RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 118  - Testo della trasmissione di sabato 28 aprile 2007

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Benedetto XVI ai vescovi siro-cattolici: siate uniti e vincete le insidie attuali con una testimonianza di coraggio e fraternità

 

Benedetto XVI riceve in udienza il presidente della Lituania, Valdas Adamkus

 

Nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni il Papa ordina sacerdoti 22 diaconi della diocesi di Roma: ai nostri microfoni, Matteo Castellina

 

La natura non è un assoluto ma una ricchezza posta nelle mani responsabili dell'uomo: così il cardinale Renato Raffaele Martino a conclusione del Seminario sui cambiamenti climatici

 

Domani a Rimini, la beatificazione di suor Maria Rosa Pellesi: ha testimoniato che si può essere felici anche nella malattia  

 

Oggi su "L'Osservatore Romano"

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Grande solidarietà per i ragazzi della cooperativa agricola Valle del Marro devastata dagli uomini della 'ndrangheta: ce ne parla don Pino De Masi

 

In migliaia a Pompei per il XXI Meeting dei giovani. Mons. Carlo Liberati: vogliamo dire al mondo che Dio è amore

 

 Il commento di don Massimo Serretti al Vangelo della Domenica

 

CHIESA E SOCIETA’:

“Pieno supporto a qualsiasi legislazione che sostenga la natura propria della famiglia”. E’ il messaggio dei vescovi dell’Uruguay, al termine dei lavori dell'Assemblea plenaria

 

 Polonia: Giornata del clero durante la guerra

 

Una nota del Movimento Pax Christi Italia denuncia che, nella tragedia irachena, sempre più cristiani sono vittime di violenze, ricatti, minacce e uccisioni

 

La commissione “Giustizia e Pace” della Chiesa cattolica di Timor Est lancia un programma di riconciliazione nazionale rivolto ai giovani

 

Appello dei vescovi del Québec: “ Una settimana senza media, riscoprire il valore dei rapporti umani”

 

Documento dei vescovi dell’Emilia Romagna per fronteggiare le stragi del sabato sera

 

Palermo ricorda il segretario del PCI siciliano Pio La Torre ucciso 25 anni fa in un agguato insieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo. Presente alla manifestazione anche il ministro dell’Interno Giuliano Amato

 

24 ORE NEL MONDO:

Afghanistan: i talebani liberano la cooperatrice francese rapita il 3 aprile scorso

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

28 aprile 2007

 

Benedetto XVI ai vescovi siro-cattolici: siate uniti e vincete

 le insidie contingenti con una testimonianza di coraggio e fraternità

 

In un’epoca in cui il messaggio del Vangelo è insidiato, è importante ricercare l’unità e la riconciliazione - primi fra tutti con il Papa e con i fratelli nell’episcopato - perché è lì, “nel dono dell’amore condiviso” che si trova “il segreto dell’efficacia apostolica”. E’ questa, in sostanza, l’esortazione con la quale Benedetto XVI ha accolto i partecipanti al Sinodo straordinario della Chiesa siro-cattolica, con i quali poi il Papa si è intrattenuto a pranzo. Benedetto XVI ha anche affrontato i problemi di una minoranza ecclesiale sparsa nei Paesi mediorientali. Il servizio di Alessandro De Carolis:

 

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Le bombe dell’Iraq, la volatilità dei rapporti che intercorrono fra Israele, Siria, Libano. E’ l’orizzonte nebuloso nel quale si muove la Chiesa siro-cattolica, diffusa in Medio Oriente ma anche nella diaspora, specie negli Stati Uniti. Benedetto XVI si è rivolto a Sua Beatitudine, il Patriarca di Antiochia dei Siri, Ignazio Pietro VIII Abdel Ahad, e ai 13 vescovi partecipanti al Sinodo straordinario mostrando grande partecipazione per le difficoltà che comporta la quotidianità dei cattolici in quelle aree:

 

“À NOTRE ÉPOQUE, IL Y A TANT DE DÉFIS…

Nella nostra epoca sono tante le sfide che devono affrontare le comunità cristiane in tutte le parti del mondo, mentre numerosi pericoli e trappole rischiano di camuffare i valori del Vangelo. Per quanto riguarda la vostra Chiesa, le violenze ed i conflitti che segnano una parte della gregge che vi è affidata costituiscono difficoltà supplementari che mettono ancora più in pericolo non soltanto il fatto di vivere insieme in pace, ma anche la vita delle persone. In queste situazioni, è importante che la comunità ecclesiale siro-cattolica possa annunciare il Vangelo con forza, promuovere una pastorale adeguata alle sfide della post-modernità ed offrire un esempio luminoso d’unità in un mondo frazionato e diviso”.

 

Il Sinodo straordinario, che termina domani dopo tre giorni di lavoro è servito a riflettere, ha proseguito Benedetto XVI, sui mezzi necessari per “superare gli ostacoli che impediscono lo svolgimento normale della vostra vita ecclesiale”:

 

 “C’EST LE MINISTÈRE QUE LE SEIGNEUR VOUS A CONFIÉ…

È il ministero che il Signore vi ha affidato nel suo gregge che lo esige – ha insistito il Pontefice - è il bene della Chiesa siro-cattolica che lo esige. Lo esigono anche la situazione particolare che vive il Medio Oriente e la testimonianza che, nella loro unità, le Chiese cattoliche possono dare”.

 

Benedetto XVI ha concluso ricordando come le Chiese orientali giochino un “ruolo particolare” nel cammino ecumenico. Un cammino che si intreccia anche con il dialogo interreligioso, ha ricordato il Papa, invitando la Chiesa siro-cattolica a proseguire oggi, “con entusiasmo, con fiducia e con perseveranza”, l’azione missionaria che duemila anni fa iniziò l’apostolo Paolo. Il Patriarca e i vescovi siro-cattolici, informa un comunicato, "hanno ringraziato il Santo Padre per la sollecitudine dimostrata verso la loro Chiesa diffusa nel Medio Oriente e in altre parti del mondo, per l’appoggio e il sostegno espresso più volte e recentemente nella Lettera indirizzata ai cattolici della tanto provata Regione Medio-Orientale, ed hanno rinnovato la loro profonda comunione con la Sede Apostolica".

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Benedetto XVI riceve in udienza il presidente della Lituania, Adamkus

 

Il ruolo della Lituania nell’Unione Europea e il contributo della Chiesa locale al benessere della nazione baltica, nella quale gli oltre 2 milioni e mezzo di cattolici rappresentano l’80% della popolazione. Sono i temi principali che hanno occupato l’udienza concessa questa mattina da Benedetto XVI all’80.enne presidente della Lituania, Valdas Adamkus, che già fu capo di Stato nel periodo successivo all’indipendenza dall’Unione Sovietica, nel ’90. “Nel corso dei cordiali colloqui - informa un comunicato della Sala Stampa vaticana - si è espressa soddisfazione per le buone relazioni esistenti tra la Santa Sede e la Lituania, frutto della reciproca fiducia e della comune volontà di collaborazione, e non si è mancato di rilevare la convergenza di idee e propositi sul contributo che la Chiesa cattolica può offrire per il bene dell'intera Nazione, auspicando una collaborazione sempre più concreta”.

 

L’incontro in privato tra il Papa e il capo di Stato lituano, duranto circa 20 minuti, “è servito anche - prosegue la nota - per uno scambio di informazioni e riflessioni sul ruolo che la Lituania svolge nell'Unione Europea e sui suoi rapporti con i Paesi vicini”. Come di consueto, dopo l’udienza con Benedetto XVI, il presidente lituano si è intrattenuto a colloquio anche con il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone.

 

 

Altre udienze

 

Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina un altro gruppo di presuli italiani della Regione Triveneto, in visita "ad Limina", guidati dal cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia.

 

Il Santo Padre questo pomeriggio riceverà il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi.

 

 

Nella Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni il Papa

ordina sacerdoti 22 diaconi della diocesi di Roma

 

Domani mattina alle 9.00 il Papa presiederà nella Basilica Vaticana una celebrazione eucaristica durante la quale conferirà l’ordinazione sacerdotale a 22 diaconi della diocesi di Roma. Dei neopresbiteri, 11 provengono dal Seminario Romano Maggiore, otto dal “Redemptoris Mater”, uno dal Divino Amore, uno dal Capranica e uno dai Legionari di Cristo. L'età degli ordinandi va dai 26 ai 51 anni. Il rito si svolge in coincidenza con la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, quest’anno sul tema “La vocazione al servizio della Chiesa comunione”. La Radio Vaticana trasmetterà la cronaca dell'evento a partire dalle 8.50 con commenti in italiano, francese, spagnolo, portoghese, inglese e tedesco. Giovanni Peduto ha incontrato uno degli ordinandi, Matteo Castellina, 31 anni: gli ha chiesto con quali sentimenti si appresti ad essere ordinato sacerdote:

 

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R. – Innanzitutto, con una gioia profonda. Una gioia profonda che emerge dall’incontro con Cristo. Certo, però, rimane anche un profondo senso di inadeguatezza perché vedo tutti i miei limiti, tutte le mie debolezze e certo il compito al quale il Signore mi chiama è davvero grande. Però, so e in questi anni me lo ha fatto capire attraverso tanti segni, che comunque mi sarà sempre accanto e quindi non ho nulla da temere.

 

D. – Com’è nata la tua vocazione?

 

R. – In maniera molto semplice: in parrocchia. Ero ancora quindicenne, mi è stato chiesto di aiutare una catechista con un gruppo di bambini che si preparavano alla Prima Comunione e durante i primi anni ho scoperto quanto è bello poter annunciare Cristo, annunciare la bellezza dell’incontro con Lui, e piano piano ho capito che in fondo in fondo il Signore mi chiamava a fare questo tutta la vita: mi chiamava ad essere annunciatore del Suo amore per noi.

 

D. – Cosa diresti ad un giovane come te che sente nascere nel cuore la chiamata a diventare sacerdote?

 

R. – Di non temere. Di non temere perché è vero, sembra che il Signore ci chieda molto, sembra che oggi sia molto difficile essere sacerdote e, certo, questo è vero. Però, se il Signore ci chiede molto, in realtà ci dona molto di più e quindi davvero non c’è nulla da temere.

 

D. – I fedeli, ma la società intera, cosa si aspettano oggi dai sacerdoti?

 

R. – Io credo che ce lo dica molto spesso il Santo Padre: in fondo, la gente oggi ha bisogno di sentire l’annuncio del Vangelo, l’annuncio della Buona Novella, che Dio è amore. In una società che credo oggi manchi molto d’amore e ne abbia un disperato bisogno, credo che il compito più importante per un sacerdote sia proprio quello di annunciare che Dio è amore, che Dio ci ama e ci salva. E, quindi, ecco: questo credo che sia la cosa più importante. Forse molti non se ne rendono conto che è questo il desiderio che hanno, ma lo si capisce perché quando poi annunci la bellezza dell’amore di Dio, questo fa sempre breccia nei cuori e anche nei cuori più induriti.

 

D. – Il Papa nel Messaggio scritto in occasione di questa Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni invita a riflettere sullo speciale legame tra vocazione e comunione ecclesiale: un tuo commento …

 

R. – Il Papa, appunto, dice che la vita consacrata e i sacerdoti in maniera particolare sono a servizio della comunione. Nella sua omelia, nella Domenica in Albis, quando abbiamo festeggiato il suo 80.mo compleanno, lui ci ricordava che la Chiesa è innanzitutto una famiglia e come in ogni famiglia, ciascuno ha il suo compito per la famiglia, a servizio di tutta la famiglia. Così credo che i consacrati nella Chiesa sono a servizio di tutta la Chiesa come famiglia e devono diventare annuncio di questo per tutti coloro che ancora non l’hanno sperimentato, che hanno bisogno di sentirselo dire. E quindi, ecco, credo che il Santo Padre sottolineando questo, sottolineando questa attenzione alla comunione ci ricorda ancora una volta che un sacerdote non è mai per se stesso ma è sempre per la Chiesa. Perché sempre di più i fedeli si possano sentire parte di un’unica, grande famiglia, che è la famiglia di Dio.

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La natura non è un assoluto ma una ricchezza posta

nelle mani responsabili dell'uomo: così il cardinale Martino

 a conclusione del Seminario sui cambiamenti climatici

 

“La natura non è un assoluto, ma una ricchezza posta nelle mani responsabili e prudenti dell’uomo”: è quanto ha affermato ieri, a conclusione del Seminario internazionale sul tema “Cambiamenti climatici e sviluppo”, il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, il cardinale Renato Raffaele Martino. L’incontro ha riunito a Roma, a Palazzo San Calisto, 80 studiosi ed esperti provenienti da 20 Paesi dei cinque continenti. Il servizio di Tiziana Campisi:

 

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Ambientalisti, scienziati ed ambasciatori si sono confrontati sull’impatto economico, sociale ed energetico dei mutamenti climatici e sulle responsabilità che ne derivano a livello nazionale ed internazionale. A loro il cardinale Martino ha ricordato che “l’uomo ha una indiscussa superiorità sul creato e, in virtù del suo essere persona dotata di un’anima ... non può essere equiparato agli altri esseri viventi, né tanto meno considerato elemento di disturbo dell’equilibrio ecologico naturalistico”. Ma sulla natura, ha proseguito il porporato, l’uomo non ha un diritto assoluto, bensì “un mandato di conservazione e sviluppo in una logica di universale destinazione dei beni della terra che è uno dei principi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, principio che va soprattutto declinato con l’opzione preferenziale per i poveri e per lo sviluppo dei Paesi poveri”. Il presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha criticato poi quelle “forme di idolatria della natura che perdono di vista l’uomo”. “La natura è per l’uomo e l’uomo è per Dio - ha sottolineato - anche nella considerazione delle problematiche connesse ai cambiamenti climatici si dovrà far tesoro della Dottrina sociale della Chiesa”. Il porporato ha spiegato che quest’ultima “non avalla né l’assolutizzazione della natura, né la sua riduzione a mero strumento”. “La Chiesa propone una visione realistica delle cose - ha precisato inoltre il cardinale Martino - essa ha fiducia nell’uomo e nella sua capacità sempre nuova di cercare soluzioni ai problemi che la storia gli pone. Capacità che gli permettono di confutare spesso le ricorrenti, infauste e improbabili previsioni catastrofiche”. Il porporato ha concluso il suo intervento ricordando quanto importante sia per l’uomo rapportarsi continuamente al suo Creatore: “Quando l’uomo vuole porsi al posto di Dio – ha detto – perde di vista anche se stesso e la sua responsabilità di governo della natura”.

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A Rimini la beatificazione di suor Maria Pellesi: ha testimoniato

 che si può essere felici anche nella malattia

 

Domani alle 10, nella cattedrale di Rimini, sarà beatificata suor Maria Rosa Pellesi, religiosa della Congregazione delle Suore Francescane Missionarie di Cristo, morta nel 1972 a 55 anni. A presiedere la celebrazione sarà il cardinale José Saraiva Martìns, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Suor Maria Rosa, nel corso della sua vita, ha offerto la credibile testimonianza che si può essere felici anche nella malattia e che si può vivere il centuplo promesso da Cristo in ogni circostanza della vita. Era ancora adolescente quando dovette occuparsi dei sei figli delle due cognate morte giovanissime, ma intanto viveva con assiduità i sacramenti e si impegnava nell’Azione Cattolica. Dopo aver maturato la sua vocazione religiosa inizia anche il suo calvario. Aveva appena pronunciato la prima professione quando le viene diagnosticata una grave forma di tubercolosi polmonare. Da allora la sua esistenza è stata caratterizzata dalla sofferenza; costretta a vivere 27 anni in diversi ospedali, ha accettato comunque il volere di Dio con la volontà di donarsi a Lui e agli altri. Soleva ripetere: “Mi sono fatta suora per glorificare il Signore, ebbene lo glorificherò da ammalata”. E prima di morire le sue ultime parole sono state: “Quello che conta è amare il Signore. Sono felice perché muoio nell’amore, sono felice perché amo tutti”.

 

 

Oggi su "L'Osservatore Romano"

 

Servizio vaticano - Il discorso di Benedetto XVI ai partecipanti al Sinodo Straordinario della Chiesa di Antiochia dei Siri cattolici.

Servizio estero - Russia: Putin minaccia di prendere contromisure per fronteggiare il sistema di difesa antimissile Usa.

Servizio culturale - Un articolo di Piero Amici dal titolo "Dalla secessione della plebe alla dignità di ciascuna persona": la XXVII edizione dei Seminari internazionali di studi storici da Roma a Costantinopoli a Mosca.

Servizio italiano - In primo piano gli incidenti sul lavoro.

 

OGGI IN PRIMO PIANO

28 aprile 2007

 

 

Grande solidarietà per i ragazzi della cooperativa agricola

 Valle del Marro devastata dagli uomini della 'ndrangheta

 

Messaggi di solidarietà da molte istituzioni sono arrivati alla cooperativa agricola Valle del Marro, dell’associazione “Libera”, distrutta due notti fa a Gioia Tauro. L’azienda produce derrate alimentari su terreni confiscati ai boss locali della ’ndrangheta, e ora l’obiettivo è far ricominciare al più presto la produzione. Per evitare altri atti intimidatori è stato deciso che la cooperativa sarà sottoposta a controlli ed attività di vigilanza, da parte delle forze di polizia. Alessandro Guarasci ha intervistato don Pino De Masi, coordinatore di Libera in Calabria:

 

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R. – I ragazzi hanno ripreso l’attività, questa mattina, con uno spirito di serenità e con maggiore determinatezza, perché noi riteniamo che questo episodio che è successo a noi, ma anche gli episodi accaduti alle varie cooperative che si trovano nelle stesse condizioni, sono il segnale di una debolezza della mafia. La mafia ha capito che lo Stato ha imboccato la strada giusta, quella della confisca dei beni, e allora cerca di utilizzare la strategia dello scoraggiamento dei ragazzi. Invece, i ragazzi sono più motivati che mai.

 

D. – Ma vi erano state, comunque, delle avvisaglie?

 

R. – No, delle avvisaglie, no. C’è stato un precedente nel mese di dicembre, quindi c’è stato anche un altro atto intimidatorio, e nello stesso luogo dove era già stato rubato un attrezzo agricolo.

 

D. – Lei ha detto che, in sostanza, la mafia, o meglio, la ‘ndrangheta, ha capito a questo punto che lo Stato sta imboccando la via giusta, dunque la confisca dei beni. Ma con quale spirito, però, la vostra attività viene presa anche dalla comunità locale?

 

R. – La comunità locale è tutta con noi. Io credo che i gesti di solidarietà che stiamo avendo in questi giorni, da ieri, sono proprio ininterrotti. La gente comune è con noi e per fortuna abbiamo anche lo Stato con noi, le istituzioni. Non dimentichiamoci che a Polistana il 21 marzo c’è stata una manifestazione con oltre 30 mila persone, e tantissimi, moltissimi erano gente del luogo. Quindi, la gente ha cambiato atteggiamento. Forse perché aveva ragione quel santo prete che si chiamava don Italo Calabrò che diceva a noi preti giovani: è nel coraggio dei pastori che la gente ritrova il proprio coraggio.

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In migliaia a Pompei per il XXI Meeting dei giovani. Mons. Liberati:

 vogliamo dire al mondo che Dio è amore

 

Migliaia di ragazzi provenienti da tutta Italia sono arrivati a Pompei per partecipare alla XXI edizione del Meeting dei Giovani che inizia questa sera per concludersi il primo maggio. Il Meeting propone momenti di riflessione, testimonianza, preghiera, cultura, musica e spettacolo. Ma quale messaggio vuole lanciare quest'anno? Giovanni Peduto lo ha chiesto al vescovo-prelato di Pompei, mons. Carlo Liberati:

 

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R. – Noi ci richiamiamo al messaggio iniziale e fondante del Pontificato di Benedetto XVI:Amatevi come io vi ho amati’. Noi vogliamo proprio lanciare questo messaggio assoluto a tutti i giovani d’Italia, d’Europa e del mondo:Amatevi come io vi ho amati’. Questo incontro è significativo perché noi vogliamo dare speranza ai giovani del nostro tempo, molto spesso incompresi agli occhi di una società segnata da ritmi frenetici della vita e che non ha tempo per interessarsi della loro crescita umana e spirituale. Il Meeting dei giovani quindi è un’iniziativa del nostro Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei ed è un grande momento di aggregazione giovanile, di vita ecclesiale, di testimonianza e anche una concreta esperienza culturale e di solidarietà.

 

D. – Ci sono iniziative concrete legate al Meeting?

 

R. – L’elemento caratterizzante del Meeting, in continuità con il carisma del fondatore della nuova Pompei, il beato Bartolo Longo, è la solidarietà secondo il motto: “Nella città della carità, per la carità del mondo”. Adesso stiamo facendo questo: l’iniziativa a Pompei per la pace e i bambini promossa dal nostro Santuario per l’attuazione di diversi progetti in Italia, nelle Filippine, in India, in Africa, a favore dell’infanzia violata e negata. In questo momento, vorremmo costruire alcune unità abitative presso il villaggio di Kottuvally, Kerala, in India, dove le nostre suore missionarie, le suore missionarie domenicane del Santo Rosario, sono impegnate già da anni in un programma di promozione umana e sociale a favore della popolazione locale, in modo particolare dei bambini con un programma di alfabetizzazione, un programma di educazione progressiva, un programma di crescita umana e di venire incontro a tutte le loro necessità, materiali e spirituali.

 

D. – Qual è l’esperienza di questi Meeting?

 

R. – Non dimentichiamoci che lo Stato italiano – non è questa un’accusa ma è una constatazione – non fa abbastanza per il mondo dell’educazione, per il mondo della scuola; c’è troppa svogliatezza in giro, troppa mediocrità, troppa superficialità. Noi vogliamo un mondo migliore basato su una gioventù più consapevole del suo ruolo, più forte nelle sue aspirazioni e anche più idealista nei traguardi che vuole raggiungere.

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Il commento di don Serretti al Vangelo della Domenica

 

Nella quarta Domenica di Pasqua, la Liturgia ci propone il Vangelo del Buon Pastore. Gesù dice ai suoi discepoli:

 

“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.  Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano”.

 

Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del teologo don Massimo Serretti, docente di Cristologia alla Pontificia Università Lateranense:

 

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I nostri Padri nella fede nei primi secoli qui a Roma hanno raffigurato in disegni, bassorilievi, incisioni su pietra e scultura, il Buon Pastore. Le catacombe contengono innumerevoli riproduzioni di questa figura. Di fronte alla morte e soprattutto di fronte alla persecuzione incombente, la figura di Cristo, con la pecorella sulle spalle, appariva come un segno di certezza. Quei cristiani non poggiavano sulle proprie certezze, non potevano essere certi di sussistere né individualmente né come comunità. L’andare dietro a Cristo era per loro motivo di consistenza; l’andare dietro a Colui che dà la vita eterna e che ha promesso che nessuno rapirà le sue pecore dalla sua mano e che non andranno mai in perdizione. Ascoltare, tendere l’orecchio per andare dietro, per seguire. L’alternativa è il nulla, la vanità. I vostri padri seguirono ciò che è vano, dice il profeta, e divennero essi stessi vanità. L’uomo diventa quel che segue.

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CHIESA E SOCIETA’

28 aprile 2007

 

“Pieno supporto a qualsiasi legislazione che sostenga la natura propria

della famiglia”. E’ il messaggio dei vescovi dell’Uruguay,

al termine dei lavori dell’Assemblea plenaria

 

“La Costituzione uruguaiana considera la famiglia come la base della società. Perciò noi diamo tutto il nostro sostegno a qualsiasi legislazione che sostenga la natura propria della famiglia, la sua identità, la sua stabilità, il suo benessere e ogni cosa che protegga i diritti dei suoi integranti”. Sono parole del comunicato dei vescovi dell’Uruguay che ieri hanno concluso i lavori della plenaria. I presuli, hanno scelto di trattare nel loro comunicato un solo tema di grande rilevanza, che riguarda il progetto di legge che intende regolarizzare le coppie di fatto. I vescovi spiegano: “Il progetto di legge sulle coppie di fatto, dunque, merita serie obiezioni. Se da una parte si vogliono proteggere alcuni diritti dei concittadini che vivono questo tipo di situazione non è possibile accettare che le unioni di fatto siano equiparate al matrimonio, realtà che comporta un insieme di misure che proteggano la sua finalità, la sua armonia e la sua stabilità tramite la fedeltà reciproca dei contraenti”. Inoltre, si aggiunge, “merita una valutazione attenta l’inclusione delle coppie omosessuali nella categoria delle unioni di fatto. Non è possibile accettare che la convivenza omosessuale, che non ha le condizioni basiche di un matrimonio, possa essere parificata a quest'ultimo. A nostro avviso il bene che si cerca per queste situazioni, che esistono tra noi da molto tempo, non deve colpire negativamente la famiglia come la riconosce la nostra Costituzione e che, oggi più che mai, ha bisogno di molte cure e di stimoli, cose che spettano alla società uruguaiana nel suo insieme. Non è una cosa buona né accettabile – proseguono i presuli – sfumare o indebolire l'immagine del matrimonio come base e centro della famiglia. Matrimonio che, essendo, per sua stessa natura, il fondamento più solido per un'umanità sana e felice, realizza, affettivamente e sessualmente, i suoi integranti". In un secondo documento, con cui i vescovi si rivolgono ai lavoratori dell'Uruguay in occasione della festa del primo maggio, si torna sulla questione della famiglia, sottolineando “i rapporti molto particolari che esistono tra famiglia e lavoro”. “La famiglia di ogni lavoratore - sostengono i presuli - è uno degli ambiti di riferimento più importanti per una concezione etica del lavoro umano. Il lavoro rende possibile la creazione e la stabilità di una famiglia e, in questo senso, va ricordata la questione del salario giusto”. I vescovi concludono il saluto rivolgendosi a lavoratori, sindacalisti, imprenditori e governanti affinché “uniscano i loro sforzi per superare gli scontri, incoraggiando uno sviluppo solidale basato sull’alta dignità del lavoro”. ( A cura di Luis Badilla)

 

 

Polonia: Giornata del clero durante la guerra

 

Domani, si celebra in Polonia la Giornata della memoria del clero durante la Seconda Guerra mondiale. Ai suoi inizi, nel settembre del 1939, i sacerdoti diocesani polacchi erano 10.017. Negli anni di guerra successivi, circa il 20 per cento di loro morì nelle prigioni e nei campi di concentramento tedeschi: tra loro cinque vescovi. Un altro 30 per cento di preti diocesani polacchi subì vessazioni di vario tipo. La conseguenza fu che, alla fine della guerra, nel 1945, la Polonia si trovò con il clero dimezzato. Tristemente famoso è rimasto Dachau, il Golgota del clero: qui gli aguzzini nazisti fecero morire in modo bestiale 1034 fra sacerdoti e vescovi, dei quali 861 polacchi. “Quelli che a Dachau incontrarono la morte – disse il cardinale Emanuele Suhard, arcivescovo di Parigi – sono veri martiri; quelli che sopravvissero, confessori”. La Chiesa ha riconosciuto tra i morti nei campi di concentramento gli esemplari testimoni di Cristo e li ha elevati agli onori degli altari. Il più conosciuto è senz’altro San Massimiliano Kolbe, ma va ricordato che, il 13 di giugno del 1999 a Varsavia, Giovanni Paolo II beatificò 108 sacerdoti e suore polacchi, di cui ben 46 trovarono la morte nel lager di Dachau, 14 ad Auschwitz e 16 in altri campi. Oggi, sono pochissimi i sacerdoti sopravvissuti all’inferno di Dachau. Tra loro c’è mons. Kazimierz Majdanski, arcivescovo emerito di Stettino-Kamien, 91enne. “Fui arrestato come prete cattolico – è la sua testimonianza -. Se sono sopravvissuto è un vero miracolo. Pensavamo che erano tornati i tempi di Nerone e di Diocleziano. I tempi dell’odio verso il cristianesimo e verso tutto quello che il cristianesimo rappresentava. I sacerdoti erano chiamati al sacrificio della vita, ad essere fedeli fino alla morte”. Il martirio del clero polacco durante l’inferno nazista fu una pagina gloriosa della storia della Chiesa e della Polonia. Peccato che su di essa sia sceso un velo di silenzio. Ma il sangue dei martiri, come tante volte nella storia, è diventato la fonte della forza della Chiesa in Polonia che, dopo la fine della guerra, doveva affrontare un altro totalitarismo anticristiano, quello comunista. (A cura di padre Andrzej Koprowski)

 

 

Una nota del Movimento Pax Christi denuncia che, nella tragedia irachena, sempre più cristiani sono vittime di violenze, ricatti, minacce e uccisioni

 

“Basta con la violenza, basta con la guerra, basta con le uccisioni, i rapimenti, le minacce, le violenze di ogni genere. Insieme bisogna lavorare per la pace”. E’ il monito lanciato ieri da Pax Christi Italia, Movimento cattolico, che, in una nota di cui riferisce l’agenzia SIR, denuncia la tragedia irachena e, in particolare, “la situazione disperata dei cristiani sempre più vittime di violenze, ricatti, minacce e uccisioni”. “Non possiamo più tacere – prosegue la nota del Movimento - secondo alcune fonti ONU, l’attuale tragedia dei profughi iracheni è la più grande del Medio Oriente, dopo quella del popolo palestinese nel 1948”. Pax Christi sottolinea poi che “l’Iraq è la patria di Abramo, nostro padre comune nella fede e che ogni religione è per la pace, sia il cristianesimo sia l’islam”. Pertanto, “ogni manifestazione di violenza, di minaccia verso chi è di un’altra religione calpesta la libertà e la dignità umana e non rende testimonianza autentica alla propria fede. Mai la religione può portare alla violenza! La religione è per la vita, non per la morte; per la pace, non per la guerra”. “Molti cristiani in Iraq ci hanno detto che si sentono dimenticati”, ribadisce infine la nota, sottolineando l’impegno di Pax Christi a “non lasciar cadere il grido di dolore e l’appello disperato che ci viene dall’Iraq, in un clima nazionale e internazionale che sembra avvolto da una colpevole indifferenza”. (M.G.)

 

 

La commissione “Giustizia e Pace” della Chiesa cattolica di Timor Est

lancia un programma di riconciliazione nazionale rivolto ai giovani

 

Riportare un clima di armonia e fraternità che consenta di stabilire relazioni sane, improntate alla fiducia reciproca, base per edificare una società giusta e fraterna all’interno di Timor Est e nel rapporto con la parte ovest dell’isola, ancora appartenente all’Indonesia. Con questo obiettivo, la Chiesa cattolica di Timor Est ha lanciato un nuovo programma di riconciliazione nazionale, indirizzato soprattutto ai giovani, che costituiscono la gran parte della popolazione timorese. Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, il programma, organizzato dalla Commissione “Giustizia e Pace”, guidata da padre Martinho Germano Da Silva, prevede un ciclo d’incontri tra i giovani delle diocesi di Dili e Baucau, per un’esperienza di comunione, condivisione, confronto: occasioni preziose in cui potranno spiegarsi, mostrare i loro sentimenti, chiarire i propri ideali e desideri, anche per chiedere perdono per le offese arrecate o ricevere richieste di perdono. L’iniziativa assume ancora più valore se si considera che avverrà in un Paese segnato da anni di guerra civile per l’indipendenza dall’Indonesia e ad un anno di distanza dai gravi disordini causati da un conflitto interno alle forze dell’ordine, che aveva coinvolto anche parte della popolazione, generando rivolgimenti sociali e numerosi sfollati. (M.G.)

 

 

Appello dei vescovi del Québec: “ Una settimana senza media,

riscoprire il valore dei rapporti umani”

 

Una “settimana di digiuno dai media” per “riscoprire l’essenziale della vita, le relazioni con gli altri, con sé stessi, con l’ambiente e con Dio”: è quanto propongono i vescovi del Québec nel loro consueto messaggio per la festa del primo maggio, puntando i riflettori sia sugli aspetti positivi sia su quelli negativi della cosiddetta rivoluzione digitale, che tanto cambiato il mondo del lavoro in questi anni. “Mai come oggi – rileva il documento del Comitato episcopale per gli Affari sociali  - gli ideali della solidarietà, della fraternità e della cooperazione hanno avuto così tanti strumenti a disposizione”. Tuttavia, tra i principali effetti negativi ci sono invece la precarizzazione generalizzata del lavoro e la progressiva disumanizzazione dei rapporti interpersonali. Così, accade che “strumenti concepiti per avvicinare gli esseri umani possono trasformarli in soggetti virtuali astratti”. Nel messaggio, i presuli sostengono che la rivoluzione digitale ha provocato una “crisi di senso” che sta cambiando anche la nostra percezione della realtà, e si chiedono, infine, “fino a che punto permetteremo che questi strumenti ci allontanino gli dagli altri e dai nostri istinti?”. Di qui, l’invito a “reinventare una nuova arte del vivere” che permetta di massimizzare gli aspetti positivi della rivoluzione digitale, mettendola al servizio dell’uomo e della qualità della vita e di ridurne al minimo gli effetti negativi. (M.G.)

 

 

Documento dei vescovi dell’Emilia Romagna

per fronteggiare le stragi del sabato sera

 

I vescovi dell’Emilia-Romagna tornano a parlare delle “stragi del sabato sera”. L’occasione è la Settimana mondiale sulla sicurezza stradale indetta dall’ONU. In un documento intitolato “Giovani! Non fate della strada un cimitero”, ricordano “il flagello quotidiano che colpisce tuttora non solo le metropoli o le centrali del turismo e del divertimento, ma ormai tutto il territorio nazionale percorso dai nostri giovani, con un loro vagabondare che diviene, non poche volte, una corsa verso la morte”. “A noi sembra”, prosegue la nota, “che l’intera nazione debba reagire e affrontare con ogni energia questa ‘ecatombe’ che va decimando le generazioni giovanili, scompaginando famiglie e società e aggiungendo sventure ulteriori alle già tante tragedie della strada e del lavoro. Ci sembra - si legge ancora nel documento - assai incoerente rammaricarsi sui fatti aberranti – riferiti dalle cronache in questi mesi – che avvengono nelle famiglie, nelle scuole, nei gruppi giovanili, e poi lasciare scoperto di severi controlli ciò che accade in quei locali e dintorni, nei quali i giovani respirano i primi germi dello ‘sballo’”. I vescovi si rivolgono poi ai genitori: “Moltissimi di questi” osservano “hanno la casa listata a lutto e la stanza vuota e struggente del figlio che non c’è più; e capiscono bene le nostre parole”. E lanciano un appello “a quei genitori piuttosto ‘permissivi’ o ‘rassegnati all’andamento delle cose’ che, troppo tardi, si rendono conto dei guasti che incombono sui loro figli”. I pastori chiedono ai giovani di contrastare alla radice la smania allo “sballo” di tanti loro coetanei. Infine, una richiesta alle Autorità: “Si consideri l’opportunità di introdurre più rigorosi limiti orari per le discoteche e i locali di divertimento; di uniformare le normative locali in materia, ponendo in primo piano la salute di tanti giovani ai pur legittimi (se legittimi sono) interessi economici; e di rendere più efficaci i controlli volti a verificare il rispetto della legislazione vigente all’interno e all’esterno di tali locali”. (A cura di Stefano Andrini)

 

 

Palermo ricorda il segretario del PCI siciliano Pio La Torre ucciso 25 anni fa in un agguato insieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo.

Presente alla manifestazione anche il ministro dell’Interno Giuliano Amato

 

“Non va dimenticato il forte, originale contributo che Pio La Torre seppe dare al fine di introdurre innovazioni fondamentali nella legislazione antimafia, puntando a colpire la potenza economica e finanziaria della criminalità organizzata”. E' quanto scrive il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato al centro studi 'Pio La Torre' di Palermo in occasione del 25° anniversario dell'agguato in cui persero la vita il segretario regionale del PCI, Pio La Torre, e il suo collaboratore Rosario Di Salvo. Presente a Palermo, alla manifestazione organizzata per ricordare il padre della legge sulla confisca dei beni mafiosi, anche il ministro dell'Interno, Giuliano Amato. “In buona parte della Sicilia e ormai dell'Italia – ha detto Amato – siamo alle prese con una mafia che è diventata essa stessa economia, che avvalendosi delle grandi risorse finanziarie che ha accumulato, opera come una impresa che ha due vantaggi competitivi assurdi: non ha limiti nelle risorse finanziarie di cui dispone e può esercitare sempre il ricatto della violenza nei confronti degli altri e degli amministratori. Per noi la grande priorità è portare via ai boss i soldi, i capitali. E' lì che si colpisce veramente”. Fondamentale per il ministro Amato il codice etico proposto dal presidente della Commissione nazionale antimafia Francesco Forgione ai partiti politici: “I partiti – ha concluso Amato - possono fare una pulizia preventiva”. (A cura di Alessandra Zaffiro)

 

 

24 ORE NEL MONDO

28 aprile 2007

 

- A cura di Eugenio Bonanata e Franco Lucchetti - 

 

 

- Ancora stragi in Iraq dove almeno tredici persone, tra cui donne e bambini, sono morte in una serie di attentati nell’area meridionale di Baghdad. Il più grave è avvenuto contro la Mezzaluna Rossa, gemella della Croce Rossa nei Paesi islamici, dove uomini armati hanno teso un agguato a un minibus su cui viaggiava il personale dell’organizzazione, nel quartiere di Zafaraniyah, uccidendo 4 operatori e ferendone 3. Sono almeno 23, invece, i cadaveri ritrovati in varie zone della capitale e trasportati all’obitorio per tentarne l’identificazione. Solo ieri i cadaveri ritrovati erano stati 26.

 

- Si trova sulla strada verso Kabul, accompagnata dalle autorità parigine, la cooperante francese rapita dai talebani il 3 aprile scorso assieme ad un connazionale e a tre collaboratori locali. Lo ha riferito il presidente di ‘Terre d’enfance’, la ONG per la quale lavorano. Il nostro servizio:

 

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Il ministero degli Esteri francese ha confermato la notizia, annunciata stamani da un portavoce dei talebani che, all’agenzia France Press, ha detto: la liberazione è avvenuta stamani a Kandahar nel sud del Paese per “motivi umanitari” e come prova delle nostre buone intenzioni verso il governo di Parigi. In precedenza un'altra fonte dei guerriglieri aveva annunciato la concessione di un’altra settimana per negoziare il rilascio dell’altro operatore umanitario francese e dei tre afgani ancora nelle mani dei sequestratori. L’ultimatum, lanciato il 20 aprile scorso, era scaduto ieri. Le condizioni poste sono sempre il ritiro delle truppe francesi presenti nel Paese, nell’ambito della forza NATO, e la scarcerazione di alcuni miliziani detenuti dalle autorità di Kabul. A determinare questo sviluppo della crisi forse la dichiarazione di ieri del ministro degli Esteri francese, Philippe Douste-Blazy, secondo il quale Parigi crede nel rispetto della sovranità, dell’indipendenza nazionale e dell’integrità territoriale e dunque non resterà a lungo in Afghanistan. Intanto sul terreno lo scenario non cambia. Nella provincia di Khost, verso il confine con il Pakistan, 13 ribelli sono rimasti uccisi in un raid aereo notturno condotto dalle forze NATO, intervenute in appoggio alla polizia locale.

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- Prosegue la visita del presidente Abu Mazen al Cairo, dove ieri per la prima volta dalla formazione del governo di unità nazionale palestinese, a marzo scorso, ha incontrato il leader del movimento di Hamas, Khaled Meshaal. Diversi i temi affrontati. Abu Mazen ha condannato la violazione della fragile tregua da parte israeliana e palestinese, mentre il leader di Hamas ha giustificato il lancio di missili contro Israele come una forma di “autodifesa contro l’aggressione”. Il presidente palestinese ha poi espresso ottimismo sulla possibile revoca, in tempi brevi, dell’embargo imposto dagli occidentali. Intanto sul terreno quattro miliziani sono stati uccisi nella striscia di Gaza dal fuoco dell’esercito israeliano.

 

- In Nepal, stamani, la polizia ha aperto il fuoco contro alcuni dimostranti appartenenti al gruppo di minoranza etnica Chure Bhawar Unity Society uccidendo almeno una persona. Gli scontri sono avvenuti nella città di Hairwon, a circa 400 km a sud est della capitale, Katmandu, quando alcuni attivisti del gruppo hanno attaccato un convoglio scortato dalla polizia. Gli attivisti chiedono maggiori diritti per la popolazione del sud del Nepal.

 

- “La nostra pazienza non è illimitata”. Con queste parole, durante la conferenza stampa tenuta ieri a Camp David con il premier giapponese Shinzo Abe, il presidente degli Stati Uniti Gorge W. Bush ha sollecitato la Corea del Nord a mettere fine al suo programma nucleare. Se la Corea del Nord non rispetterà gli impegni “ci sarà un prezzo da pagare” – ha concluso Bush – riferendosi alla possibilità di nuove sanzioni contro il Paese asiatico. Anche il premier giapponese ha affermato che “se la Corea del Nord non risponderà in modo adeguato sarà necessario fare ricorso a misure più dure”. L’accordo per porre fine al programma nucleare nordcoreano era stato stipulato il 13 febbraio tra la Corea del Nord e gli altri cinque Paesi partecipanti ai colloqui (Cina, Russia, Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud). La scadenza era prevista per metà aprile. 

 

- Il commissario europeo all’Allargamento, Olli Rehn, ha lanciato un monito alla Turchia, invitando i militari a “non interferire” nel voto parlamentare per l’elezione del nuovo presidente del Paese, iniziato ieri. Lo stato maggiore dell’esercito, infatti, nelle ultime ore aveva espresso “preoccupazione” per lo svolgimento degli scrutini, dopo che Abdullah Gul, candidato del partito filo-islamico del premier Erdogan, non aveva ottenuto la maggioranza qualificata necessaria per l'elezione diretta. Su questa intricata elezione presidenziale, sentiamo l’analisi del prof. Ugo Draetta, internazionalista dell’Università Cattolica di Milano, intervistato da Stefano Leszczynski:

 

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R. – In Turchia noi assistiamo ad un paradosso che occorre comprendere. Il processo di democratizzazione rischia di portare ad un’islamizzazione, quindi ad una radicalizzazione e alla fine del processo democratico stesso. E per assurdo la garanzia che questo non avvenga è nelle mani dei militari, che in genere sono un ostacolo al processo di democratizzazione, ma in questo caso costituiscono una diga contro l’islamizzazione del Paese.

 

D. – In Turchia, secondo l’analisi dei militari, non ci sarebbe distinzione tra un islamismo moderato ed un islamismo radicale…

 

R. – Esattamente. C’è il timore che non si riesca a contenere l’islamizzazione in un contesto di moderazione e che le frange estremiste abbiano una capacità di espansione e di contagio tale da finire con il prevalere.

 

D. – I partiti dell’opposizione in Turchia hanno boicottato un po’ questa prima tornata di elezioni, nonostante il premier turco Erdogan abbia messo in guardia sui pericoli, in un momento delicato di relazioni internazionali …

 

R. – Questo boicottaggio da parte dell’opposizione sembra non rendersi conto che la Turchia possa trovarsi su una china pericolosa. Può riprendersi, e tutti noi ci auguriamo che le cose vadano per il meglio, ma c’è un pericolo.

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- Cresce la tensione fra Russia ed Estonia, dopo gli scontri tra polizia e gruppi di dimostranti che si oppongono alla rimozione di un monumento dedicato all'Armata Rossa, nella capitale estone Tallin. Il bilancio delle violenze di questa notte parla di 74 feriti e oltre 600 arrestati. Disordini si sono verificati anche in altre città del Paese. Forti le contrapposizioni per il monumento in questione che per Mosca ricorda la lotta al nazifascismo, mentre per molti estoni rappresenta il doloroso simbolo di 50 anni di presenza sovietica nel Paese. In questo quadro le autorità russe hanno ribadito l’intenzione di rivedere “seriamente” le relazioni diplomatiche con l’Estonia.

 

- Manifestazione delle organizzazioni giovanili filoputiniane davanti all’ambasciata USA a Mosca. Un migliaio di giovani hanno donato il sangue che servirà – hanno dichiarato – “per creare una banca di donatori per le vittime dell’aggressione americana e per i loro ideali superbi”.

 

- Le presidenziali francesi. Il leader centrista, Francois Bayrou, a conclusione dell’odierno dibattito televisivo con la candidata socialista all’Eliseo, Ségolène Royal, ha affermato che deciderà per chi votare solo dopo aver ascoltato il confronto televisivo del 2 maggio fra la Royal e Nicolas Sarkozy. “Possiamo fare un pezzo di strada insieme” ha detto la Royal, pur riconoscendo che non ci sarà alcuna adesione completa fra le due formazioni. Bayrou ha evidenziato la necessità di superare la logica del muro contro muro in favore di “unioni più larghe di quelle che abbiamo avuto finora”.

 

- Si è detto “commosso” l’ex premier italiano Silvio Berlusconi per l’assoluzione al processo d’appello che lo vedeva accusato di corruzione in atti giudiziari per il caso della compravendita dell’impresa pubblica SME. “Non ho mai commentato nessuna sentenza" – ha affermato il presidente del Consiglio Romano Prodi che ha precisato: “Ho sempre creduto nella giustizia”. Per il ministro delle Infrastrutture Di Pietro “non c’è stato accanimento giudiziario nei confronti di Berlusconi” ma solo la volontà di accertare i fatti.

 

- Ancora dall’Italia. Resterà in libertà Anna Maria Franzoni che ieri è stata riconosciuta colpevole per l’uccisione di suo figlio, avvenuta nel 2002, e condannata in appello a 16 anni. A precisarlo il procuratore generale della Repubblica di Torino, Vittorio Corsi, secondo il quale bisogna arrivare alla sentenza definitiva per la reclusione. L’imputata, che continua a proclamare la sua innocenza, ha detto di essere disperata per la sentenza.