RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 44 - Testo della trasmissione di martedì 13 febbraio 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
La famiglia al centro del dibattito in Italia: con noi mons.
Luigi Moretti e Francesco Belletti
CHIESA E SOCIETA’:
Raggiunto l’accordo sul nucleare nord-coreano
Tre morti in un attentato in Libano che il
cardinale Bertone definisce in funzione anticristiana
Italia: la polizia colpisce le nuove Brigate Rosse
13 febbraio 2007
Il Messaggio di Quaresima di
Benedetto XVI:
nella follia della
Croce, l'esempio più grande di
"agape"
e di "eros" di Dio per
l'uomo. Il Papa invita i cristiani a vivere la Quaresima difendendo la dignità
delle persone
Gesù che muore in Croce è la rivelazione più sconvolgente
dell’amore di Dio: mostra, al tempo stesso, la forza dell’agape di Dio - cioè del dono del suo amore all’uomo - e la forza
dell’eros divino, cioè del desiderio
che Dio ha che l’uomo accolga il suo amore. Questo insegnamento di Benedetto
XVI costituisce l’essenza del suo Messaggio per la Quaresima che inizierà il
prossimo 21 febbraio. Quaresima che il Papa chiede sia vissuta come “tempo
eucaristico”, spesa cioè contro tutto ciò che offende la dignità umana. Sui
contenuti del messaggio, il servizio di Alessandro De Carolis.
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La Quaresima 2007 guarda al dramma del Calvario, al
mistero d’amore che si è consumato sul Golgota, rivelazione dell’agape e dell’eros di Dio, dei due volti con i quali Dio ama l’umanità. La
Quaresima, rammenta il Papa al termine del Messaggio, è e deve essere “una
rinnovata esperienza dell’amore di Dio donatoci in Cristo”. Ma qual è la qualità
di questo amore? Che cosa si può cogliere di quell’agonia
e di quel sacrificio sul quale da duemila anni generazioni di cristiani sono
chiamati a riflettere in vista della Pasqua? Benedetto XVI penetra in questo
mistero di “sangue e acqua” con la forza delle intuizioni che sorreggono il
magistero dell’enciclica Deus caritas est. E lo fa partendo dai due
termini che rappresentano, insieme, la diversità e la completezza dell’amore: agape e eros.
“Il termine agape –
spiega il Papa - indica l’amore oblativo di chi ricerca esclusivamente il bene
dell’altro”, mentre la parola eros “denota invece l’amore di chi desidera possedere ciò che gli
manca ed anela all’unione con l’amato”. L’amore di cui Dio ci circonda “è senz’altro agape”,
osserva Benedetto XVI, poiché in effetti “tutto ciò che l’umana creatura è ed
ha è dono divino: è dunque la creatura ad aver bisogno di Dio in tutto”. Ma
l’amore di Dio, afferma il Pontefice, “è anche eros”. E dove questo particolare aspetto si manifesta è proprio
“nella Croce”. In essa, scrive, “si rivela appieno la
potenza incontenibile della misericordia del Padre celeste”: la morte “che per
il primo Adamo era segno estremo di solitudine e di impotenza”, in Gesù, Nuovo
Adamo, si è trasformata nel “supremo atto d’amore e di libertà”. E, dunque si
chiede il Papa, “quale più ‘folle eros’ di
quello che ha portato il Figlio di Dio ad unirsi a noi fino al punto di
soffrire come proprie le conseguenze dei nostri delitti?”. Ma Benedetto XVI si
spinge un passo oltre: “Si potrebbe addirittura dire – osserva - che la
rivelazione dell’eros di Dio verso
l’uomo è, in realtà, l’espressione suprema della sua agape. In verità,
solo l’amore in cui si uniscono il dono gratuito di sé e il desiderio
appassionato di reciprocità infonde un’ebbrezza che rende leggeri i sacrifici
più pesanti”.
In questo senso, la risposta che “il Signore ardentemente
desidera da noi – sottolinea il Papa - è innanzitutto che noi accogliamo il suo
amore e ci lasciamo attrarre da Lui”. E subito dopo che ci impegniamo a
comunicarlo agli altri. Volgere “lo sguardo a Colui che hanno trafitto”, come
recita il titolo del Messaggio di Benedetto XVI, vuol dire per un cristiano
“aprire il cuore agli altri riconoscendo le ferite inferte alla dignità
dell’essere umano”, e “combattere - conclude il Papa - ogni forma di disprezzo
della vita e di sfruttamento della persona e ad alleviare i drammi della
solitudine e dell’abbandono di tante persone”.
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Il Messaggio per la Quaresima di Benedetto XVI è stato
presentato stamani presso la
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“Nella
prospettiva della fede siamo chiamati a riscoprire gli altri come nostri fratelli” e “a prenderci a cuore la loro miseria
nelle sue forme più svariate”. E’ quanto sottolineato dall’arcivescovo Paul Josef Cordes,
che commentando il Messaggio del Papa per la Quaresima, ha ribadito che la fede
ci obbliga anche “all’impegno per il bene e per la giustizia rispetto a quanti
soffrono”. D’altro canto, ha rilevato, anche imprenditori mondiali come Bill Gates riconoscono alcuni
doveri sociali come propri dell’uomo. “Come cristiani – è stata la sua
riflessione – possiamo registrare non senza soddisfazione”, che “il comandamento
biblico dell’amore al prossimo sembra universalmente accettato”. Il presule ha
così evidenziato che in questo Messaggio, il Papa mette “con forza al centro il
Dio Padre di Gesù Cristo e pone dunque un accento non antropocentrico,
ma teocentrico”. Certamente, ha proseguito, a
Benedetto XVI, Dio appare “come il grande assente nella nostra epoca”:
“Evidentemente il Papa non può
arrendersi a questo impoverimento. L’assenza di Dio è peggiore della miseria
materiale, poiché uccide ogni speranza ferma e lascia l’uomo solo con il suo
dolore e il suo lamento. Il Papa riprende la riflessione su eros e agape avviata nell’Enciclica e vede queste due forme di amore
incontrarsi nella loro pienezza in Cristo Crocifisso”.
Dopo l’intervento di mons. Cordes, è stata la volta della toccante testimonianza di
don Oreste Benzi, che con la sua Fondazione “Papa
Giovanni XXIII” si è messo al servizio dei nuovi poveri. Un sacerdote, ha detto
il presule, che non “è un teorico della carità”, ma che ha avuto “il coraggio
di mettere le mani sulle problematiche più difficili della nostra società”. La
Quaresima, ha detto don Benzi è un tempo propizio per
“imparare a sostare con Maria accanto a Colui che sulla Croce consuma per
l’intera umanità il sacrificio della sua vita”:
“Ciò che
io vedo ogni giorno sono tante ragazze, tante donne, sostenute da Maria, che
rigenerano all’amore i nostri piccoli angeli crocifissi. Alcuni sono generati
da loro, ma la stragrande maggioranza sono rigenerati nell’amore. Io la vedo
una via di evangelizzazione stupenda”.
“I poveri non possono più
aspettare”, è stato l’accorato appello di don Benzi,
che ha esortato tutti a impegnarsi a liberare le ragazze prostitute, uno degli
impegni che ha preso più a cuore. Purtroppo, ha costatato il sacerdote,
“l’umanità sedotta dalle menzogne del maligno si è chiusa all’amore di Dio,
nell’illusione di una impossibile autosufficienza”. Ma ci sono anche luminosi segni di speranza: sono i giovani che
oggi si accorgono che la nostra è una società vecchia che tenta di spegnere le
realtà più belle create da Dio come la famiglia e la dignità della donna:
“Quello
che non capiscono degli adulti sono i messaggi contraddittori, per cui perdono la fiducia in tutti, ma non perdono la
fiducia nella Chiesa, che è giovinezza. Lo vedrete, lo vedrete… In questo
sbandamento totale a cui assistiamo, in questa decadenza
d’Europa, Cristo ritornerà a rifulgere”.
La Quaresima, ha esortato il
sacerdote riminese, “sia per ogni cristiano una
rinnovata esperienza dell’amore di Dio”. Di qui l’invito a non essere
“impiegati della carità, ma innamorati di Cristo”.
Rispondendo alle domande dei giornalisti, mons. Cordes
ha richiamato l’importanza per i cristiani di un “giusto equilibrio” tra
l’attività solidale e la testimonianza di fede. Bisogna andare oltre la
dimensione filantropica, ha avvertito. Uno sforzo che non significa rifugiarsi
in uno spiritualismo alieno dalla realtà. Il presule ha poi affermato che va
contrastato un certo secolarismo che mira a lasciare le categorie di fede fuori
delle agenzie di aiuto.
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Il
commento di mons. Rino Fisichella al discorso del
Papa
sulla legge
naturale: sui temi etici c'è il tentativo di emarginare
ma noi
continueremo ad annunciare con coraggio il Vangelo
Sono stati molti i commenti al discorso del Papa ieri ai
partecipanti al Congresso internazionale organizzato a Roma dalla Pontificia
Università Lateranense sul tema della legge naturale. Benedetto XVI ha invitato a riscoprire “la
legge scritta nel cuore dell’uomo” auspicando il dialogo tra credenti e non
credenti per non distruggere “il dono della natura” con “la forza del nostro
fare”. Parlando della famiglia ha poi affermato che “nessuna legge fatta dagli
uomini può … sovvertire la norma scritta dal Creatore, senza che la società venga drammaticamente ferita in ciò che costituisce il suo
stesso fondamento basilare”. Su queste parole ascoltiamo, al microfono di
Giovanni Peduto, la riflessione di mons. Rino Fisichella,
rettore della Pontificia Università Lateranense:
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R. –
Ma con la lucidità e la profondità di sempre, Papa Benedetto XVI
ci ha messo dinanzi a quello che è il compito, la missione e la responsabilità
della Chiesa oggi e non solo della Chiesa, ma anche dei filosofi, dei teologi e
dei giuristi. Il Papa ha richiamato al fatto che non può esserci alcun sistema
giuridico degno di questo nome e, quindi, garanzia per tutti i cittadini, che
non possa avere alla sua base una legge universale, non scritta da nessuno e
che è, appunto, la legge morale naturale, che è il fondamento della dignità di
ogni persona.
D. – Perché oggi risulta così difficile comprendere la
ragionevolezza della legge morale naturale?
R. – Nel corso degli anni c’è stato uno slittamento
continuo. Si può certamente affermare che a partire dagli anni Settanta c’è
stata una crisi generalizzata all’interno dell’Accademia. Penso in modo
particolare ad alcuni teologi, che hanno messo in dubbio il concetto stesso di
legge naturale; penso ad alcuni filosofi che - ancora oggi, in alcune scuole -
portano avanti il concetto per cui la legge naturale
non esiste, perché il concetto stesso di natura è sottoposto ad una
interpretazione differenziata e alcuni si spingono anzi ad affermare che il
concetto di natura è soggetto al sentire generazionale. Questo equivale,
quindi, ad un profondo relativismo di base. Non possiamo poi dimenticare anche
l’insegnamento del diritto, che per molti versi si basa oggi su un positivismo
della sola legge e, quindi, sulla interpretazione della legge, senza più
riconoscere un suo fondamento basilare.
D. – Stiamo oggi assistendo ad un attacco, forse senza
precedenti in questi ultimi tempi, alla Chiesa, al Papa e non tanto sui
contenuti di alcuni interventi, quando sul fatto stesso che il Papa e i vescovi
parlino di determinate questioni…
R. – Guardi, c’è sempre stato il tentativo di emarginare
l’azione pastorale del Papa, dei vescovi all’interno della società. Gli strumenti
sono tanti e penso anche al tentativo, di questi giorni, di alcuni di far
emergere un magistero parallelo, quello dei vescovi e dei teologi in
contraddizione fra di loro. Sono tutti tentativi molto
vani ed inefficaci che non possono essere presi in considerazione se non per
una questione di grande importanza. Abbiamo un compito, dal quale non potremmo
venire meno, nessuno di noi, ed è quello di annunciare con forza, con coraggio,
come ci ricorda l’Apostolo Paolo, “a tempo opportuno ed inopportuno”, la verità
del Vangelo. Questo non vuol dire che la verità del Vangelo sia in
contraddizione con una verità che la stessa ragione può cogliere. La nostra
sfida è proprio questa: far comprendere che sui problemi cosiddetti sensibili,
i problemi etici, su questo il nostro primo movimento non è quello che deve
raccogliere la sfida della fede, perché inevitabilmente c’è chi crede e c’è chi
non crede, ma di accogliere in profondità quello che la ragione, da se stessa,
può cogliere. Ecco perché il discorso che il Papa ha fatto è di estrema
importanza. Perché da sempre la legge naturale, fin dai tempi di Cicerone, che
non era chiaramente cristiano, è stata pensata come quella conoscenza che la
ragione, da sola, può arrivare a comprendere, a percepire e a spiegare, attraverso
le sue forze e attraverso un processo di conoscenza sempre più vasto, che
comporta la maturazione della coscienza personale.
D. – L’articolo 21 della Costituzione Italiana recita:
“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con le
parole, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione”. Tutti, tranne la Chiesa?
R. – Sembrerebbe purtroppo di sì ,
in qualche momento. Da questa prospettiva mi sembra non soltanto abbiamo la
garanzia costituzionale, ma abbiamo anche la nostra testardaggine. Da questo
punto di vista siamo testardi. Noi non rimarremo in silenzio, non possiamo
rimanere in silenzio, non permetteremo che i nostri fedeli, i tanti cittadini
che sono confusi e che non hanno voce, non possano avere voce attraverso la
nostra predicazione. Continueremo ad essere presenti
nella società con le nostre forze, consapevoli di quelle che sono le
responsabilità che abbiamo, dei limiti che abbiamo e dei ruoli differenti che
possediamo. Ma certamente non potremo rimanere in silenzio.
D. – Si torna a parlare di una sana laicità che eviti ogni
laicismo integralista…
R. – La sana laicità è quello che noi stessi chiediamo,
perché dove c’è vera, genuina ed autentica laicità non c’è nessun proclama
ideologico, ma c’è il rispetto profondo per tutte le istanze che sono presenti
nella società e nel Parlamento. E poiché, fino a prova contraria, il Parlamento
è sovrano nel rispetto della legge, ma nel rispetto della volontà dei cittadini,
allora anche all’interno del Parlamento dovranno confrontarsi, dovranno essere
in grado di arrivare a quelle conclusioni, che siano rispettose nei confronti
di tutti, soprattutto quando ci sono leggi su cui c’è
una sensibilità particolare da parte della popolazione e - perché no? - arrivare credenti e laici ad essere capaci di coniugare
insieme, in una collaborazione reciproca, leggi che siano non soltanto
rispettose del bene di tutti, della dignità della persona, ma anche leggi che
siano degne con il nome stesso della legge.
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Il pellegrinaggio come scoperta del senso dell’esistere al centro del
convegno dell’Opera Romana Pellegrinaggi in corso a Roma
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Intervista con mons. Gianfranco Ravasi -
Proseguono a Roma i lavori del XV Convegno teologico-pastorale promosso dall’Opera Romana
Pellegrinaggi sul tema dei Cammini d’Europa, le mete cioè dei pellegrinaggi che
hanno segnato la storia d’Europa. L’Opera Romana Pellegrinaggi, sotto la guida
di mons. Liberio Andreatta, lancia, infatti, una sfida agli uomini e le donne
di oggi: farsi pellegrini del terzo millennio sui sentieri percorsi dai nostri
padri. La relazione cardine di questa mattina è stata svolta dal noto biblista Gianfranco Ravasi,
prefetto della Biblioteca Ambrosiana a Milano, che ha incentrato il suo
intervento sul salmo 83: ‘ Beato chi trova in sé la
sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio’.
Giovanni Peduto gli ha chiesto una sintesi della sua riflessione:
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R. – Il messaggio principale è soprattutto ricordare che
il pellegrinaggio è il tentativo di una ricerca che non si ferma soltanto
all’orizzonte storico: noi, infatti, andiamo nel pellegrinaggio verso spazi,
verso regioni, verso santuari; ma nell’interno di questo movimento si scopre il
senso ultimo dell’esistere e il mistero della propria esperienza di fede, che è
trovare ciò che è eterno e infinito.
D. – Quale eredità hanno lasciato i pellegrini all’Europa?
R. – I pellegrini hanno lasciato due tipi di eredità. Da
una parte, hanno lasciato una traccia di straordinaria bellezza attraverso
monumenti, attraverso vicende culturali, attraverso grandi segni della loro
cultura, del loro mondo, della loro arte; e dall’altra parte, hanno lasciato
anche una profonda traccia di spiritualità. Possiamo dire quasi che l’Europa è
attraversata da una rete di luce: e sono questi percorsi dei pellegrini, che
rappresentano la costante ricerca dell’uomo nei confronti del mistero di Dio.
D. – Ancora oggi, milioni di fedeli si mettono in cammino:
cosa cercano?
R. – Milioni di fedeli di tutte le religioni, dobbiamo
dire. Tutta l’umanità, cioè, vuole abbandonare la banalità, l’ovvietà, la
quotidianità, le cose comuni per scoprire che l’uomo non può vivere soltanto di
pane, di tempo e di spazio ma ha bisogno anche – come dice la Bibbia – di
parola divina; noi diciamo anche: di eternità, di mistero, di divino.
D. – L’uomo contemporaneo è molto preso dalla realtà
materiale, come se tutto dovesse concludersi qui. Cosa cambierebbe se sapesse
che ci aspetta una vita eterna?
R. – Il pellegrinaggio, in ultima analisi, è cercare di
trovare – appunto – come si suol dire, la Gerusalemme
celeste, il Santuario ultimo ed estremo, che è un’intera città. L’uomo di oggi,
fermo com’è, cupo e chino sull’orizzonte concreto della sua storia, ha perso
forse la grande speranza; spera in piccoli orizzonti. Il pellegrinaggio, ma
anche – dovremmo dire – la grande predicazione della Chiesa, è quella di
indicare la meta ultima ed estrema della storia e dell’essere umano. Dobbiamo
più spesso, noi credenti, essere testimoni di un’esistenza che non ha – alla
fine – come un fiume, l’estuario nel baratro del nulla, ma una soglia aperta
oltre la quale c’è Dio che attende e che attende la Creatura umana per
ri-abbracciarla, quella Creatura che era uscita dalle sue mani.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano – “Nessuna
legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore:
dimenticarlo significherebbe indebolire la famiglia, penalizzare i figli e
rendere precario il futuro della società”; il discorso del Papa ai partecipanti
al Congresso internazionale su “Legge morale naturale”, promosso dalla
Pontificia Università Lateranense.
Servizio estero - In evidenza
l’Iraq: a Baghdad persistono gli atti di violenza.
Servizio culturale - Un
articolo di Giuseppe Appella dal titolo “Sciascia,
l’incisione e l’attimo fuggente”: un ricordo dello scrittore siciliano.
Per l’“Osservatore libri” un
articolo di Danilo Veneruso dal titolo “Aspetti e momenti
di storia della vita consacrata e della Chiesa nel Mezzogiorno”: un’antologia
dei quarantennali contributi di Pietro Borzomati
sull'argomento.
Servizio italiano -
Terrorismo: le nuove BR preparavano attentati; per Prodi “inferto un
colpo fatale”.
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13 febbraio 2007
La
famiglia al centro del dibattito in Italia
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Interviste con mons. Luigi Moretti e Francesco Belletti -
Il tema della famiglia resta al centro degli attuali
dibattiti in Italia. Secondo mons. Luigi Moretti, vicegerente
di Roma, la famiglia è la cellula fondamentale della società e va apprezzata e
sostenuta. Il presule ha lanciato questo appello domenica scorsa durante la
festa diocesana della famiglia al Santuario della Madonna del Divino Amore. Su
questo evento, che ha riunito nella gioia tante famiglie, Fabio Colagrande ha sentito
lo stesso mons. Moretti:
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R. – Credo che sia stato un bel momento di festa, dove si
è potuto sperimentare e vedere come la famiglia vive la sua serenità e vive la
sua gioia di essere famiglia proprio quando riesce a
ritrovarsi anche insieme alle altre famiglie per ritrovare motivazioni, per
ritrovare coraggio; nel senso che soprattutto in un tempo in cui l’attenzione
della società sembra solo la patologia della famiglia, solo ciò che non va, il
fatto che ci siano molte famiglie, invece, che vivono positivamente tutto
questo è veramente un grande segno di speranza e poi dà la possibilità di farsi
carico anche delle difficoltà.
D. – Nei giorni del dibattito, nato dopo la proposta da
parte del governo, del disegno di legge sui cosiddetti “DICO”, ieri il Papa ha
pronunciato, in una sede diversa, parlando della legge naturale, parole che
hanno fatto discutere e riflettere: “La famiglia non dipende dall’arbitrio
dell’uomo”. E si è parlato proprio dell’importanza del tema della legge
naturale. Ecco: come mettere in relazione questi due temi?
R. – Ma ... io, con una battuta, direi che non è la
società che inventa la famiglia, come d’altronde nemmeno
D. – Quindi, in un certo senso, il “no” che dai cattolici
arriva di fronte a proposte legislative che mettono in pericolo la famiglia, è
prima di tutto un “sì” alla famiglia ed una richiesta proprio di tutela, di una
legislazione che aiuti la famiglia?
R. – Ma sì! Anche perché noi sappiamo bene, e credo che
nessuno pensi di poterlo negare, che lì dove la famiglia è messa nella
condizione di vivere la sua vera identità, le sue potenzialità, tutto questo ha
una ricaduta estremamente positiva sulla società e sulla Chiesa. Io penso a
tutto il disagio dei giovani, dei ragazzi, che è legato a carenze di esperienze
di amore vero. Se tutti siamo convinti che la famiglia sia un bene per la
società, non scommettere sulla famiglia mi sembra un po’ suicida. Ovviamente,
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Un ulteriore spunto di riflessione sullo stato attuale
della famiglia lo fornisce l’Istat: secondo i dati
aggiornati al 2005, contro i 250 mila matrimoni annui, in calo continuo dal
1972, sono oltre 500 mila le coppie di fatto. Gabriella
Ceraso ha chiesto un commento al direttore del Centro internazionale di
studi sulla famiglia, Francesco Belletti:
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R. – I dati non sono comparabili, perché 250 mila
matrimoni sono un dato annuale, mentre 500 mila sono il numero complessivo di
coppie, non di nuove coppie che si formano. Quindi, la presenza di coppie di
fatto nel nostro Paese è ancora certamente marginale. In più, questo numero non
corrisponde al dibattito politico sulla legge, perché molte di queste coppie
non sono assolutamente interessate al tipo di normativa che si ipotizzerebbe.
D. – Questi dati, comunque, arrivano
quando i DICO si apprestano a diventare legge. E’ una coincidenza o una
necessità?
R. – E’ nata una campagna, anche di stampa, esplicita a
favore di questa regolarizzazione. Quindi, non ci ha sorpreso che questi dati vengano usati. Il problema è che non vengono
letti. Ci dovremmo domandare, per esempio, come sono trattate le 180 mila
famiglie con più di quattro figli, penalizzati perché le nostre politiche
fiscali non riconoscono i carichi familiari. Di che cosa ci sarebbe bisogno
oggi? Di una legge sulla famiglia in generale? Oppure di un provvedimento di
nicchia?
D. – I DICO comunque scardineranno la famiglia?
Incideranno sulla voglia dei giovani di sposarsi?
R. – Certo, si introduce un fattore di incertezza, un
livello di progettualità intermedio, che indebolisce
l’idea che la famiglia sia un bene pubblico.
D. – Allora, perchè non leggere nel calo dei matrimoni
l’urgenza di sostenere chi vuole sposarsi?
R. – Questo nodo è centrale. E’ difficile fare famiglia,
non solo perché i giovani hanno più paura, ma perché le condizioni sono più
difficili e più incerte: il lavoro, la casa, la mobilità territoriale. Forse
bisognerebbe mettere al centro la promozione delle famiglie, migliorare la
capacità progettuale dei giovani, non rafforzare l’incertezza, investire su un piano casa, dare garanzie che quando ti nasce un figlio
sia anche a carico della collettività. Quindi, il fare famiglia come un bene
anche per la società.
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13 febbraio 2007
I vescovi della Repubblica Democratica del Congo
chiedono “una seria indagine” sugli scontri
avvenuti recentemente
tra
Forze dell’Ordine e appartenenti ad un movimento politico.
A causa delle violenze sono morte decine di persone
KINSHASA. = Preoccupazione per “i dolorosi avvenimenti
accaduti nelle ultime settimane” nella Repubblica Democratica del Congo, la “condanna delle cause che hanno portato agli
scontri” e la richiesta di “una seria indagine” per stabilire responsabilità ed
evitare nuove violenze. E’ quanto si legge nel comunicato diffuso al termine
del Comitato permanente della Conferenza episcopale congolese. I vescovi si
riferiscono ai violenti scontri scoppiati tra il 31 gennaio ed il primo febbraio
in diverse città del Bas – Congo, provincia
occidentale del Paese africano, tra forze dell’ordine e membri del movimento
politico ‘Bundu dia Kongo’. Secondo le Nazioni Unite sono
morte almeno 134 persone. Per le autorità locali, invece, le vittime sono 87.
Nel comunicato - riferisce l’Agenzia missionaria MISNA - i vescovi si
soffermano anche sul futuro del Paese: sottolineando che “il processo
elettorale è ormai prossimo alla conclusione”, i presuli auspicano “una
gestione conforme ai principi e alle regole di uno Stato democratico”. Tra i
compiti prioritari delle istituzioni ci devono essere, secondo i vescovi congolesi, “la lotta all’analfabetismo, il rispetto della
dignità della persona umana e l’apertura del Paese all’Africa e al mondo”. La
Conferenza episcopale congolese ribadisce infine il proprio impegno per la
formazione delle coscienze e per l’educazione integrale della persona, alla
luce della Dottrina sociale della Chiesa. (A.L.)
In Myanmar, accordo di pace tra la giunta militare e i ribelli
di etnia Karen che combattono da decenni contro
il governo
per l’indipendenza della loro regione, nell’ovest del Paese
YANGON. = In Myanmar, la giunta militare ha annunciato di
aver raggiunto un accordo di pace con i ribelli indipendentisti di etnia karen. L’intesa – riferisce l’Agenzia Fides - segue il cessate
il fuoco siglato mesi fa dalle parti e garantisce un allentamento della
pressione da parte dell’esercito regolare in alcuni distretti karen, nella parte occidentale del Paese. Ma secondo
diversi osservatori la strada per una vera pace in Myanmar è ancora costellata
da insidie: il gruppo di ribelli noto con il nome ‘Karen National Union’ (KNU) è diviso, ad esempio, in numerose fazioni e si teme
che alcuni di questi gruppi non abbandoneranno la lotta armata. La popolazione
di etnia karen, composta in maggioranza da cristiani,
ha chiesto maggiore autonomia e il rispetto dei diritti umani già nel 1948,
all’indomani dell’indipendenza nazionale. Ma il regime militare ha sempre
attuato campagne di repressione contro le minoranze etniche. Per questo, molti
civili karen sono stati costretti ad abbandonare le
proprie case. Si stima che almeno 120 mila persone abbiano superato il confine
con la Thailandia, dove sono stati allestiti diversi campi profughi. Secondo il ‘Thailand Border Consortium’,
principale agenzia umanitaria che si occupa dei rifugiati nell’area, sono stati
distrutti a partire dal 1996 oltre 3000 villaggi. Considerando anche le altre
etnie presenti in Myanmar, i rifugiati sono più di un milione. (A.L.)
In India, nello Stato dell’Assam,
si moltiplicano gli sforzi della Chiesa
per aiutare la popolazione, soprattutto i contadini,
vittime di violenze etniche, siccità ed usura
DISPUR. = E’ sempre più forte l’impegno della Chiesa per
affrontare le emergenze a Karbi Anglong,
località dello Stato indiano dell’Assam dove molti
abitanti vivono in condizioni precarie a causa della grave siccità degli ultimi
anni. Padre Tom Mangattuthaze,
coordinatore del Forum dei cristiani uniti, ha riferito ad Asia News che “i
contadini hanno lavorato nei campi ogni giorno, da mattina a sera, però il loro
lavoro è stato del tutto inutile ed ora si trovano nella morsa dell’usura”. Il
problema è che questi contadini sono oppressi da violenze etniche e dalla
siccità. Molti agricoltori si sono anche rivolti ad usurai che hanno loro
prestato denaro a tassi di interesse alti. Ma gran parte dei contadini sono poveri
e non riescono a restituire in tempo i soldi. La conseguenza, in alcuni casi, è
drammatica: alcuni coltivatori si sono anche tolti la vita. Padre Tom Mangattuthaze, della diocesi
di Diphu, ha lanciato un appello al governo locale e
alle organizzazioni private per sostenere la popolazione: “Hanno bisogno –
sostiene il sacerdote - di un aiuto concreto e mirato”; “Sarò contento -
conclude - se sarò riuscito a dare un chilo di riso ad ogni abitante”. (C. A.)
La Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa unite
nel portare aiuto
ad oltre 370 immigrati asiatici e sub-sahariani
sbarcati ieri
in un porto della Mauritania dopo giorni passati alla deriva
- A cura di padre Ignacio Arregui -
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NUADIBU. = dopo una settimana di attesa, con
la nave ferma in alto mare a causa di un guasto meccanico vicino alle coste
della Mauritania, è finalmente iniziato ieri lo sbarco dei 372 passeggeri
immigrati illegali asiatici e sub-sahariani nel porto mauritano
di Nuadibu. Sono sei i passeggeri ricoverati in
ospedale a causa delle loro critiche condizioni di salute. La Croce Rossa e la
Mezzaluna Rossa hanno allestito nel porto tutto il necessario per l’assistenza
igienica e sanitaria di tutti gli immigrati. Sono stati molto complessi i
lavori di controllo sanitario e di accertamento della provenienza e le
situazioni personali degli immigrati. Le autorità mauritane
si occuperanno del rimpatrio degli immigrati africani. Il governo spagnolo, invece,
assume la responsabilità di esaminare le possibilità di offrire asilo politico
agli immigrati asiatici o di rinviarli ai loro Paesi di origine. La maggior
parte (305) sono del Kashmir, mentre tutti gli altri provengono da Costa de Marfil, Myanmar, Sierra Leone, Sri lanka
e Liberia. E’ finita, dunque, la drammatica emergenza di questi immigrati, ma
inizia adesso per loro il ritorno ai loro Paesi, dopo una fallita evasione in
cerca di migliori condizioni di vita.
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In Asia, nonostante la strabiliante
crescita economica,
diventa sempre più profondo il
divario fra ricchi e poveri.
Il presidente dell’Asian
Development Bank lancia un
appello ai governi:
bisogna investire su sanità ed istruzione
HANOI.= La crescita economica in sé “non è la soluzione ai
problemi del Continente. Queste economie che corrono così in fretta mostrano
che, anche se si è ridotta la povertà assoluta, si è intensificato il divario
tra ricchi e poveri”: l’allarme è stato lanciato dal presidente dell’Asian Development Bank, Haruiko Kuroda,
nel corso di una conferenza in Vietnam, dove alcuni fra i più importanti
donatori al mondo si sono riuniti per studiare il modo di distribuire al meglio ricchezza e aiuti umanitari alle popolazioni
asiatiche. Nonostante l’eccezionale sviluppo economico di alcuni Paesi del continente
asiatico, infatti, la Banca Mondiale afferma che in Asia vivono i 2/3 dei
poveri di tutto il mondo; solo nella parte orientale del continente vi
sarebbero 585 milioni di persone che vivono con meno di un dollaro al giorno. Kuroda sostiene che i “benefici
di questa crescita non sono stati distribuiti in modo equanime”. “Mentre molti
avanzano nella società - prosegue - moltissimi vengono
lasciati indietro”. Per questo, il presidente Kuroda
lancia un accorato appello ai governi: “Spendete più soldi per l’assistenza
sanitaria e l’istruzione, perché questa è la chiave per risolvere il problema”.
(E.L.)
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13 febbraio 2007
- A cura di
Roberta Gisotti -
Raggiunto, a Pechino un accordo definito
ancora “virtuale” sul disarmo nucleare della Corea del Nord.
Un successo della diplomazia internazionale, dopo oltre dieci anni di tensione.
L’intesa è stata raggiunta fra i rappresentanti di sei Paesi: le due Coree, Cina, Stati Uniti,
Giappone e Russia. Il nostro servizio:
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Storico accordo ancora da definire nei dettagli e forse
non di poco conto se il negoziatore americano, Hill,
ha detto che resta ancora molto da fare. Generale comunque la soddisfazione
dopo cinque giorni di fitti negoziati e lo spettro di un fallimento che ha
aleggiato con insistenza nella capitale cinese.
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Torna la violenza in Libano. Una duplice
esplosione questa mattina a bordo di due minibus nei pressi della cittadina
cristiana di Bikfaya, a nord-est di Beirut, ha ucciso
12 persone. Il
cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, intervenendo oggi a un
convegno a Roma, ha parlato di grave attentato in funzione anticristiana
invitando a pregare per la martoriata terra del Libano.
Il doppio attacco è avvenuto alla vigilia del secondo anniversario
dell’uccisione del premier Hariri. Si tratta, dunque,
di un atto puramente dimostrativo o dietro l’attentato si cela qualcos’altro?
Giancarlo
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R. – Chi ha compiuto questo duplice attentato non poteva
non aver tenuto conto della data. Questo ha sicuramente come obiettivo quello
di far ricrescere la paura all’interno del mondo libanese, provato da molti
omicidi mirati. Proprio questo - omicidi mirati – è stata la caratteristica di
quello che è accaduto dall’assassinio di Hariri in
poi: c’era un qualcuno di estremamente identificabile come rappresentante di
una parte o dell’altra. Per la prima volta negli ultimi due anni, non si è
voluto colpire un obiettivo preciso, ma seminare il panico. Credo che questo
sia l’elemento nuovo di questo terribile attentato. Penso che si volesse colpire proprio per spaventare e colpire la gente.
Questo è un elemento molto preoccupante!
D. – Questo episodio politicamente che significato ha nel
processo di distensione interno?
R. – Paradossalmente potrebbe addirittura avere un aspetto
positivo. Forse da questi spaventosi attentati che colpiscono la gente, ci
potrebbe anche essere un segnale per le forze politiche di dire: “Smettiamola e
cerchiamo di riunificare il Paese”. Anche perché se
non si riunifica il Paese, io credo che il rischio di
una vera guerra civile possa essere preso in considerazione. Questo sarebbe
assolutamente devastante. L’unica speranza è, quindi, che proprio la gente si
riunisca nel segno dell’identità e della saldezza nazionale. Ma, per ora, è
solo un auspicio, purtroppo.
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La violenza continua a dominare la scena anche in Iraq: 15
i morti e 30 i feriti, stamane, in un attacco
kamikaze con un'autobomba vicino ad una Scuola universitaria a Baghdad, dove
ieri più di 80 persone sono rimaste vittime di un attentato in un mercato, mentre altre
40 hanno perso la vita in vari attacchi della guerriglia in diverse zone del
Paese e 6 sospetti terroristi sono saltati in aria a Mandali. La grave
situazione continua a spingere i civili alla fuga e sono 600 mila quelli che
dalla caduta di Saddam nell’aprile del 2003 sono emigrati in Siria, dove oggi è
atteso il presidente del Parlamento iracheno, al-Mashadani,
per discutere anche la questione dei profughi.
Ancora, in Medio Oriente, i leader di Hamas e al Fatah premono sulla comunità internazionale per porre fine
all’isolamento palestinese, mentre sul fronte di guerra, un palestinese è
rimasto ucciso oggi – in circostanze non certe - nella zona fra Gaza e il territorio
israeliano.
Acqua sul fuoco nella crisi diplomatica tra Italia e
Croazia, apertasi dopo che
ieri il presidente croato Mesic ha
accusato il capo di Stato italiano, Napolitano, di “aperto razzismo, revisionismo
storico e revanscismo politico” per avere parlato – commemorando le vittime
delle foibe – di un “moto di odio e furia sanguinaria”, figlia di un “disegno annessionistico slavo”, con “i sinistri contorni della
pulizia etnica”. Il portavoce del governo croato ha sottolineato oggi
l’interesse a sviluppare rapporti di buon vicinato con l’Italia, emerso stamane nel colloquio telefonico tra il presidente del
Consiglio italiano, Prodi, ed il premier di Zagabria, Macek,
ed ha proposto di riavviare i lavori della Commissione storica bilaterale italo-croata per indagare con strumenti scientifici e senza
polemiche “sui crimini commessi prima, durante e dopo la Seconda Guerra
mondiale nei territori della ex Jugoslavia.
Restiamo in Italia, sono attesi oggi pomeriggio a Milano i
primi interrogatori dei 15 arrestati nell’ambito della vasta operazione antiterrorismo condotta della Polizia di Stato, nel nord
del Paese, che ha smantellato una frangia delle Brigate Rosse, ritenuta dagli
investigatori particolarmente pericolosa, e pronta a colpire alla
vigilia di Pasqua. Il ministro dell’Interno, Giuliano
Amato, ha sottolineato la possibile presenza nel Paese di altri focolai
eversivi. Polemiche nel mondo politico. Il servizio di Giampiero Guadagni:
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“Si sentivano in guerra con lo Stato”. In
queste parole di Ilda Boccassini, il pubblico ministero
milanese che ha diretto in questi mesi un’indagine da lei stessa definita
pericolosissima, è racchiusa l’importanza dell’operazione effettuata ieri dalla
Polizia, che ha impegnato le questure di Milano, Padova, Torino e Trieste. Ma
c’è anche il senso di preoccupazione per un fantasma, quello del terrorismo,
che periodicamente prende corpo. L’accusa principale per i 15 arrestati è di
associazione a delinquere finalizzata a terrorismo
anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico. Gli inquirenti
hanno tra l’altro acquisito come prove anche filmati di esercitazioni di tipo
paramilitare. Coinvolti anche sette iscritti alla CGIL, subito sospesi dal
sindacato di Epifani, che ha espresso pieno sostegno
alle Forze dell’Ordine. Da Calcutta, il premier Prodi ha parlato di operazione
preventiva molto importante che ha inferto un colpo - speriamo - fatale a
qualsiasi possibilità di riorganizzazione delle BR. “Abbiamo sventato un
probabile attentato”, ha spiegato il ministro dell’Interno, Amato. Il primo
obiettivo in ordine di tempo era la sede del quotidiano Libero. Nel mirino
anche la casa milanese di Berlusconi e il giuslavorista
Pietro Ichino, che - da tempo sotto
scorta - sottolinea: “Bisogna andare avanti, altrimenti vincono loro,
vince l’intimidazione”. Dalle forze politiche, un plauso unanime alle Forze
dell’ordine, ma anche polemiche. Forza Italia e Lega affermano che una certa
sinistra radicale deve ancora fare i conti col proprio passato. Replicano i DS:
ad usare il terrorismo come argomento di polemica politica si fa solo il gioco
dei terroristi. E, intanto, crescono le tensioni anche in vista della manifestazione
di sabato prossimo, a Vicenza, contro l’amplia-mento della base americana.
Giampiero Guadagni, per
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Si è conclusa ieri la drammatica vicenda di circa 400
clandestini afro-asiatici da una settimana in balia
del mare al largo delle coste della Mauritania su un natante in avaria, che era
diretto verso
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