RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 49 - Testo della trasmissione di domenica 18 febbraio 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Ancora emergenza in Mauritania per gli immigrati asiatici e africani
Si aggrava in Burkina Faso il bilancio delle vittime di un’epidemia di meningite
Stati Uniti e Israele d’accordo nel boicottare il nuovo
governo palestinese, se questo non riconoscerà lo Stato ebraico.
In Afghanistan, 8 soldati morti per lo schianto di
un elicottero della NATO. Un portavoce militare parla
di incidente ma i Talebani sostengono di aver
abbattuto il velivolo.
18 febbraio 2007
Per un cristiano l’amore verso i nemici non è una “tattica” ma un modo
di essere coerente con la radicalità della rivoluzione del Vangelo:
lo ha detto all’Angelus il Papa, che
ha lanciato
un appello per la Guinea Conakry
L’amore verso i nemici rappresenta la novità
“rivoluzionaria” del Vangelo. All’Angelus di questa mattina, Benedetto XVI ha
parlato delle “armi” dei cristiani, che contrapponendo un “di più” di bontà e
di giustizia ai mali della società, riescono a “cambiare il mondo senza fare
rumore”, senza particolari strategie politiche o economiche, ma solo con la
fiducia nella “potente misericordia di Dio”. Ma la preghiera mariana ha visto
il Papa invocare il rispetto dei diritti umani per la Guinea Conakry, agitata da forti tensioni interne, e anche pregare
per la santità dei sacerdoti polacchi, i quali vivranno il prossimo Mecoledì delle ceneri una “Giornata di preghiera e
penitenza di tutto il clero” nazionale. Ma ascoltiamo la cronaca dell’Angelus,
nel servizio di Alessandro De Carolis.
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Amare il nemico, porgere l’altra guancia: sono le “follie”
della rivoluzione cristiana. Spesso interpretate come un manifesto di
arrendevolezza, di un pacifismo debole, che nulla ha invece a che vedere con il
senso più vero e profondo di ciò esse intendono: non quello di cedere al male,
ma di rispondere al male con il bene. Il Vangelo di questa ultima domenica
prima dell’inizio della Quaresima ha visto Benedetto XVI soffermarsi con trasporto
su una delle affermazioni più radicali pronunciate da Gesù: “Amate i vostri nemici”.
Ma perché, si è chiesto il Papa, Gesù chiede all’uomo un amore che eccede le sue
capacità?
“In realtà, la
proposta di Cristo è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si
può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di
più di bontà. Questo “di più”
viene da Dio: è la sua misericordia, che si è fatta carne in Gesù e che sola
può “sbilanciare” il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e
decisivo “mondo” che è il cuore dell’uomo”.
“Giustamente – ha osservato Benedetto XVI - questa pagina
evangelica viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana”. In essa, ha soggiunto, appare “la novità del Vangelo, che
cambia il mondo senza far rumore”. “Ecco - ha detto ancora - l’eroismo dei
piccoli che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita”,
spezzando così “la catena dell’ingiustizia”:
“Si comprende allora
che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì
un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non
ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità.
L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”, una
rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non
poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene
confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa”.
Nell’invitare i credenti alla conversione in vista della
Quaresima, secondo la docilità che fu di Maria, Benedetto XVI ha esordito nel
dopo Angelus con l’appello per uno degli Stati dell’Africa da settimane
nell’occhio di una grave crisi interna:
“Desidero poi
esprimere la mia spirituale vicinanza ad un Paese africano che sta vivendo
momenti di particolare difficoltà: la Guinea. I Vescovi di quella Nazione mi
hanno espresso la loro apprensione per la situazione di paralisi sociale, con
scioperi generali e reazioni violente, che hanno causato numerose vittime. Nel
domandare il rispetto dei diritti umani e civili, assicuro la mia preghiera
perché il comune impegno a percorrere la via del dialogo porti a superare la
crisi”.
Tra i saluti nelle varie lingue, uno in particolare
Benedetto XVI lo ha rivolto ai fedeli polacchi, e specialmente ai sacerdoti del
Paese:
“Z INICJATYWY BISKUPÓW BLISKA JUŻ ŚRODA
Secondo l’iniziativa
dei Vescovi il prossimo Mercoledì delle Ceneri sarà in Polonia un particolare
giorno di ‘preghiera e penitenza di tutto il clero polacco’.
La preghiera per la santità dei sacerdoti colmi tutti i fedeli dello spirito di
perdono, di riconciliazione e di reciproca fiducia. Dio benedica la Chiesa in
Polonia”.
E il Papa ha voluto salutare anche i vari Paesi d’Oriente
nei quali, ha detto, oggi “si celebra il capodanno lunare, con gioia e
nell’intimità delle famiglie. A tutti quei grandi popoli – ha detto - auguro di
cuore serenità e prosperità”.
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La presenza del peccato nella Chiesa e il
bisogno di una conversione continua, alcuni dei temi che hanno caratterizzato
il colloquio
del Papa con i giovani del Seminario Romano Maggiore,
visitato ieri pomeriggio
Attingete sempre alla Parola di Dio ed assumete un
atteggiamento di umiltà nel riconoscere il peccato nella Chiesa e nella vostra
vita: così ieri Benedetto XVI agli alunni del Seminario Romano Maggiore, dove
si è recato in visita in occasione della festa della patrona,
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E’ stato un colloquio confidenziale quello di Benedetto
XVI con i seminaristi, che ha toccato gli interrogativi legati al
discernimento, alla coerenza con il “sì” a Dio. Un dialogo alternato a sorrisi
e ricordi fra domande che hanno riguardato temi più delicati come quello del
peccato e del carrierismo nella Chiesa. Come porsi davanti a queste problematiche
nel modo più sereno e responsabile possibile, ha chiesto uno studente:
“Una domanda non
facile… (sorride) Ma il Signore sa, sapeva dall’inizio
che nella Chiesa c’è anche il peccato e per la nostra umiltà è importante riconoscere
questo e vedere il peccato non solo negli altri, nelle strutture, negli alti
incarichi gerarchici, ma anche in noi stessi. Così essere più umili con noi
stessi e imparare che non conta la posizione davanti al Signore, ma conta stare
nel suo amore e far brillare il suo amore”.
Su come comportarsi di fronte al dolore il Papa ha
sottolineato la necessità di far comprendere anzitutto che la sofferenza è una
parte essenziale per la maturazione umana. Lo stesso Gesù, ha proseguito il
Santo Padre, ha detto che avrebbe sofferto per la salvezza del mondo e a chi
vuol seguirlo di caricarsi della propria Croce:
“Sempre siamo come
Pietro che dice al Signore: no, Signore! Questo non può essere il caso, tu non
devi soffrire, noi non vogliamo portare la Croce, vogliamo creare un Regno più
umano, più bello in terra. Questo è totalmente sbagliato: chi promette una vita
solo allegra, comoda, mente: perché non è questa la verità dell’uomo e poi si
deve fuggire nei paradisi falsi e proprio così non si
arriva alla gioia ma all’autodistruzione”.
Il cristianesimo ci annuncia la gioia, ha affermato
Benedetto XVI, una gioia che cresce nella via dell’amore, una strada però
legata alla croce. Ma occorre comunque un impegno dinanzi alla sofferenza:
“Dobbiamo fare il possibile
per vincere le sofferenze dell’umanità e per aiutare proprio le persone
sofferenti, sono tante nel mondo; di trovare una vita buona e di essere
liberati da mali causati da noi stessi: la fame, queste epidemie, ecc.”.
A chi si prepara al sacerdozio, per affrontare il faticoso
esercizio del discernimento, Benedetto XVI ha suggerito di attingere
costantemente alla Parola di Dio, da leggere nella comunione della Chiesa ma
anche personalmente, da interpretare come voce del Signore che parla nell’oggi.
Ma come rapportarsi alla debolezza umana - ha domandato uno studente
- quando si è consapevoli di essere ben lontani, da una vera coerenza
con il sì a Dio, che tanti pensano sia stato pronunciato con fermezza e
coraggio:
“E’ bene riconoscere
la propria debolezza perché così sappiamo che abbiamo bisogno della grazia del
Signore. Il Signore ci consola. Nel collegio degli Apostoli c’era non solo
Giuda ma anche i buoni Apostoli. Pietro è caduto e tante volte il Signore
rimprovera la lentezza, la chiusura del cuore degli Apostoli, la poca fede che
hanno. Quindi, ci dimostra che nessuno di noi è semplicemente sull’altezza di
questo grande sì”.
E in questa presa di coscienza, ha aggiunto il Papa,
occorre anche un atteggiamento di conversione continua:
“Riconoscere che
abbiamo bisogno di una conversione permanente, non siamo mai semplicemente
arrivati, accettare la nostra fragilità ma rimanere in cammino, non arrenderci
ma andare avanti e tramite il sacramento della riconciliazione sempre di nuovo
convertirci per un nuovo inizio e così crescere, maturare per il Signore, nella
nostra Comunione con il Signore”.
Il Santo Padre ha precisato che occorre perseveranza. E
proprio di questa, ha rivelato il Papa, ha ringraziato il Signore il cardinale
Carlo Maria Martini. In una lettera giunta ieri al Papa, il porporato ha
espresso il suo apprezzamento per gli auguri ricevuti in occasione suo
ottantesimo compleanno, affermando che c’è sempre bisogno della grazia e della
perseveranza. A chi si avvicina alla consacrazione sacerdotale, Benedetto XVI
ha consigliato di non trascurare l’Eucaristia e la Liturgia delle ore, di
coltivare l’amicizia con gli altri sacerdoti e con i laici. Sui suoi ricordi in
seminario il Santo Padre ha raccontato che tra le materie di studio preferiva
la filosofia e l’esegesi della Sacra Scrittura, poi ha aggiunto:
“Mi ha affascinato
dall’inizio soprattutto la figura di Sant’Agostino e
poi anche la scuola di Sant’Agostino nel Medioevo,
San Bonaventura, i grandi francescani, la figura di San Francesco. Era per me,
soprattutto, affascinante questa grande umanità di Sant’Agostino.
Ha dovuto lottare spiritualmente per trovare man mano l’accesso alla Parola di
Dio, alla vita con Dio, al grande sì alla sua Chiesa.
Al temine dell’incontro, il Papa
si è fermato a cena con i seminaristi.
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18 febbraio 2007
Il Concordato con lo Stato italiano
garantisce alla Chiesa
di prendere posizione liberamente su qualsiasi argomento che tocchi la
coscienza
dell’individuo: intervenire sui DICO non è ingerenza
-
Intervista con il prof. Cesare Mirabelli -
In Italia, il dibattito parlamentare sul disegno di legge
governativo realtivo ai “Diritti delle Coppie di
fatto”, i DICO, arriva alla vigilia delle celebrazioni della firma dei Patti Lateranensi che regolano il rapporto tra Chiesa e Stato
italiano. Firmati l’11 febbraio 1929 nel Palazzo del Laterano,
tra il cardinale Pietro Gasparri e Benito Mussolini, il Concordato fu modificato il 18 febbraio 1984
dal cardinale Agostino Casaroli e da Bettino Craxi. Luca Collodi ha chiesto al prof. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale e
docente di Diritto ecclesiastico presso l’Università Tor
Vergata di Roma, se la Chiesa - inserendosi nel
dibattito sui DICO - infrangerebbe il Concordato come sostenuto da alcuni
parlamentari italiani, commettendo “chiara ingerenza” nei confronti dello
Stato:
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R. - Alla Chiesa è assicurata una libertà, sia dal punto
di vista costituzionale, sia attraverso il Concordato, con il riferimento al
principio della sovranità e indipendenza reciproca dello Stato e della Chiesa,
e la previsione della libertà del Magistero ecclesiastico è netta. Questo
significa che là dove vi sia un giudizio che la Chiesa
ritenga di poter dare, indirizzato alle coscienze per valutare quanto accade
nella società, su temi sui quali vi è una discussione etica e che toccano
aspetti fondamentali dell’uomo, lo può fare in esercizio di libertà. Mi
meraviglierei se lo Stato volesse limitarlo, quando assicura la libertà di
manifestazione del pensiero e dell’espressione. Quello della Chiesa è perciò un
insegnamento rivolto alla persona, alla coscienza degli uomini, i quali si
confrontano poi con questo. Attiene successivamente alla loro libertà religiosa
aderire o meno a questo insegnamento. Quello della
Chiesa, non è mai un insegnamento costrittivo.
D. - In caso di attrito, di non accordo tra Stato e
Chiesa, il Concordato che cosa ci dice?
R. - Il Concordato prevede anche strumenti per superare
conflitti. Del resto, ce n’erano già stati in passato, anche in epoca
costituzionale, tra Stato e Chiesa. Cconflitti
che avevano portato anche a formalizzare questo contrasto e a cercare strumenti
di composizione e soluzione. Il Concordato stesso prevede che vi possano essere
difficoltà sia nella interpretazione del Concordato stesso, sia nei rapporti
tra Stato e Chiesa, sia in nuovi campi nei quali la cooperazione tra Stato e
Chiesa si renda opportuna.
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Dai “diamanti di sangue” alla ripresa sociale: la Sierra Leone
guarda con più ottimismo al futuro, mentre il
film “Blood diamond”
fa riflettere sulla tragedia e gli abusi della guerra civile del 1999
- Con
noi Giulio Albanese e mons. Giorgio Biguzzi -
Una crudezza di situazioni studiata, più che un’esibizione
sanguinaria di violenza-spettacolo, che caratterizza molti dei film in
circolazione. E’ quanto emerge dalla visione di “Blood
diamond - Diamanti di sangue”, l’ultima opera in
“odore” di Premio Oscar del regista Edward Zwick. Da tre settimane nelle sale cinematografiche
italiane, la pellicola denuncia le atrocità e gli abusi umani causati dal commercio
internazionale dei diamanti estratti in Sierra Leone, la cui vendita alle
industrie diamantifere contribuì a finanziare la drammatica guerra civile nel
Paese del 1999. Il film ha anche il merito di far riflettere anche su un’altra
delle piaghe africane più tragiche, quella dei bambini-soldato. E’ d’accordo
Giulio Albanese, missionario comboniano e responsabile del settore riviste della Direzione Nazionale
delle Pontificie Opere Missionarie, al microfono di Fabio Colagrande:
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R. - Diciamo subito che il film è fatto davvero bene, è un
film di denuncia. Certamente la realtà è ancora più drammatica, è ancora più
cruenta. Credo che le immagini e tutta la storia riescano a rendere un 20 - 30%
di quello che effettivamente è successo. In ogni caso, questo film credo sia un
lavoro che possa aiutare l’opinione pubblica internazionale a fare memoria. Si
parla tanto dell’Olocausto, giustamente: non dimentichiamo che però ci sono
state tante tragedie che purtroppo nel passato sono state messe sotto silenzio.
Certamente il dramma dei “baby soldiers” in Sierra
Leone è un dramma che non può essere dimenticato e anche se questo film - lo
dico sinceramente - esce con un po’ di ritardo, sono passati 10 anni, quanto
meno risponde a questa istanza di fare memoria della sofferenza di tanta gioventù
bruciata.
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La guerra
civile del 1999 è un ricordo vivo nella memoria dei sierraleonesi,
ma ora lo scenario è fortunatamente migliore, sia dal punto di vista sociale,
sia da quello del commercio dei diamanti. Nell’intervista di Fabio Colagrande, mons. Giorgio Biguzzi,
vescovo di Makeni in Sierra Leone, fa il punto della
situazione attuale:
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R. - E’ cambiata radicalmente in modo positivo, perché
quella tensione di insicurezza, di violenza, di crudeltà che c’era, ora è parte
della storia della Sierra Leone. Adesso si può girare benissimo di giorno come
di notte, non ci sono più tutti quei posti di blocco. La gente si sente
abbastanza sicura, tranquilla, quindi c’è stato un cambiamento positivo enorme.
C’è stato anche tanto lavoro di ricostruzione di strutture pubbliche e private,
e anche questo è un altro cammino positivo. Rimane purtroppo il fatto che
l’economia non è proprio ripartita in grande stile, quindi c’è ancora tanta
povertà, c’è ancora un’altissima disoccupazione giovanile, quindi
l’insoddisfazione per la situazione porta tanta gente un po’ così alla
sopravvivenza per la mancanza di fiducia per il futuro. Questo rimane un grosso
problema ancora però se confrontiamo ai 5-6 anni fa è un cambiamento positivo immenso.
D. - Ora l’industria il commercio
dei diamanti si svolge alla luce del sole. Possiamo dire che i diamanti sono
tutti o quasi tutti “blood free”?
R. - Nel senso che qui non c’è più violenza, non c’è più
guerra e in quel senso lì sì. Il governo ha ristabilito la propria autorità
sulle zone diamantifere, quindi c’è un sistema legale da seguire. Purtroppo
però c’è sempre chi riesce a uscire dalla noia, dalla legalità e a esportare in
modo illegale. L’illegalità da una parte e dall’altra porta sempre del male. Però
a livello ufficiale, non essendoci più la guerra e avendo il governo
ristabilito la propria autorità, c’è un sistema legale da seguire e si spera
che il contrabbando sia ristretto. Difficile per i nostri governi controllare
tutto, anche perché c’è corruzione un po’ a tutti livelli e allora la legge
rimane sui libri.
D. - Lei durante la guerra civile aveva proposto insieme ad altri l’Istituzione di una sorta di autorità di garanzia
per controllare il commercio dei diamanti. Perché avevate avuto quest’idea?
R. - Perché qua era addirittura un “far west”: non c’era
più legge e non si sapeva appunto che con i diamanti poi compravano armi. Non
per niente il territorio che i guerriglieri avevano occupato è stato quello
delle zone diamantifere ed è stato l’ultimo territorio che hanno lasciato col
trattato di pace.
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Intervista sulla Lectio divina con padre Rupnik, che ieri ha
terminato dopo
tre anni i suoi commenti al Vangelo per il nostro Radiogiornale
Ci ha accompagnato per tre anni nella comprensione del
Vangelo della Domenica: padre Marko Ivan Rupnik ha terminato ieri, per il nostro Radiogiornale,
i suoi commenti alla Parola della Liturgia domenicale. Da sabato prossimo inizierà
il nuovo ciclo di riflessioni al Vangelo un altro teologo, don Massimo Serretti, docente di Cristologia presso
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R. – Io penso che la cosa principale è l’aver sempre viva
la coscienza che
D. – Il Papa ha spesso esortato i fedeli alla Lectio divina: come intraprendere questa esperienza?
R. – Dirlo in sintesi è difficile; però importante è
cominciare a leggere
D. - Ci avviciniamo alla Quaresima. Il Messaggio del Papa
per questo tempo forte della Chiesa si intitola “Volgeranno lo sguardo a Colui
che hanno trafitto”: guardare Cristo Crocifisso. Lei, padre Rupnik,
è un noto pittore di icone. Come pregare con le immagini, e cosa vuol dire
guardare Cristo Crocifisso?
R. – Direi che l’epoca più ricca dell’arte dei cristiani,
se torniamo un po’ di secoli indietro, ci insegna una cosa fondamentale e molto
forte per la nostra fede: che noi guardiamo affinché ci rendiamo conto che
siamo visti, che su di noi si posa uno sguardo che ci lava, che ci purifica,
che ci ridà la vita, che ci ridà
la dignità, che ci ricorda che anche noi abbiamo un volto, uno sguardo, un
cuore, un amore ... cioè, noi guardiamo le immagini sacre per scoprire su di
noi questo sguardo, come quello che Pietro ha colto nel cortile del Sommo Sacerdote quando Cristo si è voltato e lo ha guardato; è uno sguardo che rigenera l’uomo e lo crea
nuovo. Ecco, io penso che le immagini dell’arte sacra, se sono vere, ci fanno
scoprire che non bisogna fuggire davanti a Dio, che non siamo soli e che siamo
guardati non da un poliziotto ma da un amore di una misericordia immensa e
sconfinata.
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18 febbraio 2007
Ieri la diocesi suburbicaria di Albano, in
provincia di Roma, ha festeggiato l’ottantesimo compleanno del cardinale Carlo
Maria Martini. Tanti i religiosi e i fedeli che hanno preso parte alla Messa celebrata
dal porporato
ARICCIA. = Il cardinale Carlo Maria Martini ha presieduto
ieri pomeriggio, nel santuario di Santa Maria di Galloro
di Ariccia, in provincia di Roma, una celebrazione
eucaristica per rendere grazie al Signore per il dono della vita e del
ministero sacerdotale. «Come avremmo potuto non starle
vicino, in una circostanza come quella del suo ottantesimo compleanno mentre le
stagioni della vita giungono ad ore significative – ha detto il vescovo della
Diocesi Suburbicaria di Albano mons. Marcello Semeraro
– si canta in un salmo che gli anni della nostra vita sono ottanta, per i più
robusti – ha aggiunto il presule – noi oggi ammiriamo la robustezza spirituale
e il suo vigore interiore. Auguri, dunque, carissimo
cardinale Martini. Auguri da questa Chiesa di Albano”. Nel suo saluto iniziale
mons. Semeraro ha letto il testo del telegramma che
Benedetto XVI, ha spedito al cardinal Martini giovedì scorso, proprio nel
giorno del suo compleanno. Il porporato è apparso in forza e in salute ed ha
accolto quanti, numerosissimi, si sono stretti attorno a lui per l’occasione e
tra loro anche la sorella e il nipote, appositamente giunti a Galloro da Torino. Alla celebrazione hanno preso parte pure
numerose autorità civili e militari, tra le quali il sindaco di Ariccia, Emilio Cianfanelli, e il
vicesindaco di Roma, Maria Pia Garavaglia. “Abbiamo
voluto cogliere l’opportunità che deriva dal suo essere cittadino della città
di Ariccia e dal suo risiedervi quando non è nella
Terra Santa per celebrare questa Santa Eucaristia – ha detto ancora mons. Semeraro – siamo riuniti davvero in tanti e ci sono
soprattutto molti fedeli che affollano questa bella chiesa berniniana
e che in lei hanno riconosciuto la figura del Signore Gesù maestro e pastore”.
(T.C.)
È scomparso ieri don Silvano Cola,
responsabile della diramazione dei
sacerdoti diocesani del Movimento dei Focolari
alla quale si era dedicato dal 1964
ROMA. = Si è spento ieri mattina,
al Centro sacerdotale di Grottaferrata, in provincia
di Roma, don Silvano Cola, responsabile della diramazione dei sacerdoti
diocesani che si è formata negli anni ‘50 nel Movimento dei Focolari. Don
Silvano è stato fra i primi che, a contatto con i Focolari, hanno trovato nuovo
impulso per il ministero sacerdotale, riscoprendo l’unità che scaturisce dalla
reciprocità dell’amore evangelico; un aspetto centrale nella spiritualità dei
Focolari. Comunicando la notizia della morte di don Cola, Chiara Lubich di lui evidenzia, in modo particolare, la
“generosità instancabile” con la quale ha svolto il suo incarico al servizio
del mondo sacerdotale. In questi ultimi anni, il sacerdote aveva condiviso con
una delle prime focolarine, Valeria Ronchetti, la responsabilità della segreteria per il “primo
dialogo”, istituita dalla fondatrice dei Focolari per promuovere la comunione
tra movimenti ecclesiali e nuove comunità; una struttura che era stata avviata in risposta al desiderio di Giovanni Paolo II, dopo il
grande incontro della vigilia di Pentecoste del
Non finisce ancora l’emergenza per gli
immigrati asiatici e africani in
Mauritania. 369 persone sono sbarcate nei giorni scorsi a Naribu.
Il governo spagnolo ha offerto assistenza
e mezzi di trasporto per il rimpatrio
MADRID. = Per la maggior parte degli immigrati asiatici e
africani sbarcati lunedì scorso in Mauritania, la lunga odissea, che per molti
dura ormai da circa un anno, non è ancora terminata. Erano 369, all’arrivo al
porto di Naribu, in Mauritania, il 12 febbraio.
Quelli di provenienza africana sono stati rimpatriati nei loro Paesi d’origine.
Restano adesso altre 299 persone, quasi tutte del Kashmir, che in queste ore
sono sottoposte a un controllo di identificazione da parte del personale
diplomatico indiano in Spagna, prima di essere rimpatriati ai loro Paesi. Sono
alloggiati in un capannone del porto mauritano di Naribu, sotto la protezione e l’assistenza igienico-sanitaria della Mezza Luna e
In Burkina Faso
si aggrava il bilancio delle vittime provocate da un’epidemia di meningite: i
morti sono almeno 200 e i casi più di 2.000
OUAGADOUGOU. = Si è ulteriormente
aggravato il bilancio dell’epidemica di meningite iniziata a gennaio in Burkina Faso: ad oggi, si contano
201 decessi e 2.093 casi, con un incremento superiore al 40 per cento in pochi
giorni. Lo rivelano fonti del Comitato per la gestione delle epidemie, secondo
cui i distretti più colpiti si trovano nell’est e nel sud del Paese. Il
direttore sanitario del ministero Souleymane Sanou, riferisce l’agenzia missionaria MISNA, ha detto che
sono state adottate misure di emergenza e che, dalla scorsa settimana, è in
corso una campagna di vaccinazione di massa. Secondo il coordinamento degli
Affari umanitari delle Nazioni Unite, nel 2006 la meningite ha ucciso in Burkina Faso un migliaio di
persone. Lo Stato africano si trova in quella che gli esperti chiamano “la fascia
della meningite”, la zona a sud del Sahara che va dal Senegal all’Etiopia. In
quest’area vivono più di 300 milioni di persone. La meningite fa la sua comparsa
durante la stagione secca, quando, tra dicembre e gennaio, comincia a spirare
il caldo e secco vento Harmattan, principale vettore
dei germi responsabili di questa malattia. (A.L.)
Un film cinese, Tuya’s
Marriage (Il matrimonio di Tuya)
di Wang Quan’an,
trionfa al 57° Festival di Berlino, aggiudicandosi contemporaneamente l’Orso
d’Oro per il miglior film e il Premio della Giuria Ecumenica
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BERLINO. = Tuya’s Marriage
racconta di una donna che vive una difficile esistenza fra le steppe della
Mongolia, insieme al marito disabile e a due figli. Di fronte alla possibilità
di cambiare le cose, Tuya dovrebbe divorziare e
sposare un altro uomo; una scelta straziante e dolorosa si impone. Giocando con
efficacia e commozione sul contrasto fra la bellezza dei paesaggi e la durezza
della condizione umana, il film si fa testimone della dignità e del coraggio
degli umili, di fronte al grande disegno della storia. Film di atmosfere, di
sguardi, di spazi scoperti con meraviglia dalla macchina da presa, El Otro segue
invece i dubbi e le paure di un uomo di fronte alla sua prima paternità. Il
protagonista, alle prese con un padre vecchio e malato e una moglie in attesa del risultato di un test di gravidanza, viene
tentato dall’idea della fuga e, come il Mattia Pascal
dell’omonimo romanzo di Pirandello, nel corso di un
viaggio di lavoro, cambia identità vivendo due giorni di libertà e incertezza;
poi riprende la strada di casa e accetta serenamente il proprio posto nel
mondo. Fra gli altri premi di questa 57° edizione vanno citati l’Orso d’Argento
alla Regia, assegnato a Beaufort dell’israeliano Joseph Cedar, e gli altri due
premi della Giuria Ecumenica, conferiti a Getting
Home (Tornando a casa) del cinese Zhang Yang per la sezione Panorama, e a Chrigu
degli svizzeri Jan Gassmann
e Christian Ziörjen per la
sezione Forum. Se Beaufort, ambientato in una
roccaforte israeliana nel Sud del Libano, ci mostra i tempi e i modi di una
guerra che logora i corpi e le menti degli uomini, Getting
Home, racconta di un viaggio per riportare al villaggio natio il cadavere di un
uomo, unisce ad un’abile struttura narrativa una forte partecipazione e
soprattutto una varietà di toni, che venano di umorismo anche le situazioni più
drammatiche. Chrigu è invece la storia di un giovane,
malato terminale di cancro, che documenta con la macchina da presa le fasi della
sua malattia, accettando la morte come parte della vita stessa. Tristezza e allegria
si dipanano per tutto il corso della pellicola, accompagnate dalla musica di
una band hip hop di amici. Il risultato è un inno
alla vita, di contagioso entusiasmo. (A cura di
Luciano Barisone)
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18 febbraio 2007
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
In Medio Oriente, sono ripresi i
colloqui del segretario di Stato americano, Condoleezza
Rice, in vista del vertice di domani con il premier
israeliano, Ehud Olmert, e
il presidente palestinese Abu Mazen.
Intanto, Israele e Stati Uniti si sono detti d’accordo nel non riconoscere
il nuovo governo di unità nazionale palestinese, che potrebbe vedere la luce
nelle prossime settimane, se non rispetterà le condizioni poste dalla comunità
internazionale. Il nostro servizio:
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Il segretario di Stato americano ha incontrato
questa mattina il ministro israeliano della Difesa, Amir
Peretz. Nel pomeriggio sono inoltre in programma incontri
separati con Ehud Olmert a
Gerusalemme e con Abu Mazen
a Ramallah. Ma l’incontro più importante è previsto
per domani quando siederanno intorno allo stesso
tavolo, oltre a Condoleezza Rice,
anche il premier israeliano ed il presidente palestinese. L’obiettivo della
delicata missione americana è di dare slancio al processo di pace tra
israeliani e palestinesi, fermo al 2000. Ma il percorso verso la
riconciliazione è purtroppo ricco di insidie. L’uscente esecutivo, formato da
uomini di Hamas, sta per essere sostituito da un governo di unità nazionale,
aperto ai pragmatici di al Fatah
e a politici indipendenti, ma le amministrazioni israeliana e americana si dicono comunque pronte a
boicottare il nuovo governo palestinese se questo non riconoscerà lo Stato
ebraico. Si teme che la linea intransigente palestinese
sulla questione del riconoscimento di Israele possa proseguire anche in futuro.
Gli ultimi sviluppi non fanno infatti sperare in
svolte imminenti in questa direzione: l’accordo raggiunto lo scorso 8 febbraio
alla Mecca da delegazioni di Hamas e al Fatah non
prevede il riconoscimento di Israele e Hamas ha sempre respinto, finora, questa
ipotesi.
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In Iraq almeno 25 persone sono morte per un duplice
attentato a Baghdad. Le autorità irachene hanno aperto intanto i principali
varchi di frontiera con Iran e Siria, chiusi per oltre 72 ore per ordine del
premier Al Maliki. Lo ha reso noto un alto
responsabile del ministero dell'Interno iracheno. La decisione di chiudere i
valichi di confine era stata presa nell’ambito del piano per
la sicurezza avviato nei giorni scorsi a Baghdad e nel resto del Paese.
L’Iran ha smentito, intanto, che il leader radicale sciita, Moqtada
Al Sadr, si trovi nella Repubblica islamica.
Nel sud dell’Afghanistan è precipitato questa
mattina un elicottero della Forza Internazionale di assistenza per la sicurezza
(ISAF) sotto comando NATO. Nello schianto sono morti 8 soldati. Un portavoce
militare ha spiegato che il velivolo è precipitato per “problemi ai motori” e
“non per fuoco nemico”. I
talebani hanno invece rivendicato l’abbattimento del velivolo.
In Italia è stata una manifestazione partecipata e
pacifica, quella che si è svolta ieri a Vicenza, in una città blindata. In
piazza comitati cittadini, sindacati, movimenti no global,
centri sociali e anche parlamentari della sinistra radicale. Ma il capo dell’esecutivo, Romano Prodi, conferma il via libera del suo
governo al contestato ampliamento della base militare americana, mentre il
centrodestra sottolinea le profondissime divergenze nella maggioranza sui temi
di politica estera. Il servizio di Giampiero Guadagni:
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Una giornata col fiato sospeso, ma alla fine è andato
tutto bene. Se si eccettuano un paio di striscioni e alcuni slogan dei centri
sociali di solidarietà agli arrestati dei giorni scorsi nell’operazione contro
le nuove Brigate Rosse. Fatto questo che, secondo il ministro dell’Interno
Amato, è la conferma di quanto fossero reali i rischi paventati di infiltrazioni
e provocazioni nel corteo. Allarme strumentale e infondato, secondo la sinistra
radicale presente in piazza anche con diversi parlamentari e il segretario di
Rifondazione comunista Giordano e quello dei Comunisti italiani Diliberto. I quali hanno chiesto a Prodi di ascoltare le
ragioni del movimento e di ripensare la decisione di dare il via libera
all’ampliamento della base militare americana di Vicenza. E la stessa
sollecitazione arriva dal ministro Mussi. Immediata la risposta di Prodi,
condivisa dall’ala riformista della sua coalizione: manifestazione legittima e
importante, dice il premier, ma la linea del governo non cambia. Il presidente
del consiglio invita piuttosto a giudicare la politica globale del suo
esecutivo, che va nella direzione della pace secondo quanto sottoscritto nel programma
dell’Unione. Per l’opposizione, la manifestazione di Vicenza fotografa invece
lo stato confusionale della maggioranza, con il prevalere ancora una volta
della sinistra radicale che ancora una volta ha contestato Prodi. E Berlusconi
definisce quella di ieri una giornata triste perché si è manifestato contro gli
Stati Uniti. L’attenzione adesso si sposta di nuovo in Parlamento. Mercoledì
prossimo, anche in vista del voto sul rifinanziamento
della missione in Afghanistan, è in programma al Senato un dibattito sulla
politica estera del governo. E sarà quello il vero banco di prova dei rapporti
all’interno della maggioranza.
Per la Radio vaticana, Giampiero Guadagni
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Seggi aperti stamani in Albania per le elezioni
municipali. Gli elettori chiamati alle urne sono quasi tre milioni. I candidati
sono oltre un migliaio e tra questi solo 33 sono donne. Il confronto chiave è
nella capitale dove si contendono la carica di sindaco il leader
dell’opposizione, il socialista Edi Rama, ed il ministro dell’Interno uscente, Sokol Olldashi, candidato del
partito democratico. Sono stati dispiegati più di 5 mila poliziotti per garantire l’ordine
pubblico e inviati oltre 4 mila osservatori per assicurare la trasparenza della
votazione. I seggi chiuderanno alle 18 e i primi risultati saranno diffusi
intorno alla mezzanotte.
E’ morto ieri all’età di 96 anni Maurice
Papon, l’unico alto funzionario francese ad essere
stato condannato per complicità in crimini contro l’umanità. Nei giorni scorsi Papon era stato
ricoverato in ospedale dove era stato operato per insufficienza cardiaca. Il
nostro servizio:
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Nel 1998 Papon è
stato condannato a dieci anni di reclusione perché riconosciuto colpevole di
avere collaborato, tra il 1942 ed il 1944, alla deportazione di almeno 1.500
ebrei francesi in campi di concentramento nazisti. Ma per molti anni questa
collaborazione non è emersa. Nel 1978 Papon è stato anche nominato ministro del Bilancio. Poi,
nel 1981, un settimanale francese ha ritrovato e pubblicato alcuni documenti
che provavano la sua collaborazione con i nazisti. All’ex alto funzionario del
regime filonazista di Vichy
è stata anche contestata la sanguinosa repressione del 17 ottobre del 1961
quando era prefetto di Parigi. Quel giorno oltre 30
mila algerini avevano aderito all’appello del Fronte di liberazione nazionale
(FLN) a manifestare contro il coprifuoco imposto dal governo ai francesi
musulmani. Si stima che a causa degli scontri siano rimaste uccise oltre 200
persone. Molte polemiche ha inoltre scatenato in Francia la decisione, presa
nel 2002, di rimettere in libertà l’ex alto funzionario del governo di Vichy per le sue precarie condizioni di salute.
Successivamente, nel giugno del 2004, la Corte di Cassazione ha confermato la
pena detentiva. Maurice Papon
si è anche rivolto in più occasioni al presidente francese Jacques
Chirac per chiedere la grazia ma la richiesta è stata
sempre respinta. Il ‘caso Papon’ è dunque legato a diverse, drammatiche pagine della
storia francese e, in particolare, alle vicende storiche che hanno portato alla
nascita del governo di Vichy. Questo esecutivo,
presieduto dal maresciallo Philippe Petain, è stato formato il 10 luglio del 1940 in un Paese
sconfitto e occupato dalle truppe tedesche. Il regime di Vichy, caduto il 20
agosto del 1944, si è reso complice della persecuzione degli ebrei e ha impedito
ogni forma di dissenso con dure repressioni.
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Sono
stati liberati l’ingegnere americano e il suo autista nigeriano, sequestrati il
23 gennaio scorso a Port Harcourt,
nella regione petrolifera del Delta del Niger. Lo hanno reso noto fonti governative. I due erano stati rapiti insieme a un britannico
da uomini armati, mentre si recavano al lavoro. Il sequestro, per il quale era
stato chiesto un riscatto, non è stato rivendicato. Il britannico era stato
liberato il 7 febbraio scorso perchè molto malato.
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