RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 9  - Testo della trasmissione di martedì 9 gennaio  2007

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

La sfida di un mondo più giusto e in pace, tra popoli e continenti, nel discorso di Benedetto XVI al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede: una riflessione del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e il commento di Sergio Marelli

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

“Una Chiesa viva e coraggiosa”: il cardinale Tarcisio Bertone si sofferma sul difficile momento per la comunità cattolica polacca. Ancora oggi, avverte, vediamo le tracce dei regimi che l’hanno martoriata: con noi, Luigi Geninazzi

 

Potrebbero essere molte le vittime del raid aereo americano, ieri pomeriggio nel sud della Somalia, contro  i  leader di al Qaeda  nel Paese: ce ne parla  Maurizio Simoncelli

 

Il Venezuela diventerà una Repubblica socialista: lo ha affermato il presidente Hugo Chavez annunciando una campagna di nazionalizzazioni. Duro attacco alla Chiesa

 

Si aprono stasera al Teatro dell’Opera di Roma le celebrazioni toscaniniane a 50 anni dalla scomparsa del grande direttore d’orchestra: ai nostri microfoni, Francesco Ernani e Gianluigi Gelmetti

 

CHIESA E SOCIETA’:

Forte appello per “uno statuto speciale, garantito sul piano internazionale” per Gerusalemme, nell’annuale saluto del Gran Maestro Fra’ Andrew Bertie ai diplomatici accreditati presso l’Ordine di Malta

 

Un vertice dei capi di Stato e governo per discutere di questioni ambientali urgenti: lo ha chiesto il massimo responsabile ONU nella lotta ai cambiamenti climatici, Yvo de Boer

 

Oggi per le vie di Manila, nelle Filippine, tradizionale processione per la festa del “Nazzareno nero”

 

All’insegna della solidarietà le iscrizioni alla GMG di Sydney 2008

 

Nuove vittime della febbre della Rift Valley in Kenya: l’ultimo bilancio è di 74 morti

 

Si dà il benvenuto al nuovo portale dell’Azione Cattolica Italiana “dialoghi.net”, uno spazio attraverso cui confrontarsi e contribuire al progetto culturale della Chiesa

 

E’ una donna, Asha Rose Migiro, 50 anni, attuale ministro degli Esteri della Tanzania, il nuovo vicesegretario generale delle Nazioni Unite

 

24 ORE NEL MONDO:

Il neo segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, pone tra le priorità del suo mandato il dramma del Darfur, la crisi mediorientale e la questione nucleare

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

9 gennaio 2007

 

LA SFIDA DI UN MONDO PIU’ GIUSTO E IN PACE, TRA POPOLI E CONTINENTI,

NEL DISCORSO DI BENEDETTO XVI AL CORPO DIPLOMATICO PRESSO LA SANTA SEDE:

UNA RIFLESSIONE DEL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO, TARCISIO BERTONE

- Interviste con il porporato e con Sergio Marelli -

 

Un mondo con risorse distribuite in modo equanime, con gli Stati ricchi solidali verso i più poveri, con diritti riconosciuti per tutti, in cui la pace sia forte e rispettata e non “fragile e derisa”. Non ha disegnato un’utopia, Benedetto XVI, con il suo discorso di ieri al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ma un progetto praticabile, a patto che Paesi e singole persone accettino di cambiare i propri “modi di vita”. Il Papa è stato chiaro: lo scandalo “inaccettabile” della fame, ma ciò vale anche per l’origine di molti conflitti, “richiama - ha affermato - l’urgenza di eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e di correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi e soprattutto per domani”. Benedetto XVI ha parlato di una sfida che, in sostanza, riguarda la difesa dei valori e la promozione dei popoli: sfida che inizia dallo stesso mondo ecclesiale, come ribadisce il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, nell’intervista concessa a Giovanni Peduto:

 

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R. – Come il Papa ha rilevato, le grandi sfide possiamo riconoscerle sia all’interno della Chiesa e sia ad extra. All’interno della Chiesa è sempre vivo il problema del rapporto tra il particolare e l’universale. E quindi, la necessità di rafforzare la comunione tra il centro della Chiesa universale, che è la Santa Sede, che è la sede del Vicario di Cristo, con tutte le indicazioni del suo Magistero così chiaro, così illuminante, con le realtà delle Chiese particolari.

 

D. – Eminenza, la pace è l’assillo costante di tutti i Pontefici, quelli del secolo appena trascorso, e Benedetto XVI ne ha fatto un tema prioritario anche nel suo discorso al Corpo Diplomatico ...

 

R. – La Chiesa è promotrice della pace e abbiamo visto, abbiamo sentito con quanta passione e quanta puntualità il Papa sia intervenuto a proposito dei conflitti locali proprio nel discorso al Corpo Diplomatico. Dice: “Constatiamo in primo luogo che la pace è spesso fragile e anche derisa”. Il Papa ha osato dire queste parole. Nonostante tutti gli sforzi, nonostante gli sforzi della Chiesa, delle Chiese locali che si fanno a volte mediatrici per la soluzione dei conflitti locali che insanguinano soprattutto il continente africano e nonostante gli sforzi delle organizzazioni internazionali, la pace è fragile. Quindi, il problema della pace è un problema per il quale la Chiesa non cessa di attivare tutte le sue energie e tutte le vie possibili: accanto alle vie tipicamente diplomatiche con i rappresentanti della Santa Sede sparsi in ogni Paese del mondo e presso le organizzazioni internazionali, le vie culturali, le vie della preghiera, le vie spirituali, le vie della convivenza, dell’amicizia tra gruppi, tra persone, tra famiglie ... Quindi, il creare legami e percorsi di riconciliazione per aumentare le possibilità, le prospettive di pace vera e duratura.

 

D. – La fame nel mondo, la sperequazione tra Nord e Sud del mondo, interpellano drammaticamente ancora la Chiesa, oggi …

 

R. – Il Papa, proprio nel discorso al Corpo Diplomatico, ha messo al primo punto questo problema quando scrive: “All’inizio dell’anno siamo invitati a dare uno sguardo alla situazione internazionale, e tra le questioni essenziali come non pensare ai milioni di persone, specialmente donne e bambini, che mancano di acqua, di cibo, di tetto?”. Quindi, il Papa fa appello alla solidarietà, alla più equa distribuzione dei beni della terra, perché la terra è ricca di risorse, è ricca di beni ma purtroppo molte volte sono distribuiti in maniera ingiusta. E il Papa fa appello proprio a rinnovate misure economiche di aggiustamento strutturale, perché certe strutture sono veramente nefaste. Allora, bisogna correggere le strutture, bisogna correggere il commercio, la distribuzione dei beni, lo scambio delle materie prime con gli altri beni che favoriscono lo sviluppo dei popoli.

 

D. – Eminenza, non ultimo, anzi, prioritario rimane sempre il problema della libertà religiosa conculcata ancora oggi in tanti posti del mondo ...

 

R. – Il Papa ha messo al centro – lo ricordiamo – del messaggio per la pace la persona umana, e ha messo insieme i diritti umani e il diritto di libertà religiosa. Secondo la convinzione della Chiesa, la tradizione del Magistero della Chiesa, il diritto di libertà religiosa è il pilastro che sostiene tutti gli altri diritti umani. Se si viola il diritto di libertà religiosa, ne vengono dappresso danneggiati gli altri diritti umani. E purtroppo, in diversi Paesi il diritto di libertà religiosa non si esprime secondo il quadro giuridico nel quale dovrebbe esprimersi ogni persona, ogni gruppo sociale e quindi ogni comunità. Il Santo Padre – io ricordo anche nei colloqui in Turchia – ha ribadito questo diritto di libertà religiosa e lo ha ribadito anche in senso ecumenico, perché la Chiesa cattolica non rivendica il diritto di libertà religiosa solo per i cattolici, per le minoranze cattoliche, ma per tutti: per i cristiani, naturalmente, ma anche per gli appartenenti alle altre religioni del mondo. Anche, questo va nella linea di una promozione dei diritti di tutti.

 

D. – Quali frutti porteranno i viaggi compiuti da Benedetto XVI nel 2006?

 

R. – Io penso a tre viaggi in modo particolare, senza voler trascurare nulla: il viaggio in Germania, il viaggio in Spagna, per il grande incontro delle famiglie, il viaggio in Turchia. Li aveva preceduti il viaggio in Polonia che per il Papa è stato anche un momento  di ringraziamento – e lo sottolineiamo proprio in questo momento in cui la Chiesa polacca e la società polacca vivono dei momenti di sofferenza, dei momenti di drammaticità nella retrospettiva sulla sua storia recente. Per il Papa – lo ha detto egli stesso – il viaggio in Polonia ha rappresentato un grande atto di ringraziamento a quella nazione che ci ha dato Papa Giovanni Paolo II. Una nazione che ha sofferto durante tutta la storia per gli opposti estremismi e gli opposti regimi che l’hanno martoriata; ne vediamo ancora le tracce, oggi. Il Papa è stato accolto, come ha detto egli stesso, non come straniero ma come Vicario di Cristo, con tanto entusiasmo dalla Chiesa polacca che è una Chiesa viva, una Chiesa coraggiosa, una Chiesa fedele anche se ha vissuto – come abbiamo notato anche noi – dei momenti di incertezza, dei momenti anche di compromesso e in cui è stata vittima, proprio per le sopraffazioni che ha subito. Il viaggio in Germania è stato un grande viaggio che ha permesso al Papa di dare un grande affresco sul rapporto tra fede e ragione, che era un tema molto caro – come ricordiamo – a Giovanni Paolo II e che Papa Benedetto ha ripreso e sviluppato e amplificato nelle sue riflessioni, già da cardinale, e adesso come Papa. E ha messo le basi per il grande viaggio in Turchia: quindi il viaggio di approccio al problema dell’islam con i discorsi così centrati e gli incontri con le personalità politiche e religiose di quel mondo, di quella nazione, del mondo islamico, e quindi con l’apertura, con l’accoglienza straordinaria e anche con il ribadire la ferma intenzione della Chiesa di proseguire nella via del dialogo e nella convergenza di tutte le risorse sane delle religioni e delle società per percorrere vie di progresso, di promozione della vita, della famiglia e di promozione della pace. Il viaggio in Spagna ha focalizzato il ruolo della famiglia, della famiglia vera secondo il primordiale disegno di Dio, della famiglia fondata sul matrimonio, sul rapporto uomo-donna e sulla identità dell’uomo e della donna che non devono essere sconvolti da nessuna intenzione o da nessun progetto umano. Sotto questo profilo, anche i discorsi e la gioia straripante, l’entusiasmo delle migliaia e migliaia di famiglie – ricordiamo i milioni di persone che lo hanno atteso in Spagna – sono anche una prova della volontà della ‘pars sanior’ della società a continuare a realizzare il progetto di Dio sulla famiglia, nonostante tutti i percorsi difficili, le sofferenze, le difficoltà della vita moderna così complessa e a volte così intricata, soprattutto nella vita famigliare, a volte anche non protetta, non accompagnata da provvide iniziative legislative ed economiche. Quindi, i grandi viaggi apostolici del 2006 hanno posto le basi e hanno gettato dei semi molto fecondi nella comunità internazionale e nelle Chiese locali, come nella Chiesa universale.

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Gli appelli e le valutazioni contenute nel discorso di Benedetto XVI si prestano a molteplici riflessioni da parte di chi, nella realizzazione di un mondo migliore, è impegnato quotidianamente in prima linea. E’ il caso della FOCSIV, la Federazione di 60 organizzazioni non governative cristiane di volontariato, impegnate nel Sud del mondo. Fabio Colagrande ne ha sentito il direttore, Sergio Marelli:

 

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R. – La cosa interessante è rappresentata in qualche modo dalle soluzioni e dalle ricette che il Santo Padre propone per bandire dal pianeta questo scandalo della fame, a partire dalla rimozione stessa delle cause strutturali e cioè sottolineando il fatto che la fame non è tanto una carenza di alimenti e di cibo, ma derivante da scelte politiche e strutturali non mirate all’adozione di misure che invece sarebbero assolutamente nella possibilità di esserlo. E in seconda battuta, è altrettanto importante il fatto che occorra anche cambiare, come afferma il Papa, gli stili di vita. Diciamo che si tratta di un appello a delle scelte e a delle responsabilità degli individui e di ognuno di noi.

 

D. – Il Papa ha auspicato la ripresa dei negoziati commerciali di Doha. Vogliamo ricordare cosa sono e perché si sono interrotti?

 

R. – Quello che è chiamato il “Doha Development Round”, cioè il giro dei negoziati per favorire lo sviluppo attraverso le misure commerciali, è in una fase di empasse proprio perché nessuno - e in particolare i Paesi ricchi -  vuole rinunciare a quelle prerogative, a quei meccanismi che consentono loro di trarre grande beneficio dallo sfruttamento delle risorse e del commercio: in particolare, delle materie agricole di provenienza dei Paesi poveri.

 

D. – Benedetto XVI ha ricordato che sono state lanciate diverse iniziative importanti nel quadro dello sviluppo, ma ciò non deve far sì che i Paesi sviluppati smettano in qualche modo di continuare a dare il loro contributo?

 

R. – Il Santo Padre ricorda che ci sono degli impegni internazionali che devono essere mantenuti, a partire da quella famosa destinazione dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo di ogni Paese donatore, e cioè dei Paesi ricchi, che deve essere destinato per gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo e per la cooperazione internazionale. Un obiettivo che sappiamo ben lontano dall’essere raggiunto, perché la media mondiale si attesta grosso modo alla metà e cioè verso lo 0,35 per cento.

 

D. – C’è però una maggiore presa di coscienza della comunità internazionale, ha detto il Papa, nei confronti di questa enorme sfida del nostro tempo…

 

R. – Sì, forse perché, con grande fatica, comincia a passare questo concetto che noi da tempo sosteniamo e cioè che senza garantire i diritti e senza garantire una vita dignitosa a tutti gli esseri umani del pianeta, si mette a repentaglio anche il futuro delle nostre società ricche.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata alla celebrazione dell’Epifania nelle diocesi italiane.

 

Servizio estero - Iraq: diffuso un nuovo video dell’esecuzione di Saddam Hussein.

 

Servizio culturale - Una riflessione di Armando Rigobello dal titolo “La società italiana e la cultura cattolica”.  

Per l’“Osservatore libri”, un articolo di Gaetano Vallini dal titolo “Un monumento alla verità storica provata e inconfutabile”: completata dall’UTET l’edizione in cinque volumi della “Storia della Shoah”.

 

Servizio italiano - In primo piano il tema degli incidenti stradali.

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

9 gennaio 2007

 

“UNA CHIESA VIVA E CORAGGIOSA”: IL CARDINALE TARCISIO BERTONE

 SI SOFFERMA SUL DIFFICILE MOMENTO PER LA COMUNITA’ CATTOLICA POLACCA.

ANCORA OGGI, AVVERTE, VEDIAMO LE TRACCE DEI REGIMI CHE L’HANNO MARTORIATA

- Con noi, Luigi Geninazzi -

 

La Chiesa polacca è una “Chiesa viva, una Chiesa coraggiosa”: è quanto, dunque, sottolineato ai nostri microfoni, dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Il porporato ribadisce che la Chiesa di Polonia “è fedele, anche se ha vissuto” dei “momenti di incertezza, dei momenti anche di compromesso e in cui è stata vittima”. Pensando alla difficile situazione che sta vivendo la comunità cattolica polacca, dopo le dimissioni di mons. Stanislaw Wielgus, il cardinale Bertone afferma che la Polonia è “una nazione che ha sofferto durante tutta la storia per gli opposti estremismi e gli opposti regimi che l’hanno martoriata; ne vediamo le tracce ancora oggi”. Per una riflessione su quanto sta accadendo in Polonia, Alessandro Gisotti ha intervistato l’inviato di Avvenire, Luigi Geninazzi, profondo conoscitore della realtà polacca:

 

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R. – L’effetto, devo confessare, è stato di stupore. Subito dopo c’è stata l’idea che ovviamente questa vicenda dovesse concludersi con la sua rinuncia, non perché mons. Wielgus fosse una persona indegna. E’ una persona di grandi qualità, è un pastore amato dai suoi fedeli, ma aveva passato il confine, firmando un impegno a collaborare con un regime ateo e anticristiano, proprio il contrario di quello che chiedeva al suo clero il primate cardinale Wyszynsky.

 

D. - “La Chiesa polacca dovrebbe “restare sempre quella voluta dal cardinale Wyszynsky”. Queste sono parole pronunciate da Giovanni Paolo II all’inizio degli anni ’90, proprio quando era in corso la transizione dal regime comunista ad un regime democratico e di libertà. Cosa intendeva allora Karol Wojtyla? Come leggere oggi quelle parole?

 

R. – Quelle parole sono state pronunciate durante una cena e ovviamente non sono ufficiali. Erano state riferite da un mio amico vescovo polacco. Ovviamente a quell’epoca, Wojtyla si riferiva alla dura battaglia – dobbiamo ricordarcelo – che la Chiesa polacca dopo il trionfo della vittoria sul comunismo aveva dovuto affrontare il montare del secolarismo e del laicismo. Non si riferiva certo alla problematica sorta in questi ultimi mesi in Polonia, con i dossier sui presunti collaborazionisti, dentro e fuori la Chiesa. E’ chiaro, però, che quella frase contiene un’indicazione: la Chiesa di Wyszynsky, la Chiesa polacca dell’ultimo mezzo secolo deve continuare ad essere così, cioè una Chiesa a cui tutto il popolo, non solo i credenti, fa riferimento per avere ispirazione e trarre ispirazione per la sua resistenza morale, per la sua vita quotidiana, per la sua dignità.

 

D. – Il caso Wielgus ha messo in evidenza un uso spregiudicato di dossier di cui non è peraltro facile verificare sempre la veridicità. C’è un disegno dietro a questo attacco al clero polacco?

 

R. – Sì, dobbiamo constatare che c’è un fatto paradossale. La lustracja, cioè questa verifica sul passato, condotta in base agli archivi dei servizi segreti comunisti, è stata lanciata dal governo conservatore ed era stata fatta, per pulire l’amministrazione pubblica da tanti personaggi ancora legati al vecchio mondo. E dobbiamo constatare che – questo è l’effetto paradossale, l’effetto boomerang – non si hanno notizie di grandi personalità legate al mondo comunista, che sono state vittima di un attacco mediatico, epurate dei loro posti, come invece è avvenuto con alcune personalità del sindacato Solidarnosc e, soprattutto, con grande risonanza sui mass media ovviamente, con alcune personalità ecclesiastiche. Forse questo istituto della memoria nazionale dovrebbe ridarsi delle regole più trasparenti e più corrette, perché altrimenti si scatenerebbe davvero una guerra di tutti contro tutti.

 

D. – Benedetto XVI, visitando la Polonia, nel maggio scorso ha anche avuto modo di rivolgersi al clero polacco con un discorso, mostrando particolare attenzione alle difficoltà che stava vivendo, che sta vivendo…

 

R. – Sì, aveva dato un criterio guida, molto chiaro, dicendo che bisognava vagliare con molta attenzione le accuse che vengono formulate, perché ovviamente i dossier dei servizi segreti comunisti non sono infallibili, anzi possono essere inquinati. E questa indicazione è stata ripresa dalla Conferenza episcopale polacca che, nell’agosto di quest’anno, ha fissato in un memorandum delle regole guida precise, fino ad arrivare – vorrei citare proprio il passo – a dire che “un esponente del clero che ammette di aver collaborato con i servizi segreti comunisti dovrà decidere assieme ai suoi superiori come riparare ed espiare lo scandalo pubblico e in alcuni casi sarà probabilmente necessario che coloro i quali ricoprono un ufficio nella Chiesa pensino se non sia il caso di dimetterlo da questo incarico”.

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POTREBBERO ESSERE MOLTE LE VITTIME IN CONSEGUENZA

DEL RAID AEREO AMERICANO,

IERI POMERIGGIO NEL SUD DELLA SOMALIA, CONTRO LEADER DI AL QAEDA

- Intervista con Maurizio Simoncelli -

 

Un Ac-130 statunitense ha colpito ieri nel tardo pomeriggio un piccolo villaggio nel sud della Somalia dove secondo fonti di intelligence avevano trovato rifugio leader di al Qaeda. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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La missione, che sembra aver provocato moltissimi morti, ha ottenuto l'esplicita approvazione del presidente del governo provvisorio somalo, Abdullahi Yusuf. I leader di al Qaeda obiettivi del raid sarebbero leader del terrorismo islamico fuggiti da Mogadiscio lo scorso 28 dicembre quando corti e milizie islamiche dovettero abbandonare la capitale somala sotto l’incalzare delle truppe etiopiche, e di quelle fedeli al governo legittimo. Non e' chiaro se siano stati uccisi. I due obiettivi principali erano due leader ritenuti responsabili degli attentati che nel '98 fecero saltare in aria contemporaneamente le ambasciate USA a Nairobi, in Kenya, e a Dar-es-Salaam, in Tanzania.

 

Il presidente ad interim somalo, Yusuf, da Mogadiscio, dove e' arrivato ieri per la prima volta da quando e' stato eletto, nell'ottobre del 2004, ha dichiarato in tarda mattinata che gli americani hanno il diritto di attaccare i terroristi di al Qaeda in tutti il mondo: e che di questa strategia fa parte l'incursione effettuata ieri nel sud del Paese. L'aereo USA era partito dalla base di Gibuti, mentre si apprende che la grande portaerei 'Eisenhower' si e' avvicinata alle coste somale, così che i suoi jet siano a distanza utile per operare eventuali altre missioni contro basi di al Qaeda in Somalia. L’intervento degli Stati Uniti ha per teatro un Paese che sta vivendo una precaria e difficilissima situazione che va ben oltre i confini della Somalia, come spiega, Maurizio Simoncelli, esperto di geopolitica dei conflitti: 

 

R. – Non possiamo parlare solo di Somalia, ma dobbiamo parlare anche di Corno d’Africa e questo perché si comprende inevitabilmente Etiopia, Eritrea e in parte anche il Sudan ed il Kenya e quindi i Paesi confinanti. La questione è decisamente molto più complessa. Ricordiamo che già oltre dieci anni fa ci fu un primo tentativo delle Nazioni Unite di intervenire con la famosa missione “Restore Hope” che fallì dopo 3-4 anni e nel ’95 fu ritirata. Non si riuscì a dar corpo ad uno Stato vero e proprio, che per tanti anni è stato in mano ai vari signori della guerra. Negli ultimi anni le milizie delle corti islamiche avevano preso piede grazie proprio alla corruzione, alla violenza, all’anarchia che questi vari signori della guerra avevano messo in piedi e grazie anche al sostegno degli Stati Uniti che in questi signori della guerra vedevano un utile bastione contro un eventuale sviluppo dell’integralismo islamico.

 

D. – Restando dietro queste quinte e quindi gli Stati Uniti da una parte, che combattono il fondamentalismo islamico, e chi invece dall’altra parte?

 

R. – Avevamo Paesi come l’Iran, l’Arabia Saudita e all’interno di tutto questo non dimentichiamo che ci sono i signori della guerra che in questo momento appoggiano l’intervento etiopico, appoggiano almeno apparentemente il governo legale seppur debolissimo. Ma proprio questa debolezza intrinseca del governo legale somalo, una volta riuscito a sconfiggere il governo integralista islamico, potrebbe permettere proprio ai signori della guerra di riprendere la loro forza, la loro presenza e la loro capacità di gestire una serie di territori che si erano praticamente divisi e spartiti come fossero stati dei signori medievali della nostra antica storia dei secoli passati.

 

D. – Dopo l’occupazione delle Corti islamiche, il ritiro e dunque il rientro del governo riconosciuto come legittimo, sembra di capire che questa normalizzazione è molto precaria. E’ così?

 

R. – E’ assolutamente precaria. Ai confini con il Kenya, le Corti islamiche si stanno preparando per un intervento come è stato già, tra l’altro, chiaramente detto. L’Unione Africana, come vediamo, non ha ancora deciso l’invio di un corpo di spedizione internazionale. E purtroppo la tragedia del Corno d’Africa non sembra destinata, nell’immediato, a risolversi.

 

D. – In che modo, secondo lei, con quale peso la guerra ad Al Qaeda da parte degli Stati Uniti si intreccia con tutta questa situazione di precaria normalizzazione?

 

R. - Come dice la parola stessa, integralismo islamico nasce da un elemento in primo luogo religioso e quindi da una cultura e da un modo di essere. Un intervento di tipo militare o proprio come oggi un bombardamento aereo su un villaggio, perché si riteneva che lì ci fosse un rappresentante di Al Qaeda, ha colpito però tutta la popolazione. Ecco questo tipo di interventi non fanno altro, purtroppo, che aggravare le situazioni e non certo a risolverle.

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IL VENEZUELA DIVENTERA’ UNA REPUBBLICA SOCIALISTA: LO HA AFFERMATO

IL PRESIDENTE CHAVEZ ANNUNCIANDO UNA CAMPAGNA DI NAZIONALIZZAZIONI

 

“Tutto quello che è privatizzato sarà nazionalizzato”, in particolare nei settori dell'energia elettrica e della telefonia: è quanto ha affermato ieri il presidente del Venezuela Hugo Chavez durante la cerimonia del giuramento dei nuovi 12 ministri che lo accompagneranno nel suo terzo mandato, che comincia formalmente domani, dopo la rielezione nel dicembre scorso. Confermata la svolta socialista. Il servizio di Luis Badilla:

 

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Chavez dunque ha annunciato che intende procedere a un vasto programma di nazionalizzazioni. Poi ha precisato che presenterà un testo di legge in base al quale il Parlamento gli affiderà poteri speciali, tali tra l’altro da consentirgli di assumere il controllo dei settori strategici dell’economia. Inoltre il presidente ha dichiarato di voler riformare ulteriormente “in profondità” la Costituzione, per andare verso una “Repubblica socialista del Venezuela”, in sostituzione dell’attuale “Repubblica bolivariana del Venezuela”.

 

“Andiamo verso il socialismo, e niente e nessuno potrà impedirlo”, ha sottolineato. Chavez - al potere dal 1999 e che giurerà domani per il suo terzo mandato presidenziale, con scadenza nel 2013 - ha annunciato inoltre di voler utilizzare la legge-quadro per porre fine al controllo delle raffinerie della Cintura petrolifera dell’Orinoco da parte delle compagnie straniere, tra cui l’americana Exxon e la francese Total. Chavez, inoltre, ha affermato che “niente e nessuno” gli impedirà di non rinnovare la concessione a “Radio Caracas Television”, un canale indipendente che accusa di “golpismo”, annunciando che denuncerà al mondo “quel ragazzino” – sue testuali parole - del segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), il cileno José Miguel Insulza, che lo ha criticato per tale passo.

 

Il presidente venezuelano ha invitato anche il cardinale Jorge Urosa, arcivescovo di Caracas, che gli ha chiesto di non chiudere l’emittente, a “fare il suo mestiere”. Riferendosi agli interventi prima del presidente della Conferenza episcopale venezuelana mons. Ubaldo Santana, arcivescovo di Maracaibo, e poi del cardinale Urosa, ha accusato la gerarchia cattolica di “dire barbarie”, ora difendendo l’indifendibile”. “Raccomando a questi vescovi di leggere Marx, Lenin e di leggere nella Bibbia il Discorso della montagna per conoscere le linee del socialismo”, ha aggiunto. “Noi andiamo verso il socialismo e nessuno potrà evitarlo”, ha sentenziato. Dal 7 gennaio i vescovi del Venezuela si trovano riuniti per la 87.ma Assemblea ordinaria dell’episcopato locale e si attende per le prossime ore un pronunciamento.

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SI APRONO STASERA AL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA

LE CELEBRAZIONI TOSCANINIANE

A 50 ANNI DALLA SCOMPARSA DEL GRANDE DIRETTORE D’ORCHESTRA

- Intervista con Francesco Ernani e Gianluigi Gelmetti -

        

Si aprono ufficialmente stasera le celebrazioni per i cinquant’anni dalla scomparsa di Arturo Toscanini (morto negli Stati Uniti il 16 gennaio 1957), con un concerto lirico-sinfonico con cui il Teatro dell’Opera di Roma ricorda il connubio artistico con il grande direttore d’orchestra. Dalla Carmen di Bizet, con la quale Toscanini debuttò al Costanzi nel 1892, alla Traviata di Giuseppe Verdi, dal Tristano e Isotta di Wagner alla Bohème di Puccini: opere che segnarono le tappe di un successo internazionale che l’Italia poté nuovamente salutare, dopo l’esilio americano, solo con la fine del Fascismo e della Guerra. A.V. ha intervistato il sovrintendente Francesco Ernani e il direttore musicale Gianluigi Gelmetti, sul podio questa sera.

 

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D. – Sovrintendente Ernani, Toscanini torna idealmente al Teatro dell’Opera di Roma. Quale fu il suo rapporto con il “Costanzi”?

 

R. – L’archivio storico del teatro riporta la sua prima produzione d’opera al 1892 con la Camen e allora i critici musicali scrissero:Si tratta di un direttore di talento eccezionale che farà una grande carriera’. Poi, quando diresse il Falstaff, già affermato – aveva 44 anni – ha fatto vedere come si deve dirigere l’ultimo capolavoro verdiano. E poi, un importantissimo concerto nel 1914, dove Toscanini diresse parte di Butterfly e tutta I pagliacci con Caruso. I giornali dell’epoca scrissero come una sua direzione fosse particolare nella scelta dei timbri, nella vibratilità del timbro. E direi che anche questo rappresenta una memoria importante per chi, nell’Opera di Roma, oggi si trova a guidare il Teatro, a perseguire gli ideali dell’alta musica.

 

D. – Qual è l’eredità di Toscanini per la musica, per i teatri d’opera in Italia e anche per lei, personalmente?

 

R. – Nel mio periodo di lavoro alla Scala – sono stato 11 anni – ho avuto la fortuna di leggere e approfondire gli atti della costituzione del primo ente autonomo in Italia dopo la difficoltà di portare avanti le stagioni d’opera a Milano. Il sindaco di Milano, Caldara, chiamò Toscanini: e le regole – sia sul piano artistico, sia sul piano organizzativo – sono regole che molti dovrebbero studiare ancora oggi, perché il teatro d’opera ha un’esigenza che le componenti interne che ne formano il patrimonio tangibile e intangibile, funzionino nel modo migliore. Toscanini lo seppe fare: io ho cercato – modestamente – di seguire la sua lezione, la difesa del valore artistico di un’istituzione chiamata ad erogare un servizio culturale per la comunità.

 

D. – Maestro Gelmetti, lei ha un ascendenza diretta con Arturo Toscanini. Qual è l’eredità musicale che ha ricevuto da Toscanini, anche attraverso il suo maestro, Ferrara?

 

R. – Il rigore. Il rigore assoluto, non concedere nulla all’esteriorità, agli effetti facili, cosa che purtroppo oggi va per la maggiore. Toscanini, nonostante sia stato il primo direttore mediatico, se vogliamo, molto utilizzato dai media, in realtà è stato un uomo di un rigore assoluto. Questa è la vera tradizione: Toscanini e Ferrara sono stati due anelli grandi. Noi, indegnamente, cercheremo di raccogliere questo messaggio e di portarlo avanti agli altri allievi. Questa è una delle ragioni anche per cui insegno: per far sì che questa catena non si spezzi!

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Il concerto, sotto l’Alto Patronato del presidente della Repubblica, l’egida della presidenza del Senato e con il patrocinio dei ministeri della Pubblica Istruzione e delle Comunicazioni, in collaborazione con il Comitato Internazionale per le Celebrazioni, sarà trasmesso da Rai Tre il 16 gennaio 2007 alle ore 12.45.

 

 

 

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CHIESA E SOCIETA’

9 gennaio 2007

 

“I PELLEGRINI DEL MONDO INTERO

DEVONO POTER AVERE ACCESSO A GERUSALEMME”:

FORTE APPELLO PER UN NUOVO STATUS SOVRANAZIONALE DELLA CITTA’ SANTA, NELL’ANNUALE SALUTO DEL GRAN MAESTRO, FRA’ ANDREW BERTIE,

AI DIPLOMATICI ACCREDITATI PRESSO L’ORDINE DI MALTA

- A cura di Adriano Monti Buzzetti -

 

ROMA. = “Uno statuto speciale, garantito sul piano internazionale” per Gerusalemme, “città delle tre religioni che è allo stesso tempo patria di due popoli”. A chiederlo, in sintonia con le analoghe richieste della Santa Sede, è il Gran Maestro dell’Ordine di Malta, Fra’ Andrew Bertie, che stamani ha accolto a Villa Malta sul colle Aventino gli ambasciatori dei 96 Paesi accreditati presso l’Ordine, per il tradizionale incontro all’inizio del nuovo anno. “I pellegrini del mondo intero devono poter avere accesso a Gerusalemme”, ha ribadito il capo del millenario Ordine sovrano, annunciando poi di voler personalmente condurre un prossimo pellegrinaggio internazionale in Terra Santa nell’ottobre prossimo. L’udienza ai professionisti della diplomazia, radunati sotto le volte della splendida chiesa di Santa Maria del Priorato, capolavoro del Piranesi, ha come d’abitudine fornito al Gran Maestro l’occasione per uno sguardo agli ultimi sviluppi dell’attualità internazionale. Tra le sottolineature preoccupate di Fra’ Bertie, l’uccisione di operatori dei mass-media in zone di guerra, il traffico di esseri umani fiorente anche in Europa, ma soprattutto il pericolo strisciante di uno scontro tra culture religioni. Tra i motivi di speranza, invece, il recente viaggio di Benedetto XVI in Turchia, definito “un avvenimento straordinario che resterà nella storia della Chiesa e dell’umanità”. La relazione del Gran Maestro si è quindi incentrata su un’ampia disamina delle iniziative umanitarie promosse dall’Ordine in tutto il mondo. Dalle bidonville di Nairobi al Vietnam, dalle rovine di New Orleans al Darfur sudanese, dalla Romania al Pakistan ed in mille altri scenari critici del pianeta gli oltre 11 mila operatori  dell’Ordine – medici, infermieri, collaboratori volontari – si dedicano all’assistenza di sieropositivi, lebbrosi, profughi, orfani e di tutti coloro che soffrono, in coerente fedeltà allo spirito di servizio  degli antichi cavalieri Ospitalieri. “L’attività umanitaria” – ha osservato Fra’ Bertie – “è diventata improvvisamente d’attualità,alla moda’, troppo spesso strumentalizzata al servizio di interessi politici o economici”, mentre al contempo l’impegno di tipo missionario “si sta trasformando in un’attività di tipo imprenditoriale progressivamente secolarizzata”. Di qui la fondamentale differenza tra le altre organizzazioni umanitarie e l’Ordine di Malta: un sodalizio religioso i cui membri vivono la propria fede cristiana “non come strumento di evangelizzazione o di proselitismo, ma come modo di vivere al servizio degli altri, dei poveri e degli ammalati, in uno spirito di umanità autentico che riconosce l’immagine di Dio nell’uomo che soffre, a prescindere dalla razza, dall’origine o dalla religione”. 

 

 

UN VERTICE DEI CAPI DI STATO E GOVERNO PER DISCUTERE

DI QUESTIONI AMBIENTALI URGENTI: LO HA CHIESTO IL MASSIMO RESPONSABILE ONU

 NELLA LOTTA AI CAMBIAMENTI CLIMATICI, YVO DE BOER,

AL NUOVO SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE,

- A cura di Roberta Gisotti -

 

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NEW YORK/PARIGI. = Circa 135 milioni di persone rischiano di dover emigrare per cause ambientali. E’ la desertificazione la più grave emergenza degli ultimi decenni, secondo il Programma per l’ambiente dell'ONU (UNEP), non solo per le caratteristiche quasi irreversibili del fenomeno ma per le conseguenze dirette su intere popolazioni. A forte rischio di inaridire è il 40 per cento delle terre emerse, mentre il 70 per cento dei terreni coltivati in aree semiaride o vicine ai deserti è già degradato. Nei Paesi più poveri infatti -  specie in Africa - la necessità di  soddisfare le esigenze vitali di popolazioni in crescita determina una pressione sempre maggiore sulle risorse naturali, specie idriche. Allarme anche per i Paesi mediterranei abitati dal 7 per cento della popolazione mondiale, che salirà a circa 525 milioni entro il 2025, di cui quasi 100 milioni nelle città costiere. A fronte di ciò il bacino del Mediterraneo, tra i 25 siti mondiali per la biodiversità, è stato colpito negli ultimi anni da preoccupanti eventi, oltre che siccità, alluvioni e aumento della temperatura. Già oggi, 30 milioni di ettari di terra lungo le rive del Mediterraneo sono colpiti da desertificazione, soprattutto in Spagna, Portogallo, Italia e Grecia. ''Spero che il segretario generale delle Nazioni Unite farà di tale questione la sua priorità e che convocherà rapidamente un vertice di capi di Stato e di governo”, ha detto a Parigi il segretario generale della Convenzione ONU sul cambiamento climatico (UNFCC), Yvo de Boer, atteso la prossima settimana al Palazzo di Vetro a New York, dove incontrerà il sudcoreano Ban Ki-moon.

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OGGI PER LE VIE DI MANILA, NELLA FILIPPINE, TRADIZIONALE PROCESSIONE

 PER LA FESTA DEL “NAZZARENO NERO”, MANIFESTAZIONE SECOLARE

DI DEVOZIONE POPOLARE,

CUI PARTECIPANO OGNI ANNO

DECINE DI MIGLIAIA DI FEDELI DI OGNI PARTE DEL PAESE

 

MANILA. = Sono iniziati ieri a Manila nelle Filippine - riferisce l’agenzia “Asia News” - i festeggiamenti del “Nazareno nero”, manifestazione di devozione popolare, che affonda le sue radici in oltre quattro secoli fa. Ieri, la Veglia notturna di preghiera, guidata da mons. Angel N. Lagdameo, presidente della Conferenza episcopale. Oggi, la tradizionale processione per le vie cittadine della statua di legno nero, che rappresenta il Cristo che porta la croce verso il Calvario. Ancora oggi, la lotteria - il cui incasso sarà devoluto in beneficenza - con in palio 400 copie della statua create da alcuni artigiani di Paese: al primo estratto, un viaggio-premio a Roma per consegnare la prima copia della statua a Benedetto XVI. Ogni anno, i “i riti vogliono ricreare l’arrivo della statua nel Paese, portata qui il 31 maggio del 1606 da alcuni missionari Agostiniani che provenivano dal Messico”, spiega mons. Josefino Ramirez, presidente del Comitato - creato dall’arcidiocesi di Manila - che prepara la festa, alla quale partecipano decine di migliaia di fedeli, che accorrono nella capitale da ogni parte del Paese. (R.G.)

 

 

L’ISCRIZIONE ALLA GMG 2008 STABILITA A SECONDA DELEL POSSIBILITA’:

 “IL COSTO DEL PACCHETTO È DETERMINATO

IN BASE AL REDDITO PRO CAPITE DI OGNI NAZIONE”

 

ROMA. = É all’insegna della solidarietà la quota di iscrizione alla prossima Giornata mondiale dei giovani di Sydney 2008. Il comitato organizzatore – riferisce l’agenzia SIR - ha reso noto i prezzi dei tre pacchetti per i giovani pellegrini interessati alla manifestazione, che si terrà in Australia dal 15 al 20 luglio dell’anno prossimo. Le quote partono da un massimo di 395 dollari australiani, aud, (pari a 237 euro circa), per coloro che provengono dai Paesi più ricchi, fino ad un minimo di 50 aud (30 euro) previsti per i ragazzi originari delle Nazioni più povere. La quota di iscrizione, ovviamente, non comprende il costo del viaggio per e dall’Australia. “I prezzi – spiega il comitato - sono stati studiati per far sì che i più benestanti contribuiscano a sostenere le spese della GMG08 e ad aiutare i più poveri”. “Il costo del pacchetto è determinato, infatti, in base al reddito pro capite di ogni Nazione, secondo le stime della Banca mondiale”. É stato fissato inoltre un Fondo di solidarietà a favore dei pellegrini dell’Oceania che hanno un reddito medio-basso o basso. Il Comitato ha inoltre assicurato che i visti per i giovani regolarmente registrati saranno esenti da tasse governative e che non vi saranno restrizioni al numero di visti emessi per ciascun Paese. Le iscrizioni per i gruppi apriranno alla fine del mese di marzo del 2007 mentre le quelle individuali saranno possibili dalla metà del 2007. (A.D.F.)

 

 

NUOVE VITTIME DELLA RIFT VALLEY IN KENYA:

L’ULTIMO BILANCIO È DI 74 MORTI E DI OLTRE 200 CASI DI CONTAGIO.

LA FEBBRE SI PROPAGA ANCHE NELLE ZONE COSTIERE DEL PAESE

 

NAIROBI. = È salito a 74 il numero dei morti e ad oltre 200 quello dei contaminati. Questi i tragici effetti della Rift Valley, la febbre letale che in tre settimane ha causato una vera epidemia nella zona nord-occidentale del Kenya. Un bilancio ancora provvisorio e destinato a salire se non si adotteranno le misure necessarie per combatterne la diffusione. I primi casi di contagio risalgono a un mese e mezzo fa nel nord-est del Paese ma ora, il focolaio comincia ad estendersi anche nelle aree costiere. Sono stati registrati infatti decessi anche a Garissa, capitale della provincia nord-orientale del Kenya. Il virus sembra scatenarsi dalle punture di zanzare che creano pustole purulente sul bestiame. Mangiare carne di questi animali puo' essere una delle tante cause di infezione. Le autorità, che ne hanno già messo al bando la macellazione, stanno cercando di bloccare gli spostamenti del bestiame, e di accentuare le misure di profilassi. Già presente nello Stato africano dal 1997, la Rift Valley si diffuse in seguito alle inondazioni e causò la morte di centinaia di persone. Da allora, un’equipe di esperti di salute animale della FAO, insieme ai funzionari dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), collaborano alle attività di preparazione, comunicazione, sorveglianza e risposta alla malattia. (A.D.F.)

 

 

DA OGGI IN RETE IL PERIODICO “DIALOGHI” ALL’INDIRIZZO WWW.DIALOGHI.NET.

UN’INIZIATIVA DEL CENTRO STUDIO DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA

PER CONTRIBUIRE AL PROGETTO CULTURALE DELLA CHIESA

 

ROMA.= Il periodico “Dialoghi” è disponibile da oggi anche in Rete all’indirizzo www.dialoghi.net. Il sito, gestito dal Centro studi dell’Azione Cattolica, offre agli utenti uno spazio attraverso cui  confrontarsi e contribuire al Progetto culturale della Chiesa italiana. L’iniziativa ha come obiettivi principali quelli di rilanciare i temi sollevati nel corso del IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona e di preparare la prossima Settimana Sociale, in programma a Pisa dal 18 al 21 ottobre 2007. La rivista on line è composta da due sezioni, la prima dedicata all’attualità con editoriali, interviste e un blog, la seconda, di tipo documentale, con una bibliografia, una emerografia e uno spazio dedicato alle citazioni del magistero. (A.D.F.)

 

 

E’ UNA DONNA, ASHA ROSE MIGIRO, 50 ANNI,

 ATTUALE MINISTRO DEGLI ESTERI DELLA TANZANIA,

 IL NUOVO VICESEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE

 

NEW YORK. = Asha Rose Migiro, attuale ministro degli Esteri della Tanzania, 50 anni, è stata eletta nuovo vice Segretario generale delle Nazioni Unite. "Attraverso il servizio prestato in diversi settori, Asha Rose Migiro ha dato prova di notevoli capacità manageriali e di un'ampia esperienza in materia socio-economica e di sviluppo", ha affermato il nuovo segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, spiegando che intende delegare a lei molto del lavoro amministrativo e di gestione "in base ad una chiara linea di autorità che garantisca che il Segretariato funzioni in maniera più efficace ed efficiente". Apprezzamenti per la scelta sono giunti da Salim Ahmed Salim, inviato speciale dell'Unione Africana nella regione sudanese del Darfur. La signora Migiro, che sarà la donna più alta in grado e la seconda tra tutti gli alti funzionari delle Nazioni Unite, è stata in passato ministro per lo Sviluppo, le Pari opportunità e la gioventù, prima di guidare il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale del proprio Paese dal gennaio 2006. Asha Rose Migiro sostituisce nella carica Mark Malloch Brown, che era stato nominato nell'aprile 2006. (R.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

9 gennaio 2007

 

- A cura di Fausta Speranza -

 

Un impiegato iracheno dell’UNICEF è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco ieri a Baghdad. L’impiegato Janan Jabero aveva 52 anni, lavorava nei programmi di riabilitazione e ricostruzione delle scuole in Iraq, in particolare nel Kurdistan. In Iraq, l’UNICEF impiega 87 persone, di nazionalità irachena. Il personale internazionale è basato ad Amman, in Giordania. Sempre nella capitale, violenti combattimenti sono proseguiti incessanti per il quarto giorno consecutivo nel quartiere sunnita di Haifa-Alaui, fra gli insorti sunniti e l’esercito iracheno. Molte strade di accesso al quartiere di Haifa, roccaforte degli insorti, sono state bloccate dai militari. E c’è da dire che un gruppo di pellegrini iracheni sunniti di ritorno, questa mattina, dalla Mecca a bordo di un pullman sono stati bloccati alla frontiera dell’Iraq e condotti dalla polizia in un luogo segreto. Si tratta di oltre 40 persone, tra cui almeno quattro anziani sheikh, abitanti del quartiere al Ameriyah di Baghdad. Il ministro degli interni, Jawad al Polani, ha detto che i pellegrini vengono attualmente sottoposti a controlli di routine e presto potranno proseguire il loro viaggio di ritorno a Baghdad. 

 

Cinque membri delle brigate Ezzedin al-Qassam, braccio armato di Hamas, sono stati brevemente rapiti stamane nel nord della Striscia di Gaza. Altri tre membri della ‘Forza di pronto intervento’ del ministero degli Interni (vicina a Hamas) sono stati feriti da spari nella stessa zona. Secondo Hamas è probabile che gli attacchi siano stati condotti da miliziani di al-Fatah.  Stamane un portavoce di al-Fatah ha negato che i suoi miliziani progettino di attentare alla vita dei dirigenti di Hamas, affermando che sono state malintese dichiarazioni rilasciate da un dirigente del suo movimento, Mohammed Dahlan, durante un recente comizio nello stadio di calcio di Gaza. Awad ha aggiunto che la ‘Forza di pronto intervento’ è allo stato attuale illegale e deve essere inquadrata nelle forze di sicurezza palestinesi: ossia, deve rientrare sotto l’autorità del presidente Abu Mazen. Hamas ha respinto con determinazione richieste in tal senso giunte nei giorni scorsi da Abu Mazen.

 

Restando in Medio Oriente, rappresentanti siriani e israeliani s’incontreranno allo stesso tavolo di Madrid a partire da giovedì prossimo per discutere delle possibilità di riaprire i negoziati di pace tra i due Paesi. Lo hanno confermato oggi all’ANSA gli organizzatori della conferenza internazionale ‘Madrid+15’ per la pace in Medio Oriente, cui parteciperanno tutti i Paesi della regione e che si terrà nella capitale spagnola dal 10 al 12 gennaio, dopo quindici anni dagli storici incontri. Ai tavoli di Madrid siederanno nomi eccellenti della diplomazia e della politica: da Terje Roed-Larsen a Javier Solana, da Amr Moussa a Benita Ferrero-Waldner, da Miguel Angel Moratinos a Hubert Vedrine. Oltre a siriani e israeliani, ci saranno rappresentanti egiziani, giordani, libanesi, palestinesi, statunitensi e russi. L’Arabia Saudita, invitata, non ha però inviato alcun suo delegato.

 

Centinaia di sostenitori dell’opposizione filo siriana libanese si sono riunite questa mattina a Beirut davanti agli uffici delle tasse del ministero delle Finanze per protestare contro il piano di riforme economiche approvato dal governo la settimana scorsa. Il numero dei manifestanti è però ampiamente minore del previsto, considerato che l’iniziativa era stata indetta dalla confederazione sindacale (CTU), con il sostegno del movimento islamico Hezbollah. Nel pomeriggio la partecipazione potrebbe però aumentare, sulla scia dell’intensificazione delle proteste annunciata, ieri, dalle forze di opposizione che intende rinnovare gli sforzi per indurre il governo del premier Fuad Siniora alle dimissioni. Siniora ha fino ad ora resistito ad un sit-in in corso da oltre sei settimane davanti alla sede del governo nel centro di Beirut, organizzato proprio per indurlo a dimettersi. La manifestazione di oggi è stata indetta dal CTU per protestare contro le riforme economiche che il governo presenterà alla conferenza internazionale dei Paesi donatori in programma a Parigi dal 25 gennaio.

 

La Commissione europea ha definito “inaccettabile” che per motivi bilaterali un fornitore di petrolio come la Russia ne interrompa l’erogazione ed ha convocato per giovedì mattina una riunione del gruppo di esperti. Lo ha annunciato il portavoce del commissario all’Energia, Andris Piebalgs, sottolineando che la Bielorussia è “soltanto un Paese di transito”. Gli approvvigionamenti dall’oleodotto Druzhba sono stati interrotti a partire da domenica notte, a causa di una disputa tra Russia e Bielorussia, provocando conseguenze per altri Paesi europei. I Paesi coinvolti sono Polonia e Germania a Nord e Ucraina, Repubblica slovacca, Ungheria e Repubblica ceca a Sud. 

 

 “La positiva prosecuzione del negoziato di adesione fra Unione Europea e Turchia rappresenta un interesse strategico per l’Unione e uno stimolo per Ankara a consolidare le riforme avviate e a mettere in atto tutte le misure necessarie al pieno rispetto delle regole comunitarie, così da adempiere integralmente alle condizioni richieste per l’adesione”. E’ quanto ha detto il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, dopo il colloquio con il presidente della Repubblica turca Ahmet Necdet Sezer, in visita di Stato in Italia. 

 

La Nigeria ha perso nel 2006 entrate per quasi 570 miliardi di naira (circa 4,4 miliardi di dollari) a causa della riduzione della produzione di petrolio provocata dai disordini nella regione del Delta del Niger. Il dato viene reso noto dal ministro delle Finanze, Nenadi Usman, mentre   militanti armati tengono attualmente in ostaggio nella zona quattro dipendenti dell'ENI – tre italiani e un libanese – rapiti il 7 dicembre scorso, e cinque cinesi, sequestrati la scorsa settimana.  La signora Usman in una conferenza stampa ha dichiarato che “all’inizio del secondo trimestre 2006 c’è stata una perdita di produzione di 600 mila barili di petrolio al giorno”, dovuta principalmente ai disordini nel Delta del Niger.

 

Il nuovo governo di centro destra della Repubblica Ceca, guidato dal leader della destra liberale Ods Mirek Topolanek, è stato nominato ufficialmente questa mattina a Praga dal presidente Vaclav Klaus. Il nuovo governo è composto da 17 ministri dei tre partiti della coalizione di centro destra, formata dai Civici democratici (ODS), i Popolari (KDU-CSL) e dai Verdi. A partire dalla nomina il governo ha 30 giorni di tempo per chiedere la fiducia ai deputati. La Repubblica ceca è senza un governo stabile a partire dalle elezioni parlamentari del giugno 2006.

 

Per il terzo giorno consecutivo la capitale del Bangladesh, Dacca, è stata sconvolta da scontri tra i rappresentanti dei partiti di opposizione e la polizia bengalese. Le tensioni sono sorte in vista delle elezioni elettorali che si terranno a fine mese. I partiti d’opposizione riuniti nell’Awami League chiedono il rinvio delle consultazioni e maggiori garanzie per il loro corretto svolgimento. Nessuna concessione, invece, da parte del presidente Iajuddin che si appresta ad istituire la legge marziale nel Paese. Su questa crisi politica, Stefano Leszczynski ha raccolto il commento di un padre missionario in Bangladesh, il cui nome omettiamo per motivi di sicurezza.

 

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R. – si tratta di uno scontro fra due schieramenti: quello che è al governo e quello rappresentato dalle opposizioni, alle quali si è aggiunta però anche una sezione del partito principale che era al governo, che si chiama BNP-Bangladesh National Party, che si è scandalizzata per la troppa corruzione e per i troppi soldi che sono stati presi da alcuni rappresentanti del partito al governo, compreso il primo ministro.

 

D. – Ci sono state della manifestazioni ed anche il blocco dei trasporti. La polizia sembra puntare su una legge da Stato marziale. E’ così la situazione?

 

R. – Coloro che erano al potere hanno messo tutta la gente che era loro fedele sia in posti amministrativi che all’interno della polizia e del sistema giudiziario. Così facendo, possono, comunque vadano le elezioni, riusciranno a far girare la ruota dalla loro parte. Questo ovviamente non sta bene ai partiti di opposizione e in particolare al Awami League che, nel 2001, ha avuto più voti come singolo partito – il 41 per cento – ma che ha avuto soltanto 60 seggi contro i 180 seggi della coalizione che ha poi governato. Ci sono stati brogli elettorali ammessi da tutti. L’opposizione, quindi, non ci sta ad andare incontro ad un’altra sconfitta, già programmata.

 

D. – Nonostante l’appello del segretario generale delle Nazioni Unite, la tensione potrebbe salire ulteriormente in vista delle elezioni?

 

R. – Sì, perché nessuna delle due parti vuole cedere!

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Medio Oriente e Darfur, diritti umani, sviluppo e riforma dell’ONU. Sono queste le priorità indicate dal nuovo segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nell’intervento di esordio che ha pronunciato ieri a New York davanti al Consiglio di Sicurezza. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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La riunione aveva come tema le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale. Ban, dopo aver salutato i nuovi membri come l’Italia, ha spiegato quali sono i temi su cui intende focalizzare il suo lavoro per rilanciare l’approccio multilaterale e consolidare le crescenti missioni di peacekeeping. Medio Oriente significa affrontare tutte le crisi della regione, dal conflitto israelo-palestinese alla nuova missione in Libano. I problemi, però, riguardano anche l’Afghanistan e l’Iraq, in attesa del discorso di domani in cui il presidente americano annuncerà l’invio di altri soldati, e l’Iran contro cui il Consiglio di Sicurezza ha imposto sanzioni affinché rinunci al suo programma nucleare. Ban si è impegnato ad intervenire nel Darfur e, a fine gennaio, andrà al vertice dell’Unione Africana per incontrare il presidente al-Bashir e convincerlo ad accettare la forza di pace già approvata dal Palazzo di Vetro. L’ex ministro degli Esteri di Seul conta di svolgere un ruolo importante anche verso la Corea del Nord favorendo la ripresa delle trattative a sei, dopo il primo test atomico, e lavorando per il disarmo. Il segretario generale ha parlato poi dei diritti umani, promettendo di rimetterli al centro dell’agenda del Palazzo di Vetro. Quindi, ha sollecitato l’applicazione degli obiettivi stabiliti nel Vertice del Millennio, perché lo sviluppo e la lotta alle malattie come l’AIDS sono fondamentali per garantire la stabilità e combattere anche il terrorismo. Ha infine ribadito l’intenzione di fare da ponte tra Paesi ricchi e poveri, spiegando che nessuno può risolvere da solo tutti i problemi del mondo.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Violenti incidenti sono scoppiati a Cochabamba, capoluogo dell’omonimo dipartimento boliviano, dove ingenti forze di polizia hanno cercato di disperdere a colpi di lacrimogeni e pallottole di gomma un folto gruppo di contadini, simpatizzanti del presidente Evo Morales, guidati dall’oppositore Manfred Reyes Villa. 10 manifestanti sono stati arrestati e alcuni sono rimasti feriti. Il ministro dell’Interno, Alicia Munoz, ha destituito il capo della polizia locale, attribuendo la reazione dei manifestanti “alla violenta repressione” messa in atto contro di loro. Reyes Villa, eletto governatore lo scorso dicembre, è uno dei politici dell’opposizione che più strenuamente punta sulle autonomie regionali nel confronto col governo centrale.

 

Le autorità cinesi potrebbero condurre nuove operazioni contro i separatisti islamici uighuri nella provincia occidentale dello Xinjiang, dopo il raid che venerdì scorso ha provocato 19 morti. “Continueremo ad adottare misure severe contro le attività criminali dei gruppi terroristici, con attacchi anche preventivi se necessario”, ha spiegato un portavoce della polizia, Wu Heping. Nella provincia, che confina con l’Afghanistan e il Pakistan, dopo i diciassette arresti della settimana scorsa si stanno ora cercando altri membri del Movimento islamico per il Turkestan orientale. Il movimento separatista, considerato legato ai Taleban afghani, è sospettato di avere addestrato un migliaio di terroristi in appositi campi grazie anche al sostegno di al Qaida e di essere responsabile, fino al 2001, di almeno 200 attentati, nei quali hanno perso la vita 160 persone. Oggi gli uighuri sono circa il 47 per cento dei 17 milioni di abitanti della regione, la cui struttura etnica è stata sconvolta una massiccia emigrazione dei cinesi “han” verificatasi negli ultimi decenni.

 

 

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