RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 11 - Testo della trasmissione di giovedì 11 gennaio 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Ricordato ieri con una Messa
in San Pietro il cardinale croato Šeper, a 25 anni
dalla morte
OGGI IN PRIMO PIANO:
Nata
in Italia la Consulta giovanile per il
pluralismo culturale e religioso: ai nostri microfoni il cardinale Paul Poupard, Tullia Zevi, Osama al-Saghir,
Marta Arkerdar e Giovanna Melandri
CHIESA E SOCIETA’:
Domani, in Polonia, riunione
straordinaria dei vescovi polacchi sulla vicenda di mons. Wielgus
Incentrata
sulla famiglia la lettera pasquale dell’arcivescovo di Firenze, cardinale Ennio
Antonelli
Promossa a Parigi per
domenica 21 gennaio una marcia in difesa della vita
La Russia
riapre il flusso di petrolio verso l’Europa
11 gennaio 2007
E’
PERICOLOSO E CONTROPRODUCENTE DARE TUTELA GIURIDICA
A FORME DI UNIONE DIVERSE DALLA FAMIGLIA TRADIZIONALE,
CHE
DEVE ESSERE INVECE SOSTENUTA NEI SUOI BISOGNI CONCRETI DALL’AMMINISTRAZIONE
PUBBLICA: LO HA AFFERMATO BENEDETTO XVI
NELL’UDIENZA
AGLI AMMINISTRATORI DELLA REGIONE LAZIO,
DELLA PROVINCIA E DEL COMUNE DI ROMA
E’ la famiglia fondata sul matrimonio ad aver bisogno di
tutela etica e sostegno sociale da parte della cosa pubblica. Riconoscimenti
giuridici in favore di altri tipi di unioni risultano “pericolosi” e
“destabilizzanti” per la famiglia stessa. E’ una delle affermazioni più nette
rivolte stamattina da Benedetto XVI agli amministratori della Regione Lazio,
della Provincia e del Comune di Roma, ricevuti come di consueto in udienza
all’inizio del nuovo anno. Il Papa, ricordando la sua recente visita alla Mensa
della Caritas romana di Colle Oppio, ha parlato del dovere comune della
solidarietà tra Chiesa locale e le strutture assistenziali. Il servizio di
Alessandro De Carolis.
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“Ogni uomo che soffre”, che sia indigente, malato o
comunque ferito da una qualsiasi miseria sociale, è un uomo che “appartiene
alla Chiesa e a tutti i fratelli in umanità”. E’ la cornice ideale nella quale
Benedetto XVI ha inserito le osservazioni di carattere pratico che hanno fatto
da leit-motiv al suo incontro con i tre massimi responsabili della Regione
Lazio, Pietro Marrazzo, della Provincia di Roma,
Enrico Gasbarra, e del Comune capitolino, Walter Veltroni, che hanno salutato il Pontefice rammentando le
iniziative più importanti in favore dei cittadini, realizzate nel corso dei
rispettivi mandati.
Nel raccomandare ai presenti, riuniti nella Sala
Clementina, di farsi tramite dei suoi sentimenti di affetto, vicinanza e
sollecitudine pastorale nei confronti della città di Roma e di tutto il Lazio –
terra cristiana per eccellenza - il Papa ha anzitutto riconosciuto che il “bene
integrale” della popolazione presente sul territorio “viene
sicuramente tutelato e incrementato” dalla collaborazione esistente tra le
strutture ecclesiali e quelle pubbliche, “nel pieno rispetto – ha aggiunto
rivolto ai suoi interlocutori – della sana laicità delle vostre funzioni”. Tuttavia,
ha proseguito il Pontefice, diverse sono le categorie che hanno, nella fase
attuale, bisogno di attenzione particolare, come ad esempio la vita che si
svolge tra le pareti domestiche. “Oggi il matrimonio e la famiglia – ha
affermato Benedetto XVI - hanno bisogno di essere meglio compresi nel loro
intrinseco valore e nelle loro autentiche motivazioni”, e ciò deve impegnare sempre
più la Chiesa, “ma è ugualmente necessaria – ha osservato - una politica della
famiglia e per la famiglia, che chiama in causa, su un duplice versante, anche
le responsabilità che vi sono proprie”:
“Si tratta cioè di
incrementare le iniziative che possono rendere meno difficile e gravosa per le
giovani coppie la formazione di una famiglia, e poi la generazione e
l’educazione dei figli, favorendo l’occupazione giovanile, contenendo per
quanto possibile il costo degli alloggi, aumentando il numero delle scuole
materne e degli asili-nido. Appaiono invece pericolosi e controproducenti quei
progetti che puntano ad attribuire ad altre forme di unione impropri
riconoscimenti giuridici, finendo inevitabilmente per indebolire e destabilizzare la famiglia legittima fondata sul matrimonio”.
Di qui, discende l’aspetto dell’educazione delle giovani
generazioni: priorità pastorale, certo, ma anche problematica di punta sociale
e civile. Benedetto XVI ha ringraziato ogni livello dell’amministrazione
pubblica per il sostegno dato agli organismi ecclesiali impegnati nel settore,
in particolare agli oratori, come poco prima lo aveva fatto parlando del
“vastissimo campo della tutela della salute”. Anche in esso,
il Papa aveva rilevato l’esigenza di uno “sforzo ingente e coordinato per
assicurare a quanti soffrono di malattie fisiche o psichiche cure tempestive e
adeguate”, nel rispetto della loro dignità e sacralità della vita:
“Sì, gentili
rappresentanti delle Amministrazioni di Roma e del Lazio, ogni uomo che soffre
appartiene alla Chiesa e al tempo stesso appartiene a tutti i fratelli in umanità.
Appartiene dunque, e a un titolo preciso, anche alle vostre responsabilità di
pubblici amministratori. Non posso non rallegrarmi, pertanto, della
collaborazione da molto tempo in atto tra gli organismi ecclesiali e le vostre
Amministrazioni, allo scopo di alleviare e soccorrere le molte forme di
povertà, economica ma anche umana e relazionale, che affliggono un notevole
numero di persone e di famiglie, specialmente tra gli immigrati”.
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Al termine dell’udienza in Vaticano, il presidente della
Regione Lazio, Pietro Marrazzo, e della Provincia di
Roma, Enrico Gasbarra – mentre il sindaco di Roma, Veltroni, è stato costretto a dare forfait per precedenti
impegni - sono intervenuti in diretta dai microfoni della nostra emittente per
raccontare a caldo le impressioni dell’incontro con Benedetto XVI. Eccone una sintesi, nelle interviste di Luca Collodi. Il
commento di Pietro Marrazzo:
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R. – Il Papa ha posto alcune significative sottolineature,
ma lo ha fatto con uno spirito ed anche con un clima particolare. Si sentiva
che c’era una definizione dei ruoli. Ha parlato di laicità, ma ha poi
sottolineato un percorso parallelo, dove la collaborazione è importante. Credo
che questo si sia sentito. Per lui era il secondo incontro, come lo era per me,
a differenza di Enrico Gasbarra e Walter Veltroni che avevano partecipato ad altri incontri.
Quest’anno si è trattato di un incontro in cui alcuni passaggi ci hanno fatto
riflettere e credo che per tutti noi che viviamo in una comunità – e lui spesso
ha parlato della comunità di Roma, del territorio della Regione – sia importante
approfondire.
D. – Presidente Gasbarra, il
discorso di Papa Benedetto sembra collimare in molti punti con quella che è la
vostra attività di amministratori locali…
R. – Sì. A dimostrazione che l’incontro con Sua Santità
non è soltanto un incontro rituale, ma che si tratta di un incontro profondo,
che tende un po’ a raccontare le esperienze dell’anno passato e ad augurarci un
nuovo anno di collaborazione. Sua Santità ha analizzato e ha interloquito con i
nostri discorsi augurali, conoscendo profondamente il lavoro delle nostre amministrazioni,
ribadendo la necessità del rinsaldare la collaborazione, che è già molto ampia e molto forte, e le articolazioni della Chiesa nelle
parrocchie, nelle associazioni di volontariato e nel rapporto con il Vaticano e
con le strutture religiose operanti nella sanità e nella scuola. Il Papa ha
anche tracciato le linee di collaborazione per i problemi che ovviamente
rimangono sul tappeto, rispetto alla sofferenza, ai bisogni, alle prospettive
di giovani ed ha indicato dei terreni, dentro i quali la collaborazione tra
forma di impegno civico nella dimensione laica, ma anche impegno spirituale
nella carità, possono essere affrontati insieme.
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IL PAPA NOMINA IL NUOVO NUNZIO IN ITALIA
E SAN MARINO:
E’ IL PIEMONTESE MONS.
GIUSEPPE BERTELLO, FINORA NUNZIO IN MESSICO
Benedetto
XVI ha nominato nunzio apostolico in Italia e nella Repubblica di San Marino
mons. Giuseppe Bertello, arcivescovo titolare di Urbisaglia, finora nunzio apostolico in Messico. Mons. Bertello, piemontese, 64 anni, è nato il 1° ottobre del
ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Il Papa ha ricevuto stamane, in
successive udienze, anche il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione
Cattolica, e il sig. Ahamad Abdulkareem
Al-Ibrahim, ambasciatore del Kuwait, in visita di
congedo. Questo pomeriggio il Papa riceverà il cardinale Sergio Sebastiani, presidente della Prefettura degli Affari
Economici della Santa Sede, e il cardinale Antonio María
Rouco Varela, arcivescovo
di Madrid.
In India, il Santo Padre ha nominato vescovo di Bhagalpur, il rev. Kurian Valiakandathil, del clero di Bhagalpur,
parroco di Leela. Il rev. Kurian
(Ciriaco) Valiakandathil, è nato il 18 novembre 1952
ad Elanjy, nell'eparchia di
Palai, nel Kerala. E' stato ordinato sacerdote il 28
ottobre 1977 e incardinato nella diocesi di Bhagalpur.
La diocesi di Bhagalpur, suffraganea
dell'arcidiocesi di Patna, è stata eretta nel
DEDICATA
AL TEMA DELLA FAMIGLIA MIGRANTE LA 93.MA GIORNATA
MONDIALE
DEL MIGRANTE
E DEL RIFUGIATO PROMOSSA DALLA FONDAZIONE MIGRANTES,
ORGANISMO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE
ITALIANA.
L’EVENTO,
CHE SI SVOLGERÀ DOMENICA PROSSIMA,
È
STATO PRESENTATO QUESTA MATTINA
PRESSO LA SALA MARCONI DELLA NOSTRA EMITTENTE
- A
cura di Stefano Leszczynski -
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Il fenomeno migratorio coinvolge sempre più le famiglie
dei migranti, per le quali – sottolinea
Uno sforzo particolare viene
chiesto all’Unione Europea perché gli Stati membri ratifichino
Nel mondo i migranti sono oltre 200 milioni e di questi
almeno 3 milioni sono gli italiani nel mondo. La stessa cifra raggiunta dalla
popolazione immigrata in Italia. Una riflessione sul tema della Giornata mondiale
del 2007 è stata fatta da mons. Piergiorgio Saviola,
direttore generale della Fondazione, guardando alla Santa Famiglia di Nazaret in esilio come esempio e sostegno dei profughi di ogni età e condizione costretti a rifugiarsi in terra
straniera per sfuggire alle persecuzioni o al bisogno.
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CONVEGNO
INTERNAZIONALE OGGI E DOMANI ALL’URBANIANA
SULLA
SFIDA DEL DIALOGO NEL TERZO MILLENNIO
-
Intervista con il prof. Ambrogio Spreafico -
“Nel
convivio delle differenze: il dialogo nelle società del terzo millennio”. E’ il
tema del Convegno internazionale ospitato oggi e domani dalla Pontificia
Università Urbaniana, organizzato in collaborazione
con Pontifici Consigli per
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Cultura e
pluralità, nuovi linguaggi per il dialogo, patrimonio comuni di valori
religiosi, libertà e fraternità: denso di spunti il programma del Convegno, con
una ricchezza di temi esposti da relatori di vari Paesi e confessioni, tra cui
il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ed il Segretario generale del Centro
islamico culturale d’Italia Abdullah El-Radwan. “Siamo consapevoli – ha detto il cardinale Dias - che l’alterità, il
pluralismo e le differenze costituiscono, per il nostro tempo, una risorsa
preziosa e non semplicemente un’evitabile minaccia”. Gli ha fatto eco il
cardinale Poupard richiamando il bisogno urgente del
dialogo fra fede e ragione per fondare “una vera civiltà del convivere”,
formando soprattutto i giovani a “scacciare la paura dell’altro e ad aprire il
cuore per vivere in pace”. Un impegno di grande attualità, come ha sottolineato
anche il rettore dell’Ateneo pontificio, il prof. Ambrogio Spreafico:
R. – Credo che questo tema sia oggi molto attuale nel
mondo, perchè lo scontro delle civiltà, delle culture, le guerre ci fanno
capire come la domanda della convivenza sia una domanda essenziale. Anche
perché credo che la nostra Chiesa, la Chiesa cattolica, abbia fatto di questo
un tema quasi prioritario del suo modo di essere nel mondo.
D. – Tra gli aspetti sottolineati vi è quello di vincere
la paura della diversità e anche però di indagare sulla propria identità…
R. – Vincere la paura della diversità, perchè la diversità
istintivamente mette paura, perchè ti pone domande, perché ti trovi di fronte
ad un mondo che spesso non conosci. Per questo è necessario conoscere la propria
identità e partire dalla propria identità, perchè senza identità non esiste
dialogo. Il problema è anche superare l’ignoranza, perché la paura spesso ha
radici nell’ignoranza.
D. – Forse il mondo universitario può essere, come lei ha
sottolineato, un luogo privilegiato di esperienza di convivenza e forse questo
non emerge molto, non c’è molta attenzione da parte del mondo politico verso il
mondo universitario…
R. – Certamente, questo senza dubbio. Direi
anche, se posso fare un auto elogio delle nostre Università pontificie -
che talvolta sono dimenticate - le nostre Università pontificie, più che le
Università statali, sono un luogo di presenze di grandi culture e di tante
tradizioni culturali. Solo nella nostra università noi abbiamo studenti provenienti
da più di 120 Paesi del mondo. Si potrebbe dire anche però della Lateranense, della Gregoriana… Quindi, questo è certamente
un luogo in cui noi respiriamo l’interculturalità e
respiriamo anche la ricchezza di potersi incontrare e di poter dialogare l’uno
con l’altro.
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RICORDATO
IERI CON UNA MESSA IN SAN PIETRO
IL
CARDINALE CROATO ŠEPER, A 25 ANNI DALLA MORTE:
FU UN
AUDACE TESTIMONE DEL VANGELO DURANTE
IL
DIFFICILE PERIODO DEL REGIME COMUNISTA
Il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per
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Il cardinale Levada,
introducendo la Messa, ha ricordato il motto episcopale del cardinale Šeper tratto dalla Lettera agli Efesini:
“Veritatem facientes in caritate”, “vivendo secondo la verità nella carità”. E il
cardinale Bozanić nell’omelia ha detto che
“verità e amore sono stati i due pilastri del ministero del cardinale Šeper”, già arcivescovo di Zagabria e prefetto della
Congregazione per
“Nonostante gli spazi assai limitati, non si rassegnò con
passività a sottostare alle avverse condizioni. Seguendo l’esempio del suo
predecessore, il beato martire Stepinac, trovò i modi
per dare con più forza voce al Vangelo. In tempi caratterizzati dal buio e da
tante incertezze esterne, egli fu un appoggio per gli indifesi e la sua
saggezza e la sua prudenza aiutarono gli smarriti a ritrovare di nuovo la strada
giusta”.
Il cardinale Bozanić ha
quindi sottolineato che anche durante la sua permanenza a Roma il cardinale Šeper fu di grande sostegno ai
fedeli cattolici e alle “Chiese oppresse dai regimi comunisti nell’Europa
centrale e orientale”:
“Per molti fedeli, la presenza del cardinale Šeper a Roma era un forte segno di speranza e di appoggio.
Con lui erano in contatto molti vescovi e presbiteri delle Chiese di quei Paesi,
privi della libertà religiosa. A lui si potevano rivolgere tutti quelli che,
dovendosi confrontare con sistemi di ateismo statale, cercavano qualcuno che li
capisse da vicino e desse loro una nuova spinta per vivere le beatitudini nella
fedeltà alla Santa Sede e al Successore di Pietro”.
All’inizio della Messa è stato letto il messaggio di
Benedetto XVI inviato il 5 gennaio scorso in occasione della celebrazione
dell’anniversario a Zagabria. Il Papa, nel messaggio, ricorda il cardinale Šeper come “pastore e teologo”, capace di “coniugare la bontà,
la semplicità e la risolutezza” sia nel suo impegno instancabile per il
popolo croato “nei momenti esigenti e difficili del totalitarismo comunista”,
sia durante “il suo servizio sicuro e
saggio nella guida della Congregazione per
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano – “Sacralità
della vita umana, centralità della persona del malato, valore della famiglia
fondata sul matrimonio”: Benedetto XVI incontra gli Amministratori della
Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma, e indica loro “i grandi
principi”.
Servizio estero - Iraq: Bush ammette gli errori e rilancia l’offensiva militare.
Servizio culturale - Un
articolo di Agostino Paravicini Bagliani dal titolo
“Figure della Biblioteca Vaticana”: una raccolta di saggi di
Nello Vian.
Servizio italiano - Governo;
crescita e attuazione della manovra economica. Vertice a Caserta con la
maggioranza.
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11 gennaio 2007
OFFRIRE LO STESSO TRATTAMENTO A ORGANIZZAZIONI
RELIGIOSE DIVERSE
RAPPRESENTA UN’INGIUSTIZIA SOSTANZIALE: E’
QUANTO SOTTOLINEA
IL PROF. ANTONIO MARIA BAGGIO DELLA GREGORIANA, DOPO LE
DICHIARAZIONI
DI MONS. GIUSEPPE
BETORI SULLA LIBERTA’ RELIGIOSA E LA REAZIONE
POLEMICA DEL MINISTRO PER LA SOLIDARIETA’
SOCIALE, PAOLO FERRERO
La Conferenza Episcopale
Italiana esprime “stupore e sconcerto” per le dichiarazioni del ministro per la
Solidarietà Sociale, Paolo Ferrero, che a proposito
dell’audizione di mons. Giuseppe Betori alla Camera
sulla libertà religiosa ha parlato di “posizioni oscurantiste” della Chiesa, da
“non tenere in considerazione”. In quell’audizione,
il segretario generale della CEI, mons. Betori, aveva
affermato, tra l’altro, che “l’eguale libertà di tutte le confessioni non
implica piena eguaglianza di trattamento”, giacché non
si può non tener conto della realtà del Paese. Sulla vicenda, ecco la
riflessione del prof. Antonio Maria Baggio, docente di etica politica all'Università Gregoriana,
intervistato da Alessandro Gisotti:
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R. – Accusare di integralismo
oscurantista rivela una posizione ideologica. E questo è un po’ il problema di
fondo. Dare la stessa cosa a tutte le diverse organizzazioni religiose produce una ingiustizia, un’ingiustizia nella sostanza, perché se si
dà la stessa cosa a realtà diverse, si creano delle situazioni di ingiustizia.
E’ un errore che possiamo considerare speculare a quello dello ‘Stato indifferente’. In certi Paesi, infatti, lo Stato sostiene
che la religione è un affare privato e l’assenza di leggi al riguardo
indicherebbe, appunto, che lo Stato concede la libertà purché tutti questi
fenomeni religiosi non tocchino in alcun modo la sfera pubblica.
D. – La Chiesa, per i suoi
fedeli che vivono in Stati a maggioranza musulmana o di altre religioni, chiede
il rispetto della libertà religiosa, ma non nega che quella religione costituisca
parte essenziale del patrimonio della storia, della cultura di quel dato Paese.
Perché in Italia c’è ancora chi non riconosce questo dato di fatto per la
Chiesa?
R. – Ritengo che ciò sia dovuto a motivi di ordine ideologico e ad interessi
particolari. Il cristianesimo e, dunque, parlando dell’Italia, soprattutto la
Chiesa cattolica ha generato delle idee che oggi danno sostanza alla
democrazia: il senso della libertà di coscienza, di uguaglianza, dei diritti
della persona umana. Quanti criticano, quindi, la nostra religione lo fanno
senza sapere che è proprio la nostra religione che li ha messi in condizione di
libertà e nella sicurezza per poterla criticare! Direi di più: la stessa
concezione della razionalità con la quale la democrazia si organizza, ha a che
fare con ciò che il cristianesimo ha immesso nella storia. Forse, si teme la
presenza reale e viva che ancora oggi ha la Chiesa sia come gruppi organizzati,
sia come attività dei singoli nel campo sociale.
D. – Sin dalla Dichiarazione
conciliare Dignitatis Humanae,
la Chiesa ha posto l’accento sulla libertà religiosa quale pietra d’angolo
dell’edificio dei diritti umani. Una difesa che va, però, contemperata con le
leggi dello Stato. Pensiamo, ad esempio, al richiamo di mons. Betori sulla poligamia, che ha detto “non può essere
riconosciuta in ossequio alle esigenze di un malinteso multiculturalismo”.
R. – Nel documento che lei ha
citato, la Dignitatis Humanae,
si associano i diritti religiosi ai diritti umani in generale. La Chiesa, nella
sua esperienza, ha maturato l’idea che non si può difendere soltanto un diritto
- quello religioso – ma i diritti dell’uomo devono
essere difesi nella loro interezza, nella loro integralità. Lo ha appreso dalla
storia ed è una sua convinzione. Esiste ora una corrispondenza tra ciò che la
Chiesa difende, perché ha una conoscenza dell’uomo dal patrimonio di fede, e
ciò che l’uomo stesso comprende e che comincia a mettere dentro il ricco
patrimonio dei diritti umani. Quindi, quando mons. Betori
dice: “Attenzione, perché il riconoscimento acritico di certe convinzioni che
esistono in talune religioni viola la dignità umana” non fa che difendere non
solo un principio di fede, ma anche un dettato costituzionale. D’altro canto,
gli incontri che hanno avuto Benedetto XVI e il presidente della Repubblica Napolitano
nel novembre scorso, ma anche in altre occasioni e in scambi di messaggi, hanno
dimostrato che abbiamo una corrispondenza molto forte tra i principi universali
di carattere etico e di difesa della persona che ci sono nella Costituzione e
in affermazioni che troviamo – ad esempio – nella Gaudium
et Spes.
D. – Sullo sfondo di questo
dibattito c’è, comunque, sempre il tema della laicità. Non c’è oggi, forse, una
confusione ingenerata da quanti affermano di difendere la laicità e invece propongono
tesi laiciste che negano la dimensione pubblica della
religione?
R. – Sì, ma si tratta di una
confusione voluta, purtroppo. Certe confusioni di oggi sono
veramente volute. Quando noi difendiamo la specificità della presenza
cattolica in Italia, difendiamo anche tutto questo insieme di valori e di
principi che rappresentano un bene per tutti e non solo per i cattolici.
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RAID
STATUNITENSE AL CONSOLATO IRANIANO DI ERBIL:
IERI BUSH HA AMMESSO ERRORI PER L’IRAQ
E HA ANNUNCIATO L'INVIO DI OLTRE 20 MILA SOLDATI
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Intervista con il prof. Fabrizio Battistelli -
Fa discutere il nuovo piano americano per l’Iraq, che
prevede l’invio di altri 21.500 soldati statunitensi. Il presidente Bush lo ha annunciato ieri ammettendo che “in Iraq sono
stati fatti errori”. Voto contrario dalla nuova presidente della
Camera, la democratica Nancy Pelosi. Ma anche diversi senatori
repubblicani hanno preso decisamente le distanze. Secondo i sondaggi, la maggioranza
della popolazione americana si dice contraria a questa nuova strategia. Il
servizio di Fausta Speranza:
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Mentre il presidente Bush
affermava che l'America bloccherà “il flusso di aiuti dall'Iran e dalla Siria
per chi attacca le truppe USA” in Iraq, soldati americani facevano irruzione
nel consolato dell'Iran ad Erbil, nel Kurdistan
iracheno, arrestando sei persone. Protesta ufficiale dell'ambasciata iraniana a
Baghdad. Tre i punti del piano: maggiore impegno del governo di Baghdad,
aumento dei soldati americani e investimenti per l’economia. Con una
precisazione: prima le truppe USA attaccavano i capisaldi della guerriglia ma dopo averli presi li abbandonavano. Ora,
invece, resteranno sul posto. Tra le autorità istituzionali irachene, soltanto
il premier al Maliki si è pronunciato parlando di
speranza per il futuro.
Secondo la stampa ufficiale siriana, il piano americano
per l'Iraq ha scarse possibilità di successo.
Pieno sostegno, invece, alla nuova strategia militare USA dal premier
conservatore dell'Australia e da quello del Giappone. C’è poi la dichiarazione
della Gran Bretagna che esclude l’invio anche solo di un soldato di più. E c’è
la cronaca dell’ennesimo fatto di sangue: a Samarra,
cinque morti e una cinquantina di feriti per un’autobomba. Imposto il
coprifuoco fino a nuovo ordine. Nel febbraio dell'anno scorso un attentato
dinamitardo ha distrutto la moschea sciita dalla cupola d'oro di Samarra e ha di fatto dato il via ad una infinita
serie di violenze e vendette incrociate tra la
comunità sciita e quella sunnita.
Sul fronte processi, è ripreso quello per la cosiddetta
campagna di Anfal, ovvero lo sterminio di oltre 180
mila curdi iracheni alla fine degli anni '80, di cui
il principale imputato, con l'accusa di genocidio, era l'ex presidente Saddam Hussein, impiccato il 30
dicembre. Ora l'accusa di genocidio grava su Ali Hassan
al Majid, detto Ali il chimico e altri cinque: tutti
rischiano la pena capitale.
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La decisione di inviare oltre 20 mila uomini in più in
Iraq è stata presentata dal presidente Bush come una
“svolta strategica”. Ma cosa succederà ora nel Paese del Golfo? Risponde il
prof. Fabrizio Battistelli, segretario generale di Archivio Disarmo, intervistato da Giada
Aquilino:
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R. – Sul piano tattico è possibile che qualcosa cambi,
perché indubbiamente 20 mila uomini in più possono sicuramente essere utili,
nella concezione americana, per sostenere l’esercito iracheno. Sul piano
strategico c’è da chiedersi se questo modificherà le sorti del conflitto.
D. – Che segnale è la scelta di rafforzare la presenza
americana nel Paese del Golfo, invece che iniziare un processo di consegna
militare agli iracheni?
R. – E’ la sua dichiarazione di coerenza con quella che è
stata, in fondo, tutta la sua presidenza, all’indomani
dell’attacco a Washington e a New York, la dichiarazione di una guerra al
terrorismo, unilaterale nelle modalità di conduzione, dimostrando che gli Stati
Uniti non si sarebbero fatti condizionare da nulla e da nessuno in questa
guerra.
D. - Secondo la Casa Bianca, il piano consentirebbe di
stabilizzare l’Iraq prima della fine del 2007. Viste
le violenze sul terreno è un’ipotesi veritiera?
R. - Assolutamente no. Chiunque
di noi abbia fatto in tempo a conoscere la guerra del Vietnam o, se non la
conosce, a studiarla, rivede un itinerario già percorso, quello di un
intervento militare nato per essere del tutto circoscritto, che poi richiede
sempre più risorse finanziarie, tecniche e soprattutto umane. Nel caso
iracheno, addirittura, si deve aggiungere, rispetto al Vietnam, l’esistenza di una contemporanea guerra civile tra i gruppi etnico-religiosi
presenti. Questo non può che portare o ad un’occupazione dell’intero territorio
iracheno o ad un abbandono, ma soprattutto è sul campo che la situazione è
drammatica. Siamo passati sfortunatamente ad una vera e propria guerra civile
che prelude alla esplosione dell’Iraq e al suo smembramento: da una parte i curdi, nel mezzo i sunniti e a sud gli sciiti.
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AMNESTY INTERNATIONAL LANCIA UNA CAMPAGNA PER
DEL
CARCERE DI GUANTANAMO A CINQUE ANNI DALLA SUA APERTURA
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Intervista con Riccardo Noury -
Compie 5 anni il controverso carcere di Guantanamo, nell’isola di Cuba. L'11 gennaio del 2002 veniva aperta, nella base militare statunitense di Guantanamo, la struttura di detenzione destinata ai
sospettati nell'ambito della cosiddetta "guerra al terrore". Oggi, in
occasione del quinto anniversario dell'apertura del carcere, Amnesty
International lancia una campagna per chiederne la chiusura. “Il governo statunitense
deve porre fine a questa parodia di giustizia”, ha dichiarato oggi la
segretaria generale di Amnesty International, Irene Khan. In 5 anni sono state
passate per Guantanamo più di 700 persone, tenute
prigioniere senza capi d'accusa, senza processo, e senza i diritti fondamentali
che spettano ai prigionieri. Della situazione di queste persone ci parla
Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di
Amnesty, intervistato da Elisabetta Rovis:
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R. – Sono 400 persone su un totale di più 700 che sono
passate per Guantanamo in questi cinque anni e le quali non conoscono di cosa sono accusate. Questa è una
grave violazione dei propri diritti. Non hanno, tra l’altro, possibilità di
ricorrere ad un giudice, al quale sottoporre l’illegittimità della propria
detenzione; non hanno accesso alle prove segrete a loro carico e vivono nella
prospettiva di non sapere quando, se e come verranno
rilasciati. Vivono, quindi, in una sorta di limbo giudiziario, nel quale le
condizioni detentive sono, tra l’altro, segnalate costantemente cattive.
D. – Lo scorso novembre, nelle elezioni di metà mandato
negli Stati Uniti, c’è stato un forte calo di consensi verso l’amministrazione Bush. Secondo voi di Amnesty, questo potrebbe portare ad
una revisione delle posizioni su Guantanamo?
R. – Questo è difficile da immaginare. Certo è che la
conduzione della cosiddetta “guerra al terrore” è sottoposta a dure
contestazioni sia sul piano giuridico, da parte degli organi di giustizia
federale degli Stati Uniti, sia da parte di commentatori dei mezzi di
informazione che anche del pubblico. Certamente il fatto che i soldati morti in
Iraq abbiano superato in numero le vittime delle Torri Gemelle è un fatto grave
di per sé, ma anche simbolico di cosa non ha funzionato. E’ difficile stabilire
se e quanto Guantanamo verrà
chiusa. Certo è che negli Stati Uniti il dibattito si è aperto e noi
auspichiamo che questo dibattito porti sul piano politico a decisioni molto
precise ed ovvero chiudere Guantanamo, processare chi
vi sta dentro oppure liberarlo in assenze di prove e porre fine - più in
generale - a tutte le violazioni dei diritti umani che hanno caratterizzato
questi cinque anni di conduzione della “guerra al terrore”.
D. – Ma il carcere di Guantanamo
è una sorta di punta dell’iceberg di questa lotta al terrorismo che sta, in un
certo senso, sacrificando i diritti umani e le libertà civili…
R. – E’ vero ed è un paradosso. Guantanamo
è un luogo chiuso, ma è anche un luogo dal quale le notizie arrivano, perché ci
sono detenuti che escono, ci sono avvocati e ci sono anche fonti ufficiali,
sono anche trapelati manuali di interrogatorio che prevedono delle vere e
proprie tecniche di tortura. Quello che non sappiamo è la dimensione globale di
questo vero e proprio scandalo riguardo ai diritti umani, basato su detenzioni
segrete, su detenzioni prolungate senza accusa né processo, con interrogatori
condotti sotto tortura. Non sappiamo neanche quante migliaia di detenuti vi siano nelle altre carceri che sono ancora meno visibili di Guantanamo. Su tutto questo occorre che l’amministrazione
statunitense faccia luce e sia spinta a rivelare i luoghi segreti di detenzione
e quanti detenuti vi sono, di cosa sono accusati, e a dare accesso alle
organizzazioni umanitarie affinché visitino questi detenuti.
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QUINDICI
GIOVANI RAPPRESENTANTI DI DIVERSE RELIGIONI E DI VARI CULTI
COLLABORERANNO
CON IL GOVERNO ITALIANO PER FAVORIRE
IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO ED UNA PACIFICA CONVIVENZA FRA DIFFERENTI ETNIE
- Ai
nostri microfoni il cardinale Paul Poupard, Tullia Zevi, Osama al-Saghir,
Marta Arkerdar e il
ministro Giovanna Melandri -
Nasce in Italia la Consulta
giovanile per il pluralismo culturale e religioso. Composta da
esponenti di diverse religioni, offrirà pareri al governo per promuovere una
pacifica convivenza.
Voluta con un decreto dal ministro per le Politiche Giovanili e le Attività
Sportive, Giovanna Melandri, e dal ministro
dell’Interno, Giuliano Amato, la Consulta è stata presentata ieri a Roma e ad essa è giunto anche un messaggio del cardinale segretario di
Stato Tarcisio Bertone, affidato al presidente
del Pontificio Consiglio della cultura, il cardinale Paul
Poupard. Il servizio di Tiziana Campisi:
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Il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha espresso il proprio apprezzamento per
l’iniziativa che vuole favorire il dialogo e la tolleranza ed ha augurato buon
lavoro ai 15 giovani della Consulta, che rappresentano i diversi culti
praticati in Italia, e il cardinale Poupard ha
aggiunto:
“Il pluralismo è una realtà. E
noi, da questa realtà, prendiamo coscienza e aiutiamo le persone a viverla in
modo positivo, rispettoso, amichevole ed anche con iniziative concrete. E questo
perché le dichiarazioni sono certamente una bella cosa, ma le dichiarazioni
sono fatte per aiutare l’azione”.
Per Tullia Zevi,
già presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane,
questo organismo, che collaborerà con il governo italiano, esorta a vivere e a
lavorare insieme e sui giovani della Consulta esprime il suo parere:
“Hanno una
disponibilità grandissima ed una grandissima volontà di dialogo. C’è una frase
di un filosofo giapponese, che è in realtà rappresentato da un’unica parola ‘Kiosei’ che vuol dire vivere vicini, vivere insieme e lavorare
insieme. Questo è l’intenzione, questo è il messaggio che ci danno questi
ragazzi”.
Ma quali le
priorità della Consulta ritenute più importanti dai giovani musulmani? Osama al-Saghir, presidente dei giovani musulmani in Italia:
“E’ necessario
lavorare moltissimo sul pregiudizio che abbiamo sofferto in tutti questi anni e
far vedere che siamo delle persone come tutte le altre. Ci impegneremo anche
all’interno della nostra comunità per far capire che questo è il nostro Paese,
che in questo Paese ci sono delle regole e che insieme si può vivere certamente
in modo pacifico”.
I diversi
rappresentanti della Consulta hanno dato vita ad una piccola biblioteca,
mettendo a disposizione dei testi sui loro culti e le loro tradizioni, e ancora
libri che possano servire come fonti comuni. Ma in che
modo i giovani della Consulta si propongono di
lavorare insieme? Lo abbiamo chiesto a Marta Arkerdar
dell’Istituto buddista Soka Gakkai:
“Sicuramente la
base tra il dialogo interreligioso è prima di tutto rappresentata dal dialogo
vita a vita, umano, e quindi il rapporto che si creerà tra di
noi, singolarmente, al di là poi del culto religioso di appartenenza”.
E queste le prime
tematiche, sottolineate dal ministro per le Politiche Giovanili e le
Attività Sportive, Giovanna Melandri, sulle quali la
Consulta dovrà pronunciarsi:
“Cominceremo chiedendo alla Consulta di esercitarsi sui
temi della cittadinanza, e di aiutarci a predisporre una posizione, condivisa
sui temi dei simboli religiosi. Noi ci auguriamo che questo modello possa
essere moltiplicato e replicato anche a livello comunale”.
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11 gennaio 2007
DOMANI, IN POLONIA, RIUNIONE STRAORDINARIA DELLA CONFERENZA
EPISCOPALE
POLACCA SUGLI AVVENIMENTI DEGLI ULTIMI GIORNI E SULLE
DIMISSIONI
DI MONS. STANISLAW
WIELGUS
VARSAVIA. = “Situazione della Chiesa in Polonia conseguente
agli avvenimenti degli ultimi giorni”. Con questo ordine del giorno è stato
convocato per domani a Varsavia, dal presidente della Conferenza episcopale
polacca, mons. Józef Michalik,
un incontro straordinario del Consiglio permanente dell’episcopato con i vescovi
diocesani. Lo rende noto l'Ufficio stampa della Conferenza episcopale.
“Guardando a ciò che è successo – ha affermato mons. Michalik
- dovremmo ringraziare umilmente il Signore perché, nonostante tutto, ha vinto
la verità. Bisogna ringraziare Dio per la decisione di mons. Wielgus di rassegnare le dimissioni e anche per quella di
Benedetto XVI che le ha immediatamente accolte, sanando la situazione”. Mons. Michalik – riferisce
l’Agenzia SIR - ha inoltre sottolineato che “per il cristiano, presbitero o
vescovo, esiste una sola etica. La menzogna è sempre un male. Il male è anche
collaborare con uomini disonesti per una causa disonesta”. Intanto, il tono
delle notizie riguardanti la vicenda di mons. Wielgus
preoccupa l’Associazione dei giornalisti cattolici polacchi che in un appello
ha chiesto di rispettare “le regole di professionalità”. Lo stesso ha fatto il
nunzio apostolico in Polonia, mons. Józef Kowalczyk: “i media - ha detto -
dovrebbero sentirsi corresponsabili per il modo in cui viene rivelato il
contenuto di documenti del regime comunista per non danneggiare inutilmente
delle persone”.
SI INTENSIFICANO LE RICERCHE PER TROVARE PADRE
LUCIO BOLA,
MISSIONARIO FILIPPINO SCOMPARSO LO SCORSO 31
DICEMBRE. L’IPOTESI PIÙ
ACCREDITATA, SECONDO GLI INQUIRENTI, È QUELLA
DEL RAPIMENTO
CAGAYAN DE ORO.= Cresce l’apprensione per la sorte di padre Lucio Bola, missionario filippino scalabriniano scomparso lo scorso 31 dicembre dall’isola di Mindanao, nel sud delle Filippine. La polizia, insieme con le autorità locali e la Chiesa
cattolica, ha intensificato le ricerche. Padre Bola, 46.enne, si
trovava nei pressi di Balingasag, con la sua famiglia, per trascorrere le vacanze
natalizie. Da allora, non si hanno più sue notizie. La polizia teme si tratti
di un sequestro. Sembra che il missionario abbia avuto discussioni con un
vicino di casa, coinvolto in un traffico di droga. Gli agenti stanno
effettuando indagini, in particolare, su un uomo residente a Balingasag, Eric Akyatan. E’ stato anche istituito un gruppo di ricerca
ed è stata proposta la formazione di un “National Watch” per ritrovare il sacerdote. Il sindaco del comune di
Cagayan de Oro, Vicente
Emano, ha affermato inoltre di conoscere i nomi delle persone coinvolte nella
scomparsa di padre Bola. Vicente
Emano ha precisato, però, che “i nominativi verranno
resi noti solo dopo le dovute verifiche”. Intanto, l’arcidiocesi di Cagayan De Oro è fortemente impegnata nella ricerca del
missionario. Partecipano alle operazioni
anche alcuni scalabriniani arrivati appositamente da Cebu City. (A.D.F.)
INCENTRATA
SULLA FAMIGLIA LA LETTERA PASQUALE CONSEGNATA
AL
CLERO FIORENTINO DALL’ARCIVESCOVO DI FIRENZE, CARDINALE ENNIO ANTONELLI. LA
FAMIGLIA, SCRIVE IL PORPORATO, OFFRE UNO STRAORDINARIO CONTRIBUTO
PER IL BENE COMUNE E VA TUTELATA CON SERIE
POLITICHE
CONTRO
IDEE INDIVIDUALISTICHE CHE LA SVILISCONO
FIRENZE. = Non solo “un fatto privato” e “una comunità di
affetti”, ma anche “lo snodo tra persona e società” e “un’istituzione di
interesse pubblico”. Sono i tratti peculiari della famiglia indicati
dall’arcivescovo di Firenze, cardinale Ennio Antonelli,
nella “Lettera pasquale” consegnata al clero fiorentino riunito per l’annuale
corso di formazione. La famiglia, che “sarà la priorità pastorale della diocesi
nei prossimi tre anni”, costituisce secondo il porporato “un contributo per il
bene comune”. Un contributo che
comprende dimensioni cruciali quali: “l’educazione dei
figli”; “la trasmissione di valori umani e culturali”; “l’erogazione dei
servizi alle persone in situazione di fragilità e la funzione di ammortizzatore
sociale nei momenti difficili”. Per questo, aggiunge il porporato, la famiglia
va riconosciuta, tutelata sostenuta e valorizzata dalle pubbliche autorità che
hanno la responsabilità specifica di promuovere il bene comune”. “E’
auspicabile – si legge nella lettera ripresa dall’Agenzia SIR – che i politici,
nell’elaborare leggi e provvedimenti, ascoltino non solo le forze sociali ma
anche le associazioni per i diritti della famiglia”. Il cardinale sollecita, in
particolare, una strategia che possa offrire “nuove
opportunità per quanto riguarda la casa e il lavoro” e promuovere una
“effettiva attuazione della libertà di educazione”. L’arcivescovo di Firenze
ribadisce, infine, che “non vanno confuse con la famiglia altre forme di
convivenza, che non comportano l’assunzione degli stessi impegni e doveri” riscontrabili
nel matrimonio. Tali forme di convivenza, conclude il porporato, si configurano,
piuttosto, come “un rapporto privato tra individui, analogo al rapporto di
amicizia”. (A.L.)
CONTRO
LE NEFASTE CONSEGUENZE DELL’ABORTO, UNA MARCIA IN DIFESA
DELLA
VITA, IN PROGRAMMA A PARIGI IL PROSSIMO 21 GENNAIO,
PROMOSSA
DALLA “FEDERAZIONE
SPAGNOLA DI ASSOCIAZIONI PER LA VITA”
PARIGI. = Ogni anno si registrano in
Francia almeno 220 mila morti a causa della disumana pratica
dell’aborto. Complessivamente, sono oltre 7 milioni gli aborti da quando, nel 1975, è entrata in vigore in Francia la legge
che autorizza questa pratica. Per denunciare proprio le terribili conseguenze
dell’aborto si terrà il prossimo 21 gennaio, a Parigi, una marcia in difesa
della vita promossa dall’Organizzazione non governativa “Provida”
(“Federazione spagnola di Associazioni Per la Vita”). Tra gli effetti
dell’aborto, sottolinea l’organizzazione, ci sono: l’invecchiamento
demografico, la chiusura di scuole ma soprattutto un sempre maggiore degrado
familiare e gravi danni psicologici per le donne che hanno abortito. Sono
inoltre numerosi i casi di donne decedute in seguito ad aborti praticati in
modo illegale. L’organizzazione “Provida” - ricorda
l’Agenzia Fides - promuove il rispetto della vita umana fin dal momento del
concepimento ed è impegnata nel sostenere una cultura volta ad accogliere i più
deboli e indifesi. (A.L.)
PER
CONSTRASTARE IL DRAMMA DEI NEONATI ABBANDONATI NEI CASSONETTI,
IL MOVIMENTO PER LA VITA
ITALIANO RIBADISCE L’URGENZA DI COLLOCARE IN OGNI CITTÀ ALMENO UNA
“CULLA PER LA VITA”, RIEDIZIONE DELLA RUOTA DEGLI ESPOSTI
PALERMO. = “Mai più cassonetti… ma culle per la vita”. E’
il titolo del convegno, promosso dal Movimento per la vita
italiano, che si terrà domani a Palermo. I bambini abbandonati nei
cassonetti, si legge nel comunicato del Movimento, “costituiscono un fenomeno
drammatico di cui i ritrovamenti rappresentano, purtroppo, solo la punta
dell’iceberg”. “Per fronteggiare questo fenomeno – continua la nota – non è
sufficiente la pur pregevole norma sul parto anonimo in ospedale”. Da oltre dieci
anni il Movimento ha creato le “Culle per la vita”, presenti e funzionanti in
diverse città. Si tratta di moderne e tecnologiche riedizioni della “Ruota
degli esposti”. L’auspicio del Movimento è quello che si riesca
ad aprire una culla in ogni città italiana. Secondo il Ministero delle pari
opportunità sono circa 300 i casi di neonati abbandonati ogni anno in Italia.
Le “Culle per la vita” si affiancano agli oltre 300 Centri di aiuto alla vita
che da vent’anni operano sul territorio italiano, permettendo dal 1975 ad oggi
la nascita di oltre 70 mila figli di madri che, altrimenti, avrebbero
probabilmente abortito. (A.L.).
INAUGURATO IERI UN
INFOPOINT SULLA VIA FRANCIGENA A ROMA
PER
RICORDARE GLI ANTICHI ITINERARI PERCORSI DAI PELLEGRINI.
“UN
CAMMINO ALLA RICERCA DI UNA FEDE PIÚ PROFONDA”, HA DETTO IERI,
DURANTE
L’INAUGURAZIONE, IL SEGRETARIO DELL’AMMINISTRAZIONE
DEL PATRIMONIO DELLA SEDE APOSTOLICA, MONS.
CLAUDIO MARIA CELLI
ROMA.= É attivo da ieri l’infopoint sulla via Francigena a Roma. Lo sportello si trova presso gli Uffici
dell’Opera romana pellegrinaggi (ORP), in piazza Pio
XII, davanti al colonnato della Basilica di San Pietro. Il punto informativo
serve a ricordare gli antichi itinerari dei pellegrini romei, giacobei e palmieri - come li distingueva
Dante Alighieri - diretti rispettivamente a Roma, Santiago de Compostela e in Terra Santa. L’inaugurazione è stata
presieduta dal segretario dell’Amministrazione del
Patrimonio della Sede Apostolica, mons. Claudio Maria Celli, che ha ricordato come “i pellegrini si mettono in
cammino alla ricerca di una fede più profonda”. Il centro informativo nasce
dalla collaborazione tra l’ORP, che si occuperà di curare l’aspetto pastorale, ed il
GEIE, promotore del progetto ‘Cammini d’Europa’. L’obiettivo principale è quello di valorizzare due degli
itinerari più antichi: le ‘vie Francigene’, che
prendono il nome dal luogo di provenienza, la Francia,
e i ‘Cammini di Santiago’. La Via Francigena
è una via maestra percorsa, in passato, da migliaia
di pellegrini in viaggio per Roma. L’altro itinerario, il Cammino di Santiago,
trova le proprie radici storiche nel percorso seguito dai fedeli, a partire dal
IX secolo d.C., per
raggiungere la tomba dell’Apostolo Giacomo. L’infopoint
fornirà inoltre informazioni sul progetto transnazionale ‘Cammini ‘'Europa’.
Allo sportello verrà rilasciato il ‘testimonium’,
cioè un certificato che attesta l’autenticità del pellegrinaggio. (A.D.F.)
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11 gennaio 2007
- A cura di
Fausta Speranza -
Forze a guida NATO hanno ucciso 150 insorti in
Afghanistan. I combattimenti sono avvenuti la notte scorsa nel sudest, nel
distretto di Bermal al confine con il Pakistan, da
cui proveniva il gruppo. I raid aerei appoggiavano le operazioni a terra
dell’esercito afghano. Il governo di Kabul da anni
afferma che i guerriglieri talebani, la cui presenza si è notevolmente
rafforzata nell’ultimo anno nelle province orientali e meridionali
dell’Afghanistan (soprattutto quelle di Helmand, Kandahar e Paktita), hanno i loro
“santuari” in territorio pachistano, soprattutto nelle aree tribali e montuose
vicine al confine. Da qui partirebbero molte delle operazioni di guerriglia.
Con circa 4.000 morti, compresi 170 soldati stranieri, il 2006 è stato in
Afghanistan l’anno con il bilancio più sanguinoso dalla fine della breve guerra
con cui la coalizione a guida USA, alla fine del 2001, sulla scia degli attentati
dell’11 settembre negli Stati Uniti, ha cacciato il regime integralista dei talebani,
che dava protezione al capo di al Qaeda,
Osama bin Laden.
Una folla, che osservatori hanno stimato in decine di
migliaia di persone, si è raccolt oggi nel centro di Ramallah per partecipare a un grande raduno indetto per il
42. mo anniversario della fondazione di Al Fatah,
l’organizzazione palestinese fondata da Yasser
Arafat. La manifestazione, alla quale è presente al
fianco di personalità politiche palestinesi anche almeno un deputato arabo
israeliano, giunge in un momento di fortissima tensione tra
Al Fatah e il movimento islamico Hamas.
Tensione che nelle scorse settimane ha causato almeno una dozzina di morti in
scontri tra sostenitori delle due fazioni, soprattutto nella Striscia di
Gaza. Molti partecipanti al raduno
sventolano bandiere di Al Fatah,
giurano che questa organizzazione tornerà al potere e gridano slogan contro Hamas.
La comunità internazionale guarda con preoccupazione alla
situazione in Somalia. Agli scontri interni tra milizie islamiche e truppe del
governo transitorio appoggiate dall’Etiopia, si sono aggiunti nei giorni scorsi
i raid americani contro presunte basi di al Qaeda. La difficile situazione sta provocando migliaia di
profughi in fuga dai combattimenti verso il confinante Kenya. A fare da sfondo
a questi avvenimenti, gli interessi delle grandi potenze in Somalia e anche nel
resto della regione del Corno d’Africa.
L’ex dittatore etiopico Menghistu
Haile Mariam, riconosciuto
colpevole di genocidio durante il periodo del “Terrore rosso” è stato
condannato oggi all’ergastolo in contumacia dall’Alta Corte federale
dell’Etiopia. Stessa condanna per altri circa 50 imputati. Il processo al
dittatore marxista, soprannominato il “negus rosso”, che ha guidato l’Etiopia
dal 1977 al 1991, era iniziato più di dieci anni fa. Lo Zimbabwe
di Robert Mugabe, dove Menghistu si trova in esilio, fa sapere che non ne
concederà l’estradizione, considerandolo ancora “invitato speciale”. Menghistu aveva preso la guida del regime militare-marxista etiopico il 3 febbraio 1977 con un colpo
di Stato sanguinoso che gli aveva assicurato il controllo del Derg, il consiglio militare formato dagli ufficiali che
governavano il Paese dalla caduta dell’imperatore Hailé
Salassié, nel 1974.
La Russia ha ricominciato questa mattina ad alimentare
l’Europa di petrolio riaprendo il flusso sull’oleodotto ‘Druzhba’
verso la Bielorussia, che già ieri sera aveva riaperto
i suoi rubinetti di transito. L’ambasciatore di Mosca presso l’Unione Europea,
Vladimir Chizov, dopo un incontro avuto ieri sera con
il commissario UE all’Energia, Andris Piebalgs, aveva detto che “l’interruzione era dovuta ad un cosiddetto diritto di prelievo dei bielorussi sul petrolio russo in transito nel loro Paese”.
Ora i bielorussi hanno rinunciato a chiedere questo
diritto che pretendevano dallo scorso 3 gennaio.
In Russia è stato arrestato un imprenditore sospettato di
essere il mandante dell’uccisione del vicegovernatore della Banca centrale,
Andrei Kozlov, assassinato a Mosca il 13 settembre.
Gli investigatori non hanno voluto rivelare il nome del sospetto “per non
danneggiare l’inchiesta”, limitandosi a precisare che “è un cittadino russo e
possiede una grossa struttura commerciale”. Per l’omicidio di Kozlov erano già state arrestate sette persone, fra cui i
presunti sicari.
Iuri Golubev,
uno dei fondatori dell’ex gigante energetico privato russo Yukos,
è stato trovato morto, domenica sera, nel suo appartamento di Londra, riferisce
l’agenzia russa on-line “Newsru.com”.
Il corpo di Golubev, 65 anni, non presentava alcuna
traccia di violenza, e la prima ipotesi è che si sia trattato di un infarto:
l’uomo era sofferente di cuore. La polizia britannica, riferisce il quotidiano
in lingua inglese ‘Moscow Times’, ha comunque avviato una indagine e, al momento, rifiuta di fare commenti. Golubev era stato
uno dei principali consiglieri di amministrazione del gruppo “Menatep” di Mikhail Khodorkovski, il patron di Yukos
entrato in rotta di collisione con il Cremlino di Vladimir Putin
e condannato a 8 anni di reclusione per frode fiscale e riciclaggio. Non era
comunque mai entrato nel mirino della giustizia russa, a differenza degli altri
vertici di Yukos e di Menatep.
Il nuovo cancelliere austriaco, Alfred
Gusenbauer, ha prestato giuramento stamani nelle mani
del capo dello Stato, Heinz Fischer.
Assieme a Gusenbauer, leader del partito socialdemocratico
(SPOE), ha prestato giuramento anche il vicecancelliere Wilhelm
Molterer, leader del partito conservatore popolare
(OEVP). Nel corso della cerimonia
nella “Hofburg”, l’ex palazzo imperiale, presteranno
giuramento anche i ministri e i sottosegretari della ‘grande coalizione’ fra SPOE e OEVP.
La Cina è contraria ad un intervento del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul Myanmar (ex
Birmania). Una mozione di condanna della giunta militare che tiene in galera
centinaia di oppositori tra cui la leader del movimento democratico Aung San Suu Kyi
è stata presentata all’ONU dagli USA. “La situazione di Myanmar
- ha detto in una conferenza stampa a Pechino il portavoce governativo Liu Jianchao - non presenta alcun
rischio per la pace e la sicurezza regionali e internazionali”. “Quello che
avviene nel Paese è un affare interno del Myanmar”,
ha aggiunto. Oggi la giunta militare ha rilasciato cinque detenuti politici,
tra cui Min Ko Naing, il leader delle proteste studentesche del 1988, che
ha trascorso in prigione gli ultimi 18 anni. Secondo gli esuli birmani la
decisione è stata presa nel tentativo di bloccare la risoluzione di condanna.
“Non sembra altro che un cinico tentativo di impedire che il Consiglio di Sicurezza
dell’ONU si pronunci”, ha detto Aung Din, direttore del gruppo democratico Campaign for Burma,
basato negli USA.
Come non era mai accaduto prima nella storia del
Venezuela, il presidente Hugo Chavez
ha prestato, ieri, giuramento per la terza volta consecutiva (la prima risale
al 1999) come nuovo capo di Stato per un periodo di altri sei anni. Tra le
intenzioni dichiarate per il futuro, c’è l’annuncio di voler nazionalizzare i
settori strategici dell’economia, come energia e telefonia. Ma cosa può cambiare di fatto per il Paese? Giada Aquilino lo ha chiesto a
Roberto Da Rin, esperto di questioni sudamericane del
quotidiano Il Sole 24 Ore:
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R. – Qualora il governo di Chavez
dovesse procedere verso una reale nazio-nalizzazioni
dell’energia e di ciò che resta delle compagnie straniere che operano nel
Bacino dell’Orinoco, della compagnia telefonica CANTV e
della compagnia elettrica “Electricidad de Caracas”,
questo vorrebbe dire molto perché rappresenterebbe una sterzata forte e decisa
verso quel progetto che lui chiama socialismo del XXI secolo. Va anche detto
che la nazionalizzazione di ciò che resta delle compagnie petrolifere private è
una cosa che ha annunciato da anni, dicendo: “Il mese prossimo la faccio, entro
breve tempo procederò”, ma in realtà in otto anni non
ha toccato niente.
D. – Gli Stati Uniti hanno criticato il piano Chavez, ma in realtà quali interessi ci sono in ballo tra
Washington e Caracas?
R. – Washington è uno dei primi importatori di petrolio
venezuelano e, al di là delle violente manifestazioni di avversità che si sono
lanciati Bush e Chavez,
negli ultimi due anni, i rapporti commerciali sono aumentati tra Washington e
Caracas. E questo perché fa gioco a tutti e due, all’interno della loro
comunità politica, avere un nemico: a Chavez fa gioco
avere – come lo chiama – “el diablo”,
il diavolo, e nelle conferenze stampa e negli incontri televisivi fa gioco,
quindi, ammiccare al demonio del
capitalismo e a Bush come al peggiore governate
sul pianeta; a Bush, altrettanto, fa comodo invece
indicare Chavez come un nemico che potrebbe destabilizzare il Paese.
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Intanto, il presidente venezuelano Chavez
ha offerto il suo aiuto al Nicaragua in occasione dell’investitura del
presidente Ortega. I due presidenti firmano oggi un
ampio accordo di cooperazione nei settori di energia, sanità, infrastrutture e
crediti per l’agricoltura. Secondo l’ambasciatore venezuelano a Managua si tratterà di aiuti superori a quelli che Caracas
accorda ad Argentina, Bolivia o Cuba. Nell’ambito dell’accordo, il Nicaragua
diventerà membro dell’ALBA, la ‘Alternativa bolivariana
per le Americhe’. Ideata nel 2005 da Chavez, l’ALBA vuole essere un’alternativa alla Zona di
libero scambio delle Americhe promossa dagli Stati Uniti, e intende “stabilire relazioni
commerciali giuste e solidali”. Il Venezuela, quinto esportatore di petrolio al
mondo, segue una politica di assistenza nei confronti di diversi Paesi
dell’America latina e dei Caraibi.
Esiste un preciso “pacchetto” di proposte americane che
attendono una risposta della Corea del Nord ai negoziati sul riarmo missilistico-nucleare di Pyongyang.
Lo ha indicato oggi il rappresentante giapponese ai negoziati internazionali a
sei su tale riarmo, che dovrebbero riprendere a Pechino entro la fine del mese.
Fonti diplomatiche hanno indicato che la richiesta essenziale è una sospensione
delle attività del reattore atomico nordcoreano di Yongbyon e la sua apertura a ispezioni dell’Ente
Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA). Da parte sua, Pyongyang
ha attribuito finora la priorità alla revoca di una serie di sanzioni finanziarie
americane collegate a risultanze di un’indagine giudiziaria su un traffico di
banconote statunitensi falsificate in Estremo Oriente.
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