RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 37  - Testo della trasmissione di martedì 6 febbraio 2007

 

 

Sommario

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Benedetto XVI concede l’indulgenza plenaria e parziale in occasione della 15.ma Giornata mondiale del malato, in programma a Seoul domenica prossima

 

Il Papa visiterà il carcere minorile romano di Casal del Marmo domenica 18 marzo

 

La Santa Sede ribadisce il suo sostegno a quanti si impegnano contro la pena capitale

 

I fedeli delle diverse religioni si impegnino per una pace, fondata sul rispetto reciproco e la giustizia: così, mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore presso l’ufficio ONU di Ginevra

 

La missione della Chiesa al centro della riunione della Commissione mista per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali: con noi mons. Johan Bonny

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

L’Indonesia colpita da forti piogge torrenziali: mobilitate parrocchie e Caritas locali. Il commento di padre Silvano Laurenzi

 

Il mondo dello sport italiano in attesa delle misure anti-violenza negli stadi. Il ministro Amato al Parlamento: bisogna resistere alle pressioni delle società di calcio: ce ne parla don Mario Arestivo

 

Torino non è la capitale delle messe nere: così ai nostri microfoni il cardinale Severino Poletto

 

CHIESA E SOCIETA’:

L’emergenza clima colpisce soprattutto i Paesi più poveri: l’allarme lanciato ieri a Nairobi dal segretario generale dell’ONU

 

Vincere la povertà e difendere la democrazia: le due grandi sfide per la Colombia, sottolineate dall’arcivescovo Castro Quiroga, presidente della Conferenza episcopale del Paese latinoamericano, aprendo ieri a Bogotà i lavori dell’Assemblea plenaria

 

Internet, cellulari e videotelefoni, troppi rischi per i minori: si celebra oggi in Europa la Giornata per un accesso più sicuro alla rete

 

Il dramma di 200 immigrati su una nave in avaria, al largo delle coste della Mauritania, diretta verso le isole Canarie, in Spagna

 

Ieri pomeriggio, il saluto di commiato alla Chiesa di Palermo del cardinale Salvatore De Giorgi

 

24 ORE NEL MONDO:

     Grande attesa per il vertice interpalestinese di oggi alla Mecca, in Arabia Saudita

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

6 febbraio 2007

 

BENEDETTO XVI CONCEDE L’INDULGENZA PLENARIA E PARZIALE

IN OCCASIONE DELLA 15.MA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO,

IN PROGRAMMA A SEOUL DOMENICA PROSSIMA

 

La celebrazione della Giornata mondiale del malato, che avrà il suo centro a Seoul, in Corea del Nord, domenica 11 febbraio, porterà con sé, come tradizionalmente accade in questa circostanza, la possibilità per i fedeli di ottenere l’indulgenza plenaria. Benedetto XVI ha concesso questa facoltà resa nota con un Decreto dal penitenziere maggiore, il cardinale James Francis Stafford. Per i particolari sulle modalità per ottenere le indulgenze, sentiamo Alessandro De Carolis.

 

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Accettare le malattie e le sofferenze che ne derivano accogliendole in spirito di fede questo è per ogni essere umano “causa di maggiore santità”. Lo ricorda il cardinale Stafford all’inizio del Decreto riguardante le indulgenze con-cesse dal Papa per la 15.ma Giornata mondiale del malato di Seoul. Il peniten-ziere maggiore si sofferma sui risvolti umani ed etici della malattia. I rimedi della medicina, osserva, “hanno un limite” e poiché “inevitabilmente verrà un tempo che porterà l'uomo al termine del suo cammino su questa terra”, agli ammalati “occorre riservare le cure più attente e la più grande carità, così che il loro transito da questo mondo al Padre sia confortato dalle divine consolazioni”. In ciò sta il senso delle indulgenze disposte da Benedetto XVI alle consuete condizioni.

 

L’indulgenza plenaria sarà concessa ai fedeli che prenderanno parte, a Seoul o in un altro luogo consentito, alle celebrazioni per la Giornata mondiale del malato di domenica prossima, che in precedenza abbiano assolto ai doveri della confessione sacra­mentale, della comunione eucaristica e della preghiera secondo le intenzioni del Santo Padre. La stessa indulgenza plenaria sarà concessa anche ai fedeli che quel giorno non potranno partecipare alle cerimonie perché impegnati ad assistere gli ammalati, specialmente quelli incurabili o terminali, ricoverati in ospedali pubblici o in case private. In particolare, si specifica nel Decreto, oltre ad aver prestato “generosamente almeno per qualche ora la loro caritatevole assistenza agli ammalati come se lo facessero allo stesso Cristo Signore”, tali fedeli debbono avere il proposito di “adempiere appena possibile alle condizioni richieste per l'ottenimen­to dell'indulgenza plenaria”. Il terzo caso riguarda i fedeli impediti a prendere parte alle cerimonie dell’11 febbraio perché malati, o in età avanzata o per altre ragioni simili: possono ottenere anch’essi l’indulgenza plenaria se, come recitano le disposizioni, avendo “l’animo distaccato da qualsiasi peccato e proponendosi di adempiere alle solite condizioni appena possibile, in quel giorno, unitamente al Santo Padre, partecipino spiritualmente con il desiderio alla suddetta celebrazione e offrano a Dio, attraverso la Vergine Maria, ‘Salute degli Infermi’, le loro sofferenze fisiche e spirituali”.

        

Un caso specifico riguarda invece l’ottenimento dell’indulgenza parziale che il Papa concederà ai fedeli tutte le volte che costoro – conclude il comunicato del penitenziere maggiore - dal 9 all'11 del prossimo febbraio rivolgeranno “con cuore contrito” a Dio “devote preghiere per implorare le suddette finalità in aiuto degli infermi, particolarmente quelli incurabili o terminali”. In proposito, “è necessario - aveva scritto Benedetto XVI nel suo Messaggio per questa Giornata - promuovere politiche in grado di creare condizioni in cui gli esseri umani possano sopportare anche malattie incurabili ed affrontare la morte in una maniera degna”. E’ necessario sottolineare ancora una volta, aveva insistito, “la necessità di più centri per le cure palliative che offrano un'assistenza integrale, fornendo ai malati l'aiuto umano e l'accompagnamento spirituale di cui hanno bisogno”.

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IL 18 MARZO, BENEDETTO XVI VISITERA’ IL CARCERE MINORILE ROMANO

 DI CASAL DEL MARMO. LA VISITA AD UN CARCERE, SULLA SCIA DEI SUOI

 PREDECESSORI GIOVANNI XXIII, PAOLO VI E GIOVANNI PAOLO II

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

Benedetto XVI si recherà in visita al carcere minorile romano di Casal del Marmo, domenica 18 marzo. A darne notizia è oggi il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. E’ la prima volta che Benedetto XVI visita un carcere, seguendo le orme di Giovanni XXIII e Paolo VI che visitarono il carcere di Regina Coeli, e di Giovanni Paolo II che - oltre a Regina Coeli e Rebibbia - si recò in visita proprio al carcere minorile di Casal del Marmo, nel 1980. In tale occasione, Papa Wojtyla affermò: “La mia presenza in questo luogo vuole essere pertanto anche un incoraggiamento per tutte quelle sagge riforme dell’ordinamento giudiziario e amministrativo, che tendano non a deprimere chi ha mancato, ma ad aiutarlo a ritrovare se stesso, a reinserirsi con serenità e consapevolezza nell’ordinato concerto della civile convivenza”. Ai giovani detenuti di Casal del Marmo, la Santa Sede è legata da un rapporto particolare: oltre alla visita di Giovanni Paolo II e ora di Benedetto XVI, infatti, nel penitenziario ha prestato per lunghi anni il suo servizio pastorale il cardinale Agostino Casaroli, segretario di Stato vaticano negli anni ’80.

 

 

NOMINE

Il Santo Padre ha nominato ausiliare di Regensburg, in Germania, mons. Reinhard Pappenberger, del clero della medesima diocesi, canonico del Capitolo cattedrale e direttore dei dipartimenti “Matrimonio e Famiglia”, “Liturgia e Musica sacra” e “Pastorale dei giovani e delle associazioni” della curia diocesana di Regensburg, assegnandogli la sede titolare vescovile di Aptuca. Mons. Reinhard Pappenberger è nato a Grafenwöhr (diocesi di Regensburg) il 30 giugno 1958. Ha compiuto gli studi filosofici e teologici presso la Facoltà teologica dell’Università di Regensburg. E’ stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1985 con incardinazione a Regensburg. Dal 1990 ha svolto l’ufficio di responsabile diocesano per il Movimento dei lavoratori cattolici (KAB), di direttore spirituale dell’Associazione diocesana dei giovani operai cristiani (CAJ) e di referendario diocesano per la pastorale degli impiegati.

Il Santo Padre ha quindi nominato membri del Pontificio Comitato per i Congressi Eucaristici Internazionali mons. Robert Sarah, segretario della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, mons. Brian Farrell, segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e il padre redentorista Réal Tremblay, consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede.

 

 

IN UNA DICHIARAZIONE, RILASCIATA IN OCCASIONE DEL CONGRESSO MONDIALE

 SULLA PENA DI MORTE, TENUTOSI NEI GIORNI SCORSI A PARIGI,

 LA SANTA SEDE RIBADISCE IL SUO SOSTEGNO A QUANTI SI IMPEGNANO

 CONTRO LA PENA CAPITALE E PER LA DIFESA DELL’INVIOLABILITA’ DELLA VITA UMANA

- A cura di Alessandro Gisotti -

 

“Le autorità legittime dello Stato hanno il dovere di proteggere la società dagli aggressori”, ma “è oggi davvero difficile poter giustificare” la scelta della pena capitale. E’ quanto ribadisce la Santa Sede in una dichiarazione rilasciata in occasione del Congresso Mondiale sulla Pena di Morte, tenutosi in questi giorni a Parigi. Nella nota, si assicura il sostegno della Santa Sede a “tutte le iniziative mirate a difendere il valore inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento alla morte naturale”. Viene perciò espresso apprezzamento per coloro che “lavorano con impegno e vigore rinnovato per abolire la pena capitale o per attuare una moratoria universale della sua applicazione”. La pena di morte, sottolinea la dichiarazione, non è “solo il rifiuto del diritto alla vita, ma anche un affronto alla dignità umana”.

 

Viene ricordato, dunque, l’appello di Giovanni Paolo II, in occasione del Giubileo dell’anno 2000 per una moratoria sulla pena capitale. E, ancora, i ripetuti interventi di Benedetto XVI per ottenere la clemenza di persone condannate a morte. D’altro canto, vengono sottolineati i numerosi rischi legati alla pena capitale: innanzitutto, “il pericolo di punire persone innocenti”. Poi, la “tentazione di promuovere forme violente di vendetta più che di un vero senso della giustizia sociale”. La pena di morte, si legge ancora, “è una chiara offesa contro l’inviolabilità della vita umana”, che “promuove una cultura della violenza e della morte”. Per i cristiani, poi, “si tratta inoltre di un disprezzo dell’insegnamento evangelico sul perdono”.

 

 

I FEDELI DELLE DIVERSE RELIGIONI SI IMPEGNINO PER UNA PACE FONDATA

SUL RISPETTO RECIPROCO E LA GIUSTIZIA:

COSI’, L’ARCIVESCOVO SILVANO MARIA TOMASI,

OSSERVATORE PERMANENTE DELLA SANTA SEDE PRESSO L’UFFICIO ONU

DI GINEVRA, IN UN INCONTRO INTERRELIGIOSO SUL MESSAGGIO DI BENEDETTO XVI

 PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 2007

 

I credenti delle diverse religioni devono riaffermare che la “pace è un dono” ed un “obiettivo da conseguire”: è quanto sottolineato dall’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio ONU di Ginevra. L’occasione per questo appello è stata offerta al presule da un incontro interreligioso sul messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2007, tenutosi nei giorni scorsi a Ginevra, alla presenza di rappresentanti della comunità cristiana, ebrea, musulmana e buddista. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Non bisogna arrendersi alla cultura del conflitto, non si deve accettare lo scontro come inevitabile e la guerra come una condizione naturale”: è il forte richiamo dell’arcivescovo Silvano Maria Tomasi. Questa fiducia, ha sottolineato, “ci viene da una visione di pace che è profondamente radicata e condivisa da tutte le fedi tradizionali”. Dalla convinzione, cioè, ha proseguito, che Dio, nostro Creatore, “ha donato ad ogni persona un’inalienabile dignità” da cui deriva “un’eguaglianza di diritti e doveri” e una “solidarietà indistruttibile tra tutti gli uomini e le donne”. Riflettendo sul tema del messaggio pontificio per la Giornata Mondiale della Pace del 2007, “La persona umana, cuore della pace”, mons. Tomasi ha rilevato che tutti siamo impegnati per la pacifica convivenza della famiglia umana. Tuttavia, ha detto, “non dobbiamo essere ingenui”. Il fenomeno della violenza, infatti, “è diventato sempre più complesso nel XXI secolo e pone sfide senza precedenti alla comunità internazionale”.

 

L’impegno per la pace, è stata la sua esortazione, deve spingerci a “chiudere il divario tra ricchi e poveri, porre fine alle guerre civili e al terrorismo, a tutti i conflitti armati”. Ancora, l’osservatore vaticano ha denunciato la “glorificazione della violenza nei media”, chiedendo uno sforzo per fermare “la nuova corsa agli armamenti e la proliferazione di una varietà di armi”. Il presule ha ricordato come ci siano milioni di persone che soffrono a causa delle guerre, evidenziando che “i civili sono presi a bersaglio nel più totale disprezzo delle leggi umanitarie”. Queste vittime, ha avvertito, “chiedono pace e rispetto per la loro dignità umana”. La ricerca della pace, ha detto ancora, nasce nel cuore di ogni individuo prima di arrivare agli Stati e alla comunità internazionale. E qui, ha messo l’accento sull’importanza del “rispetto della persona, del diritto alla vita, della libertà religiosa”, così come il “libero esercizio dei diritti umani fondamentali e l’eliminazione delle ingiuste ineguaglianze”.

 

 Un dialogo effettivo per costruire la pace, ha rimarcato, “deve poggiarsi sui due pilastri del rispetto e della giustizia”. Una giustizia che nasce “da un relazionarsi quotidiano che confermi la sincerità delle parole e degli accordi”. Attraverso un “personale coinvolgimento” è allora possibile andare oltre “una mera tolleranza”. Rispetto e giustizia è, dunque, il binomio, indicato dal presule, per costruire una pace solida. Il tragitto che va “dalla tolleranza al rispetto e alla giustizia – ha concluso – raggiunge la sua perfezione quando scopre che la più alta vocazione della persona umana è l’amore”.

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LA MISSIONE DELLA CHIESA, LA SALVEZZA DEI NON BATTEZZATI

E LA QUESTIONE DEI MATRIMONI MISTI TRA CRISTIANI E MUSULMANI

SONO STATI I TEMI AL CENTRO DELLA RIUNIONE DELLA COMMISSIONE MISTA

 INTERNAZIONALE PER IL DIALOGO TEOLOGICO TRA LA CHIESA CATTOLICA

E LE CHIESE ORTODOSSE ORIENTALI, CHE SI E’ SVOLTA IN QUESTI GIORNI A ROMA

- Intervista con mons. Johan Bonny -

 

         Si è svolta in questi giorni a Roma la riunione della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali. I partecipanti all’incontro sono stati ricevuti dal Papa in Vaticano il 1° febbraio scorso. Le Chiese ortodosse orientali sono quelle comunità che si separarono dalla Chiesa nel 451 non accettando alcune formulazioni del Concilio di Calcedonia. Sui contenuti della riunione della Commissione mista, che si incontrerà di nuovo a Damasco nel gennaio 2008, ascoltiamo mons. Johan Bonny, incaricato del settore delle Chiese ortodosse orientali del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. L’intervista è di Giovanni Peduto:

 

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R. – Abbiamo continuato la nostra riflessione sulla Chiesa, più in particolare sulla missione della Chiesa, quel grande compito che Gesù ha dato a tutti i suoi discepoli di proclamare il Vangelo in tutto il mondo; come abbiamo vissuto noi e come hanno vissuto loro questa missione e cosa possiamo fare oggi. Poi, sempre in quel contesto, abbiamo parlato di altri due temi: della salvezza dei non battezzati e del rapporto tra la Chiesa e i non cristiani, che per loro è un tema di grande attualità, vivendo in un mondo a maggioranza musulmana. Per loro, dunque, ogni giorno si pone questa domanda: “Qual è la salvezza di chi non crede in Gesù Cristo, non è battezzato e non è membro della Chiesa?”. Un altro tema è stato quello della possibilità o meno di matrimoni misti tra battezzati e non battezzati. Loro sono molto reticenti rispetto a questa possibilità. Nella Chiesa cattolica di solito si scoraggiano i matrimoni tra cristiani e musulmani, ma, secondo il codice di Diritto Canonico, è possibile e abbiamo, quindi, questi matrimoni misti. In Medio Oriente, sia gli ortodossi che i cattolici, sono più reticenti, perchè vedono soprattutto le sfide e i problemi che possono venire da questi matrimoni.

 

D. - La Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali - ha detto il Papa - condividono un patrimonio ecclesiale che deriva dai tempi apostolici e dai primi secoli del cristianesimo. Quali sono i punti su cui lavorare per raggiungere la piena comunione?

 

R. – Il Papa nel suo discorso ha citato una frase dell’Enciclica Ut Unum Sint, dove Papa Giovanni Paolo II aveva detto che il patrimonio del primo millennio, che abbiamo in comune noi cattolici con gli ortodossi, è un’ispirazione e un paradigma che può aiutarci nel pensare ad un futuro modello di comunione. Questo vale non soltanto per le Chiese dell’ambito bizantino, ma anche per le antiche Chiese orientali. Abbiamo in comune il patrimonio ecclesiologico, la struttura della Chiesa, il ministero apostolico, i sette sacramenti, la spiritualità monastica. Tutto quel patrimonio che avevamo in comune fino al Concilio di Calcedonia è ancora sorgente di ispirazione e modello per una futura ricostruzione dell’unità.

 

D. – Le Chiese ortodosse orientali spesso vivono, come lei ha già accennato, la difficoltà di essere una piccola minoranza in Medio Oriente. Qual è la loro testimonianza?

 

R. – Io, direi tre cose. Prima di tutto, l’unità nella diversità. Tutte le Chiese locali cattoliche e ortodosse sono presenti in Medio Oriente. Ci sono città come Aleppo, dove abitano sei, sette vescovi di varie comunità cattoliche e ortodosse. Come essere una sola comunità cristiana in questa grande varietà di tradizioni e di giurisdizioni? Seconda sfida, quella di vivere come comunità cristiana in una società a grande maggioranza musulmana. Loro vivono da secoli in questo mondo, hanno sviluppato dei rapporti di convivenza con il grande mondo musulmano. Ma tutto ciò rimane una sfida. Terza cosa, sviluppare soprattutto in Medio Oriente questa cristianità di cultura araba. Anche i cristiani sono infatti di cultura e lingua araba. Come inculturare il messaggio cristiano, la vita cristiana, in quell’ambiente arabo? E’ una sfida e si sta sviluppando qualcosa di non facile, ma bello.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - Una pagina dedicata al cammino della Chiesa in Asia.

 

Servizio estero - Iraq: bloccato al senato USA il dibattito sulla mozione contro il piano del presidente Bush.

 

Servizio culturale - Un articolo di Pasquale Tuscano dal titolo “Il riscatto sognato per una terra martoriata”: Tommaso Campanella e la Calabria del suo tempo.  

Per l’“Osservatore libri” un articolo di Carlo Pedretti sul volume “Leonardo da Vinci. Dalle Chiane ad Amboise. Scienza e Arte”. 

 

Servizio italiano - In primo piano il tema della violenza negli stadi.

 

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

6 febbraio 2007

 

L’INDONESIA COLPITA DA FORTI PIOGGE TORRENZIALI:

MOBILITATE PARROCCHIE E CARITAS LOCALI

- Intervista con padre Silvano Laurenzi -

 

Il governo indonesiano ha lanciato un allarme per il rischio di diffusione di epidemie nella capitale Giakarta, dove negli ultimi giorni forti piogge torrenziali hanno inondato interi quartieri, con un bilancio provvisorio di almeno 36 morti e una stima di 350.000 tra senzatetto e sfollati. Fra questi ultimi, fa sapere il locale ministero della Sanità, almeno 40.000 persone hanno già ricevuto trattamenti medici per tosse o diarrea. In prima linea nei soccorsi ai disastrati c’è - come testimonia l’Agenzia Fides - la Chiesa locale, che ha mobilitato la rete delle parrocchie cittadine, sebbene 40 su 60 abbiano subito allagamenti, e le organizzazioni legate a Caritas Indonesia, già in contatto con Caritas Internationalis. Gli aiuti dovrebbero essere garantiti sulla base delle esperienze passate, come le emergenze per lo tsunami o le scosse di terremoto. Ma qual è ora la situazione a Giakarta? Giada Aquilino lo ha chiesto a padre Silvano Laurenzi, missionario saveriano che da anni opera nella capitale indonesiana:

 

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R. - Più di metà città è allagata, tutto è bloccato. Molte zone non hanno la luce e noi, ad esempio, non abbiamo i collegamenti telefonici: mancano internet e la linea fissa per le chiamate all’estero, ma funzionano per fortuna i cellulari. Oggi non piove, ma il livello dell’acqua continua stranamente a crescere. Ci sono più di dieci fiumi che dai monti arrivano a Giakarta. Molta gente è sul lastrico e molti hanno montato delle tende d’emergenza sull’autostrada che è più in alto, per cercare di salvarsi. Le scuole sono chiuse, così come tutti gli uffici. Il pericolo che c’è adesso è quello purtroppo delle malattie, che possono colpire soprattutto i bambini. Il rischio è quello della malaria, delle diarree, del tifo. Speriamo che questo non succeda, ma siamo comunque tutti mobilitati.

 

D. – Mancano acqua potabile ed elettricità e c’è il pericolo di epidemie. Ma cosa serve esattamente in queste ore?

 

R. – Ci sono diversi punti di assistenza nelle parrocchie, anche se la mia è in gran parte allagata. Soprattutto i giovani sono pronti a partire per portare aiuto dove serve: qui, per esempio, si cuoce il riso e si prepara il pacchetto con un uovo o qualcos’altro e poi si corre a consegnarlo a chi ne ha bisogno.

 

D. – Quello che c’è a disposizione è sufficiente?

 

R. – Sì, finora abbastanza. Molti hanno dato riso, biscotti e altro.

 

D. – Da fuori città stanno arrivando gli aiuti?

 

R. – Adesso ci hanno mandato una piccola imbarcazione di gomma per poter raggiungere le famiglie che non possono uscire da casa. C’è una famiglia, bloccata non lontano dalla nostra parrocchia, che ora ha bisogno delle medicine per i bambini e di una coperta per coprirli. Stiamo provvedendo.

 

D. – Giakarta e l’Indonesia erano pronte a far fronte a questo tipo di emergenza?

 

R. – Ogni anno, in febbraio, capita questo. Ma, certo, non in modo così disastroso. Quest’alluvione è più grave di quella di cinque anni fa, quando tutto venne inondato dalle acque.

 

D. – Cosa dicono le previsioni, che tempo ci sarà nei prossimi giorni?

 

R. – Si dice che domani il maltempo finisca. Speriamo che il Signore ci aiuti.

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IL MONDO DELLO SPORT ITALIANO IN ATTESA DELLE MISURE ANTI-VIOLENZA

NEGLI STADI. IL MINISTRO AMATO AL PARLAMENTO: BISOGNA RESISTERE

ALLE PRESSIONI DELLE SOCIETA’ DI CALCIO, LA VITA UMANA E’ SACRA

- Intervista con don Mario Arestivo -

 

Impianti sportivi di grandi città che eludono le normative vigenti in materia di sicurezza degli stadi con risibili escamotage. Società di calcio che esercitano pressioni per riprendere al più presto lo svolgimento del campionato. E’ il quadro tratteggiato questa mattina dal ministro dell’Interno italiano, Giuliano Amato, chiamato a riferire in Parlamento sulla vicenda che ha portato alla morte, venerdì scorso, dell’ispettore di Polizia, Filippo Raciti. Il ministro ha fatto il punto sulle indagini seguite agli scontri fra tifosi e forze dell’ordine - 34 finora gli arresti – ed ha definito “non del tutto chiarite” le circostanze che hanno provocato la morte di Raciti. In attesa del Consiglio dei ministri che già domani dovrebbe rendere esecutive le nuove misure antiviolenza - tra le quali la chiusura degli stadi non a norma – la città di Catania vive ore particolari dopo la bufera che l’ha investita negli ultimi giorni. Al commosso funerale di ieri, c’era fra gli altri nella cattedrale cittadina don Mario Arestivo, cappellano della Polizia di Stato per la Provincia di Catania, amico di Filippo Raciti. Fabio Colagrande lo ha intervistato:

 

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R. - Si respirava dentro la cattedrale stracolma, e anche nella piazza dove c’erano i maxischermi, un momento di gioia e di dolore allo stesso tempo. La figlia di Filippo Raciti era commossa fino alle lacrime, e la mamma, io l’ho vista dal primo momento, è una donna di fede, come lo era il marito.

 

D. - Lei conosceva Filippo Raciti?

 

R. - Io lo conoscevo molto bene perché eravamo al Reparto mobile insieme. Lui, insieme ad altri tre ragazzi, erano incaricati della manutenzione.

 

D. - Che tipo di poliziotto era?

 

R. - Un grande lavoratore. Ci fu un periodo in cui lui fu mandato per servizio in Questura, per circa un paio d’anni, e ne soffriva moltissimo. A me diceva: “Io, tutta la vita, da quando sono poliziotto, l’ho trascorso al Reparto mobile. Mi piace quel lavoro”, ed era contento di tornare a farlo. Anche nei vari centri di accoglienza per extracomunitari che abbiamo da noi Filippo andava con piacere per rendere un servizio a quella gente. Per qualche anno, io e lui abbiamo condiviso un ufficio con una scrivania. Mi diceva: “Stia tranquillo, perché io il sabato e la domenica non ci sono mai: sono sempre allo stadio!”.

 

D. - Ecco, con quale spirito un poliziotto va a fare servizio in occasioni così pericolose, con vere e proprie scene di guerriglia che ormai si ripetono da anni...

 

R. - E’ chiaro che non ci andavano con la gioia nel cuore, però, comunque, con il desiderio di fare sempre meglio: con il desiderio che questa gente, questi ragazzi fossero capaci di comprendere che lo sport è un relax e non una guerriglia. Il punto dolente è proprio questo: tanti giovani vedono nel poliziotto il nemico.

 

D. - Come cappellano della polizia dello Stato, cosa direbbe a questi giovani?

 

R. - A me capita molte volte di parlare con loro di questo, perché nel pomeriggio lavoro con i giovani in un oratorio. Lo dico sempre: “Perché avete questa antipatia? Perché li odiate?”. “Perché non ci permettono di fare tante cose – rispondono - Il poliziotto la deve pagare!”.

 

D. - Cosa c’è dietro quest’odio, don Mario? Molta ignoranza?

 

R. - Sicuramente molta ignoranza e poi loro trasformano l’agonismo in odiosità, in antipatia, in voglia di prevalere sugli altri. Tanti giovani hanno questa mentalità, che tutto è lecito. E così anche fare questo tipo di gazzarra negli stadi: per loro è una cosa normale: tutti lo fanno, lo facciamo anche noi...

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TORINO NON E’ LA CAPITALE ITALIANA DELLE MESSE NERE:

COSÌ AI NOSTRI MICROFONI IL CARDINALE SEVERINO POLETTO

 

“Torino non è la capitale italiana delle messe nere”. A parlare è il cardinale Severino Poletto, arcivescovo di Torino, che smentisce la “leggenda metropolitana”, così la definisce, che indica nella  città di Torino uno dei vertici del triangolo esoterico con Lione e Praga. “Da quando sono a capo della Chiesa torinese non sono mai dovuto intervenire su fatti specifici di questo genere”. Intanto, dopo molti anni, l’arcivescovo torinese ha sostituito gli esorcisti attivi fin dai tempi del cardinale Anastasio Ballestrero.  Ora, l’arcidiocesi ha 5 nuovi esorcisti che continuano a svolgere la loro normale attività pastorale esercitando questo “particolare ministero” solo in alcuni giorni della settimana. Il cardinale Poletto ribadisce: “il diavolo esiste” e la prudenza della Chiesa al riguardo, “non va intesa come tacita negazione del demonio”. Ascoltiamo il cardinale Severino Poletto, al microfono di Luca Collodi:

 

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R. – Sull’esistenza del demonio non ci sono dubbi. Si tratta di una realtà di cui Cristo stesso ci ha parlato. L’esistenza del demonio non è messa assolutamente in discussione. Credo veramente che questa non solo esistenza del demonio, ma anche l’azione del demonio sulle persone sia per tentarle al male, sia per porre nella testa delle persone progetti di peccato, di ribellione a Dio, di odio verso i fratelli e quindi di “scassinamento” della realtà sociale, della famiglia. Ci sono delle cose che non sono spiegabili, ci sono delle cose che hanno talmente una complessità di interpretazione e di immaginazione che sono inspiegabili senza l’ispirazione del maligno di cui Cristo ci ha parlato tante volte sull’esistenza dell’azione del demonio e non ci sono dubbi. Indubbiamente bisogna stare, invece, attenti ad un altro aspetto della fede cristiana: noi dobbiamo parlare del demonio come dobbiamo parlare dell’inferno che esiste, non sappiamo quanta gente ci sia.

 

D. – Cardinale Poletto, come possiamo immaginare l’inferno?

 

R. – Lo immaginiamo come una conseguenza logica di un dono grande che Dio ha dato all’uomo, all’uomo inteso come persona umana e quindi uomo e donna, la libertà. Se non esistesse l’inferno noi saremmo obbligati, in un certo qual senso, a scegliere Dio. Dio ci ha manifestato il suo amore, ci offre i segni grandi dell’amore e soprattutto attraverso il mistero dell’Incarnazione e della Redenzione operata dal Cristo, ma l’uomo poi è libero di accettare o di rifiutare. La possibilità del rifiuto di Dio, quindi, è una conseguenza di un uso cattivo della libertà, ma è comunque una conseguenza dell’uso della libertà.

 

D. – L’inferno, però, non è un luogo fisico?

 

R. – Ma neanche il Paradiso è un luogo fisico, perché il Paradiso è essere con Dio. Non è un luogo, ma è una condizione. La condizione di chi è con Dio e vede Dio, faccia a faccia, così come Egli è. Non è un luogo, ma una condizione così come la condizione dell’inferno è la condizione di quelle persone che – e questo è il Signore che lo sa giudicare – muoiono coscientemente in un rifiuto di Dio, dicendo non voglio venire con Te, non voglio stare con Te. Dio rispetta questa loro scelta, perché pur essendo attratti da Lui non possono stare con Dio: questo è il grande tormento dei dannati.

 

D. – Parlavamo prima del diavolo, del satanismo e lei sottolineava l’esistenza del demonio, ma metteva anche in guardia da certe esagerazioni ...

 

R. - Mettevo in guardia, perché a fronte di una – a volte – dimenticanza del demonio, bisogna stare attenti di non cadere nell’eccesso opposto di vedere il demonio dappertutto o di parlarne troppo. E questo perché noi siamo chiamati ad annunciare l’amore di Dio ed è Dio che è più forte di Satana. Naturalmente questo può portare alcune persone, a volte, a sentirsi possedute dal demonio, anche solo perché hanno magari qualche disturbo o disagio psicologico o psichico. Non è, quindi, corretto attribuire subito tutto all’azione del demonio. Ecco qui il discernimento, ecco qui l’invito ha chi ha il ministero di esorcista ad essere prudente, ad essere una persona che agisce con tanta cautela, che prega, che invoca di Dio, ma andando adagio nel pensare subito che si tratti – qualunque sia il tipo di disturbo – di possessione o vessazione diabolica.

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CHIESA E SOCIETA’

6 febbraio 2007

 

L’EMERGENZA CLIMA COLPISCE SOPRATTUTTO I PAESI PIU’ POVERI:

 L’ALLARME LANCIATO IERI A NAIROBI DAL SEGRETARIO GENERALE DELL’ONU.

 BAN KI-MOON, IN APERTURA DEL VERTICE DELL’ORGANIZZAZIONE

 PER L’AMBIENTE DELLE NAZIONI UNITE

 

NAIROBI. = “Saranno i più poveri – in Africa, nelle piccole isole in via di sviluppo e ovunque nel mondo – a soffrire maggiormente il riscaldamento globale, sebbene ne siano i meno responsabili”. Lo ha detto ieri il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon in apertura del Vertice globale dei ministri dell’Ambiente presso la sede del Programma ambientale dell’ONU (UNEP) a Nairobi. Secondo gli esperti, infatti, nonostante l’Africa sia il Continente a più basse emissioni di gas serra, risentirà in misura maggiore dei cambiamenti climatici a causa della sua povertà e del suo sottosviluppo. L’avanzamento  della desertificazione attorno al Sahara e lo scioglimento dei ghiacciai del Kilimangiaro sono ormai diventati i simboli più efficaci della crisi ambientale. Il direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) Pascal Lamy ha dichiarato che “lo sviluppo sostenibile non è più un’opzione, ma un obbligo” ed ha promesso che “il WTO è pronto a fare la sua parte”. Mentre Achim Steiner, direttore esecutivo dell’UNEP, ha ribadito la necessità di “norme internazionali” e standard realistici per favorire uno sviluppo sostenibile e regolarizzare il mercato globale. (E.L.)

 

 

VINCERE LA POVERTÀ E DIFENDERE LA DEMOCRAZIA:

DUE GRANDI SFIDE PER LA COLOMBIA,

SOTTOLINEATE DALL’ARCIVESCOVO CASTRO QUIROGA,

PRESIDENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE LATINOAMERICANO,

 APRENDO IERI A BOGOTÀ I LAVORI DELL’ASSEMBLEA PLENARIA.

 IN PRIMO PIANO IL CONFLITTO CIVILE CHE OPPONE I RIBELLLI DELLE FARC

ALLE TRUPPE GOVERNATIVE.

- Il servizio di Luis Badilla -

 

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BOGOTA’. = “E' nostro dovere insistere sulla necessità di raggiungere prima possibile un accordo umanitario e, al tempo stesso, evitare in ogni modo di mettere a repentaglio la vita degli ostaggi. Inoltre occorrono anche altri accordi per far cessare i sequestri che hanno scopi estorsivi". Così, ieri, mons. Luis Augusto Castro Quiroga, che ha chiesto ancora di fare di tutto per mettere fine all'uso delle mine anti-uomo, a tutte le aggressioni contro la società civile, al tragico fenomeno degli sfollati, per creare così - ha sottolineato - le condizioni "per un dialogo effettivo verso la pace e la giustizia sociale. Nella sua relazione, l'arcivescovo Castro ha espresso il sostegno dell'Episcopato a tutti gli sforzi che si propongono "la purificazione delle istituzioni democratiche", e in particolare, ha fatto un appello alla guerriglia delle FARC (Forze armate rivoluzionarie della Colombia) affinché "desistano dall’intento di identificare la pace con la presa del potere con le armi assumendo seriamente la responsabilità di un reinserimento e una collaborazione politica". Il presidente dell'episcopato ha espresso anche la grave preoccupazione della Chiesa per la "proliferazione di gruppi mafiosi che, anche se piccoli, sono numerosi e gradualmente tendono ad agire in  tutto il territorio della nazione". Il presule ha ribadito la sua fiducia nell'opera dell'autorità augurandosi che si possa "bloccare questo nuovo fenomeno alimentato da vecchi aneliti secondo i quali si può raggiungere il potere al margine dell'istituzionalità”. Dall'altra parte, mons. Castro, nel suo sguardo panoramico sulla delicata e dolorosa situazione complessiva della nazione, ha sottolineato con insistenza il bisogno urgente di “rivitalizzare ogni processo che può condurre la Colombia alla riconciliazione e alla pace”. Mons. Castro, nel ricordare che Benedetto XVI ritiene che le grandi sfide della Colombia sono la povertà e la democrazia - sfide del resto condivise con tutta la regione latinoamericana - ha lanciato un invito "a coloro che sono stati privilegiati con la ricchezza ad essere sempre più sensibili ai bisogni dei poveri ed emarginati per dare così un contributo all'edificazione di un Paese più giusto ed equo”. Infine, dal presule è arrivata ancora una volta una dura condanna del narcotraffico definito "piovra che con i suoi tentacoli letali fomenta la guerra fratricida, la distruzione di molte vite, l'ansia di denaro facile e la corruzione in ogni ambito della vita nazionale”.

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INTERNET, CELLULLARI E VIDEOTELEFONI: TROPPI RISCHI PER I MINORI:

SI CELEBRA OGGI IN EUROPA LA GIORNATA PER UN ACCESSO PIU’ SICURO ALLA RETE

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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BRUXELLES. = Nell’Unione Europea, il 70 per cento dei ragazzini tra i 12 ed i 13 anni ed oltre il 20 per cento dei bambini tra gli 8 e i 9 anni possiede un cellulare. In Italia, addirittura, ad averlo sono la metà, tra 8 e i 13 anni, ed il 90 per cento tra i 14 e i 19 anni. Ma nessuno si è mai occupato di contrastare i rischi cui vanno incontro i minori, seppure drammatici fatti di cronaca abbiano evidenziato quanto l’infanzia e l’adolescenza siano indifese di fronte a deviazioni e perversioni che possono celarsi dietro semplici mode di comportamento e nuovi linguaggi tecnologici. Suonano ovunque e in ogni momento, a scuola, in ufficio, per strada, in tram, al ristorante e perfino nelle toilette; siamo tutti sotto l’obiettivo dei  videofonini in barba alla privacy, occupati a ricevere ed inviare messaggi, video messaggi, spedire mail, scaricare giochi, musica, immagini, filmati da Internet, oppure guardare la Tv, magari mentre si guida a rischio della propria e altrui vita. Ma ciò che allarma la Commissione europea sono gli effetti negativi sulla vita di bambini, ragazzi, giovani. E adesso si vuole correre ai ripari, meglio tardi che mai, ma siamo ancora nel campo delle ipotesi: ad esempio quella dei telefonini dedicati ai ragazzi con codici di accesso. Per ora non resta che allertare le famiglie di fare bene attenzione a quel piccolo strumento, all’apparenza innocuo, che tanti danni ha già creato nell’indifferenza generale degli adulti, travolti da logiche di mercato che ledono i diritti dei cittadini più piccoli e indifesi.

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IL DRAMMA DI 200 IMMIGRATI SU UNA NAVE IN AVARIA, AL LARGO DELLE COSTE

DELLA MAURITANIA, DIRETTA VERSO LE ISOLE CANARIE, IN SPAGNA.

IL GOVERNO MAURITANO RIFIUTA INFATTI DI ACCOGLIERLI

- Servizio di Ignazio Arregui -

 

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NOUAKCHOTT. = Circa 200 immigrati asiatici, su una nave ferma in alto mare per un guasto ai motori, continuano ad attendere una soluzione alla loro critica situazione. La nave si trova a 12 miglia dalla costa mauritana. Ma il governo della Mauritania, non avendo ratificato determinati accordi internazionali e non essendo il Paese d’origine dei profughi, si rifiuta di autorizzarli a sbarcare nel suo territorio. Si tratta di circa 200 profughi di origine asiatica, per la maggior parte del Pakistan. La nave era partita una settimana fa dalla Guinea Conakry verso le isole Canarie, in Spagna. Dopo il guasto ai motori è rimasta ferma sulle acque dell’Oceano Atlantico. Una nave spagnola rimane al suo fianco e ai passeggeri viene offerta la necessaria assistenza alimentare e sanitaria. Ma la loro situazione è sempre più drammatica date le condizioni della nave e la sua situazione in mezzo al mare. In questo caso, i Paesi coinvolti con diverso grado di responsabilità sono la Guinea Conakry, il Senegal, la Mauritania, la Spagna e anche l’Unione Europea. Sono sempre più numerosi gli immigrati asiatici che attraversano l’Africa con l’intenzione di  arrivare  poi per mare alle Isole Canarie e da qui ai Paesi dell’Europa occidentale.

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IERI POMERIGGIO, IL SALUTO DI COMMIATO ALLA CHIESA DI PALERMO

DEL CARDINALE SALVATORE DE GIORGI, ARCIVESCOVO DELLA CITTA’.

NELLA CATTEDRALE GREMITA DI FEDELI, IL PORPORATO HA CHIESTO

 ANCORA UNA VOLTA UN IMPEGNO FORTE

“PER COMBATTERE PIU’ DECISAMENTE I MALI SOCIALI”

- Servizio di Alessandra Zaffiro -

 

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PALERMO. = “Nella preghiera collettiva abbiamo chiesto al Padre la grazia di perseverare fedelmente nel nostro cammino verso di Lui con la luce della fede, con la forza della speranza e con l’ardore della carità che caratterizzano la testimonianza cristiana, della quale S. Agata, gloria della nostra Sicilia e compatrona della città di Palermo, ci ha dato un fulgidissimo esempio sino al martirio. Sono le parole del cardinale Salvatore De Giorgi nel saluto alla Chiesa di Palermo in una cattedrale gremita di fedeli, vescovi e sacerdoti. Ai fedeli e alle autorità il cardinale De Giorgi ha chiesto un impegno forte “per combattere più decisamente i mali sociali, come il traffico della droga, la criminalità organizzata e mafiosa, il pizzo, l'abuso e lo sfruttamento dei minori”, da contrastare con una “mobilitazione culturale e morale delle coscienze che favorisca un cambiamento di mentalità, più rispettosa della dignità della persona umana e dei suoi diritti”. Il cardinale De Giorgi si è poi rivolto ai sacerdoti ricordando don Pino Puglisi: “Non abbiamo paura, anche quando dobbiamo attraversare la valle oscura della prova e della tribolazione, convinti che la vocazione sacerdotale è vocazione al martirio, come ci hanno insegnato i due servi di Dio, padre Francesco Spoto e padre Pino Puglisi.

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24 ORE NEL MONDO

6 febbraio 2007

- A cura di Fausta Speranza -

        

 

L’imminente incontro alla Mecca tra leader palestinesi e poi la prospettiva di una ripresa del negoziato israelo-palestinese con un vertice a metà febbraio: queste le prossime  tappe diplomatiche in Medio Oriente in cui si dovranno affrontare questioni di grande rilevanza. Il servizio di Fausta Speranza:

 

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Il premier palestinese, Ismail Haniyeh (Hamas), ha espresso ottimismo quando di prima mattina ha lasciato Gaza diretto verso La Mecca (Arabia Saudita), dove incontrerà il leader di Hamas, Khaled Meshal, e il presidente Abu Mazen (al Fatah). Obiettivo del vertice, iniziativa di re Abdallah, è di trovare un’intesa per un governo di unità nazionale palestinese e di mettere fine alle lotte fratricide divampate nelle settimane scorse. Da parte sua, il presidente dell’ANP, Abu Mazen (Mahmud Abbas), ha dichiarato che “se i colloqui alla Mecca falliranno ci sarà una guerra civile tra i palestinesi”. C’è da dire che nell’imminenza del vertice della Mecca sotto mediazione saudita, Hamas ed al Fatah sono impegnati in queste ore a Gaza nella liberazione dei miliziani catturati nei giorni scorsi. Intanto, il rapporto di un’organizzazione umanitaria locale denuncia 76 palestinesi uccisi in episodi di violenza a gennaio, la maggior parte a Gaza, gli altri in Cisgiordania. Di questi, almeno 50 sono rimasti uccisi nei combattimenti fra Hamas ed al Fatah. Gli altri sono attribuibili a lotte fra clan familiari o ad episodi di malavita. E il mese di febbraio è iniziato in maniera ancora più cruenta: a Gaza, duri scontri fra Hamas ed al Fatah hanno provocato in pochi giorni la morte di almeno 29 palestinesi e il ferimento di circa 200. Allargando lo sguardo oltre i fatti interni ai palestinesi, il quotidiano Yediot Ahronot di Tel Aviv afferma che dopo un lungo periodo di stallo, il processo di pace israelo-palestinese si rimetterà in moto il 19 febbraio a Gerusalemme. In questa data, infatti, si svolgerà un vertice a tre fra il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, il premier israeliano, Ehud Olmert, e il presidente palestinese, Abu Mazen.   

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Un diplomatico iraniano di alto rango è stato rapito a Baghdad da uomini armati che indossavano divise dell'esercito iracheno. Lo riferisce la televisione al Arabiya. Il fatto è avvenuto domenica ma è stato confermato oggi dopo che ieri il New York Times ne aveva dato notizia. Il diplomatico, che è il secondo segretario all’ambasciata iraniana, ma di cui non è stato rivelato il nome, si stava recando nel quartiere Karrada ad ispezionare il palazzo, dove sono in corso i lavori di allestimento degli uffici della banca Milleti Iran, la cui apertura di una sede a Baghdad è stata decisa durante la recente visita del presidente iracheno, Jalal  Talabani, a Teheran. Ad agire sarebbe stato un commando di una trentina di persone, che si muoveva a bordo di almeno dieci auto con i colori e le targhe dell’esercito iracheno, secondo quanto hanno riferito fonti dei Servizi segreti iracheni, citate dall’emittente Tv panaraba.

 

I cadaveri di due afghani crivellati di pallottole sono stati ritrovati dalle autorità pakistane nel Nord Waziristan, l’area tribale del Pakistan vicino al confine con l’Afghanistan: secondo i Servizi di sicurezza di Islamabad i due morti portano i segni  inequivocabili dell’esecuzione come “spie degli americani” a  opera dei ribelli che combattono con i Taleban afghani. I cadaveri sono stati ritrovati nei pressi del villaggio di Pir Kalay, 18 km circa da Miranshah, cittadina capoluogo del Nord Waziristan, impervio territorio tribale, in gran parte montuoso, considerato retroterra, vivaio e rifugio per i Taleban afghani e i loro sostenitori.

 

Quasi 100 miliardi di dollari entro la fine di settembre per le guerre in Iraq e Afghanistan. È una delle previsioni di spesa presentate ieri a Washington dal presidente americano, Bush, di fronte al Congresso statunitense, dominato dagli avversari democratici. La reazione dei parlamentari, che stanno discutendo una serie di risoluzioni di condanna alla decisione del presidente di inviare più truppe in Iraq, non è stata priva di critiche. Il servizio di Paolo Mastrolilli:

 

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Per finanziare le attività degli Stati Uniti nel 2008, il presidente ha chiesto al Congresso quasi tremila miliardi di dollari. La voce più grande è quella del Pentagono, che ha bisogno di 624 miliardi per continuare gli interventi in Iraq e in Afghanistan. Nello stesso tempo, però, il capo della Casa Bianca vuole rendere permanenti i tagli alle tasse decisi finora su base temporanea e portare comunque il bilancio in pareggio nel giro di cinque anni, grazie alla crescita dell’attività economica e alla riduzione degli investimenti in settori come la sanità. Ora i democratici, usciti vittoriosi dalle elezioni di novembre, promettono battaglia soprattutto perché non condividono la linea del presidente in Iraq, mentre sarebbe imminente l’inizio delle nuove operazioni per reprimere gli insorti a Baghdad.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Un insieme di misure per impedire il reclutamento dei bambini-soldato e per lottare contro l’impunità di quanti li sfruttano e li gettano nei conflitti è stato approvato da 58 Paesi, nell’ambito dei lavori della Conferenza internazionale in corso da ieri a Parigi. Il servizio di Francesca Pierantozzi:

 

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E’ il primo, importante risultato della Conferenza organizzata a Parigi “Liberiamo i bambini della guerra”, interamente dedicata ai circa 250 mila bambini in tutto il mondo arruolati in eserciti o gruppi armati. Il documento approvato a Parigi rappresenta una sintesi delle migliori pratiche da adottare nella lotta contro i bambini-soldato. Questi principi sottolineano in particolare la necessità di tenere conto dei problemi che pone il reinserimento delle giovani ragazze, sempre più numerose negli eserciti. “Non è più possibile – ha detto oggi Lysiane André, responsabile di una ONG impegnata sul terreno – che dei governi decidano un’amnistia generale per gli autori di crimini di guerra, tanto per i massacri che per l’arruolamento dei bambini”. Come tanti altri, Lysian André ha chiesto che vengano immediatamente adottate sanzioni internazionali contro i Paesi che reclutano bambini per fare la guerra. Il ministro degli Esteri francese, Philippe Douste Blazy, ha chiesto ieri che arruolare bambini-soldato venga considerato un “crimine contro l’umanità”. Douste-Blazy ha annunciato “un nuovo programma di due milioni di euro” e lo spiegamento “di tecnici nelle zone più coinvolte”, a cominciare dalla regione dei Grandi Laghi.

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Un altro dirigente della polizia turca, il capo dell’intelligence della polizia di Istanbul, è stato arrestato per avere ignorato alcune informazioni sull’intenzione omicida di uno dei complici dell’assassino del giornalista turco-armeno Hrant Dink. Lo riferiscono oggi i giornali turchi. Otto persone, in totale, sono state rinviate a giudizio per il delitto che è maturato, a quanto risulta, in un gruppo di islamo-nazionalisti della città di Trebisonda (Trabzon), la stessa città sul Mar Nero, dove, probabilmente negli stessi ambienti, maturò l’omicidio del sacerdote cattolico Andrea Santoro. Nei giorni scorsi erano stati allontanati per negligenza il governatore ed il capo della polizia di Trebisonda, seguiti da tre funzionari di polizia, un poliziotto e quattro sottufficiali della Gendarmeria, per avere girato un filmino e scattato fotografie in cui l’assassino era in posa da eroe nazionale con una bandiera turca tra le mani. Dink era stato preso di mira – sembra accertato – per le sue affermazioni sui massacri degli armeni del 1915 (1,5 milioni di morti, secondo gli armeni, 300 mila secondo i turchi). Dink lo aveva definito “il primo genocidio del secolo”.   

 

Non accenna a placarsi la polemica diplomatica tra Giappone e Cina in merito a un’annosa contesa territoriale sulle isole Senkaku/Diaoyu, tornata alla ribalta nei giorni scorsi con l’avvistamento di una nave cinese nella zona che i giapponesi rivendicano come propria. In risposta alla reazione delle autorità cinesi, che oggi  hanno convocato l’ambasciatore giapponese a Pechino esprimendo “profonda insoddisfazione” per la vigorosa protesta di Tokyo sulla vicenda, il premier nipponico Shinzo Abe ha prontamente ribattuto chiedendo alla Cina “spiegazioni accettabili” sull’accaduto, definendosi a sua volta “insoddisfatto” delle indicazioni pervenute finora da Pechino. La protesta di Tokyo riguarda il confronto fra una motovedetta nipponica e la nave cinese “Dongfanghong-2”, che domenica si è a lungo rifiutata di obbedire alle intimazioni di allontanarsi dalla zona economica esclusiva presso le isole del Mar Cinese orientale. L’aspra polemica tra i due Paesi arriva a una decina di giorni dalla missione a Tokyo del ministro degli Esteri cinese Li Zhaoxing, che dovrebbe preparare la strada all’attesa visita del premier Wen Jiabao ad aprile. Che il clima tra le due potenze asiatiche si stia deteriorando lo conferma anche una nuova disputa sui dazi tra Tokyo e Pechino: è di oggi fa la notizia che il Giappone  sarebbe sul punto di presentare una protesta ufficiale presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), lamentando l’illegittimità della politica protezionista cinese in alcuni settori cruciali, fra cui informatica e industria dell’acciaio. 

 

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