RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 100 - Testo della trasmissione di martedì 10 aprile 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
Oggi su "L'Osservatore Romano"
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Gli auguri di Pasqua al Papa da un gruppo di imam
sunniti e sciiti di Kirkuk, in Iraq
La
Somalia bagnata
dal sangue degli oltre mille morti caduti durante gli scontri tra ribelli e
soldati etiopi
10 aprile 2007
Il mandato per ogni
cristiano di testimoniare l’incontro con il Cristo
- rinnovato ieri dal Papa - è il modo migliore per
contrastare
la scristianizzazione delle società, fortemente indotta
attraverso i media
“E’ quanto mai urgente
che gli uomini e le donne della nostra epoca conoscano ed incontrino Gesù e,
grazie anche al nostro esempio, si lascino conquistare da Lui”: la voce di
Benedetto XVI al Regina Caeli si è levata ieri,
Lunedì dell’Angelo, per sollecitare i cristiani a diffondere il messaggio di
Cristo “sino agli estremi confini del mondo”. Roberta Gisotti ha
intervistato il teologo mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro:
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D. - Eccellenza,
perché Benedetto XVI parla di urgenza e come possiamo tradurre il nostro
esempio nel vivere quotidiano?
R. - La Chiesa deve
essere portata nel mondo ed è la testimonianza dei cristiani, la testimonianza
del popolo di Dio, che fa incontrare continuamente la Risurrezione di Cristo
all’uomo del nostro tempo. Il Papa ha richiamato sul fatto che la nostra fede è
la fede in una persona incontrata ed è la testimonianza di gente che vive il
quotidiano nella certezza che ormai i termini della vita quotidiana stessa sono
i termini della Risurrezione di Cristo. Senza questo,
il mondo non può incontrare il Cristo risorto e il Cristo risorto rimane
un’ideologia o un moralismo.
D. - Mons. Negri, Benedetto XVI sottolinea spesso le sfide poste
alla Chiesa da società scristianizzate. Secondo lei, questa scristianizzazione
è davvero radicata nel cuore degli uomini e delle donne di oggi o è piuttosto
indotta anche mediaticamente da chi magari - gruppi
di potere politico-economico - ha interesse a cancellare quei valori cristiani
universali?
R. - La mia esperienza
mi fa dire che sono per la seconda ipotesi: si tratta, cioè, di una grande
operazione, di una grande congiura di carattere ideologico, che utilizza
l’intero mass-mediatico per scardinare, sradicare
quella tendenza, quella tensione a Gesù Cristo, che ciascun uomo porta
naturalmente iscritta in sé, perché nel cuore di ogni uomo sta la grande
domanda di senso, di verità, di bellezza e di giustizia, che nessuna ideologia
e nessuna tecnologia potrà mai produrre. Quindi, si tratta di un’operazione
terribilmente compiuta a freddo, attraverso l’uso di mezzi economici e
tecnologici immensi, ma che si potrebbe trovare di fronte un grande
interlocutore, un grande oppositore: l’oppositore del popolo cristiano che vive
la sua identità con gioia, con letizia, con forza, determinato ad annunziare
Cristo a tutti gli uomini. L’unica opposizione alla scristianizzazione non è
tanto la denuncia della scristianizzazione - pensare a chissà quali mezzi per opporvisi - ma è riprendere con forza, con coraggio la
testimonianza cristiana e occorre che la Chiesa rieduchi il popolo alla
missione. Se l’uomo non incontra Cristo, ci rimette nella sua umanità. Ha detto
bene Benedetto XVI qualche tempo fa: l’apostasia dell’uomo da Cristo diventa
poi l’apostasia dell’uomo da se stesso. Noi non portiamo una opzione
particolare: noi portiamo la possibilità che l’uomo viva in modo autenticamente
umano. Il cristianesimo è la rivelazione della verità di Dio, della verità
dell’uomo, che in Cristo morto e risorto si incontrano e si attuano pienamente.
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Nomine
In Messico, Benedetto
XVI ha accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi di Jalapa, presentata per raggiunti limiti di età mons. Sergio
Obeso Rivera. Al suo posto, il Papa ha nominato
arcivescovo metropolita di Jalapa, mons. Hipólito Reyes Larios, finora vescovo di Orizaba.
Costui è nato in Ciudad Mendoza
nel 1946. Completati i suoi studi nel Seminario di Jalapa
ed ordinato sacerdote il 15 agosto 1973, fu inviato a Roma, dove ottenne le
licenze in Teologia Morale e Spiritualità rispettivamente presso l’Accademia Alfonsiana e la Pontificia Università Gregoriana. Come
sacerdote ha ricoperto, fra gli altri, gli incarichi di padre spirituale al
Pontificio Collegio Messicano di Roma, presidente dell’Organizzazione dei Seminari
Messicani (O.S.MEX.), rettore del Seminario Maggiore
di Jalapa e presidente dell’Organizzazione dei
Seminari Latinoamericani (O.S.L.A.M.). Attualmente è
presidente della Commissione episcopale per le Vocazioni e ministeri della
Conferenza episcopale messicana.
In Venezuela, il
Pontefice ha nominato arcivescovo metropolita di Valencia mons. Reinaldo Del Prette Lissot, finora vescovo di Maracay.
Il 55.enne presule ha ottenuto la licenza in Diritto
Canonico e il Diploma in Giurisprudenza presso la Pontificia Università
Gregoriana di Roma. Ha svolto gli incarichi di rettore del Seminario di Valencia,
direttore della Caritas e del Programma pastorale arcidiocesano, di Parroco, di
vicario generale dell’arcidiocesi.
Oggi su
"L'Osservatore Romano"
Servizio vaticano - Pasqua 2007
Il Messaggio “Urbi
et Orbi” di Benedetto XVI: riaccendere la fede di
fronte alla prepotenza del male.
Servizio estero - Nucleare: l'arricchimento
dell'uranio da parte dell'Iran ha raggiunto un “livello industriale”.
Servizio culturale - Un articolo di Anna Bujatti dal titolo “L'emozionante cammino di Piero della
Francesca”: una mostra ad Arezzo e nei luoghi che videro protagonista il grande
pittore.
Per l’“Osservatore libri” un articolo di
Gaetano Vallini dal titolo “Quella Chiesa segreta
nell'inferno della degradazione”: ripubblicato il “Vangelo dei lager” di don
Roberto Angeli, deportato a Dachau.
Servizio italiano - Le polemiche seguite
all'uccisione, da parte dei Taleban, in Afghanistan,
dell'interprete del giornalista Daniele Mastrogiacomo.
10 aprile 2007
I vescovi italiani e il mondo politico
condannano compatti
le nuove
scritte intimidatorie contro mons. Bagnasco.
Un commento del sociologo Sabino Acquaviva
"In questo
momento cui è fatto oggetto di espressioni intimidatorie", una particolare
attestazione di "vicinanza e solidarietà" arriva dai vescovi italiani
all'indirizzo del loro presidente, l'arcivescovo di genova,
Angelo Bagnasco. Le parole del segretario della Conferenza episcopale italiana (CEI),
mons. Giuseppe Betori, riportate in un comunicato,
riassumono lo sconcerto e l'indignazione del mondo ecclesiale - ma anche di
quello politico italiano -
all'indomani delle nuove minacce di morte contro il presidente
della CEI, scritte da ignoti su due muri del quartiere genovese di Sampierdarena. La nota della CEI conclude
affermando di condividere "nel profondo l'invito alla serenità"
formulato da mons. Angelo Bagnasco: un invito che parte dal capoluogo
ligure, da dove ci riferisce Dino Frambati:
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E' una Genova
sbigottita ed offesa quella che si è svegliata oggi, il giorno dopo le scritte
offensive e minacciose contro il suo arcivescovo, mons. Angelo Bagnasco, preso
però di mira quale presidente CEI e soprattutto dopo le sue dichiarazioni sulle
coppie di fatto. Scritte che sono il rovescio della medaglia delle celebrazioni
pasquali nel capoluogo ligure, alle quali hanno partecipato tanti fedeli come
non accadeva da tempo. Effetto, forse, anche del fatto che il presule è molto amato
sotto la Lanterna, dove tutti ricordano quando era
“don Angelo” un vice parroco attivo e dolce. Dalla Curia si invita alla
serenità e si garantisce che i “murales" trovati
ieri a Sampierdarena, delegazione tra le più operose
della città, meritano attenzione ma non allarme, mentre prefetto e questore
ribadiscono controllo attento verso l'arcivescovo, che è anche sotto scorta,
attenta ma discreta. Le indagini per cercare i colpevoli dei graffiti peraltro
banali, vecchi nella maniera e rozzi, procedono intense. Sono però
innegabilmente difficili e rivolte soprattutto all'estremismo radicale ed
anticlericale. Molto più rilevanti delle scritte, gli
attestati di solidarietà al vescovo: il sindaco Giuseppe Pericu,
il presidente della Regione, Claudio Burlando, si sono dichiarati indignati per
l'accaduto mentre, da Roma, Rocco Buttiglione indica come la rabbia sia contro
l'efficacia delle parole di Bagnasco. Angelo Bonelli,
capogruppo dei Verdi alla Camera dei deputati, invita a garantire sicurezza al
presule, mentre Gian Franco Rotondi, della DC, esprime solidarietà al
presidente CEI. Roberto Maroni, leghista, parla di
“vergognoso attacco ed intolleranza religiosa”, solo per citare alcuni dei
moltissimi messaggi di questi giorni, tutti solidali con mons. Bagnasco.
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Ma l’Italia non è
l’unico Paese europeo dove in questi giorni si sono avute manifestazioni di
intolleranza nei confronti del clero. In Belgio, un vescovo è stato pesantemente
minacciato per aver difeso la famiglia fondata sul matrimonio. Ma dove affondano
le radici questi fenomeni di intolleranza antireligiosa? Alessandro Gisotti
lo ha chiesto al sociologo Sabino Acquaviva:
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R. - Noi sappiamo che
in Europa, tra il 1700 e il 1800, era diffuso un forte anticlericalismo, una
lotta delle forze considerate allora liberali per una società diversa. Questi
fenomeni, come noi sappiamo, si sono tradotti a lungo in forme spesso violente.
Si mescolano sempre fattori ideologici, politici, filosofici ed irreligiosi insieme. L’educazione alla tolleranza è una educazione difficile e purtroppo nella nostra società
non siamo ancora arrivati ad una realtà veramente tollerante.
D. - Oggi, nel 2007,
in una società che si autoproclama liberale, perché le parole del Papa o, in
questo caso, dei pastori della Chiesa italiana danno così fastidio?
R. - Intanto, la
società liberale dovrebbe dare spazio a tutti. Secondo me, dietro
l’atteggiamento contro la Chiesa, c’è un residuo culturale legato al vecchio
anticlericalismo. Non possiamo mai dimenticare la storia d’Italia
dell’Ottocento, del Risorgimento, della Massoneria di quel tempo e via dicendo…
Dietro tutto questo c’è una cultura, e dietro questa cultura c’è una certa
misura di aggressività. Alcuni vivono una cultura diversa in maniera serena,
tranquilla e basata sul dialogo. Altri continuano a viverla in
maniera aggressiva e spesso violenta come accadeva spesso
nell’Ottocento. Ogni fenomeno nella vita sociale di un Paese si porta dietro le
sue origini. Secondo me l’aggressività verso la Chiesa e la tendenza ad impedirle
di esprimere il proprio pensiero è il prodotto di una storia che sta, in gran
parte e per fortuna, alle nostre spalle.
D. - Quali sono le
ragioni del ritorno di
questo anticlericalismo, che si manifesta non solo con le scritte
sui muri, ma anche attraverso manifestazioni, titoli urlati su alcuni giornali
?
R. - La società è
notoriamente in crisi. A questo riguardo, io ho scritto un libro “L’eclissi
dell’Europa: decadenza e fine di una civiltà”. Secondo me, i valori su cui si
fondava - fossero essi laici o religiosi - la società europea sono
indubbiamente entrati in grave crisi. Quindi anche la maniera
di essere laici, diciamo così, è paradossalmente cambiata. La tendenza per cui si impedisce a qualcuno di esprimere la propria
opinione, semplicemente perché la pensa diversamente da me, è uno dei fenomeni
certamente sempre esistiti. Ma che nella nostra società non dovrebbe esistere.
E che non esisterebbe se questa avesse dei sistemi di valori solidi su cui
reggersi.
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Fondamentalisti islamici in Iraq esigono un tributo
dai non musulmani destinato al "jihad"
In Iraq, diventa
sempre più difficile la vita per i cristiani e per le altre minoranze
religiose. Secondo una denuncia, pubblicata dall’agenzia “Asianews”
e dal sito arabo “Ankawa.com”, i non musulmani sarebbero obbligati da gruppi
fondamentalisti, per continuare a professare la propria fede, a pagare un
tributo da destinare alla “guerra santa”. Giancarlo La Vella
ha parlato di questo fenomeno con giornalista Camille
Eid, che se ne è occupato sulle pagine del
quotidiano “Avvenire”:
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R. - Sono tutti casi
documentati e verificati nelle grandi città irachene. Da qui dire che si tratta
di un fenomeno che tocca tutti i cristiani, non è possibile farlo. Ma, dopo i
rapimenti di cui sono stati oggetto i cristiani all’inizio della guerra in
Iraq, ora i gruppi islamici procedono fino ad imporre questa tassa, che serve
poi a finanziare le operazioni della "guerra santa" del Jihad.
D. - Si conoscono le
procedure dell’imposizione di questo tributo?
R. - Sì. Arrivano
delle lettere anonime o anche firmate da pseudo-gruppi armati in cui chiedono
delle cifre precise, chiedono di recarsi - senza avvisare ovviamente le
autorità ufficiali - presso una certa moschea per pagare e aver così salva la
vita.
D. - A questo fenomeno
si aggiunge anche quello della privazione delle case di proprietà dei
cristiani?
R. - Sì, ma questo
c’era già da tempo: molto sono i cristiani che vengono
minacciati perché abbandonino le loro proprietà. Io conosco, in effetti,
parecchi casi di iracheni che risiedono oggi in Libano o in Siria, perché sono
stati costretti a vendere o a svendere le loro case e i loro terreni per
scappare. Li hanno ovviamente venduti ai musulmani, perché nessun cristiano è
disposto a comprare in questo momento tanto critico.
D. - A questo punto,
si può parlare di una vera e propria offensiva contro i cristiani?
R. - L’offensiva tocca praticamente tutte le minoranze etniche e
religiose. Noi sappiamo che la guerra in Iraq supera anche un aspetto di
conflitto di religione e in particolare tra sciiti e sunniti. Le minoranze che
non sono né sunnite né sciiti ci rimettono ancora di
più. Dunque, non si contano i soprusi che hanno subito i cristiani, i quali
ovviamente stanno cercando ora di fuggire in altri Paesi. Questa ultima prassi
del pagamento del tributo, della tassa ha le sue origini cristiane: nello Stato
islamico - perché ora i gruppi islamici pretendono di aver costituito un Emirato,
uno Stato islamico nuovamente - esiste proprio questa misura. Il Corano parla
del dovere dei non musulmani che vivono in uno Stato islamico di pagare questa
tassa per avere il diritto di risiedere in territorio musulmano.
D. - E l’unico modo
per sottrarsi a questa imposizione?
R. - E’ quello di
lasciare l’Iraq oppure di abbracciare l’islam.
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Il
successo della Giornata mondiale della poesia indetta dall'UNESCO,
segno di una
cultura votata alla pace ma anche alla preghiera
In un mondo
ultratecnologico come quello attuale, c’è spazio ancora per la poesia? Si
direbbe di sì a giudicare dal successo riscosso dalla Giornata Mondiale della
Poesia, celebrata nei giorni scorsi in molti Paesi. Sancita dall’Unesco nel 1999, la ricorrenza ha visto in programma
numerose manifestazioni, come i Festival per poeti emergenti e gli incontri di
riflessione dedicati agli studenti. Ma quale messaggio trasmette oggi la
poesia? Isabella Piro lo ha chiesto a Giovanni
Puglisi, presidente di Unesco Italia.
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R. - La poesia come
messaggio culturale di integrazione di una tendenza ad una pace universale.
Ricordo una bellissima espressione del filosofo tedesco Adorno, quando davanti
ai forni crematori dei campi di concentramento nazisti, disse che dopo Auschwitz non era più possibile scrivere una poesia. E
aveva ragione, perché simbolicamente la guerra, le stragi, le violenze, i forni
crematori, oggi potremmo dire anche le purghe, il razzismo, sono la negazione
della poesia come momento della creatività, del bello, dell’armonia. Tutto
quello che accadeva durante la Seconda Guerra mondiale
faceva pensare che l’armonia si fosse rotta definitivamente. Oggi, purtroppo,
c’è da dire che l’armonia sembra in questo momento esule nel mondo. Il
messaggio che vogliamo lanciare attraverso l’UNESCO, il 21 di marzo, è un
grande messaggio di pace, è un grande messaggio di bellezza, sublimato
attraverso i versi di un grande poeta persiano.
D. - Presidente, alla
luce di quello che lei ha detto e considerando il fatto che viviamo in una
società ormai sempre più tecnologica, perchè la poesia resiste nonostante
tutto?
R. - Perché l’uomo,
grazie a Dio, è un mix di ragione e sentimento. Perchè la poesia è ciò che
riesce a dare fiato, spessore e speranza ad una dimensione più autentica
dell’uomo, che è quella di sognare. Importante è passare da un sogno all’altro,
senza perdere il senso della realtà.
D. - La poesia,
quindi, come la preghiera può offrire un approdo sicuro all’uomo…
R. - Io vorrei dire
che non esiste preghiera che sia veramente tale, che non sia comunque una
poesia. La preghiera è comunque il tentativo di superare il contingente, il
banale, il quotidiano e mettersi in relazione con Dio. E tutto ciò che ci mette
in relazione con Dio è una poesia.
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Una mostra alla
Triennale di Milano si interroga sul rapporto tra l’arte e il tempo, nell’era
del dopo 11 settembre
“TIMER l’arte
contemporanea in tempo reale”. E’ questo il titolo di una grande mostra,
inaugurata in questi giorni alla Triennale Bovisa di
Milano. Tutte le opere in mostra sono state realizzate dopo l’11 settembre
2001. TIMER è un progetto dal percorso triennale, che nella sua prima edizione
avrà come tema l'individuo in relazione a se stesso. Ma come è nata l’idea di
realizzare una mostra sull’uomo e il tempo? Alessandro Gisotti lo ha
chiesto al curatore Gianni Mercurio:
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R. - L’impulso di
questo progetto pluriennale, intitolato TIMER, vuol dare proprio il senso
dell’arte contemporanea e del tempo presente ed è nato da una riflessione su
questa città, Milano, che è un città dalle
potenzialità, rispetto all’arte contemporanea, inespresse. Dopo di che, invece,
è nato il concetto filosofico di questa mostra che, appunto, presenterà la sua
prima edizione degli artisti che lavorano sull’intimità che noi abbiamo creduto
di riconoscere nell’attitudine dopo l’11 settembre 2001. Qusta
data ha culminato con un cambiamento di costumi, anche
dei rapporti umani. Le relazioni interpersonali si sono spostate da un
desiderio improntato maggiormente alla conoscenza ad una sensazione quasi di
timore, di paura: paura dell’altro. E gli artisti reagiscono con momenti di
riflessione che poi arrivano addirittura a momenti di spiritualità fino a
momenti di riflessione religiosa da parte di artisti dai quali - sinceramente -
non ce lo saremmo aspettato.
D. - Nell’era del dopo-11
settembre, come guardano gli artisti al rapporto tra l’uomo, la società e il
tempo?
R. - Dunque, gli
artisti - almeno, quelli che abbiamo prescelto - guardano innanzitutto
difendendo se stessi, cioè difendendo se stessi da dei
cambiamenti che la società in senso lato cerca di imporre, quindi dei blocchi
contrapposti, separati, che vorrebbero relegarli a schierarsi da una parte o
dall’altra. E quindi, invece, l’artista è autonomo per antonomasia e
innanzitutto difende da un lato questa propria autonomia, tende a non cambiare,
anche se la storia vorrebbe imporgli dei cambiamenti. Dall’altra, c’è invece la
reazione ad esplorare dei temi che portano a dei momenti di intimità, di
ricerca, di riflessione all’interno di se stessi. Per dimostrare meglio questo
concetto, l’inglese Damien Hirts
- che è l’“enfant terribile” dell’arte inglese e che ha esordito realizzando ed
esponendo opere con animali in formaldeide, insomma opere piuttosto forti - in
questa mostra è presente con uno dei suoi ultimi lavori intitolato
“I quattro Evangelisti”: sono quattro grandi tele in cui in ognuna è
rappresentata, alla Damien Hirst,
l’essenza dei quattro Vangeli.
D. - Dunque, l’uomo,
cercando e scavando in se stesso, ritrova Dio o perlomeno una spiritualità, una
componente trascendentale che forse si era dimenticata, e che le paure
alimentate dall’11 settembre hanno fatto riemergere...
R. - Gli artisti sono
molto diversi tra loro, hanno delle storie diverse, dei percorsi e degli
obiettivi differenti. Tuttavia, mi sento di dire che se non lo trovano, comunque
lo cercano o quantomeno cercano questa trascendenza quasi taumaturgica rispetto
alle paure del presente...
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10 aprile 2007
Duro attacco al governo dei vescovi dello Zimbabwe:
“Se non saranno
tenute al più presto libere
elezioni, si rischia una rivolta di massa”
In una Lettera
pastorale, pubblicata in occasione della Pasqua, i vescovi dello Zimbabwe hanno accusato il governo del presidente, Robert Mugabe, di “corruzione” e
“cattiva amministrazione”, denunciando i rischi di una possibile sollevazione
popolare, se non saranno tenute al più presto libere elezioni nel Paese. “La
nostra terra vive una crisi profonda” e “un’instabile situazione di estremo
pericolo”, hanno affermato i presuli, proclamando, per il prossimo 14 aprile,
una Giornata di preghiera e digiuno per lo Zimbabwe.
I presuli hanno paragonato le sofferenze dello Zimbabwe
all’oppressione biblica degli ebrei da parte del Faraone e ribadito che la
crisi “non è solo politica ed economica, ma prima di tutto spirituale e
morale”. “Mentre la sofferenza della popolazione - hanno spiegato - aumenta
sempre di più la pressione attraverso boicottaggi, scioperi, manifestazioni e
sollevazioni, lo Stato risponde con una più dura oppressione, attraverso
arresti, detenzioni, divieti, maltrattamenti e torture”. Secondo i vescovi,
“molte persone sono adirate e la loro ira sta esplodendo in aperta rivolta da
una township all’altra. “Per evitare futuri
spargimenti di sangue e una rivolta di massa - ha affermato l’episcopato dello Zimbabwe - il Paese ha bisogno di una nuova Costituzione di
ispirazione popolare, che possa essere di guida a rappresentanti democratici
scelti in libere e giuste elezioni, che offrano la chance di una
rinascita economica, attraverso politiche oneste”. Rivolgendosi infine alla
popolazione, i vescovi dello Zimbabwe hanno lanciato
un messaggio di speranza: “Il Signore è al nostro fianco - hanno rassicurato -
Egli ascolta sempre il pianto dei poveri e degli oppressi, e li
salva". (A
cura di Roberta Moretti)
Gli auguri di Pasqua
al Papa da un gruppo di
imam sunniti e sciiti di Kirkuk,
in Iraq
Auguri al Papa, “che
non si stanca di lavorare per la pace e per il bene di tutta l’umanità”,
da parte di un gruppo di sette imam sunniti e sciiti,
che nella cattedrale di Kirkuk, nel nord dell’Iraq,
hanno assistito alla Messa di Pasqua celebrata dal vescovo caldeo,
mons. Louis Sako. I
religiosi musulmani - riferisce l’agenzia del PIME, AsiaNews
- hanno anche parlato della fraternità tra cristiani e musulmani e tutti hanno
pregato affinché Dio doni all’Iraq la sicurezza e la
pace. Nel dar loro il benvenuto, mons. Sako ha
evidenziato i punti di vicinanza tra cristianesimo e islam e ha invitato a
rispettare la diversità, perché essa risponde all’“economia divina”. “Dio
- ha detto il presule - ci ha creati diversi per incontraci
e alla fine arrivare allo scopo finale, che è Dio stesso”. Il vescovo ha
sottolineato, inoltre, che è responsabilità di ogni imam
e di ogni religioso dire parole efficaci e buone, che la gente ascolta
volentieri. Mons. Sako ha
anche invitato gli iracheni a rinsaldare i legami tra loro, quali che siano le
loro origini e idee, e ha pregato il Signore affinché Kirkuk
rimanga la città simbolo della fraternità e della
convivenza reciproca. Già la scorsa Settimana Santa era stata caratterizzata, a
Kirkuk, da segni di speranza. Un gruppo di amicizia libano-irachena era arrivato la domenica delle Palme, su
iniziativa del Centro di studi e ricerche orientali di Antelias,
calorosamente accolti da mons. Sako e dai fedeli.
(R.M.)
Messaggio pasquale del Patriarca ecumenico di Costantinopoli,
Bartolomeo I: “La morte è stata definitivamente vinta”
La morte è stata
sconfitta e chi crede in Gesù deve guardarla senza paura, preoccupandosi
solo di avere fede e mantenere “pura” la propria anima: è questo il centro del
messaggio pasquale del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, citato dall'agenzia AsiaNews.
“La paura della morte, evidente per chi ha problemi di salute e per gli anziani
- prosegue il Patriarca - per quanto si cerchi di rinviarla con vari metodi,
consuma la pace dei cuori e riempie l’anima con ingiustificabile angoscia,
perché questa continua incertezza la rende insopportabile”. “A questa
incertezza - prosegue il messaggio pasquale - ha dato fine la resurrezione del
Nostro Signore. La morte non domina più la vita. Non è più
l’inevitabile fine della nostra esistenza. La lastra tombale non copre più
eternamente la nostra esistenza con l’eterno silenzio”. “Noi, carissimi
fratelli e sorelle in Cristo - scrive ancora Bartolomeo I - viviamo la ripetuta morte e la continua resurrezione del Signore. La
morte è diventata ormai una porta di transizione in un nuovo stato di vita. Ha
cessato di essere la prigione delle anime, una via senza uscita, uno stato di
disperazione”. Ed esorta: “Abbiate fede e speranza, carissimi fratelli e
sorelle, rinunciate alla paura della morte e alle angosce della vita”. “Per i
credenti - termina il messaggio - non esiste la morte. Purificate soltanto le
vostre anime e corpi e seguite il Signore, il quale è la nostra Risurrezione.
(R.M.)
Le celebrazioni
pasquali in India, caratterizzate da gioia e fervore.
In diverse chiese si sono uniti alla festa
cristiana
anche fedeli di altre religioni
“La Pasqua
per noi indiani è una chiamata al rinnovamento, a vivere una nuova vita da
fratelli e sorelle in spirito di unità, pace e verità”, soprattutto in questo
momento storico in cui il Paese deve affrontare la grande sfida del terrorismo
e della convivenza interreligiosa. Lo ha detto all'agenzia AsiaNews
il presidente della Conferenza episcopale dell’India, il cardinale Telesphore Toppo. “La Resurrezione di Cristo - ha proseguito
il porporato - è il fatto centrale del cristianesimo, Gesù risorto ci fa
scoprire che amore e sacrificio trasformano le nostre esistenze”. Il cardinale
Toppo, che ha celebrato la Pasqua nella sua diocesi di Ranchi,
ha tenuto a sottolineare che la Pasqua "è la luce che disperde le tenebre
interiori dell’umanità, che portano a mali quali il terrorismo o ai vari culti
della personalità”. “Chi crede nel Signore risorto - ha concluso - deve aver il
coraggio di proclamarlo al mondo; dobbiamo condividere con tutti, anche con chi
ancora non conosce Cristo, la speranza che viene dalla Sua Resurrezione”. Il
porporato ha presieduto le funzioni di Pasqua al Loyola
Grounds, tra i suoi tribali, invitati “a proclamare
senza paura le grandi cose che il Signore ha compiuto per loro attraverso la
Chiesa”. In tutto il Paese - riferiscono
i media locali - fedeli di altre religioni si sono recati
in chiesa per portare gli auguri ai cristiani ed esprimere la loro solidarietà.
Nelle grandi città, inoltre, alle funzioni religiose è seguita la distribuzione
di uova di Pasqua in segno di amicizia.
Da Beirut, il direttore della Caritas-Libano, Khoury,
fa una preghiera
speciale per una pace
duratura
“Per Pasqua, chiediamo
ai cristiani che risiedono nelle grandi potenze di operare affinché i loro
governi siano meno avidi, che non prendano parte o alimentino conflitti nel
mondo, che pongano il rispetto dell’essere umano al di sopra di ogni loro
interesse”: è la preghiera giunta alla MISNA dal direttore della
Caritas-Libano, Georges Khoury.
Nel Paese dei Cedri, che subisce ancora gli effetti del conflitto dell’estate
scorsa contro Israele, la ricorrenza religiosa rappresenta l’occasione per
“pregare per una migliore comprensione, cooperazione e pace duratura nella
nostra nazione, che da decenni paga il prezzo di congiunture regionali
sfavorevoli”. Dopo la solidarietà dimostrataci durante la guerra di luglio -
prosegue il direttore dell’organizzazione cattolica, presente sul territorio
libanese dal 1975 - speriamo che il mondo cristiano oggi abbia ancora un
pensiero per noi, come noi lo abbiamo per tutti quelli che soffrono ovunque nel
mondo”. Sei mesi dopo la fine del conflitto, le sfide da affrontare sono
innumerevoli in uno Stato già piegato da una lunga guerra civile (1975-1990) e
da 30 anni di occupazione siriana, ufficialmente conclusasi nell’aprile del
2005. “In pochi mesi - racconta Khoury - il nostro
Paese ha perso il suo potenziale umano: circa 200 mila giovani altamente
qualificati sono partiti alla volta delle Americhe, dell’Europa, dell’Australia
e dei Paesi del Golfo. La sfida più grande è il rilancio dei principali settori
produttivi, per consentire alla popolazione di avere fonti di guadagno sufficienti
ed evitare un’ulteriore ‘emorragia’ di libanesi. “Speriamo che le grandi potenze
coinvolte in Libano - conclude il direttore della Caritas-Libano - cessino finalmente
di destabilizzare il nostro Paese, utilizzato come una
‘palestra’ per misurarsi, poiché i primi colpiti sono sempre gli innocenti e i
deboli”. (R.M.)
Al via l’Assemblea plenaria di primavera della
Conferenza episcopale
tedesca
“Più di strutture…
Sviluppi e prospettive del riordinamento pastorale nelle diocesi”: è il tema
della Giornata di studio al centro dell’Assemblea plenaria di primavera della
Conferenza episcopale tedesca, che ha preso il via oggi presso il Kloster Reute, il Convento delle
Suore Francescane di Kreis Ravensburg,
nel Baden-Württemberg. Altro argomento di rilievo
riguarda l’elaborazione di richieste in ordine alle politiche per la famiglia:
la discussione sul potenziamento dell’offerta di strutture di accoglienza per i
bambini al di sotto dei tre anni e su una riforma pensionistica equa nei
confronti delle famiglie. Fino al 13 aprile, i vescovi tedeschi si
concentreranno anche sulla scelta del tema della “Domenica della Famiglia” e
della “Settimana per la vita” del triennio 2008-2010. Nell’ambito della liturgia,
l’agenda prevede l’approvazione dell’Introduzione generale nel Messale Romano e
un’ulteriore riflessione sul nuovo libro di preghiere e canti, dal titolo:
“Lode del Signore”. L’Assemblea si occuperà anche degli attuali sviluppi nei media
digitali, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto della “violenza nella vita
virtuale”, e delle nuove leve della scienza nella teologia cattolica. Una
particolare riflessione verrà, infine, dedicata alle
comunità di vita consacrata nella Chiesa. Sono stati invitati ai lavori mons. Anthony Colin Fisher,
vescovo ausiliare di Sydney, e il cardinale Marc Ouellet, arcivescovo di Québec. I
loro interventi riguarderanno, rispettivamente, la GMG del 2008 in Australia e
il 49.mo Congresso eucaristico internazionale, in
programma nello stesso anno in terra canadese. (R.M.)
A Perugia, Seminario del Centro nazionale vocazioni della CEI:
“Con i giovani alla scuola di Agostino”
“Accompagnare i
giovani tra desideri del cuore e sete di Dio alla scuola di Sant’Agostino”:
su questo tema, prende il via oggi a Perugia, fino al 13 aprile, il 22.mo Seminario di formazione sulla direzione spirituale a
servizio dell’orientamento vocazionale”, organizzato dal Centro nazionale
vocazioni (CNV) della Conferenza episcopale italiana (CEI). Come riferisce il
quotidiano Avvenire, interverranno, tra gli altri, mons. Renato Corti, vescovo
di Novara, l’arcivescovo di Rossano-Cariati, Santo Marcianò, don Luca Bonari, direttore nazionale del CNV, e
don Luciano Luppi, direttore del CNV-Emilia Romagna. (R.M.)
10 aprile 2007
- A cura di Amedeo Lomonaco e Franco Lucchetti -
- Dalla Somalia continuano ad arrivare notizie di violenze e
bilanci pesantissimi. Fonti locali hanno riferito che i morti per scontri
avvenuti tra la fine di marzo e il primo aprile sarebbero più di mille. Secondo
alcuni testimoni, i combattimenti sono iniziati quando
uomini armati hanno attaccato l’ex ministero della Difesa, ora quartier generale dell’esercito etiopico. Agli spari
degli insorti, i soldati etiopici hanno risposto con colpi d’artiglieria
pesante, proseguendo l’attacco su vasta scala anche con l’ausilio di elicotteri
d’assalto. Il nostro servizio:
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In Somalia
assume proporzioni sempre più drammatiche l’interminabile serie di violenze a
Mogadiscio: più di 1000 persone sono rimaste uccise in sanguinosi scontri
scoppiati nella capitale somala dal 29 marzo al primo aprile tra ribelli vicini
alle Corti islamiche e forze etiopiche che appoggiano i soldati somali. La
notizia è stata data dal capo di un potente clan locale che appoggia gli
insorti contro i soldati etiopici. La stessa fonte ha aggiunto che i danni
ammonterebbero ad oltre 1,5 miliardi di dollari. Gli scontri in Somalia,
definiti dagli analisti i più gravi degli ultimi 15 anni, hanno spinto inoltre
almeno 700 mila persone a cercare di lasciare la capitale, dove sono stati
chiusi centri medici, università e scuole islamiche. Chi cerca di fuggire può
andare incontro, però, a drammatiche conseguenze: secondo un recente rapporto
di “Human Rights Watch” centinaia di sfollati, che cercano di abbandonare
Mogadiscio, sono stati arrestati e maltrattati da agenti e militari.
L’organizzazione umanitaria ha denunciato, in particolare, casi di “detenzione
arbitraria, espulsione e apparente sparizione di decine di persone”, probabilmente
sospettate di far parte o di avere legami con le milizie islamiche. Secondo
altre fonti, sono state uccise almeno 70 persone che cercavano di lasciare la
città. Ma l’esodo continua: fuggire verso l’ignoto, tra molteplici insidie e in
condizioni difficilissime, costituisce ancora un’opzione preferibile rispetto a
quella di rimanere nella capitale.
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Situazione molto tesa anche al confine tra Ciad e Sudan, dove ieri violenti scontri
hanno causato la morte di decine di persone: il governo di N’Djamena
ha riferito che i propri soldati hanno respinto un’offensiva lanciata da oltre
200 ribelli provenienti dal Sudan. L’esecutivo di Khartoum ritiene, invece, che
siano stati militari inviati dal Ciad ad attaccare l’esercito sudanese. Secondo
l’ONU, negli scontri al confine tra Sudan e Ciad sono morte, a partire dalla
scorsa settimana, circa 400 persone. I due Paesi, circa due mesi fa, hanno
firmato un patto di non aggressione. Ma a questo
punto, tale accordo può dirsi superato? Salvatore Sabatino lo ha chiesto
a Massimo Alberizzi, africanista
del Corriere della Sera:
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R. – In realtà, quel
patto non è mai entrato in vigore, perché scaramucce ci sono sempre state ed
anche in questo periodo. C’è stata ora questa grande battaglia e naturalmente
c’è un nuovo scambio di accuse: il Ciad che accusa il Sudan e il Sudan che
accusa il Ciad. Non si saprà mai quale sia la verità.
C’è però da dire che, oltre ad una guerra reale, c’è anche una guerra di
propaganda. La fazione, ad esempio, con cui il Sudan ha fatto gli accordi del
Darfur in realtà non conta nulla; si è anzi spaccata ed il suo leader è
praticamente rimasto da solo.
D. – Gli scontri di
questi ultimi giorni e questo scambio di accuse molto pesanti non rischiano di
far precipitare ulteriormente la situazione?
R. – Sì, può essere
che sia stato voluto per far esercitare pressioni
sulla comunità internazionale affinché imponga al Ciad la presenza di un
contingente dell’ONU. Il Consiglio di Sicurezza ha votato l’invio di questo
contingente, ma con una clausola voluta dal grande protettore del Sudan, che è la Cina. Pechino sostiene che sì può inviare il contingente
solo se c’è, però, l’accordo del governo sudanese. Ovviamente, l’accordo
sudanese non ci sarà
mai.
D. – L’area in cui
sono avvenuti i combattimenti è molto particolare: migliaia di profughi si sono
riversati negli ultimi anni nel territorio del Ciad, proprio a causa della
difficile situazione in Darfur. Cosa rischiano, a questo punto, queste persone
inermi?
R. – Queste persone
inermi e, quindi i civili rischiano – come al solito –
di trovarsi in mezzo alla guerra e di essere così i più penalizzati e di
pagarne di più le conseguenze. Come ormai succede sempre di più nelle guerre,
muoiono molto più i civili che non i militari.
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- Un attentato
terroristico suicida di matrice jihadista
è stato sventato dalle autorità del Marocco stamani a Casablanca. I due
terroristi sono morti dopo un inseguimento con agenti della polizia marocchina
nel quartiere cittadino di El Fida. Il commando
puntava a colpire navi straniere ormeggiate a Casablanca e altre località
turistiche del Marocco. Si tratta del secondo attentato nel Paese africano dopo
quello dell’11 marzo nel quale un terrorista si è
fatto esplodere in un Internet cafè. I due terroristi
morti oggi facevano parte della lunga lista di individui ricercati dalle
autorità dopo l’attentato dell’11 marzo.
- In Iraq, 15 persone
sono morte per un attentato kamikaze nei pressi di un centro di reclutamento a
nord est di Baghdad. L’azione terroristica è stata compiuta da una donna, con
indosso un lungo abito nero, che dopo essersi avvicinata ai giovani ha azionato
il congegno esplosivo. Altre cinque persone sono rimaste uccise per
l’esplosione di un’autobomba nei pressi dell’Università di Baghdad. Una persona
è morta poi per un attacco sferrato davanti ad una scuola media. Sulla
difficile situazione dell’Iraq ha rilasciato, intanto, un’intervista
all’agenzia SIR l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons. Louis Sako. Solo un’alleanza tra i credenti delle diverse
religioni che porti al rifiuto del fondamentalismo – ha detto il presule –
potrà salvare l’Iraq.
- La Russia frena le
dichiarazioni di Teheran: secondo il governo di Mosca
non ci sono segnali che possano confermare una svolta
nel processo di arricchimento dell’uranio come invece sostenuto dall’Iran. La
Repubblica islamica, che ieri ha parlato di una produzione “a livello
industriale” ha ribadito di non voler sospendere le proprie attività nucleari.
- Nuovo incontro fra
il presidente ucraino, il filo-occidentale Viktor Yushenko, ed il primo ministro, il filo-russo Viktor Yanukovic, per discutere
sulla grave crisi istituzionale in atto nel Paese, dopo il decreto
presidenziale di scioglimento del Parlamento dello scorso 2 aprile. Intanto la
Corte Costituzionale, incaricata dai deputati di pronunciarsi sulla legittimità
costituzionale del provvedimento presidenziale, ha affermato che comincerà
domani l’esame del decreto. Cinque dei diciotto
giudici della Corte hanno già pubblicamente denunciato forti pressioni e hanno
chiesto protezione. Oggi, a Kiev, sono
previste massicce manifestazioni dei sostenitori di entrambe le parti.
- Quattro ex
paramilitari serbi sono stati condannati a pene detentive, tra i 5 e i 20 anni
di prigione, nell’ambito del primo processo in Serbia contro persone accusate
di essere implicate nel massacro di Srebrenica del
1995. Gli imputati – ha detto il giudice del Tribunale serbo per crimini di
guerra – sono
colpevoli di aver violato le leggi internazionali" e "di aver
commesso crimini contro la popolazione civile”. Si stima che le vittime del massacro di Srebrenica,
il più grave dopo la Seconda Guerra Mondiale, siano almeno 8 mila.
- Il
presidente portoghese, Anibal Cavaco
Silva, ha promulgato la legge che depenalizza in
Portogallo l’interruzione volontaria di gravidanza per decisione della donna
durante le prime dieci settimane di gestazione. La depenalizzazione era stata
approvata prima con un referendum lo scorso 11 febbraio e poi dal Parlamento
l’8 marzo. La Chiesa cattolica portoghese ha già reso noto che non collaborerà in
alcun modo con la legislazione sull’aborto, poiché si tratta di una “legge
ingiusta”. L’interruzione di gravidanza – ha dichiarato recentemente padre Carlos Azevedo, portavoce della
Conferenza Episcopale Portoghese (CEP) - costituisce “una mancanza di rispetto
della dignità della vita umana”.
- In
Messico, la Chiesa cattolica ha proposto l’indizione di un referendum per conoscere
l’opinione della società sul tema dell’aborto. Il presidente della Conferenza
Episcopale del Messico (CEM), mons. Carlos Aguiar Retes, ha ringraziato recentemente
il presidente del governo, Felipe Calderón, per la sua presa di posizione a favore della
vita. Il partito della Rivoluzione Democratica (PRD) ha chiesto, invece, che i
religiosi si astengano dall’esprimersi su questo
argomento. Il vescovo di Ecatepec, mons. Onésimo Cepeda, ha sottolineato
che la Chiesa ha facoltà giuridica di intervenire nel dibattito, soprattutto
perché si tratta di “principi morali" che riguardano tutti.
- Con gli ultimi
arresti di militanti dell’ETA ed alcuni suoi collaboratori, e con le
dichiarazioni fatte ad un giornale da alcuni dirigenti del gruppo armato, si conferma
che continua la minaccia di nuovi attentati da parte dell’ETA. Il servizio di Ignacio Arregui:
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La preoccupazione cresce mentre si avvicina la data delle prossime elezioni amministrative
del 27 maggio alle quali vorrebbe partecipare il movimento Batasuna,
considerato braccio politico dell’ETA e, attualmente, dichiarato illegale. Al ministero
dell’Interno è stata presentata una nuova associazione dell’ambito di Batasuna. Sembra la continuazione del partito, ma ha
modificato nome, organizzazione e obiettivi generali. In previsione di una
probabile bocciatura da parte del governo di questa nuova proposta, i militanti
di Batasuna hanno iniziato una campagna di iscrizione
di gruppi di candidati, a livello locale, per le prossime elezioni. E’ una operazione contro il tempo poiché dovrà terminare nei
prossimi quindici giorni, prima della chiusura del registro ufficiale dei
candidati alle elezioni. Da parte sua, ETA, nell’ultima dichiarazione resa
pubblica l'altro ieri e anticipata da un giornale
basco, ritiene che l‘impossibilità per la sinistra nazionalista radicale di
partecipare alle elezioni possa compromettere quello che resta dell’attuale
processo di pace. Intanto, però, dopo le informazioni fornite dagli ultimi
militanti arrestati e le dichiarazioni dell’ETA, tutti gli altri partiti
concordano nell’affermare che nell’attuale situazione, nonostante gli aspetti
discutibili della legge dei partiti, il vero problema è che l’ETA non decide
ancora la sua "scomparsa". Batasuna non
condanna, inoltre, esplicitamente la violenza armata dell’ETA. Le prossime
settimane, dunque, possono essere determinanti per le
possibilità non solo di una continuazione, sia pure parziale della
tregua, ma anche per la fine vera e propria del terrorismo.
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Cominciano ad arrivare i primi risultati parziali delle elezioni presidenziali
svoltesi ieri a Timor Est. L’attuale primo ministro Ramos
Horta raccoglierebbe circa il 30 per cento dei
consensi nella capitale Dili, seguito da Fernando de Araujo, ex prigioniero politico dell'Indonesia, con il 25
per cento. Sempre secondo i primi dati, si delineerebbe una sconfitta del
partito al potere, il Fretilin, il cui candidato
Francisco Guterres non otterrebbe che la terza
posizione. Al momento, comunque, sembra che nessun candidato raggiunga il 50
per cento dei voti: si prospetta dunque un ballottaggio, il 9 maggio prossimo.
- Le truppe
dell’esercito indiano hanno ucciso stamani otto separatisti ribelli, incluse
due donne, nell’estremo nord est del Paese. Gli insorti, appartenenti al Fronte
Unito di Liberazione di Asom (ULFA), combattono per
l’indipendenza del ricco Stato di Assam dal 1979. “I
militanti dell’ULFA hanno sparato sui nostri ragazzi e noi abbiamo reagito”, ha
chiarito un ufficiale dell’esercito. Il Fronte Unito di Liberazione di Asom è il principale gruppo di ribelli nella regione nordorientale dell’India.
- La Thailandia ha
prorogato lo stato d’emergenza nella parte meridionale del Paese. La zona, a
prevalenza musulmana, è da giorni teatro di violenze
che si protraggono ormai da tre anni, con un bilancio di oltre 2000 persone
morte a causa di lotte intestine.