RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 46 - Testo della trasmissione di giovedì 15 febbraio 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Il Papa celebrerà il Mercoledì delle Ceneri
nella Basilica romana di Santa Sabina all’Aventino
Riscoprire nella vita il valore della morale naturale:
ce ne parla padre Gianluigi Pasquale
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
La
Congregazione della Missione in festa per i venti anni della formazione della
provincia cinese
Secondo la FAO entro il 2025 l’acqua sarà
insufficiente per circa 2 miliardi di persone
Avviata in Iraq la chiusura dei
valichi con l’Iran e la Siria per evitare l’afflusso di combattenti stranieri e
la fornitura di armi alle milizie sciite
15 febbraio 2007
Risolvere le tensioni fra le due Coree con
mezzi pacifici,
per ridurre i rischi della corsa agli armamenti nucleari:
l’appello di Benedetto XVI al presidente sudcoreano,
ricevuto in udienza
La corsa al nucleare nella penisola coreana preoccupa la
Santa Sede e Benedetto XVI invita le parti in causa a non compromettere il
delicato negoziato in corso, ma anzi a fare tutto ciò che possa
dirimere pacificamente la questione. L’appello è contenuto nella lettera
consegnata questa mattina da Benedetto XVI al presidente della Repubblica sudcoreana, Roh Moo-hyun, ricevuto in udienza in Vaticano.
L’incontro in privato è durato poco meno di mezz’ora ed ha
visto il Pontefice e il capo di Stato sudcoreano
evocare - secondo la nota ufficiale della Sala Stampa vaticana - “i cordiali
rapporti tra la Santa Sede e la Repubblica di Corea, nonché l’intesa e la cooperazione
esistenti fra la Chiesa cattolica e le autorità civili”. La situazione politica
e sociale nell’Asia Orientale e, in particolare, “l’evoluzione del processo di
riconciliazione nella Penisola coreana e sul rispetto e sulla promozione dei
diritti umani in quella Regione” sono stati gli altri temi del colloquio, riecheggiati
dalla lettera di Benedetto XVI al presidente della Corea del Sud. Sul suo
contenuto, il servizio di Alessandro De Carolis:
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“Sollecito le parti interessate a compiere ogni sforzo per risolvere con
mezzi pacifici le tensioni attuali e ad astenersi da ogni gesto o iniziativa
che possano mettere in pericolo le trattative, accertandosi nel frattempo che
la parte più vulnerabile della popolazione coreana del nord abbia accesso
all’aiuto umanitario”. Parole accorate che Benedetto XVI usa, a metà lettera,
quando tocca uno dei punti nevralgici della cronaca
internazionale: la corsa agli armamenti nucleari e il negoziato in corso con la Nord-Corea. Il Pontefice definisce la corsa al nucleare
un “rischio” e una “fonte di
ulteriore di preoccupazione” anche per la Santa Sede, che segue da vicino
l’evolversi della situazione. Ma quella del Pontefice è una lettera ricca di
solidarietà e di comprensione per tutte le circostanze, storiche e attuali, nei
quali versano i due Paesi divisi dal 38° parallelo. “Per oltre cinquanta anni – si legge all’inizio - la
popolazione coreana ha sofferto le conseguenze della divisione”: famiglie
spaccate, parenti e vicini “separati l'uno dall'altro”. “Il
mondo moderno – osserva Benedetto XVI - è tristemente contrassegnato da un
crescente numero di minacce contro la dignità della vita umana” e dunque,
scrive, desidero porgere il mio apprezzamento a “tutti quelli che nel vostro
Paese lavorano per sostenere e difendere la sacralità della vita, il matrimonio
e la famiglia, settori nei quali, com'è noto, la Chiesa cattolica in Corea è particolarmente
attiva”.
Lo sguardo di Benedetto XVI si posa poi sulla realtà sociale interna
della Corea del Sud. “Il vostro Paese - constata - ha sperimentato di recente
un notevole sviluppo economico, del quale ringrazio Dio. Allo stesso tempo –
prosegue - sono tuttavia consapevole che non tutti i cittadini sono in grado di
trarre pieno giovamento da questa aumentata prosperità. Sollecito dunque il
vostro governo – conclude il Papa - a lavorare in armonia con tutti coloro che
cercano di promuovere il bene comune e la giustizia sociale”.
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Il Papa nomina mons. Francesco Coccopalmerio nuovo
presidente del Pontificio Consiglio per i Testi
Legislativi.
Sostituisce nell’incarico il cardinale Julián Herranz Casado
- A cura di Alessandro Gisotti -
Benedetto XVI ha accolto la rinunzia presentata dal
cardinale Julián Herranz Casado all’incarico di presidente del Pontificio
Consiglio per i Testi Legislativi, per sopraggiunti limiti d’età. Il Papa ha
chiamato a succedergli mons. Francesco Coccopalmerio, finora ausiliare dell’arcidiocesi di
Milano, elevandolo in pari tempo alla dignità arcivescovile. Nato a San
Giuliano Milanese, 68 anni fa, mons. Coccopalmerio è
stato ordinato sacerdote nel 1962. Dal 1966 al 1999 è stato professore di
Diritto Canonico nella Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale. Nominato
vescovo ausiliare di Milano nel 1993, è presidente della Commissione episcopale
per i Problemi giuridici della Conferenza episcopale italiana. Autore di
numerose pubblicazioni di carattere giuridico e pastorale, dall’agosto del 2000
è membro del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Sempre oggi, il Papa ha nominato vice-presidente del
medesimo Pontificio Consiglio, mons. Bruno
Bertagna, uditore generale della Camera
Apostolica, elevandolo in pari tempo alla dignità di arcivescovo. Il Santo
Padre ha poi nominato segretario dello stesso dicastero vaticano mons. Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, della Prelatura
dell’Opus Dei.
Il
Papa celebrerà il Mercoledì delle Ceneri
nella Basilica romana di Santa Sabina
all’Aventino
Il 21 febbraio 2007, Mercoledì delle Ceneri, giorno di
inizio della Quaresima, avrà luogo un’assemblea di preghiera nella forma delle
“Stazioni” romane presieduta da Benedetto XVI. E’ quanto comunica oggi
l’Ufficio delle Celebrazioni liturgiche pontificie. Alle ore 16.30, nella
Chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, avrà luogo un
momento di preghiera, cui farà seguito la processione penitenziale verso la
Basilica di Santa Sabina. Qui, al termine della processione, avrà luogo la
celebrazione dell’Eucaristia con il rito di benedizione e di imposizione delle
ceneri.
Primi
echi alla preghiera personale del Papa per l’Agorà dei giovani,
perché siano protagonisti della loro vita di
fede
-
Intervista con don Alessandro Amapani -
“Con Maria in dialogo con Gesù” è il titolo della supplica
alla Vergine per l’Agorà dei giovani composta
personalmente dal Papa e letta ieri per la prima volta da Benedetto XVI
nell’incontro nella Basilica di San Pietro con i fedeli e i vescovi delle
Marche, la regione che ospiterà il
raduno giovanile previsto a settembre nel Santuario mariano di Loreto, primo
dei tre grandi appuntamenti, cui parteciperà il Santo Padre, tappa d’avvio di
un cammino triennale che passerà per Sidney nel 2008 e proseguirà con altri
eventi nel 2009. Quale eco di questa particolarissima preghiera che proprio i
giovani avevano chiesto al Papa? Roberta Gisotti lo
chiesto a don Alessandro Amapani, vice-responsabile
dell’Ufficio per la Pastorale giovanile della Conferenza episcopale italiana,
che ha promosso l’Agorà dei giovani:
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D. - Don Alessandro sappiamo che la preghiera già
pubblicata sul sito Internet www.agoradeigiovani.it
sta già diffondendosi per l’Italia e non solo…
R. – Questo è un segno forte che il Papa ci ha dato - e ci
ha sorpreso - perché dirci che Maria è Colei che ci indica il cammino, che ci
porta in dialogo all’ascolto con Gesù, è la traccia proprio di questo primo
anno, di questo triennio dell’Agorà dei giovani.
D. – Don Alessandro, la preghiera del Papa a Maria recita:
“aiutaci a portare la gioia nel mondo” ed ancora
“aiutaci a levare in alto lo sguardo”. Quale messaggio in queste parole per un
giovane, per la sua vita di ogni giorno?
R. – Sono suppliche che guardano alla ferialità
del mondo giovanile. Lo cita anche ad un certo punto, quando all’inizio,
stupendamente, il Papa dice: “Maria, tu aiutaci ad ascoltare Gesù, perchè
conosci il suo timbro di voce, conosci il suo battito del cuore”. Sono espressioni
normalissime nel mondo giovanile. E’ un testo ed è un’invocazione che guarda
alla loro ferialità e che guarda soprattutto a quello
che è ordinario nella loro esistenza, e cioè la prassi normale di tutti i
giorni, della lotta dell’essere credenti in questo mondo che si fa, come dice
sempre il Santo Padre, sempre più laicista e sempre più individualista. E
dall’altra parte, questo sguardo continuo dalla ferialità
all’alto, che è Dio, che fa vivere ai ragazzi questa loro dimensione di vita di
tutti i giorni.
D. – Il motto dell’Agorà è rendere i giovani sempre più
protagonisti della propria missione. Del mancato protagonismo dei giovani si
parla anche in termini di società laica. Quali sono i motivi di questo
oscuramento, in qualche modo, del protagonismo giovanile?
R. – Ci stiamo rendendo conto, soprattutto guardando alla
storia italiana degli ultimi anni, che i giovani sono sempre più considerati
come un problema, come una dimensione problematica della nostra società,
qualche volta – possiamo dirlo - anche a livello ecclesiale. Quindi, anche il
nostro interessamento a loro, e il nostro intervento con loro, ha sempre una
dimensione problematica e di recupero. Noi, con l’Agorà, vogliamo dire – il
Papa ce l’ha sostenuto nella preghiera, e i vescovi
italiani lo stanno dicendo a tutti – che i giovani per noi sono un talento.
Così i vescovi italiani nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”
chiamano i giovani. Sono un talento, una profezia, e sono loro capaci di rileggere
la situazione ordinaria che vivono. San Benedetto dice nella sua regola che,
quando un padre abate deve fare delle scelte dure e straordinarie per la comunità
monastica, tenga sempre in conto il parere del giovane, perchè al più giovane
spesso lo Spirito rivela la verità e la sua volontà.
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Riscoprire
la legge naturale al centro della vita umana
-
Intervista con padre Gianluigi Pasquale -
Si è concluso a Roma il Convegno internazionale, promosso dalla Pontificia Università Lateranense e
richiesto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, sul tema “La
legge morale naturale. Problemi e prospettive”. La riflessione si è soffermata
sulla dimensione teologica, filosofica e giuridica della legge morale naturale
per rilevarne, in un secondo momento, gli aspetti epistemologici e antropologici.
L’approfondimento si è valso dei contributi di docenti provenienti da diversi
Paesi e del dibattito fra i docenti delle Università romane. Dibattito, questo,
volto a creare una base comune di ricerca interdisciplinare. Tra i teologi
intervenuti, il padre cappuccino Gianluigi Pasquale, preside dello Studio
Teologico Laurentianum
di Venezia, al quale Giovanni Peduto ha chiesto quali riflessioni lo abbiano
colpito in modo particolare:
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R. – Quella del teologo della Casa Pontificia, il quale ha
esplicitamente parlato del fatto che non ci deve essere soltanto una fides et ratio, ma
anche una fides et un liberum arbitrum e quello che
a me ha interessato di più una fides et passio. E questo proprio per dire che la legge
naturale colpisce ed interessa non soltanto la fede, ma anche la nostra volontà
e il nostro libero arbitrio.
D. – Perché oggi la legge morale naturale viene spesso rigettata?
R. – Viene spesso rigettata
perché c’è una specie di proceduralità giuridica che
vorrebbe far passare per vero quello che è un consenso democratico attorno ad
alcuni presunti diritti del diritto positivo, che non sempre hanno una trasparenza
tale nella legge morale naturale.
D. – Quali sono le conseguenze di questo rifiuto?
R. – Le conseguenze del rifiuto sono note a tutti e
riguardano un certo relativismo che entra come una diastasis, come una separazione tra la legge naturale, che noi riusciamo a
scoprire con la retta ragione e che tutti acconsentano a riconoscere come tale
e, invece, alcuni diritti che vengono soprattutto da – per così dire – piccoli
gruppi di potere che vogliono avere la loro cassa di risonanza e che, talvola, se non guidati dalla retta ragione sono diametralmente
in contrasto con la legge naturale.
D. – Il Papa ha esortato credenti e non credenti ad un
fecondo dialogo sulla base della legge naturale…
R. – Sì e questo perché la legge naturale, in quanto tale,
viene prima della legge naturale morale. La legge naturale, infatti, è
riconoscibile ex naturae
suae, cioè “per natura sua”, da coloro che
credono e da coloro che non credono, perché la semplice ragione che vede la
verità trasparente della legge naturale: in parole semplici, è la semplice
ragione che vede che quando nasce la vita, essa pretenda che debba raggiungere
fino alla fine la sua germinazione.
D. – In tanti inneggiano alla natura, ma la Chiesa sembra
talvolta un po’
solitaria nel difendere la legge naturale…
R. – Sembra in questo momento che la Chiesa cattolica sia
rimasta la sola ad avere la certezza, insisto sul termine “certitudinem-certezza”,
di quanto sia importante la legge morale e la legge
naturale morale. Il fatto che sia rimasta sola non deve importare, deve invece
soprattutto importare il fatto che essa abbia una tradizione che la spinga in
avanti ad annunciare, con coraggio e con fermezza, quello che ha sempre
ritenuto giusto dover proclamare per la salvaguardia del bene della persona
stessa. Altrimenti, c’è il rischio che ci sia un
diritto positivo completamente rescisso dalla legge naturale e dalla legge
naturale morale che non difende più i valori del singolo individuo, di quell’individuo appunto che è guidato da una ragione
chiara, che vede come la natura per sé abbia – per così dire – il codice
genetico di quella che è la salvaguardia della vita.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Italia.
Servizio estero - Libano: pacifica e corale
commemorazione dell’anniversario dell'uccisione di Hariri
Servizio culturale – “Il vento” è il titolo di una
piccola fiaba inedita che Giuseppe Bonaviri regala a
grandi e piccini.
Servizio italiano - Base USA; corteo:
preoccupazione per le forze dell'ordine. L'allarme del Ministro Amato.
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15 febbraio 2007
La Chiesa ha il diritto-dovere di
difendere la famiglia: così,
il
vescovo Vincenzo Paglia. Per il giurista Giuseppe Dalla Torre,
sbagliata la contrapposizione tra laici e cattolici
su un
valore universale come la famiglia
“Meno DICO più famiglia”: è questo il titolo che campeggia
sulla copertina dell’ultimo numero di
Famiglia Cristiana. Con la sua scelta, si legge in un editoriale del
settimanale dei Paolini, “il governo indica una
strada pericolosa e ambigua”. Con i DICO, prosegue, “non si lancia un segnale
positivo ai giovani, ai quali si indica così come possibile e praticabile un modello,
meno impegnativo e stabile, alternativo alla famiglia, senza la quale tuttavia
nessun Paese può costruire il proprio futuro”. Intanto, il dibattito sui DICO e
la famiglia è sempre acceso nella società italiana, mentre continuano le accuse
di ingerenza alla Chiesa italiana da parte di alcuni settori politici. Critiche
inopportune, sottolinea il vescovo di Terni-Narni-Amelia,
mons. Vincenzo Paglia, intervistato da Luca Collodi:
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R. - Si tratta di una grossa miopia, di una grossa
sciocchezza, perché fortunatamente abbiamo raggiunto la libertà di parola, che
è uno dei diritti fondamentali dell’uomo.
Anzi, guai se non parlasse, guai se non esprimesse questa prospettiva
ideale, che peraltro è il campo proprio della Chiesa! Il problema non è legato
al tacere della Chiesa, semmai il problema è che tutti, chi crede e chi non
crede, in questo caso, chi è cattolico e chi non lo è, dobbiamo esercitare
quella dimensione ragionevole della ragione, che il Papa sottolinea spesso.
Esercitiamo questo ragionamento sulla base di un pensiero umano per aiutarci
tutti a scrivere leggi che aiutino la società nella
sua crescita, ed è auspicabile che chiunque intervenga per inserirsi in questo
dibattito, che è proprio della democrazia, per far crescere la vita della
società. In questo senso, è davvero miope, oltre che illiberale, mettere il
bavaglio a chiunque.
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Uno degli errori che si stanno compiendo nel confronto sui
DICO è di considerare la famiglia esclusivamente una “questione cattolica”. Ne
è convinto il giurista Giuseppe Dalla Torre, rettore dell’Università LUMSA di
Roma, al microfono di Alessandro Gisotti:
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R. - Evidentemente ai cattolici stanno a
cuore la famiglia e il matrimonio, ma il problema “famiglia e matrimonio” è un
problema che riguarda l’intera società. La famiglia è sempre stata la cellula
fondamentale della società, il luogo nel quale la società si è riprodotta e il
luogo nel quale la società ha trovato le basilari e fondamentali forme di
solidarietà. Quindi, credo che il tema “famiglia” non possa essere un tema
soltanto cattolico, ma un tema di carattere generale.
D. – Si può dire, dunque, che c’è stata un’esasperazione
dei toni…
R. – Io ho l’impressione che anche in questo caso si tenda
a spostare l’ottica della discussione da un dibattito sui problemi, che da un
punto di vista giuridico, politico, possono essere affrontati e discussi, ad una contrapposizione laici-cattolici.
Non so se questa deviazione sia una deviazione fatta ad arte, ma certo si perde
un’occasione di approfondire, quindi anche di dialogare, mettendo invece dei
muri, mettendo degli steccati.
D. – Purtroppo, si registra anche una divisione o comunque
una contrapposizione nel mondo cattolico…
R. – Anche qui ho l’impressione che giochi più l’emotività
o, come dire, il prevalere della ragione politica, che non, da un lato, il
senso di responsabilità di un’appartenenza, e dall’altro, invece, il porre la
questione in termini, ripeto nuovamente, razionali e quindi discutibili e
verificabili.
D. – Guardiamo un po’ più all’aspetto giuridico. Nel
disegno di legge sui cosiddetti DICO si parla di “convivenze affettive”. Quali
scenari apre questa formula?
R. – A me questo riferimento all’affetto suscita delle
perplessità. Intendiamoci, la vita dell’uomo è una vita attraversata
dall’affetto, attraversata dai sentimenti. Questo vale nella famiglia, vale
nell’amicizia. A me pare, però, dal punto di vista del diritto, che la
dimensione dei sentimenti, la dimensione quindi affettiva, debbano esulare. E’
chiaro che è auspicabile che nella società crescano rapporti di amicizia,
quindi rapporti fondati sul sentimento. Tuttavia, a me pare che il diritto non
possa fermarsi a questo elemento, che sfugge alla sua osservazione.
D. – Da giurista, secondo lei, c’è con i DICO il rischio
che si vada ad instaurare, come qualcuno ha sostenuto,
una specie di “parafamiglia”?
R. – A me pare, almeno così come è stato elaborato, che
questo riferimento al paradigma familiare ci sia in
alcune norme che sono qualificanti, come quelle in materia successoria. Il che
significa che, in fondo, il modello soggiacente è il modello del matrimonio e
quindi della famiglia.
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La
Chiesa deve alzare il livello di guardia formativo fra i giovani:
il commento di mons. Miglio della CEI, dopo i nuovi arresti
fra le
Brigate Rosse
Non si allenta, in Italia, la tensione seguita all’arresto
dei presunti militanti delle Brigate Rosse-Seconda posizione, da tre giorni
sottoposti a interrogatorio da parte degli inquirenti. Nelle prime ore di
stamani, è stato scoperto, all’interno di un bidone
nascosto sotto il terreno in un casolare nella campagna di Bovolenta,
nel padovano, l’arsenale del gruppo terroristico. Le Forze dell’ordine hanno
messo sotto sequestro numerose armi da fuoco, tra le quali Kalashnikov,
Uzi e Skorpion. Alla
vicenda guarda con grande preoccupazione anche la Chiesa italiana. Fabio Colagrande ha chiesto un commento al presidente della
Commissione CEI per i Problemi sociali e il lavoro, mons. Arrigo Miglio, vescovo
di Ivrea:
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R. – Quella degli arresti mi pare una notizia molto grave,
che costringe noi tutti a fare un esame di coscienza: la comunità ecclesiale, i
pastori e gli educatori. Il problema dei giovani, lo sappiamo, è un problema
grave. Questa notizia, però, ha aperto uno squarcio su una parte di mondo
giovanile che non è quello dello “sballo”, delle discoteche. Mi pare che una
notizia del genere richieda a tutti quanti noi una vigilanza educativa
maggiore. Dobbiamo alzare il livello di guardia, dal punto di vista dell’impegno
educativo e le comunità cristiane, le comunità parrocchiali, sono chiamate ad
impegnarsi nell’educazione. Troppo in fretta abbiamo cominciato a dire che le
ideologie erano morte, erano passate, mentre le ideologie ci sono. Ma nascono
delle miscele esplosive tra vecchie e nuove ideologie, che hanno delle matrici
comuni, profonde, che toccano l’antropologia.
D. – Sembra che per molti giovani, pensiamo anche a quello
che è successo negli stadi di calcio recentemente, la violenza non sia più una
scelta grave, una scelta da condannare, ma la si viva
con molta leggerezza…
R. – E’ veramente paradossale perché con tante parole
sulla pace e la non violenza che abbiamo detto in questi anni, la violenza
rischia invece di diventare una cultura condivisa, una cultura accettata.
L’accostamento con la violenza negli stadi credo sia importante, io stesso lo
ho detto in questi giorni in altra occasioni. E’ un
insieme di cultura che va sottoposta a critica. Questi sono episodi che hanno
dei denominatori comuni. E’ tutta una cultura che dobbiamo rivedere.
D. – Un’altra riflessione che volevo chiederle riguarda il
fatto che tra i possibili obiettivi nel mirino dei brigatisti ci fosse un giuslavorista come Pietro
Ichino. Perché il terrorismo vede fra i suoi
obiettivi chi è impegnato nelle riforme del mondo del lavoro?
R. – Il problema del mondo del lavoro è sicuramente molto
complesso e, in questi anni, si è dibattuto - da una parte - sulla necessità di
una riforma di leggi, di norme, perché le condizioni del lavoro cambiano, ma -
dall’altra - è pur vero che ci sono state delle derive, tipo quelle del
precariato spinto. Se poi a questo aggiungiamo che c’è tutta una parte di
lavoro nero e di lavoro sommerso, a cui non si presta
abbastanza attenzione, credo che riuscieremmo a
capire come questo mondo del lavoro possa diventare terreno di una cultura
della violenza. E’, dunque, importante una maggiore chiarezza nel distinguere
quelle che sono le necessarie riforme, che continuamente vanno aggiornate, ma è
ugualmente importante un rifiuto di situazioni di precarietà, che per i giovani
diventano veramente intollerabili.
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I pellegrinaggi verso Roma,
Gerusalemme e Santiago, strade
lungo le quali è
maturata la coscienza cristiana europea
-
Intervista con padre Caesar Atuire
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Si è concluso ieri, 14 febbraio, il
XV Convegno Nazionale Teologico Pastorale dell'Opera Romana Pellegrinaggi. Il
tema di quest'anno, "Cammini d'Europa - Romei, Palmieri
e Giacobei", ha preso in esame quei
pellegrinaggi, diretti rispettivamente a Roma, Gerusalemme e Santiago di Compostela, che hanno formato una vera e propria geografia
dell'Europa. Ma in che modo la comune esperienza cristiana
ha fatto da connessione in questa rete di cammini? Rosario Tronnolone
lo ha chiesto al direttore generale dell'ORP, padre Caesar
Atuire:
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R. – Questi movimenti, in qualche modo, hanno per così
dire tracciato la “mappatura” spirituale dell’Europa.
Ci sono, infatti, una serie di iniziative per rivalorizzare
questi cammini. Abbiamo pensato di soffermarci per rifletterci un po’ sopra.
D. - Quali sono stati i punti fondamentali toccati in
queste giornate del Convegno?
R. – Io credo che il punto essenziale emerso durante
questo convegno sia che questi cammini toccano l’identità dell’Europa, perché
per capire l’Europa si ha bisogno di conoscere la sua storia, le sue radici che
hanno poi portato alla conformazione dell’identità europea, che è una identità non soltanto geografica, ma soprattutto
culturale. La cultura di base che ha formato questa identità è naturalmente il
cristianesimo. E, facendo queste riflessioni, abbiamo visto l’importanza di
sottolineare l’identità europea e non soltanto l’identità chiusa in se stessa o
una identità che si va, in qualche modo, a
sottolineare per entrare in contrasto con gli altri: si tratta soprattutto ed anzitutto
di una possibilità di conoscersi meglio per poi potersi aprire e dialogare
meglio con gli altri.
D. – Lei parla di dialogo e questo è proprio il tema di
una delle relazioni di mons. Rino Fisichella, che
aveva come titolo una frase di Goethe, che parla
appunto dell’Europa nata nel pellegrinaggio, ma unita
da un’unica lingua materna, nonostante naturalmente la pluralità rappresentata
dal cristianesimo…
R. – Questa è la realtà. Basti pensare che quando i
pellegrini partivano per Roma o partivano per Santiago dovevano attraversare
diverse nazioni europee, che non sono le nazioni che noi conosciamo oggi, e che
spesso erano anche in conflitto. Ma la cosa importante è che durante questo
cammino dei pellegrini, loro incontravano almeno un linguaggio, una cultura che
li accoglieva, che dava loro una certa unità. Pertanto questa esperienza del
pellegrinaggio può essere anche un momento per superare le differenze che
esistono.
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La
conferenza episcopale portoghese non abbandona
per analizzare la situazione
- Con
noi Pedro Vaz Patto -
I vescovi del Portogallo si riuniranno domani per
discutere i risultati del referendum sulla depenalizzazione dell’aborto di
domenica scorsa. Nella consultazione – lo ricordiamo - ha vinto il “sì”,
tuttavia, questo dato non sarà vincolante perché non è stato raggiunto il
quorum necessario dei votanti: solamente il 43,6 per cento degli aventi diritto si è infatti presentato alle urne. Nonostante
l’enorme astensione, il primo ministro, José Sócrates, il cui governo ha la maggioranza assoluta in
Parlamento, ha affermato che “l’aborto cesserà di essere un crimine nelle prime
dieci settimane di gestazione”. In questo quadro, la Chiesa portoghese ha fatto
sapere che non rinuncerà alla lotta in difesa della vita. In particolare, mons.
Jorge Ortiga, arcivescovo
di Braga e presidente della Conferenza episcopale portoghese, ha precisato che
“la questione della vita per sua natura non dovrebbe essere trattata attraverso
un referendum”. Sulla questione, al microfono di Fabio Colagrande,
è intervenuto Pedro Vaz
Patto, magistrato e membro della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza
episcopale portoghese:
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R. – Devo dire che, in un certo senso, il risultato del
referendum è una delusione perché si constata che
D. – Come sarà il futuro del dialogo tra
R. – Io penso che non si debba ridurre questa faccenda ad
una questione di rapporto tra
D. – In concreto, cosa faranno
questi cattolici impegnati nelle associazioni, d’ora in poi? Quale sarà la
linea d’azione da seguire, proprio per non permettere ad una nuova legge di
liberalizzare, in qualche modo, l’aborto in Portogallo?
R. – Io non penso che possiamo avere grandi speranze, ma
penso che la cosa più importante sia la formazione delle coscienze: questo,
veramente, è un lavoro che bisogna fare perché questo risultato è un segno di
una crisi di valori che è molto evidente anche nelle generazioni più giovani.
E’ qualcosa che deve farci riflettere. Questa è la sfida: di lavorare sul piano
della solidarietà concreta verso le madri in difficoltà, un lavoro che è stato
fatto già in questi anni e che sicuramente sarà rinforzato.
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15 febbraio 2007
L’arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, è
stato eletto ieri
presidente della Conferenza episcopale siciliana
PALERMO. = “Sarò al servizio
dei confratelli come i vescovi saranno a servizio dei fedeli, non solo perché
la società si aspetta questo da noi, ma soprattutto perché questo è l’essere
Chiesa”. Così, il neo-arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, eletto ieri
presidente della Conferenza episcopale siciliana. Succede al cardinale
Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, che per dieci anni ha
guidato i vescovi siciliani. “Per i prossimi anni il cammino da compiere è
quello della comunione - ha detto l’arcivescovo Romeo dopo l’elezione -
della popolazione in vista delle elezioni
presidenziali e parlamentari
di aprile, considerate un passaggio cruciale per
LAGOS. = Sensibilizzare la
popolazione nigeriana in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari del
21 aprile. Questa la campagna della Chiesa cattolica nigeriana, annunciata nei
giorni scorsi dall’arcivescovo di Lagos, cardinale Antony
Okogie. Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, che
cita l’agenzia CISA di Nairobi, il cardinale Okogie,
sottolineando che la qualità delle persone elette dal popolo determina la
qualità del governo. Quindi, ha ammonito gli elettori a non prestarsi a truffe
elettorali perché significa mettere le proprie vite alla mercé dei politici. Le
elezioni di aprile sono viste come un passaggio molto delicato nella storia
della Nigeria. Vista la decisione specifica del parlamento, dopo due mandati
l’attuale capo dello Stato, Olesegun Obasanjo, non può essere rieletto. La lotta per la successione
ad Obasanjo avviene sullo sfondo di tensioni tra le
regioni del nord e quelle del sud, con un uso strumentale del fattore religioso
e dell’irrisolta questione delle spartizioni delle risorse petrolifere,
concentrate nel Delta del Niger. Malgrado
della formazione della provincia cinese
TAIPEI. = La provincia cinese
della Congregazione della Missione (Lazzaristi) ha
festeggiato recentemente i 20 anni delle sua fondazione
nella parrocchia di Cristo Re, nell’arcidiocesi di Tai
Pei. Secondo l’agenzia Fides, che cita il bollettino dell’arcidiocesi, Christian Life Weekly, alla
celebrazione giubilare hanno partecipato religiosi provenienti da tutte le
parti dell’isola di Taiwan, dalle Filippine e dal continente, le rappresentanti
della congregazione femminile delle suore della carità e tanti amici e
simpatizzanti dei Lazzaristi.
Gli auguri dell’arcivescovo di Milano,
cardinale Dionigi Tettamanzi,
al suo predecessore, il cardinale Carlo Maria Martini,
in occasione del suo ottantesimo compleanno
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MILANO. = Un augurio nel segno della pace quello
che l’arcivescovo di Milano, cardinale Dionigi Tettamanzi
ha rivolto al suo predecessore, il cardinale Carlo Maria Martini, in occasione,
oggi, dell’ottantesimo compleanno. Lo ha fatto con un messaggio in cui “a nome dei cristiani ambrosiani e di tutti quelli che ti
hanno conosciuto” – scrive – “nel segno della pace, la pace di un cuore abitato
dalla Parola di Dio, continuiamo ad apprezzarti nel ministero della
predicazione e della consolazione e desideriamo unirci con affetto e gratitudine
alla tua incessante preghiera per la pace di tutto il mondo”. Sono centinaia i
messaggi di auguri giunti al sito Internet della diocesi, che per l’occasione
ha aperto un’apposita sezione. Auguri telematici,
tutti con un ricordo ed una dedica, messaggi giunti anche dall’estero, oltre
che dal territorio della diocesi guidata per 22 anni dal presule, che ora passa
gran parte del suo tempo a Gerusalemme, realizzando così un sogno di studio e di preghiera coltivato lungo tutto il suo ministero
episcopale. E a Gerusalemme lo festeggeranno almeno un migliaio di persone che
hanno già aderito al pellegrinaggio diocesano in Terra Santa che si terrà dal 12 al 19 marzo prossimi. Lo guiderà il cardinale Tettamanzi che, con l’ottantesimo compleanno del suo
predecessore, festeggerà così il cinquantesimo anniversario della sua ordinazione
sacerdotale. Il cardinale Martini è nato a Torino il 15 febbraio 1927. Entrato
nella Compagnia di Gesù, è stato rettore del Pontificio Istituto Biblico prima
di venir nominato, sul finire del 1979, arcivescovo di
Milano da Giovanni Paolo II. (A cura di Fabio Brenna)
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“La
Civiltà cattolica” definisce “un episodio di giornalismo avvilente” l’inchiesta
del settimanale ‘L’Espresso’, che ha reso pubbliche
le confessioni in alcune chiese. “E’ un sacrilegio nei confronti
del sacramento della penitenza, che
afferma la rivista dei gesuiti
ROMA. = L’inchiesta del settimanale ‘L’Espresso’
sui confessionali italiani rappresenta un “oltraggio” che se fosse stato
rivolto verso l’islam o la religione ebraica certamente non sarebbe stato
tollerato. Lo scrive ‘
Sono 1261 le edizioni della Bibbia,
tradotte in 160 lingue, raccolte in uno studio di Giovanni Rizzi, docente di
Sacra Scrittura all’Università Urbaniana
CITTA’ DEL VATICANO. = 1261
edizioni della Bibbia in oltre 160 lingue provenienti da tutto il mondo. E’ il
patrimonio biblico documentato presso la biblioteca dell’Università Pontificia Urbaniana, classificato e descritto nello studio di Giovanni
Rizzi, “Edizioni della Bibbia nel contesto di Propaganda Fide”,
presentato ieri sera presso l’ateneo. Condotto dal docente di Sacra Scrittura
all’Università Urbaniana, legata alla congregazione
per l’Evangelizzazione dei popoli (ex-Propaganda Fide), lo studio è diviso in 3
volumi, dedicati rispettivamente alle edizioni nelle lingue costitutive del
testo sacro, a quelle del continente europeo, a quelle di Asia, Oceania, Africa
e continente americano. Le edizioni – afferma l’agenzia SIR - provengono dalle
stesse diocesi e circoscrizioni di ‘Propaganda Fide’,
dicastero fondato nel 1622 per diffondere la fede cattolica in tutto il mondo
“presso gli infedeli e gli eretici”, oltre che dalla chiesa ortodossa e
riformata. “Il patrimonio dei testi biblici – ha osservato Marek
Rostkowsky, direttore della Biblioteca – fornisce
importanti informazioni sulle chiese locali, sul loro modo di leggere il testo
biblico, nella liturgia e nel privato, sul modo di interpretarlo”. La ricerca,
ha aggiunto infine l’autore, corrisponde al progetto di individuare le
“traiettorie di inculturazione della fede attraverso l’osservazione delle
edizioni bibliche”. (E. B.)
La
gestione sostenibile di risorse idriche limitate sarà una delle sfide
centrali del
prossimo secolo. Secondo la FAO, entro il 2025
l’acqua
sarà insufficiente per circa 2 miliardi di persone
ROMA. =
Entro il 2025, quasi 2 miliardi di persone vivranno in condizioni di assoluta
scarsità d’acqua. E’ l’allarme lanciato ieri dalla FAO (Organizzazione delle
Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), secondo cui, per oltre i
2/3 della popolazione mondiale c’è il rischio di dover affrontare una grave
crisi idrica nei prossimi anni. Secondo gli esperti dell’agenzia dell’ONU si
tratta di una situazione preoccupante, considerato che – si legge in una nota
diffusa ieri dalla FAO – il consumo d’acqua “è cresciuto a un ritmo doppio
rispetto al tasso di crescita della popolazione”. Principale imputata è
l’agricoltura, primo fattore di consumo dell’acqua a livello mondiale. Oggi, fa
sapere
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15 febbraio 2007
- A cura di
Amedeo Lomonaco -
In Iraq, si intensifica la
battaglia contro il terrorismo: le autorità irachene hanno cominciato a
chiudere i valichi di confine con Iran e Siria. Il provvedimento è stato preso
per impedire l’arrivo di combattenti stranieri e la fornitura di armi alle
milizie sciite. Un parlamentare iracheno ha dichiarato intanto che il leader
radicale sciita, Moqtada al Sadr,
si troverebbe in Iran per una breve visita. Proprio contro la Repubblica
islamica, il presidente americano Bush ha lanciato
ieri nuove, pesanti accuse. Il servizio di Paolo Mastrolilli:
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Nel corso di una conferenza
stampa, il presidente Bush ha ribadito ieri l’accusa
secondo cui un gruppo d’elite delle forze armate di Teheran
avrebbe fornito armi ed esplosivi alla guerriglia. Il capo della Casa Bianca ha
detto di non sapere se l’ordine è venuto direttamente dal leader della
Repubblica islamica, ma ha promesso di stroncare questo traffico. Bush ha negato che sta preparando un attacco al regime
degli ayatollah, ribadendo la speranza di risolvere la crisi nucleare con gli
strumenti diplomatici, come è appena avvenuto con la Corea del Nord. Un altro elemento, però, si è aggiunto alle tensioni
tra i due Paesi. Secondo il Pentagono, Moqtada Al Sadr, il religioso sciita antiamericano, si sarebbe rifugiato
proprio in Iran alla vigilia dell’annunciata offensiva per stabilizzare Baghdad.
Durante la conferenza stampa, Bush si è dovuto
difendere anche dalle critiche interne. La Camera dei deputati sta discutendo
una risoluzione contraria al suo piano per l’invio di oltre 21 mila militari in
Iraq; il voto dovrebbe arrivare domani. Il presidente ha ripetuto che la sua decisione
serve ad ottenere una vittoria indispensabile a Baghdad, rimproverando ai suoi
avversari di aver bocciato la nuova strategia prima ancora che cominciasse.
Quindi, li ha sfidati a tagliare i fondi per i soldati, sicuro che questa
misura impopolare si ritorcerebbe contro i democratici.
Da New York, per la Radio
Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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In Iran, intanto, rimane alta l’allerta dopo che ieri una bomba è esplosa a Zahedan,
nella parte meridionale del Paese, provocando la morte di almeno 11 persone.
L’ordigno è scoppiato al passaggio di un autobus appartenente ai Guardiani
della Rivoluzione. L’attentato è stato rivendicato dal gruppo sunnita estremista
“Joundallah - Brigata di Allah”, particolarmente
attivo nell’area al confine con Pakistan e Afghanistan.
Nuovo rinvio per la nascita del governo di
unità nazionale palestinese: è stato annullato il discorso televisivo previsto
per oggi con cui il presidente Abu Mazen avrebbe dovuto nominare l’attuale premier di Hamas, Ismail Haniyeh,
a capo del nuovo esecutivo. Lo scorso 8 febbraio, delegazioni dei due partiti
palestinesi avevano raggiunto alla Mecca un accordo per la ripartizione dei
ministeri.
La Corea del Nord e la Corea del Sud tornano a
parlarsi a livello ministeriale: i governi dei due Paesi hanno annunciato che
dal 27 febbraio al 2 marzo si terranno a Pyongyang colloqui
ufficiali bilaterali. Le
relazioni tra le due Coree si erano interrotte nel luglio del 2006 dopo un
esperimento missilistico nordcoreano. L’importante
decisione di riprendere i colloqui è arrivata dopo la storica intesa di martedì
scorso a Pechino sul disarmo nucleare nordcoreano.
L’accordo, raggiunto da due Coree, Cina, Stati
Uniti, Giappone e Russia, prevede lo smantellamento dell’arsenale nucleare di Pyongyang in cambio di forniture energetiche e alimentari.
Altro giro di vite contro la
corruzione in Bangladesh: il governo ad interim ha varato
un provvedimento che vieta a coloro che sono stati condannati per aver commesso
reati penali di candidarsi alle prossime elezioni. In Bangladesh,
è stato proclamato lo stato di emergenza lo scorso 11 gennaio dopo sanguinosi
tumulti. Attualmente, è in carica un governo provvisorio con
a capo l’ex governatore della Banca Centrale, Fakruddin
Ahmed. L’esecutivo ha promesso di eliminare la corruzione
prima di fissare nuove elezioni. Le forze di sicurezza hanno arrestato, finora,
oltre 100 politici tra cui una decina di ex ministri.
Si è aperto stamani a Madrid il
processo per le stragi dell’11 marzo 2004, una delle pagine più drammatiche
della storia recente della Spagna. Sono 29 le persone accusate di avere responsabilità
negli attacchi che hanno causato 191 morti. Il servizio di padre
Ignacio Arregui:
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E’ iniziata questa mattina a Madrid la prima seduta
pubblica del processo per gli attentati terroristici dell’11 marzo del 2004. Il
primo imputato ad essere interrogato è stato Rabei Osman el Sayed
Ahmed, chiamato anche “Mohammed
l’egiziano”, il quale in una conversazione telefonica registrata dalla polizia
italiana si sarebbe dichiarato organizzatore dell’attentato. L’“egiziano” si
trovava allora a Milano, e dopo essere stato arrestato dalla polizia italiana
il 7 giugno del 2004 fu estradato a Madrid. L’“egiziano” si è rifiutato di rispondere
alle domande dei magistrati ed ha annunciato che non risponderà neppure alle
domande della sua difesa. Il processo continuerà con gli interrogatori di altri
due imputati considerati i “cervelli” o massimi responsabili dell’attentato e,
a quanto pare, legati al mondo del movimento terroristico internazionale al Qaeda. Le sedute a partire da oggi si terranno tre volte alla settimana. Gli imputati presenti in aula sono 29, dei quali
15 del Marocco, 9 spagnoli, due siriani, un algerino, un libanese e un
egiziano. Si prevede che il processo possa durare cinque mesi.
Ignazio Arregui, per la Radio
Vaticana.
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La
questione del Kosovo è stata al centro della prima
seduta del nuovo Parlamento serbo, eletto lo scorso 21 gennaio: la stragrande
maggioranza dei deputati serbi ha votato ieri una risoluzione di condanna del
piano dell’inviato dell’ONU, Martti Ahtisaari, che prevede una parziale sovranità per il Kosovo. Delegazioni di Belgrado e Pristina sono state
invitate a Vienna il 21 febbraio prossimo per discutere sulla bozza delle
Nazioni Unite. Ma la netta presa di posizione della Serbia rischia di
compromettere i negoziati ancor prima del loro inizio.
Il Parlamento Europeo riunito a Strasburgo in sessione
plenaria ha approvato ieri la relazione della commissione di inchiesta sui voli
della CIA in Europa presentata dall'eurodeputato dei DS, Claudio Fava. Dal documento
emerge una condanna “dei trasferimenti straordinari in quanto strumenti
illegali utilizzati dagli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo”. La relazione
raccoglie prove di operazioni illegali di agenti americani in Europa contro
presunti terroristi.
Si è aperto stamani a Cannes il 24.mo
vertice Francia - Africa, al quale prendono parte delegazioni di 48 Paesi
africani. Si tratta dell’ultimo summit al quale prende parte il presidente francese,
Jacques Chirac, che ha
sempre dedicato grande attenzione al Continente africano. Il nostro servizio:
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Il vertice è incentrato, soprattutto, sul conflitto nella
regione occidentale sudanese del Darfur e sulle possibili
ripercussioni di questa crisi in Ciad e nella Repubblica Centrafricana.
Inaugurando il summit, il capo di Stato francese, Jacques
Chirac, ha chiesto a tutte le parti coinvolte nel
conflitto di accettare il dispiegamento di una forza di pace in Darfur. All’incontro, incentrato sul tema “Africa ed
equilibri mondiali”, partecipano oltre al presidente francese anche il cancelliere
tedesco, Angela Merkel, e diversi capi di Stato e
politici africani. Le aree tematiche sono tre: le materie prime in Africa; il posto e
il peso dell'Africa nel mondo; l’Africa e la società dell’informazione. Durante i lavori, sarà presa in esame anche la difficile situazione in Guinea
Conakry, dove violente manifestazioni e dure repressioni
hanno provocato, a partire da gennaio, la morte di oltre 110 persone. In Guinea,
è cominciata, intanto, una seconda ondata di scioperi e proteste. I sindacati chiedono le dimissioni del
presidente, Lansana Conté,
salito al potere 23 anni fa con un colpo di Stato. Il ministro
degli Esteri francese, Philippe Douste-Blazy,
ha comunque ribadito nei giorni scorsi che la Francia
resterà l’“instancabile avvocato” dell’Africa, un continente destinato a
divenire “la nuova frontiera del ventunesimo secolo”.
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L’Uganda è teatro di
nuovi scontri: l’esercito ugandese ha reso noto di
aver ucciso, ieri, almeno 45 guerrieri tribali nella regione nord orientale di Karamoja. L’azione rientra in un’operazione militare
iniziata un anno fa per disarmare tribù pastorali che usano armi per razzie di
bestiame. Nei giorni scorsi – ha riferito un portavoce militare – ci sono stati
diversi agguati e sono morte molte persone. Le Nazioni Unite e diverse organizzazioni
per i diritti umani hanno accusato l’esercito, lo scorso dicembre, di
utilizzare metodi troppo duri per disarmare le tribù. L’ONU ha anche denunciato
vari casi di abusi da parte di soldati ugandesi nei
confronti di civili.
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