo la rinuncia del presidente Ahmed a svolgere anche l’incarico di premier ad interim,
alla guida del governo è stato nominato un ex governatore della Banca centrale.
Hanno sfilato in migliaia ieri, in
Spagna, contro il terrorismo e per non dimenticare l’attentato dell’ETA dello
scorso 30 dicembre all’aeroporto di Madrid. Il servizio di padre Ignacio Arregui:
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Le manifestazioni ieri in Spagna contro la violenza
dell’ETA, in favore della pace e in solidarietà con i due immigrati equadoregni uccisi nell’attentato del 30 dicembre scorso,
hanno ricevuto vasta eco sui giornali spagnoli. In questa occasione, la classe
politica non è riuscita a mettersi d’accordo sui temi o sugli slogan per i
manifestanti. Le mancanze più significative sono state quella del principale
partito dell’opposizione, il partito popolare, molto critico nei confronti del
governo di Rodriguez Zapatero,
e il movimento basco Batasuna vicino all’ETA. In
tutte le manifestazioni, non solo a Madrid e a Bilbao ma anche in altre città
importanti, si è evidenziata la delusione dei cittadini. Delusione per le
polemiche tra i dirigenti dei partiti politici e la loro incapacità nel
lasciare da parte le loro differenze politiche per unirsi in favore
dell’obiettivo della pace, della lotta contro il terrorismo dell’ETA e della
solidarietà con le vittime. Secondo calcoli sempre approssimativi, i
manifestanti di Madrid sono stati circa 200.000. A Bilbao avrebbero partecipato
circa 80.000. La nota dominante delle manifestazioni è stata la mancanza di
incidenti, insieme con il silenzio e la rinuncia alla esibizione di simboli e
slogan politici. Forti critiche sono state rivolte a Madrid contro i dirigenti
del partito popolare e, in particolare, contro le autorità locali per la loro
assenza. A Bilbao, il presidente del governo regionale basco, nel suo
intervento al termine della manifestazione, ha insistito sulla necessità di tentare
sempre la via del dialogo, come unica via possibile per una pace autentica.
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In Ecuador il vincitore del ballottaggio presidenziale
dello scorso 26 novembre, Rafael
Correa, si insedierà domani come nuovo presidente. Alla cerimonia
prenderanno parte almeno 20 capi di Stato e di governo e, tra loro, ci sarà
anche il presidente dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad. La
sua presenza ha provocato numerose proteste, in particolare da parte di
Israele. Il servizio di Luis Badilla:
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Correa, 43 anni, un economista senza partito, fondatore e
leader della formazione “Alleanza paese”, nel suo discorso di insediamento
dovrebbe delineare, come hanno anticipato alcuni suoi collaboratori, le prime
misure governative per l’applicazione del suo programma. Un programma
incentrato, sostanzialmente, su tre punti: piani per combattere la povertà,
condizione in cui si trova a vivere il 65 per cento della popolazione; ridefinizione dei rapporti con le Istituzioni finanziarie
internazionali, in particolare con il Fondo Monetario al quale l’Ecuador deve
33 milioni di dollari e, infine, elezioni per la formazione di un’Assemblea
costituente che dovrebbe redigere una nuova Costituzione. Fra le misure immediate,
il presidente potrebbe mettere fine alla circolazione del dollaro statunitense
che dal
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Sciagura aerea in Colombia: un velivolo venezuelano, con a bordo 11 passeggeri e tre membri dell’equipaggio, si è
schiantato nel nord est del Paese. Secondo le autorità del dipartimento
colombiano di Cesar, non ci sarebbero sopravvissuti.
Il velivolo, partito da Panama, era diretto a Caracas.
Il capo di Stato iraniano, Mahmud
Ahmadinejad, in visita ufficiale in Venezuela, ed il
presidente venezuelano, Hugo Chavez,
hanno annunciato la creazione di una compagnia petrolifera mista, che avrà il
compito di “analizzare, produrre e commercializzare il petrolio”. I due capi di
Stato hanno anche concordato sulla necessità di ridurre la
produzione di greggio. Altri accordi tra i due governi prevedono, poi, una
stretta cooperazione tra Venezuela e Iran anche nel settore del turismo, della
comunicazione, dell’informazione e dell’agricoltura. Il presidente Chavez, in un discorso pronunciato ieri al Congresso, ha
confermato intanto la decisione di “nazionalizzare tutto il settore
dell’energia e dell’elettricità venezuelano”.
In Italia, il tribunale militare della città di La Spezia ha condannato all’ergastolo dieci dei 17
imputati per la strage nazista di Marzabotto.
Soldati dell’esercito tedesco e militari delle SS circondarono tra il 29
settembre e il 5 ottobre del 1944 le colline bolognesi dove si trovavano
centinaia di partigiani della brigata “Stella Rossa”. La furia nazista non
risparmiò la popolazione civile: in seguito a rastrellamenti ed esecuzioni
sommarie furono uccise almeno 770 persone, in maggioranza donne e bambini. Tra
le vittime, anche cinque sacerdoti. Il parroco di Cesaglia,
in particolare, fu assassinato sull’altare. I dieci imputati condannati
all’ergastolo, di età compresa tra 81 e 88 anni, sono stati ritenuti
colpevoli di concorso in violenza pluriaggravata e continuata. Gli altri
sette sono stati assolti per non aver commesso il fatto. Tutte le sentenze sono
state emesse in contumacia.
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