RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 37 - Testo della trasmissione di martedì 6 febbraio 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Il Papa visiterà il carcere
minorile romano di Casal del Marmo domenica 18 marzo
La Santa Sede ribadisce il suo sostegno a quanti si impegnano
contro la pena capitale
OGGI IN PRIMO PIANO:
Torino non è la capitale
delle messe nere: così ai nostri microfoni il cardinale Severino Poletto
CHIESA E SOCIETA’:
Ieri
pomeriggio, il saluto di commiato alla Chiesa di Palermo del cardinale Salvatore
De Giorgi
Grande attesa per il vertice
interpalestinese di oggi alla Mecca, in Arabia Saudita
6
febbraio 2007
BENEDETTO XVI CONCEDE L’INDULGENZA PLENARIA E
PARZIALE
IN
OCCASIONE DELLA 15.MA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO,
IN
PROGRAMMA A SEOUL DOMENICA PROSSIMA
La celebrazione della Giornata mondiale del malato, che
avrà il suo centro a Seoul, in Corea del Nord,
domenica 11 febbraio, porterà con sé, come tradizionalmente accade in questa
circostanza, la possibilità per i fedeli di ottenere l’indulgenza plenaria.
Benedetto XVI ha concesso questa facoltà resa nota con un Decreto dal
penitenziere maggiore, il cardinale James Francis Stafford. Per i
particolari sulle modalità per ottenere le indulgenze, sentiamo Alessandro De Carolis.
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Accettare
le malattie e le sofferenze che ne derivano accogliendole in spirito di fede
questo è per ogni essere umano “causa di maggiore santità”. Lo ricorda il
cardinale Stafford all’inizio del Decreto riguardante
le indulgenze con-cesse dal Papa per la 15.ma
Giornata mondiale del malato di Seoul. Il
peniten-ziere maggiore si sofferma sui risvolti umani ed etici della malattia.
I rimedi della medicina, osserva, “hanno un limite” e poiché “inevitabilmente verrà un tempo che porterà l'uomo
al termine del suo cammino su questa terra”, agli ammalati “occorre riservare
le cure più attente e la più grande carità, così che il loro transito da questo
mondo al Padre sia confortato dalle divine consolazioni”. In ciò sta il senso
delle indulgenze disposte da Benedetto XVI alle consuete condizioni.
L’indulgenza
plenaria sarà concessa ai fedeli che prenderanno parte, a Seoul o in un altro luogo consentito, alle celebrazioni per
la Giornata mondiale del malato di domenica prossima, che in precedenza abbiano
assolto ai doveri della confessione sacramentale,
della comunione eucaristica e della preghiera secondo le intenzioni del Santo
Padre. La stessa indulgenza plenaria sarà concessa anche ai fedeli che quel
giorno non potranno partecipare alle cerimonie perché impegnati ad assistere
gli ammalati, specialmente quelli incurabili o terminali, ricoverati in
ospedali pubblici o in case private. In particolare, si specifica nel Decreto,
oltre ad aver prestato “generosamente almeno per qualche ora la loro
caritatevole assistenza agli ammalati come se lo facessero allo stesso Cristo
Signore”, tali fedeli debbono avere il proposito di “adempiere appena possibile
alle condizioni richieste per l'ottenimento dell'indulgenza plenaria”. Il
terzo caso riguarda i fedeli impediti a prendere parte alle cerimonie dell’11
febbraio perché malati, o in età avanzata o per altre ragioni simili: possono
ottenere anch’essi l’indulgenza plenaria se, come recitano le disposizioni,
avendo “l’animo distaccato da qualsiasi peccato e proponendosi di adempiere alle solite condizioni appena possibile, in quel
giorno, unitamente al Santo Padre, partecipino spiritualmente con il desiderio
alla suddetta celebrazione e offrano a Dio, attraverso la Vergine Maria,
‘Salute degli Infermi’, le loro sofferenze fisiche e
spirituali”.
Un caso specifico riguarda invece
l’ottenimento dell’indulgenza parziale
che il Papa concederà ai fedeli tutte le volte che costoro – conclude il
comunicato del penitenziere maggiore - dal 9 all'11 del prossimo febbraio
rivolgeranno “con cuore contrito” a Dio “devote preghiere per implorare le
suddette finalità in aiuto degli infermi, particolarmente quelli incurabili o
terminali”. In proposito, “è necessario - aveva scritto Benedetto XVI nel suo
Messaggio per questa Giornata - promuovere politiche in grado di creare
condizioni in cui gli esseri umani possano sopportare anche malattie incurabili
ed affrontare la morte in una maniera degna”. E’ necessario sottolineare ancora
una volta, aveva insistito, “la necessità di più centri per le cure palliative
che offrano un'assistenza integrale, fornendo ai malati l'aiuto umano e
l'accompagnamento spirituale di cui hanno bisogno”.
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IL 18 MARZO, BENEDETTO XVI VISITERA’ IL CARCERE MINORILE ROMANO
DI CASAL DEL MARMO. LA
VISITA AD UN CARCERE, SULLA SCIA DEI SUOI
PREDECESSORI GIOVANNI
XXIII, PAOLO VI E GIOVANNI PAOLO II
- A cura di Alessandro Gisotti -
Benedetto XVI si recherà in visita al carcere minorile
romano di Casal del Marmo, domenica 18 marzo. A darne notizia è oggi il
direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. E’ la
prima volta che Benedetto XVI visita un carcere, seguendo le orme di Giovanni
XXIII e Paolo VI che visitarono il carcere di Regina Coeli,
e di Giovanni Paolo II che - oltre a Regina Coeli e Rebibbia - si recò in visita proprio al carcere minorile di
Casal del Marmo, nel 1980. In tale occasione, Papa Wojtyla affermò: “La mia
presenza in questo luogo vuole essere pertanto anche un incoraggiamento per
tutte quelle sagge riforme dell’ordinamento giudiziario e amministrativo, che
tendano non a deprimere chi ha mancato, ma ad aiutarlo a ritrovare se stesso, a
reinserirsi con serenità e consapevolezza nell’ordinato concerto della civile
convivenza”. Ai giovani detenuti di Casal del Marmo, la Santa Sede è legata da
un rapporto particolare: oltre alla visita di Giovanni Paolo II e ora di
Benedetto XVI, infatti, nel penitenziario ha prestato per lunghi anni il suo servizio
pastorale il cardinale Agostino Casaroli, segretario
di Stato vaticano negli anni ’80.
NOMINE
Il
Santo Padre ha nominato ausiliare di Regensburg, in
Germania, mons. Reinhard Pappenberger,
del clero della medesima diocesi, canonico del Capitolo
cattedrale e direttore dei dipartimenti “Matrimonio e Famiglia”,
“Liturgia e Musica sacra” e “Pastorale dei giovani e delle associazioni” della
curia diocesana di Regensburg, assegnandogli la sede
titolare vescovile di Aptuca. Mons.
Reinhard Pappenberger è
nato a Grafenwöhr (diocesi di Regensburg)
il 30 giugno
Il
Santo Padre ha quindi nominato membri del Pontificio Comitato per i Congressi
Eucaristici Internazionali mons. Robert Sarah,
segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, mons. Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per
IN UNA DICHIARAZIONE, RILASCIATA IN OCCASIONE DEL
CONGRESSO MONDIALE
SULLA PENA DI MORTE, TENUTOSI NEI GIORNI
SCORSI A PARIGI,
LA SANTA SEDE RIBADISCE IL SUO SOSTEGNO A
QUANTI SI IMPEGNANO
CONTRO LA PENA CAPITALE E PER LA DIFESA
DELL’INVIOLABILITA’ DELLA VITA UMANA
- A
cura di Alessandro Gisotti -
“Le autorità legittime dello
Stato hanno il dovere di proteggere la società dagli aggressori”,
ma “è oggi davvero difficile poter giustificare” la scelta della pena
capitale. E’ quanto ribadisce la Santa Sede in una dichiarazione rilasciata in
occasione del Congresso Mondiale sulla Pena di Morte, tenutosi in questi giorni
a Parigi. Nella nota, si assicura il sostegno della Santa Sede a “tutte le iniziative
mirate a difendere il valore inviolabile di ogni vita umana, dal suo
concepimento alla morte naturale”. Viene perciò espresso apprezzamento per
coloro che “lavorano con impegno e vigore rinnovato per abolire la pena capitale
o per attuare una moratoria universale della sua applicazione”. La pena di
morte, sottolinea la dichiarazione, non è “solo il rifiuto del diritto alla
vita, ma anche un affronto alla dignità umana”.
Viene
ricordato, dunque, l’appello di Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo
dell’anno 2000 per una moratoria sulla pena capitale. E, ancora, i ripetuti
interventi di Benedetto XVI per ottenere la clemenza di persone condannate a
morte. D’altro canto, vengono sottolineati i numerosi
rischi legati alla pena capitale: innanzitutto, “il pericolo di punire persone
innocenti”. Poi, la “tentazione di promuovere forme violente di vendetta più
che di un vero senso della giustizia sociale”. La pena di morte, si legge
ancora, “è una chiara offesa contro l’inviolabilità della vita umana”, che
“promuove una cultura della violenza e della morte”. Per i cristiani, poi, “si
tratta inoltre di un disprezzo dell’insegnamento evangelico sul perdono”.
I FEDELI DELLE DIVERSE RELIGIONI SI
IMPEGNINO PER UNA PACE FONDATA
SUL
RISPETTO RECIPROCO E LA GIUSTIZIA:
COSI’,
L’ARCIVESCOVO SILVANO MARIA TOMASI,
OSSERVATORE
PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO L’UFFICIO ONU
DI
GINEVRA, IN UN INCONTRO INTERRELIGIOSO SUL MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI
PER LA GIORNATA MONDIALE
DELLA PACE 2007
I credenti delle diverse religioni devono riaffermare che
la “pace è un dono” ed un “obiettivo da conseguire”: è quanto sottolineato
dall’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Osservatore
permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra. L’occasione per questo
appello è stata offerta al presule da un incontro interreligioso sul messaggio
di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2007, tenutosi nei giorni
scorsi a Ginevra, alla presenza di rappresentanti della comunità cristiana,
ebrea, musulmana e buddista. Il servizio di Alessandro Gisotti:
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“Non bisogna arrendersi alla cultura del conflitto, non si
deve accettare lo scontro come inevitabile e la guerra come una condizione
naturale”: è il forte richiamo dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi. Questa fiducia, ha sottolineato, “ci viene da una
visione di pace che è profondamente radicata e condivisa da tutte le fedi
tradizionali”. Dalla convinzione, cioè, ha proseguito, che Dio, nostro
Creatore, “ha donato ad ogni persona un’inalienabile dignità” da cui deriva
“un’eguaglianza di diritti e doveri” e una “solidarietà indistruttibile tra
tutti gli uomini e le donne”. Riflettendo sul tema del messaggio pontificio per
la Giornata Mondiale della Pace del 2007, “La persona umana, cuore della pace”,
mons. Tomasi ha rilevato che tutti siamo impegnati
per la pacifica convivenza della famiglia umana. Tuttavia, ha detto, “non
dobbiamo essere ingenui”. Il fenomeno della violenza, infatti, “è diventato
sempre più complesso nel XXI secolo e pone sfide senza precedenti alla comunità
internazionale”.
L’impegno per la pace, è stata la sua esortazione, deve
spingerci a “chiudere il divario tra ricchi e poveri, porre fine alle guerre
civili e al terrorismo, a tutti i conflitti armati”. Ancora, l’osservatore
vaticano ha denunciato la “glorificazione della violenza nei
media”, chiedendo uno sforzo per fermare “la nuova corsa agli armamenti
e la proliferazione di una varietà di armi”. Il presule ha ricordato come ci siano milioni di persone che soffrono a causa delle guerre,
evidenziando che “i civili sono presi a bersaglio nel più totale disprezzo
delle leggi umanitarie”. Queste vittime, ha avvertito, “chiedono pace e
rispetto per la loro dignità umana”. La ricerca della pace, ha detto ancora,
nasce nel cuore di ogni individuo prima di arrivare agli Stati e alla comunità
internazionale. E qui, ha messo l’accento sull’importanza del “rispetto della
persona, del diritto alla vita, della libertà religiosa”, così come il “libero
esercizio dei diritti umani fondamentali e l’eliminazione delle ingiuste ineguaglianze”.
Un dialogo
effettivo per costruire la pace, ha rimarcato, “deve poggiarsi sui due pilastri
del rispetto e della giustizia”. Una giustizia che nasce “da un relazionarsi
quotidiano che confermi la sincerità delle parole e degli accordi”. Attraverso
un “personale coinvolgimento” è allora possibile andare oltre “una mera
tolleranza”. Rispetto e giustizia è, dunque, il binomio, indicato dal presule,
per costruire una pace solida. Il tragitto che va “dalla tolleranza al rispetto
e alla giustizia – ha concluso – raggiunge la sua perfezione
quando scopre che la più alta vocazione della persona umana è l’amore”.
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E
SONO
STATI I TEMI AL CENTRO DELLA RIUNIONE DELLA COMMISSIONE MISTA
INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA
E LE
CHIESE ORTODOSSE ORIENTALI, CHE SI E’ SVOLTA IN QUESTI GIORNI A ROMA
-
Intervista con mons. Johan Bonny
-
Si è svolta
in questi giorni a Roma la riunione della Commissione mista internazionale per
il dialogo teologico tra
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R. – Abbiamo continuato la nostra riflessione sulla
Chiesa, più in particolare sulla missione della Chiesa, quel grande compito che
Gesù ha dato a tutti i suoi discepoli di proclamare il Vangelo in tutto il
mondo; come abbiamo vissuto noi e come hanno vissuto loro questa missione e
cosa possiamo fare oggi. Poi, sempre in quel contesto, abbiamo parlato di altri
due temi: della salvezza dei non battezzati e del rapporto tra
D. -
R. – Il Papa nel suo discorso ha citato una frase dell’Enciclica Ut Unum Sint, dove
Papa Giovanni Paolo II aveva detto che il patrimonio del primo millennio, che
abbiamo in comune noi cattolici con gli ortodossi, è un’ispirazione e un
paradigma che può aiutarci nel pensare ad un futuro modello di comunione.
Questo vale non soltanto per le Chiese dell’ambito bizantino, ma anche per le
antiche Chiese orientali. Abbiamo in comune il patrimonio ecclesiologico,
la struttura della Chiesa, il ministero apostolico, i sette sacramenti, la
spiritualità monastica. Tutto quel patrimonio che avevamo in comune fino al
Concilio di Calcedonia è ancora sorgente di
ispirazione e modello per una futura ricostruzione dell’unità.
D. – Le Chiese ortodosse orientali spesso vivono, come lei
ha già accennato, la difficoltà di essere una piccola minoranza in Medio
Oriente. Qual è la loro testimonianza?
R. – Io, direi tre cose. Prima di tutto,
l’unità nella diversità. Tutte le Chiese locali cattoliche e ortodosse
sono presenti in Medio Oriente. Ci sono città come Aleppo, dove abitano sei,
sette vescovi di varie comunità cattoliche e ortodosse. Come essere una sola
comunità cristiana in questa grande varietà di tradizioni e di giurisdizioni? Seconda
sfida, quella di vivere come comunità cristiana in una società a grande maggioranza
musulmana. Loro vivono da secoli in questo mondo, hanno sviluppato dei rapporti
di convivenza con il grande mondo musulmano. Ma tutto ciò rimane una sfida.
Terza cosa, sviluppare soprattutto in Medio Oriente questa cristianità di
cultura araba. Anche i cristiani sono infatti di
cultura e lingua araba. Come inculturare il messaggio
cristiano, la vita cristiana, in quell’ambiente
arabo? E’ una sfida e si sta sviluppando qualcosa di non facile,
ma bello.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino
della Chiesa in Asia.
Servizio estero - Iraq: bloccato al senato USA il
dibattito sulla mozione contro il piano del presidente Bush.
Servizio culturale - Un articolo di Pasquale Tuscano dal titolo “Il riscatto sognato per una terra
martoriata”: Tommaso Campanella e la Calabria del suo tempo.
Per l’“Osservatore libri” un articolo di Carlo Pedretti sul volume “Leonardo da Vinci. Dalle Chiane
ad Amboise. Scienza e Arte”.
Servizio italiano - In primo piano il tema della
violenza negli stadi.
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6 febbraio 2007
L’INDONESIA
COLPITA DA FORTI PIOGGE TORRENZIALI:
MOBILITATE PARROCCHIE E CARITAS LOCALI
- Intervista con padre Silvano Laurenzi -
Il governo indonesiano ha lanciato un allarme per il rischio
di diffusione di epidemie nella capitale Giakarta, dove
negli ultimi giorni forti piogge torrenziali hanno inondato interi quartieri,
con un bilancio provvisorio di almeno 36 morti e una stima di 350.000 tra senzatetto
e sfollati. Fra questi ultimi, fa sapere il locale ministero della Sanità,
almeno 40.000 persone hanno già ricevuto trattamenti medici per tosse o
diarrea. In prima linea nei soccorsi ai disastrati c’è - come testimonia
l’Agenzia Fides - la Chiesa locale, che ha mobilitato la rete delle
parrocchie cittadine, sebbene 40 su 60 abbiano subito allagamenti, e le
organizzazioni legate a Caritas Indonesia, già in contatto con Caritas Internationalis. Gli aiuti dovrebbero essere garantiti
sulla base delle esperienze passate, come le emergenze per lo
tsunami o le scosse di terremoto. Ma qual è ora la situazione
a Giakarta? Giada Aquilino lo ha chiesto a padre
Silvano Laurenzi, missionario saveriano che da anni
opera nella capitale indonesiana:
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R. - Più di metà città è allagata, tutto è bloccato. Molte
zone non hanno la luce e noi, ad esempio, non abbiamo i collegamenti
telefonici: mancano internet e la linea fissa per le chiamate all’estero, ma
funzionano per fortuna i cellulari. Oggi non piove, ma il livello dell’acqua
continua stranamente a crescere. Ci sono più di dieci fiumi che dai monti arrivano
a Giakarta. Molta gente è sul lastrico e molti hanno
montato delle tende d’emergenza sull’autostrada che è più in alto, per cercare
di salvarsi. Le scuole sono chiuse, così come tutti gli uffici. Il pericolo che
c’è adesso è quello purtroppo delle malattie, che possono colpire soprattutto i
bambini. Il rischio è quello della malaria, delle diarree, del tifo. Speriamo
che questo non succeda, ma siamo comunque tutti mobilitati.
D. – Mancano acqua potabile ed elettricità e c’è il
pericolo di epidemie. Ma cosa serve esattamente in queste ore?
R. – Ci sono diversi punti di assistenza nelle parrocchie,
anche se la mia è in gran parte allagata. Soprattutto i giovani sono pronti a
partire per portare aiuto dove serve: qui, per esempio, si cuoce il riso e si
prepara il pacchetto con un uovo o qualcos’altro e poi si corre a consegnarlo a
chi ne ha bisogno.
D. – Quello che c’è a disposizione è sufficiente?
R. – Sì, finora abbastanza. Molti hanno dato riso,
biscotti e altro.
D. – Da fuori città stanno arrivando gli aiuti?
R. – Adesso ci hanno mandato una piccola imbarcazione di
gomma per poter raggiungere le famiglie che non possono uscire da casa. C’è una
famiglia, bloccata non lontano dalla nostra parrocchia, che ora ha bisogno
delle medicine per i bambini e di una coperta per coprirli. Stiamo provvedendo.
D. – Giakarta e l’Indonesia
erano pronte a far fronte a questo tipo di emergenza?
R. – Ogni anno, in febbraio, capita
questo. Ma, certo, non in modo così disastroso. Quest’alluvione è più grave di
quella di cinque anni fa, quando tutto venne inondato
dalle acque.
D. – Cosa dicono le previsioni, che tempo ci sarà nei
prossimi giorni?
R. – Si dice che domani il maltempo finisca. Speriamo che
il Signore ci aiuti.
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IL MONDO DELLO SPORT ITALIANO IN ATTESA DELLE
MISURE ANTI-VIOLENZA
NEGLI
STADI. IL MINISTRO AMATO AL PARLAMENTO: BISOGNA RESISTERE
ALLE
PRESSIONI DELLE SOCIETA’ DI CALCIO, LA VITA UMANA E’ SACRA
-
Intervista con don Mario Arestivo -
Impianti sportivi di grandi città che eludono le normative
vigenti in materia di sicurezza degli stadi con risibili escamotage. Società di calcio che esercitano pressioni per riprendere
al più presto lo svolgimento del campionato. E’ il quadro tratteggiato questa
mattina dal ministro dell’Interno italiano, Giuliano Amato, chiamato a riferire
in Parlamento sulla vicenda che ha portato alla morte, venerdì scorso,
dell’ispettore di Polizia, Filippo Raciti. Il
ministro ha fatto il punto sulle indagini seguite agli scontri fra tifosi e
forze dell’ordine - 34 finora gli arresti – ed ha definito “non del tutto
chiarite” le circostanze che hanno provocato la morte di Raciti.
In attesa del Consiglio dei ministri che già domani
dovrebbe rendere esecutive le nuove misure antiviolenza - tra le quali la
chiusura degli stadi non a norma – la città di Catania vive ore particolari
dopo la bufera che l’ha investita negli ultimi giorni. Al commosso funerale di
ieri, c’era fra gli altri nella cattedrale cittadina don Mario Arestivo, cappellano della Polizia di Stato per la
Provincia di Catania, amico di Filippo Raciti. Fabio Colagrande lo ha intervistato:
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R. - Si respirava dentro la cattedrale stracolma, e anche nella
piazza dove c’erano i maxischermi, un momento di gioia e di dolore allo stesso
tempo. La figlia di Filippo Raciti era commossa fino
alle lacrime, e la mamma, io l’ho vista dal primo momento, è una donna di fede,
come lo era il marito.
D. - Lei conosceva Filippo Raciti?
R. - Io lo conoscevo molto bene perché eravamo al Reparto
mobile insieme. Lui, insieme ad altri tre ragazzi,
erano incaricati della manutenzione.
D. - Che tipo di poliziotto era?
R. - Un grande lavoratore. Ci fu un periodo in cui lui fu
mandato per servizio in Questura, per circa un paio d’anni, e ne soffriva
moltissimo. A me diceva: “Io, tutta la vita, da quando sono poliziotto, l’ho
trascorso al Reparto mobile. Mi piace quel lavoro”, ed era contento di tornare
a farlo. Anche nei vari centri di accoglienza per extracomunitari che abbiamo
da noi Filippo andava con piacere per rendere un servizio a quella gente. Per
qualche anno, io e lui abbiamo condiviso un ufficio con una scrivania. Mi
diceva: “Stia tranquillo, perché io il sabato e la
domenica non ci sono mai: sono sempre allo stadio!”.
D. - Ecco, con quale spirito un poliziotto va a fare
servizio in occasioni così pericolose, con vere e proprie scene di guerriglia
che ormai si ripetono da anni...
R. - E’ chiaro che non ci andavano
con la gioia nel cuore, però, comunque, con il desiderio di fare sempre meglio:
con il desiderio che questa gente, questi ragazzi fossero capaci di comprendere
che lo sport è un relax e non una guerriglia. Il punto dolente è proprio questo:
tanti giovani vedono nel poliziotto il nemico.
D. - Come cappellano della polizia dello Stato, cosa
direbbe a questi giovani?
R. - A me capita molte volte di parlare con loro di questo,
perché nel pomeriggio lavoro con i giovani in un oratorio. Lo dico sempre:
“Perché avete questa antipatia? Perché li odiate?”. “Perché
non ci permettono di fare tante cose – rispondono - Il poliziotto la deve
pagare!”.
D. - Cosa c’è dietro quest’odio, don Mario? Molta
ignoranza?
R. - Sicuramente molta ignoranza e poi loro trasformano
l’agonismo in odiosità, in antipatia, in voglia di prevalere sugli altri. Tanti
giovani hanno questa mentalità, che tutto è lecito. E così
anche fare questo tipo di gazzarra negli stadi: per loro è una cosa normale: tutti
lo fanno, lo facciamo anche noi...
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TORINO
NON E’
COSÌ
AI NOSTRI MICROFONI IL CARDINALE SEVERINO POLETTO
“Torino non è la capitale italiana delle messe nere”. A
parlare è il cardinale Severino Poletto, arcivescovo
di Torino, che smentisce la “leggenda metropolitana”, così la definisce, che
indica nella città di Torino uno dei vertici del triangolo esoterico con
Lione e Praga. “Da quando sono a capo della Chiesa torinese non sono mai dovuto
intervenire su fatti specifici di questo genere”. Intanto, dopo molti anni,
l’arcivescovo torinese ha sostituito gli esorcisti attivi fin dai tempi del
cardinale Anastasio Ballestrero. Ora,
l’arcidiocesi ha 5 nuovi esorcisti che continuano a svolgere la loro normale
attività pastorale esercitando questo “particolare ministero” solo in alcuni
giorni della settimana. Il cardinale Poletto ribadisce:
“il diavolo esiste” e la prudenza della Chiesa al
riguardo, “non va intesa come tacita negazione del demonio”. Ascoltiamo il
cardinale Severino Poletto, al microfono di Luca Collodi:
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R. – Sull’esistenza del demonio non ci sono dubbi. Si
tratta di una realtà di cui Cristo stesso ci ha parlato. L’esistenza del
demonio non è messa assolutamente in discussione. Credo veramente che questa
non solo esistenza del demonio, ma anche l’azione del
demonio sulle persone sia per tentarle al male, sia per porre nella testa delle
persone progetti di peccato, di ribellione a Dio, di odio verso i fratelli e
quindi di “scassinamento” della realtà sociale, della famiglia. Ci sono delle
cose che non sono spiegabili, ci sono delle cose che hanno talmente una
complessità di interpretazione e di immaginazione che sono inspiegabili senza
l’ispirazione del maligno di cui Cristo ci ha parlato tante volte
sull’esistenza dell’azione del demonio e non ci sono dubbi. Indubbiamente
bisogna stare, invece, attenti ad un altro aspetto della fede cristiana: noi
dobbiamo parlare del demonio come dobbiamo parlare dell’inferno che esiste, non
sappiamo quanta gente ci sia.
D. – Cardinale Poletto, come
possiamo immaginare l’inferno?
R. – Lo immaginiamo come una conseguenza logica di un dono
grande che Dio ha dato all’uomo, all’uomo inteso come persona umana e quindi
uomo e donna, la libertà. Se non esistesse l’inferno noi saremmo obbligati, in
un certo qual senso, a scegliere Dio. Dio ci ha manifestato il suo amore, ci offre
i segni grandi dell’amore e soprattutto attraverso il mistero dell’Incarnazione
e della Redenzione operata dal Cristo, ma l’uomo poi è libero di accettare o di
rifiutare. La possibilità del rifiuto di Dio, quindi, è una conseguenza di un
uso cattivo della libertà, ma è comunque una conseguenza dell’uso della
libertà.
D. – L’inferno, però, non è un luogo fisico?
R. – Ma neanche il Paradiso è un luogo fisico, perché il
Paradiso è essere con Dio. Non è un luogo, ma è una condizione. La condizione
di chi è con Dio e vede Dio, faccia a faccia, così come Egli è. Non è un luogo,
ma una condizione così come la condizione dell’inferno è la condizione di
quelle persone che – e questo è il Signore che lo sa giudicare – muoiono
coscientemente in un rifiuto di Dio, dicendo non voglio venire con Te, non
voglio stare con Te. Dio rispetta questa loro scelta, perché pur essendo
attratti da Lui non possono stare con Dio: questo è il grande tormento dei
dannati.
D. – Parlavamo prima del diavolo, del satanismo e lei sottolineava
l’esistenza del demonio, ma metteva anche in guardia da certe esagerazioni ...
R. - Mettevo in guardia, perché a fronte di una – a volte
– dimenticanza del demonio, bisogna stare attenti di non cadere nell’eccesso
opposto di vedere il demonio dappertutto o di parlarne troppo. E questo perché
noi siamo chiamati ad annunciare l’amore di Dio ed è Dio che è più forte di Satana.
Naturalmente questo può portare alcune persone, a volte, a sentirsi possedute
dal demonio, anche solo perché hanno magari qualche disturbo o disagio
psicologico o psichico. Non è, quindi, corretto attribuire subito tutto
all’azione del demonio. Ecco qui il discernimento, ecco qui l’invito ha chi ha
il ministero di esorcista ad essere prudente, ad essere una persona che agisce
con tanta cautela, che prega, che invoca di Dio, ma andando adagio nel pensare
subito che si tratti – qualunque sia il tipo di
disturbo – di possessione o vessazione diabolica.
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6 febbraio 2007
L’EMERGENZA
CLIMA COLPISCE SOPRATTUTTO I PAESI PIU’ POVERI:
L’ALLARME LANCIATO IERI A NAIROBI DAL
SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU.
BAN KI-MOON, IN APERTURA DEL VERTICE
DELL’ORGANIZZAZIONE
PER L’AMBIENTE DELLE NAZIONI UNITE
NAIROBI.
= “Saranno i più poveri – in Africa, nelle piccole isole in via di sviluppo e
ovunque nel mondo – a soffrire maggiormente il riscaldamento globale, sebbene
ne siano i meno responsabili”. Lo ha detto ieri il segretario generale dell’ONU
Ban Ki-moon in apertura del
Vertice globale dei ministri dell’Ambiente presso la sede del Programma ambientale
dell’ONU (UNEP) a Nairobi. Secondo gli esperti, infatti, nonostante l’Africa
sia il Continente a più basse emissioni di gas serra, risentirà in misura
maggiore dei cambiamenti climatici a causa della sua povertà e del suo
sottosviluppo. L’avanzamento
della desertificazione attorno al Sahara e lo scioglimento dei
ghiacciai del Kilimangiaro sono ormai diventati i simboli più efficaci della
crisi ambientale. Il direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO)
Pascal Lamy ha dichiarato
che “lo sviluppo sostenibile non è più un’opzione, ma un obbligo” ed ha
promesso che “il WTO è pronto a fare la sua parte”. Mentre Achim
Steiner, direttore esecutivo dell’UNEP, ha ribadito
la necessità di “norme internazionali” e standard realistici per favorire uno
sviluppo sostenibile e regolarizzare il mercato globale. (E.L.)
VINCERE
DUE
GRANDI SFIDE PER
SOTTOLINEATE
DALL’ARCIVESCOVO CASTRO QUIROGA,
PRESIDENTE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE LATINOAMERICANO,
APRENDO IERI A BOGOTÀ I LAVORI DELL’ASSEMBLEA
PLENARIA.
IN PRIMO PIANO IL CONFLITTO CIVILE CHE OPPONE
I RIBELLLI DELLE FARC
ALLE
TRUPPE GOVERNATIVE.
- Il
servizio di Luis Badilla -
*********
BOGOTA’. = “E' nostro dovere insistere
sulla necessità di raggiungere prima possibile un accordo umanitario e, al
tempo stesso, evitare in ogni modo di mettere a repentaglio la vita degli
ostaggi. Inoltre occorrono anche altri accordi per far cessare i sequestri che
hanno scopi estorsivi". Così, ieri, mons. Luis
Augusto Castro Quiroga, che ha chiesto ancora di fare
di tutto per mettere fine all'uso delle mine anti-uomo, a tutte le aggressioni
contro la società civile, al tragico fenomeno degli sfollati, per creare così -
ha sottolineato - le condizioni "per un dialogo effettivo verso la pace e
la giustizia sociale. Nella sua relazione, l'arcivescovo Castro ha espresso il
sostegno dell'Episcopato a tutti gli sforzi che si propongono "la
purificazione delle istituzioni democratiche", e in particolare, ha fatto
un appello alla guerriglia delle FARC (Forze armate rivoluzionarie della
Colombia) affinché "desistano dall’intento di identificare la pace con la
presa del potere con le armi assumendo seriamente la responsabilità di un
reinserimento e una collaborazione politica". Il presidente
dell'episcopato ha espresso anche la grave preoccupazione della Chiesa per la
"proliferazione di gruppi mafiosi che, anche se piccoli, sono numerosi e
gradualmente tendono ad agire in tutto il territorio della
nazione". Il presule ha ribadito la sua fiducia nell'opera dell'autorità
augurandosi che si possa "bloccare questo nuovo
fenomeno alimentato da vecchi aneliti secondo i quali si può raggiungere il
potere al margine dell'istituzionalità”. Dall'altra parte, mons. Castro, nel
suo sguardo panoramico sulla delicata e dolorosa situazione complessiva della
nazione, ha sottolineato con insistenza il bisogno urgente di “rivitalizzare ogni processo che può condurre
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INTERNET,
CELLULLARI E VIDEOTELEFONI: TROPPI RISCHI PER I MINORI:
SI
CELEBRA OGGI IN EUROPA
- Servizio
di Roberta Gisotti -
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BRUXELLES. = Nell’Unione
Europea, il 70 per cento dei ragazzini tra i 12 ed i 13 anni ed oltre il 20 per
cento dei bambini tra gli 8 e i 9 anni possiede un cellulare. In Italia, addirittura,
ad averlo sono la metà, tra 8 e i 13 anni, ed il 90 per cento tra i 14 e i 19
anni. Ma nessuno si è mai occupato di contrastare i rischi cui vanno incontro i
minori, seppure drammatici fatti di cronaca abbiano evidenziato quanto
l’infanzia e l’adolescenza siano indifese di fronte a deviazioni e perversioni
che possono celarsi dietro semplici mode di comportamento e nuovi linguaggi
tecnologici. Suonano ovunque e in ogni momento, a scuola, in ufficio, per
strada, in tram, al ristorante e perfino nelle toilette; siamo tutti sotto
l’obiettivo dei videofonini in barba alla privacy, occupati a ricevere ed
inviare messaggi, video messaggi, spedire mail, scaricare giochi, musica,
immagini, filmati da Internet, oppure guardare
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IL
DRAMMA DI 200 IMMIGRATI SU UNA NAVE IN AVARIA, AL LARGO
DELLE COSTE
DELLA
MAURITANIA, DIRETTA VERSO LE ISOLE CANARIE, IN SPAGNA.
IL
GOVERNO MAURITANO RIFIUTA INFATTI DI ACCOGLIERLI
-
Servizio di Ignazio Arregui -
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NOUAKCHOTT. = Circa 200 immigrati asiatici, su una nave
ferma in alto mare per un guasto ai motori, continuano ad attendere una
soluzione alla loro critica situazione. La nave si trova a
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IERI
POMERIGGIO, IL SALUTO DI COMMIATO ALLA CHIESA DI
PALERMO
DEL CARDINALE
SALVATORE DE GIORGI, ARCIVESCOVO DELLA CITTA’.
NELLA
CATTEDRALE GREMITA DI FEDELI, IL PORPORATO HA CHIESTO
ANCORA UNA VOLTA UN IMPEGNO FORTE
“PER
COMBATTERE PIU’ DECISAMENTE I MALI SOCIALI”
- Servizio di Alessandra Zaffiro -
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PALERMO. = “Nella preghiera collettiva abbiamo chiesto al
Padre la grazia di perseverare fedelmente nel nostro cammino verso di Lui con
la luce della fede, con la forza della speranza e con l’ardore della carità che
caratterizzano la testimonianza cristiana, della quale S. Agata, gloria della
nostra Sicilia e compatrona della città di Palermo, ci ha dato un fulgidissimo esempio sino al martirio. Sono le parole del
cardinale Salvatore De Giorgi nel saluto alla Chiesa di Palermo in una
cattedrale gremita di fedeli, vescovi e sacerdoti. Ai fedeli e alle autorità il
cardinale De Giorgi ha chiesto un impegno forte “per combattere più decisamente
i mali sociali, come il traffico della droga, la criminalità organizzata e
mafiosa, il pizzo, l'abuso e lo sfruttamento dei minori”, da contrastare con
una “mobilitazione culturale e morale delle coscienze che favorisca un cambiamento
di mentalità, più rispettosa della dignità della persona umana e dei suoi
diritti”. Il cardinale De Giorgi si è poi rivolto ai sacerdoti ricordando don
Pino Puglisi: “Non abbiamo paura, anche quando dobbiamo attraversare la valle
oscura della prova e della tribolazione, convinti che la vocazione sacerdotale
è vocazione al martirio, come ci hanno insegnato i due servi di Dio, padre
Francesco Spoto e padre Pino Puglisi.
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6 febbraio 2007
- A cura di
Fausta Speranza -
L’imminente incontro alla Mecca tra leader palestinesi
e poi la prospettiva di una ripresa del negoziato israelo-palestinese con un
vertice a metà febbraio: queste le prossime tappe diplomatiche in Medio Oriente in
cui si dovranno affrontare questioni di grande rilevanza. Il servizio di Fausta
Speranza:
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Il premier palestinese, Ismail
Haniyeh (Hamas), ha espresso ottimismo
quando di prima mattina ha lasciato Gaza diretto verso La Mecca (Arabia
Saudita), dove incontrerà il leader di Hamas, Khaled Meshal, e il presidente Abu Mazen (al Fatah). Obiettivo del
vertice, iniziativa di re Abdallah, è di trovare
un’intesa per un governo di unità nazionale palestinese e di mettere fine alle
lotte fratricide divampate nelle settimane scorse. Da parte sua, il presidente
dell’ANP, Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha dichiarato che
“se i colloqui alla Mecca falliranno ci sarà una guerra civile tra i palestinesi”.
C’è da dire che nell’imminenza del vertice della Mecca sotto mediazione
saudita, Hamas ed al Fatah sono impegnati in queste
ore a Gaza nella liberazione dei miliziani catturati nei giorni scorsi.
Intanto, il rapporto di un’organizzazione umanitaria locale denuncia 76
palestinesi uccisi in episodi di violenza a gennaio, la maggior parte a Gaza,
gli altri in Cisgiordania. Di questi, almeno 50 sono rimasti uccisi nei
combattimenti fra Hamas ed al Fatah. Gli altri sono
attribuibili a lotte fra clan familiari o ad episodi di malavita. E il mese di
febbraio è iniziato in maniera ancora più cruenta: a Gaza, duri scontri fra
Hamas ed al Fatah hanno provocato in pochi giorni la
morte di almeno 29 palestinesi e il ferimento di circa 200. Allargando lo
sguardo oltre i fatti interni ai palestinesi, il quotidiano Yediot
Ahronot di Tel Aviv afferma che dopo un lungo periodo
di stallo, il processo di pace israelo-palestinese si rimetterà in moto il 19
febbraio a Gerusalemme. In questa data, infatti, si svolgerà un vertice a tre
fra il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, il premier israeliano, Ehud
Olmert, e il presidente palestinese, Abu Mazen.
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Un diplomatico iraniano di alto rango è stato
rapito a Baghdad da uomini armati che indossavano divise dell'esercito
iracheno. Lo riferisce la televisione al Arabiya. Il
fatto è avvenuto domenica ma è stato confermato oggi
dopo che ieri il New York Times ne aveva dato
notizia. Il diplomatico, che è il secondo segretario all’ambasciata iraniana,
ma di cui non è stato rivelato il nome, si stava recando nel quartiere Karrada ad ispezionare il palazzo, dove sono in corso i
lavori di allestimento degli uffici della banca Milleti
Iran, la cui apertura di una sede a Baghdad è stata decisa durante la recente
visita del presidente iracheno, Jalal Talabani, a Teheran. Ad agire sarebbe stato un commando di una trentina
di persone, che si muoveva a bordo di almeno dieci auto con i colori e le
targhe dell’esercito iracheno, secondo quanto hanno riferito fonti dei Servizi
segreti iracheni, citate dall’emittente Tv panaraba.
I cadaveri di due afghani crivellati di pallottole
sono stati ritrovati dalle autorità pakistane nel Nord Waziristan,
l’area tribale del Pakistan vicino al confine con l’Afghanistan: secondo i
Servizi di sicurezza di Islamabad i
due morti portano i segni inequivocabili
dell’esecuzione come “spie degli americani” a
opera dei ribelli che combattono con i Taleban
afghani. I cadaveri sono stati ritrovati nei pressi del villaggio di Pir Kalay, 18 km circa da Miranshah, cittadina capoluogo del Nord Waziristan,
impervio territorio tribale, in gran parte montuoso, considerato retroterra,
vivaio e rifugio per i Taleban afghani e i loro sostenitori.
Quasi 100 miliardi di dollari entro la
fine di settembre per le guerre in Iraq e Afghanistan. È una delle previsioni
di spesa presentate ieri a Washington dal presidente americano, Bush, di fronte al Congresso statunitense, dominato dagli
avversari democratici. La reazione dei parlamentari, che stanno discutendo una
serie di risoluzioni di condanna alla decisione del presidente di inviare più
truppe in Iraq, non è stata priva di critiche. Il servizio di Paolo
Mastrolilli:
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Per finanziare le attività degli Stati Uniti nel 2008, il
presidente ha chiesto al Congresso quasi tremila miliardi di dollari. La voce
più grande è quella del Pentagono, che ha bisogno di 624 miliardi per
continuare gli interventi in Iraq e in Afghanistan. Nello stesso tempo, però,
il capo della Casa Bianca vuole rendere permanenti i tagli alle tasse decisi
finora su base temporanea e portare comunque il bilancio in pareggio nel giro
di cinque anni, grazie alla crescita dell’attività economica e alla riduzione
degli investimenti in settori come la sanità. Ora i democratici, usciti
vittoriosi dalle elezioni di novembre, promettono battaglia soprattutto perché
non condividono la linea del presidente in Iraq, mentre sarebbe imminente
l’inizio delle nuove operazioni per reprimere gli insorti a Baghdad.
Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.
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Un insieme di misure per impedire il reclutamento
dei bambini-soldato e per lottare contro l’impunità di quanti li sfruttano e li
gettano nei conflitti è stato approvato da 58 Paesi, nell’ambito dei lavori
della Conferenza internazionale in corso da ieri a Parigi. Il servizio di
Francesca Pierantozzi:
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E’ il primo, importante
risultato della Conferenza organizzata a Parigi “Liberiamo i bambini della
guerra”, interamente dedicata ai circa 250 mila bambini in tutto il mondo
arruolati in eserciti o gruppi armati. Il documento approvato a Parigi
rappresenta una sintesi delle migliori pratiche da adottare nella lotta contro
i bambini-soldato. Questi principi sottolineano in particolare la necessità di
tenere conto dei problemi che pone il reinserimento delle giovani ragazze,
sempre più numerose negli eserciti. “Non è più possibile – ha detto oggi Lysiane André, responsabile di una ONG impegnata sul terreno – che dei governi decidano
un’amnistia generale per gli autori di crimini di guerra, tanto per i massacri
che per l’arruolamento dei bambini”. Come tanti altri, Lysian
André ha chiesto che vengano
immediatamente adottate sanzioni internazionali contro i Paesi che reclutano
bambini per fare la guerra. Il ministro degli Esteri francese, Philippe Douste Blazy, ha chiesto ieri che arruolare bambini-soldato venga considerato un “crimine contro l’umanità”. Douste-Blazy ha annunciato “un nuovo programma di due milioni
di euro” e lo spiegamento “di tecnici nelle zone più coinvolte”, a cominciare
dalla regione dei Grandi Laghi.
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Un altro dirigente della polizia turca, il capo
dell’intelligence della polizia di Istanbul,
è stato arrestato per avere ignorato alcune informazioni sull’intenzione
omicida di uno dei complici dell’assassino del giornalista turco-armeno Hrant Dink. Lo riferiscono oggi i
giornali turchi. Otto persone, in totale, sono state rinviate a giudizio per il
delitto che è maturato, a quanto risulta, in un gruppo di islamo-nazionalisti
della città di Trebisonda (Trabzon), la stessa città
sul Mar Nero, dove, probabilmente negli stessi ambienti, maturò l’omicidio del
sacerdote cattolico Andrea Santoro. Nei giorni scorsi erano stati allontanati
per negligenza il governatore ed il capo della polizia di Trebisonda, seguiti
da tre funzionari di polizia, un poliziotto e quattro sottufficiali della
Gendarmeria, per avere girato un filmino e scattato
fotografie in cui l’assassino era in posa da eroe nazionale con una bandiera
turca tra le mani. Dink era stato preso di mira –
sembra accertato – per le sue affermazioni sui massacri degli armeni del 1915
(1,5 milioni di morti, secondo gli armeni, 300 mila secondo i turchi). Dink lo aveva definito “il primo genocidio del secolo”.
Non accenna a placarsi la polemica diplomatica tra
Giappone e Cina in merito a un’annosa contesa territoriale sulle isole Senkaku/Diaoyu, tornata alla
ribalta nei giorni scorsi con l’avvistamento di una nave cinese nella zona che
i giapponesi rivendicano come propria. In risposta
alla reazione delle autorità cinesi, che oggi
hanno convocato l’ambasciatore giapponese a Pechino esprimendo “profonda
insoddisfazione” per la vigorosa protesta di Tokyo sulla vicenda, il premier
nipponico Shinzo Abe ha
prontamente ribattuto chiedendo alla Cina “spiegazioni accettabili”
sull’accaduto, definendosi a sua volta “insoddisfatto” delle indicazioni
pervenute finora da Pechino. La protesta di Tokyo riguarda il confronto fra una
motovedetta nipponica e la nave cinese “Dongfanghong-2”, che domenica si è a
lungo rifiutata di obbedire alle intimazioni di allontanarsi dalla zona economica
esclusiva presso le isole del Mar Cinese orientale. L’aspra polemica tra i due
Paesi arriva a una decina di giorni dalla missione a Tokyo del ministro degli
Esteri cinese Li Zhaoxing,
che dovrebbe preparare la strada all’attesa visita del premier Wen Jiabao ad aprile. Che il
clima tra le due potenze asiatiche si stia deteriorando lo
conferma anche una nuova disputa sui dazi tra Tokyo e Pechino: è di oggi fa la
notizia che il Giappone sarebbe sul
punto di presentare una protesta ufficiale presso l’Organizzazione Mondiale del
Commercio (WTO), lamentando l’illegittimità della politica protezionista cinese
in alcuni settori cruciali, fra cui informatica e industria dell’acciaio.
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