RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 47  - Testo della trasmissione di venerdì 16 febbraio 2007

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Difendere dalle manipolazioni o dalle distorsioni la scienza medica, al servizio di chi è malato o non può parlare, come il bambino non nato: così Benedetto XVI al Convegno sulla Comunicazione in medicina in corso alla Cattolica di Roma. Ai nostri microfoni Flavia Caretta e e Antono Acquaviva

 

Domani la visita di Benedetto XVI al Seminario Romano Maggiore, in occasione della festa della Madonna della Fiducia: intervista mons. Giovanni Tani

 

In corso in Vaticano, la riunione dei rappresentanti pontifici dell’America Latina in vista della quinta Assemblea generale del CELAM, in programma in Brasile nel prossimo mese di maggio

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Sulla famiglia, la Chiesa ha il dovere di parlare: lo ribadisce in una nota l’Osservatore Romano. Ai nostri microfoni, lo storico Galli della Loggia sottolinea che è illiberale chiedere ai vescovi di tacere

 

Il presidente palestinese, Abu Mazen, incarica il premier, Ismail Haniyeh, di formare il nuovo esecutivo. Ma gli Stati Uniti avvertono: il futuro governo palestinese dovrà riconoscere Israele: intervista con Joseph Maïla

 

CHIESA E SOCIETA’:

Aperta ieri con una cerimonia nella cattedrale di Wittenberg, in Germania, l’ultima fase preparatoria dell’Assemblea ecumenica europea, in programma a settembre, a Sibiu in Romania

 

Nell’anniversario del Protocollo di Kyoto, un gesto per l’ambiente: alle 18.00 di questa sera l’Italia si illumina meno: monumenti e  piazze al buio contro gli sprechi energetici e i gas serra

 

“L’educazione è un bene pubblico nonché un diritto personale e sociale, che vede nella famiglia l’attore primario e naturale”, ribadiscono i vescovi argentini in un ampio documento dedicato alla nuova Legge sul sistema scolastico nazionale

 

Visita in Terra Santa per venti insegnanti cattolici nei Seminari cinesi, allo scopo di approfondire lo studio della Bibbia e promuovere lo scambio culturale con esponenti di altre confessioni

 

Il tema dell’emigrazione fra Cina e Mongolia e in Germania, al centro di due pellicole in concorso al Festival di Berlino, giunto in dirittura d’arrivo per la consegna degli Orsi

 

Al via la III edizione di “Narrare la professione. Il giornalismo raccontato da chi lo fa”, promossa dall’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI) del Lazio

 

24 ORE NEL MONDO:

Afghanistan: i talebani annunciano una vasta offensiva contro i soldati della NATO dopo la notizia di una nuova campagna dell’Alleanza Atlantica in primavera

 

Vicenza blindata in vista della manifestazione di domani contro l’ampliamento della base militare americana

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

16 febbraio 2007

 

Difendere dalle manipolazioni la scienza medica,

che deve servire chi è malato o non può parlare, come il bambino non nato:

così Benedetto XVI al Convegno sulla Comunicazione

 in medicina alla Cattolica di Roma

- Intervista con Flavia Caretta e Antono Acquaviva -

 

La relazione fra medico e paziente è un’area da esplorare a fondo, per impedire che la professione medica si limiti alla cura della sofferenza fisica, ignorando la totalità della persona, e prestandosi così a “manipolazioni” e a “distorsioni” della sua natura più vera. L’appello di Benedetto XVI spicca nel Messaggio inviato, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ai partecipanti al Convegno internazionale intitolato “Comunicazione e relazionalità in medicina, nuove prospettive per l’agire medico”. Il Convegno si svolge oggi e domani a all’Università Cattolica di Roma ed è promosso dall’Associazione Medicina Dialogo Comunione in collaborazione con l’ateneo. Sul Messaggio del Papa, il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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Trovare un autentico rapporto col malato per non tradire la propria vocazione di medico. Lo chiede Benedetto XVI ai medici del Convegno promosso dall’Associazione MDC (Medicina Dialogo Comunione), che si ispira al carisma del Movimento dei Focolari. In una medicina come quella contemporanea, “sempre più soggetta a manipolazioni, a tentativi di distorsione della sua natura specifica, che è quella di un sapere al servizio dell’uomo malato”, questi – scrive il Papa nel Messaggio a firma del cardinale Bertone – deve poter contare su una “dimensione relazionale” che coinvolga tutti gli attori di una struttura medica, dall’equipe che segue il paziente al contesto familiare del malato stesso. Questo assunto dimostra, osserva il Pontefice, la “centralità” che la comunicazione occupa nella professione medica.

 

Tuttavia, argomenta più avanti Benedetto XVI, sarebbe “un errore identificare nella capacità relazionale e comunicativa il tutto della persona umana”, poiché afferma citando l’enciclica Evangelium vitae, “è chiaro che, con tali presupposti, non c’è spazio nel mondo per chi, come il nascituro o il morente, è un soggetto strutturalmente debole” e all’apparenza “totalmente assoggettato alla mercé di altre persone e da loro radicalmente dipendente”, in grado di comunicare “solo mediante il muto linguaggio di una profonda simbiosi di affetti”. Le “nuove prospettive” cui si riferisce il titolo del Convegno, sottolinea Benedetto XVI, vanno lette dunque “nell’ottica di una capacità comunicativa che fonda l’essere uomo al di sopra di quei valori fittizi che vengono sempre più imposti dalla società moderna, quali efficienza, produttività e autonomia”. La speranza che accompagna questa iniziativa, conclude il Papa, è quella “di scoprire una sempre maggiore autenticità delle relazioni nel mondo della medicina”.

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Comunicazione e relazionalità, dunque, sono la chiave per migliorare l’attività medica nel futuro. Su questo punto, Antonella Villani ha chiesto il parere di Flavia Caretta, geriatra, docente all’Università Cattolica di Roma e moderatrice del Convegno:

 

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R. - Credo che la comunicazione e la relazione in medicina, oggi, significhino recuperare l’essenza della professione medica che richiede sicuramente competenza tecnica, ma anche competenza umana, capacità relazionale perché l’incontro con il paziente è un incontro tra persone, non tra ruoli.

 

D. -  Voi puntate molto anche sul concetto di fraternità. Ma come si applica queto in medicina?

 

R. - Fraternità significa un incontro tra persone in cui ciascuno ha qualcosa da dare e da ricevere dall’altro. Noi vorremmo provare a sostanziare reciprocità e comunione, mettendole come fondamento ad ogni relazione.

 

D. - In questo momento, si parla molto di eutanasia, accanimento terapeutico… Come vi ponete di fronte a tutto questo?

 

R. - Il medico non si pone solo come un dispensatore di cure, ma come un qualcuno che sa cogliere anche quelle che sono le esigenze più profonde del paziente. Forse si può arrivare a decisioni condivise che rispettino le esigenze del paziente ma anche la dignità della vita e della persona.

 

Il Convegno è stata l’occasione per confrontare varie realtà mediche, creare modelli applicativi, come spiega Antonio Acquaviva, ricercatore pediatra all’Università di Siena:

 

R. - Non tutti i medici hanno questa capacità di relazionarsi. Nei nostri incontri abbiamo fatto esperienza che possono essere proposti dei modelli applicativi che facciano sì che venga fuori una medicina nuova, più attenta al malato perché anche l’efficacia delle cure possa risentire di questo clima di cui il malato ha tanto bisogno. Questi modelli applicativi si riferiscono anche alla relazione tra gli operatori sanitari: è importante creare un approccio multi-disciplinare per tante malattie, e anche questa multidisciplinarietà dev’essere vissuta in un ambito di amicizia, di fraternità ...

 

D. - Tra le vostre proposte c’è anche l’inserimento di materie medico-umanistiche nei piani di studio...

 

R. - Noi vorremmo proporre al ministro per le Università che il curriculum degli studenti universitari preveda una formazione alla relazione. Potrebbe essere possibile inserire materie come la pedagogia medica, l’etica della relazione oltre alla bioetica, cioè tutte materie che affinano le capacità dello studente a relazionarsi con il malato.

 

D. - Umanità e fratellanza sono fondamentali anche per quanto riguarda le collaborazioni tra nazioni a diverso livello assistenziale...

 

R. - Abbiamo presentato i risultati di progetti che abbiamo realizzato in Africa e nelle Filippine. E’ stata come una verifica: entrando a contatto con queste popolazioni, con questo spirito diverso, possiamo avere dei risultati terapeutici impensabili!

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Domani la visita di Benedetto XVI al Seminario Romano Maggiore,

in occasione della festa della Madonna della Fiducia

- Intervista con mons. Giovanni Tani -

 

Domani alle 18.00 il Papa si recherà in visita al Seminario Romano Maggiore in occasione della festa della Madonna della Fiducia. E’ la seconda volta che Benedetto XVI visita il Seminario diocesano: l’anno scorso il Pontefice aveva esortato i seminaristi a diffondere dovunque “il profumo della fiducia di Maria, che è la fiducia nell’amore provvido e fedele di Dio”. Ma perché la visita del Papa si svolge tradizionalmente nella festa della Madonna della Fiducia? Giovanni Peduto lo ha chiesto al rettore del Seminario, mons. Giovanni Tani:

 

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R. – Perché questa è la festa principale del nostro Seminario: è la festa della nostra Patrona. Il Papa, che è il Vescovo di Roma, viene a prendere parte alla festa del suo Seminario. Già Paolo VI venne in occasione di questa festa. Poi, Giovanni Paolo II ha consolidato una tradizione: è venuto quasi tutti gli anni qui, per la festa della Madonna della Fiducia; e per Benedetto XVI è il secondo anno, questo.

 

D. – Qual è la situazione del Seminario Romano Maggiore, attualmente?

 

R. – Gli alunni sono 121, i seminaristi romani sono 57, quasi la metà. Poi ci sono 43 seminaristi provenienti da 26 diocesi italiane e 21 seminaristi provenienti da 12 diocesi di altre nazioni, come la Bulgaria, la Croazia, la Danimarca, Haiti, la Polonia, la Romania, la Spagna, l’Ucraina e l’Ungheria.

 

D. – Voi, come Seminario romano, come diocesi di Roma, quante ordinazioni avrete quest’anno?

 

R. – Nel nostro seminario ci sono 12 diaconi che saranno ordinati dal Papa quest’anno; più quelli che vengono dal seminario Redemptoris Mater e dal Capranica.

 

D. – Come aiutare a far crescere le vocazioni in questo nostro attuale contesto, spesso così lontano da Dio? 

 

R. – Noi abbiamo ogni anno circa una decina di giovani che entrano nel Seminario; se ne stanno preparando adesso un gruppo nel propedeutico ed altri nel Seminario minore: quindi c’è una media di dieci all’anno. Ce ne vorrebbero di più. Che cosa fare? Io credo che quando si fa sperimentare che Dio non è lontano; quando la domanda di senso trova in Lui la risposta più solida; allora è più facile sentire la chiamata, il Signore che dice: “Seguimi!”. Penso che bisognerebbe non far mancare ai giovani il momento della preghiera, della riflessione, del silenzio. E per questo non penso ai grandi numeri di giovani, ma penso anche a quei pochi che sono in grado di accogliere proposte spiritualmente forti. Credo che si debba anche esplicitare di più il discorso sulla vocazione, rendendolo più normale anche nelle omelie; che sia non un discorso occasionale; far capire che la vita di fede è una risposta a una chiamata di Dio. E poi, anche, non soltanto rivolgersi ai giovani, ma rimane vero che anche per i ragazzi delle medie, delle superiori questo discorso vocazionale è valido perché essi  stanno sognando il loro futuro. E proporre loro un grande ideale non è sbagliato. E poi, anche, far riprendere, come sta avvenendo, l’impegno per i gruppi dei ministranti: del resto, molti che sono in seminario, un giorno sono stati anche chierichetti.

 

D. – A chiunque può capitare di incontrare un giovane che mostri chiari segni di vocazione: cosa dirgli?

 

R. – Io credo che lo si debba ascoltare molto, invitarlo a mettersi su una strada di preghiera e di direzione spirituale; aiutarlo a leggersi dentro, a capire bene quali sono le motivazioni che lo guidano, che lo ispirano in questo suo desiderio; dargli tempo; dare la possibilità a lui di parlare di sé, più che parlare a lui. Anche in questo, però, la vocazione è qualcosa di molto profondo, che ha bisogno di venire fuori gradualmente dal colloquio.

 

D. – Una volta che il giovane è entrato in seminario, quale tipo di vita lo aspetta?

 

R. – Soprattutto trova degli amici. Amici che, come lui, condividono lo stesso ideale, che condividono la stessa chiamata. Questo dell’amicizia all’interno del Seminario è uno dei punti forti. Poi, trovano aiuti educativi, spirituali, culturali. E poi ... il loro è un ambiente nel quale possono mettere in atto una loro libera risposta e una risposta alla grazia di Dio che li accompagna. E quindi, con tutto questo, progressivamente avviene la formazione al sacerdozio.

 

D . – Quali sacerdoti si aspetta oggi il mondo?

 

R. – C’è un mondo che, io penso, non aspetta sacerdoti. Però c’è anche un mondo che rimane molto sorpreso, anche quello distante rimane molto sorpreso, quando incontra sacerdoti attenti, disponibili, generosi, come avviene nelle parrocchie: la gente è molto contenta quando i sacerdoti sono così, quando sono capaci di illuminare i contenuti della fede e far capire come sono profondamente importanti per la vita. Sacerdoti che sanno fare intuire l’Altro, cioè il mondo di Dio, il mondo dell’anima; uomini profondamente spirituali; sacerdoti che credono alla comunità e in essa danno spazio alla responsabilità dei laici, sia agli uomini che alle donne ... Credo che tutto questo possa essere veramente una realtà. Non è soltanto una figura lontana: ci sono dei sacerdoti così, che sono molto amati dalla gente.

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Altre udienze e nomine

 

Stamani il Papa ha ricevuto un altro gruppo di presuli della Conferenza episcopale della Regione Marche e il vescovo di Foligno, Arduino Bertoldo, in occasione della visita “ad Limina”.

                                                                                                                                                            Questa sera alle 18.00 il Papa riceverà il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

 

In India, Benedetto XVI ha nominato arcivescovo di Agra mons. Albert D’Souza, finora vescovo di Lucknow.

 

 

In corso in Vaticano, la riunione dei rappresentanti pontifici

dell’America Latina in vista della quinta Assemblea generale del CELAM,

in programma in Brasile nel prossimo mese di maggio

 

Le sfide pastorali del “Continente della speranza” e, sullo sfondo, l’intenso lavoro di preparazione in vista di maggio, quando dal 13 al 31 del mese si svolgerà ad Aparecida, in Brasile, la quinta Assemblea generale del CELAM, le Conferenze episcopali dell’America Latina. Con questo piano di lavoro si incontrano, da ieri e fino a domani, presso la Domus Sanctae Marthae in Vaticano, i rappresentanti pontifici del Latino America: riunione convocata dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. L’incontro si collega idealmente all’analogo appuntamento dei rappresentanti pontifici del continente, svoltosi a Santo Domingo dal 5 al 7 novembre del 1990. “Oggi come allora - informa un comunicato ufficiale - l’attenzione è rivolta alle sfide sociali e pastorali, che la società e la Chiesa incontrano in quella vasta regione del mondo, definita dal Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, “Continente della speranza” per l’elevata percentuale di cattolici”, calcolabili in circa 480 milioni su una popolazione totale di circa 600 milioni.

        

Introdotti dal cardinale Bertone, prosegue la nota vaticana, “in un clima di preghiera e di dialogo”, insieme con l’arcivescovo Leonardo Sandri, sostituto della Segreteria di Stato, e mons. Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, i 20 rappresentanti pontifici sono chiamati a riflettere e a uno scambio di informazioni “sulla situazione sociale, religiosa ed ecclesiale dell’America Latina”. Una delle relazioni introduttive, svolta dal cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i vescovi, ha fatto il punto sulla V Assemblea generale del CELAM. Altri interventi integrativi hanno visto impegnati i cardinali Francisco Javier Errázuriz Ossa e Geraldo Majella Agnelo, che insieme al cardinale Re svolgono il ruolo di presidenti designati da Benedetto XVI per la prossima assemblea del CELAM. Un’altra relazione in programma riguarda la situazione del clero e delle sètte ed è curata dal cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero. Inoltre, sottolinea il comunicato vaticano, “verranno messi a disposizione dei rappresentanti Pontifici altri contributi elaborati dalle Congregazioni per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e per l’Educazione Cattolica, dai Pontifici Consigli per la Famiglia, della Giustizia e della Pace e per la promozione dell’Unità dei Cristiani”.

 

La riunione si concluderà domani in tarda mattinata con l’Udienza dal Papa. Com’è noto, chiosa la nota ufficiale, “è previsto che Sua Santità presieda la seduta inaugurale dell’Assemblea del CELAM, durante la sua visita in Brasile”. (A cura di Alessandro De Carolis)

 

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Oceania.

 

Servizio estero - Medio Oriente: nasce il nuovo governo palestinese di unità nazionale tra al Fatah ed Hamas.

 

Servizio culturale - Un articolo di Armando Rigobello dal titolo “L'enigmatica e insolita nozione di ‘Cristologia filosofica’": un saggio sul pensiero di Xavier Tilliette.

 

Servizio italiano - In primo piano il tema degli incidenti sul lavoro.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

16 febbraio 2007

 

Sulla famiglia, la Chiesa ha il dovere di parlare:

lo ribadisce in una nota l’Osservatore Romano.

Ai nostri microfoni, lo storico Galli della Loggia

 sottolinea che è illiberale chiedere ai vescovi di tacere

 

“Una Chiesa che si occupa delle cose di Dio non può non occuparsi delle cose degli uomini. Perché l'uomo è cosa di Dio” e “nulla più della famiglia riguarda l'uomo”. E’ il richiamo contenuto nell’edizione odierna dell’Osservatore Romano. La nota, a firma di Gaetano Vallini, si inserisce nel confronto in corso in Italia sulle coppie di fatto, particolarmente acceso dopo l’approvazione, da parte del governo, di un disegno di legge sui cosiddetti DICO. Anche il mondo cattolico si divide con la firma di appelli e controappelli, come ci riferisce Alessandro Gisotti:

 

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“La Chiesa sulla famiglia ha il dovere di parlare. Chi vuole, ascolta. Ma non le si chieda di tacere”: è quanto sottolineato dall’Osservatore Romano che si chiede “perché la Chiesa, il Papa e i Vescovi non possano intervenire su un tema tanto delicato quanto cruciale come quello della famiglia”. D’altro canto, prosegue la nota, “intervenendo, la Chiesa non difende una posizione politica, ma semplicemente adempie al suo mandato, che è anche un suo diritto: predicare con libertà la fede e insegnare la sua dottrina sociale, dando un giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico se in gioco ci sono l’uomo e la sua dignità”. Negarlo, prosegue il commento di Gaetano Vallini, “significa  negare  un  diritto-dovere”. Sono dunque “quanto meno inopportune quelle voci che in questi giorni, anche con appelli pubblici, vorrebbero far tacere questa voce tanto autorevole quanto scomoda. Tanto scomoda da essere definita da alcuni impropriamente un’ingerenza”. L’Osservatore Romano fa riferimento ad un appello ai vescovi italiani, firmato da alcuni intellettuali cattolici, dopo l’annuncio da parte del cardinale Camillo Ruini della pubblicazione di una nota sulle coppie di fatto. La Chiesa italiana, si legge in questo appello, “sta subendo un’immeritata involuzione”. Secondo i firmatari, l’annunciato intervento della CEI “è di inaudita gravità”. A questo documento, risponde un gruppo di intellettuali laici e cattolici che chiedono ai presuli italiani di “mantenere chiara e libera la loro impostazione di dottrina e cultura morale in tema di legislazione familiare”. Nello stesso appello, si ritiene “ingiusta ogni forma di intimidazione intellettuale contro l’autonomia del pensiero religioso”.

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Dunque, mentre ancora non si conosce il contenuto della nota annunciata dalla CEI, alcuni intellettuali chiedono ai vescovi italiani di non intervenire sulla famiglia. Una pretesa illiberale, secondo lo storico Ernesto Galli della Loggia, intervistato da Alessandro Gisotti:

 

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R. - La cosa più singolare mi sembra il fatto che si chieda ai vescovi, in sostanza, di non parlare su materie che non siano strettamente attinenti al Magistero, che nessuno può immaginare non lo siano. L’idea che la pronuncia dei vescovi però spaccherebbe e metterebbe in difficoltà una parte del mondo cattolico mi sembra anche questa una motivazione molto discutibile, perché i vescovi, nel pronunciarsi in materie così delicate, non possono tener conto del fatto se poi la loro pronuncia avrà o meno un consenso vasto, di quanti cattolici saranno d’accordo… Penso che c’è un rapporto con la verità della fede a cui i vescovi sono tenuti, che non può tenere conto delle conseguenze politiche o pratiche di consenso, che le loro parole possono avere.

 

D. -  In questa vicenda, dove è, secondo lei, la distinzione tra ingerenza e diritto di parola, diritto di intervento?

 

R. - Io non so, in questo caso e data la nostra situazione storica, che cosa sia l’ingerenza.  Si parla moltissimo del fatto che la CEI si rivolgerebbe ai deputati: si rivolge ai deputati cattolici, i quali naturalmente prima di essere deputati sono cattolici dal punto di vista della Chiesa! Quindi non si capisce perché la Chiesa dovrebbe rivolgersi a tutti i cattolici tranne a quelli che fanno per qualche anno i deputati. Perché a quelli non bisognerebbe rivolgersi? E’ una concezione stranissima del rapporto fra politica e fede. Si dice anche che la Chiesa, su certe materie, non dovrebbe intervenire, ma è ridicolo pensando soprattutto alla qualità delle materie che sono in discussione, sulle quali la Chiesa è sempre intervenuta. Il cristianesimo si è affermato storicamente come una rivoluzione dei costumi e quindi che la Chiesa non si pronunci su queste materie è semplicemente ridicolo. Pretendere una cosa del genere a mio giudizio non ha senso. Poi, i deputati cattolici si regoleranno secondo la loro coscienza e ne risponderanno alla loro coscienza. Ma pretendere che la Chiesa non si rivolga anche ad essi mi sembra una pretesa che da un punto di vista liberale, nel senso più ampio della parola, non ha senso.

 

D. - Come è accaduto anche in passato, basti pensare al dibattito sulla legge 40, sulla fecondazione assistita, torna ad accendersi il confronto sul rapporto tra Chiesa e Stato, sul concetto di laicità. Perché sembra che questo confronto non trovi soluzione?

 

R. - Io credo che sia un confronto che non deve trovare soluzione, guai se la trovasse! E’ un confronto fecondo, proprio perché un confronto che è nelle cose “sempiterno”. C’è Cesare e Dio e il rapporto tra Cesare e Dio non è un rapporto semplice, è un rapporto continuamente carico di tensioni. La Chiesa fa bene a difendere il suo punto di vista, lo Stato fa bene a mantenere la sua laicità, che però non vuol dire mettere a tacere la Chiesa perché questo significherebbe tra l’altro eliminare questa tensione molto viva, molto inerente alla stessa identità cristiana. Penso che il contrasto nasca dal fatto che il cristianesimo ha l’ambizione di esprimere un giudizio morale anche sul potere, sul comportamento del potere. Lo ha fatto da quando si è affermato nell’Impero romano, è la sua caratteristica, come del resto è la caratteristica di molte religioni. Al tempo stesso però riconosce un’autonomia al potere, ma questo non significa non giudicarlo.

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Il presidente palestinese, Abu Mazen, incarica il premier, Ismail Haniyeh,

di formare il nuovo esecutivo. Ma gli Stati Uniti avvertono:

il futuro governo palestinese dovrà riconoscere Israele

- Intervista con Joseph Maïla -

 

Nei Territori Palestinesi è iniziata la delicata fase per la formazione del governo di unità nazionale: il primo ministro, Ismail Haniyeh, ha rassegnato le dimissioni nelle mani del presidente Abu Mazen. Il presidente palestinese ha poi subito incaricato Haniyeh di formare il nuovo esecutivo. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

 

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                   In base agli accordi della Mecca dello scorso 8 febbraio, il governo di unità nazionale sarà composto da uomini di Hamas, al Fatah, formazioni minori e politici indipendenti che occuperanno alcuni ministeri chiave. Il nuovo esecutivo, ha detto Haniyeh, condurrà i palestinesi “verso una nuova era”. Secondo fonti locali, il primo ministro metterà a punto la squadra di governo nel giro di cinque settimane e poi andrà in Parlamento per ricevere il via libera definitivo. La Comunità internazionale ha già indicato condizioni imprescindibili: il futuro governo palestinese – avverte l’ammini-strazione statunitense - dovrà riconoscere il diritto di Israele a esistere, rinunciare alla violenza e accettare gli accordi internazionali siglati in passato. Il governo uscente, insediatosi dopo le elezioni politiche dello scorso anno, era formato solo da ministri di Hamas e ha sempre respinto queste condizioni. Adesso si spera che un governo non più monocratico possa avere posizioni più flessibili. Una prima parziale verifica di questo eventuale ed auspicato cambio di atteggiamento ci sarà già lunedì prossimo, quando a Gerusalemme si incontreranno il segretario di stato americano, Condoleezza Rice, il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, e il presidente palestinese, Abu Mazen.

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Il Medio Oriente dunque appare perennemente in bilico tra speranze di pace e una difficile convivenza tra le popolazioni dell’area. Se ne è discusso recentemente a Roma in un convegno organizzato dall’ambasciata di Francia presso la Santa Sede e dal centro culturale Saint Louis de France. Relatore d’eccezione è stato Joseph Maïla, direttore del Centro di Ricerche sulla Pace. Stefano Leszczynski lo ha intervistato:

 

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R. – We do have to be very hopeful, since the negotiations …

Il fatto che i negoziati siano giunti a una conclusione e sia stato raggiunto un accordo rappresenta un elemento di speranza, ma a livello di relazioni intra-palestinesi dobbiamo attendere l’effettiva formazione del governo di unità nazionale per vedere se i palestinesi sono effettivamente in grado di dialogare. Penso che i palestinesi sappiano molto bene che la situazione in cui si trovano è pessima e altrettanto bene sanno che se continuano a lottare fra loro presto non ci sarà più alcuna causa nazionale da difendere.

 

D. – A rendere il tutto ancora più complicato anche la crisi innescata dai lavori israeliani nei pressi della spianata delle Moschee …

 

R. – I think that the most important thing is that ...

Credo che la cosa più importante sia il fatto che qui vengono toccati dei simboli essenziali al credo dei musulmani, degli ebrei e anche dei cristiani. Quindi non si possono affrontare con una ‘normale’ politica, ma bisogna rispettare la fede degli altri e trattare con loro per dimostrare un grande rispetto per la loro fede.

 

D. – Crede che l’intervento della comunità internazionale sia l’unica via praticabile nella soluzione della crisi mediorientale?

 

R. – I think that every solution has to be a two-fold solution. …

Credo che ogni soluzione debba avere due facce: innanzitutto la pace deve essere portata avanti dalle stesse parti in conflitto, arabi, libanesi, palestinesi e gli israeliani. Ma se non c’è una spinta che viene dall’esterno, se non c’è un sostegno diplomatico da parte dell’Unione Europea, dalla Russia o dalle Nazioni Unite e dagli Stati Uniti,  ovviamente non sarà possibile far sedere questi popoli intorno a un tavolo per discutere i loro problemi. Bisogna dare delle garanzie per gli accordi che eventualmente porteranno alla pace, quindi il sostegno internazionale è indispensabile.

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CHIESA E SOCIETA’

16 febbraio 2007

 
 

Aperta ieri con una cerimonia nella cattedrale di Wittenberg,

in Germania, l’ultima fase preparatoria della prossima Assemblea

ecumenica europea, in programma a settembre, a Sibiu in Romania.

Riuniti fino a domenica, nella città di Lutero, 150 delegati

delle varie confessioni cristiane

 

WITTENBERG. = Si è aperta ieri in Germania, con una cerimonia nella cattedrale di Wittenberg, la terza ed ultima tappa preparatoria dell’Assemblea ecumenica europea (AEE3), prevista a Sibiu, in Romania, nel prossimo settembre. Promossa dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) e dalla Conferenza delle Chiese europee (CEC/KEK) l’Assemblea sarà incentrata sul tema “La luce di Cristo illumina tutti – Speranza di rinnovamento e unità in Europa”. L’incontro nella città tedesca – riferisce l’agenzia SIR - vede 150 delegati di tutta Europa, riuniti fino a domenica nell’Università Leucorea, che ospita i lavori. Gratitudine per l’invito “nella città di Lutero, che non voleva la divisione ma l’unità nella fedeltà al messaggio di Cristo”, è stata espressa alle Chiese tedesche dal presidente della CEC/KEK, Jean-Arnold de Clermont. Dal canto suo il cardinale Pèter Ërdo, presidente Ccee e primate d’Ungheria ha sottolineato che “l’unità spirituale e culturale dell’Europa è una grande sfida per i cristiani: in un’Europa che si sta unificando la Chiesa deve costituire un importante fattore di unità e speranza”. “Senza l’amore e la misericordia di Dio non possiamo contribuire molto, come cristiani e come Chiese, alla costruzione dell’Europa”, ha aggiunto il vescovo protestante Axel Noack. Diritti umani, rispetto per l’ambiente, lotta contro la povertà: questi, per il vescovo Wolfang Huber, presidente del Consiglio evangelico delle Chiese in Germania (EKD), “gli ambiti sui quali è attesa una chiara testimonianza dalle Chiese”. Il rappresentante della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo Gerhard Feige, ha evidenziato l’importanza “di spiritualità e preghiera nel pellegrinaggio verso la AEE3”. (R.G.)

 

 

Nell’anniversario del Protocollo di Kyoto, un gesto per l’ambiente:

alle 18.00 di questa sera l’Italia s’illumina di meno.

Monumenti e piazze al buio contro gli sprechi energetici e i gas serra

 

ROMA. = Alle 18.00 di questa sera, in occasione del secondo anniversario dell’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, l’Italia sarà avvolta da un black-out volontario. Giunge alla terza edizione “M’illumino di meno”, l’iniziativa lanciata dalla trasmissione di Radiodue, Caterpillar, quest’anno patrocinata dai ministeri dell’Ambiente e delle Politiche Agricole. La luce verrà spenta in molti luoghi simbolo della Penisola, a partire dal Palazzo del Quirinale, grazie all’autorevole adesione del presidente della Repubblica, immediatamente seguita da quella della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. Molti i monumenti che resteranno al buio, in più di 6 mila ristoranti si cenerà a lume di candela, centinaia saranno le città coinvolte. “Si tratta di una sana azione di limitazione del superfluo”, ha detto il ministro dell’ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, ricordando, poi, come un semplice gesto di tanti cittadini permise nella passata edizione di risparmiare, in un’ora e mezza, la stessa quantità di energia consumata dalla regione Umbria in un giorno. Grande l’impegno da parte della Tv di Stato, che seguirà in diretta gli spegnimenti più spettacolari con collegamenti da piazza San  Marco a Venezia, dalla Fontana di Trevi a Roma e da Piazza della Scala a Milano. (E.L.)

 

 

 L’educazione è un bene pubblico, un diritto personale e sociale,

che vede nella famiglia l’attore primario e naturale, ribadiscono

i vescovi argentini in un ampio documento dedicato alla nuova Legge sul sistema scolastico nazionale. I presuli chiedono garanzie sul diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni etiche,

filosofiche e religiose

 

BUENOS AIRES. = Riteniamo importante che la nuova Legge sul sistema educativo nazionale consideri l’educazione “un bene pubblico nonché un diritto personale e sociale e che, come conseguenza, riconosca nella famiglia l’agente primario e naturale dell’educazione stessa, garantendo ad essa il diritto di scegliere per i figli l’istituzione educativa che corrisponda alle proprie convinzioni etiche, filosofiche e religiose”. Così, i vescovi argentini, in un ampio documento della Commissione per l’Educazione cattolica, sulla nuova legge approvata in Parlamento dopo molti mesi di discussione e già promulgata con la firma del presidente Kirchner pochi giorni fa. I presuli dichiarano di “vedere con speranza la creazione dell’Istituto nazionale per la formazione dei docenti, chiamato a pianificare, coordinare ed eseguire politiche che hanno come scopo la formazione permanente dei docenti così come la creazione del Consiglio consultivo che garantisce la partecipazione di tutti i settori rappresentativi della società nella definizione di queste politiche”. Ricordano però i vescovi argentini che “l’educazione è un affare pubblico e perciò deve coinvolgere tutti i settori della nazione chiamati alla partecipazione responsabile, come, tra l’altro, si legge nel testo della nuova legge”.  La dichiarazione conclude rilevando che i pastori della Chiesa in Argentina, nel quadro di un pluralismo sano, consapevoli del riemergere di progetti egemonici, come quello che la Legge sancisce con “l’introduzione dell’ideologia del genere” (gender), opposto alla realtà indiscutibile che fa dell’essere umano una persona sessuata, non faranno mai mancare il proprio contributo. L’episcopato torna, ancora una volta, a deplorare l’articolo 92 che ratifica il discusso “Protocollo facoltativo della Convezione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna” (CEDAW). A giudizio dei vescovi argentini, “il proposito lodevole di lottare contro ogni discriminazione che colpisca la dignità e i diritti della donna non può servire di copertura per promuovere cambiamenti negativi nella cultura del nostro popolo, contro i valori fondamentali che sono apprezzati da parte della maggioranza degli argentini. Ci riferiamo, in concreto – spiegano i presuli – alla difesa della vita umana dal suo concepimento, alla famiglia fondata sul matrimonio, inteso come un'unione stabile fra un uomo e una donna, alla maternità che esprime una vocazione propria e insostituibile della donna nella società”. La nostra voce e i nostri contributi, lontani dal ledere la promozione della donna, cercano di tutelarla e difenderla. Purtroppo – concludono i vescovi dell’Argentina - non siamo stati ascoltati. E’ deplorevole inoltre che il voto dei legislatori non sia stato preceduto da un dibattito maturo e sereno, senza pressioni ideologiche”.

(A cura di Luis Morales Badilla)

        

 

Visita in Terra Santa per venti insegnanti cattolici di Seminari cinesi,

allo scopo di approfondire lo studio della Bibbia e promuovere

lo scambio culturale con esponenti di altre confessioni religiose

 

GERUSALEMME. = La formazione nei Seminari è considerata una delle urgenze fondamentali nella missione della Chiesa in Cina. Per questo, venti insegnanti di Seminari cinesi sono a Gerusalemme per un mese di studio della Bibbia. Il progetto, che prevede anche incontri con esponenti di altre religioni e confessioni, è stato promosso dalla Federazione Biblica Cattolica, organizzazione internazionale legata al Pontificio consiglio per l’Unità dei Cristiani, che comprende istituzioni pastorali e bibliche di tutto il mondo. Il gruppo, per la maggior parte composto da sacerdoti, è accompagnato nel suo soggiorno a Gerusalemme da due religiosi benedettini e da due laici della Federazione Biblica Cattolica. La visita, iniziata alla fine di gennaio, avrà termine il 23 febbraio e prevede per domenica prossima il festeggiamento del nuovo Anno cinese, nella località di Taghba, in Galilea.(E.L.)

 

 

Il tema dell’emigrazione fra Cina e Mongolia e in Germania,

al centro di due pellicole in concorso al Festival di Berlino,

giunto in dirittura d’arrivo per la consegna degli Orsi

 

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BERLINO. = La letteratura e la cronaca contemporanea segnano il finale del 57° Festival di Berlino. A due giorni dalla cerimonia di premiazione, la Berlinale ci propone con “Desert Dream” del cinese Zhang Lu e “Yella” del tedesco Christian Petzold due incursioni nel mondo dei migranti. Il primo si svolge in una zona non lontana dalla frontiera fra Cina e Mongolia, il secondo sull’altra riva dell’Elba, fiume che ancora divide l’antico territorio della Germania dell’Est da quello dell’Ovest. In queste due terre di confine, ancora impregnate dei sogni di un futuro migliore, si svela l’illusione degli esseri umani, il loro destino di sofferenza e di speranza. In “Desert Dream”, un uomo che si batte da solo contro la desertificazione delle steppe incontra una donna nordcoreana, in fuga con il figlio. In “Yella” una donna, che ha lasciato la famiglia in cerca di un lavoro e di una nuova vita, si associa ad un uomo che la introduce nel mondo della finanza. Nessuno di loro troverà ciò che cerca. Entrambi i film, estremamente distaccati e rispettosi della dignità umana, mostrano un presente difficile, spesso privo di valori morali, proponendo come meta ultima una lucida presa di coscienza. Più viscerale e indignato, ma anche ottimista, come sono in genere i prodotti hollywoodiani, è “Bordertown” di Gregory Nava, che ci racconta dell’inchiesta di una coraggiosa giornalista sulle attività criminose che nella città di Juarez, posta sul confine con gli Stati Uniti e sede di un intenso sfruttamento industriale, hanno fatto migliaia di vittime fra le donne che vi lavorano. Interpretato con dedizione da Jennifer Lopez e Antonio Banderas, il film, pur non oltrepassando i limiti del pudore, non esita a mostrarci immagini raccapriccianti delle violenze e dei delitti compiuti sulle giovani operaie, denunciando il clima di corruzione totale, del corpo e dello spirito, che regna in certe zone del mondo. Lieve e ispirato, nonostante la drammatica vicenda che racconta, è invece “Ne touchez pas la hache”,  di Jacques Rivette, tratto da un romanzo di Honoré de Balzac. (A cura di Luciano Barisone)

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Al via la III edizione di “Narrare la professione. Il giornalismo

raccontato da chi lo fa”, promossa dall’Unione cattolica stampa italiana (UCSI) del Lazio. L’iniziativa, rivolta ai giovani, entra quest’anno

negli atenei romani.  Primo appuntamento il 21 febbraio

con  Jean Leonard Touadi, all’Università “La Sapienza

 

ROMA. = Riparte “Narrare la Professione. Il giornalismo raccontato da chi lo fa”. L’iniziativa rivolta ai giovani, promossa dall’Unione cattolica stampa italiana (UCSI) del Lazio, propone per la terza edizione 2007 - visto il successo degli anni passati -  un nuovo un ciclo di incontri a Roma per scoprire il lavoro affascinante di ogni giorno, le tentazioni, le regole e i trucchi di un mestiere che è ancora uno dei più sognati dai giovani. Ascoltando la voce dei protagonisti saranno offerte alcune linee guida per orientarsi nell’avventuroso e complesso mondo del giornalismo. Quest’anno, in particolare “Narrare la professione” entrerà nelle Università, che hanno aderito all’iniziativa. Questo il calendario degli incontri fissati di mercoledì, alle ore 17: il 21 febbraio, con Jean Leonard Touadi, giornalista e assessore all’Università e ai giovani del Comune di Roma, Università “La Sapienza” (ex Caserma Sani, via Principe Amedeo, 184); il 7 marzo, con Fabio Zavattaro, giornalista vaticanista Rai, Università Pontificia Salesiana, Facoltà Scienze della Comunicazione (piazza Ateneo Salesiano, 1); il 28 marzo, con David Sassoli, vicedirettore e conduttore del Tg1 Rai, Libera Università degli Studi Maria SS. Assunta (LUMSA), Facoltà di Lettere (borgo Sant'Angelo 13); il 18 aprile,  con Francesco Zizola, fotoreporter, Università Pontificia Gregoriana, Facoltà di Scienze Sociali (piazza della Pilotta, 4); in data da stabilirsi a maggio, con Gianni Riotta, direttore del Tg1 Rai, UCSI Lazio (via in Lucina 16/A). L’adesione agli incontri è gratuita e verrà rilasciato un attestato di partecipazione. Per ogni informazione rivolgersi all’indirizzo Internet: ufstampa_ucsi.lazio@yahoo.it (R.G.)

 

 

 

24 ORE NEL MONDO

16 febbraio 2007

 

- A cura di Amedeo Lomonaco -

 

In Afghanistan, un comandante talebano ha annunciato che circa 10 mila guerriglieri sono pronti per sferrare una serie di “attacchi sanguinosi” contro truppe dell’Alleanza atlantica. L’annuncio arriva dopo il discorso con cui il presidente americano, George Bush, ha rivelato ieri che la NATO lancerà una “offensiva di primavera” contro i talebani. Bush, che ha chiesto ai Paesi dell’Alleanza atlantica di inviare più soldati, ha anche ringraziato l’Italia per il “contributo” dato con “mezzi aerei” alla missione.

 

In Italia, intanto, circa 40 mila persone sono previste domani a Vicenza per la manifestazione contro l’ampliamento della base americana. La città è blindata e saranno adottate misure di sicurezza straordinarie. Il presidente di Forza Italia, Silvio Berlusconi, ha dichiarato che “ilno’ all’allargamento sarebbe un atto grave per il suo valore simbolico e politico”. Il vicepremier, Francesco Rutelli, confida in una manifestazione pacifica ma in caso contrario assicura la massima severità.

 

Restiamo in Italia: è stato rinviato a giudizio il generale Nicolò Pollari per concorso nel sequestro dell’imam Abu Omar. Con l’ex capo del SISMI, sono stati rinviati a giudizio anche il dirigente del Servizio segreto militare, Marco Mancini, altri funzionari e 26 agenti della CIA. Il processo è stato fissato per l’8 giugno.

In Iraq, almeno 4 persone sono morte per l’esplosione di un ordigno a Baquba, nel cosiddetto “triangolo sunnita”. Ha avuto vasta eco, intanto, la notizia che Abu Ayyub al Masri, successore di al Zarqawi alla guida di al Qaeda in Iraq, sarebbe rimasto ferito durante una sparatoria con soldati iracheni. La notizia, riferita dall’emittente satellitare Al Arabiya, è stata prima confermata dal portavoce del Ministero dell’interno e poi smentita dai servizi di intelligence iracheni. Fonti irachene continuano poi a sostenere che il leader radicale sciita, Moqtada al Sadr, avrebbe trovato rifugio in Iran. Al Sadr non si è presentato oggi nella moschea a Kufa dove, solitamente, dirige la preghiera del venerdì.

 

L’Africa, al centro del XXIV vertice franco-africano iniziato ieri a Cannes. Al summit, partecipano 43 capi di Stato e di governo africani e la presidente di turno dell’Unione Europea, il cancelliere tedesco, Angela Merkel. Il vertice di Cannes è caratterizzato dall’analisi del sempre minore ruolo francese nel continente africano, dove cresce invece l’influenza di Paesi come Cina e Stati Uniti. Stefano Leszczynski ne ha parlato con Domenico Quirico, africanista del quotidiano La Stampa:

 

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R. – Ad una Francia indebolita, che non ha i mezzi economici e militari per mantenere quel ruolo, si contrappongono Cina e Stati Uniti. La Cina ha scatenato in Africa un’offensiva che non è soltanto economica ma già potenzialmente politica. La Cina è presente nell’economia, negli aiuti a moltissimi Paesi che vanno dal Sudan all’Angola, dal Mozambico alla Nigeria. Gli Stati Uniti hanno iniziato questo nuovo grande gioco in Africa per fermare l’avanzata cinese e soprattutto per mantenere il controllo delle materie strategiche, in primo luogo il petrolio, e poi anche un controllo di tipo militare. E’ appena stato istituito un altro comando americano per l’Africa, che è una novità assoluta.

 

D. – Ecco, un grande confronto con i cinesi che tuttavia non rispecchia quello che era il confronto della Guerra Fredda…

 

R. – Oggi l’Africa è un grande polo di attrazione economica, produce materie prime che servono in modo vitale sia alla Cina sia agli Stati Uniti sia all’Occidente. Il potere dei leader africani è molto aumentato, non ci sono più le illusioni, i proclami ideologici del terzo mondismo degli anni ’60; contano i dollari, contano gli yuan, contano gli euro e quanto denaro uno mette sul tavolo per comprare queste materie prime. Il dato che resta inalterato è il vantaggio nullo che la società civile africana trae da tutto questo.

 

D. – Quale potrebbero essere le aspettative da questo vertice di Cannes?

 

R. – Ma io credo che sul piano concreto ne uscirà molto poco, se non dichiarazioni di principio, molto retoriche ma vuote. In realtà, i 48 rappresentanti degli Stati africani che sono presenti a Cannes hanno già intuito che i loro interlocutori sono altri e non sono più qui in Francia. Poi parlano del dopo Chirac, un post-Chirac molto radicale e diverso da quello attuale.

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Durante il vertice di Cannes, il presidente sudanese, Omar el Béchir, ha dichiarato intanto che l’Unione Africana ha la responsabilità di mantenere la pace nella martoriata regione del Darfur. L’ONU – ha aggiunto – non deve avere che “un ruolo logistico e tecnico”.

 

E sempre per quanto riguarda l’Africa, a suscitare forti preoccupazioni di Nazioni Unite e Unione Africana è, in questi mesi, l’aggravarsi della situazione in Guinea Conakry. Ieri, c’è stato l’incontro tra governo e sindacati per tentare di stemperare le tensioni dovute all’inasprimento del regime del presidente Lansana Conté, da 23 anni alla guida del Paese africano.

 

Dopo il recente accordo raggiunto a Pechino sul nucleare nordcoreano, il Giappone ha annunciato stamani una serie di colloqui bilaterali con la Corea del Nord. Lo scopo dei colloqui, previsti la prossima settimana, è di alleviare il gelo prevalso negli ultimi anni nelle relazioni tra i due Paesi. La notizia arriva dopo l’analoga decisione presa da Corea del Nord e Corea del Sud di riavviare colloqui ufficiali dopo sette mesi di sospensione. L’obiettivo è di tornare ad una cooperazione bilaterale e di migliorare la disastrata economia nordocoreana. Ma quali scenari apre la ripresa dei negoziati intercoreani? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews:

 

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R. – Innanzitutto, uno scenario di maggiore tranquillità e pace tra le due Coree. La tensione sul nucleare, ma soprattutto la possibilità di una guerra che avrebbe potuto portare a migliaia, se non milioni di profughi nel Sud Corea e all’interno dell’Estremo Oriente, era veramente un problema grandissimo. In più, naturalmente, la Corea del Sud era uno degli obiettivi nel mirino. Questo ritorno al dialogo permette una maggiore tranquillità per la Corea del Sud, ma anche una maggiore speranza per la Nord Corea. La ripresa dei colloqui significa che la Nord Corea può fare un altro passo avanti per un miglioramento della situazione della popolazione che è veramente allo stremo.

 

D. – Guardando in prospettiva, il fatto che si crei un forte polo coreano può incontrare l’opposizione di qualche grande potenza?

 

R. – Probabilmente il Giappone è quello, attualmente, che presenta più difficoltà ma perché vuole avere delle garanzie per quanto riguarda il ritorno dei giapponesi rapiti dalla Nord Corea. Per la Cina, io penso sia molto meglio perché con la ripresa dei colloqui sarà più tranquilla. La Corea del Sud è molto impegnata inoltre nel commercio con la Cina, quindi una maggiore tranquillità della Corea del Sud vuol dire anche una migliore economia nel-l’Estremo Oriente. Gli USA hanno accettato poi per ultimo questo accordo che potrebbe essere un modello per altri Paesi che hanno “sogni” nucleari.

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Rimpasto di governo in Russia e cambio al vertice in Cecenia. Sono le ultime decisioni del capo del Cremlino, Putin, mentre si avvia una lunga campagna elettorale per le presidenziali del marzo 2008. Putin ha infatti promosso a primo vicepremier Serghei Ivanov, già titolare del Ministero della difesa, ora affidato ad Anatoli Serkdiukov. Ivanov raggiunge quindi una posizione di pari grado a quella di Dmitri Medvedev, altro primo vicepremier, considerato però rappresentante dell'ala più liberale: entrambi sono in lizza per la più alta carica dello Stato. In Cecenia, invece, Putin ha nominato presidente ad interim il premier Ramzan Kadyrov, dopo aver accolto le dimissioni di Alu Alkhanov. Sul significato di queste scelte, Giada Aquilino ha intervistato Fulvio Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana e grande esperto di questioni russe:

 

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R. – In Cecenia, è un cambio al vertice relativo, perché Ramzan Kadyrov è sempre stato l’uomo forte di Mosca nella Repubblica caucasica ed anche per questo era stato, per esempio, al centro degli attacchi della Politkovskaja, la giornalista che è stata assassinata a Mosca nell’ottobre scorso. Mi sembra più interessante, invece, quello che è successo al Cremlino, perché Putin è notoriamente poco incline ai cosiddetti rimpasti. Io credo che questi cambiamenti - e cioè la nomina a ministro della Difesa di Serkdiukov e la nomina di Ivanov al ruolo di primo vicepremier - debbano essere anche letti nell’ottica della fine del secondo mandato di Putin e di quello che può succedere dopo, in vista delle presidenziali del prossimo anno.

 

D. – Quindi è una sorta di investitura?

 

R. – Potrebbe esserlo. Ci sono però moltissime persone in Russia che non sono affatto convinte che Putin sia destinato ad uscire di scena.

 

D. – Alla Difesa è andato un fedelissimo di Putin, a cui il presidente ha detto di voler affidare il nuovo programma di riarmo da qui al 2015. Alcuni osservatori hanno notato in questa scelta una certa volontà di rafforzare l’apparato militare…

 

R. – Serkdiukov è stato capo del Servizio federale fiscale ed anche questa volta Putin ha pescato nell’ambiente che conosce meglio. Quanto alle prospettive di riarmo della Russia, queste sono in atto già da tempo e, tra l’altro, il settore degli armamenti rende molto al Paese con le vendite all’estero. C’è da dire che il vero segnale che la Russia non ha alcuna intenzione di recedere da questa strada si ha proprio con la nomina a primo vicepremier di Ivanov: la sua carica implica pure un mandato ad interessarsi e a curare da vicino proprio l’apparato industriale e militare, da sempre colonna dell’economia prima sovietica e dopo russa.

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Secondo giorno del processo in Spagna per le stragi dell’11 marzo 2004: il marocchino Youssef Belhadj, considerato uno degli ideatori degli attentati, si è rifiutato di rispondere alle domande dell’accusa, come aveva fatto ieri Osman Rabei, detto Mohammed l’Egiziano. Sulla prima udienza del processo, il servizio di Ignacio Arregui:

 

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         La prima seduta pubblica del processo per l’attentato a Madrid del 11 marzo del 2004 ha offerto qualche sorpresa ieri pomeriggio. Il primo imputato ad essere interrogato chiamato “L’egiziano” non solo ha negato ogni relazione con gruppi di Al Qaeda e con gli autori dell’ attentato, ma lo ha anche condannato categoricamente, precisando: “Questa mia condanna è chiara e assoluta”. Poi, ha aggiunto una sua condanna personale e totale agli attentati terroristici di New York e di Londra, “indipendentemente dalle vittime che ci siano state”, ha detto. Ha dichiarato anche tra l’altro di essere all’oscuro sulla provenienza e delle caratteristiche degli esplosivi utilizzati nell’attentato di Madrid, e ha riaffermato la sua fede religiosa musulmana, negando però ogni adesione a forme estreme o radicali. Rabei Osman el sayed Ahmed, questo il suo vero nome, era stato arrestato dalla polizia italiana a Milano il 7 giugno del 2004. Era stato poi estradato a Madrid. Secondo la registrazione di una sua conversazione telefonica, avrebbe rivendicato l’organizzazione dell’attentato di Madrid. All’inizio dell’udienza, ieri mattina, aveva anticipato che non avrebbe risposto a nessuna domanda, neppure della sua difesa. Contrariamente a questa sua affermazione, poi invece, nel pomeriggio, ha dato risposta ad alcune domande della difesa. Ricordiamo che sono 29 gli imputati presenti in aula tra i quali 15 marocchini, 9 spagnoli, due siriani, un algerino, un libanese, e un egiziano. Il processo potrebbe avere una durata di circa cinque mesi. 

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