RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 120
- Testo della trasmissione di lunedì
30 aprile 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Il Papa riceve il capo del governo del Principato di Andorra
Oggi su "L'Osservatore Romano"
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Nella diocesi di Fiesole, giovani israeliani e palestinesi
insieme per i 100 anni dello scoutismo
Guerra in Afghanistan: le
truppe della coalizione uccidono oltre 130 talebani
30 aprile 2007
Il Papa riceve il capo del governo del
Principato di Andorra
Nella mattinata di
oggi il Papa ha ricevuto il capo del governo del Principato di Andorra, Albert
Pintat, che subito dopo ha incontrato il cardinale segretario di Stato.Tarcisio
Bertone.
“Principale argomento
del cordiale colloquio – afferma un comunicato della Sala Stampa vaticana -
sono state le relazioni esistenti fra la Chiesa cattolica e il Principato di
Andorra e la possibilità di un loro ulteriore consolidamento. Non è mancato,
inoltre, uno scambio di opinioni sui problemi dei giovani e dell'educazione e
sui temi attinenti alla situazione europea”.
Il Principato di
Andorra è un piccolo Stato di 468 kmq, situato sui Pirenei tra Francia e
Spagna: conta circa 66 mila abitanti, al 90% cattolici.
Da
Benedetto XVI i vescovi balcanici della Conferenza episcopale
dei
Santi Cirillo e Metodio in visita
"ad Limina"
Dopo la lunga pagina
delle visite ad Limina dei vescovi
italiani, che hanno occupato l’agenda pontificia negli ultimi cinque mesi fino
alla scorsa settimana, questa mattina Benedetto XVI ha ricevuto in Vaticano un
primo gruppo di sei presuli della Conferenza episcopale dei Santi Cirillo e
Metodio, la cui visita alle tombe degli Apostoli si protrarrà fino al 5 maggio.
L’organismo - i cui Statuti sono stati approvati il 21 agosto dello scorso anno
- comprende le Chiese cattoliche di Serbia, Montenegro, Macedonia e
l’Amministrazione apostolica di Prizren in Kosovo. Dopo l’ultimo atto
dell’indipendenza del Montenegro dalla Serbia, sancita nel referendum del 21
maggio 2006, la geografia dei Balcani ha trovato un assetto nel quale i confini
politici sono l’evoluzione di una lunghissima storia di popoli e di religioni:
storia che parla di drammi, ma anche di desiderio di rinascita e di dialogo.
Ripercorriamola in questa scheda di Alessandro De Carolis:
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Scacchiere, mosaico:
sono i sostantivi più usati quando la storia o la cronaca devono occuparsi
delle vicende dell’area balcanica. Un universo complesso e cosmopolita di etnie
e culture, religioni e tradizioni, nel quale il dato cristiano si annovera fra
i più antichi tra gli elementi che hanno contribuito a forgiare nei secoli il
crogiuolo di quest’area-ponte fra i due polmoni dell’Europa. Oggi, i cattolici
sparsi tra Serbia, Montenegro, Macedonia e Kosovo sono poco più di mezzo milione
- la maggior parte concentrati nel territorio serbo - a fronte di oltre 12 milioni
e mezzo di abitanti, in larghissima maggioranza ortodossi. Ma l’alba del
Vangelo in queste terre risale al primo secolo dopo Cristo e già la mecedone
Skopje può contare una sede metropolitana al Concilio di Calcedonia del 451.
L’esplosione avviene nel nono secolo, quando le strade dei Balcani vedono il passaggio
dei due apostoli slavi per eccellenza, Cirillo e Metodio. E’ il momento di
maggior fioritura della Chiesa indivisa, ma dura relativamente poco. La
data-spartiacque del 1054, lo scisma d’Oriente che divide la Chiesa di Roma da
quella bizantina, porta gradualmente le comunità cristiane dei Balcani sotto la
sfera dell’Ortodossia.
Altre difficoltà e
divisioni sono la conseguenza della dominazione ottomana prima e
austro-ungarica poi e, in tempi più recenti, dei condizionamenti imposti dalla
dominazione comunista e più ancora della guerra degli anni Novanta che frantuma
la Jugoslavia di Tito, fino agli attacchi della NATO contro la Serbia di Milosevic.
Dalle macerie di quest'ultimo, terribile decennio, il dialogo tra maggioranza
ortodossa e minoranza cattolica nei Balcani ha ripreso vigore, specie negli
ultimi cinque anni. Tappe fondamentali in questo senso sono state la visita a
Roma di una Delegazione del Santo Sinodo della Chiesa Ortodossa Serba, ricevuta
da Giovanni Paolo II il 6 febbraio 2003, e lo storico incontro dei vescovi
cattolici serbo-montenegrini con i vescovi ortodossi il 29 aprile di quello
stesso anno. Lo scorso anno, poi, il culmine dei rapporti con il Patriarcato di
Serbia sono stati i vari incontri a Belgrado in occasione della IX Sessione
Plenaria della “Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra
la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa”, che hanno ulteriormente schiarito
l’orizzonte del dialogo lungo la strada della piena comunione. “Anche oggi - ha
ribadito appena tre mesi fa Benedetto XVI ricevendo il nuovo ambasciatore del
Montenegro presso la Santa Sede - occorre approfondire tale atteggiamento
costruttivo”, in un “dialogo fraterno con l’Ortodossia” con la quale intercorrono
“millenari rapporti di reciproca considerazione”.
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Nomine
In Australia,
Benedetto XVI ha nominato ausiliari dell'arcidiocesi di Melbourne il religioso
salesiano, don Timothy Costelloe, attualmente rettore del Salesian Theological
College Melbourne, e mons. Peter John Elliott, vicario episcopale della
medesima arcidiocesi. Mons. Costelloe ha 53 anni ed è entrato nel noviziato dei
Salesiani a Oakleigh in 1977. Ha ottenuto la licenza in Teologia presso
l’Università Salesiana di Roma ed ha concluso il Dottorato in Teologia
all’University of Melbourne. Dopo la sua ordinazione, ha avuto, fra gli altri,
gli incarichi di docente presso il Catholic Theological College, parroco,
consultore e segretario generale durante il Sinodo dei Vescovi per l’Oceania
svoltosi nel 1998 a Roma. Attualmente è membro del Consiglio Provinciale dei
Salesiani e Rettore del Salesian Theological College, Melbourne.
Mons. Elliott, 63
anni, ha ottenuto il Bachelor of Arts e il Master of Arts in Storia
all’University of Melbourne e quindi il Master of Arts in Teologia
all’University of Oxford. Mentre studiava ad Oxford è stato accolto nella
Chiesa cattolica. Poco dopo è entrato in seminario, studiando al Corpus Christi
College di Melbourne, e quindi alla Pontificia Università Laterenense a Roma.
E' stato ordinato sacerdote nel 1973, durante il 40° Congresso eucaristico
internazionale. Dopo l’ordinazione, ha ricoperto gli incarichi officiale del
Pontificio Consiglio per la Famiglia, parroco, redattore generale dei testi
diocesani per l’Educazione Religiosa “To Know, Worship and Love”. Attualmente è
il Vicario Episcopale per l’Educazione Religiosa e Direttore dell’Istituto John
Paul II per il Matrimonio e la Famiglia a Melbourne, oltre che consultore della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e membro del
Consiglio internazionale per la Catechesi della Congregazione per il Clero.
Domani la conclusione della plenaria
della
Pontificia Accademia delle Scienze Sociali
E’ in
corso in Vaticano la 13.ma plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze
Sociali sul tema “Carità e giustizia nelle relazioni tra popoli e nazioni”. I
lavori, che si concluderanno domani, analizzano il riemergere del nazionalismo
sotto forma di ostilità all’immigrazione e la mancata realizzazione degli
obbiettivi del millennio per combattere povertà, pandemie e
violazione dei diritti. Paolo Ondarza ha intervistato Vittorio
Possenti, professore di filosofia all’Università di Venezia e membro della
Pontificia Accademia delle Scienze Sociali:
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R. - Il tema di questa
sessione della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali rientra in un
progetto di studio e di ricerca sulla globalizzazione, che va avanti per conto
dell’Accademia da diversi anni. I problemi che emergono sono ben noti
all’opinione pubblica qualificata, vale a dire la grave crisi
ecologico-ambientale, il fatto che le differenze economiche-sociali sono in
aumento invece che in diminuzione e come pensare una “good governance”
economico-sociale-politica in un mondo sempre più differenziato, che ha molti
livelli. Gli aspetti principali della sessione sono questi, alla luce della
Dottrina sociale della Chiesa e, in particolar modo, della Enciclica di
Benedetto XVI “Deus caritas est”.
D. – A proposito dei
problemi cui lei già faceva riferimento, e pensavo anche al mancato
raggiungimento degli obiettivi del millennio e al ritorno di atteggiamenti
xenofobici, potremmo dire che carità e giustizia sono ancora dei parametri e
dei valori poco tenuti in considerazione…
R. – In particolar
modo direi il valore della carità. Quello della giustizia è presente, sebbene
le interpretazioni del concetto di giustizia da parte dei filosofi, degli
scienziati sociali, siano abbastanza diverse. I Papi e la Dottrina sociale
della Chiesa, però, hanno insistito perché la questione della caritas, in
qualche modo dell’agape, e quindi dell’amore verso l’altro, verso il prossimo,
non sia considerata un qualcosa di più, ma qualcosa di essenziale alla vita
politica stessa.
D. – E’ fondamentale
partire dalla “Deus caritas est” perché pone proprio al centro Dio come amore…
R. – Pone al centro
Dio come amore e stabilisce in altri paragrafi che il compito unico ed
essenziale della politica è la giustizia, non solo la giustizia sociale come in
genere la intendiamo, ma la giustizia nell’ampiezza dei suoi vari significati.
Il Papa cita una celebre frase di Sant’Agostino del De Civitate Dei: “Tolta la
giustizia che cosa sono i regni – e potremmo aggiungere le repubbliche e gli
imperi – se non una grande ruberia?” Quindi la giustizia è in qualche modo il
sinonimo del bene comune e quindi lo scopo di tutte le decisioni politiche
sagge, lo scopo dell’autorità politica.
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Oggi su "L'Osservatore
Romano"
Servizio vaticano -
"Quell' 'Eccomi' senza riserve da rinnovare ogni giorno": l'omelia di
Benedetto XVI durante la solenne Concelebrazione Eucaristica per l'ordinazione
di ventidue sacerdoti nella Basilica di San Pietro.
Servizio estero -
Iraq: strage a Kerbala, uccise cinquanta persone.
Servizio culturale -
Per la rubrica "Incontri" lo scultore e pittore Giuseppe Uncini
intervistato da Giuseppe Appella.
Un articolo di Marco
Impagliazzo dal titolo "Il prezioso lavoro dei Salesiani a Roma": un
volume storico dedicato alla scuola Pio XI all'Appio Tuscolano.
Servizio italiano -
Lavoro: un "primo maggio" dedicato alla sicurezza; l'emergenza
impellente delle "morti bianche".
30 aprile 2007
Intervista con il cardinale Javier Errázuriz, presidente del CELAM,
sulla V Conferenza generale dell'Episcopato
Latinoamericano e caraibico, che sarà inaugurata dal Papa il 13 maggio ad
Aparecida, in Brasile
Fervono i preparativi in vista della V Conferenza
generale del CELAM, l’Episcopato latinoamericano e caraibico, che il 13 maggio
prossimo sarà inaugurata da Benedetto XVI presso il Santuario di Nostra Signora
Aparecida, in Brasile. All'importante appuntamento, che durerà fino al 31
maggio, parteciperanno quasi 500 vescovi: al centro dei lavori figurano le
grandi sfide ecclesiali e sociali del continente. In particolare si rifletterà
su due dimensioni fondamentali: essere “discepoli” e “missionari” di Gesù
Cristo. Luis Badilla ne ha parlato col presidente del Celam,
l’arcivescovo di Santiago del Cile, cardinale
Francisco Javier Erràzuriz:
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R. - La parola “discepolo”, stranamente, è nuova nei
documenti dell’Episcopato latinoamericano. E’ stata usata poco nonostante sia
una parola centrale per il cristianesimo. Questa parola sottolinea che il cattolico
non è, per così dire, solo un soggetto etico, con delle convinzioni, titolare
di autonomia nella sua vita per trasformare la società, e via dicendo: la
parola "discepolo" dice soprattutto che il cattolico è una persona
che ha avuto un incontro con Cristo. Noi, oggi, vogliamo promuovere
quest’incontro con Cristo nei diversi luoghi del nostro continente affinché in
molti possano diventare suoi “discepoli”. Ovviamente questa realtà ha diverse
sfumature. Si tratta di ascoltare il Signore, soprattutto in un tempo in cui ci
sono molti dubbi sulla verità e si tenta di propagandare immagini distorte su
Dio o sull’uomo, sulla famiglia e sulla vita stessa. Per quanto riguarda
l'altra parola, e cioè "missionario", si tratta di un concetto che in
primo luogo risponde ad una verità storica. L’America Latina è stata una terra
poco missionaria nei confronti delle altre Chiese. Ha ricevuto missionari da
tutto il mondo, da tutti i continenti e da moltissimi Paesi, europei
soprattutto. E’ un dovere assoluto della Chiesa preoccuparsi di coloro che sono
stati battezzati nella fede di Cristo. Oserei dire che si tratta di una
“paternità responsabile”. Ogni battezzato ha il diritto di ricevere l’annuncio
del Vangelo e i Sacramenti. Nessuno può pensare che basti il battesimo e poi
ciascuno si arrangi per conto proprio. La Chiesa ha il dovere di elaborare
piani pastorali per coloro che sono “lontani” dalla fede o che si sono “allontanati”.
D. – Eminenza, per quanto riguarda il ruolo e la
missione dei laici, cosa dirà la Conferenza?
R. - La prima priorità è quella di formare molti
laici come discepoli e missionari di Cristo, coraggiosi, coerenti, impegnati…
Spetta a loro assumere pienamente il ruolo di costruttori della società e la
Chiesa deve accompagnarli. E’ vero, oggi ci sono molti politici cattolici che agiscono
con convinzione e coraggio, ma occorre di più; di più come quantità, di più
come qualità. Ho l’impressione che durante la prossima Conferenza del CELAM
saranno riconfermate le grandi scelte dei 4 incontri precedenti – opzione
preferenziale per i poveri, evangelizzazione della cultura, Dottrina sociale
della Chiesa, ecc. – ma sicuramente sarà dato un rilievo molto importante al
ruolo e alla missione del laico poiché è il laico alla fin fine, la persona
chiamata a portare a termine molti di questi compiti nel complesso mondo della
società: dalla politica all’università, dalla fabbrica al sindacato. In questa
Conferenza si vuol mettere soprattutto l’accento sulla persona, sul cristiano,
perché unita a Cristo, possa realizzare i grandi progetti e i grandi programmi
che già sono stati sostanzialmente delineati.
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Giornata per la famiglia a Rimini promossa dal Rinnovamento
nello Spirito, quasi un anticipo
del Family Day. Solidarietà
del movimento a mons. Angelo Bagnasco
La famiglia
protagonista oggi alla 30.ma Convocazione nazionale del Rinnovamento nello
Spirito, in corso a Rimini. Il movimento ecclesiale ha infatti organizzato
la giornata odierna come una sorta di “pre-Family Day”, in vista della grande
manifestazione “Più Famiglia”, che si svolgerà il prossimo 12 maggio in piazza
San Giovanni a Roma. E ieri, ai partecipanti all’evento, è giunto il messaggio
del Papa nel quale si ribadisce l’urgenza che riveste oggi “l’evangelizzazione
della famiglia”. Proprio su questo invito del Papa, Alessandro Gisotti
ha intervistato Salvatore Martinez, coordinatore nazionale del Rinnovamento
nello Spirito:
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R. – Il Santo Padre ha
ribadito che la famiglia è cellula fondamentale della società e piccola Chiesa
domestica. In questa espressione si riassume la laicità della famiglia, ma
anche l’avvenire che per un credente passa dalla fede. La nostra Convocazione,
la 30.ma, sul tema “Nulla è impossibile a Dio”, ci dice che quando la famiglia
fonda il suo progetto di vita sulla fiducia in Dio può veramente affermare che
nulla le diventa impossibile. Noi desideriamo sentire questa speciale vicinanza
al Santo Padre ed anche la coralità di stili, che in questa giornata, qui a
Rimini, vogliamo offrire anche in vista del Family Day del 12 maggio a Roma.
D. – C’è grande attesa
proprio per il Family Day del 12 maggio, ma anche un clima particolare
purtroppo, a causa delle continue minacce al presidente della CEI, proprio per
le sue espressioni in favore della famiglia…
R. – Al presidente
della CEI va la nostra vicinanza spirituale. Noi siamo grati dell’attenzione
che i vescovi d’Italia stanno ponendo con questa difesa appassionata
dell’istituto familiare. Ma bisogna ribadire che il manifesto “Più famiglia”
non è pensato contro qualcuno, semmai a
favore della nostra gente e a tutela del futuro di tutti. Noi siamo attenti a
questa dimensione della proposta, più che alla contestazione che ci anima e che
ha ispirato questa iniziativa e che ci porterà nella piazza di San Giovanni in
Laterano nel desiderio di mostrare il volto, l’attualità, la forza, l’urgenza
della famiglia. Non è contro qualcuno – lo ribadiamo – è semmai in difesa di
questa priorità politica, sociale e, evidentemente per dei credenti, anche
ecclesiale, che la famiglia rappresenta.
D. – Quali sono i
frutti che ci si aspetta da questa 30.ma Convocazione del Rinnovamento nello
Spirito a Rimini?
R. – Anche quelli che
non si riescono ad immaginare, perché il tema come ci ha ribadito il Santo
Padre Benedetto XVI, interpella la nostra fede, il carisma della fede. Se nulla
è impossibile a Dio, noi intanto ci attendiamo che sia liberata la verità della
famiglia, e sulla famiglia, da tante ingiustizie che la soffocano. Auspichiamo
si possa registrare nelle nostre realtà locali, nelle nostre Chiese, un cristianesimo
gioioso, un cristianesimo che non fa mistero del Vangelo. E’ un grande evento
di Chiesa quello che si realizza a Rimini e da qui si riparte con il desiderio
di essere davvero protagonisti. La fede impone il protagonismo.
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Ho sbagliato nella
mia ricerca dell'amore, poi Dio ha cambiato la mia vita: lo racconta l’attrice
Claudia Koll, ospite al XXI Meeting
dei giovani di Pompei
Migliaia di ragazzi
stanno partecipando a Pompei al XXI Meeting dei giovani. Iniziato sabato sera
con una veglia di preghiera, l'evento, che si concluderà domani, sottolinea nel
suo manifesto anche la sua valenza civica e sociale, invitando i giovani a
rifiutare la violenza attraverso la cultura della legalità. Il Meeting, che si
può seguire anche sul sito www.korazym.org,
sta offrendo momenti di riflessione, testimonianze, musica e spettacolo. Tra
gli ospiti di questa edizione anche l’attrice Claudia Koll. Tiziana
Campisi le ha chiesto di raccontarsi ai nostri microfoni:
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R. - Dopo la cresima,
ho smesso di frequentare la Chiesa e il mondo mi ha in qualche modo attirata.
Ho cominciato quindi a vivere come vivono molte persone che frequentano la
Chiesa e che sono totalmente incoscienti. Volevo fare l’attrice a tutti i
costi: il mondo dello spettacolo mi ha usata e il mondo “usa” in generale
quando c’è la nostra debolezza e anzi ci colpisce proprio là dove siamo deboli,
quando abbiamo un grande desiderio di amore. Con questa sete di amore mi sono
fatta coinvolgere spesso in storie sbagliate; proprio per la sete di amore che
mi spingeva, sete anche di verità, ho cominciato a studiare recitazione seriamente;
mi interessava essere vera, provare forti emozioni. Desiderio di amore profondo
e di verità sono i desideri del cuore di ciascuno di noi, ma mi sono ritrovata
a fare scelte sbagliate perché nessuno veramente mi ha insegnato a vivere.
D. – In quel periodo
qual era il suo stato d’animo?
R. – Inquieto, non mi
bastava mai niente, non ero contenta di niente veramente, cercavo sempre
qualcosa di più. Poi nessuno mi aveva insegnato la fedeltà e quindi non ero
fedele e non sapevo neanche gestire l’amore, non sapevo amare.
D. – Cosa l’ha portata
poi alla “Via, alla Verità e alla Vita”?
R. – Scoprire che il
Signore mi veniva in aiuto nonostante la mia condizione di grande peccatrice.
Avendo fatto veramente molti peccati, avendo ferito molto il cuore di Dio, ho
sentito che comunque Lui, nel momento in cui io avevo bisogno e chiedevo aiuto,
mi veniva in soccorso.
D. – Oggi chi è
Claudia Koll?
R. – Un segno della
misericordia di Dio, di questo grande amore che ha il Signore per ciascuno di
noi, e quindi mi sento di cantare in eterno le lodi di Dio che è un Dio amore e
che veramente ho sentito vicino nella sofferenza. Allora, mi sento di dire ai
giovani che devono cercare il Signore, di non fingere che il problema non
esiste. Dio bisogna cercarlo veramente con tutto il cuore, poi è Lui a
mostrarsi a chi ne ha un desiderio profondo, a chi cerca la verità. Occorre
fare verità nella propria vita perché è un mondo, questo, che ci spinge ad
essere ipocriti, a non avere il coraggio della verità, che ci spinge al
compromesso. E invece tutto questo ci uccide dentro, ci toglie luce, ci toglie
forza. Bisogna cercare l’amore vero: come si fa a trovare l’amore vero? Bisogna
innanzitutto cercare Dio, mettersi sotto la sua protezione, e poi tutto il
resto va a posto da sé, perché il Signore, piano piano, fa un’opera
meravigliosa nella vita di ciascuno di noi.
D. – Saprebbe trovare
una frase, un motto da indicare ai giovani di oggi?
R.- “Gesù, confido in
Te”. Avere fiducia nella tenerezza di Dio, nell’aiuto di Dio, nel suo amore che
copre ogni peccato. Fidarsi del sostegno di Dio. Noi siamo deboli e la nostra
forza è Cristo.
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30 aprile 2007
Undici Chiese cristiane in Germania adottano una Dichiarazione formale
sul riconoscimento comune del Battesimo
“Il Battesimo come
segno dell’unità di tutti i cristiani ci unisce con Gesù Cristo, la base di
questa unità. Nonostante le differenze di comprensione della Chiesa, esiste tra
noi una comprensione di base sul Battesimo”: è quanto affermano, in una
Dichiarazione congiunta, i massimi rappresentanti di 11 Chiese della Germania,
tra i quali il presidente del Consiglio della Chiesa evangelica luterana nel
Paese, il vescovo Wolfgang Huber, il presidente della Conferenza episcopale
tedesca, il cardinale Karl Lehmann, nonché il vescovo della Chiesa evangelica
della provincia ecclesiastica della Sassonia, Axel Noack. La Dichiarazione
formale sul riconoscimento comune del Battesimo è stata presentata ieri,
nell’ambito di una celebrazione ecumenica presso il Duomo di Magdeburgo. “Come
partecipanti del mistero della morte di Cristo e della Risurrezione - si legge
nel testo - sappiamo che il Battesimo è la rinascita in Gesù Cristo. Chiunque
riceva questo Sacramento e dica sì all’amore di Dio nella fede sarà con Cristo
e nello stesso tempo con il Suo popolo per sempre e dappertutto”. “Per questo -
continuano i rappresentanti delle 11 Chiese di tedesche - riconosciamo ognuno
nella missione di Gesù nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo
attraverso l’immersione nell’acqua oppure il cospargere dell’acqua il
compimento del Battesimo e ci rallegriamo per ogni uomo che sarà battezzato”.
“Questo reciproco riconoscimento del Battesimo - precisano - è l’espressione
dell’unione nell’unità in Gesù Cristo. Il Battesimo compiuto è unico e non
ripetibile”. Infine, con le parole della Dichiarazione di convergenza della
Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Lima,
1982), i rappresentanti della 11 Chiese ribadiscono: il nostro unico Battesimo
in Cristo è “un richiamo alle Chiese di eliminare le disunioni e di rendere
visibili le loro comunità”. (R.M.)
Nuovi messaggi di solidarietà dalla Chiesa e dal
mondo politico
a mons. Angelo Bagnasco,
dopo l'ultimo messaggio intimidatorio
“Bisogna
che l’Italia sostenga mons. Bagnasco e che non lo lasci solo”: è quanto ha
dichiarato ieri il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, commentando
le nuove minacce rivolte all'arcivescovo di Genova e presidente della
Conferenza episcopale italiana: un bossolo calibro 9 corto e una fotografia
dello stesso arcivescovo, ritagliata da un giornale e segnata con una svastica,
recapitati venerdì scorso presso la Curia genovese. E secondo l’agenzia Ansa, anche la scritta “Posta
per te”, accompagnata da una stella a cinque punte. Solidarietà al presule da
parte del cardinale vicario, Camillo Ruini, che in un’intervista al Corriere
della sera ha ribadito che la Chiesa italiana non si farà intimidire dalle
minacce e dagli atti intimidatori e, anzi, parlerà “ancor più chiaro e forte”.
Da parte sua, durante la cerimonia di ordinazione di tre diaconi nella
cattedrale di Genova, l’arcivescovo Bagnasco ha affermato: “Oggi la nostra
diocesi vive una grande gioia, una gioia che non può essere turbata da nulla”.
Un caloroso applauso ha salutato il presule al termine della celebrazione.
Immutate, rispetto ai precedenti atti intimidatori, le misure a tutela di mons.
Bagnasco, con due o tre agenti di scorta. La nuova minaccia - ha sottolineato
il questore di Genova - viene ritenuta il gesto di un mitomane e non di una
organizzazione eversiva. Il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, ha
telefonato in serata a mons. Bagnasco, esprimendogli la piena solidarietà.
“Sono atti di stupidità e di intimidazione - aveva commentato il premier nel
pomeriggio - che non devono essere tollerati”. Condanna, tra gli altri, anche
da parte del presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e della senatrice
dell’Ulivo, Paola Binetti, che si è detta preoccupata perché il clima anticlericale
“sta peggiorando sia in Italia sia in Europa”. Un gesto che va “condannato e
non sottovalutato”, secondo i Repubblicani europei, mentre da New York, il rabbino
capo di Roma, Riccardo Di Segni, ha definito l’episodio un “vergognoso e vigliacco
atto intimidatorio”. Un fatto “preoccupante - ha chiarito - che invita le istituzioni
a non abbassare la guardia”. Di Segni ha poi espresso al presidente della CEI
“la solidarietà umana, civile e religiosa a nome degli ebrei romani, nella
speranza che il dialogo, così come il dissenso, possano essere espressi nelle
forme del rispetto della dignità di ognuno”. (A cura di
Roberta Moretti)
Nel documento conclusivo della 93.ma plenaria dei
vescovi argentini,
le sfide del Paese,
in vista delle prossime elezioni
“Occorre che tutti gli
argentini, soprattutto i cristiani, scoprano meglio ancora la propria vocazione
al servizio del bene comune, passando dall’essere ‘abitanti’ all’essere
‘cittadini’, corresponsabili della vita sociale e politica, aiutati dagli insegnamenti
della Dottrina sociale della Chiesa”: lo affermano i vescovi argentini nel
documento conclusivo della loro 93.ma Assemblea plenaria. I presuli riflettono
sul futuro processo elettorale, che porterà al rinnovo delle più altre cariche
dello Stato. Questo appuntamento, dicono, “esige un serio esame dell’impegno
sociale di ciascuno”, per determinare il modo migliore per adempiere “ai propri
doveri” e alla difesa “dei propri diritti”. “Ciò - aggiungono - impegna i
candidati, ma anche gli elettori, a esaminare seriamente la dimensione etica
delle proposte e delle scelte”. D’altra parte - scrivono i presuli - c’è anche la sfida della
trasparenza e l’abbandono “delle pratiche demagogiche e clientelari”. I presuli
si concentrano, poi, sulle grandi sfide della società argentina: la vita,
“primo dei diritti umani”, da difendere sempre in ogni stadio del suo sviluppo,
e la famiglia “fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna”, da ritenere
senza equivoci “la cellula basica della società e prima responsabile
dell’educazione dei figli”. Anche la difesa e la realizzazione del bene comune
fa parte di queste priorità, come pure il rifiuto dell’esclusione sociale.
Nonostante i progressi nell’ambito della crescita economica, i vescovi
ricordano che nel Paese c’è povertà e iniquità. “Una società - sottolineano -
non cresce soltanto quando si rinforza la sua economia: cresce soprattutto
quando aumenta la sua capacità di dialogo e la sua abilità per costruire
consenso attorno al bene comune”. Infine, viene ribadito il grande compito
della riconciliazione, evidenziando che ancora c’è molta “frammentazione”,
accompagnata spesso da “impunità, scontri e risentimenti”. “Va ricordato -
conclude il documento - ciò che il Papa ci ha detto per ribadire che le
condizioni per stabilire la pace sono il ripristino della giustizia, della
riconciliazione e del perdono”. (A cura di Luis Badilla)
Nella diocesi di Fiesole, giovani israeliani e palestinesi insieme
per i 100 anni dello
scoutismo
“Doni per la pace”: è
il motto del programma mondiale messo in atto per celebrare i 100 anni dello
scoutismo. Uno slogan che a Montevarchi, cittadina della diocesi di Fiesole,
viene realizzato proponendo un ponte di pace con la Terra Santa. Come riferisce
il quotidiano Avvenire, una delegazione di scout palestinese e una israeliana
sono state protagonisti, sabato e domenica, insieme ai gruppi della zona, di
due giornate all’insegna dello scambio e del confronto. L’idea rientra nel
calendario degli eventi che hanno trasformato Montevarchi in una “città di
pace”, dove le parrocchie e l’amministrazione comunale guidano un gemellaggio
con Betlemme, sostenuto anche dalla diocesi di Fiesole. Sabato sera, la piazza
principale di Montevarchi ha ospitato un “Concerto per la pace”, mentre ieri
mattina è stato inaugurato il “Giardino Baden Powel”, dedicato al fondatore del
movimento Scout. Nel pomeriggio, spazio ai giochi fra i ragazzi, mentre la sera
spettacolo scout con la banda di Betlemme. (R.M.)
Nelle Isole Salomone, continua l’assistenza alle
famiglie
colpite dal terremoto e dallo tsunami.
La Caritas porta aiuti materiali e conforto
spirituale
A un
mese dal terremoto e dallo tsunami che hanno colpito le Isole Salomone,
prosegue senza sosta l’opera di assistenza alle famiglie, anche ora che
l’emergenza sembra gradualmente sparire dalle cronache della stampa internazionale.
Sono giunte a Fides le testimonianze di due vescovi dell’arcipelago, che
raccontano la situazione. Mons. Adrian Thomas Smith, arcivescovo della
capitale, Honiara, scrive: “La Caritas sta facendo un buon lavoro
nell’assistenza ai profughi e alle famiglie colpite. Non solo portando aiuti
materiali, ma anche fornendo vicinanza, solidarietà morale e spirituale”. “E’
ancora difficile raggiungere le aree colpite - continua il presule - questo
resta il problema principale. Inoltre, circola ancora paura che fenomeni come
il terremoto possano ripetersi”. Si stanno attivando nell’isola di Gizo, fra le
più colpite, anche un’équipe di psicologi e consulenti specializzati
nell’assistenza post-trauma. “Anche l’arrivo della Croce e dell’Icona della GMG
è stato un evento di grazia - racconta mons. Smith - molto importante per il
morale della popolazione e per dare una spinta alla ricostruzione delle loro
vite”. Mons. Bernard Cyril O’Grady, vescovo di Gizo, ha visitato in elicottero
i luoghi maggiormente colpiti e ha scritto: “Vi sono tante famiglie che hanno
preso tutto e vivono in condizioni di estremo disagio. Molti sono ancora i
dispersi. Gli elicotteri continuano a fare la spola nelle isole più remote, per
portare soprattutto aiuti sanitari”. “Le persone - continua il presule - sono
ancora impaurite e preferiscono restare in alloggi di fortuna per rifugiati,
grazie all’assistenza di organismi internazionali come la Caritas e la Croce Rossa”.
E conclude: “Chiediamo a tutti di continuare a pregare e di non interrompere la
catena di solidarietà creata nelle scorse settimane”. (R.M.)
Dopo 5 anni di restauri, inaugurato in Spagna
l’organo della Cattedrale di San Sebastian, nei
Paesi Baschi
Con una solenne
celebrazione eucaristica, è stato inaugurato ieri, nella cattedrale spagnola
del Buon Pastore di San Sebastian, nei Paesi Baschi, l’organo considerato come
il più grande di Spagna che, durante i lavori di restauro, è rimasto in
silenzio per circa cinque anni. L’Eucaristia è stata presieduta dal vescovo,
Juan Maria Uriarte, che nella sua omelia ha ringraziato tutti coloro che hanno
reso possibile il difficile restauro di un organo che era stato inaugurato nel
1954, costruito dalla Organeria Espanola di Azpeitia, sotto la direzione
tecnica e artistica di Ramon Gonzalez Amezua. “La musica risveglia in noi il
meglio dei nostri sentimenti - ha detto mons. Uriarte - grazie alla musica
possiamo pregare non solo con le nostre parole, la nostra intelligenza, ma
anche con il nostro affetto”. “La musica è un complemento importante nella vita
liturgica - ha aggiunto - per l’elevazione dello spirito e per rendere più
forte il senso di comunità”. Il vescovo di San Sebastian si è augurato, infine,
che il canto e la musica liturgica siano espressione anche di una “condotta
autenticamente cristiana nella vita quotidiana”. Il restauro, molto artigianale
e complesso, che ha comportato anche l’applicazione di un sofisticato sistema
elettronico, è stato sovvenzionato con i contributi di alcune istituzioni e di
oltre mille donatori privati. Dotato di cinque tastiere e oltre ottomila canne,
lo strumento è stato definito come molto eclettico per l’interpretazione di
diversi stili di musica d’organo. Come grandi interpreti, per questa solenne
inaugurazione, sono stati invitati il prof. Jose Manuel Azkue, tra i migliori
organisti di Spagna, e l’Orfeon Donostiarra, conosciuto a livello internazionale
in particolare per le sue interpretazioni di grandi composizioni di musica
sinfonico-corale. (A cura di padre Ignazio Arregui)
30 aprile 2007
- A cura di Eugenio
Bonanata e Franco Lucchetti -
- In
primo piano la situazione in Turchia. E’ prevista per domani la decisione della
Corte costituzionale, che potrebbe annullare la votazione presidenziale in
corso al Parlamento e indire elezioni anticipate, come chiesto dai partiti di
opposizione. Intanto, dopo l’imponente manifestazione di ieri a Istanbul in
nome della laicità dello Stato e contro il governo, questa sera il premier
Erdogan parlerà alla nazione. Il suo discorso, in diretta televisiva, avviene
nel pieno di una crisi politico–istituzionale segnata anche dalla presa di
posizione dell’esercito che si è detto nettamente contrario all’elezione di un
leader filo islamista a capo dello Stato. E proprio i timori di un golpe da
parte delle Forze Armate hanno fatto registrare un segno negativo nei mercati
finanziari. D'altro canto, la crescita economica è un passo fondamentale nel
cammino di Ankara verso l’Unione Europea. Questo fattore influenzerà le scelte
della leadership turca? Giada Aquilino lo ha chiesto al prof. Franco
Rizzi, docente di Storia dell’Europa e del Mediterraneo all’Università Roma
Tre e direttore dell’Unione delle università mediterranee:
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R. –
E’ strano che un Paese, che sta crescendo economicamente, possa subire un
arresto. Sicuramente ci sono forze che probabilmente spingono verso un rallentamento
di un’entrata nell’Unione Europea. I dati dell’economia, però, dimostrano che
il Paese sta facendo dei passi avanti notevoli e ha una crescita superiore a
quella, tra l’altro, prevista. Quindi, questo fatto rafforzerà inevitabilmente
anche le spinte di coloro che vogliono entrare in un contesto europeo. Questo,
ovviamente, determinerà delle contraddizioni, perché la Turchia è sicuramente
un Paese tra Occidente ed Oriente. Si vede, comunque, che ci sono nodi molto
profondi.
D. –
Una destabilizzazione della Turchia, con uno scontro tra militari e islamisti, potrebbe avere
delle ripercussioni in tutta quell’area che va dal Marocco all’Iran, passando
per l’Egitto?
R. –
Io penso che la situazione della Turchia sia completamente diversa. Personalmente
non credo che la situazione nel quadro di riferimento politico generale possa
portare ad uno scontro con i militari. Io credo che troveranno o si troverà una
via di uscita. Un muro contro muro non credo sia riproponibile tout court come
è stato nel passato.
D. –
Dopo le difficoltà emerse l’anno scorso nelle trattative, adesso l’Unione Europea
quale ruolo può assumere rispetto alla Turchia?
R. –
Già ha assunto un ruolo importante, dicendo che la democrazia ha le sue regole.
Certo, sarà molto importante quello che succederà per il proseguo delle
trattative con l’Unione Europea. E anche questo è un elemento che entra in gioco.
Quindi, i militari non è che possano immaginare di fare un muro contro muro,
senza tenere presente quest’altro elemento che costituisce la cornice di tutto
il discorso della Turchia oggi.
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- In
Afghanistan, si è intensificata negli ultimi giorni la lotta contro i ribelli
talebani. Due grandi operazioni sono state lanciate dalla NATO e dalla
coalizione internazionale, in varie aree del Paese. Il nostro servizio:
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Un
bilancio pesante quello degli ultimi giorni, che parla di 136 talebani uccisi,
in due combattimenti condotti dalla coalizione internazionale a guida
statunitense nella provincia occidentale di Herat, verso il confine con l’Iran.
E’ la più dura offensiva di questo anno contro la ribellione afgana: si parla
di battaglie intense, una delle quali durata 14 ore. Fra i ribelli caduti anche
alcuni leader importanti dei talebani, che però non confermano la notizia.
Nella città, migliaia di afgani sono scesi in strada per protestare contro le
truppe americane accusate di aver ucciso civili. La polizia ha inviato rinforzi
per evitare l’arrivo dei manifestanti davanti alla grande base americana nella
zona. Ci sono stati momenti di tensione, alcuni spari, ma non è chiaro se vi
siano vittime. Intanto, nel sud del Paese, stamani anche la NATO e i soldati
afghani sono entrati in azione nella provincia di Helmand, dove si concentra
la produzione di oppio. Qui sono circa
2.000 le unità impegnate per stroncare quella che è considerata una delle
maggiori produzioni di droga dell’Afghanistan. La guerriglia però non si ferma:
stamani nel distretto di Zhari un kamikaze si è fatto esplodere contro
convoglio della sicurezza statunitense provocando la morte di almeno un
dipendente afgano e il ferimento di altri tre. In questo quadro il presidente
afgano, Kharzai, e quello pakistano Mhusharrraf, hanno siglato la
collaborazione dei due Paesi contro il terrorismo. La firma dell’accordo è
avvenuta ad Ankara e sancisce la nascita di una commissione congiunta sotto
l’egida della Turchia.
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-
Alta la tensione anche in Iraq. Le conseguenze più pesanti ricadono sulla popolazione,
ma questo mese di aprile è stato uno dei più funesti anche per le forze statunitensi:
si parla infatti di più di 100 soldati morti negli ultimi 30 giorni. Il dato,
dall’inizio del conflitto nel 2003, è di oltre 3.300.
-
Crescono le aspettative che la conferenza internazionale sull’Iraq, in programma
il 3 e il 4 maggio a Sharm el Sheik, in Egitto, possa avviare un dialogo fra
Stati Uniti, Siria ed Iran. Il segretario di Stato americano, Condoleeza Rice,
si è detto disponibile per un incontro con il suo omologo iraniano.
- In Israele, sarà pubblicato nelle prossime ore il rapporto della
Commissione di inchiesta sulla guerra in Libano. Secondo quanto riportano i
media israeliani, il primo ministro Olmert e il ministro della Difesa, Peretz,
rischiano di vedersi imputare diversi errori commessi nella gestione del
conflitto della scorsa estate. In primis si contesterebbe la fretta con la
quale si è agito nei confronti di Beirut dopo il rapimento di due soldati
israeliani. Olmert ha già fatto sapere che, al di là delle conclusioni del
rapporto, non si dimetterà.
- “Ad
un anno dai giochi olimpici di Pechino, la situazione dei diritti umani e la repressione
in Cina continuano a peggiorare. Il Comitato Internazionale Olimpico dovrebbe
usare la sua influenza sui dirigenti cinesi per sensibilizzarli al problema”.
Lo afferma un rapporto di Amnesty International pubblicato oggi nella capitale
cinese. Il nostro servizio:
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Per il terzo anno consecutivo dal 2005,
l’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, con sede a
Londra, valuta che il Paese che ospiterà le prossime Olimpiadi non risponde
agli standard internazionali in materia dei diritti umani. In Cina “vi sono
poche prove di riforme in diversi campi”, denuncia Amnesty, che disegna un
quadro non convincente. Indica come l’avvicinarsi dell’evento sportivo mondiale
“serva da catalizzatore a una repressione continua contro i difensori dei
diritti umani, soprattutto avvocati di fama e persone che provano a far
conoscere le violazioni di questi diritti”. Il rapporto, tuttavia, approva
alcune misure adottate di recente da Pechino sulla pena di morte e sulla
libertà di stampa, ma sottolinea che queste sono oscurate dall’ossessione di
“stabilità” dello Stato e dalla linea dura adottata da esso per contrastare la
dissidenza. “Dobbiamo colpire forte le forze ostili all’interno e all’esterno
del Paese”, ha detto il Ministro dell’Interno, Zhou Yongkang, solamente un mese
fa. Amnesty spera ora nell’aiuto del Comitato Internazionale Olimpico.
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-
Emergenza climatica protagonista a Bangkok, dove oltre 400 esperti internazionali
del Gruppo intergovernativo sul clima (GIEC) creato
dall’ONU, si sono dati appuntamento per un’intera settimana per
discutere della questione. L’obiettivo è quello di
pervenire a misure concrete comuni superando le divergenze fra i vari Paesi in tema di surriscaldamento del pianeta e
di inquinamento globale da Co2. La Cina ha subito messo in guardia i
partecipanti affinché la riunione rappresenti anche i punti di vista dei Paesi
meno sviluppati. Un avvertimento diretto anche ad un altro vertice sul clima
che coinvolge oggi Stati Uniti ed Unione Europea alla Casa Bianca.
- In
Sri Lanka, truppe governative hanno ucciso almeno 11 ribelli delle Tigri Tamil
in due scontri avvenuti stamani nel nord del Paese. Ieri, le milizie
separatiste avevano bombardato, senza provocare vittime, una zona periferica di
Colombo in risposta ai raid aerei delle forze governative. Il governo cingalese
ha assicurato che adotterà tutte le misure possibili per distruggere la flotta
aerea delle Tigri Tamil.
-
“Psicoterrorismo”. Cosi il presidente estone Toomas Hendrik Ilves definisce il
clima che si sta creando in questi giorni attorno all’ambasciata del suo Paese
a Mosca. “Mosca non garantisce il normale lavoro dei diplomatici e delle
ambasciate", ha detto il leader estone che ha precisato: “Circa una decina
di diplomatici sono assediati nell’edificio sede dell’ambasciata e i cittadini
estoni non vi hanno libero accesso”. Le tensioni – lo ricordiamo - sono sorte dopo la decisione di Tallin di
spostare dal centro della capitale estone ad un cimitero militare il monumento
ai caduti della Seconda Guerra Mondiale, che raffigura un soldato in uniforme
sovietica. La Duma russa, oggi in visita in Estonia con una sua delegazione,
insiste sul ripristino dell’antica collocazione della statua.
-
Cinque britannici sono stati dichiarati colpevoli oggi dal Tribunale di Londra
per aver tentato di organizzare una serie di attacchi terroristici in tutto il
Regno Unito contro treni, centri commerciali e discoteche. La banda voleva
utilizzare circa 600 kg di fertilizzante a base di nitrato di ammonio per
confezionare delle bombe da utilizzare contro la Gran Bretagna per la sua
partecipazione al fianco degli Stati Uniti nella guerra in Afghanistan e in
Iraq.
- C’è
attesa in Mali per i primi risultati parziali delle presidenziali di ieri.
Favorito resta il presidente uscente Amadou Toumani Toure, per cui sembra
scontato un secondo mandato al timone del più povero dei Paesi, ai margini del
Sahara meridionale. Come riporta l’agenzia MISNA, uno dei quattro candidati
della coalizione di opposizione ‘Fronte per la democrazia e la repubblica’
(FPR), Ibrahim Boubakar Keita, ha denunciato “frodi elettorali”, senza tuttavia
fornire prove convincenti. Dal canto suo, il capo della missione di osservazione
elettorale dell’Organizza-zione Internazionale della Francofonia (OIF),
l’ex-primo ministro haitiano Gérard Latortue, ha sottolineato la discrezione
delle forze dell’ordine e l’assenza di pressioni sugli elettori.
- In
Etiopia, sono stati rilasciati i nove civili - sette cinesi e due etiopi –
rapiti il 24 aprile scorso dai ribelli del Fronte di Liberazione nazionale
dell’Ogaden. Lo ha confermato ieri il ministero della Difesa di Addis Abeba,
precisando che rapitori li hanno consegnati ad una delegazione del Comitato
della Croce Rossa Internazionale (ICRC). Il sequestro era avvenuto al termine
di un violento attacco contro alcuni pozzi di petrolio gestiti da una compagnia
cinese, nel quale sono morte almeno 77 persone.
- In
Somalia, le pattuglie miste di soldati somali ed etiopici continuano a perlustrare
Mogadiscio, dove stanno facendo ritorno centinaia di migliaia di sfollati
fuggiti durante i combattimenti. In questo quadro, il primo ministro Gedi ha
ordinato il disarmo dei civili ed ha nominato come sindaco di Mogadiscio e come
capo della polizia due ex “signori della guerra”. I provvedimenti mirano a
dimostrare che per riportare l’ordine nel Paese non sono necessarie le corti
islamiche, peraltro dichiarate sconfitte nei giorni scorsi dal presidente Yusuf.