RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno LI  n. 100  - Testo della trasmissione di martedì 10 aprile 2007

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Testimoniare l’incontro con il Cristo è il modo migliore per contrastare la scristianizzazione delle società: riflessione di mons. Luigi Negri sulle parole del Papa al Regina Caeli

 

Oggi su "L'Osservatore Romano"

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

I vescovi italiani e il mondo politico condannano compatti le nuove scritte intimidatorie contro mons. Angelo Bagnasco. Un commento del sociologo Sabino Acquaviva

 

Fondamentalisti islamici in Iraq esigono un tributo dai non musulmani destinato al "jihad": intervista con Camille Eid

 

Il successo della Giornata mondiale della Poesia indetta dall'UNESCO, segno di una cultura votata alla pace ma anche alla preghiera: ai nostri microfoni Giovanni Puglisi

 

Una mostra alla Triennale di Milano si interroga sul rapporto tra l’arte e il tempo, nell’era del dopo 11 settembre: con noi il curatore Gianni Mercurio

 

CHIESA E SOCIETA’:

Duro attacco al governo dei vescovi dello Zimbabwe: “Se non saranno tenute al più presto libere elezioni, si rischia una rivolta di massa”

 

Gli auguri di Pasqua al Papa da un gruppo di imam sunniti e sciiti di Kirkuk, in Iraq

 

Messaggio pasquale del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I: “La morte è stata definitivamente vinta”

 

Le celebrazioni pasquali in India, caratterizzate da gioia e fervore. In diverse chiese si sono uniti alla festa cristiana anche fedeli di altre religioni

 

Da Beirut, il direttore della Caritas-Libano, Khoury, fa una preghiera speciale per una pace duratura

 

Al via l’Assemblea plenaria di primavera della Conferenza episcopale tedesca - A Perugia, Seminario del Centro nazionale vocazioni della CEI: “Con i giovani alla scuola di Agostino”

 

24 ORE NEL MONDO:

La Somalia bagnata dal sangue degli oltre mille morti caduti durante gli scontri tra ribelli e soldati etiopi

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

10 aprile 2007

 

Il mandato per ogni cristiano di testimoniare l’incontro con il Cristo

- rinnovato ieri dal Papa - è il modo migliore per contrastare

 la scristianizzazione delle società, fortemente indotta attraverso i media

 

“E’ quanto mai urgente che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano ed incontrino Gesù e, grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da Lui”: la voce di Benedetto XVI al Regina Caeli si è levata ieri, Lunedì dell’Angelo, per sollecitare i cristiani a diffondere il messaggio di Cristo “sino agli estremi confini del mondo”. Roberta Gisotti ha intervistato il teologo mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro:

 

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D. - Eccellenza, perché Benedetto XVI parla di urgenza e come possiamo tradurre il nostro esempio nel vivere quotidiano?

 

R. - La Chiesa deve essere portata nel mondo ed è la testimonianza dei cristiani, la testimonianza del popolo di Dio, che fa incontrare continuamente la Risurrezione di Cristo all’uomo del nostro tempo. Il Papa ha richiamato sul fatto che la nostra fede è la fede in una persona incontrata ed è la testimonianza di gente che vive il quotidiano nella certezza che ormai i termini della vita quotidiana stessa sono i termini della Risurrezione di Cristo. Senza questo, il mondo non può incontrare il Cristo risorto e il Cristo risorto rimane un’ideologia o un moralismo.

 

D. - Mons. Negri, Benedetto XVI sottolinea spesso le sfide poste alla Chiesa da società scristianizzate. Secondo lei, questa scristianizzazione è davvero radicata nel cuore degli uomini e delle donne di oggi o è piuttosto indotta anche mediaticamente da chi magari - gruppi di potere politico-economico - ha interesse a cancellare quei valori cristiani universali?

 

R. - La mia esperienza mi fa dire che sono per la seconda ipotesi: si tratta, cioè, di una grande operazione, di una grande congiura di carattere ideologico, che utilizza l’intero mass-mediatico per scardinare, sradicare quella tendenza, quella tensione a Gesù Cristo, che ciascun uomo porta naturalmente iscritta in sé, perché nel cuore di ogni uomo sta la grande domanda di senso, di verità, di bellezza e di giustizia, che nessuna ideologia e nessuna tecnologia potrà mai produrre. Quindi, si tratta di un’operazione terribilmente compiuta a freddo, attraverso l’uso di mezzi economici e tecnologici immensi, ma che si potrebbe trovare di fronte un grande interlocutore, un grande oppositore: l’oppositore del popolo cristiano che vive la sua identità con gioia, con letizia, con forza, determinato ad annunziare Cristo a tutti gli uomini. L’unica opposizione alla scristianizzazione non è tanto la denuncia della scristianizzazione - pensare a chissà quali mezzi per opporvisi - ma è riprendere con forza, con coraggio la testimonianza cristiana e occorre che la Chiesa rieduchi il popolo alla missione. Se l’uomo non incontra Cristo, ci rimette nella sua umanità. Ha detto bene Benedetto XVI qualche tempo fa: l’apostasia dell’uomo da Cristo diventa poi l’apostasia dell’uomo da se stesso. Noi non portiamo una opzione particolare: noi portiamo la possibilità che l’uomo viva in modo autenticamente umano. Il cristianesimo è la rivelazione della verità di Dio, della verità dell’uomo, che in Cristo morto e risorto si incontrano e si attuano pienamente.

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Nomine

 

In Messico, Benedetto XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Jalapa, presentata per raggiunti limiti di età mons. Sergio Obeso Rivera. Al suo posto, il Papa ha nominato arcivescovo metropolita di Jalapa, mons. Hipólito Reyes Larios, finora vescovo di Orizaba. Costui è nato in Ciudad Mendoza nel 1946. Completati i suoi studi nel Seminario di Jalapa ed ordinato sacerdote il 15 agosto 1973, fu inviato a Roma, dove ottenne le licenze in Teologia Morale e Spiritualità rispettivamente presso l’Accademia Alfonsiana e la Pontificia Università Gregoriana. Come sacerdote ha ricoperto, fra gli altri, gli incarichi di padre spirituale al Pontificio Collegio Messicano di Roma, presidente dell’Organizzazione dei Seminari Messicani (O.S.MEX.), rettore del Seminario Maggiore di Jalapa e presidente dell’Organizzazione dei Seminari Latinoamericani (O.S.L.A.M.). Attualmente è presidente della Commissione episcopale per le Vocazioni e ministeri della Conferenza episcopale messicana.

 

In Venezuela, il Pontefice ha nominato arcivescovo metropolita di Valencia mons. Reinaldo Del Prette Lissot, finora vescovo di Maracay. Il 55.enne presule ha ottenuto la licenza in Diritto Canonico e il Diploma in Giurisprudenza presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Ha svolto gli incarichi di rettore del Seminario di Valencia, direttore della Caritas e del Programma pastorale arcidiocesano, di Parroco, di vicario generale dell’arcidiocesi.

 

 

Oggi su "L'Osservatore Romano"

 

Servizio vaticano - Pasqua 2007

 

Il Messaggio “Urbi et Orbi” di Benedetto XVI: riaccendere la fede di fronte alla prepotenza del male.

 

Servizio estero - Nucleare: l'arricchimento dell'uranio da parte dell'Iran ha raggiunto un “livello industriale”.

 

Servizio culturale - Un articolo di Anna Bujatti dal titolo “L'emozionante cammino di Piero della Francesca”: una mostra ad Arezzo e nei luoghi che videro protagonista il grande pittore.

Per l’“Osservatore libri” un articolo di Gaetano Vallini dal titolo “Quella Chiesa segreta nell'inferno della degradazione”: ripubblicato il “Vangelo dei lager” di don Roberto Angeli, deportato a Dachau. 

 

Servizio italiano - Le polemiche seguite all'uccisione, da parte dei Taleban, in Afghanistan, dell'interprete del giornalista Daniele Mastrogiacomo.  

 

 

 

OGGI IN PRIMO PIANO

10 aprile 2007

 

I vescovi italiani e il mondo politico condannano compatti

le nuove scritte intimidatorie contro mons. Bagnasco.

Un commento del sociologo Sabino Acquaviva

 

"In questo momento cui è fatto oggetto di espressioni intimidatorie", una particolare attestazione di "vicinanza e solidarietà" arriva dai vescovi italiani all'indirizzo del loro presidente, l'arcivescovo di genova, Angelo Bagnasco. Le parole del segretario della Conferenza episcopale italiana (CEI), mons. Giuseppe Betori, riportate in un comunicato, riassumono lo sconcerto e l'indignazione del mondo ecclesiale - ma anche di quello politico italiano -  all'indomani delle nuove minacce di morte contro il presidente della CEI, scritte da ignoti su due muri del quartiere genovese di Sampierdarena. La nota della CEI conclude affermando di condividere "nel profondo l'invito alla serenità" formulato da mons. Angelo Bagnasco: un invito che parte dal capoluogo ligure, da dove ci riferisce Dino Frambati:

 

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E' una Genova sbigottita ed offesa quella che si è svegliata oggi, il giorno dopo le scritte offensive e minacciose contro il suo arcivescovo, mons. Angelo Bagnasco, preso però di mira quale presidente CEI e soprattutto dopo le sue dichiarazioni sulle coppie di fatto. Scritte che sono il rovescio della medaglia delle celebrazioni pasquali nel capoluogo ligure, alle quali hanno partecipato tanti fedeli come non accadeva da tempo. Effetto, forse, anche del fatto che il presule è molto amato sotto la Lanterna, dove tutti ricordano quando era “don Angelo” un vice parroco attivo e dolce. Dalla Curia si invita alla serenità e si garantisce che i “murales" trovati ieri a Sampierdarena, delegazione tra le più operose della città, meritano attenzione ma non allarme, mentre prefetto e questore ribadiscono controllo attento verso l'arcivescovo, che è anche sotto scorta, attenta ma discreta. Le indagini per cercare i colpevoli dei graffiti peraltro banali, vecchi nella maniera e rozzi, procedono intense. Sono però innegabilmente difficili e rivolte soprattutto all'estremismo radicale ed anticlericale. Molto più rilevanti delle scritte, gli attestati di solidarietà al vescovo: il sindaco Giuseppe Pericu, il presidente della Regione, Claudio Burlando, si sono dichiarati indignati per l'accaduto mentre, da Roma, Rocco Buttiglione indica come la rabbia sia contro l'efficacia delle parole di Bagnasco. Angelo Bonelli, capogruppo dei Verdi alla Camera dei deputati, invita a garantire sicurezza al presule, mentre Gian Franco Rotondi, della DC, esprime solidarietà al presidente CEI. Roberto Maroni, leghista, parla di “vergognoso attacco ed intolleranza religiosa”, solo per citare alcuni dei moltissimi messaggi di questi giorni, tutti solidali con mons. Bagnasco.

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Ma l’Italia non è l’unico Paese europeo dove in questi giorni si sono avute manifestazioni di intolleranza nei confronti del clero. In Belgio, un vescovo è stato pesantemente minacciato per aver difeso la famiglia fondata sul matrimonio. Ma dove affondano le radici questi fenomeni di intolleranza antireligiosa? Alessandro Gisotti lo ha chiesto al sociologo Sabino Acquaviva:

 

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R. - Noi sappiamo che in Europa, tra il 1700 e il 1800, era diffuso un forte anticlericalismo, una lotta delle forze considerate allora liberali per una società diversa. Questi fenomeni, come noi sappiamo, si sono tradotti a lungo in forme spesso violente. Si mescolano sempre fattori ideologici, politici, filosofici ed irreligiosi insieme. L’educazione alla tolleranza è una educazione difficile e purtroppo nella nostra società non siamo ancora arrivati ad una realtà veramente tollerante.

 

D. - Oggi, nel 2007, in una società che si autoproclama liberale, perché le parole del Papa o, in questo caso, dei pastori della Chiesa italiana danno così fastidio?

 

R. - Intanto, la società liberale dovrebbe dare spazio a tutti. Secondo me, dietro l’atteggiamento contro la Chiesa, c’è un residuo culturale legato al vecchio anticlericalismo. Non possiamo mai dimenticare la storia d’Italia dell’Ottocento, del Risorgimento, della Massoneria di quel tempo e via dicendo… Dietro tutto questo c’è una cultura,  e dietro questa cultura c’è una certa misura di aggressività. Alcuni vivono una cultura diversa in maniera serena, tranquilla e basata sul dialogo. Altri continuano a viverla in maniera aggressiva e spesso violenta come accadeva spesso nell’Ottocento. Ogni fenomeno nella vita sociale di un Paese si porta dietro le sue origini. Secondo me l’aggressività verso la Chiesa e la tendenza ad impedirle di esprimere il proprio pensiero è il prodotto di una storia che sta, in gran parte e per fortuna, alle nostre spalle.

 

D. - Quali sono le ragioni del ritorno di  questo anticlericalismo, che si manifesta non solo con le scritte sui muri, ma anche attraverso manifestazioni, titoli urlati su alcuni giornali ?

 

R. - La società è notoriamente in crisi. A questo riguardo, io ho scritto un libro “L’eclissi dell’Europa: decadenza e fine di una civiltà”. Secondo me, i valori su cui si fondava - fossero essi laici o religiosi - la società europea sono indubbiamente entrati in grave crisi. Quindi anche la maniera di essere laici, diciamo così, è paradossalmente cambiata. La tendenza per cui si impedisce a qualcuno di esprimere la propria opinione, semplicemente perché la pensa diversamente da me, è uno dei fenomeni certamente sempre esistiti. Ma che nella nostra società non dovrebbe esistere. E che non esisterebbe se questa avesse dei sistemi di valori solidi su cui reggersi.

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Fondamentalisti islamici in Iraq esigono un tributo

dai non musulmani destinato al "jihad"

 

In Iraq, diventa sempre più difficile la vita per i cristiani e per le altre minoranze religiose. Secondo una denuncia, pubblicata dall’agenzia “Asianews” e dal sito arabo “Ankawa.com”, i non musulmani sarebbero obbligati da gruppi fondamentalisti, per continuare a professare la propria fede, a pagare un tributo da destinare alla “guerra santa”. Giancarlo La Vella ha parlato di questo fenomeno con giornalista Camille Eid, che se ne è occupato sulle pagine del quotidiano “Avvenire”:

 

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R. - Sono tutti casi documentati e verificati nelle grandi città irachene. Da qui dire che si tratta di un fenomeno che tocca tutti i cristiani, non è possibile farlo. Ma, dopo i rapimenti di cui sono stati oggetto i cristiani all’inizio della guerra in Iraq, ora i gruppi islamici procedono fino ad imporre questa tassa, che serve poi a finanziare le operazioni della "guerra santa" del Jihad.

 

D. - Si conoscono le procedure dell’imposizione di questo tributo?

 

R. - Sì. Arrivano delle lettere anonime o anche firmate da pseudo-gruppi armati in cui chiedono delle cifre precise, chiedono di recarsi - senza avvisare ovviamente le autorità ufficiali - presso una certa moschea per pagare e aver così salva la vita.

 

D. - A questo fenomeno si aggiunge anche quello della privazione delle case di proprietà dei cristiani?

 

R. - Sì, ma questo c’era già da tempo: molto sono i cristiani che vengono minacciati perché abbandonino le loro proprietà. Io conosco, in effetti, parecchi casi di iracheni che risiedono oggi in Libano o in Siria, perché sono stati costretti a vendere o a svendere le loro case e i loro terreni per scappare. Li hanno ovviamente venduti ai musulmani, perché nessun cristiano è disposto a comprare in questo momento tanto critico.

 

D. - A questo punto, si può parlare di una vera e propria offensiva contro i cristiani?

 

R. - L’offensiva tocca praticamente tutte le minoranze etniche e religiose. Noi sappiamo che la guerra in Iraq supera anche un aspetto di conflitto di religione e in particolare tra sciiti e sunniti. Le minoranze che non sono né sunnite né sciiti ci rimettono ancora di più. Dunque, non si contano i soprusi che hanno subito i cristiani, i quali ovviamente stanno cercando ora di fuggire in altri Paesi. Questa ultima prassi del pagamento del tributo, della tassa ha le sue origini cristiane: nello Stato islamico - perché ora i gruppi islamici pretendono di aver costituito un Emirato, uno Stato islamico nuovamente - esiste proprio questa misura. Il Corano parla del dovere dei non musulmani che vivono in uno Stato islamico di pagare questa tassa per avere il diritto di risiedere in territorio musulmano.

 

D. - E l’unico modo per sottrarsi a questa imposizione?

 

R. - E’ quello di lasciare l’Iraq oppure di abbracciare l’islam.

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Il successo della Giornata mondiale della poesia indetta dall'UNESCO,

segno di una cultura votata alla pace ma anche alla preghiera

 

In un mondo ultratecnologico come quello attuale, c’è spazio ancora per la poesia? Si direbbe di sì a giudicare dal successo riscosso dalla Giornata Mondiale della Poesia, celebrata nei giorni scorsi in molti Paesi. Sancita dall’Unesco nel 1999, la ricorrenza ha visto in programma numerose manifestazioni, come i Festival per poeti emergenti e gli incontri di riflessione dedicati agli studenti. Ma quale messaggio trasmette oggi la poesia? Isabella Piro lo ha chiesto a Giovanni Puglisi, presidente di Unesco Italia.

 

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R. - La poesia come messaggio culturale di integrazione di una tendenza ad una pace universale. Ricordo una bellissima espressione del filosofo tedesco Adorno, quando davanti ai forni crematori dei campi di concentramento nazisti, disse che dopo Auschwitz non era più possibile scrivere una poesia. E aveva ragione, perché simbolicamente la guerra, le stragi, le violenze, i forni crematori, oggi potremmo dire anche le purghe, il razzismo, sono la negazione della poesia come momento della creatività, del bello, dell’armonia. Tutto quello che accadeva durante la Seconda Guerra mondiale faceva pensare che l’armonia si fosse rotta definitivamente. Oggi, purtroppo, c’è da dire che l’armonia sembra in questo momento esule nel mondo. Il messaggio che vogliamo lanciare attraverso l’UNESCO, il 21 di marzo, è un grande messaggio di pace, è un grande messaggio di bellezza, sublimato attraverso i versi di un grande poeta persiano.

 

D. - Presidente, alla luce di quello che lei ha detto e considerando il fatto che viviamo in una società ormai sempre più tecnologica, perchè la poesia resiste nonostante tutto?

 

R. - Perché l’uomo, grazie a Dio, è un mix di ragione e sentimento. Perchè la poesia è ciò che riesce a dare fiato, spessore e speranza ad una dimensione più autentica dell’uomo, che è quella di sognare. Importante è passare da un sogno all’altro, senza perdere il senso della realtà.

 

D. - La poesia, quindi, come la preghiera può offrire un approdo sicuro all’uomo…

 

R. - Io vorrei dire che non esiste preghiera che sia veramente tale, che non sia comunque una poesia. La preghiera è comunque il tentativo di superare il contingente, il banale, il quotidiano e mettersi in relazione con Dio. E tutto ciò che ci mette in relazione con Dio è una poesia.

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Una mostra alla Triennale di Milano si interroga sul rapporto tra l’arte e il tempo, nell’era del dopo 11 settembre

 

“TIMER l’arte contemporanea in tempo reale”. E’ questo il titolo di una grande mostra, inaugurata in questi giorni alla Triennale Bovisa di Milano. Tutte le opere in mostra sono state realizzate dopo l’11 settembre 2001. TIMER è un progetto dal percorso triennale, che nella sua prima edizione avrà come tema l'individuo in relazione a se stesso. Ma come è nata l’idea di realizzare una mostra sull’uomo e il tempo? Alessandro Gisotti lo ha chiesto al curatore Gianni Mercurio:

 

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R. - L’impulso di questo progetto pluriennale, intitolato TIMER, vuol dare proprio il senso dell’arte contemporanea e del tempo presente ed è nato da una riflessione su questa città, Milano, che è un città dalle potenzialità, rispetto all’arte contemporanea, inespresse. Dopo di che, invece, è nato il concetto filosofico di questa mostra che, appunto, presenterà la sua prima edizione degli artisti che lavorano sull’intimità che noi abbiamo creduto di riconoscere nell’attitudine dopo l’11 settembre 2001. Qusta data ha culminato con un cambiamento di costumi, anche dei rapporti umani. Le relazioni interpersonali si sono spostate da un desiderio improntato maggiormente alla conoscenza ad una sensazione quasi di timore, di paura: paura dell’altro. E gli artisti reagiscono con momenti di riflessione che poi arrivano addirittura a momenti di spiritualità fino a momenti di riflessione religiosa da parte di artisti dai quali - sinceramente - non ce lo saremmo aspettato.

 

D. - Nell’era del dopo-11 settembre, come guardano gli artisti al rapporto tra l’uomo, la società e il tempo?

 

R. - Dunque, gli artisti - almeno, quelli che abbiamo prescelto - guardano innanzitutto difendendo se stessi, cioè difendendo se stessi da dei cambiamenti che la società in senso lato cerca di imporre, quindi dei blocchi contrapposti, separati, che vorrebbero relegarli a schierarsi da una parte o dall’altra. E quindi, invece, l’artista è autonomo per antonomasia e innanzitutto difende da un lato questa propria autonomia, tende a non cambiare, anche se la storia vorrebbe imporgli dei cambiamenti. Dall’altra, c’è invece la reazione ad esplorare dei temi che portano a dei momenti di intimità, di ricerca, di riflessione all’interno di se stessi. Per dimostrare meglio questo concetto, l’inglese Damien Hirts - che è l’“enfant terribile” dell’arte inglese e che ha esordito realizzando ed esponendo opere con animali in formaldeide, insomma opere piuttosto forti - in questa mostra è presente con uno dei suoi ultimi lavori intitolato “I quattro Evangelisti”: sono quattro grandi tele in cui in ognuna è rappresentata, alla Damien Hirst, l’essenza dei quattro Vangeli.

 

D. - Dunque, l’uomo, cercando e scavando in se stesso, ritrova Dio o perlomeno una spiritualità, una componente trascendentale che forse si era dimenticata, e che le paure alimentate dall’11 settembre hanno fatto riemergere...

 

R. - Gli artisti sono molto diversi tra loro, hanno delle storie diverse, dei percorsi e degli obiettivi differenti. Tuttavia, mi sento di dire che se non lo trovano, comunque lo cercano o quantomeno cercano questa trascendenza quasi taumaturgica rispetto alle paure del presente...

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CHIESA E SOCIETA’

10 aprile 2007

 

Duro attacco al governo dei vescovi dello Zimbabwe: “Se non saranno

tenute al più presto libere elezioni, si rischia una rivolta di massa”

 

In una Lettera pastorale, pubblicata in occasione della Pasqua, i vescovi dello Zimbabwe hanno accusato il governo del presidente, Robert Mugabe, di “corruzione” e “cattiva amministrazione”, denunciando i rischi di una possibile sollevazione popolare, se non saranno tenute al più presto libere elezioni nel Paese. “La nostra terra vive una crisi profonda” e “un’instabile situazione di estremo pericolo”, hanno affermato i presuli, proclamando, per il prossimo 14 aprile, una Giornata di preghiera e digiuno per lo Zimbabwe. I presuli hanno paragonato le sofferenze dello Zimbabwe all’oppressione biblica degli ebrei da parte del Faraone e ribadito che la crisi “non è solo politica ed economica, ma prima di tutto spirituale e morale”. “Mentre la sofferenza della popolazione - hanno spiegato - aumenta sempre di più la pressione attraverso boicottaggi, scioperi, manifestazioni e sollevazioni, lo Stato risponde con una più dura oppressione, attraverso arresti, detenzioni, divieti, maltrattamenti e torture”. Secondo i vescovi, “molte persone sono adirate e la loro ira sta esplodendo in aperta rivolta da una township all’altra. “Per evitare futuri spargimenti di sangue e una rivolta di massa - ha affermato l’episcopato dello Zimbabwe - il Paese ha bisogno di una nuova Costituzione di ispirazione popolare, che possa essere di guida a rappresentanti democratici scelti in libere e giuste elezioni, che offrano la chance di una rinascita economica, attraverso politiche oneste”. Rivolgendosi infine alla popolazione, i vescovi dello Zimbabwe hanno lanciato un messaggio di speranza: “Il Signore è al nostro fianco - hanno rassicurato - Egli ascolta sempre il pianto dei poveri e degli oppressi, e li salva".  (A cura di Roberta Moretti)

 

 

Gli auguri di Pasqua al Papa da un gruppo di

imam sunniti e sciiti di Kirkuk, in Iraq

 

Auguri al Papa, “che non si stanca di lavorare per la pace e per il bene di tutta l’umanità”, da parte di un gruppo di sette imam sunniti e sciiti, che nella cattedrale di Kirkuk, nel nord dell’Iraq, hanno assistito alla Messa di Pasqua celebrata dal vescovo caldeo, mons. Louis Sako. I religiosi musulmani - riferisce l’agenzia del PIME, AsiaNews - hanno anche parlato della fraternità tra cristiani e musulmani e tutti hanno pregato affinché Dio doni all’Iraq la sicurezza e la pace. Nel dar loro il benvenuto, mons. Sako ha evidenziato i punti di vicinanza tra cristianesimo e islam e ha invitato a rispettare la diversità, perché essa risponde all’“economia divina”. “Dio - ha detto il presule - ci ha creati diversi per incontraci e alla fine arrivare allo scopo finale, che è Dio stesso”. Il vescovo ha sottolineato, inoltre, che è responsabilità di ogni imam e di ogni religioso dire parole efficaci e buone, che la gente ascolta volentieri. Mons. Sako ha anche invitato gli iracheni a rinsaldare i legami tra loro, quali che siano le loro origini e idee, e ha pregato il Signore affinché Kirkuk rimanga la città simbolo della fraternità e della convivenza reciproca. Già la scorsa Settimana Santa era stata caratterizzata, a Kirkuk, da segni di speranza. Un gruppo di amicizia libano-irachena era arrivato la domenica delle Palme, su iniziativa del Centro di studi e ricerche orientali di Antelias, calorosamente accolti da mons. Sako e dai fedeli. (R.M.)

 

 

Messaggio pasquale del Patriarca ecumenico di Costantinopoli,

Bartolomeo I: “La morte è stata definitivamente vinta”

 

La morte è stata sconfitta e chi crede in Gesù deve guardarla senza paura, preoccupandosi solo di avere fede e mantenere “pura” la propria anima: è questo il centro del messaggio pasquale del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, citato dall'agenzia AsiaNews. “La paura della morte, evidente per chi ha problemi di salute e per gli anziani - prosegue il Patriarca - per quanto si cerchi di rinviarla con vari metodi, consuma la pace dei cuori e riempie l’anima con ingiustificabile angoscia, perché questa continua incertezza la rende insopportabile”. “A questa incertezza - prosegue il messaggio pasquale - ha dato fine la resurrezione del Nostro Signore. La morte non domina più la vita. Non è più l’inevitabile fine della nostra esistenza. La lastra tombale non copre più eternamente la nostra esistenza con l’eterno silenzio”. “Noi, carissimi fratelli e sorelle in Cristo - scrive ancora Bartolomeo I - viviamo la ripetuta morte e la continua resurrezione del Signore. La morte è diventata ormai una porta di transizione in un nuovo stato di vita. Ha cessato di essere la prigione delle anime, una via senza uscita, uno stato di disperazione”. Ed esorta: “Abbiate fede e speranza, carissimi fratelli e sorelle, rinunciate alla paura della morte e alle angosce della vita”. “Per i credenti - termina il messaggio - non esiste la morte. Purificate soltanto le vostre anime e corpi e seguite il Signore, il quale è la nostra Risurrezione. (R.M.)

 

 

Le celebrazioni pasquali in India, caratterizzate da gioia e fervore.

In diverse chiese si sono uniti alla festa cristiana

anche fedeli di altre religioni

 

“La Pasqua per noi indiani è una chiamata al rinnovamento, a vivere una nuova vita da fratelli e sorelle in spirito di unità, pace e verità”, soprattutto in questo momento storico in cui il Paese deve affrontare la grande sfida del terrorismo e della convivenza interreligiosa. Lo ha detto all'agenzia AsiaNews il presidente della Conferenza episcopale dell’India, il cardinale Telesphore Toppo. “La Resurrezione di Cristo - ha proseguito il porporato - è il fatto centrale del cristianesimo, Gesù risorto ci fa scoprire che amore e sacrificio trasformano le nostre esistenze”. Il cardinale Toppo, che ha celebrato la Pasqua nella sua diocesi di Ranchi, ha tenuto a sottolineare che la Pasqua "è la luce che disperde le tenebre interiori dell’umanità, che portano a mali quali il terrorismo o ai vari culti della personalità”. “Chi crede nel Signore risorto - ha concluso - deve aver il coraggio di proclamarlo al mondo; dobbiamo condividere con tutti, anche con chi ancora non conosce Cristo, la speranza che viene dalla Sua Resurrezione”. Il porporato ha presieduto le funzioni di Pasqua al Loyola Grounds, tra i suoi tribali, invitati “a proclamare senza paura le grandi cose che il Signore ha compiuto per loro attraverso la Chiesa”.  In tutto il Paese - riferiscono i media locali - fedeli di altre religioni si sono recati in chiesa per portare gli auguri ai cristiani ed esprimere la loro solidarietà. Nelle grandi città, inoltre, alle funzioni religiose è seguita la distribuzione di uova di Pasqua in segno di amicizia.

 

 

Da Beirut, il direttore della Caritas-Libano, Khoury, fa una preghiera

speciale per una pace duratura

 

“Per Pasqua, chiediamo ai cristiani che risiedono nelle grandi potenze di operare affinché i loro governi siano meno avidi, che non prendano parte o alimentino conflitti nel mondo, che pongano il rispetto dell’essere umano al di sopra di ogni loro interesse”: è la preghiera giunta alla MISNA dal direttore della Caritas-Libano, Georges Khoury. Nel Paese dei Cedri, che subisce ancora gli effetti del conflitto dell’estate scorsa contro Israele, la ricorrenza religiosa rappresenta l’occasione per “pregare per una migliore comprensione, cooperazione e pace duratura nella nostra nazione, che da decenni paga il prezzo di congiunture regionali sfavorevoli”. Dopo la solidarietà dimostrataci durante la guerra di luglio - prosegue il direttore dell’organizzazione cattolica, presente sul territorio libanese dal 1975 - speriamo che il mondo cristiano oggi abbia ancora un pensiero per noi, come noi lo abbiamo per tutti quelli che soffrono ovunque nel mondo”. Sei mesi dopo la fine del conflitto, le sfide da affrontare sono innumerevoli in uno Stato già piegato da una lunga guerra civile (1975-1990) e da 30 anni di occupazione siriana, ufficialmente conclusasi nell’aprile del 2005. “In pochi mesi - racconta Khoury - il nostro Paese ha perso il suo potenziale umano: circa 200 mila giovani altamente qualificati sono partiti alla volta delle Americhe, dell’Europa, dell’Australia e dei Paesi del Golfo. La sfida più grande è il rilancio dei principali settori produttivi, per consentire alla popolazione di avere fonti di guadagno sufficienti ed evitare un’ulteriore ‘emorragia’ di libanesi. “Speriamo che le grandi potenze coinvolte in Libano - conclude il direttore della Caritas-Libano - cessino finalmente di destabilizzare il nostro Paese, utilizzato come una ‘palestra’ per misurarsi, poiché i primi colpiti sono sempre gli innocenti e i deboli”. (R.M.)

 

 

Al via l’Assemblea plenaria di primavera della

Conferenza episcopale tedesca

 

“Più di strutture… Sviluppi e prospettive del riordinamento pastorale nelle diocesi”: è il tema della Giornata di studio al centro dell’Assemblea plenaria di primavera della Conferenza episcopale tedesca, che ha preso il via oggi presso il Kloster Reute, il Convento delle Suore Francescane di Kreis Ravensburg, nel Baden-Württemberg. Altro argomento di rilievo riguarda l’elaborazione di richieste in ordine alle politiche per la famiglia: la discussione sul potenziamento dell’offerta di strutture di accoglienza per i bambini al di sotto dei tre anni e su una riforma pensionistica equa nei confronti delle famiglie. Fino al 13 aprile, i vescovi tedeschi si concentreranno anche sulla scelta del tema della “Domenica della Famiglia” e della “Settimana per la vita” del triennio 2008-2010. Nell’ambito della liturgia, l’agenda prevede l’approvazione dell’Introduzione generale nel Messale Romano e un’ulteriore riflessione sul nuovo libro di preghiere e canti, dal titolo: “Lode del Signore”. L’Assemblea si occuperà anche degli attuali sviluppi nei media digitali, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto della “violenza nella vita virtuale”, e delle nuove leve della scienza nella teologia cattolica. Una particolare riflessione verrà, infine, dedicata alle comunità di vita consacrata nella Chiesa. Sono stati invitati ai lavori mons. Anthony Colin Fisher, vescovo ausiliare di Sydney, e il cardinale Marc Ouellet, arcivescovo di Québec. I loro interventi riguarderanno, rispettivamente, la GMG del 2008 in Australia e il 49.mo Congresso eucaristico internazionale, in programma nello stesso anno in terra canadese. (R.M.)

 

 

A Perugia, Seminario del Centro nazionale vocazioni della CEI:

 “Con i giovani alla scuola di Agostino”

 

“Accompagnare i giovani tra desideri del cuore e sete di Dio alla scuola di Sant’Agostino”: su questo tema, prende il via oggi a Perugia, fino al 13 aprile, il 22.mo Seminario di formazione sulla direzione spirituale a servizio dell’orientamento vocazionale”, organizzato dal Centro nazionale vocazioni (CNV) della Conferenza episcopale italiana (CEI). Come riferisce il quotidiano Avvenire, interverranno, tra gli altri, mons. Renato Corti, vescovo di Novara, l’arcivescovo di Rossano-Cariati, Santo Marcianò, don Luca Bonari, direttore nazionale del CNV, e don Luciano Luppi, direttore del CNV-Emilia Romagna. (R.M.)

 

 

 

24 ORE NEL MONDO

10 aprile 2007

 

- A cura di Amedeo Lomonaco e Franco Lucchetti -

 

- Dalla Somalia continuano ad arrivare notizie di violenze e bilanci pesantissimi. Fonti locali hanno riferito che i morti per scontri avvenuti tra la fine di marzo e il primo aprile sarebbero più di mille. Secondo alcuni testimoni, i combattimenti sono iniziati quando uomini armati hanno attaccato l’ex ministero della Difesa, ora quartier generale dell’esercito etiopico.  Agli spari degli insorti, i soldati etiopici hanno risposto con colpi d’artiglieria pesante, proseguendo l’attacco su vasta scala anche con l’ausilio di elicotteri d’assalto. Il nostro servizio:

 

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In Somalia assume proporzioni sempre più drammatiche l’interminabile serie di violenze a Mogadiscio: più di 1000 persone sono rimaste uccise in sanguinosi scontri scoppiati nella capitale somala dal 29 marzo al primo aprile tra ribelli vicini alle Corti islamiche e forze etiopiche che appoggiano i soldati somali. La notizia è stata data dal capo di un potente clan locale che appoggia gli insorti contro i soldati etiopici. La stessa fonte ha aggiunto che i danni ammonterebbero ad oltre 1,5 miliardi di dollari. Gli scontri in Somalia, definiti dagli analisti i più gravi degli ultimi 15 anni, hanno spinto inoltre almeno 700 mila persone a cercare di lasciare la capitale, dove sono stati chiusi centri medici, università e scuole islamiche. Chi cerca di fuggire può andare incontro, però, a drammatiche conseguenze: secondo un recente rapporto di “Human Rights Watch” centinaia di sfollati, che cercano di abbandonare Mogadiscio, sono stati arrestati e maltrattati da agenti e militari. L’organizzazione umanitaria ha denunciato, in particolare, casi di “detenzione arbitraria, espulsione e apparente sparizione di decine di persone”, probabilmente sospettate di far parte o di avere legami con le milizie islamiche. Secondo altre fonti, sono state uccise almeno 70 persone che cercavano di lasciare la città. Ma l’esodo continua: fuggire verso l’ignoto, tra molteplici insidie e in condizioni difficilissime, costituisce ancora un’opzione preferibile rispetto a quella di rimanere nella capitale.

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- Situazione molto tesa anche al confine tra Ciad e Sudan, dove ieri violenti scontri hanno causato la morte di decine di persone: il governo di N’Djamena ha riferito che i propri soldati hanno respinto un’offensiva lanciata da oltre 200 ribelli provenienti dal Sudan. L’esecutivo di Khartoum ritiene, invece, che siano stati militari inviati dal Ciad ad attaccare l’esercito sudanese. Secondo l’ONU, negli scontri al confine tra Sudan e Ciad sono morte, a partire dalla scorsa settimana, circa 400 persone. I due Paesi, circa due mesi fa, hanno firmato un patto di non aggressione. Ma a questo punto, tale accordo può dirsi superato? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Massimo Alberizzi, africanista del Corriere della Sera:

 

 

 

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R. – In realtà, quel patto non è mai entrato in vigore, perché scaramucce ci sono sempre state ed anche in questo periodo. C’è stata ora questa grande battaglia e naturalmente c’è un nuovo scambio di accuse: il Ciad che accusa il Sudan e il Sudan che accusa il Ciad. Non si saprà mai quale sia la verità. C’è però da dire che, oltre ad una guerra reale, c’è anche una guerra di propaganda. La fazione, ad esempio, con cui il Sudan ha fatto gli accordi del Darfur in realtà non conta nulla; si è anzi spaccata ed il suo leader è praticamente rimasto da solo.

 

D. – Gli scontri di questi ultimi giorni e questo scambio di accuse molto pesanti non rischiano di far precipitare ulteriormente la situazione?

 

R. – Sì, può essere che sia stato voluto per far esercitare pressioni sulla comunità internazionale affinché imponga al Ciad la presenza di un contingente dell’ONU. Il Consiglio di Sicurezza ha votato l’invio di questo contingente, ma con una clausola voluta dal grande protettore del Sudan, che è la Cina. Pechino sostiene che sì può inviare il contingente solo se c’è, però, l’accordo del governo sudanese. Ovviamente, l’accordo sudanese non ci  sarà mai.

 

D. – L’area in cui sono avvenuti i combattimenti è molto particolare: migliaia di profughi si sono riversati negli ultimi anni nel territorio del Ciad, proprio a causa della difficile situazione in Darfur. Cosa rischiano, a questo punto, queste persone inermi?

 

R. – Queste persone inermi e, quindi i civili rischiano – come al solito – di trovarsi in mezzo alla guerra e di essere così i più penalizzati e di pagarne di più le conseguenze. Come ormai succede sempre di più nelle guerre, muoiono molto più i civili che non i militari.

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- Un attentato terroristico suicida di matrice jihadista è stato sventato dalle autorità del Marocco stamani a Casablanca. I due terroristi sono morti dopo un inseguimento con agenti della polizia marocchina nel quartiere cittadino di El Fida. Il commando puntava a colpire navi straniere ormeggiate a Casablanca e altre località turistiche del Marocco. Si tratta del secondo attentato nel Paese africano dopo quello dell’11 marzo nel quale un terrorista si è fatto esplodere in un Internet cafè. I due terroristi morti oggi facevano parte della lunga lista di individui ricercati dalle autorità dopo l’attentato dell’11 marzo.

 

- In Iraq, 15 persone sono morte per un attentato kamikaze nei pressi di un centro di reclutamento a nord est di Baghdad. L’azione terroristica è stata compiuta da una donna, con indosso un lungo abito nero, che dopo essersi avvicinata ai giovani ha azionato il congegno esplosivo. Altre cinque persone sono rimaste uccise per l’esplosione di un’autobomba nei pressi dell’Università di Baghdad. Una persona è morta poi per un attacco sferrato davanti ad una scuola media. Sulla difficile situazione dell’Iraq ha rilasciato, intanto, un’intervista all’agenzia SIR l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako. Solo un’alleanza tra i credenti delle diverse religioni che porti al rifiuto del fondamentalismo – ha detto il presule – potrà salvare l’Iraq.

 

- La Russia frena le dichiarazioni di Teheran: secondo il governo di Mosca non ci sono segnali che possano confermare una svolta nel processo di arricchimento dell’uranio come invece sostenuto dall’Iran. La Repubblica islamica, che ieri ha parlato di una produzione “a livello industriale” ha ribadito di non voler sospendere le proprie attività nucleari.

 

- Nuovo incontro fra il presidente ucraino, il filo-occidentale Viktor Yushenko, ed il primo ministro, il filo-russo Viktor Yanukovic, per discutere sulla grave crisi istituzionale in atto nel Paese, dopo il decreto presidenziale di scioglimento del Parlamento dello scorso 2 aprile. Intanto la Corte Costituzionale, incaricata dai deputati di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del provvedimento presidenziale, ha affermato che comincerà domani l’esame del decreto. Cinque dei diciotto giudici della Corte hanno già pubblicamente denunciato forti pressioni e hanno chiesto protezione. Oggi, a Kiev, sono previste massicce manifestazioni dei sostenitori di entrambe le parti.

 

- Quattro ex paramilitari serbi sono stati condannati a pene detentive, tra i 5 e i 20 anni di prigione, nell’ambito del primo processo in Serbia contro persone accusate di essere implicate nel massacro di Srebrenica del 1995. Gli imputati – ha detto il giudice del Tribunale serbo per crimini di guerra  – sono colpevoli di aver violato le leggi internazionali" e "di aver commesso crimini contro la popolazione civile”. Si stima che le vittime del massacro di Srebrenica, il più grave dopo la Seconda Guerra Mondiale, siano almeno 8 mila.

 

- Il presidente portoghese, Anibal Cavaco Silva, ha promulgato la legge che depenalizza in Portogallo l’interruzione volontaria di gravidanza per decisione della donna durante le prime dieci settimane di gestazione. La depenalizzazione era stata approvata prima con un referendum lo scorso 11 febbraio e poi dal Parlamento l’8 marzo. La Chiesa cattolica portoghese ha già reso noto che non collaborerà in alcun modo con la legislazione sull’aborto, poiché si tratta di una “legge ingiusta”. L’interruzione di gravidanza – ha dichiarato recentemente padre Carlos Azevedo, portavoce della Conferenza Episcopale Portoghese (CEP) - costituisce “una mancanza di rispetto della dignità della vita umana”.

 

- In Messico, la Chiesa cattolica ha proposto l’indizione di un referendum per conoscere l’opinione della società sul tema dell’aborto. Il presidente della Conferenza Episcopale del Messico (CEM), mons. Carlos Aguiar Retes, ha ringraziato recentemente il presidente del governo, Felipe Calderón, per la sua presa di posizione a favore della vita. Il partito della Rivoluzione Democratica (PRD) ha chiesto, invece, che i religiosi si astengano dall’esprimersi su questo argomento. Il vescovo di Ecatepec, mons. Onésimo Cepeda, ha sottolineato che la Chiesa ha facoltà giuridica di intervenire nel dibattito, soprattutto perché si tratta di “principi morali" che riguardano tutti.

 

- Con gli ultimi arresti di militanti dell’ETA ed alcuni suoi collaboratori, e con le dichiarazioni fatte ad un giornale da alcuni dirigenti del gruppo armato, si conferma che continua la minaccia di nuovi attentati da parte dell’ETA. Il servizio di Ignacio Arregui:

 

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La preoccupazione cresce mentre si avvicina la data delle prossime elezioni amministrative del 27 maggio alle quali vorrebbe partecipare il movimento Batasuna, considerato braccio politico dell’ETA e, attualmente, dichiarato illegale. Al ministero dell’Interno è stata presentata una nuova associazione dell’ambito di Batasuna. Sembra la continuazione del partito, ma ha modificato nome, organizzazione e obiettivi generali. In previsione di una probabile bocciatura da parte del governo di questa nuova proposta, i militanti di Batasuna hanno iniziato una campagna di iscrizione di gruppi di candidati, a livello locale, per le prossime elezioni. E’ una operazione contro il tempo poiché dovrà terminare nei prossimi quindici giorni, prima della chiusura del registro ufficiale dei candidati alle elezioni. Da parte sua, ETA, nell’ultima dichiarazione resa pubblica l'altro ieri e anticipata da un giornale basco, ritiene che l‘impossibilità per la sinistra nazionalista radicale di partecipare alle elezioni possa compromettere quello che resta dell’attuale processo di pace. Intanto, però, dopo le informazioni fornite dagli ultimi militanti arrestati e le dichiarazioni dell’ETA, tutti gli altri partiti concordano nell’affermare che nell’attuale situazione, nonostante gli aspetti discutibili della legge dei partiti, il vero problema è che l’ETA non decide ancora la sua "scomparsa". Batasuna non condanna, inoltre, esplicitamente la violenza armata dell’ETA. Le prossime settimane, dunque, possono essere determinanti per le possibilità non solo di una continuazione, sia pure parziale della tregua, ma anche per la fine vera e propria del terrorismo.

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- Cominciano ad arrivare i primi risultati parziali delle elezioni presidenziali svoltesi ieri a Timor Est. L’attuale primo ministro Ramos Horta raccoglierebbe circa il 30 per cento dei consensi nella capitale Dili, seguito da Fernando de Araujo, ex prigioniero politico dell'Indonesia, con il 25 per cento. Sempre secondo i primi dati, si delineerebbe una sconfitta del partito al potere, il Fretilin, il cui candidato Francisco Guterres non otterrebbe che la terza posizione. Al momento, comunque, sembra che nessun candidato raggiunga il 50 per cento dei voti: si prospetta dunque un ballottaggio, il 9 maggio prossimo.

 

- Le truppe dell’esercito indiano hanno ucciso stamani otto separatisti ribelli, incluse due donne, nell’estremo nord est del Paese. Gli insorti, appartenenti al Fronte Unito di Liberazione di Asom (ULFA), combattono per l’indipendenza del ricco Stato di Assam dal 1979. “I militanti dell’ULFA hanno sparato sui nostri ragazzi e noi abbiamo reagito”, ha chiarito un ufficiale dell’esercito. Il Fronte Unito di Liberazione di Asom è il principale gruppo di ribelli nella regione nordorientale dell’India.

 

- La Thailandia ha prorogato lo stato d’emergenza nella parte meridionale del Paese. La zona, a prevalenza musulmana, è da giorni teatro di violenze che si protraggono ormai da tre anni, con un bilancio di oltre 2000 persone morte a causa di lotte intestine.