RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n.50  - Testo della trasmissione di lunedì 19   febbraio 2007

 

 

Sommario

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Sacramento della penitenza va riscoperto in questa nostra epoca segnata da tante sfide religiose e sociali: così Benedetto XVI  nel discorso ai penitenzieri delle Basiliche Papali di Roma

 

Dal Papa i vescovi dell’Umbria per la visita ad Limina: intervista con l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti

 

“L’amore del nemico costituisce il nucleo della rivoluzione cristiana”: sulle parole del Papa ieri all’Angelus, il commento di mons. Bruno Forte

 

Santa Sede e Italia celebrano  il 78.mo anniversario dei Patti Lateranensi. Ai nostri microfoni il prof.  Carlo Cardìa

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

“L’etica del profitto contagia il mondo”. E’ il commento di mons. Elio Sgreccia alla notizia che le donne britanniche potrebbero essere pagate 250 sterline per ogni donazione di ovuli da destinare alla ricerca scientifica: con noi Francesco D’Agostino

 

Si concluderà mercoledì prossimo la visita in Algeria del cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione: ai nostri microfoni lo stesso porporato

 

CHIESA E SOCIETA’:

        Il messaggio per la Quaresima del patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah

 

Il cardinale Tarcisio Bertone presente, domani pomeriggio a Roma, alla presentazione di un libro su San Pier Damiani a mille anni dalla sua nascita

       

Lettera pastorale dell’arcivescovo di Tai Pei, a Taiwan, mons. Cheng Tsai-fa, per il Capodanno cinese

 

La preoccupazione della Chiesa per il rischio della ripresa della guerra in Uganda

 

Human Rights Watch denuncia la violazione dei diritti umani nelle carceri e nei tribunali in Arabia Saudita: migliaia di detenuti senza processo; bambini condannati a morte; vessazioni per le donne

 

Allarme umanitario nella Papua occidentale dopo l’offensiva dell’esercito indonesiano

 

Nello Stato indiano dell’Orissa, oltre 135 mila pellegrini di tutte le fedi riuniti per la festa della Madonna di Lourdes

 

 

24 ORE NEL MONDO:

Al vertice israelo-palestinese Olmert e Abu Mazen  raggiungono l’accordo sui due Stati

 

Strage sul treno della pace India-Pakistan: almeno 66 i morti

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

19 febbraio 2007

 

Il Sacramento della penitenza va riscoperto in questa nostra epoca

 segnata da tante sfide religiose e sociali: così Benedetto XVI

nel discorso ai penitenzieri delle quattro Basiliche Papali di Roma 

 

In questa nostra epoca, segnata da tante sfide religiose e sociali, occorre riscoprire e riproporre il Sacramento della penitenza: così Benedetto XVI nel suo discorso ai penitenzieri delle quattro Basiliche Papali ricevuti stamani in udienza. Il Papa ha esortato i confessori delle Basiliche di San Giovanni in Laterano, San Pietro, San Paolo Fuori le Mura e Santa Maria Maggiore a radicare nella loro vita il messaggio di salvezza di cui sono portatori come sacerdoti scelti da Cristo. A rivolgere il saluto al Santo Padre il cardinale James Francis Stafford, penitenziere maggiore. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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Il confessore è tramite di un meraviglioso evento di grazia: la rinascita spirituale - frutto della misericordia divina - che trasforma il penitente in una nuova creatura. È un miracolo che solo Dio può operare, attraverso le parole e i gesti del sacerdote: l’assoluzione pronunciata a nome e per conto della Chiesa. Si è soffermato sul significato del ministero svolto dai penitenzieri Benedetto XVI, precisando che nella confessione il sacerdote ottempera, con docile adesione, al Magistero della Chiesa:

 

Egli si fa ministro della consolante misericordia di Dio, evidenzia la realtà del peccato e manifesta al tempo stesso la smisurata potenza rinnovatrice dell'amore divino, amore che ridona la vita.

 

Un amore che sono in tanti a cercare e che si può sperimentare proprio nel Sacramento della penitenza, ha aggiunto il Papa:

 

Quante persone in difficoltà cercano il conforto e la consolazione di Cristo! Quanti penitenti trovano nella confessione la pace e la gioia che rincorrevano da tempo! Come non riconoscere che anche in questa nostra epoca, segnata da tante sfide religiose e sociali, vada riscoperto e riproposto questo Sacramento?

 

Nell’amministrare il Sacramento della penitenza, ha detto ancora il Santo Padre, “il confessore non è spettatore passivo”, “ma … strumento attivo della misericordia divina”; è chiamato ad essere “padre”, “giudice spirituale”, “maestro” ed “educatore”:

 

Pertanto, è necessario che egli unisca ad una buona sensibilità spirituale e pastorale una seria preparazione teologica, morale e pedagogica che lo renda capace di comprendere il vissuto della persona. Gli è poi assai utile conoscere gli ambiti sociali, culturali e professionali di quanti si accostano al confessionale, per poter offrire idonei consigli ed orientamenti spirituali e pratici.

 

E ha voluto sottolineare, in particolare, il carattere spirituale del ministero del confessionale Benedetto XVI, e indicandone i tratti ha spiegato:

 

Alla saggezza umana, alla preparazione teologica occorre pertanto unire una profonda vena di spiritualità alimentata dal contatto orante con Cristo, Maestro e Redentore.

 

Nel “peculiare servizio” che il confessore svolge “in virtù dell’Ordinazione presbiterale”, ha precisato poi il Papa, le “doti umane”, “sicuramente inadeguate”, vengono rafforzate dalla Grazia nell’“l’umile e fedele adesione ai disegni salvifici di Cristo”. Adesione che necessita però di una predisposizione interiore:

 

Per adempiere tale compito dobbiamo anzitutto radicare in noi stessi questo messaggio di salvezza e lasciare che ci trasformi profondamente. Non possiamo predicare il perdono e la riconciliazione agli altri, se non ne siamo personalmente penetrati. Cristo ci ha scelti, cari sacerdoti, per essere i soli a poter perdonare i peccati in suo nome: si tratta allora di uno specifico servizio ecclesiale al quale dobbiamo dare la priorità.

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Da Benedetto XVI, i vescovi dell’Umbria in visita ad Limina

- Intervista con l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti -

 

Basta evocare i nomi di San Benedetto da Norcia e San Francesco d’Assisi per identificare l’Umbria come “culla” antichissima e feconda di spiritualità cristiana. I vescovi della piccola regione italiana – che conta 830 mila abitanti, con 590 parrocchie e un migliaio di parroci, tra diocesani e religiosi – iniziano oggi la loro visita ad Limina in Vaticano. Tra i primi quattro presuli ricevuti questa mattina da Benedetto XVI, c’era anche l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Giuseppe Chiaretti, presidente della Conferenza episcopale umbra. Davide Dionisi gli ha chiesto un’“istantanea” della Chiesa di cui è responsabile e delle sue problematiche pastorali:

 

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R. - E’ una regione piccola, con pochi abitanti. Però, è una regione anche di importanza strategica notevolissima, sia per la storia religiosa, sia anche per la storia civile e culturale, non soltanto della regione ma dell’Italia, dell’Europa e della Chiesa: si pensi a San Benedetto da un lato e a San Francesco dall’altro: due autentici “giganti”, sulle spalle dei quali facciamo ancora la figura dei nani, nel senso che da loro sono venute due culture, magari non adeguatamente approfondite e lette nel loro insieme, ma comunque due culture che hanno impregnato ed interessato veramente tutta la storia, religiosa e non religiosa. Quindi, pur essendo una piccola regione siamo – appunto – portatori di questa memoria, che è una memoria attiva, non è una memoria remota nel tempo e nello spazio. E’ una memoria attiva, perché Francesco è qui, è vivo, lo dicono i tanti pellegrini che vengono ad Assisi.

 

D. - Ecco: in uno scenario come quello da lei descritto, quale importanza assume la visita “ad Limina”?

 

R. - Per noi, è una visita molto importante. Certo, i problemi rimangono: sono i problemi di tutti ed i problemi specifici nostri. In questo momento, è grande e grave il problema della nuova evangelizzazione, cioè come ri-dire la fede di Gesù Cristo ai nostri giorni con quel cambio culturale radicale che è avvenuto. Certamente ci sono i Movimenti i quali, ognuno con il suo linguaggio, tenta di testimoniare la fede alle persone che incontrano, che si avvicinano. Però, noi abbiamo la responsabilità della globalità della popolazione, la quale è per lo più battezzata e quindi ha un diritto-dovere di essere aiutata dalla Chiesa a trovare il senso giusto, corretto della sua professione di fede.

 

D. - Otto diocesi, otto realtà diverse: quali sono le sfide pastorali che le accomunano, eccellenza?

 

R. - In primo luogo, ci siamo interessati della carità, per una ragione semplicissima: avendo vissuto l’esperienza del terremoto, abbiamo anche vissuto l’esperienza dello scambio dell’aiuto, sia quello che abbiamo potuto dare - una diocesi all’altra - sia quello che altri sono venuti da fuori a offrirci, in quei particolari momenti. Contemporaneamente, abbiamo avuto – per una serie di coincidenze – l’occasione di farci carico di alcune situazioni di bisogno per il Kosovo. Questo impegno di carità si esprime poi in opere, oltre che in sensibilizzazione, all’interno della diocesi ma anche e soprattutto con forme di gemellaggio verso altre realtà lontane da noi e lontane anche dall’Italia. C’è l’emergenza dei giovani che, mi rendo conto, è un’emergenza di tutti. Noi stiamo tentando, dopo aver fatto un grosso convegno su questo, di rispondere ad esempio con gli oratori, rispolverando un po’ questo strumento lontano, per noi anche un po’ difficile da capire, perché non abbiamo l’esperienza dell’oratorio modernamente inteso. C’è poi il settore della famiglia, che vive crisi di adattamento anche da noi. Anche su questo stiamo facendo particolare attenzione, aiutando le persone a porsi il problema della fede e dell’educazione dei figli alla fede. Sono delle attenzioni particolari, ben sapendo – peraltro – che chi cambia le situazioni sono le famiglie veramente cristiane che possono dare l’esempio di un amore autentico per la vita, con i figli che danno alla luce: esempi che riescono a fermentare all’interno di una società.

 

D. - Benedetto da Norcia, Francesco d’Assisi, Chiara e Rita da Cascia: sono storie di spiritualità e di esperienza mistica che hanno caratterizzato la vita della Chiesa umbra. Sono ancora considerati modelli di riferimento per la comunità locale?

 

R. - Certamente, modelli di riferimento sul piano spirituale, senza dubbio. Francesco ancora parla ai giovani. E anche Benedetto è un punto di riferimento di estrema importanza. La religiosità popolare resta legata ai Santuari, è ancora qualcosa di vivo. Sentiamo l’urgenza di poter dire una parola anche di chiarificazione in merito a questa religiosità, perché diventi – come diceva Paolo VI – “pietà popolare”, e questo ci trova coerenti e attenti. E’ chiaro che non possiamo rinnovare la fede soltanto con la pietà popolare: ci vuole un cammino che approdi alle motivazioni, che porti realmente un metodo ed un linguaggio che siano più su misura delle esigenze di oggi.

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Altre udienze e nomine

 

Il Papa ha ricevuto stamani anche mons. Gregor Maria Hanke, vescovo di Eichstätt (Repubblica Federale di Germania). Questo pomeriggio riceverà il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio.

 

In Paraguay, il Santo Padre ha nominato vescovo di San Pedro mons. Adalberto Martínez Flores, finora vescovo di San Lorenzo. Mons. Martínez è nato l’8 luglio 1951 ad Asunción.  Dopo aver frequentato la Facoltà di Economia dell’Università Nazionale, si è trasferito negli Stati Uniti, a Washington, dove ha conseguito il titolo di “Bachelor of Art” nella Facoltà dell’“Oblate College”. Giunto in Italia, è entrato nella Scuola Internazionale Sacerdotale del Movimento dei Focolari a Frascati e ha ottenuto il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense. E’ stato ordinato sacerdote il 24 agosto 1985, per la diocesi nord-americana di Virgin Islands, dove ha esercitato il ministero per vari anni nella formazione dei seminaristi e degli assistenti dei movimenti apostolici. Tornato in Paraguay, ha ottenuto nel 1993 l’incardinazione ad Asunción, ricoprendo gli incarichi di vicario parrocchiale, parroco, segretario generale del Sinodo Diocesano e assessore pastorale di Radio Caritas e della pastorale giovanile. Nominato vescovo titolare di Tatilti ed ausiliare di Asunción il 14 agosto 1997, è stato consacrato l’8 novembre successivo. Il 18 maggio 2000 è stato trasferito a San Lorenzo quale vescovo residenziale. In seno alla Conferenza episcopale paraguaiana è stato presidente delle Commissioni per le Comunicazioni sociali e per la Pastorale giovanile. Al presente vi svolge gli incarichi di segretario generale e portavoce.

 

 

“L’amore del nemico costituisce il nucleo della rivoluzione cristiana”:

sulle parole del Papa ieri all’Angelus, il commento di mons. Bruno Forte

 

“L’amore del nemico costituisce il nucleo della rivoluzione cristiana”: è quanto ha detto ieri all’Angelus, in Piazza San Pietro, Benedetto XVI, ricordando che in un mondo in cui c’è troppa violenza e troppa ingiustizia c’è bisogno di quel “più di amore” che può venire solo da Dio. Il Papa ha parlato dell’eroismo dei “piccoli” che credono in questo amore e “lo diffondono anche a costo della vita”: questa, dunque, secondo il Pontefice è la vera rivoluzione “che cambia il mondo senza far rumore”. Ascoltiamo in proposito il commento dell’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte, al microfono di Sergio Centofanti:

 

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R. – Io credo che le parole del Santo Padre abbiano una particolare importanza nel momento storico che stiamo vivendo, considerati gli scenari bellici che segnano il pianeta Terra e il villaggio globale. Il Papa ci ha parlato della non violenza cristiana, facendo una distinzione importantissima fra la non violenza intesa come un semplice arrendersi al male, secondo una falsa interpretazione del porgere l’altra guancia, e la non violenza intesa invece come rispondere al male con il bene, spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia. Mi sembra che questo sia il punto decisivo. In fondo la rivoluzione cristiana consiste nel credere nella potenza di questo possibile-impossibile amore. Impossibile secondo la misura delle nostre forze e possibile perché reso tale dal dono di Dio. Applicare questa visione, che è poi quella ispirativa della Deus caritas est ai rapporti interpersonali, ai rapporti di forze sociali e politiche, ai rapporti internazionali: questa è la grande rivoluzione cristiana.

 

D. - Varie ideologie hanno cercato di attingere a questi valori cristiani. Dov’è la differenza, qual è la vera novità del messaggio evangelico?

 

R. – Io credo che l’ideologia pacifista sia lontana da questo messaggio nella misura in cui essa può facilmente equivocarsi da una parte nella resa al male e nell’altra nel calcolo tattico. La non violenza cristiana e quindi anche il volto del pacifismo più autentico e, a mio avviso, più credibile è quella invece di una scelta positiva dell’amore come forza di trasformazione del reale, della capacità di riconciliazione, di richiesta e di offerta del perdono come via per superare il conflitto, della comune ricerca della giustizia per tutti, come condizione per costruire la pace. E’ qui che si misura la differenza. Nel pacifismo ideologico c’è sempre un potenziale di violenza, un qualcosa che si fa contro qualcuno per imporre una visione del mondo, mentre nella non violenza cristiana c’è la forza ispiratrice dell’amore del nemico, dell’amore evangelico come base di questa visione del mondo e di questa via per la costruzione della pace e il superamento dei conflitti.

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La Santa Sede e la Repubblica italiana celebrano oggi

il 78.mo anniversario della firma dei Patti Lateranensi

dell’11 febbraio 1929

- Intervista con il prof. Carlo Cardìa -

 

Per la Santa Sede e lo Stato italiano oggi è il giorno delle tradizionali celebrazioni dei Patti Lateranensi del 1929 e della revisione del Concordato del 1984. Nel pomeriggio, presso l’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, i due anniversari saranno celebrati alle presenza delle massime autorità delle due istituzioni, fra le quali il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, e il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Una nota del SIR, l’agenzia della Conferenza episcopale italiana, ricordando che “le relazioni tra l’Italia e la Santa Sede sono tradizionalmente buone, anzi, eccellenti”, invita a “guardare insieme nel concreto e in avanti”, in particolare sui temi cruciali della vita, della famiglia e dell’educazione, senza “attardarsi - si legge - in quelle ricorrenti polemiche sulla ‘laicità’, che periodicamente ritornano” e che mirano a “delegittimare l’interlocutore” che “non avrebbe diritto ad esprimersi”. Nel complesso i 23 anni trascorsi dalla revisione dei Patti Lateranensi sono da considerarsi molto positivi. E la conferma viene da uno dei “padri” del Concordato dell’84, il prof. Carlo Cardìa, docente di Diritto ecclesiastico all’Università di Roma Tre, intervistato da Alessandro De Carolis:

 

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R. - Ci troviamo in un periodo molto buono, perché non è insorta nessuna controversia né sul Concordato, né su questioni rilevanti tra Stato e Chiesa. Sono stati anni molto sereni, dal punto di vista giuridico, della costruzione di queste relazioni e sono stati anni - ci tengo a sottolinearlo – in cui il nuovo Concordato ha aperto la strada anche alla stipulazione delle intese con altre confessioni religiose: ha aperto cioè la strada al rispetto della libertà religiosa più ampia in Italia. Il Concordato è stato il primo atto che ha cominciato a porsi su questa strada.

 

D. - Il principio della laicità dello Stato, la questione della sfera d’azione della Chiesa, di tanto in tanto suscitano animate discussioni, nonostante la mole del corpus giuridico relativa alla materia e nonostante, aggiungerei, il peso della storia. Perché secondo lei?

 

R. - Diciamo subito una cosa: la laicità dello Stato, soprattutto come si è venuta costruendo nel XX secolo dopo l’epoca dei totalitarismi, riconosce la più ampia sfera di libertà alla Chiesa e alle Chiese. E io direi anche qualche cosa di più: e cioè che è il sistema democratico che riconosce alla Chiesa e alle Chiese libertà di pensiero, di parola, di azione. In passato, il laicismo voleva “ricacciare” nel privato le Chiese, voleva che non parlassero, che si occupassero solo dei riti e del culto. Oggi noi siamo in una posizione diversa. La sfera della Chiesa è la sfera di tutte le altre grandi forze sociali. E’ libera di agire, è libera di esprimere le sue opinioni. Poi, naturalmente, i cittadini, ciascuno nella propria coscienza, valuteranno ciò che la Chiesa e le Chiese dicono, e faranno le loro scelte. Questo è il principio della laicità moderna.

 

D. - In questi giorni si parla molto di ingerenze, di silenzi, del diritto ad esprimersi della Chiesa e di chi questo diritto invece non lo riconosce o lo riconosce fino ad un certo punto. Qual è la sua opinione?

 

R. - La contingenza di questi giorni, di queste settimane, di questi mesi, ha fatto emergere questa istanza molto singolare: quando una Chiesa esprime le proprie opinioni, in maniera fra l’altro aperta, pubblica, si ha un’ingerenza. Io faccio sempre, su questo problema, l’esempio degli Stati Uniti - fra l’altro citato proprio da alcuni laicisti. Negli Stati Uniti, come sappiamo, ci sono molte Chiese. Molte di esse parlano, agiscono, anche in un modo, diciamo, un po’ “gridato”. Bene: ciò avviene negli Stati Uniti senza che nessuno dica mai nulla. Qual è allora il problema italiano? E’ che nel momento in cui la Chiesa si fa interprete di valori generali – perché in questi giorni si parla di valori generali non confessionali - c’è chi non si sente sicuro su questo terreno, perché avverte che a livello popolare certe cose sono sentite, e dunque utilizza il criterio della laicità: la laicità vecchia, però, di cui parlavamo prima.

 

D. – Dunque, professore, la materia trattata dal Disegno di legge sui Diritti delle coppie di fatto è materia sulla quale la Chiesa può e deve dire la sua…

 

R. - Se la Chiesa non parla in materia di fede e di morale, qualcuno mi deve dire di che cosa deve parlare… Diciamo un po’ le cose come stanno: quando la Chiesa interviene su temi come la pace, la convivenza civile, anche su temi più vicini alla politica, se ciò che dice va bene ad una parte politica, questa plaude, se ciò che dice non va bene in materia di morale, si rialza un po’ lo steccato dell’ingerenza. Qui c’è una contraddizione. Ricordo un episodio clamoroso, di circa due anni fa, quando sui giornali si scrisse che in Italia la Conferenza episcopale, in un documento, avrebbe parlato della struttura federale dello Stato e tutti plaudirono, da una certa parte politica, perché erano contrari a quella struttura federale. Ma se la Chiesa può parlare addirittura sulla struttura federale, come può non avere il diritto di parlare in materia di etica e di famiglia? C’è proprio una contraddizione in linea di principio.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Rispetto dei diritti umani e civili per superare  la crisi in Guinea: all'Angelus, Benedetto XVI manifesta la sua spirituale vicinanza al Paese africano che sta vivendo momenti di particolare difficoltà.

 

Servizio estero - India-Pakistan: il “treno dell'amicizia” devastato dalle bombe; 66 i morti.

 

Servizio culturale - Un articolo di Franco Pelliccioni dal titolo “L’eleganza di uno sviluppo urbanistico inaugurato nel XVIII secolo”: passeggiando per le vie di Dublino a Nord e a Sud-Est del fiume Liffey.

Una monografica sul tema: “L’attualità di Carlo Goldoni a trecento anni dalla nascita”. I contributi sono di Giovanni Marchi, Biancamaria Ceschin e Antonio Braga.  

 

Servizio italiano - Base USA: la sinistra chiede un ripensamento, dopo il “successo” del corteo di protesta.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

19 febbraio 2007

 

“L’etica del profitto contagia il mondo”.

E’ il commento di mons. Elio Sgreccia alla notizia che le donne britanniche potrebbero essere pagate 250 sterline per ogni donazione di ovuli

da destinare alla ricerca scientifica

- Intervista con Francesco D’Agostino -

 

         “L’etica del profitto contagia il mondo”. Così mons. Elio Sgreccia presidente della Pontificia Accademia per la Vita in un‘intervista al quotidiano La Stampa sulla notizia che le donne britanniche potrebbero essere pagate 250 sterline per ogni donazione di ovuli da destinare alla ricerca scientifica. Mons. Sgreccia ribadendo l’inaccettabilità di una tale pratica dal punto di vita morale ha sottolineato anche che in questo modo “verrebbe calpestata la dignità della donna”. L’Autorità britannica per la fertilità umana e l'embriologia dovrebbe annunciare il via libera alla pratica il prossimo 21 febbraio. Al microfono di Massimiliano Menichetti Francesco D’Agostino presidente dell'Unione Giuristi Cattolici Italiani:

 

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R. - La stessa espressione “donatrice a pagamento” è un insulto per l’intelligenza e per l’etica. Si vuole, attraverso il riferimento alla donazione, legittimare una pratica che è esclusivamente speculativa e va contro uno dei principi fondamentali della dignità dell’uomo, la non commerciabilità del corpo umano in alcuna delle sue parti.

 

D. – Il documento fa riferimento anche alla possibilità di avere una piccola somma di rimborso spese. Questo potrebbe far intravedere che le donazioni potrebbero anche non venire soltanto dalle donne britanniche?

 

R. – Ma sembra proprio di capire che le cose stiano così. La cifra che viene messa a disposizione per un’operazione così invasiva come il prelievo degli ovociti è abbastanza bassa. La promessa aggiunta di rimborsare le spese di viaggio fa inevitabilmente venire in mente che gli inglesi sperino che molte donne che provengono dall’economia disagiata come quella dell’est europeo, possano mettersi in movimento per Londra per vendere i loro ovociti ottenendo il rimborso delle spese di viaggio e questa cifra, se è piccola per una donna inglese, è molto cospicua per una donna dell’est europeo. Vergogna si aggiunge a vergogna.

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Ai nostri microfoni la testimonianza del cardinale francese

Philippe Barbarin in visita in Algeria per promuovere

il dialogo islamo-cristiano

 

Si concluderà mercoledì prossimo la visita in Algeria del cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, e del presidente del Consiglio del culto musulmano della Regione francese Rodano-Alpi, Azzedine Gaci. In primo piano: la promozione del dialogo tra Cristianesimo e Islam. Tappa emblematica del viaggio, il Monastero di Tibhirine, dove nel 1996 sette monaci trappisti vennero sequestrati e uccisi da integralisti islamici. Ascoltiamo la riflessione del cardinale Philippe Barbarin, al microfono di Mathilde Auvillain:

 

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R. - Il y a 150 mille musulmans qui vivent dans la région Rhône-Alpes, 

“Ci sono circa 150 mila musulmani nella nostra regione di Rhône-Alpes; la qualità dei nostri rapporti fraterni, del nostro vivere insieme, del rispetto vicendevole, della stima spirituale vicendevole, è una cosa fondamentale. Può essere che il problema abbia assunto toni molto particolari, dopo quello che è successo da una parte a Ratisbona e dall’altra ad Istanbul in autunno, in occasione della visita del Papa al Patriarcato di Costantinopoli. Sono stato molto colpito da una frase del Santo Padre, poco dopo Ratisbona, quando la domenica successiva, all’Angelus, ha detto:Mi sono meravigliato e dispiaciuto delle reazioni causate dal mio discorso a Ratisbona; invito quindi cristiani e musulmani ad iniziare o riprendere un dialogo ad alto livello, per  meglio conoscersi’. Ho pregato molto e attentamente ascoltato questo discorso del Papa, e mi sono chiesto: in definitiva, quale soggetto vorrei o potremmo noi tutti, approfondire con i musulmani? Ne è scaturita una lista impressionante di argomenti! Ora, per esempio, abbiamo iniziato il dialogo con la moschea di Lione su molte questioni: qual è la concezione della Creazione? Quale la concezione dell’onnipotenza di Dio? Quale la concezione dell’adorazione, della misericordia, che è un punto fondamentale per i musulmani perché se ne parla in ogni ‘sura’ del Corano, ed è essenziale per i cristiani? Dice Gesù nel Vangelo:Siate misericordiosi come lo è il Padre vostro’. Senza contare poi tutte le questioni di ordine pratico che riguardano la morale, la bioetica, le pratiche spirituali, come il digiuno, la preghiera, la spiritualità, il pellegrinaggio, l’elemosina che sono dei ‘pilastri’ nell’Islam: nel cristianesimo non ci sono pilastri ... cioè, l’unico pilastro del cristianesimo è Cristo. Queste pratiche, peraltro, non sono di second’ordine per noi: sono raccomandate da Gesù stesso che nel Vangelo dice:Quando preghi, quando fai l’elemosina, quando fai il digiuno, che tutto questo si svolga nel segreto’. Credo dunque che abbiamo da sviluppare un dialogo piuttosto ricco, in ambiti molto diversi e molto importanti”.

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CHIESA E SOCIETA’

19 febbraio 2007

 

 

Il digiuno, mezzo concreto di conversione, nel messaggio per la Quaresima del Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah

 

GERUSALEMME. = La Quaresima ricorda al cristiano che situazioni come l’occupazione militare, la limitazione della libertà, la mancanza di sicurezza, la violazione delle leggi possono essere trasformate in occasione di vita nuova. E’ in sintesi quanto scrive nel suo messaggio per la Quaresima 2007, il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, che indica anche un mezzo concreto di conversione: il digiuno. “Con Gesù – si legge nel messaggio, citato dall’agenzia Sir – andiamo nel deserto di Gerico (città che è una prigione, come tutte le città palestinesi, simbolo del conflitto diventato nostro ambiente di vita), digiuniamo per riconciliarci con Dio, con i nostri amici e nemici; digiuniamo per rinnovare l’accettazione della nostra fede. La fede autentica allontana la paura e rende il credente capace di costruire il bene comune”. Il Patriarca ribadisce che “la vocazione del cristiano, quella di essere lievito nella terra di Gesù, ci chiede di restare in questi luoghi santi e vivere il comandamento dell’amore, perdonare, reclamando i diritti perduti e condividere beni e sacrifici con tutti”, senza differenza di religione e nazionalità. Mons. Sabbah si sofferma poi sul conflitto in Palestina, che ha ripercussioni anche in Israele e Giordania. All’“occupazione, la limitazione della libertà, il muro, le barriere, i militari israeliani che entrano in ogni momento nelle città palestinesi, uccidono, fanno prigionieri, sradicano alberi e demoliscono case” – denuncia il Patriarca latino di Gerusalemme – vanno aggiunte “la mancanza di visione all’interno della società palestinese, la mancanza di sicurezza, sfruttata da alcuni per violare le leggi e opprimere i loro fratelli, l’incapacità della comunità internazionale di rispondere alle molteplici voci di pace che si levano dalla regione”. Davanti a ciò, “la Quaresima ricorda al cristiano che questa situazione può rivelarsi una condizione di morte o di vita nuova”. Di qui, l’invito a digiunare per “ricercare la volontà di Dio nelle prove attuali, rinnovare il nostro amore gli uni verso gli altri e per vedere il senso di questi avvenimenti e capire come convertirli in amore reciproco. Non per demolire l’avversario o nutrire rancore verso di lui – conclude mons. Sabbah – ma per mettere fine all’occupazione, all’oppressione e vivere una vita nuova”. (R.M.)

 

 

Il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, presente domani pomeriggio a Roma, alla presentazione del libro “Pier Damiani. Poesie e Preghiere”. La pubblicazione in concomitanza con le celebrazioni

nel Ravennate per i mille anni dalla nascita del Santo Dottore della Chiesa

 

ROMA. = Sarà presente anche il segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, domani pomeriggio a Roma, presso la biblioteca del Monastero di San Gregorio al Celio, alla presentazione del libro “Pier Damiani. Poesie e Preghiere” (Città Nuova). La pubblicazione avviene in concomitanza con le celebrazioni per il primo millenario dalla nascita del Santo Dottore della Chiesa, nato a Ravenna nel 1007 e morto a Faenza nel 1072. “San Pier Damiani ha operato molto per la riforma della Chiesa nel suo tempo, per sottrarla al potere dell’impero e per riportare la vita del clero agli ideali del Vangelo”, ha affermato il vescovo di Faenza-Modigliana, mons. Claudio Stagni, commentando il significato delle manifestazioni apertesi ieri e in programma fino al 21 febbraio 2008. “In quest’anno giubilare – ha aggiunto – gli chiederemo che illumini e assista anche noi nell’opera di rinnovamento e di riforma, che dovremo compiere per essere sempre più fedeli al Vangelo e rispondere alle istanze della storia”. (R.M.)

 

 

Lettera pastorale dell’arcivescovo di Tai Pei, a Taiwan,

mons. Cheng Tsai-fa, per il Capodanno cinese, celebrato ieri:

al centro, il coordinamento tra istituti religiosi

e parrocchie e la preghiera per le vocazioni

 

TAI PEI. = Migliore coordinamento del lavoro pastorale; preghiera incessante per le vocazioni; vicinanza ai propri sacerdoti: sono questi i punti cruciali per la vita e la missione futura dell’arcidiocesi di Tai Pei, a Taiwan, secondo l’arcivescovo, mons. Joseph Cheng Tsai-fa, che ha pubblicato una Lettera pastorale in occasione del Capodanno cinese, celebrato ieri. Dopo avere ringraziato il Signore per la nomina ad ausiliare di mons. Thomas Chung – riferisce l’agenzia Fides – l’arcivescovo Cheng ha sottolineato l’importanza della realizzazione di un Ufficio pastorale nel territorio “per coordinare bene il lavoro pastorale della diocesi e degli istituti religiosi, e per utilizzare nel modo migliore le risorse umane”. “Nell’arcidiocesi – ha aggiunto – ci sono tante congregazioni religiose che prestano il loro servizio. Ci vuole un coordinamento tra loro e le parrocchie. Se avessimo vocazioni sufficienti, tutto funzionerebbe bene”. E ha esortato: “Preghiera, preghiera, vi raccomando: pregate per le vocazioni e sono convinto che il Signore ascolterà la vostra voce che viene dal cuore”. (R.M.)

 

 

Se i colloqui di pace tra esercito e guerriglia non riprenderanno

prima della fine della tregua, il prossimo 28 febbraio, la guerra in Uganda potrebbe riesplodere: è l’allarme lanciato da mons. Odama,

arcivescovo di Gulu, mentre i vescovi del Kenya chiedono al governo

di riconsiderare il rifiuto di ospitare le trattative

 

KAMPALA. = La tregua tra esercito e guerriglia finisce il 28 febbraio e la guerra potrebbe riesplodere, se i colloqui di pace non saranno ripresi: è l’allarme lanciato da mons. John Baptist Odama, arcivescovo di Gulu, nel nord Uganda, durante un incontro con l’inviato speciale delle Nazioni Unite per le trattative di pace in Uganda, l’ex presidente della Zambia, Joaquim Chisano. Lo riferisce l’agenzia CISA (citata da Fides), che ha incontrato l’arcivescovo a Nairobi, dove si è tenuta una riunione dei vescovi direttori e coordinatori della Commissione Giustizia e Pace dell’AMECEA, Associazione dei membri delle Conferenze episcopali dell’Africa Orientale. “Più di 1 milione e 700 mila persone vivono in squallide condizioni nei campi per rifugiati – ha affermato mons. Odama – e chiedo a tutte le organizzazioni e agenzie di fornire assistenza perché le condizioni di vita nel nord Uganda tornino normali”. Le trattative tra il governo ugandese e i guerriglieri dell’Esercito di resistenza del Signore (LRA) sono ferme dall’inizio di gennaio, per la richiesta da parte della leadership del movimento, di spostare la sede delle trattative da Juba, in sud Sudan, al Kenya. Una richiesta respinta dal governo di Nairobi. Da parte loro, i vescovi kenyoti hanno chiesto al proprio governo di riconsiderare la decisione di non ospitare i colloqui di pace. “Quello che chiediamo – ha affermato il presidente della Conferenza episcopale del Kenya, mons. John Njue, arcivescovo di Nyeri – è che il Kenya faccia di tutto per assicurare che il sofferente popolo del nord Uganda inizi a vivere una vita migliore”. L’LRA aveva motivato la richiesta di trasferire la sede delle trattative in Kenya con i timori provocati dalle parole del presidente sudanese, Omar Bashir, che ha dichiarato l’intenzione di “eliminare l’LRA dal Sudan”. (R.M.)

 

 

Human Rights Watch (HRW) pubblica un rapporto sulla situazione nelle carceri e nei tribunali in Arabia Saudita: migliaia di detenuti senza

processo; bambini condannati a morte; vessazioni per le donne in carcere

 

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NEW YORK. = Migliaia di detenuti senza processo; bambini condannati a morte; vessazioni per le donne in carcere: è questa la situazione nelle carceri e nei tribunali in Arabia Saudita, secondo un Rapporto di Human Rights Watch (HRW), citato dall’agenzia del PIME, AsiaNews. Per 4 settimane, infatti, su invito del governo saudita, una commissione dell’organizzazione per i diritti umani ha potuto ispezionare tribunali e prigioni, seppure sotto costante “sorveglianza” e con numerose limitazioni. Secondo HRW, in Arabia Saudita la polizia segreta tiene migliaia di persone in carcere per anni per ragioni politiche, senza accusa e senza nemmeno farle comparire davanti a un giudice, anche se il codice di procedura penale prevede che la detenzione non possa superare i 6 mesi. Gli imputati spesso non hanno un avvocato e i legali hanno difficoltà a vedere i documenti dell’accusa. Il processo in genere si svolge a porte chiuse, nonostante il codice preveda che avvenga in modo pubblico. Molte condanne – afferma l’organizzazione per i diritti umani – sono fondate su indizi minimi e spesso i giudici non scrivono il verdetto, come nel caso dei processi politici contro i presunti rivoltosi di Najran nel 2000. Nella prigione di al-Ha, a sud di Riyadh, molti prigionieri hanno subito abusi fisici e altri sono rimasti in carcere anche per lungo tempo, dopo avere espiato la condanna. Ma molte delle 300 persone ascoltate hanno detto di non voler fare denunce per timore di “rappresaglie” delle autorità. I bambini sono incarcerati anche per delitti minori e anche per violazione di norme “morali”. In carcere sono tenuti in isolamento e percossi. Ci sono minori di 13 anni condannati a morte, perché ritenuti “maturi”, senza che Hrw abbia potuto sapere cosa avessero fatto. Ancora peggiore è la situazione delle donne detenute, spesso soggette a un controllo costante di guardie maschili. HRW ritiene comunque che l’invito ricevuto dal governo saudita “sia prova di una nuova disponibilità a discutere sui diritti umani nel Paese”. “Anche se – precisa – le restrizioni alla possibilità di visitare le prigioni e la generale proibizione di assistere ai processi, fanno pensare che il governo saudita abbia ancora molto da nascondere”. (A cura di Roberta Moretti)

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Allarme umanitario in Papua occidentale: dopo l’offensiva

dell’esercito indonesiano i primi di dicembre, oltre 5 mila civili

costretti a vivere in miseria nella foresta

 

JAKARTA. = Dopo l’offensiva dell’esercito indonesiano a Puncak Jaya, distretto della provincia di Papua, avvenuto i primi di dicembre, oltre 5 mila civili sono costretti a vivere nella foresta, in zone malsane, infestate dalla malaria, e con scarsità di cibo. Secondo le ONG presenti nell’area, la situazione, sempre più grave, rischia di trasformarsi in una vera e propria emergenza umanitaria. L’attacco militare – riferisce l’agenzia Fides – è stato provocato dall’innalzamento di una bandiera dell’Organisasi Papua Maerdeka – Organizzazione Papua Libera (OPM), un piccolo gruppo ribelle che lotta per l’indipendenza della Papua, la provincia all’estremo est dell’arcipelago indonesiano, annessa da Jakarta nel 1969. Dopo il fallimento delle trattative sull’autonomia limitata della provincia, il governo indonesiano ha avviato una massiccia campagna militare che mira ad annientare la guerriglia separatista. L’allarme per la crisi umanitaria è condiviso da diverse organizzazioni religiose e per i diritti umani, che continuano a sollevare il problema del conflitto dimenticato della Papua occidentale: dal 1969 si registrano almeno 100 mila morti. Lo sfruttamento indiscriminato del sottosuolo ricco di miniere d’oro, argento e rame, la deforestazione e la colonizzazione da parte della popolazione di Java, incentivata dal governo, sta mettendo a rischio l’ecosistema e anche la vita dei 300 gruppi indigeni che abitano la Papua. (E.L.)

 

 

Nello Stato indiano dell’Orissa, oltre 135 mila pellegrini di tutte

le fedi riuniti per la festa della Madonna di Lourdes, in ricordo

del miracoloso intervento contro un’epidemia di colera nei primi del ‘900

 

NEW DELHI. = Oltre 135 mila pellegrini di tutte le religioni hanno partecipato, lo scorso 11 febbraio nella remota parrocchia di Dantoling, nello Stato indiano orientale dell’Orissa, alla festa annuale di Nostra Signora di Lourdes. Nell’occasione viene  commemorato il miracoloso intervento della Vergine contro una violenta epidemia di colera verificatasi agli inizi del ‘900. La Messa solenne, concelebrata da 138 sacerdoti, è stata presieduta da mons. Thomas Thirutahalil, vescovo di Balasore. Secondo padre Clement Bagsingh, parroco di Dantoling, che conta 136 famiglie cattoliche, “sono l’amore e la compassione di Maria che attirano qui i pellegrini di ogni religione”. Fra i fedeli presenti, infatti, anche numerosi indù, che raccontano di aver ricevuto innumerevoli grazie dalla Madre di Dio. (E.L)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

19 febbraio 2007

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

L’impegno per una soluzione basata su due Stati, l’accordo per un nuovo incontro e l’adesione agli impegni presi. Sono questi i principali risultati resi noti dal segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, dopo il summit di questa mattina a Gerusalemme con il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, e il presidente dell'Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen. Ma la strada per un vero processo di pace tra israeliani e palestinesi è comunque ricca di insidie perchè manca ancora l’accettazione delle condizioni poste dalla comunità internazionale da parte di Hamas. Il nostro servizio:

 

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Il vertice è cominciato con premesse non incoraggianti: sembra ancora irrealizzabile, almeno nel breve periodo, la richiesta avanzata dalla comunità internazionale per la formazione di un governo palestinese che riconosca lo Stato di Israele. Il Quartetto per il Medio Oriente, composto da Stati Uniti, Russia, ONU e Unione Europea potrebbe inoltre decidere di non ritirare le sanzioni economiche nei confronti dell’Autorità nazionale palestinese. L’incontro di questa mattina ha comunque offerto alcuni segni di speranza: il premier Ehud Olmert ed il presidente Abu Mazen si sono infatti trovati concordi sulla soluzione di due Stati, indipendenti, sovrani e in grado di convivere pacificamente l’uno accanto all’altro. E’ stato poi annunciato che Olmert, Abu Mazen e Condoleezza Rice torneranno a sedersi prossimamente intorno ad uno stesso tavolo. L’obiettivo, considerato prioritario, è di migliorare le relazioni tra Stato ebraico e Autorità nazionale palestinese. I presupposti fortunatamente non mancano: Condoleezza Rice, in un’intervista rilasciata poco prima del vertice, ha sottolineato che Israele deve mantenere intatti i suoi rapporti con il presidente palestinese perché rispetta i principi del Quartetto. Durante il vertice, Abu Mazen e Olmert hanno anche ribadito stamani l’accettazione di accordi già esistenti che prevedono la fine dell’isolamento del governo palestinese e il riconoscimento di Israele. Ma la verifica più difficile da superare sarà la posizione che assumerà il nuovo esecutivo palestinese. Un governo che vedrà la partecipazione anche di uomini di al Fatah e di politici indipendenti, ma comunque guidato dal premier uscente, Ismail Haniyeh, esponente di Hamas. Il gruppo radicale ha sempre rifiutato, finora di riconoscere Israele, ed Olmert ha ammonito che, se non ci saranno cambiamenti sostanziali, proseguirà il boicottaggio di Israele nei confronti di Hamas.

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In Iraq, almeno 36 persone sono morte in seguito a nuovi attentati condotti da ribelli a Baghdad, a nord della capitale, a Ramadi e a Tikrit. Il premier iracheno, Nouri al Maliki, ha condannato inoltre l’attacco di ieri in un quartiere sciita di Baghdad, costato la vita a decine di persone, e ha chiesto la collaborazione della popolazione per garantire maggiore sicurezza. Ma la situazione nella capitale e nel resto del Paese continua ad essere drammatica. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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Il terrorismo continua a scuotere l’Iraq nonostante il piano per la sicurezza avviato quattro giorni fa: in una città sunnita a nord di Baghdad sono rimasti uccisi 7 civili in seguito ad un attentato kamikaze. Due attentatori suicidi si sono poi fatti saltare in aria a Ramadi, nella turbolenta provincia di Al Anbar, provocando 11 morti. Sono poi 7 le vittime di due attentati a Tikrit. Violenze anche a Baghdad, dove in un quartiere centrale della capitale, almeno 7 persone sono morte per l’esplosione di un ordigno a bordo di un autobus. Altri 4 civili sono rimasti uccisi per un attacco nel sud di Baghdad. Dopo la strage di ieri al mercato, che ha provocato almeno 60 morti, la capitale irachena torna quindi ad essere sconvolta da attacchi e violenze. Sabato scorso il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, in visita a sorpresa a Baghdad, aveva sottolineato il netto miglioramento della situazione nella capitale. Ma i ribelli sono tornati a colpire ed il maggiore presidio da parte di soldati americani e iracheni non sembra in grado di garantire un’adeguata cornice di sicurezza. A preoccupare l’amministrazione americana non sono poi solo le azioni terroristiche ma anche l’intenzione dei democratici di non far avanzare il piano proposto dal presidente Geroge Bush per l’Iraq: il partito democratico ha annunciato infatti che cercherà di far ridimensionare i poteri di guerra del capo della Casa Bianca, riesaminando la risoluzione che nel 2002 ha permesso l’uso della forza contro l’Iraq di Saddam Hussein. Sarà cruciale poi il voto alla Camera, dove nelle prossime settimane verrà messa all’ordine del giorno la richiesta di 93 miliardi di dollari aggiuntivi per finanziare la guerra in Iraq.

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E’ stato causato da un atto di terrorismo l'incendio di stanotte sul “treno della pace”, che percorre l'unico tratto di ferrovia che collega India e Pakistan, due Paesi più volte scontratisi in guerra. A riferirlo il primo ministro indiano, Singh. Il bilancio dell’esplosione di due ordigni artigianali è di almeno 66 vittime. Le fiamme sul convoglio sono divampate a circa 80 km a nord di New Delhi. L’esplosione è avvenuta alla vigilia della visita in India del ministro degli Esteri pakistano, Kasuri. Ma perché colpire “l’espresso dell’amicizia”, simbolo del processo di riavvicinamento fra India e Pakistan? Giada Aquilino lo ha chiesto a Francesca Marino, direttrice del mensile Stringer Asia, dedicato al subcontinente indiano:

 

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R. – Presumibilmente, per bloccare il processo di riavvicinamento tra India e Pakistan. Domani, il ministro degli Esteri pakistano sarà a New Delhi per una tornata di colloqui. Non è la prima volta che, alla vigilia di un incontro importante, un atto di terrorismo cerchi di intimidire le parti.

D. – Sia da parte indiana, che pakistana, è stato detto che questo attentato non fermerà il dialogo tra New Delhi e Islamabad. Cosa c’è in gioco?

 

R. – In gioco ci sono diversi aspetti e, tra questi, la discussa questione del Kashmir. Nel colloquio col ministro pakistano probabilmente non si sarebbe parlato di Kashmir, ma del ghiacciaio del Siachen, altra questione di confine dibattuta tra India e Pakistan. Certamente c’è chi non ha alcuna intenzione di vedere risolta in modo pacifico e diplomatico la crisi del Kashmir.

 

D. – Chi ha interesse a bloccare tali colloqui?

 

R. – Per esempio, gli integralisti islamici, con base in Pakistan, cui sono stati attribuiti tutti i più recenti attentati in India. Integralisti islamici che, tra l’altro, negli ultimi giorni hanno colpito diverse volte nello stesso Pakistan e che cercano di mandare messaggi forti al presidente Musharraf.

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Ancora violenze in Thailandia. Un tenente colonnello dell’esercito è stato ucciso stamani nell’esplosione di una bomba collocata davanti alla sua abitazione, nel sud musulmano del Paese. Solo ieri, una serie di attentati dinamitardi, ben 49, avevano causato almeno 8 morti e 45 feriti.

 

In Andalusia, in Spagna, è stato approvato il nuovo Statuto di autonomia regionale. L’Andalusia è la seconda regione spagnola, dopo la Catalogna nel dicembre scorso, a dotarsi di un simile Statuto durante il governo di Josè Luis Zapatero. Il servizio di Ignacio Arregui:

 

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Il nuovo statuto di autogoverno della regione dell’Andalusia, una fra le più importanti  delle 17 comunità regionali della Spagna, è stato approvato ieri con una maggioranza  del  circa 87% dei voti. Il nuovo statuto prevede importanti modifiche rispetto a quello precedente del 1981 in vari ambiti quali economia, sanità, educazione pubblica, morale sessuale e matrimoniale, immigrazione e riconoscimento della personalità dell’Andalusia come nazionalità storica. Era scontato il voto affermativo. Quello che invece ha preoccupato i tre partiti che lo hanno appoggiato è l’astensione di circa un 63% degli aventi diritto. Per l’unico partito che era contrario al referendum, il Partito Andalucista, questa astensione dimostra il fallimento del governo guidato dai socialisti. I popolari di centro destra, che in un primo periodo sono stati molto critici nei confronti del nuovo Statuto, sono del parere che ci sono altre priorità, e quindi gli elettori non si sono sentiti motivati in favore del referendum. I dirigenti del partito di ispirazione comunista, hanno dichiarato che questa astensione dimostra l’allonta-namento della popolazione riguardo alla vita politica. Infine, secondo i socialisti, sempre al potere in Andalusia, gli elettori erano sicuri del successo del voto affermativo e quindi non hanno visto la necessità di andare alle urne. Di fronte alla campagna in favore del voto affermativo, sia il Partito Andalucista che la Chiesa, per motivi diversi, avevano formulato serie obiezioni contro determinate questioni dei 250 articoli del nuovo statuto

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Segnali di apertura dalla Casa Bianca dopo la manifestazione di sabato scorso a Vicenza, in Italia, contro l’ampliamento della base americana: una fonte dell’esecutivo statunitense ha dichiarato che il governo americano ha dato la propria disponibilità a trattare con le autorità locali per limitare l’impatto negativo dell’allargamento. La fonte precisa però che non verrà messo in discussione l’ampliamento della base ma le modalità dell’allargamento. Il ministro italiano della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, ha dichiarato intanto che sulla questione di Vicenza serve un referendum.

 

E’ rientrato l’allarme per il pacco sospetto che aveva portato all’evacuazione dell'ambasciata del Canada a Parigi. L’allarme era scattato perché un funzionario dell'ambasciata, dopo aver ricevuto il pacco, aveva avuto un malore. Ma le analisi sul plico hanno fortunatamente escluso la presenza di sostanze dannose.

 

 

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