RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 49  - Testo della trasmissione di domenica 18  febbraio 2007

 

 

Sommario

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Per un cristiano l’amore verso i nemici non è una “tattica” ma un modo di essere coerente con la radicalità della rivoluzione evangelica: lo ha detto all’Angelus Benedetto XVI, che ha lanciato un appello per la distensione nella Guinea Conakry e ha pregato per la santità del clero polacco

 

La presenza del peccato nella Chiesa e il bisogno di una conversione continua, alcuni dei temi che hanno caratterizzato il colloquio del Papa con i giovani del Seminario Romano Maggiore, visitato ieri pomeriggio dal Pontefice.

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il Concordato con lo Stato italiano garantisce alla Chiesa di prendere posizione liberamente su qualsiasi argomento che tocchi la coscienza dell’individuo: intervenire sui DICO non è un’ingerenza. Ai nostri microfoni il professor Cesare Mirabelli

 

Dai “diamanti di sangue” alla ripresa sociale: la Sierra Leone guarda con più ottimismo al futuro, mentre il film “Blood diamond” fa riflettere sulla tragedia della guerra civile del 1999. Interviste con Giulio Albanese e il vescovo di Makeni, Giorgio Biguzzi

 

L’importanza della Lectio divina secondo il teologo gesuita, padre Rupnik, che ieri ha terminato dopo tre anni i suoi commenti al Vangelo per il nostro Radiogiornale.

 

CHIESA E SOCIETA’:

Messa del cardinale Martini per i fedeli di Ariccia, ieri pomeriggio, in occasione del suo 80.mo compleanno

 

Morto don Silvano Cola, responsabile della diramazione dei sacerdoti diocesani del Movimento dei Focolari

 

Ancora emergenza in Mauritania per gli immigrati asiatici e africani

 

Si aggrava in Burkina Faso il bilancio delle vittime di un’epidemia di meningite

 

Un film cinese vince al Festival del cinema di Berlino l’Orso d’Oro e il Premio della giuria ecumenica  

 

24 ORE NEL MONDO:

Stati Uniti e Israele d’accordo nel boicottare il nuovo governo palestinese, se questo non riconoscerà lo Stato ebraico.

 

In Afghanistan, 8 soldati morti per lo schianto di un elicottero della NATO. Un portavoce militare parla di incidente ma i Talebani sostengono di aver abbattuto il velivolo.

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

18 febbraio 2007

 

 

Per un cristiano l’amore verso i nemici non è una “tattica” ma un modo di essere coerente con la radicalità della rivoluzione del Vangelo:

lo ha detto all’Angelus il Papa, che ha lanciato

un appello per la Guinea Conakry

 

L’amore verso i nemici rappresenta la novità “rivoluzionaria” del Vangelo. All’Angelus di questa mattina, Benedetto XVI ha parlato delle “armi” dei cristiani, che contrapponendo un “di più” di bontà e di giustizia ai mali della società, riescono a “cambiare il mondo senza fare rumore”, senza particolari strategie politiche o economiche, ma solo con la fiducia nella “potente misericordia di Dio”. Ma la preghiera mariana ha visto il Papa invocare il rispetto dei diritti umani per la Guinea Conakry, agitata da forti tensioni interne, e anche pregare per la santità dei sacerdoti polacchi, i quali vivranno il prossimo Mecoledì delle ceneri una “Giornata di preghiera e penitenza di tutto il clero” nazionale. Ma ascoltiamo la cronaca dell’Angelus, nel servizio di Alessandro De Carolis.

 

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Amare il nemico, porgere l’altra guancia: sono le “follie” della rivoluzione cristiana. Spesso interpretate come un manifesto di arrendevolezza, di un pacifismo debole, che nulla ha invece a che vedere con il senso più vero e profondo di ciò esse intendono: non quello di cedere al male, ma di rispondere al male con il bene. Il Vangelo di questa ultima domenica prima dell’inizio della Quaresima ha visto Benedetto XVI soffermarsi con trasporto su una delle affermazioni più radicali pronunciate da Gesù: “Amate i vostri nemici”. Ma perché, si è chiesto il Papa, Gesù chiede all’uomo un amore che eccede le sue capacità?

 

“In realtà, la proposta di Cristo è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo “di più” viene da Dio: è la sua misericordia, che si è fatta carne in Gesù e che sola può “sbilanciare” il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e decisivo “mondo” che è il cuore dell’uomo”.

 

“Giustamente – ha osservato Benedetto XVI - questa pagina evangelica viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana”. In essa, ha soggiunto, appare “la novità del Vangelo, che cambia il mondo senza far rumore”. “Ecco - ha detto ancora - l’eroismo dei piccoli che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita”, spezzando così “la catena dell’ingiustizia”:

 

“Si comprende allora che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”, una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico. La rivoluzione dell’amore, un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa”.

 

Nell’invitare i credenti alla conversione in vista della Quaresima, secondo la docilità che fu di Maria, Benedetto XVI ha esordito nel dopo Angelus con l’appello per uno degli Stati dell’Africa da settimane nell’occhio di una grave crisi interna:

 

“Desidero poi esprimere la mia spirituale vicinanza ad un Paese africano che sta vivendo momenti di particolare difficoltà: la Guinea. I Vescovi di quella Nazione mi hanno espresso la loro apprensione per la situazione di paralisi sociale, con scioperi generali e reazioni violente, che hanno causato numerose vittime. Nel domandare il rispetto dei diritti umani e civili, assicuro la mia preghiera perché il comune impegno a percorrere la via del dialogo porti a superare la crisi”.

 

Tra i saluti nelle varie lingue, uno in particolare Benedetto XVI lo ha rivolto ai fedeli polacchi, e specialmente ai sacerdoti del Paese:

 

Z INICJATYWY BISKUPÓW BLISKA JUŻ ŚRODA

Secondo l’iniziativa dei Vescovi il prossimo Mercoledì delle Ceneri sarà in Polonia un particolare giorno di ‘preghiera e penitenza di tutto il clero polacco’. La preghiera per la santità dei sacerdoti colmi tutti i fedeli dello spirito di perdono, di riconciliazione e di reciproca fiducia. Dio benedica la Chiesa in Polonia”.

 

E il Papa ha voluto salutare anche i vari Paesi d’Oriente nei quali, ha detto, oggi “si celebra il capodanno lunare, con gioia e nell’intimità delle famiglie. A tutti quei grandi popoli – ha detto - auguro di cuore serenità e prosperità”.

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La presenza del peccato nella Chiesa e il bisogno di una conversione continua, alcuni dei temi che hanno caratterizzato il colloquio

del Papa con i giovani del Seminario Romano Maggiore,

visitato ieri pomeriggio

 

Attingete sempre alla Parola di Dio ed assumete un atteggiamento di umiltà nel riconoscere il peccato nella Chiesa e nella vostra vita: così ieri Benedetto XVI agli alunni del Seminario Romano Maggiore, dove si è recato in visita in occasione della festa della patrona, la Madonna della Fiducia. Rispondendo alle domande che sei studenti gli hanno posto, il Papa ha sottolineato quanto importante sia vivere l’Eucaristia, guardare alla sofferenza come maestra di vita e non credere a chi promette una vita allegra e comoda. Il servizio di Tiziana Campisi.

 

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E’ stato un colloquio confidenziale quello di Benedetto XVI con i seminaristi, che ha toccato gli interrogativi legati al discernimento, alla coerenza con il “sì” a Dio. Un dialogo alternato a sorrisi e ricordi fra domande che hanno riguardato temi più delicati come quello del peccato e del carrierismo nella Chiesa. Come porsi davanti a queste problematiche nel modo più sereno e responsabile possibile, ha chiesto uno studente:

 

Una domanda non facile… (sorride) Ma il Signore sa, sapeva dall’inizio che nella Chiesa c’è anche il peccato e per la nostra umiltà è importante riconoscere questo e vedere il peccato non solo negli altri, nelle strutture, negli alti incarichi gerarchici, ma anche in noi stessi. Così essere più umili con noi stessi e imparare che non conta la posizione davanti al Signore, ma conta stare nel suo amore e far brillare il suo amore”.

 

Su come comportarsi di fronte al dolore il Papa ha sottolineato la necessità di far comprendere anzitutto che la sofferenza è una parte essenziale per la maturazione umana. Lo stesso Gesù, ha proseguito il Santo Padre, ha detto che avrebbe sofferto per la salvezza del mondo e a chi vuol seguirlo di caricarsi della propria Croce:

 

“Sempre siamo come Pietro che dice al Signore: no, Signore! Questo non può essere il caso, tu non devi soffrire, noi non vogliamo portare la Croce, vogliamo creare un Regno più umano, più bello in terra. Questo è totalmente sbagliato: chi promette una vita solo allegra, comoda, mente: perché non è questa la verità dell’uomo e poi si deve fuggire nei paradisi falsi e proprio così non si arriva alla gioia ma all’autodistruzione”.

 

Il cristianesimo ci annuncia la gioia, ha affermato Benedetto XVI, una gioia che cresce nella via dell’amore, una strada però legata alla croce. Ma occorre comunque un impegno dinanzi alla sofferenza:

        

“Dobbiamo fare il possibile per vincere le sofferenze dell’umanità e per aiutare proprio le persone sofferenti, sono tante nel mondo; di trovare una vita buona e di essere liberati da mali causati da noi stessi: la fame, queste epidemie, ecc.”.

 

A chi si prepara al sacerdozio, per affrontare il faticoso esercizio del discernimento, Benedetto XVI ha suggerito di attingere costantemente alla Parola di Dio, da leggere nella comunione della Chiesa ma anche personalmente, da interpretare come voce del Signore che parla nell’oggi. Ma come rapportarsi alla debolezza umana - ha domandato uno studente - quando si è consapevoli di essere ben lontani, da una vera coerenza con il sì a Dio, che tanti pensano sia stato pronunciato con fermezza e coraggio:

 

“E’ bene riconoscere la propria debolezza perché così sappiamo che abbiamo bisogno della grazia del Signore. Il Signore ci consola. Nel collegio degli Apostoli c’era non solo Giuda ma anche i buoni Apostoli. Pietro è caduto e tante volte il Signore rimprovera la lentezza, la chiusura del cuore degli Apostoli, la poca fede che hanno. Quindi, ci dimostra che nessuno di noi è semplicemente sull’altezza di questo grande sì”.

  

E in questa presa di coscienza, ha aggiunto il Papa, occorre anche un atteggiamento di conversione continua:

 

“Riconoscere che abbiamo bisogno di una conversione permanente, non siamo mai semplicemente arrivati, accettare la nostra fragilità ma rimanere in cammino, non arrenderci ma andare avanti e tramite il sacramento della riconciliazione sempre di nuovo convertirci per un nuovo inizio e così crescere, maturare per il Signore, nella nostra Comunione con il Signore”.

 

Il Santo Padre ha precisato che occorre perseveranza. E proprio di questa, ha rivelato il Papa, ha ringraziato il Signore il cardinale Carlo Maria Martini. In una lettera giunta ieri al Papa, il porporato ha espresso il suo apprezzamento per gli auguri ricevuti in occasione suo ottantesimo compleanno, affermando che c’è sempre bisogno della grazia e della perseveranza. A chi si avvicina alla consacrazione sacerdotale, Benedetto XVI ha consigliato di non trascurare l’Eucaristia e la Liturgia delle ore, di coltivare l’amicizia con gli altri sacerdoti e con i laici. Sui suoi ricordi in seminario il Santo Padre ha raccontato che tra le materie di studio preferiva la filosofia e l’esegesi della Sacra Scrittura, poi ha aggiunto:

 

“Mi ha affascinato dall’inizio soprattutto la figura di Sant’Agostino e poi anche la scuola di Sant’Agostino nel Medioevo, San Bonaventura, i grandi francescani, la figura di San Francesco. Era per me, soprattutto, affascinante questa grande umanità di Sant’Agostino. Ha dovuto lottare spiritualmente per trovare man mano l’accesso alla Parola di Dio, alla vita con Dio, al grande sì alla sua Chiesa.  

 

Al temine dell’incontro, il Papa si è fermato a cena con i seminaristi.

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OGGI IN PRIMO PIANO

18 febbraio 2007

 

 

Il Concordato con lo Stato italiano garantisce alla Chiesa

di prendere posizione liberamente su qualsiasi argomento che tocchi la

 coscienza dell’individuo: intervenire sui DICO non è ingerenza

- Intervista con il prof. Cesare Mirabelli -

 

In Italia, il dibattito parlamentare sul disegno di legge governativo realtivo ai “Diritti delle Coppie di fatto”, i DICO, arriva alla vigilia delle celebrazioni della firma dei Patti Lateranensi che regolano il rapporto tra Chiesa e Stato italiano. Firmati l’11 febbraio 1929 nel Palazzo del Laterano, tra il cardinale Pietro Gasparri e Benito Mussolini, il Concordato fu modificato il 18 febbraio 1984 dal cardinale Agostino Casaroli e da Bettino Craxi. Luca Collodi ha chiesto al prof. Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale e docente di Diritto ecclesiastico presso l’Università Tor Vergata di Roma, se la Chiesa - inserendosi nel dibattito sui DICO - infrangerebbe il Concordato come sostenuto da alcuni parlamentari italiani, commettendo “chiara ingerenza” nei confronti dello Stato:

 

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R. - Alla Chiesa è assicurata una libertà, sia dal punto di vista costituzionale, sia attraverso il Concordato, con il riferimento al principio della sovranità e indipendenza reciproca dello Stato e della Chiesa, e la previsione della libertà del Magistero ecclesiastico è netta. Questo significa che là dove vi sia un giudizio che la Chiesa ritenga di poter dare, indirizzato alle coscienze per valutare quanto accade nella società, su temi sui quali vi è una discussione etica e che toccano aspetti fondamentali dell’uomo, lo può fare in esercizio di libertà. Mi meraviglierei se lo Stato volesse limitarlo, quando assicura la libertà di manifestazione del pensiero e dell’espressione. Quello della Chiesa è perciò un insegnamento rivolto alla persona, alla coscienza degli uomini, i quali si confrontano poi con questo. Attiene successivamente alla loro libertà religiosa aderire o meno a questo insegnamento. Quello della Chiesa, non è mai un insegnamento costrittivo.

 

D. - In caso di attrito, di non accordo tra Stato e Chiesa, il Concordato che cosa ci dice?

 

R. - Il Concordato prevede anche strumenti per superare conflitti. Del resto, ce n’erano già stati in passato, anche in epoca costituzionale, tra Stato e Chiesa. Cconflitti che avevano portato anche a formalizzare questo contrasto e a cercare strumenti di composizione e soluzione. Il Concordato stesso prevede che vi possano essere difficoltà sia nella interpretazione del Concordato stesso, sia nei rapporti tra Stato e Chiesa, sia in nuovi campi nei quali la cooperazione tra Stato e Chiesa si renda opportuna.

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Dai “diamanti di sangue” alla ripresa sociale: la Sierra Leone

guarda con più ottimismo al futuro, mentre il film “Blood diamond

fa riflettere sulla tragedia e gli abusi della guerra civile del 1999

- Con noi Giulio Albanese e mons. Giorgio Biguzzi -

 

Una crudezza di situazioni studiata, più che un’esibizione sanguinaria di violenza-spettacolo, che caratterizza molti dei film in circolazione. E’ quanto emerge dalla visione di “Blood diamond - Diamanti di sangue”, l’ultima opera in “odore” di Premio Oscar del regista Edward Zwick. Da tre settimane nelle sale cinematografiche italiane, la pellicola denuncia le atrocità e gli abusi umani causati dal commercio internazionale dei diamanti estratti in Sierra Leone, la cui vendita alle industrie diamantifere contribuì a finanziare la drammatica guerra civile nel Paese del 1999. Il film ha anche il merito di far riflettere anche su un’altra delle piaghe africane più tragiche, quella dei bambini-soldato. E’ d’accordo Giulio Albanese, missionario comboniano e responsabile del settore riviste della Direzione Nazionale delle Pontificie Opere Missionarie, al microfono di Fabio Colagrande:

 

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R. - Diciamo subito che il film è fatto davvero bene, è un film di denuncia. Certamente la realtà è ancora più drammatica, è ancora più cruenta. Credo che le immagini e tutta la storia riescano a rendere un 20 - 30% di quello che effettivamente è successo. In ogni caso, questo film credo sia un lavoro che possa aiutare l’opinione pubblica internazionale a fare memoria. Si parla tanto dell’Olocausto, giustamente: non dimentichiamo che però ci sono state tante tragedie che purtroppo nel passato sono state messe sotto silenzio. Certamente il dramma dei “baby soldiers” in Sierra Leone è un dramma che non può essere dimenticato e anche se questo film - lo dico sinceramente - esce con un po’ di ritardo, sono passati 10 anni, quanto meno risponde a questa istanza di fare memoria della sofferenza di tanta gioventù bruciata.

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         La guerra civile del 1999 è un ricordo vivo nella memoria dei sierraleonesi, ma ora lo scenario è fortunatamente migliore, sia dal punto di vista sociale, sia da quello del commercio dei diamanti. Nell’intervista di Fabio Colagrande, mons. Giorgio Biguzzi, vescovo di Makeni in Sierra Leone, fa il punto della situazione attuale:

 

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R. - E’ cambiata radicalmente in modo positivo, perché quella tensione di insicurezza, di violenza, di crudeltà che c’era, ora è parte della storia della Sierra Leone. Adesso si può girare benissimo di giorno come di notte, non ci sono più tutti quei posti di blocco. La gente si sente abbastanza sicura, tranquilla, quindi c’è stato un cambiamento positivo enorme. C’è stato anche tanto lavoro di ricostruzione di strutture pubbliche e private, e anche questo è un altro cammino positivo. Rimane purtroppo il fatto che l’economia non è proprio ripartita in grande stile, quindi c’è ancora tanta povertà, c’è ancora un’altissima disoccupazione giovanile, quindi l’insoddisfazione per la situazione porta tanta gente un po’ così alla sopravvivenza per la mancanza di fiducia per il futuro. Questo rimane un grosso problema ancora però se confrontiamo ai 5-6 anni fa è un cambiamento positivo immenso.

 

D. - Ora l’industria il commercio dei diamanti si svolge alla luce del sole. Possiamo dire che i diamanti sono tutti o quasi tutti “blood free”?

 

R. - Nel senso che qui non c’è più violenza, non c’è più guerra e in quel senso lì sì. Il governo ha ristabilito la propria autorità sulle zone diamantifere, quindi c’è un sistema legale da seguire. Purtroppo però c’è sempre chi riesce a uscire dalla noia, dalla legalità e a esportare in modo illegale. L’illegalità da una parte e dall’altra porta sempre del male. Però a livello ufficiale, non essendoci più la guerra e avendo il governo ristabilito la propria autorità, c’è un sistema legale da seguire e si spera che il contrabbando sia ristretto. Difficile per i nostri governi controllare tutto, anche perché c’è corruzione un po’ a tutti livelli e allora la legge rimane sui libri.

 

D. - Lei durante la guerra civile aveva proposto insieme ad altri l’Istituzione di una sorta di autorità di garanzia per controllare il commercio dei diamanti. Perché avevate avuto quest’idea?

 

R. - Perché qua era addirittura un “far west”: non c’era più legge e non si sapeva appunto che con i diamanti poi compravano armi. Non per niente il territorio che i guerriglieri avevano occupato è stato quello delle zone diamantifere ed è stato l’ultimo territorio che hanno lasciato col trattato di pace.

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Intervista sulla Lectio divina con padre Rupnik, che ieri ha terminato dopo

tre anni i suoi commenti al Vangelo per il nostro Radiogiornale

 

Ci ha accompagnato per tre anni nella comprensione del Vangelo della Domenica: padre Marko Ivan Rupnik ha terminato ieri, per il nostro Radiogiornale, i suoi commenti alla Parola della Liturgia domenicale. Da sabato prossimo inizierà il nuovo ciclo di riflessioni al Vangelo un altro teologo, don Massimo Serretti, docente di Cristologia presso la Pontificia Università Lateranense. Padre Rupnik, 53 anni, sloveno, teologo gesuita, direttore del Centro Studi e Ricerche “Ezio Aletti” per il dialogo e la conoscenza reciproca tra oriente e occidente cristiano, è anche pittore, iconografo e mosaicista. E’ lui che ha completato, dietro richiesta di Giovanni Paolo II, il mosaico della Cappella pontificia Redemptoris Mater in Vaticano. A padre Rupnik va il più sentito e sincero ringraziamento da parte di tutti noi per la sua collaborazione.  Oggi è ancora ai nostri microfoni. Sergio Centofanti gli ha chiesto come leggere il Vangelo in modo fruttuoso, senza abituarsi alla Parola di Dio:

 

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R. – Io penso che la cosa principale è l’aver sempre viva la coscienza che la Parola di Dio è di Dio. Quello che diceva San Teofane il Recluso “Non essere attenti a che cosa significa, ma attenti a Chi è questa Parola”. È che la Parola è “inzuppata” - se mi passate questo termine - dallo Spirito Santo; è veramente, testualmente come un pezzo di pane imbevuto, inzuppato nel vino. Così il pane diventa pieno di vino e la Parola di Dio è piena di Spirito Santo e lo Spirito Santo è il Signore che dà la vita e comunica Dio in modo personale. Penso che questo sia fondamentale: avvicinarsi alla Parola come ad una persona viva; cioè, non leggerla come un libro di letteratura o come  un testo da decifrare ma come un testo da amare.

 

D. – Il Papa ha spesso esortato i fedeli alla Lectio divina: come intraprendere questa esperienza?

 

R. – Dirlo in sintesi è difficile; però importante è cominciare a leggere la Sacra Scrittura. Oggi il problema molto grande di tanti cristiani è che conoscono la Scrittura solo a brani. Invece, bisogna cominciare a leggere la Scrittura autore per autore: Marco, Luca, Giovanni, Isaia, i testi sapienziali ... affinché pian piano si cominci a “nuotare” dentro la Parola di Dio. E allora, la Lectio diventa più reale più vera, perché tu entri in un brano e subito il brano stesso ti richiama un altro brano: o per le parole, o per le immagini, o per i contenuti, o per la sensazione spirituale che ti sveglia; e allora un altro brano ti ricorda un altro, e un terzo, e un quarto e cominci a sentire questa grande unità dalla prima all’ultima pagina della Bibbia che è Cristo. Per la Lectio divina è importantissimo capire che la parte più importante della Bibbia è il “dorso”, cioè quello che unisce tutti questi Libri insieme: che è Gesù Cristo.

 

D. - Ci avviciniamo alla Quaresima. Il Messaggio del Papa per questo tempo forte della Chiesa si intitola “Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto”: guardare Cristo Crocifisso. Lei, padre Rupnik, è un noto pittore di icone. Come pregare con le immagini, e cosa vuol dire guardare Cristo Crocifisso?

 

R. – Direi che l’epoca più ricca dell’arte dei cristiani, se torniamo un po’ di secoli indietro, ci insegna una cosa fondamentale e molto forte per la nostra fede: che noi guardiamo affinché ci rendiamo conto che siamo visti, che su di noi si posa uno sguardo che ci lava, che ci purifica, che ci ridà la vita, che ci ridà la dignità, che ci ricorda che anche noi abbiamo un volto, uno sguardo, un cuore, un amore ... cioè, noi guardiamo le immagini sacre per scoprire su di noi questo sguardo, come quello che Pietro ha colto nel cortile del Sommo Sacerdote quando Cristo si è voltato e lo ha guardato;  è uno sguardo che rigenera l’uomo e lo crea nuovo. Ecco, io penso che le immagini dell’arte sacra, se sono vere, ci fanno scoprire che non bisogna fuggire davanti a Dio, che non siamo soli e che siamo guardati non da un poliziotto ma da un amore di una misericordia immensa e sconfinata.

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CHIESA E SOCIETA’

18 febbraio 2007

 

Ieri la diocesi suburbicaria di Albano, in provincia di Roma, ha festeggiato l’ottantesimo compleanno del cardinale Carlo Maria Martini. Tanti i religiosi e i fedeli che hanno preso parte alla Messa celebrata dal porporato

 

ARICCIA. = Il cardinale Carlo Maria Martini ha presieduto ieri pomeriggio, nel santuario di Santa Maria di Galloro di Ariccia, in provincia di Roma, una celebrazione eucaristica per rendere grazie al Signore per il dono della vita e del ministero sacerdotale. «Come avremmo potuto non starle vicino, in una circostanza come quella del suo ottantesimo compleanno mentre le stagioni della vita giungono ad ore significative – ha detto il vescovo della Diocesi Suburbicaria di Albano mons. Marcello Semeraro – si canta in un salmo che gli anni della nostra vita sono ottanta, per i più robusti – ha aggiunto il presule – noi oggi ammiriamo la robustezza spirituale e il suo vigore interiore. Auguri, dunque, carissimo cardinale Martini. Auguri da questa Chiesa di Albano”. Nel suo saluto iniziale mons. Semeraro ha letto il testo del telegramma che Benedetto XVI, ha spedito al cardinal Martini giovedì scorso, proprio nel giorno del suo compleanno. Il porporato è apparso in forza e in salute ed ha accolto quanti, numerosissimi, si sono stretti attorno a lui per l’occasione e tra loro anche la sorella e il nipote, appositamente giunti a Galloro da Torino. Alla celebrazione hanno preso parte pure numerose autorità civili e militari, tra le quali il sindaco di Ariccia, Emilio Cianfanelli, e il vicesindaco di Roma, Maria Pia Garavaglia. “Abbiamo voluto cogliere l’opportunità che deriva dal suo essere cittadino della città di Ariccia e dal suo risiedervi quando non è nella Terra Santa per celebrare questa Santa Eucaristia – ha detto ancora mons. Semeraro – siamo riuniti davvero in tanti e ci sono soprattutto molti fedeli che affollano questa bella chiesa berniniana e che in lei hanno riconosciuto la figura del Signore Gesù maestro e pastore”. (T.C.)

 

 

 

 

 

È scomparso ieri don Silvano Cola, responsabile della diramazione dei

sacerdoti diocesani del Movimento dei Focolari

alla quale si era dedicato dal 1964

 

ROMA. = Si è spento ieri mattina, al Centro sacerdotale di Grottaferrata, in provincia di Roma, don Silvano Cola, responsabile della diramazione dei sacerdoti diocesani che si è formata negli anni ‘50 nel Movimento dei Focolari. Don Silvano è stato fra i primi che, a contatto con i Focolari, hanno trovato nuovo impulso per il ministero sacerdotale, riscoprendo l’unità che scaturisce dalla reciprocità dell’amore evangelico; un aspetto centrale nella spiritualità dei Focolari. Comunicando la notizia della morte di don Cola, Chiara Lubich di lui evidenzia, in modo particolare, la “generosità instancabile” con la quale ha svolto il suo incarico al servizio del mondo sacerdotale. In questi ultimi anni, il sacerdote aveva condiviso con una delle prime focolarine, Valeria Ronchetti, la responsabilità della segreteria per il “primo dialogo”, istituita dalla fondatrice dei Focolari per promuovere la comunione tra movimenti ecclesiali e nuove comunità; una struttura che era stata avviata in risposta al desiderio di Giovanni Paolo II, dopo il grande incontro della vigilia di Pentecoste del 1998 in piazza San Pietro. Don Silvano Cola era nato a Camerino, nelle Marche, il 22 gennaio 1928 ed era stato ordinato sacerdote a Torino il 27 giugno 1950. D’accordo col suo arcivescovo, nel 1964, si è trasferito al Centro sacerdotale di Grottaferrata del Movimento dei Focolari. Nel 1990 ha preso parte come uditore al Sinodo dei Vescovi sulla formazione sacerdotale. Don Cola era anche membro del Consiglio generale dei Focolari. I funerali si svolgeranno martedì alle 14.30 al Centro Mariapoli di Castelgandolfo. (T.C.)

 

 

Non finisce ancora l’emergenza per gli immigrati asiatici e africani in

Mauritania. 369 persone sono sbarcate nei giorni scorsi a Naribu.

Il governo spagnolo ha offerto assistenza

e mezzi di trasporto per il rimpatrio

   

MADRID. = Per la maggior parte degli immigrati asiatici e africani sbarcati lunedì scorso in Mauritania, la lunga odissea, che per molti dura ormai da circa un anno, non è ancora terminata. Erano 369, all’arrivo al porto di Naribu, in Mauritania, il 12 febbraio. Quelli di provenienza africana sono stati rimpatriati nei loro Paesi d’origine. Restano adesso altre 299 persone, quasi tutte del Kashmir, che in queste ore sono sottoposte a un controllo di identificazione da parte del personale diplomatico indiano in Spagna, prima di essere rimpatriati ai loro Paesi. Sono alloggiati in un capannone del porto mauritano di Naribu, sotto la protezione e l’assistenza igienico-sanitaria della Mezza Luna e la Croce Rossa. I dirigenti della Mezza Luna hanno formulato forti critiche per le condizioni disumane in cui si trovano gli immigrati, per l’incapacità dei governi di mettere fine a questa lunga emergenza e per la scarsa attenzione a tale dramma umano da parte dei mezzi di comunicazione. I passeggeri asiatici avrebbero pagato, ai loro trafficanti, tra le 6 mila e i 12 mila euro, per un viaggio che per molti si è protratto per circa un anno, attraversando migliaia di chilometri, con l’intenzione di arrivare, alla fine, in Italia. A questo gruppo si è aggiunto poi, in Costa d’Avorio, un gruppo di circa 70 africani subsahariani, fino a un totale di 369 persone. Lungo la costa della Mauritania la nave è rimasta bloccata in alto mare a causa di un guasto ai motori. In quel momento i trafficanti avrebbero abbandonato la nave lasciando soli i passeggeri. Il governo spagnolo ha offerto agli immigrati l’assistenza necessaria e i mezzi di trasporto aereo per il loro rimpatrio. Ma si è rifiutato di accoglierli in territorio spagnolo. L’opposizione politica ha chiesto al governo un rapporto completo in parlamento su tutta questa emergenza. (A cura di Ignacio Arregui)

 

 

 

 

In Burkina Faso si aggrava il bilancio delle vittime provocate da un’epidemia di meningite: i morti sono almeno 200 e i casi più di 2.000

 

OUAGADOUGOU. = Si è ulteriormente aggravato il bilancio dell’epidemica di meningite iniziata a gennaio in Burkina Faso: ad oggi, si contano 201 decessi e 2.093 casi, con un incremento superiore al 40 per cento in pochi giorni. Lo rivelano fonti del Comitato per la gestione delle epidemie, secondo cui i distretti più colpiti si trovano nell’est e nel sud del Paese. Il direttore sanitario del ministero Souleymane Sanou, riferisce l’agenzia missionaria MISNA, ha detto che sono state adottate misure di emergenza e che, dalla scorsa settimana, è in corso una campagna di vaccinazione di massa. Secondo il coordinamento degli Affari umanitari delle Nazioni Unite, nel 2006 la meningite ha ucciso in Burkina Faso un migliaio di persone. Lo Stato africano si trova in quella che gli esperti chiamano “la fascia della meningite”, la zona a sud del Sahara che va dal Senegal all’Etiopia. In quest’area vivono più di 300 milioni di persone. La meningite fa la sua comparsa durante la stagione secca, quando, tra dicembre e gennaio, comincia a spirare il caldo e secco vento Harmattan, principale vettore dei germi responsabili di questa malattia. (A.L.)

 

 

Un film cinese, Tuya’s Marriage (Il matrimonio di Tuya) di Wang Quan’an,
trionfa al 57° Festival di Berlino, aggiudicandosi contemporaneamente l’Orso d’Oro per il miglior film e il Premio della Giuria Ecumenica

 

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BERLINO. = Tuya’s Marriage racconta di una donna che vive una difficile esistenza fra le steppe della Mongolia, insieme al marito disabile e a due figli. Di fronte alla possibilità di cambiare le cose, Tuya dovrebbe divorziare e sposare un altro uomo; una scelta straziante e dolorosa si impone. Giocando con efficacia e commozione sul contrasto fra la bellezza dei paesaggi e la durezza della condizione umana, il film si fa testimone della dignità e del coraggio degli umili, di fronte al grande disegno della storia. Film di atmosfere, di sguardi, di spazi scoperti con meraviglia dalla macchina da presa, El Otro segue invece i dubbi e le paure di un uomo di fronte alla sua prima paternità. Il protagonista, alle prese con un padre vecchio e malato e una moglie in attesa del risultato di un test di gravidanza, viene tentato dall’idea della fuga e, come il Mattia Pascal dell’omonimo romanzo di Pirandello, nel corso di un viaggio di lavoro, cambia identità vivendo due giorni di libertà e incertezza; poi riprende la strada di casa e accetta serenamente il proprio posto nel mondo. Fra gli altri premi di questa 57° edizione vanno citati l’Orso d’Argento alla Regia, assegnato a Beaufort dell’israeliano Joseph Cedar, e gli altri due premi della Giuria Ecumenica, conferiti a Getting Home (Tornando a casa) del cinese Zhang Yang per la sezione Panorama, e a Chrigu degli svizzeri Jan Gassmann e Christian Ziörjen per la sezione Forum. Se Beaufort, ambientato in una roccaforte israeliana nel Sud del Libano, ci mostra i tempi e i modi di una guerra che logora i corpi e le menti degli uomini, Getting Home, racconta di un viaggio per riportare al villaggio natio il cadavere di un uomo, unisce ad un’abile struttura narrativa una forte partecipazione e soprattutto una varietà di toni, che venano di umorismo anche le situazioni più drammatiche. Chrigu è invece la storia di un giovane, malato terminale di cancro, che documenta con la macchina da presa le fasi della sua malattia, accettando la morte come parte della vita stessa. Tristezza e allegria si dipanano per tutto il corso della pellicola, accompagnate dalla musica di una band hip hop di amici. Il risultato è un inno alla vita, di contagioso entusiasmo. (A cura di Luciano Barisone)

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24 ORE NEL MONDO

18 febbraio 2007

 

- A cura di Amedeo Lomonaco  -

 

In Medio Oriente, sono ripresi i colloqui del segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, in vista del vertice di domani con il premier israeliano, Ehud Olmert, e il presidente palestinese Abu Mazen. Intanto, Israele e Stati Uniti si sono detti d’accordo nel non riconoscere il nuovo governo di unità nazionale palestinese, che potrebbe vedere la luce nelle prossime settimane, se non rispetterà le condizioni poste dalla comunità internazionale. Il nostro servizio:

 

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Il segretario di Stato americano ha incontrato questa mattina il ministro israeliano della Difesa, Amir Peretz. Nel pomeriggio sono inoltre in programma incontri separati con Ehud Olmert a Gerusalemme e con Abu Mazen a Ramallah. Ma l’incontro più importante è previsto per domani quando siederanno intorno allo stesso tavolo, oltre a Condoleezza Rice, anche il premier israeliano ed il presidente palestinese. L’obiettivo della delicata missione americana è di dare slancio al processo di pace tra israeliani e palestinesi, fermo al 2000. Ma il percorso verso la riconciliazione è purtroppo ricco di insidie. L’uscente esecutivo, formato da uomini di Hamas, sta per essere sostituito da un governo di unità nazionale, aperto ai pragmatici di al Fatah e a politici indipendenti, ma le amministrazioni israeliana e americana si dicono comunque pronte a boicottare il nuovo governo palestinese se questo non riconoscerà lo Stato ebraico. Si teme che la linea intransigente palestinese sulla questione del riconoscimento di Israele possa proseguire anche in futuro. Gli ultimi sviluppi non fanno infatti sperare in svolte imminenti in questa direzione: l’accordo raggiunto lo scorso 8 febbraio alla Mecca da delegazioni di Hamas e al Fatah non prevede il riconoscimento di Israele e Hamas ha sempre respinto, finora, questa ipotesi.

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In Iraq almeno 25 persone sono morte per un duplice attentato a Baghdad. Le autorità irachene hanno aperto intanto i principali varchi di frontiera con Iran e Siria, chiusi per oltre 72 ore per ordine del premier Al Maliki. Lo ha reso noto un alto responsabile del ministero dell'Interno iracheno. La decisione di chiudere i valichi di confine era stata presa nell’ambito del piano per la sicurezza avviato nei giorni scorsi a Baghdad e nel resto del Paese. L’Iran ha smentito, intanto, che il leader radicale sciita, Moqtada Al Sadr, si trovi nella Repubblica islamica.

 

Nel sud dell’Afghanistan è precipitato questa mattina un elicottero della Forza Internazionale di assistenza per la sicurezza (ISAF) sotto comando NATO. Nello schianto sono morti 8 soldati. Un portavoce militare ha spiegato che il velivolo è precipitato per “problemi ai motori” e “non per fuoco nemico”. I talebani hanno invece rivendicato l’abbattimento del velivolo.

 

In Italia è stata una manifestazione partecipata e pacifica, quella che si è svolta ieri a Vicenza, in una città blindata. In piazza comitati cittadini, sindacati, movimenti no global, centri sociali e anche parlamentari della sinistra radicale. Ma il capo dell’esecutivo, Romano Prodi, conferma il via libera del suo governo al contestato ampliamento della base militare americana, mentre il centrodestra sottolinea le profondissime divergenze nella maggioranza sui temi di politica estera. Il servizio di Giampiero Guadagni:

 

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Una giornata col fiato sospeso, ma alla fine è andato tutto bene. Se si eccettuano un paio di striscioni e alcuni slogan dei centri sociali di solidarietà agli arrestati dei giorni scorsi nell’operazione contro le nuove Brigate Rosse. Fatto questo che, secondo il ministro dell’Interno Amato, è la conferma di quanto fossero reali i rischi paventati di infiltrazioni e provocazioni nel corteo. Allarme strumentale e infondato, secondo la sinistra radicale presente in piazza anche con diversi parlamentari e il segretario di Rifondazione comunista Giordano e quello dei Comunisti italiani Diliberto. I quali hanno chiesto a Prodi di ascoltare le ragioni del movimento e di ripensare la decisione di dare il via libera all’ampliamento della base militare americana di Vicenza. E la stessa sollecitazione arriva dal ministro Mussi. Immediata la risposta di Prodi, condivisa dall’ala riformista della sua coalizione: manifestazione legittima e importante, dice il premier, ma la linea del governo non cambia. Il presidente del consiglio invita piuttosto a giudicare la politica globale del suo esecutivo, che va nella direzione della pace secondo quanto sottoscritto nel programma dell’Unione. Per l’opposizione, la manifestazione di Vicenza fotografa invece lo stato confusionale della maggioranza, con il prevalere ancora una volta della sinistra radicale che ancora una volta ha contestato Prodi. E Berlusconi definisce quella di ieri una giornata triste perché si è manifestato contro gli Stati Uniti. L’attenzione adesso si sposta di nuovo in Parlamento. Mercoledì prossimo, anche in vista del voto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan, è in programma al Senato un dibattito sulla politica estera del governo. E sarà quello il vero banco di prova dei rapporti all’interno della maggioranza.

 

Per la Radio vaticana, Giampiero Guadagni

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Seggi aperti stamani in Albania per le elezioni municipali. Gli elettori chiamati alle urne sono quasi tre milioni. I candidati sono oltre un migliaio e tra questi solo 33 sono donne. Il confronto chiave è nella capitale dove si contendono la carica di sindaco il leader dell’opposizione, il socialista Edi Rama, ed il ministro dell’Interno uscente, Sokol Olldashi, candidato del partito democratico. Sono stati dispiegati più di 5 mila  poliziotti per garantire l’ordine pubblico e inviati oltre 4 mila osservatori per assicurare la trasparenza della votazione. I seggi chiuderanno alle 18 e i primi risultati saranno diffusi intorno alla mezzanotte.

E’ morto ieri all’età di 96 anni Maurice Papon, l’unico alto funzionario francese ad essere stato condannato per complicità in crimini contro l’umanità. Nei giorni scorsi Papon era stato ricoverato in ospedale dove era stato operato per insufficienza cardiaca. Il nostro servizio:

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Nel 1998 Papon è stato condannato a dieci anni di reclusione perché riconosciuto colpevole di avere collaborato, tra il 1942 ed il 1944, alla deportazione di almeno 1.500 ebrei francesi in campi di concentramento nazisti. Ma per molti anni questa collaborazione non è emersa. Nel 1978 Papon è stato anche nominato ministro del Bilancio. Poi, nel 1981, un settimanale francese ha ritrovato e pubblicato alcuni documenti che provavano la sua collaborazione con i nazisti. All’ex alto funzionario del regime filonazista di Vichy è stata anche contestata la sanguinosa repressione del 17 ottobre del 1961 quando era prefetto di Parigi. Quel giorno oltre 30 mila algerini avevano aderito all’appello del Fronte di liberazione nazionale (FLN) a manifestare contro il coprifuoco imposto dal governo ai francesi musulmani. Si stima che a causa degli scontri siano rimaste uccise oltre 200 persone. Molte polemiche ha inoltre scatenato in Francia la decisione, presa nel 2002, di rimettere in libertà l’ex alto funzionario del governo di Vichy per le sue precarie condizioni di salute. Successivamente, nel giugno del 2004, la Corte di Cassazione ha confermato la pena detentiva. Maurice Papon si è anche rivolto in più occasioni al presidente francese Jacques Chirac per chiedere la grazia ma la richiesta è stata sempre respinta. Ilcaso Papon’ è dunque legato a diverse, drammatiche pagine della storia francese e, in particolare, alle vicende storiche che hanno portato alla nascita del governo di Vichy. Questo esecutivo, presieduto dal maresciallo Philippe Petain, è stato formato il 10 luglio del 1940 in un Paese sconfitto e occupato dalle truppe tedesche. Il regime di Vichy, caduto il 20 agosto del 1944, si è reso complice della persecuzione degli ebrei e ha impedito ogni forma di dissenso con dure repressioni.

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Sono stati liberati l’ingegnere americano e il suo autista nigeriano, sequestrati il 23 gennaio scorso a Port Harcourt, nella regione petrolifera del Delta del Niger. Lo hanno reso noto fonti governative. I due erano stati rapiti insieme a un britannico da uomini armati, mentre si recavano al lavoro. Il sequestro, per il quale era stato chiesto un riscatto, non è stato rivendicato. Il britannico era stato liberato il 7 febbraio scorso perchè molto malato.

 

 

 

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