RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n.50
- Testo della trasmissione di lunedì 19 febbraio
2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il messaggio
per la Quaresima del patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel
Sabbah
La preoccupazione della Chiesa per il rischio
della ripresa della guerra in Uganda
Allarme umanitario nella Papua occidentale
dopo l’offensiva dell’esercito indonesiano
Al vertice israelo-palestinese Olmert
e Abu Mazen raggiungono
l’accordo sui due Stati
Strage sul treno della pace India-Pakistan:
almeno 66 i morti
19 febbraio 2007
Il Sacramento della penitenza va riscoperto in questa nostra epoca
segnata
da tante sfide religiose e sociali: così Benedetto XVI
nel discorso ai penitenzieri delle quattro
Basiliche Papali di Roma
In questa nostra epoca, segnata da tante sfide religiose e
sociali, occorre riscoprire e riproporre il Sacramento della penitenza: così
Benedetto XVI nel suo discorso ai penitenzieri delle quattro Basiliche Papali
ricevuti stamani in udienza. Il Papa ha esortato i confessori delle Basiliche
di San Giovanni in Laterano, San Pietro, San Paolo Fuori le Mura e Santa Maria
Maggiore a radicare nella loro vita il messaggio di salvezza di cui sono portatori
come sacerdoti scelti da Cristo. A rivolgere il saluto al Santo Padre il
cardinale James Francis Stafford,
penitenziere maggiore. Il servizio di Tiziana Campisi:
**********
Il confessore è tramite di un meraviglioso evento di
grazia: la rinascita spirituale - frutto della misericordia divina - che
trasforma il penitente in una nuova creatura. È un miracolo che solo Dio può
operare, attraverso le parole e i gesti del sacerdote: l’assoluzione
pronunciata a nome e per conto della Chiesa. Si è soffermato sul significato
del ministero svolto dai penitenzieri Benedetto XVI, precisando che nella
confessione il sacerdote ottempera, con docile adesione, al Magistero della
Chiesa:
“Egli si fa ministro
della consolante misericordia di Dio, evidenzia la realtà del peccato e manifesta
al tempo stesso la smisurata potenza rinnovatrice dell'amore divino, amore che
ridona la vita”.
Un amore che sono in tanti a cercare e che si può
sperimentare proprio nel Sacramento della penitenza, ha aggiunto il Papa:
“Quante persone in
difficoltà cercano il conforto e la consolazione di Cristo! Quanti penitenti
trovano nella confessione la pace e la gioia che rincorrevano da tempo! Come
non riconoscere che anche in questa nostra epoca, segnata da tante sfide
religiose e sociali, vada riscoperto e riproposto questo Sacramento?”
Nell’amministrare il Sacramento della penitenza, ha detto
ancora il Santo Padre, “il confessore non è spettatore passivo”,
“ma … strumento attivo della misericordia divina”; è chiamato ad essere
“padre”, “giudice spirituale”, “maestro” ed “educatore”:
“Pertanto, è
necessario che egli unisca ad una buona sensibilità spirituale e pastorale una
seria preparazione teologica, morale e pedagogica che lo renda capace di
comprendere il vissuto della persona. Gli è poi assai utile conoscere gli
ambiti sociali, culturali e professionali di quanti si accostano al
confessionale, per poter offrire idonei consigli ed orientamenti spirituali e
pratici”.
E ha voluto sottolineare, in particolare, il carattere
spirituale del ministero del confessionale Benedetto XVI, e indicandone i
tratti ha spiegato:
“Alla saggezza
umana, alla preparazione teologica occorre pertanto unire una profonda vena di
spiritualità alimentata dal contatto orante con Cristo, Maestro e Redentore”.
Nel “peculiare servizio” che il confessore svolge “in
virtù dell’Ordinazione presbiterale”, ha precisato poi il Papa, le “doti
umane”, “sicuramente inadeguate”, vengono rafforzate
dalla Grazia nell’“l’umile e fedele adesione ai disegni salvifici di Cristo”.
Adesione che necessita però di una predisposizione interiore:
“Per adempiere tale
compito dobbiamo anzitutto radicare in noi stessi questo messaggio
di salvezza e lasciare che ci trasformi profondamente. Non possiamo predicare
il perdono e la riconciliazione agli altri, se non ne siamo personalmente penetrati. Cristo ci ha scelti, cari
sacerdoti, per essere i soli a poter perdonare i peccati in suo nome: si tratta
allora di uno specifico servizio ecclesiale al quale dobbiamo dare la priorità”.
**********
Da Benedetto XVI, i vescovi dell’Umbria in visita ad Limina
-
Intervista con l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti -
Basta evocare i nomi di San Benedetto da Norcia e San
Francesco d’Assisi per identificare l’Umbria come “culla” antichissima e
feconda di spiritualità cristiana. I vescovi della piccola regione italiana –
che conta 830 mila abitanti, con 590 parrocchie e un migliaio di parroci, tra
diocesani e religiosi – iniziano oggi la loro visita ad Limina in Vaticano. Tra i primi quattro presuli ricevuti questa
mattina da Benedetto XVI, c’era anche l’arcivescovo di Perugia-Città della
Pieve, Giuseppe Chiaretti, presidente della Conferenza episcopale umbra. Davide
Dionisi gli ha chiesto un’“istantanea” della Chiesa
di cui è responsabile e delle sue problematiche pastorali:
**********
R. - E’ una regione piccola, con pochi abitanti. Però, è una regione anche di importanza strategica notevolissima,
sia per la storia religiosa, sia anche per la storia civile e culturale, non
soltanto della regione ma dell’Italia, dell’Europa e della Chiesa: si pensi a
San Benedetto da un lato e a San Francesco dall’altro: due autentici “giganti”,
sulle spalle dei quali facciamo ancora la figura dei nani, nel senso che da
loro sono venute due culture, magari non adeguatamente approfondite e lette nel
loro insieme, ma comunque due culture che hanno impregnato ed interessato
veramente tutta la storia, religiosa e non religiosa. Quindi, pur
essendo una piccola regione siamo – appunto – portatori di questa memoria, che
è una memoria attiva, non è una memoria remota nel tempo e nello spazio. E’ una
memoria attiva, perché Francesco è qui, è vivo, lo dicono i tanti pellegrini
che vengono ad Assisi.
D. - Ecco: in uno scenario come quello da lei descritto,
quale importanza assume la visita “ad Limina”?
R. - Per noi, è una visita molto importante. Certo, i problemi rimangono: sono i problemi di tutti ed i
problemi specifici nostri. In questo momento, è grande e grave il problema
della nuova evangelizzazione, cioè come ri-dire la fede di Gesù Cristo ai nostri
giorni con quel cambio culturale radicale che è avvenuto. Certamente ci sono i
Movimenti i quali, ognuno con il suo linguaggio, tenta di testimoniare la fede
alle persone che incontrano, che si avvicinano. Però, noi abbiamo la
responsabilità della globalità della popolazione, la quale è per lo più battezzata e quindi ha un diritto-dovere di essere
aiutata dalla Chiesa a trovare il senso giusto, corretto della sua professione
di fede.
D. - Otto diocesi, otto realtà diverse: quali sono le
sfide pastorali che le accomunano, eccellenza?
R. - In primo luogo, ci siamo interessati della carità,
per una ragione semplicissima: avendo vissuto l’esperienza del terremoto,
abbiamo anche vissuto l’esperienza dello scambio dell’aiuto, sia quello che
abbiamo potuto dare - una diocesi all’altra - sia quello che altri sono venuti
da fuori a offrirci, in quei particolari momenti. Contemporaneamente, abbiamo
avuto – per una serie di coincidenze – l’occasione di farci carico di alcune
situazioni di bisogno per il Kosovo. Questo impegno di carità si esprime poi in
opere, oltre che in sensibilizzazione, all’interno della diocesi ma anche e
soprattutto con forme di gemellaggio verso altre realtà lontane da noi e
lontane anche dall’Italia. C’è l’emergenza dei giovani che, mi rendo conto, è
un’emergenza di tutti. Noi stiamo tentando, dopo aver fatto un grosso convegno
su questo, di rispondere ad esempio con gli oratori, rispolverando un po’
questo strumento lontano, per noi anche un po’ difficile da capire, perché non
abbiamo l’esperienza dell’oratorio modernamente inteso. C’è poi il settore
della famiglia, che vive crisi di adattamento anche da noi. Anche su questo
stiamo facendo particolare attenzione, aiutando le persone a porsi il problema
della fede e dell’educazione dei figli alla fede. Sono delle attenzioni
particolari, ben sapendo – peraltro – che chi cambia le situazioni sono le
famiglie veramente cristiane che possono dare l’esempio di un amore autentico
per la vita, con i figli che danno alla luce: esempi che riescono a fermentare
all’interno di una società.
D. - Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, Chiara e
Rita da Cascia: sono storie di spiritualità e di
esperienza mistica che hanno caratterizzato la vita della Chiesa umbra. Sono
ancora considerati modelli di riferimento per la comunità locale?
R. - Certamente, modelli di riferimento sul piano
spirituale, senza dubbio. Francesco ancora parla ai giovani. E anche Benedetto
è un punto di riferimento di estrema importanza. La religiosità popolare resta
legata ai Santuari, è ancora qualcosa di vivo. Sentiamo l’urgenza di poter dire
una parola anche di chiarificazione in merito a questa religiosità, perché
diventi – come diceva Paolo VI – “pietà popolare”, e questo ci trova coerenti e
attenti. E’ chiaro che non possiamo rinnovare la fede soltanto con la pietà
popolare: ci vuole un cammino che approdi alle motivazioni, che porti realmente
un metodo ed un linguaggio che siano più su misura delle esigenze di oggi.
**********
Altre udienze e nomine
Il Papa ha ricevuto stamani anche mons. Gregor Maria Hanke, vescovo di Eichstätt (Repubblica Federale di Germania). Questo
pomeriggio riceverà il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio
Cardinalizio.
In Paraguay, il Santo Padre ha nominato vescovo di San Pedro mons. Adalberto Martínez
Flores, finora vescovo di San Lorenzo. Mons. Martínez è nato l’8 luglio 1951 ad Asunción. Dopo aver frequentato
“L’amore del nemico costituisce il nucleo della rivoluzione cristiana”:
sulle parole del Papa ieri all’Angelus, il commento di mons. Bruno Forte
“L’amore del nemico costituisce il nucleo della
rivoluzione cristiana”: è quanto ha detto ieri all’Angelus, in Piazza San
Pietro, Benedetto XVI, ricordando che in un mondo in cui c’è troppa violenza e
troppa ingiustizia c’è bisogno di quel “più di amore” che può venire solo da
Dio. Il Papa ha parlato dell’eroismo dei “piccoli” che credono in questo amore
e “lo diffondono anche a costo della vita”: questa, dunque, secondo il
Pontefice è la vera rivoluzione “che cambia il mondo senza far rumore”.
Ascoltiamo in proposito il commento dell’arcivescovo di Chieti-Vasto
Bruno Forte, al microfono di Sergio Centofanti:
**********
R. – Io credo che le parole del Santo Padre abbiano una
particolare importanza nel momento storico che stiamo vivendo, considerati gli
scenari bellici che segnano il pianeta Terra e il villaggio globale. Il Papa ci
ha parlato della non violenza cristiana, facendo una distinzione
importantissima fra la non violenza intesa come un semplice arrendersi al male,
secondo una falsa interpretazione del porgere l’altra guancia, e la non
violenza intesa invece come rispondere al male con il bene, spezzando in tal
modo la catena dell’ingiustizia. Mi sembra che questo sia il punto decisivo. In
fondo la rivoluzione cristiana consiste nel credere nella potenza di questo
possibile-impossibile amore. Impossibile secondo la misura delle nostre forze e
possibile perché reso tale dal dono di Dio. Applicare questa visione, che è poi
quella ispirativa della Deus caritas est ai rapporti interpersonali, ai rapporti di forze
sociali e politiche, ai rapporti internazionali: questa è la grande rivoluzione
cristiana.
D. - Varie ideologie hanno cercato di attingere a questi
valori cristiani. Dov’è la differenza, qual è la vera novità del messaggio
evangelico?
R. – Io credo che l’ideologia pacifista sia lontana da
questo messaggio nella misura in cui essa può facilmente equivocarsi da una
parte nella resa al male e nell’altra nel calcolo tattico. La non violenza
cristiana e quindi anche il volto del pacifismo più autentico e, a mio avviso,
più credibile è quella invece di una scelta positiva dell’amore come forza di
trasformazione del reale, della capacità di riconciliazione, di richiesta e di
offerta del perdono come via per superare il conflitto, della comune ricerca
della giustizia per tutti, come condizione per costruire la pace. E’ qui che si
misura la differenza. Nel pacifismo ideologico c’è sempre un potenziale di
violenza, un qualcosa che si fa contro qualcuno per
imporre una visione del mondo, mentre nella non violenza cristiana c’è la forza
ispiratrice dell’amore del nemico, dell’amore evangelico come base di questa
visione del mondo e di questa via per la costruzione della pace e il
superamento dei conflitti.
**********
La Santa Sede e la Repubblica italiana
celebrano oggi
il 78.mo anniversario
della firma dei Patti Lateranensi
dell’11 febbraio 1929
-
Intervista con il prof. Carlo Cardìa -
Per la Santa Sede e lo Stato italiano oggi è il giorno
delle tradizionali celebrazioni dei Patti Lateranensi del 1929 e della
revisione del Concordato del 1984. Nel pomeriggio, presso l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, i due anniversari saranno
celebrati alle presenza delle massime autorità delle
due istituzioni, fra le quali il presidente della Repubblica italiana, Giorgio
Napolitano, e il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Una nota del
SIR, l’agenzia della Conferenza episcopale italiana, ricordando che “le relazioni
tra l’Italia e la Santa Sede sono tradizionalmente buone, anzi, eccellenti”,
invita a “guardare insieme nel concreto e in avanti”, in particolare sui
temi cruciali della vita, della famiglia e dell’educazione, senza “attardarsi -
si legge - in quelle ricorrenti polemiche sulla ‘laicità’, che periodicamente
ritornano” e che mirano a “delegittimare l’interlocutore” che “non avrebbe
diritto ad esprimersi”. Nel complesso i 23 anni
trascorsi dalla revisione dei Patti Lateranensi sono da considerarsi molto
positivi. E la conferma viene da uno dei “padri” del Concordato dell’84, il
prof. Carlo Cardìa, docente di Diritto ecclesiastico
all’Università di Roma Tre, intervistato da Alessandro De Carolis:
**********
R. - Ci troviamo in un periodo molto buono, perché non è
insorta nessuna controversia né sul Concordato, né su questioni rilevanti tra Stato
e Chiesa. Sono stati anni molto sereni, dal punto di vista giuridico, della
costruzione di queste relazioni e sono stati anni - ci tengo a sottolinearlo –
in cui il nuovo Concordato ha aperto la strada anche alla stipulazione delle
intese con altre confessioni religiose: ha aperto cioè la strada al rispetto
della libertà religiosa più ampia in Italia. Il Concordato è stato il primo
atto che ha cominciato a porsi su questa strada.
D. - Il principio della laicità dello Stato, la questione
della sfera d’azione della Chiesa, di tanto in tanto suscitano animate
discussioni, nonostante la mole del corpus giuridico relativa alla materia e
nonostante, aggiungerei, il peso della storia. Perché secondo lei?
R. - Diciamo subito una cosa: la laicità dello Stato, soprattutto
come si è venuta costruendo nel XX secolo dopo l’epoca dei totalitarismi,
riconosce la più ampia sfera di libertà alla Chiesa e alle Chiese. E io direi
anche qualche cosa di più: e cioè che è il sistema democratico che riconosce
alla Chiesa e alle Chiese libertà di pensiero, di parola, di azione. In
passato, il laicismo voleva “ricacciare” nel privato le Chiese, voleva che non
parlassero, che si occupassero solo dei riti e del culto. Oggi noi siamo in una
posizione diversa. La sfera della Chiesa è la sfera di tutte le altre grandi
forze sociali. E’ libera di agire, è libera di esprimere le sue opinioni. Poi,
naturalmente, i cittadini, ciascuno nella propria coscienza, valuteranno ciò
che la Chiesa e le Chiese dicono, e faranno le loro scelte. Questo è il
principio della laicità moderna.
D. - In questi giorni si parla molto di ingerenze, di
silenzi, del diritto ad esprimersi della Chiesa e di chi questo diritto invece
non lo riconosce o lo riconosce fino ad un certo punto. Qual è la sua opinione?
R. - La contingenza di questi giorni, di queste settimane,
di questi mesi, ha fatto emergere questa istanza molto singolare: quando una
Chiesa esprime le proprie opinioni, in maniera fra l’altro
aperta, pubblica, si ha un’ingerenza. Io faccio sempre, su questo problema,
l’esempio degli Stati Uniti - fra l’altro citato proprio da alcuni laicisti. Negli
Stati Uniti, come sappiamo, ci sono molte Chiese. Molte di esse
parlano, agiscono, anche in un modo, diciamo, un po’ “gridato”. Bene: ciò
avviene negli Stati Uniti senza che nessuno dica mai
nulla. Qual è allora il problema italiano? E’ che nel momento in cui la Chiesa
si fa interprete di valori generali – perché in questi giorni si parla di
valori generali non confessionali - c’è chi non si sente sicuro su questo
terreno, perché avverte che a livello popolare certe cose sono sentite, e
dunque utilizza il criterio della laicità: la laicità vecchia, però, di cui
parlavamo prima.
D. – Dunque, professore, la materia trattata dal Disegno
di legge sui Diritti delle coppie di fatto è materia sulla quale la Chiesa può
e deve dire la sua…
R. - Se la Chiesa non parla in materia di fede e di
morale, qualcuno mi deve dire di che cosa deve parlare… Diciamo un po’ le cose
come stanno: quando la Chiesa interviene su temi come la pace, la convivenza
civile, anche su temi più vicini alla politica, se ciò che dice va bene ad una
parte politica, questa plaude, se ciò che dice non va bene in materia di
morale, si rialza un po’ lo steccato dell’ingerenza. Qui c’è una contraddizione.
Ricordo un episodio clamoroso, di circa due anni fa, quando sui giornali si
scrisse che in Italia la Conferenza episcopale, in un documento, avrebbe
parlato della struttura federale dello Stato e tutti plaudirono, da una certa
parte politica, perché erano contrari a quella struttura federale. Ma se la
Chiesa può parlare addirittura sulla struttura federale, come può non avere il
diritto di parlare in materia di etica e di famiglia? C’è proprio una contraddizione
in linea di principio.
**********
=======ooo=======
OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Rispetto dei diritti umani e
civili per superare la
crisi in Guinea: all'Angelus, Benedetto XVI manifesta la sua spirituale
vicinanza al Paese africano che sta vivendo momenti di particolare difficoltà.
Servizio estero - India-Pakistan:
il “treno dell'amicizia” devastato dalle bombe; 66 i morti.
Servizio culturale - Un articolo di Franco Pelliccioni dal titolo “L’eleganza di uno sviluppo
urbanistico inaugurato nel XVIII secolo”: passeggiando per le vie di Dublino a
Nord e a Sud-Est del fiume Liffey.
Una monografica sul tema: “L’attualità di Carlo Goldoni a trecento anni dalla nascita”. I contributi sono
di Giovanni Marchi, Biancamaria Ceschin e Antonio Braga.
Servizio italiano - Base USA: la sinistra chiede un
ripensamento, dopo il “successo” del corteo di protesta.
=======ooo=======
19 febbraio 2007
“L’etica del profitto contagia il mondo”.
E’ il commento di mons. Elio Sgreccia alla
notizia che le donne britanniche potrebbero essere pagate 250 sterline per ogni
donazione di ovuli
da destinare alla ricerca scientifica
-
Intervista con Francesco D’Agostino -
“L’etica del
profitto contagia il mondo”. Così mons. Elio Sgreccia
presidente della Pontificia Accademia per
**********
R. - La stessa espressione “donatrice a pagamento” è un
insulto per l’intelligenza e per l’etica. Si vuole, attraverso il riferimento
alla donazione, legittimare una pratica che è esclusivamente speculativa e va
contro uno dei principi fondamentali della dignità
dell’uomo, la non commerciabilità del corpo umano in alcuna delle sue parti.
D. – Il documento fa riferimento anche alla possibilità di
avere una piccola somma di rimborso spese. Questo potrebbe far intravedere che
le donazioni potrebbero anche non venire soltanto dalle donne britanniche?
R. – Ma sembra proprio di capire che le cose stiano così.
La cifra che viene messa a disposizione per
un’operazione così invasiva come il prelievo degli ovociti
è abbastanza bassa. La promessa aggiunta di rimborsare le spese di viaggio fa
inevitabilmente venire in mente che gli inglesi sperino
che molte donne che provengono dall’economia disagiata come quella dell’est
europeo, possano mettersi in movimento per Londra per vendere i loro ovociti ottenendo il rimborso delle spese di viaggio e
questa cifra, se è piccola per una donna inglese, è molto cospicua per una
donna dell’est europeo. Vergogna si aggiunge a vergogna.
**********
Ai nostri microfoni la testimonianza del
cardinale francese
Philippe Barbarin in
visita in Algeria per promuovere
il dialogo islamo-cristiano
Si concluderà mercoledì
prossimo la visita in Algeria del cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, e del presidente del
Consiglio del culto musulmano della Regione francese Rodano-Alpi, Azzedine Gaci. In primo piano: la
promozione del dialogo tra Cristianesimo e Islam. Tappa emblematica del
viaggio, il Monastero di Tibhirine, dove nel 1996
sette monaci trappisti vennero sequestrati e uccisi da
integralisti islamici. Ascoltiamo la riflessione del cardinale Philippe Barbarin, al microfono
di Mathilde Auvillain:
**********
R. -
Il y a 150 mille musulmans qui vivent dans la région Rhône-Alpes, …
“Ci sono circa 150 mila musulmani nella nostra regione di Rhône-Alpes; la qualità dei nostri rapporti fraterni, del
nostro vivere insieme, del rispetto vicendevole, della stima spirituale
vicendevole, è una cosa fondamentale. Può essere che il problema abbia assunto toni molto particolari, dopo quello che è successo da una
parte a Ratisbona e dall’altra ad Istanbul in
autunno, in occasione della visita del Papa al Patriarcato di Costantinopoli.
Sono stato molto colpito da una frase del Santo Padre, poco dopo Ratisbona, quando la domenica successiva, all’Angelus, ha
detto: ‘Mi sono meravigliato e dispiaciuto delle reazioni
causate dal mio discorso a Ratisbona; invito quindi
cristiani e musulmani ad iniziare o riprendere un dialogo ad alto livello,
per meglio conoscersi’.
Ho pregato molto e attentamente ascoltato questo discorso del Papa, e mi sono
chiesto: in definitiva, quale soggetto vorrei o
potremmo noi tutti, approfondire con i musulmani? Ne è scaturita una lista
impressionante di argomenti! Ora, per esempio, abbiamo iniziato il dialogo con
la moschea di Lione su molte questioni: qual è la concezione della Creazione?
Quale la concezione dell’onnipotenza di Dio? Quale la concezione
dell’adorazione, della misericordia, che è un punto fondamentale per i
musulmani perché se ne parla in ogni ‘sura’ del
Corano, ed è essenziale per i cristiani? Dice Gesù nel Vangelo: ‘Siate misericordiosi come lo è il Padre vostro’. Senza contare poi tutte le questioni di ordine
pratico che riguardano la morale, la bioetica, le pratiche spirituali, come il
digiuno, la preghiera, la spiritualità, il pellegrinaggio, l’elemosina che sono
dei ‘pilastri’ nell’Islam: nel cristianesimo non ci sono pilastri ... cioè,
l’unico pilastro del cristianesimo è Cristo. Queste pratiche, peraltro, non
sono di second’ordine per noi: sono raccomandate da
Gesù stesso che nel Vangelo dice: ‘Quando preghi,
quando fai l’elemosina, quando fai il digiuno, che tutto questo si svolga nel segreto’. Credo dunque che abbiamo da sviluppare un dialogo
piuttosto ricco, in ambiti molto diversi e molto importanti”.
**********
=======ooo=======
19 febbraio 2007
Il digiuno, mezzo concreto di conversione, nel
messaggio per la Quaresima del Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah
GERUSALEMME. = La Quaresima ricorda al cristiano che
situazioni come l’occupazione militare, la limitazione della libertà, la
mancanza di sicurezza, la violazione delle leggi possono essere trasformate in
occasione di vita nuova. E’ in sintesi quanto scrive nel suo messaggio per la
Quaresima 2007, il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel
Sabbah, che indica anche un mezzo concreto di
conversione: il digiuno. “Con Gesù – si legge nel messaggio, citato
dall’agenzia Sir – andiamo nel deserto di Gerico
(città che è una prigione, come tutte le città palestinesi, simbolo del
conflitto diventato nostro ambiente di vita), digiuniamo per riconciliarci con
Dio, con i nostri amici e nemici; digiuniamo per rinnovare l’accettazione della
nostra fede. La fede autentica allontana la paura e rende il credente capace di
costruire il bene comune”. Il Patriarca ribadisce che “la vocazione del
cristiano, quella di essere lievito nella terra di Gesù, ci chiede di restare
in questi luoghi santi e vivere il comandamento dell’amore, perdonare,
reclamando i diritti perduti e condividere beni e sacrifici con tutti”, senza
differenza di religione e nazionalità. Mons. Sabbah si sofferma poi sul conflitto in Palestina, che ha
ripercussioni anche in Israele e Giordania. All’“occupazione, la limitazione
della libertà, il muro, le barriere, i militari israeliani che entrano in ogni
momento nelle città palestinesi, uccidono, fanno prigionieri, sradicano alberi
e demoliscono case” – denuncia il Patriarca latino di Gerusalemme – vanno aggiunte
“la mancanza di visione all’interno della società palestinese, la mancanza di
sicurezza, sfruttata da alcuni per violare le leggi e opprimere i loro
fratelli, l’incapacità della comunità internazionale di rispondere alle
molteplici voci di pace che si levano dalla regione”. Davanti a ciò, “la
Quaresima ricorda al cristiano che questa situazione può rivelarsi una
condizione di morte o di vita nuova”. Di qui, l’invito a digiunare per
“ricercare la volontà di Dio nelle prove attuali, rinnovare il nostro amore gli
uni verso gli altri e per vedere il senso di questi avvenimenti e capire come
convertirli in amore reciproco. Non per demolire l’avversario o nutrire rancore
verso di lui – conclude mons. Sabbah – ma per mettere
fine all’occupazione, all’oppressione e vivere una vita nuova”. (R.M.)
Il segretario di Stato vaticano, cardinale
Tarcisio Bertone, presente domani pomeriggio a Roma, alla presentazione del
libro “Pier Damiani. Poesie e Preghiere”. La
pubblicazione in concomitanza con le celebrazioni
nel Ravennate per i mille anni dalla nascita del
Santo Dottore della Chiesa
ROMA. = Sarà presente anche il segretario di Stato
vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, domani pomeriggio a Roma, presso la
biblioteca del Monastero di San Gregorio al Celio, alla presentazione del libro
“Pier Damiani. Poesie e Preghiere” (Città Nuova). La
pubblicazione avviene in concomitanza con le celebrazioni per il primo
millenario dalla nascita del Santo Dottore della Chiesa, nato a Ravenna nel 1007
e morto a Faenza nel 1072. “San Pier Damiani ha
operato molto per la riforma della Chiesa nel suo tempo, per sottrarla al
potere dell’impero e per riportare la vita del clero agli ideali del Vangelo”,
ha affermato il vescovo di Faenza-Modigliana, mons.
Claudio Stagni, commentando il significato delle manifestazioni apertesi ieri e
in programma fino al 21 febbraio 2008. “In quest’anno giubilare – ha aggiunto –
gli chiederemo che illumini e assista anche noi nell’opera di rinnovamento e di
riforma, che dovremo compiere per essere sempre più fedeli al Vangelo e
rispondere alle istanze della storia”. (R.M.)
Lettera
pastorale dell’arcivescovo di Tai
Pei, a Taiwan,
mons. Cheng Tsai-fa, per il Capodanno cinese, celebrato ieri:
al centro, il coordinamento tra istituti
religiosi
e parrocchie e la preghiera per le vocazioni
TAI PEI. = Migliore
coordinamento del lavoro pastorale; preghiera incessante per le vocazioni;
vicinanza ai propri sacerdoti: sono questi i punti cruciali per la vita e la
missione futura dell’arcidiocesi di Tai Pei, a Taiwan, secondo l’arcivescovo, mons. Joseph
Cheng Tsai-fa, che ha
pubblicato una Lettera pastorale in occasione del Capodanno cinese, celebrato
ieri. Dopo avere ringraziato il Signore per la nomina ad ausiliare di mons. Thomas Chung – riferisce
l’agenzia Fides – l’arcivescovo Cheng ha sottolineato
l’importanza della realizzazione di un Ufficio pastorale nel territorio “per
coordinare bene il lavoro pastorale della diocesi e degli istituti religiosi, e
per utilizzare nel modo migliore le risorse umane”. “Nell’arcidiocesi – ha
aggiunto – ci sono tante congregazioni religiose che prestano il loro servizio.
Ci vuole un coordinamento tra loro e le parrocchie. Se avessimo vocazioni sufficienti,
tutto funzionerebbe bene”. E ha esortato: “Preghiera,
preghiera, vi raccomando: pregate per le vocazioni e sono convinto che il
Signore ascolterà la vostra voce che viene dal cuore”. (R.M.)
Se i
colloqui di pace tra esercito e guerriglia non riprenderanno
prima della fine della tregua, il prossimo 28
febbraio, la guerra in Uganda potrebbe riesplodere: è
l’allarme lanciato da mons. Odama,
arcivescovo di Gulu, mentre
i vescovi del Kenya chiedono al governo
di riconsiderare il rifiuto di ospitare le
trattative
KAMPALA. = La tregua
tra esercito e guerriglia finisce il 28 febbraio e la guerra potrebbe riesplodere, se i colloqui di pace non saranno ripresi: è
l’allarme lanciato da mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, nel
nord Uganda, durante un incontro con l’inviato speciale delle Nazioni Unite per
le trattative di pace in Uganda, l’ex presidente della Zambia,
Joaquim Chisano. Lo
riferisce l’agenzia CISA (citata da Fides), che ha incontrato l’arcivescovo a
Nairobi, dove si è tenuta una riunione dei vescovi direttori e coordinatori
della Commissione Giustizia e Pace dell’AMECEA, Associazione dei membri delle
Conferenze episcopali dell’Africa Orientale. “Più di 1 milione e 700 mila
persone vivono in squallide condizioni nei campi per rifugiati – ha affermato
mons. Odama – e chiedo a tutte le organizzazioni e
agenzie di fornire assistenza perché le condizioni di vita nel nord Uganda
tornino normali”. Le trattative tra il governo ugandese e i guerriglieri
dell’Esercito di resistenza del Signore (LRA) sono ferme dall’inizio di
gennaio, per la richiesta da parte della leadership del movimento, di spostare
la sede delle trattative da Juba, in sud Sudan, al
Kenya. Una richiesta respinta dal governo di Nairobi. Da parte loro, i vescovi kenyoti hanno chiesto al proprio governo di riconsiderare
la decisione di non ospitare i colloqui di pace. “Quello che chiediamo – ha
affermato il presidente della Conferenza episcopale del Kenya, mons. John Njue, arcivescovo di Nyeri – è
che il Kenya faccia di tutto per assicurare che il sofferente
popolo del nord Uganda inizi a vivere una vita migliore”. L’LRA
aveva motivato la richiesta di trasferire la sede delle trattative in Kenya con
i timori provocati dalle parole del presidente sudanese, Omar Bashir, che ha dichiarato l’intenzione di “eliminare l’LRA
dal Sudan”. (R.M.)
Human
Rights Watch (HRW) pubblica un rapporto sulla situazione
nelle carceri e nei tribunali in Arabia Saudita: migliaia di detenuti senza
processo; bambini condannati a morte; vessazioni per le donne in carcere
**********
NEW YORK. =
Migliaia di detenuti senza processo; bambini condannati a morte; vessazioni per
le donne in carcere: è questa la situazione nelle carceri e nei tribunali in
Arabia Saudita, secondo un Rapporto di Human Rights Watch (HRW),
citato dall’agenzia del PIME, AsiaNews. Per 4 settimane, infatti, su
invito del governo saudita, una commissione dell’organizzazione per i diritti
umani ha potuto ispezionare tribunali e prigioni, seppure sotto costante
“sorveglianza” e con numerose limitazioni. Secondo HRW, in Arabia Saudita la
polizia segreta tiene migliaia di persone in carcere per anni per ragioni
politiche, senza accusa e senza nemmeno farle comparire davanti a un giudice,
anche se il codice di procedura penale prevede che la detenzione non possa
superare i 6 mesi. Gli imputati spesso non hanno un avvocato e i legali hanno
difficoltà a vedere i documenti dell’accusa. Il processo in genere si svolge a
porte chiuse, nonostante il codice preveda che avvenga in modo pubblico. Molte
condanne – afferma l’organizzazione per i diritti umani – sono fondate su indizi minimi e spesso i giudici non scrivono il
verdetto, come nel caso dei processi politici contro i presunti rivoltosi di Najran nel 2000. Nella prigione di al-Ha,
a sud di Riyadh, molti prigionieri hanno subito abusi
fisici e altri sono rimasti in carcere anche per lungo tempo, dopo avere
espiato la condanna. Ma molte delle 300 persone ascoltate hanno detto di non
voler fare denunce per timore di “rappresaglie” delle autorità. I bambini sono
incarcerati anche per delitti minori e anche per violazione di norme “morali”.
In carcere sono tenuti in isolamento e percossi. Ci sono minori di 13 anni
condannati a morte, perché ritenuti “maturi”, senza che Hrw
abbia potuto sapere cosa avessero fatto. Ancora peggiore è la situazione delle
donne detenute, spesso soggette a un controllo costante di guardie maschili.
HRW ritiene comunque che
l’invito ricevuto dal governo saudita “sia prova di una nuova disponibilità a
discutere sui diritti umani nel Paese”. “Anche se – precisa – le restrizioni
alla possibilità di visitare le prigioni e la generale proibizione di assistere
ai processi, fanno pensare che il governo saudita abbia ancora molto da
nascondere”. (A cura di Roberta Moretti)
**********
Allarme
umanitario in Papua occidentale: dopo l’offensiva
dell’esercito
indonesiano i
primi di dicembre, oltre 5 mila civili
costretti a vivere in miseria nella foresta
JAKARTA. = Dopo l’offensiva
dell’esercito indonesiano a Puncak Jaya, distretto della provincia di Papua, avvenuto i primi
di dicembre, oltre 5 mila civili sono costretti a vivere nella foresta, in zone
malsane, infestate dalla malaria, e con scarsità di cibo. Secondo le ONG
presenti nell’area, la situazione, sempre più grave, rischia di trasformarsi in
una vera e propria emergenza umanitaria. L’attacco militare – riferisce
l’agenzia Fides – è stato provocato dall’innalzamento di una bandiera dell’Organisasi Papua Maerdeka –
Organizzazione Papua Libera (OPM), un piccolo gruppo ribelle che lotta per
l’indipendenza della Papua, la provincia all’estremo est dell’arcipelago
indonesiano, annessa da Jakarta nel 1969. Dopo il
fallimento delle trattative sull’autonomia limitata della provincia, il governo
indonesiano ha avviato una massiccia campagna militare che mira ad annientare
la guerriglia separatista. L’allarme per la crisi umanitaria è condiviso da
diverse organizzazioni religiose e per i diritti umani, che continuano a
sollevare il problema del conflitto dimenticato della Papua occidentale: dal
1969 si registrano almeno 100 mila morti. Lo sfruttamento indiscriminato del
sottosuolo ricco di miniere d’oro, argento e rame, la deforestazione e la
colonizzazione da parte della popolazione di Java, incentivata dal governo, sta
mettendo a rischio l’ecosistema e anche la vita dei 300 gruppi indigeni che abitano
la Papua. (E.L.)
Nello
Stato indiano dell’Orissa,
oltre 135 mila pellegrini di tutte
le fedi
riuniti per la festa della Madonna di Lourdes, in ricordo
del
miracoloso intervento contro un’epidemia di colera nei primi del ‘900
NEW DELHI. = Oltre 135 mila
pellegrini di tutte le religioni hanno partecipato, lo scorso 11 febbraio nella
remota parrocchia di Dantoling, nello Stato indiano orientale
dell’Orissa, alla festa annuale di Nostra Signora di
Lourdes. Nell’occasione viene commemorato il miracoloso intervento della
Vergine contro una violenta epidemia di colera verificatasi agli inizi del
‘900. La Messa solenne, concelebrata da 138
sacerdoti, è stata presieduta da mons. Thomas Thirutahalil, vescovo di Balasore.
Secondo padre Clement Bagsingh,
parroco di Dantoling, che conta 136 famiglie
cattoliche, “sono l’amore e la compassione di Maria che attirano qui i
pellegrini di ogni religione”. Fra i fedeli presenti, infatti, anche numerosi
indù, che raccontano di aver ricevuto innumerevoli grazie dalla Madre di Dio. (E.L)
=======ooo=======
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
L’impegno per una soluzione basata su due
Stati, l’accordo per un nuovo incontro e l’adesione agli impegni presi. Sono
questi i principali risultati resi noti dal segretario di Stato americano, Condoleezza
Rice, dopo il summit di questa mattina a Gerusalemme con il primo ministro israeliano, Ehud
Olmert, e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese,
Abu Mazen. Ma la strada per
un vero processo di pace tra israeliani e palestinesi è comunque ricca di
insidie perchè manca ancora l’accettazione delle condizioni poste dalla
comunità internazionale da parte di Hamas. Il nostro servizio:
**********
Il vertice è cominciato con premesse non
incoraggianti: sembra ancora irrealizzabile, almeno nel breve periodo, la
richiesta avanzata dalla comunità internazionale per la formazione di un
governo palestinese che riconosca lo Stato di Israele. Il Quartetto per il
Medio Oriente, composto da Stati Uniti, Russia, ONU e
Unione Europea potrebbe inoltre decidere di non ritirare le sanzioni economiche
nei confronti dell’Autorità nazionale palestinese. L’incontro di questa mattina
ha comunque offerto alcuni segni di speranza: il premier Ehud
Olmert ed il presidente Abu
Mazen si sono infatti
trovati concordi sulla soluzione di due Stati, indipendenti, sovrani e in grado
di convivere pacificamente l’uno accanto all’altro. E’ stato poi annunciato che
Olmert, Abu Mazen e Condoleezza Rice torneranno a sedersi prossimamente intorno ad uno
stesso tavolo. L’obiettivo, considerato prioritario, è di migliorare le
relazioni tra Stato ebraico e Autorità nazionale palestinese. I presupposti
fortunatamente non mancano: Condoleezza Rice, in un’intervista rilasciata poco prima del vertice,
ha sottolineato che Israele deve mantenere intatti i suoi rapporti con il
presidente palestinese perché rispetta i principi del Quartetto. Durante il
vertice, Abu Mazen e Olmert hanno anche ribadito stamani l’accettazione di
accordi già esistenti che prevedono la fine dell’isolamento del governo
palestinese e il riconoscimento di Israele. Ma la verifica più difficile da
superare sarà la posizione che assumerà il nuovo esecutivo palestinese. Un
governo che vedrà la partecipazione anche di uomini di al
Fatah e di politici indipendenti, ma comunque guidato
dal premier uscente, Ismail Haniyeh,
esponente di Hamas. Il gruppo radicale ha sempre rifiutato, finora di
riconoscere Israele, ed Olmert ha ammonito che, se
non ci saranno cambiamenti sostanziali, proseguirà il boicottaggio di Israele
nei confronti di Hamas.
**********
In Iraq, almeno 36 persone sono morte in
seguito a nuovi attentati condotti da ribelli a Baghdad, a nord della capitale,
a Ramadi e a Tikrit. Il
premier iracheno, Nouri al Maliki,
ha condannato inoltre l’attacco di ieri in un quartiere sciita di Baghdad,
costato la vita a decine di persone, e ha chiesto la collaborazione della
popolazione per garantire maggiore sicurezza. Ma la situazione nella capitale e
nel resto del Paese continua ad essere drammatica. Il
servizio di Amedeo Lomonaco:
**********
Il terrorismo
continua a scuotere l’Iraq nonostante il piano per la
sicurezza avviato quattro giorni fa: in una città sunnita a nord di
Baghdad sono rimasti uccisi 7 civili in seguito ad un attentato kamikaze. Due
attentatori suicidi si sono poi fatti saltare in aria
a Ramadi, nella turbolenta provincia di Al Anbar, provocando 11 morti. Sono poi 7 le vittime di due
attentati a Tikrit. Violenze anche a Baghdad, dove in
un quartiere centrale della capitale, almeno 7 persone sono morte per
l’esplosione di un ordigno a bordo di un autobus. Altri 4 civili sono rimasti
uccisi per un attacco nel sud di Baghdad. Dopo la strage di ieri al mercato,
che ha provocato almeno 60 morti, la capitale irachena torna quindi ad essere
sconvolta da attacchi e violenze. Sabato scorso il segretario di Stato
americano, Condoleezza Rice,
in visita a sorpresa a Baghdad, aveva sottolineato il netto miglioramento della
situazione nella capitale. Ma i ribelli sono tornati a colpire ed il maggiore
presidio da parte di soldati americani e iracheni non sembra in grado di
garantire un’adeguata cornice di sicurezza. A preoccupare l’amministrazione
americana non sono poi solo le azioni terroristiche ma anche l’intenzione dei
democratici di non far avanzare il piano proposto dal presidente Geroge Bush per l’Iraq: il
partito democratico ha annunciato infatti che cercherà di far
ridimensionare i poteri di guerra del capo della Casa Bianca, riesaminando la
risoluzione che nel
**********
E’ stato causato da
un atto di terrorismo l'incendio di stanotte sul “treno della pace”, che
percorre l'unico tratto di ferrovia che collega India e Pakistan, due Paesi più
volte scontratisi in guerra. A riferirlo il primo ministro indiano, Singh. Il bilancio dell’esplosione di due ordigni
artigianali è di almeno 66 vittime. Le fiamme sul
convoglio sono divampate a circa
**********
R. – Presumibilmente, per bloccare il processo di
riavvicinamento tra India e Pakistan. Domani, il ministro degli Esteri
pakistano sarà a New Delhi per una tornata di colloqui. Non è la prima volta
che, alla vigilia di un incontro importante, un atto di terrorismo cerchi di
intimidire le parti.
D. – Sia da parte indiana, che pakistana, è stato detto
che questo attentato non fermerà il dialogo tra New Delhi e Islamabad.
Cosa c’è in gioco?
R. – In gioco ci sono diversi aspetti e, tra questi, la
discussa questione del Kashmir. Nel colloquio col ministro pakistano
probabilmente non si sarebbe parlato di Kashmir, ma del ghiacciaio del Siachen, altra questione di confine dibattuta tra India e
Pakistan. Certamente c’è chi non ha alcuna intenzione di vedere risolta in modo
pacifico e diplomatico la crisi del Kashmir.
D. – Chi ha interesse a bloccare tali colloqui?
R. – Per esempio, gli integralisti islamici, con base in
Pakistan, cui sono stati attribuiti tutti i più recenti attentati in India.
Integralisti islamici che, tra l’altro, negli ultimi giorni hanno colpito
diverse volte nello stesso Pakistan e che cercano di mandare messaggi forti al
presidente Musharraf.
**********
Ancora violenze in Thailandia.
Un tenente colonnello dell’esercito è stato ucciso stamani nell’esplosione di
una bomba collocata davanti alla sua abitazione, nel sud musulmano del Paese.
Solo ieri, una serie di attentati dinamitardi, ben 49, avevano causato almeno 8
morti e 45 feriti.
In Andalusia, in Spagna, è stato
approvato il nuovo Statuto di
autonomia regionale.
L’Andalusia è la seconda regione spagnola, dopo
**********
Il nuovo statuto di autogoverno della regione dell’Andalusia,
una fra le più importanti
delle 17 comunità regionali della Spagna, è stato approvato ieri
con una maggioranza del circa 87% dei voti. Il nuovo statuto prevede
importanti modifiche rispetto a quello precedente del
**********
Segnali di apertura dalla Casa
Bianca dopo la manifestazione di sabato scorso a Vicenza, in Italia, contro
l’ampliamento della base americana: una fonte dell’esecutivo statunitense ha
dichiarato che il governo americano ha dato la propria disponibilità a trattare
con le autorità locali per limitare l’impatto negativo dell’allargamento. La
fonte precisa però che non verrà messo in discussione
l’ampliamento della base ma le modalità dell’allargamento. Il ministro italiano della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, ha dichiarato intanto che sulla questione
di Vicenza serve un referendum.
E’ rientrato l’allarme per il pacco sospetto che aveva
portato all’evacuazione dell'ambasciata del Canada a Parigi. L’allarme era
scattato perché un funzionario dell'ambasciata, dopo aver ricevuto il pacco,
aveva avuto un malore. Ma le analisi sul plico hanno fortunatamente escluso la
presenza di sostanze dannose.
=======ooo=======