RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 47 - Testo della trasmissione di venerdì 16 febbraio 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN
PRIMO PIANO:
CHIESA E
SOCIETA’:
Afghanistan: i talebani annunciano una vasta
offensiva contro i soldati della NATO dopo la notizia
di una nuova campagna dell’Alleanza Atlantica in primavera
Vicenza blindata in vista della manifestazione di
domani contro l’ampliamento della base militare americana
16 febbraio 2007
Difendere
dalle manipolazioni la scienza medica,
che deve
servire chi è malato o non può parlare, come il
bambino non nato:
così Benedetto
XVI al Convegno sulla Comunicazione
in medicina alla Cattolica
di Roma
- Intervista con Flavia Caretta e Antono Acquaviva -
La relazione fra medico e paziente è un’area da esplorare
a fondo, per impedire che la professione medica si limiti alla cura della
sofferenza fisica, ignorando la totalità della persona, e prestandosi così a
“manipolazioni” e a “distorsioni” della sua natura più vera. L’appello di
Benedetto XVI spicca nel Messaggio inviato, a firma del cardinale segretario di
Stato, Tarcisio Bertone, ai partecipanti al Convegno internazionale intitolato
“Comunicazione e relazionalità in medicina, nuove
prospettive per l’agire medico”. Il Convegno si svolge oggi e domani a all’Università Cattolica di Roma ed è promosso
dall’Associazione Medicina Dialogo Comunione in collaborazione con l’ateneo. Sul
Messaggio del Papa, il servizio di Alessandro De Carolis:
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Trovare un autentico rapporto col malato per non tradire
la propria vocazione di medico. Lo chiede Benedetto XVI ai medici del Convegno
promosso dall’Associazione MDC (Medicina Dialogo Comunione), che si ispira al
carisma del Movimento dei Focolari. In una medicina come quella contemporanea,
“sempre più soggetta a manipolazioni, a tentativi di distorsione della sua
natura specifica, che è quella di un sapere al servizio dell’uomo malato”,
questi – scrive il Papa nel Messaggio a firma del cardinale Bertone – deve
poter contare su una “dimensione relazionale” che coinvolga
tutti gli attori di una struttura medica, dall’equipe che segue il paziente al
contesto familiare del malato stesso. Questo assunto dimostra, osserva il
Pontefice, la “centralità” che la comunicazione occupa nella professione
medica.
Tuttavia, argomenta più avanti Benedetto XVI, sarebbe “un
errore identificare nella capacità relazionale e comunicativa il tutto della
persona umana”, poiché afferma citando l’enciclica Evangelium vitae, “è chiaro che, con tali presupposti, non c’è spazio nel
mondo per chi, come il nascituro o il morente, è un soggetto strutturalmente
debole” e all’apparenza “totalmente assoggettato alla mercé di altre persone e
da loro radicalmente dipendente”, in grado di comunicare “solo mediante il muto
linguaggio di una profonda simbiosi di affetti”. Le “nuove prospettive” cui si
riferisce il titolo del Convegno, sottolinea Benedetto XVI, vanno lette dunque
“nell’ottica di una capacità comunicativa che fonda
l’essere uomo al di sopra di quei valori fittizi che vengono sempre più imposti
dalla società moderna, quali efficienza, produttività
e autonomia”. La speranza che accompagna questa iniziativa, conclude il Papa, è
quella “di scoprire una sempre maggiore autenticità delle relazioni nel mondo
della medicina”.
**********
Comunicazione e relazionalità,
dunque, sono la chiave per migliorare l’attività medica nel futuro. Su questo
punto, Antonella Villani ha chiesto il parere di Flavia Caretta,
geriatra, docente all’Università Cattolica di Roma e moderatrice del Convegno:
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R. - Credo che la comunicazione e la relazione in
medicina, oggi, significhino recuperare l’essenza della professione medica che
richiede sicuramente competenza tecnica, ma anche competenza umana, capacità
relazionale perché l’incontro con il paziente è un incontro tra persone, non
tra ruoli.
D. -
Voi puntate molto anche sul concetto di fraternità. Ma come si
applica queto in medicina?
R. - Fraternità significa un incontro tra persone in cui
ciascuno ha qualcosa da dare e da ricevere dall’altro. Noi vorremmo provare a
sostanziare reciprocità e comunione, mettendole come fondamento ad ogni
relazione.
D. - In questo momento, si parla molto di eutanasia,
accanimento terapeutico… Come vi ponete di fronte a tutto questo?
R. - Il medico non si pone solo come un dispensatore di
cure, ma come un qualcuno che sa cogliere anche quelle che sono le esigenze più
profonde del paziente. Forse si può arrivare a decisioni condivise che
rispettino le esigenze del paziente ma anche la dignità della vita e della
persona.
Il Convegno è stata l’occasione per confrontare varie
realtà mediche, creare modelli applicativi, come spiega Antonio Acquaviva, ricercatore pediatra all’Università di Siena:
R. - Non tutti i medici hanno questa capacità di
relazionarsi. Nei nostri incontri abbiamo fatto esperienza che possono essere
proposti dei modelli applicativi che facciano sì che venga fuori una medicina
nuova, più attenta al malato perché anche l’efficacia delle cure possa
risentire di questo clima di cui il malato ha tanto bisogno. Questi modelli
applicativi si riferiscono anche alla relazione tra gli operatori sanitari: è
importante creare un approccio multi-disciplinare per
tante malattie, e anche questa multidisciplinarietà dev’essere vissuta in un ambito di amicizia, di fraternità
...
D. - Tra le vostre proposte c’è anche l’inserimento di
materie medico-umanistiche nei piani di studio...
R. - Noi vorremmo proporre al ministro per le Università
che il curriculum degli studenti universitari preveda una formazione alla
relazione. Potrebbe essere possibile inserire materie come la pedagogia medica,
l’etica della relazione oltre alla bioetica, cioè tutte materie che affinano le
capacità dello studente a relazionarsi con il malato.
D. - Umanità e fratellanza sono fondamentali anche per
quanto riguarda le collaborazioni tra nazioni a diverso livello
assistenziale...
R. - Abbiamo presentato i risultati di progetti che
abbiamo realizzato in Africa e nelle Filippine. E’ stata come una verifica:
entrando a contatto con queste popolazioni, con questo spirito diverso,
possiamo avere dei risultati terapeutici impensabili!
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Domani
la visita di Benedetto XVI al Seminario Romano Maggiore,
in
occasione della festa della Madonna della Fiducia
- Intervista con mons. Giovanni Tani -
Domani alle 18.00 il Papa si recherà in visita al
Seminario Romano Maggiore in occasione della festa della Madonna della Fiducia.
E’ la seconda volta che Benedetto XVI visita il Seminario diocesano: l’anno
scorso il Pontefice aveva esortato i seminaristi a diffondere dovunque “il
profumo della fiducia di Maria, che è la fiducia nell’amore provvido e fedele
di Dio”. Ma perché la visita del Papa si svolge tradizionalmente nella festa
della Madonna della Fiducia? Giovanni Peduto lo ha chiesto al rettore del
Seminario, mons. Giovanni Tani:
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R. – Perché questa è la festa principale del nostro
Seminario: è la festa della nostra Patrona. Il Papa, che è il Vescovo di Roma,
viene a prendere parte alla festa del suo
Seminario. Già Paolo VI venne in occasione di questa festa. Poi, Giovanni Paolo
II ha consolidato una tradizione: è venuto quasi tutti gli anni qui, per la
festa della Madonna della Fiducia; e per Benedetto XVI è il secondo anno,
questo.
D. – Qual è la situazione del Seminario Romano Maggiore,
attualmente?
R. – Gli alunni sono 121, i seminaristi romani sono 57,
quasi la metà. Poi ci sono 43 seminaristi provenienti da 26 diocesi italiane e
21 seminaristi provenienti da 12 diocesi di altre nazioni, come
D. – Voi, come Seminario romano, come diocesi di Roma,
quante ordinazioni avrete quest’anno?
R. – Nel nostro seminario ci sono 12 diaconi che saranno
ordinati dal Papa quest’anno; più quelli che vengono dal seminario Redemptoris Mater e dal Capranica.
D. – Come aiutare a far crescere le vocazioni in questo
nostro attuale contesto, spesso così lontano da Dio?
R. – Noi abbiamo ogni anno circa una decina di giovani che
entrano nel Seminario; se ne stanno preparando adesso un gruppo nel
propedeutico ed altri nel Seminario minore: quindi c’è una media di dieci all’anno. Ce ne vorrebbero di più. Che cosa fare? Io credo che quando si fa sperimentare che Dio non è lontano;
quando la domanda di senso trova in Lui la risposta più solida; allora è più
facile sentire la chiamata, il Signore che dice: “Seguimi!”.
Penso che bisognerebbe non far mancare ai giovani il momento della preghiera,
della riflessione, del silenzio. E per questo non penso ai grandi numeri di
giovani, ma penso anche a quei pochi che sono in grado di accogliere proposte
spiritualmente forti. Credo che si debba anche esplicitare di
più il discorso sulla vocazione, rendendolo più normale anche nelle omelie; che
sia non un discorso occasionale; far capire che la vita di fede è una risposta
a una chiamata di Dio. E poi, anche, non soltanto rivolgersi ai giovani,
ma rimane vero che anche per i ragazzi delle medie, delle
superiori questo discorso vocazionale è valido perché essi stanno sognando il loro futuro. E proporre
loro un grande ideale non è sbagliato. E poi, anche, far riprendere, come sta
avvenendo, l’impegno per i gruppi dei ministranti: del resto, molti che sono in
seminario, un giorno sono stati anche chierichetti.
D. – A chiunque può capitare di incontrare un giovane che
mostri chiari segni di vocazione: cosa dirgli?
R. – Io credo che lo si debba
ascoltare molto, invitarlo a mettersi su una strada di preghiera e di direzione
spirituale; aiutarlo a leggersi dentro, a capire bene quali sono le motivazioni
che lo guidano, che lo ispirano in questo suo desiderio; dargli tempo; dare la
possibilità a lui di parlare di sé, più che parlare a lui. Anche in questo,
però, la vocazione è qualcosa di molto profondo, che ha bisogno di venire fuori
gradualmente dal colloquio.
D. – Una volta che il giovane è entrato in seminario,
quale tipo di vita lo aspetta?
R. – Soprattutto trova degli amici. Amici che, come lui,
condividono lo stesso ideale, che condividono la stessa chiamata. Questo
dell’amicizia all’interno del Seminario è uno dei punti forti. Poi, trovano
aiuti educativi, spirituali, culturali. E poi ... il loro è un ambiente nel
quale possono mettere in atto una loro libera risposta e una risposta alla
grazia di Dio che li accompagna. E quindi, con tutto questo, progressivamente
avviene la formazione al sacerdozio.
D . – Quali sacerdoti si aspetta oggi il mondo?
R. – C’è un mondo che, io penso, non aspetta sacerdoti.
Però c’è anche un mondo che rimane molto sorpreso, anche quello distante rimane
molto sorpreso, quando incontra sacerdoti attenti, disponibili, generosi, come
avviene nelle parrocchie: la gente è molto contenta quando
i sacerdoti sono così, quando sono capaci di illuminare i contenuti della fede
e far capire come sono profondamente importanti per la vita. Sacerdoti che
sanno fare intuire l’Altro, cioè il mondo di Dio, il mondo dell’anima; uomini
profondamente spirituali; sacerdoti che credono alla comunità e in essa danno spazio alla responsabilità dei laici, sia agli
uomini che alle donne ... Credo che tutto questo possa essere veramente una
realtà. Non è soltanto una figura lontana: ci sono dei sacerdoti così, che sono
molto amati dalla gente.
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Altre
udienze e nomine
Stamani il Papa ha ricevuto un altro gruppo di presuli
della Conferenza episcopale della Regione Marche e il vescovo di Foligno,
Arduino Bertoldo, in occasione della visita “ad Limina”.
Questa sera
alle 18.00 il Papa riceverà il cardinale William Joseph
Levada, prefetto della Congregazione per
In
India, Benedetto XVI ha nominato arcivescovo di Agra mons. Albert
D’Souza, finora vescovo di Lucknow.
In
corso in Vaticano, la riunione dei rappresentanti pontifici
dell’America
Latina in vista della quinta Assemblea generale del CELAM,
in
programma in Brasile nel prossimo mese di maggio
Le sfide pastorali del “Continente della speranza” e,
sullo sfondo, l’intenso lavoro di preparazione in vista di maggio, quando dal
13 al 31 del mese si svolgerà ad Aparecida, in
Brasile, la quinta Assemblea generale del CELAM, le Conferenze episcopali
dell’America Latina. Con questo piano di lavoro si incontrano, da ieri e fino a
domani, presso la Domus Sanctae
Marthae in Vaticano, i rappresentanti pontifici del
Latino America: riunione convocata dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio
Bertone. L’incontro si collega idealmente all’analogo appuntamento dei
rappresentanti pontifici del continente, svoltosi a Santo Domingo dal 5 al 7
novembre del 1990. “Oggi come allora - informa un comunicato ufficiale -
l’attenzione è rivolta alle sfide sociali e pastorali, che la società e la
Chiesa incontrano in quella vasta regione del mondo, definita dal Papa Giovanni
Paolo II, di venerata memoria, “Continente della speranza” per l’elevata
percentuale di cattolici”, calcolabili in circa 480 milioni su una popolazione
totale di circa 600 milioni.
Introdotti dal cardinale Bertone, prosegue la nota
vaticana, “in un clima di preghiera e di dialogo”, insieme con l’arcivescovo
Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato,
e mons. Dominique Mamberti,
segretario per i Rapporti con gli Stati, i 20 rappresentanti pontifici sono
chiamati a riflettere e a uno scambio di informazioni “sulla situazione sociale,
religiosa ed ecclesiale dell’America Latina”. Una delle relazioni introduttive,
svolta dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i
vescovi, ha fatto il punto sulla V Assemblea generale del CELAM. Altri
interventi integrativi hanno visto impegnati i cardinali
Francisco Javier Errázuriz
Ossa e Geraldo Majella Agnelo,
che insieme al cardinale Re svolgono il ruolo di presidenti designati da
Benedetto XVI per la prossima assemblea del CELAM. Un’altra relazione in
programma riguarda la situazione del clero e delle sètte ed è curata dal
cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione
per il Clero. Inoltre, sottolinea il comunicato vaticano, “verranno
messi a disposizione dei rappresentanti Pontifici altri contributi elaborati
dalle Congregazioni per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita
Apostolica e per l’Educazione Cattolica, dai Pontifici Consigli per la
Famiglia, della Giustizia e della Pace e per la promozione dell’Unità dei
Cristiani”.
La riunione si concluderà domani in tarda mattinata con
l’Udienza dal Papa. Com’è noto, chiosa la nota ufficiale, “è previsto che Sua
Santità presieda la seduta inaugurale dell’Assemblea del CELAM, durante la sua
visita in Brasile”. (A cura di Alessandro De Carolis)
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Oceania.
Servizio estero - Medio Oriente: nasce il nuovo
governo palestinese di unità nazionale tra al Fatah ed Hamas.
Servizio culturale - Un articolo di Armando Rigobello dal titolo “L'enigmatica e insolita nozione di
‘Cristologia filosofica’": un saggio sul
pensiero di Xavier Tilliette.
Servizio italiano - In primo piano il tema degli
incidenti sul lavoro.
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16 febbraio 2007
Sulla famiglia, la Chiesa ha il dovere di parlare:
lo
ribadisce in una nota l’Osservatore Romano.
Ai nostri microfoni, lo storico
Galli della Loggia
sottolinea che è illiberale chiedere ai
vescovi di tacere
“Una Chiesa che si occupa delle
cose di Dio non può non occuparsi delle cose degli uomini. Perché l'uomo è cosa
di Dio” e “nulla più della famiglia riguarda l'uomo”. E’ il richiamo contenuto
nell’edizione odierna dell’Osservatore Romano. La nota, a firma di Gaetano Vallini, si inserisce nel confronto in corso in Italia
sulle coppie di fatto, particolarmente acceso dopo l’approvazione, da parte del
governo, di un disegno di legge sui cosiddetti DICO. Anche il mondo cattolico
si divide con la firma di appelli e controappelli, come ci riferisce Alessandro
Gisotti:
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“La Chiesa sulla famiglia ha il
dovere di parlare. Chi vuole, ascolta. Ma non le si chieda
di tacere”: è quanto sottolineato dall’Osservatore Romano che si chiede “perché
la Chiesa, il Papa e i Vescovi non possano intervenire su un tema tanto
delicato quanto cruciale come quello della famiglia”. D’altro canto, prosegue
la nota, “intervenendo, la Chiesa non difende una posizione politica, ma
semplicemente adempie al suo mandato, che è anche un
suo diritto: predicare con libertà la fede e insegnare la sua dottrina sociale,
dando un giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico se in
gioco ci sono l’uomo e la sua dignità”. Negarlo, prosegue il commento di Gaetano Vallini, “significa
negare un diritto-dovere”. Sono dunque “quanto meno
inopportune quelle voci che in questi giorni, anche con appelli pubblici,
vorrebbero far tacere questa voce tanto autorevole quanto scomoda. Tanto
scomoda da essere definita da alcuni impropriamente un’ingerenza”.
L’Osservatore Romano fa riferimento ad un appello ai vescovi italiani, firmato
da alcuni intellettuali cattolici, dopo l’annuncio da parte del cardinale
Camillo Ruini della pubblicazione di una nota sulle coppie di fatto. La Chiesa
italiana, si legge in questo appello, “sta subendo un’immeritata involuzione”.
Secondo i firmatari, l’annunciato intervento della CEI “è di inaudita gravità”.
A questo documento, risponde un gruppo di intellettuali laici e cattolici che
chiedono ai presuli italiani di “mantenere chiara e libera la loro impostazione
di dottrina e cultura morale in tema di legislazione familiare”. Nello stesso
appello, si ritiene “ingiusta ogni forma di intimidazione intellettuale contro
l’autonomia del pensiero religioso”.
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Dunque, mentre ancora non si
conosce il contenuto della nota annunciata dalla CEI, alcuni intellettuali
chiedono ai vescovi italiani di non intervenire sulla famiglia. Una pretesa
illiberale, secondo lo storico Ernesto Galli della Loggia, intervistato da
Alessandro Gisotti:
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R. - La cosa più singolare mi sembra il fatto che si
chieda ai vescovi, in sostanza, di non parlare su materie che non siano
strettamente attinenti al Magistero, che nessuno può immaginare non lo siano.
L’idea che la pronuncia dei vescovi però spaccherebbe e metterebbe in
difficoltà una parte del mondo cattolico mi sembra anche questa una motivazione
molto discutibile, perché i vescovi, nel pronunciarsi in materie così delicate,
non possono tener conto del fatto se poi la loro pronuncia avrà o meno un consenso vasto, di quanti cattolici saranno
d’accordo… Penso che c’è un rapporto con la verità della fede a cui i vescovi
sono tenuti, che non può tenere conto delle conseguenze politiche o pratiche di
consenso, che le loro parole possono avere.
D. -
In questa vicenda, dove è, secondo lei, la distinzione tra
ingerenza e diritto di parola, diritto di intervento?
R. - Io non so, in questo caso e data la nostra situazione
storica, che cosa sia l’ingerenza. Si parla moltissimo del fatto che la CEI si
rivolgerebbe ai deputati: si rivolge ai deputati cattolici, i quali
naturalmente prima di essere deputati sono cattolici dal punto di vista della
Chiesa! Quindi non si capisce perché la Chiesa dovrebbe rivolgersi a tutti i
cattolici tranne a quelli che fanno per qualche anno i deputati. Perché a
quelli non bisognerebbe rivolgersi? E’ una concezione stranissima del rapporto
fra politica e fede. Si dice anche che la Chiesa, su certe materie, non
dovrebbe intervenire, ma è ridicolo pensando soprattutto alla qualità delle
materie che sono in discussione, sulle quali la Chiesa è sempre intervenuta. Il
cristianesimo si è affermato storicamente come una rivoluzione dei costumi e
quindi che la Chiesa non si pronunci su queste materie
è semplicemente ridicolo. Pretendere una cosa del genere a mio giudizio non ha
senso. Poi, i deputati cattolici si regoleranno secondo la loro coscienza e ne
risponderanno alla loro coscienza. Ma pretendere che la Chiesa non si rivolga
anche ad essi mi sembra una pretesa che da un punto di
vista liberale, nel senso più ampio della parola, non ha senso.
D. - Come è accaduto anche in passato, basti pensare al
dibattito sulla legge 40, sulla fecondazione assistita, torna ad accendersi il
confronto sul rapporto tra Chiesa e Stato, sul concetto di laicità. Perché
sembra che questo confronto non trovi soluzione?
R. - Io credo che sia un confronto che non deve trovare
soluzione, guai se la trovasse! E’ un confronto fecondo, proprio perché un
confronto che è nelle cose “sempiterno”. C’è Cesare e Dio e il rapporto tra
Cesare e Dio non è un rapporto semplice, è un rapporto continuamente carico di
tensioni. La Chiesa fa bene a difendere il suo punto di vista, lo Stato fa bene
a mantenere la sua laicità, che però non vuol dire
mettere a tacere la Chiesa perché questo significherebbe tra l’altro eliminare
questa tensione molto viva, molto inerente alla stessa identità cristiana.
Penso che il contrasto nasca dal fatto che il cristianesimo ha l’ambizione di
esprimere un giudizio morale anche sul potere, sul comportamento del potere. Lo
ha fatto da quando si è affermato nell’Impero romano,
è la sua caratteristica, come del resto è la caratteristica di molte religioni.
Al tempo stesso però riconosce un’autonomia al potere, ma questo non significa
non giudicarlo.
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Il
presidente palestinese, Abu Mazen,
incarica il premier, Ismail Haniyeh,
di
formare il nuovo esecutivo. Ma gli Stati Uniti
avvertono:
il
futuro governo palestinese dovrà riconoscere Israele
-
Intervista con Joseph Maïla -
Nei Territori Palestinesi è iniziata la delicata fase per
la formazione del governo di unità nazionale: il primo ministro, Ismail Haniyeh, ha rassegnato le
dimissioni nelle mani del presidente Abu Mazen. Il presidente palestinese ha poi subito incaricato Haniyeh di formare il nuovo esecutivo. Il servizio di
Amedeo Lomonaco:
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In
base agli accordi della Mecca dello scorso 8 febbraio, il governo di unità
nazionale sarà composto da uomini di Hamas, al Fatah, formazioni minori e politici indipendenti che occuperanno
alcuni ministeri chiave. Il nuovo esecutivo, ha detto Haniyeh,
condurrà i palestinesi “verso una nuova era”. Secondo fonti
locali, il primo ministro metterà a punto la squadra di governo nel giro
di cinque settimane e poi andrà in Parlamento per ricevere il via libera
definitivo. La Comunità internazionale ha già indicato condizioni
imprescindibili: il futuro governo palestinese – avverte l’ammini-strazione
statunitense - dovrà riconoscere il diritto di Israele a esistere, rinunciare
alla violenza e accettare gli accordi internazionali siglati in passato. Il
governo uscente, insediatosi dopo le elezioni politiche dello scorso anno, era
formato solo da ministri di Hamas e ha sempre respinto queste condizioni.
Adesso si spera che un governo non più monocratico
possa avere posizioni più flessibili. Una prima parziale verifica di questo
eventuale ed auspicato cambio di atteggiamento ci sarà già lunedì prossimo,
quando a Gerusalemme si incontreranno il segretario di stato americano, Condoleezza Rice, il primo
ministro israeliano, Ehud Olmert,
e il presidente palestinese, Abu Mazen.
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Il Medio Oriente dunque appare
perennemente in bilico tra speranze di pace e una difficile convivenza tra le
popolazioni dell’area. Se ne è discusso recentemente a Roma in un convegno
organizzato dall’ambasciata di Francia presso
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R. – We do have to be very
hopeful, since the negotiations …
Il fatto che i negoziati siano
giunti a una conclusione e sia stato raggiunto un accordo rappresenta un
elemento di speranza, ma a livello di relazioni intra-palestinesi
dobbiamo attendere l’effettiva formazione del governo di unità nazionale per
vedere se i palestinesi sono effettivamente in grado di dialogare. Penso che i
palestinesi sappiano molto bene che la situazione in cui si trovano è pessima e
altrettanto bene sanno che se continuano a lottare fra loro presto non ci sarà
più alcuna causa nazionale da difendere.
D. – A rendere il tutto ancora
più complicato anche la crisi innescata dai lavori israeliani nei pressi della
spianata delle Moschee …
R. – I think that the most
important thing is that ...
Credo che la cosa più
importante sia il fatto che qui vengono toccati dei
simboli essenziali al credo dei musulmani, degli ebrei e anche dei cristiani.
Quindi non si possono affrontare con una ‘normale’ politica, ma bisogna rispettare
la fede degli altri e trattare con loro per dimostrare un grande rispetto per
la loro fede.
D. – Crede che l’intervento
della comunità internazionale sia l’unica via praticabile nella soluzione della
crisi mediorientale?
R. – I think that every
solution has to be a two-fold solution. …
Credo che ogni soluzione debba
avere due facce: innanzitutto la pace deve essere portata avanti dalle stesse parti in conflitto, arabi, libanesi,
palestinesi e gli israeliani. Ma se non c’è una spinta che viene dall’esterno,
se non c’è un sostegno diplomatico da parte dell’Unione Europea, dalla Russia o
dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti, ovviamente non sarà possibile far
sedere questi popoli intorno a un tavolo per discutere i loro problemi. Bisogna
dare delle garanzie per gli accordi che eventualmente porteranno alla pace,
quindi il sostegno internazionale è indispensabile.
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16 febbraio 2007
Aperta ieri con una cerimonia
nella cattedrale di Wittenberg,
in Germania, l’ultima fase
preparatoria della prossima Assemblea
ecumenica europea, in programma a
settembre, a Sibiu in Romania.
Riuniti fino a domenica, nella
città di Lutero, 150 delegati
delle varie confessioni cristiane
WITTENBERG. = Si è aperta ieri in Germania, con una
cerimonia nella cattedrale di Wittenberg, la terza ed
ultima tappa preparatoria dell’Assemblea ecumenica europea (AEE3), prevista a Sibiu, in Romania, nel prossimo settembre. Promossa dal
Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) e dalla Conferenza delle
Chiese europee (CEC/KEK) l’Assemblea sarà incentrata sul tema “La luce di
Cristo illumina tutti – Speranza di rinnovamento e unità in Europa”. L’incontro
nella città tedesca – riferisce l’agenzia SIR - vede 150 delegati di tutta Europa,
riuniti fino a domenica nell’Università Leucorea, che
ospita i lavori. Gratitudine per l’invito “nella città di Lutero, che non
voleva la divisione ma l’unità nella fedeltà al
messaggio di Cristo”, è stata espressa alle Chiese tedesche dal presidente della
CEC/KEK, Jean-Arnold de Clermont.
Dal canto suo il cardinale Pèter Ërdo,
presidente Ccee e primate d’Ungheria ha sottolineato
che “l’unità spirituale e culturale dell’Europa è una grande sfida per i
cristiani: in un’Europa che si sta unificando
ROMA. =
Alle 18.00 di questa sera, in occasione del secondo anniversario dell’entrata
in vigore del Protocollo di Kyoto, l’Italia sarà
avvolta da un black-out volontario. Giunge alla terza edizione “M’illumino di
meno”, l’iniziativa lanciata dalla trasmissione di Radiodue,
Caterpillar, quest’anno patrocinata dai ministeri
dell’Ambiente e delle Politiche Agricole. La luce verrà
spenta in molti luoghi simbolo della Penisola, a partire dal Palazzo del Quirinale,
grazie all’autorevole adesione del presidente della Repubblica, immediatamente
seguita da quella della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Molti i monumenti che resteranno al buio, in più di 6 mila ristoranti si cenerà
a lume di candela, centinaia saranno le città coinvolte. “Si tratta di una sana
azione di limitazione del superfluo”, ha detto il ministro dell’ambiente,
Alfonso Pecoraro Scanio,
ricordando, poi, come un semplice gesto di tanti cittadini permise nella
passata edizione di risparmiare, in un’ora e mezza, la stessa quantità di
energia consumata dalla regione Umbria in un giorno. Grande l’impegno da parte
della Tv di Stato, che seguirà in diretta gli spegnimenti più spettacolari con
collegamenti da piazza San Marco a Venezia, dalla Fontana di Trevi a Roma e da Piazza della Scala a Milano. (E.L.)
L’educazione è
un bene pubblico, un diritto personale e sociale,
che vede nella famiglia l’attore
primario e naturale, ribadiscono
i vescovi argentini in un ampio
documento dedicato alla nuova Legge sul sistema scolastico nazionale. I presuli
chiedono garanzie sul diritto dei genitori di educare i figli secondo le
proprie convinzioni etiche,
filosofiche e religiose
BUENOS AIRES. = Riteniamo
importante che la nuova Legge sul sistema educativo nazionale consideri
l’educazione “un bene pubblico nonché un diritto personale e sociale e che,
come conseguenza, riconosca nella famiglia l’agente primario e naturale
dell’educazione stessa, garantendo ad essa il diritto
di scegliere per i figli l’istituzione educativa che corrisponda alle proprie
convinzioni etiche, filosofiche e religiose”. Così, i vescovi argentini, in un
ampio documento della Commissione per l’Educazione cattolica, sulla nuova legge
approvata in Parlamento dopo molti mesi di discussione e già promulgata con la
firma del presidente Kirchner pochi giorni fa. I
presuli dichiarano di “vedere con speranza la creazione dell’Istituto nazionale
per la formazione dei docenti, chiamato a pianificare, coordinare ed eseguire
politiche che hanno come scopo la formazione permanente dei docenti così come
la creazione del Consiglio consultivo che garantisce la partecipazione di tutti
i settori rappresentativi della società nella definizione di queste politiche”.
Ricordano però i vescovi argentini che “l’educazione è un affare pubblico e
perciò deve coinvolgere tutti i settori della nazione chiamati alla
partecipazione responsabile, come, tra l’altro, si legge nel testo della nuova
legge”. La dichiarazione conclude
rilevando che i pastori della Chiesa in Argentina, nel quadro di un pluralismo
sano, consapevoli del riemergere di progetti egemonici, come quello che
(A cura di Luis Morales Badilla)
Visita in Terra Santa per venti insegnanti cattolici di
Seminari cinesi,
allo scopo di
approfondire lo studio della Bibbia e promuovere
lo scambio
culturale con esponenti di altre confessioni religiose
GERUSALEMME.
= La formazione nei Seminari è considerata una delle urgenze fondamentali nella
missione della Chiesa in Cina. Per questo, venti insegnanti di Seminari cinesi
sono a Gerusalemme per un mese di studio della Bibbia. Il progetto, che prevede
anche incontri con esponenti di altre religioni e confessioni, è stato promosso
dalla Federazione Biblica Cattolica, organizzazione internazionale legata al
Pontificio consiglio per l’Unità dei Cristiani, che comprende istituzioni
pastorali e bibliche di tutto il mondo. Il gruppo, per la maggior parte composto
da sacerdoti, è accompagnato nel suo soggiorno a
Gerusalemme da due religiosi benedettini e da due laici della Federazione
Biblica Cattolica. La visita, iniziata alla fine di gennaio, avrà termine il 23
febbraio e prevede per domenica prossima il festeggiamento del nuovo Anno
cinese, nella località di Taghba, in Galilea.(E.L.)
Il tema dell’emigrazione fra Cina
e Mongolia e in Germania,
al centro di due
pellicole in concorso al Festival di Berlino,
giunto in dirittura d’arrivo per la
consegna degli Orsi
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BERLINO. = La letteratura e la cronaca contemporanea
segnano il finale del 57° Festival di Berlino. A due giorni dalla cerimonia di
premiazione,
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Al via
raccontato da chi lo
fa”, promossa dall’Unione cattolica stampa italiana (UCSI) del Lazio.
L’iniziativa, rivolta ai giovani, entra quest’anno
negli atenei
romani. Primo appuntamento il 21
febbraio
con Jean Leonard Touadi, all’Università “
ROMA. = Riparte “Narrare
16 febbraio 2007
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
In Afghanistan, un comandante
talebano ha annunciato che circa 10 mila guerriglieri sono pronti per sferrare
una serie di “attacchi sanguinosi” contro truppe dell’Alleanza atlantica.
L’annuncio arriva dopo il discorso con cui il presidente americano, George Bush, ha rivelato ieri che la NATO
lancerà una “offensiva di primavera” contro i talebani. Bush,
che ha chiesto ai Paesi dell’Alleanza atlantica di inviare più soldati, ha anche ringraziato l’Italia per
il “contributo” dato con “mezzi aerei” alla missione.
In Italia, intanto, circa 40 mila
persone sono previste domani a Vicenza per la manifestazione contro
l’ampliamento della base americana. La città è blindata e saranno adottate
misure di sicurezza straordinarie. Il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha dichiarato che “il ‘no’
all’allargamento sarebbe un atto grave per il suo valore simbolico e politico”.
Il vicepremier, Francesco Rutelli,
confida in una manifestazione pacifica ma in caso
contrario assicura la massima severità.
Restiamo in Italia: è stato
rinviato a giudizio il generale Nicolò Pollari per
concorso nel sequestro dell’imam Abu
Omar. Con l’ex capo del SISMI, sono stati rinviati a
giudizio anche il dirigente del Servizio segreto militare, Marco Mancini, altri
funzionari e 26 agenti della CIA. Il processo è stato fissato per l’8 giugno.
In Iraq, almeno 4 persone sono
morte per l’esplosione di un ordigno a Baquba, nel
cosiddetto “triangolo sunnita”. Ha avuto vasta eco, intanto, la notizia che Abu Ayyub al Masri,
successore di al Zarqawi
alla guida di al Qaeda in Iraq, sarebbe rimasto ferito durante una sparatoria
con soldati iracheni. La notizia, riferita dall’emittente satellitare Al Arabiya, è stata prima confermata dal portavoce del
Ministero dell’interno e poi smentita dai servizi di intelligence iracheni.
Fonti irachene continuano poi a sostenere che il leader radicale sciita, Moqtada al Sadr, avrebbe trovato rifugio in Iran. Al Sadr
non si è presentato oggi nella moschea a Kufa dove,
solitamente, dirige la preghiera del venerdì.
L’Africa, al centro del XXIV vertice franco-africano
iniziato ieri a Cannes. Al summit, partecipano 43 capi di Stato e di governo
africani e la presidente di turno dell’Unione Europea, il cancelliere tedesco,
Angela Merkel. Il vertice
di Cannes è caratterizzato dall’analisi del sempre minore ruolo francese nel
continente africano, dove cresce invece l’influenza di Paesi come Cina e Stati
Uniti. Stefano Leszczynski ne ha parlato con Domenico Quirico, africanista del quotidiano
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R. – Ad una Francia indebolita,
che non ha i mezzi economici e militari per mantenere quel ruolo, si
contrappongono Cina e Stati Uniti. La Cina ha
scatenato in Africa un’offensiva che non è soltanto economica ma già
potenzialmente politica. La Cina è presente
nell’economia, negli aiuti a moltissimi Paesi che vanno dal Sudan all’Angola,
dal Mozambico alla Nigeria. Gli Stati Uniti hanno iniziato questo nuovo grande
gioco in Africa per fermare l’avanzata cinese e soprattutto per mantenere il
controllo delle materie strategiche, in primo luogo il petrolio, e poi anche un
controllo di tipo militare. E’ appena stato istituito un altro comando
americano per l’Africa, che è una novità assoluta.
D. – Ecco, un grande confronto con i cinesi che tuttavia
non rispecchia quello che era il confronto della Guerra Fredda…
R. – Oggi l’Africa è un grande polo di attrazione
economica, produce materie prime che servono in modo vitale sia alla Cina sia agli Stati Uniti sia all’Occidente. Il potere
dei leader africani è molto aumentato, non ci sono più le illusioni, i proclami
ideologici del terzo mondismo degli anni ’60; contano
i dollari, contano gli yuan, contano gli euro e
quanto denaro uno mette sul tavolo per comprare queste materie prime. Il dato che resta inalterato è il vantaggio nullo che la
società civile africana trae da tutto questo.
D. – Quale potrebbero essere le aspettative da questo
vertice di Cannes?
R. – Ma io credo che sul piano concreto ne uscirà molto poco, se non dichiarazioni di principio, molto
retoriche ma vuote. In realtà, i 48 rappresentanti degli Stati africani che
sono presenti a Cannes hanno già intuito che i loro interlocutori sono altri e
non sono più qui in Francia. Poi parlano del dopo Chirac, un post-Chirac molto
radicale e diverso da quello attuale.
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Durante il vertice di Cannes, il presidente sudanese, Omar
el Béchir, ha dichiarato
intanto che l’Unione Africana ha la responsabilità di mantenere la pace nella
martoriata regione del Darfur. L’ONU – ha aggiunto – non deve avere che “un
ruolo logistico e tecnico”.
E sempre per quanto riguarda l’Africa, a suscitare forti
preoccupazioni di Nazioni Unite e Unione Africana è, in questi mesi,
l’aggravarsi della situazione in Guinea Conakry.
Ieri, c’è stato l’incontro tra governo e sindacati per tentare di stemperare le
tensioni dovute all’inasprimento del regime del presidente Lansana
Conté, da 23 anni alla guida del Paese africano.
Dopo il recente accordo raggiunto a Pechino sul nucleare nordcoreano, il Giappone ha annunciato stamani una serie di
colloqui bilaterali con la Corea del Nord. Lo scopo
dei colloqui, previsti la prossima settimana, è di alleviare il gelo prevalso
negli ultimi anni nelle relazioni tra i due Paesi. La notizia arriva dopo
l’analoga decisione presa da Corea del Nord e Corea del Sud di riavviare
colloqui ufficiali dopo sette mesi di sospensione. L’obiettivo è di tornare ad
una cooperazione bilaterale e di migliorare la disastrata economia nordocoreana. Ma quali scenari apre la ripresa dei
negoziati intercoreani? Giancarlo La Vella lo ha
chiesto a Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews:
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R. – Innanzitutto, uno scenario di maggiore tranquillità e
pace tra le due Coree. La tensione sul nucleare, ma soprattutto la possibilità
di una guerra che avrebbe potuto portare a migliaia, se non milioni di profughi
nel Sud Corea e all’interno dell’Estremo Oriente, era veramente un problema
grandissimo. In più, naturalmente, la Corea del Sud era uno degli obiettivi nel
mirino. Questo ritorno al dialogo permette una maggiore tranquillità per la
Corea del Sud, ma anche una maggiore speranza per la Nord
Corea. La ripresa dei colloqui significa che la Nord
Corea può fare un altro passo avanti per un miglioramento della situazione
della popolazione che è veramente allo stremo.
D. – Guardando in prospettiva, il fatto che si crei un
forte polo coreano può incontrare l’opposizione di qualche grande potenza?
R. – Probabilmente il Giappone è quello, attualmente, che
presenta più difficoltà ma perché vuole avere delle garanzie per quanto
riguarda il ritorno dei giapponesi rapiti dalla Nord
Corea. Per la Cina, io penso sia molto meglio perché
con la ripresa dei colloqui sarà più tranquilla. La Corea del Sud è molto
impegnata inoltre nel commercio con la Cina, quindi
una maggiore tranquillità della Corea del Sud vuol dire anche una migliore economia
nel-l’Estremo Oriente. Gli USA hanno accettato poi
per ultimo questo accordo che potrebbe essere un modello per altri Paesi che
hanno “sogni” nucleari.
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Rimpasto di governo
in Russia e cambio al vertice in Cecenia. Sono le ultime decisioni del capo del
Cremlino, Putin, mentre si avvia una lunga campagna
elettorale per le presidenziali del marzo 2008. Putin
ha infatti promosso a primo vicepremier
Serghei Ivanov, già
titolare del Ministero della difesa, ora affidato ad Anatoli
Serkdiukov. Ivanov
raggiunge quindi una posizione di pari grado a quella di Dmitri
Medvedev, altro primo vicepremier,
considerato però rappresentante dell'ala più liberale: entrambi sono in lizza
per la più alta carica dello Stato. In Cecenia, invece, Putin
ha nominato presidente ad interim il
premier Ramzan Kadyrov,
dopo aver accolto le dimissioni di Alu Alkhanov. Sul significato di queste scelte, Giada Aquilino ha
intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana e grande
esperto di questioni russe:
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R. – In Cecenia, è un cambio al vertice relativo, perché Ramzan Kadyrov è sempre stato
l’uomo forte di Mosca nella Repubblica caucasica ed
anche per questo era stato, per esempio, al centro degli attacchi della Politkovskaja, la giornalista che è stata assassinata
a Mosca nell’ottobre scorso. Mi sembra più interessante, invece, quello che è
successo al Cremlino, perché Putin è notoriamente
poco incline ai cosiddetti rimpasti. Io credo che questi cambiamenti - e cioè
la nomina a ministro della Difesa di Serkdiukov e la nomina di Ivanov
al ruolo di primo vicepremier - debbano essere anche
letti nell’ottica della fine del secondo mandato di Putin
e di quello che può succedere dopo, in vista delle presidenziali del prossimo
anno.
D. – Quindi è una sorta di investitura?
R. – Potrebbe esserlo. Ci sono però
moltissime persone in Russia che non sono affatto convinte che Putin sia destinato ad uscire di scena.
D. – Alla Difesa è andato un fedelissimo di Putin, a cui il presidente ha
detto di voler affidare il nuovo programma di riarmo da qui al 2015. Alcuni
osservatori hanno notato in questa scelta una certa volontà di rafforzare
l’apparato militare…
R. – Serkdiukov è stato capo del Servizio
federale fiscale ed anche questa volta Putin ha
pescato nell’ambiente che conosce meglio. Quanto alle prospettive di riarmo
della Russia, queste sono in atto già da tempo e, tra l’altro, il settore degli
armamenti rende molto al Paese con le vendite all’estero. C’è da dire che il
vero segnale che la Russia non ha alcuna intenzione di recedere da questa strada
si ha proprio con la nomina a primo vicepremier di Ivanov: la sua carica implica pure un mandato ad interessarsi
e a curare da vicino proprio l’apparato industriale e militare, da sempre
colonna dell’economia prima sovietica e dopo russa.
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Secondo giorno del processo in Spagna per le
stragi dell’11 marzo 2004: il marocchino Youssef Belhadj, considerato uno degli ideatori degli attentati, si
è rifiutato di rispondere alle domande dell’accusa, come aveva fatto ieri Osman Rabei, detto Mohammed l’Egiziano. Sulla prima udienza del processo, il
servizio di Ignacio Arregui:
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La prima
seduta pubblica del processo per l’attentato a Madrid del 11 marzo del 2004 ha
offerto qualche sorpresa ieri pomeriggio. Il primo imputato ad essere interrogato
chiamato “L’egiziano” non solo ha negato ogni relazione con gruppi di Al Qaeda e con gli autori dell’ attentato, ma lo ha anche
condannato categoricamente, precisando: “Questa mia condanna è chiara e
assoluta”. Poi, ha aggiunto una sua condanna personale e totale agli attentati
terroristici di New York e di Londra, “indipendentemente dalle vittime che ci
siano state”, ha detto. Ha dichiarato anche tra l’altro di essere all’oscuro
sulla provenienza e delle caratteristiche degli esplosivi utilizzati nell’attentato
di Madrid, e ha riaffermato la sua fede religiosa musulmana, negando però ogni
adesione a forme estreme o radicali. Rabei Osman el sayed
Ahmed, questo il suo vero nome, era stato arrestato
dalla polizia italiana a Milano il 7 giugno del 2004. Era stato poi estradato a
Madrid. Secondo la registrazione di una sua conversazione telefonica, avrebbe
rivendicato l’organizzazione dell’attentato di Madrid. All’inizio dell’udienza,
ieri mattina, aveva anticipato che non avrebbe risposto a nessuna domanda,
neppure della sua difesa. Contrariamente a questa sua affermazione, poi invece,
nel pomeriggio, ha dato risposta ad alcune domande della difesa. Ricordiamo che
sono 29 gli imputati presenti in aula tra i quali 15 marocchini, 9 spagnoli,
due siriani, un algerino, un libanese, e un egiziano. Il processo potrebbe
avere una durata di circa cinque mesi.
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