RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 99 - Testo della trasmissione di lunedì 9 aprile 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
L’Ottava di Pasqua: in cammino verso la Pentecoste. La
riflessione di mons. Bruno Forte
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Russia: prossima la
costruzione della prima chiesa cattolica nella penisola della Kamchatka
GMG
di Sidney 2008: alla ricerca di giovani artisti da
tutto il mondo per il Festival della Gioventù
Sdegno ed aspre polemiche
politiche dopo l’uccisione in Afghanistan del interprete del giornalista
italiano Mastrogiacomo
9 aprile 2007
L’urgenza per gli
uomini e le donne di oggi d’incontrare Cristo. Appello
di Benedetto XVI al
Regina Caeli a non aver paura di annunciare
la Resurrezione di Gesù in tutto il mondo
Nasce dall’incontro con
Cristo la fede cristiana e non ha nulla da temere chi si affida a Gesù risorto:
lo ha ricordato il Papa nell’odierna festività del Lunedì dell’Angelo, a tutti
i fedeli raccolti a Castel Gandolfo,
dove Benedetto XVI è giunto ieri pomeriggio e dove resterà per una settimana,
fino a sabato prossimo per un periodo di riposo dopo gli impegni pasquali. Il
servizio di Roberta Gisotti:
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Un clima gioioso,
favorito da un’assolata giornata di primavera, ha pervaso l’incontro del Papa
con i numerosi fedeli assiepati nel cortile del Palazzo apostolico nell’amena
cittadina laziale, affacciata sul lago di Albano.
“Siamo ancora ripieni
del gaudio spirituale – è vero, si vede – e questo gaudio spirituale viene
dalle solenni celebrazioni della Pasqua, che realmente danno gioia al cuore dei
credenti. Cristo è risorto!”
“A questo mistero così grande” è dedicato
“l’intero tempo pasquale, che si conclude con la Pentecoste”, ben 50 giorni, ha
spiegato Benedetto XVI, celebrando il Lunedì dell’Angelo che apre l’Ottava di
Pasqua, a prolungare la gioia di questo evento straordinario. Poi il commento
alla liturgia, dove il racconto di san Matteo riporta all’incontro del Cristo
Risorto con Maria di Magdala e l’altra Maria, che “mosse dall’amore per Lui” si
erano recate alla sua tomba. “Non temete - disse loro Gesù - andate ad
annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno”. Ed “anche
a noi, oggi, – ha aggiunto il Santo Padre – come a queste donne che rimasero
accanto a Gesù durante la Passione, il Risorto ripete di non avere paura nel
farci messaggeri dell’annunzio della sua risurrezione”
“Non ha nulla da temere
chi incontra Gesù risuscitato e a Lui si affida docilmente. E’ questo il
messaggio che i cristiani sono chiamati a diffondere sino agli estremi confini
del mondo”.
La fede cristiana – ha
sottolineato il Papa - nasce non dall’accoglienza di una dottrina, ma
dall’incontro con una Persona, con Cristo morto e risuscitato.
“Nella nostra esistenza
quotidiana, cari amici, tante sono le occasioni per comunicare agli altri
questa nostra fede in modo semplice e convinto, cosicché dal nostro incontro
possa nascere la loro fede. Ed è quanto mai urgente che gli uomini e le donne
della nostra epoca conoscano e incontrino Gesù e, grazie anche al nostro
esempio, si lascino conquistare da Lui”.
Poi gli auguri e
l’invocazione alla Madonna
“…invoco Lei, la Regina Caeli, perchè mantenga viva la fede nella risurrezione in
ciascuno di noi e ci renda messaggeri della speranza e dell’amore di Gesù
Cristo”.
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L’Ottava
di Pasqua: in cammino verso la Pentecoste
Si apre domani l‘Ottava di Pasqua’, il periodo compreso tra la domenica di Risurrezione
e la domenica successiva, considerato come un unico giorno nel quale si dilata
la pienezza dell’incontro con il Risorto. Ma da dove prende il nome il Lunedì
dell’Angelo? Ce ne parla il teologo mons.
Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto,
intervistato da Giovanni Peduto
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R. – Questo lunedì viene tradizionalmente
chiamato Lunedì dell’Angelo perché con questo si vuole sottolineare un elemento
dell’evento pasquale e cioè quando la donna (Maria Maddalena) va al giardino e
si sente chiamare ed immagina che Cristo sia il giardiniere. In realtà in
questa immagine c’è qualcosa di molto bello, c’è l’idea del primo giardino del
mondo, il giardino del Paradiso Terrestre, che viene come ristabilito e
rinnovato da Colui che è Risorto. Ed è in questo incontro che la sua vita
cambia. Gli angeli hanno nell’evento pasquale una funzione, perché sono quelli
che in qualche modo annunciano a coloro che vanno al Sepolcro che il Cristo non
è più lì. Essi sono i testimoni che trasmettono la
gioia della bella notizia e l’esperienza del cuore nuovo che il Cristo è venuto
a donarci con la sua morte e risurrezione.
D. - Cosa significa vivere da risorti nella vita di tutti i giorni?
R. – L’esistenza cristiana è una esistenza
pasquale e cioè un’esistenza che unisce inseparabilmente morte e risurrezione;
dolore e gioia; oscurità e luce. E’, questa, una riflessione che dovrebbe
accompagnare sempre il cristiano proprio nella memoria del suo Battesimo, che è
l’immersione nel Mistero Pasquale. Questo concretamente vuol dire che non c’è
in questo mondo un’esistenza cristiana che non possa essere privata
dell’esperienza dell’oscurità o del dolore. Il Cristo è venuto a liberarci dal
peccato, il Cristo è venuto a dare un senso alla nostra sofferenza e alle
nostre tenebre, ma ne saremo pienamente liberi soltanto
quando lo contempleremo, faccia a faccia, nella gloria dell’Ottavo
Giorno, nella gloria della Pasqua ultima e definitiva della Gerusalemme del
cielo. In un certo senso lo stile pasquale dell’esistenza è vivere i giorni
feriali col cuore della festa.
D. - Inizia il tempo che prepara alla Pentecoste subito dopo la
celebrazione della Pasqua: come viverlo?
R. – Per eccellenza il tempo pasquale è il tempo della Chiesa. Il
libro degli Atti degli Apostoli è il Vangelo della Chiesa, che ci descrive
esattamente questo diffondersi ed irradiarsi della testimonianza pasquale nella
Chiesa nascente, da Gerusalemme al mondo intero. E’, dunque, il momento in cui
riscoprire la grande grazia di essere Chiesa, di essere stati tutti radunati
dal Risorto nella forza del suo spirito, che ci unisce attraverso la sua Parola
ed i Sacramenti, ma è anche il tempo in cui riscoprire l’urgenza di trasmettere
questo dono meraviglioso attraverso la testimonianza della carità, della fede e
della speranza sia nei rapporti quotidiani, sia in un rinnovato
slancio missionario verso coloro che ancora non conoscessero la bellezza del
Cristo.
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9 aprile 2007
Domani la chiusura della
Pasqua ebraica, che celebra la liberazione
del popolo d’Israele dalla
schiavitù d’Egitto
Si chiudono domani le celebrazioni
della Pasqua ebraica: la “Pesach"
dura otto giorni e commemora la liberazione dalla schiavitù d’Egitto del popolo
d’Israele per opera del primo grande intervento di Dio nella
storia umana, secondo il racconto biblico. Ce ne parla il prof. Piero Capelli, docente alla Facoltà di Lingue e Letterature
Straniere dell'Università "Ca' Foscari" di Venezia, al microfono di Stefano Leszczynski:
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R. - La parola “Pesach” è l’equivalente ebraico della
nostra Pasqua e viene da un verbo che vuol dire “oltrepassare”, “passare al di
là”, e quello a cui il verbo si riferisce è il fatto
che Dio nell’ultima notte prima della liberazione e quindi della partenza degli
ebrei dall’Egitto, visitò le case degli egiziani con la terribile decima pena,
quella della morte dei loro primogeniti, passando oltre le case degli ebrei che
erano state appositamente segnate con sangue di agnello, secondo le istruzioni
date da Dio stesso. E’ un racconto, dal punto di vista storico
abbastanza terribile, ma anche di una potenza immaginativa ancora
intatta dopo millenni.
D. - Oggi come si vive
R. – Per gli ebrei
D. – Quindi non soltanto un evento religioso così come lo possiamo
intendere noi cristiani, ma è un evento strettamente legato al sentirsi popolo?
R. – E’ strettamente legato al sentirsi popolo e questo certamente perché
nel racconto biblico la liberazione effettuata da Dio segna per gli ebrei la
nascita di Israele, non come Stato ma come popolo in cammino verso il proprio
destino, anche politico: alla fine dei 40 anni di attraversamento del deserto,
dopo l’esodo dall’Egitto, ci sarà l’arrivo nella Terra Promessa, la sua
conquista e l’insediamento come entità statale organizzata.
D. – Tra
R. – C’è una differenza nel fatto che la ricorrenza religiosa per gli ebrei
e per i cristiani cade in un momento leggermente diverso per questioni di
calendario, ma celebra essenzialmente due interventi di Dio nella
storia dell’uomo totalmente differenti: la liberazione di Israele dalla
schiavitù per gli ebrei e la liberazione dell’intero genere umano dalla
schiavitù del peccato e dalla morte attraverso il sacrificio del Messia e la
sua Resurrezione.
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La
resurrezione da un’esistenza priva di ‘senso’: la testimonianza
di un’ex
tossicodipendente, rinato a nuova vita
La risurrezione inaspettata in una
vita tormentata priva di significato: è la testimonianza di Claudio Previtali
che oggi, a 46 anni, è responsabile dei centri della Comunità Incontro di don Pierino Gelmini.
Un’esperienza di riscatto e rinascita da una realtà che sembrava senza via
d’uscita, racconta lo stesso Previtali al microfono
di Emanuela Campanile:
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R. – Sono entrato in comunità all’età di 20 anni per problemi legati
alla tossicodipendenza, in particolar modo all’eroina. Ho iniziato a 14 anni,
per caso, con degli amici: non avendo punti di riferimento nostri o anche
sociali, un po’ la noia, un po’ anche perché c’era poca voglia di costruire un
futuro in maniera concreta, cioè con il sacrificio, e c’era più la voglia di
poter arrivare a tutto e subito ... E così, chiaramente, quando hai queste idee
qui, queste stesse ti fanno entrare in un giro che è il giro del “tutto e subito e facile”.
D. – Quindi, mi pare di capire che fondamentale per la tua vita, per
questo cambiamento, è stato l’incontro con don Pierino Gelmini
e con la sua comunità. Una volta ritornato da questa
esperienza, la realtà che ti circondava con che occhi hai iniziato a guardarla?
R. – Anche se ero giovanissimo, avevo 20 anni, avevo bruciato un po’
tutto, perciò la realtà intorno era una realtà drammatica. Non avevo, al di là
della mia famiglia, persone che in qualche modo mi stimolassero
a cercare di uscire fuori da questa situazione. Poi, chiaramente, tra mille
difficoltà, iniziai un cammino che era fatto di regole: la mia vita non aveva
regole!
D. – Secondo te, allora, la regola che importanza ha?
R. – La regola è fondamentale e determinante. Nel momento in cui inizi
a fare un cammino, incominci comunque dentro di te, con l’aiuto degli altri, a
riscoprire la tua coscienza, e piano piano cominci
anche a capire che comunque essere liberi non significa avere un’immagine della
libertà che è senza freni; una persona libera è una persona che ha delle
regole. Perciò, andando avanti in comunità, ho capito che poi una persona per
poter progettare la sua vita, per potersi creare un nuovo stile di vita, ha
bisogno anche di regole.
D. – La tua è un’esperienza di rinascita. Puoi dire di aver ritrovato
la luce? Il Papa diceva appunto che è infelice chi non
ha la luce ...
R. – Per me, ogni Pasqua ha questo significato. Io adesso sono sposato,
ho due bambini, una moglie splendida ... trovarmi ad affrontare
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I media, l’informazione religiosa e i limiti di una lettura
dei fatti ecclesiali secondo categorie prevalentemente politiche
L’informazione religiosa viene
occupando maggiori spazi nella stampa italiana, specie nei quotidiani. Ma a
fronte di tale accresciuto interesse per
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R. – Quest’attenzione nei riguardi della Chiesa è da segnalare come un
elemento certamente positivo per il fatto che la Chiesa rappresenta un’istanza
significativa nei riguardi dell’attuale momento sociale e culturale. Il fatto
che se ne parli sta ad indicare che la Chiesa rappresenta un interlocutore
privilegiato anche della società civile. Da questo punto di vista, non possiamo
non rallegrarci del fatto che in questa forma appare ancora più evidente che il fatto religioso non è una dimensione semplicemente
privata ma ha una rilevanza anche pubblica, perché è un criterio originalissimo
della lettura della realtà. Non nego però che questa attenzione rischia di
essere strumentalizzabile: e qui credo che sia il punto delicato che occorre
invece superare per evitare che in qualche misura il messaggio della Chiesa possa
essere stiracchiato a destra o a sinistra, mentre al contrario la Chiesa ha di
mira unicamente il bene dell’uomo e, se vogliamo, il bene comune dell’intera
società. Non ha altro da difendere, da tutelare.
D. – Perché quando si parla dell’uomo, quando la Chiesa parla
dell’uomo attraverso la sua vita quotidiana, quando si parla di famiglia, i
giornali tendono a politicizzare l’informazione religiosa?
R. – Perché – ahimé! – siamo, così, l’occhio
privilegiato della stampa è quasi sempre prevalentemente politico: basterebbe
pensare che gli stessi giornalisti che si occupano di informazione religiosa,
rientrano nel grande ambito della redazione cosiddetta politica del giornale e
perciò il criterio di lettura già in partenza è in qualche modo condizionato da
questo tipo di lettura che, inevitabilmente, ‘taglieggia’
gli interventi della Chiesa tenendo conto di quest’unico obiettivo che invece è
estremamente lontano dalla prospettiva della Chiesa che è eminentemente
antropologica e pastorale.
D. –
R. –
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Dopo la
guerra, la costruzione della pace è affidata alle donne: l’esperienza di una
dottoressa congolese impegnata nella ricostruzione
dell’ex Zaire
“Dopo la guerra, la pace spetta
alle donne”. Se ne è parlato in questi giorni a Roma, in un Convegno
organizzato da Archivio Disarmo. Con il segretario dell’Istituto di ricerche
internazionali, Fabrizio Battistelli, e l’esperto di
geopolitica, Maurizio Simoncelli, anche la premio
Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini. Ad
affiancarli, numerose rappresentati di agenzie Onu,
di Organizzazioni non governative ma anche donne comuni, tutte impegnate in
Paesi attraversati da conflitti. Tra loro, ha preso la parola Colette Kitoga Habanawema, medico della Repubblica Democratica del Congo, che ha vissuto in prima persona la guerra
conclusasi ufficialmente nel 2003, ma con strascichi
anche successivi. Giada Aquilino l’ha
intervistata:
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R. - Non riesco a capire perché tutte le guerre, specialmente in
Africa, si siano scagliate di più contro le donne e contro i bambini. Ecco
perché ho lasciato il lavoro in ospedale e mi sono occupata di donne e bambini
in difficoltà. Durante il conflitto ho seguito sia i bambini soldato che fuggivano
dal campo di battaglia, sia le donne sopravvissute a violenze e abusi: queste
ultime le ho aiutate e soprattutto nascoste. Erano le donne ricercate perché
“dovevano” tacere.
D. - Che anni erano quelli della guerra nella Repubblica Democratica del Congo?
R. – Il conflitto è cominciato nel ’96 e fino al 2004 c’era ancora
guerra in alcune parti del Kivu, che poi è la mia
provincia.
D. – Dopo le elezioni di fine 2006 e la vittoria di Joseph Kabila, negli ultimi giorni sono scoppiati nuovi
scontri tra esercito governativo e fedelissimi dell’ex capo ribelle Bemba…
R. - Ero a Kinshasa in quei giorni. Si è
trattato di scontri di gente avida di potere. Dopo le elezioni - che sono state
veramente democratiche - bisognava dimostrare una certa maturità politica e
lasciare spazio a chi aveva vinto le consultazioni.
D. - Oggi qual è il ruolo della donna nel Congo
ex Zaire?
R. - La donna ha un ruolo importantissimo. Senza di lei nulla si può
fare, perché la donna rimane sempre la mamma e senza una mamma nessuna famiglia
può crescere, nessuna casa può funzionare. In Congo di fatto non ci sono più
lavori per gli uomini: sono le donne che portano sulle spalle il peso della
famiglia. Fanno un po’ di tutto, un lavoro che potremmo definire “senza nome”:
cioè una donna va al mercato solo con la volontà di lavorare onestamente e quei
pochi soldi che riesce a guadagnare servono a nutrire la sua famiglia.
D. – Che speranze ha il suo Paese?
R. - Speriamo nella pace duratura, vera. Siamo stanchi della guerra e
il nostro sogno è un domani in cui donne, bambini e uomini possano sorridere e
cantare insieme, come prima.
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La storia
della grande emigrazione italiana all’estero monito per evitare
intolleranze che
aggravano la condizione degli immigrati di oggi in Italia
Il tema dell’emigrazione, più in
generale della mobilità umana interpella le moderne società, sia nei Paesi
d’origine che nei Paesi ospiti o d’asilo, e pone interrogativi ai Governi
chiamati a gestire enormi flussi di individui, con i loro carichi di miserie quando si tratti di emigrazione economica, ma anche
di aspettative e speranze Roberta
Gisotti ne ha parlato con Gianfranco
Norelli, autore di inchieste giornalistiche
sull’emigrazione italiana negli Stati Uniti, Paese dove vive e lavora gran
parte dell’anno.
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D. - Norelli, ricordiamo in particolare il
tuo ultimo documentario “Pane amaro”, trasmesso su Rai Tre, dove si parlava di
eventi lontani, storie d’immigrati di 100 o 50 anni fa, costellate di sacrifici
e voglia di riscatto ma anche storie di intolleranze ed allarmi sociali negli società americana di allora…
R. - Questo evidentemente ci deve far riflettere sui pregiudizi che oggi
viviamo ogni giorno nei confronti dell’ondata di immigrati che è arrivata in
Italia. Quindi è importante riuscire a riflettere sul significato profondo
dell’immigrazione, e sul fatto che quando si arriva in un Paese nuovo si
ignorano molte delle regole, molti dei comportamenti sono sconosciuti, sono
difficili e l’adattamento è un processo complesso e doloroso e quindi spesso ci
sono delle gravissime ingiustizie, degli abusi che avvengono proprio per questa
mancanza di comunicazione, di comprensione reciproca.
D. – La storia monito per non ripetere gli errori del passato, eppure
sovente è emarginata nella programmazione televisiva nelle ore notturne,
esclusa quindi ai ragazzi ma anche al grande pubblico, mentre oggi si torna a
dibattere sull’opportunità di riportare la cultura in prima serata…
R. – Evidentemente alcune reti devono avere il coraggio di
confrontarsi sul piano della qualità - il mio documentario è andato in onda
alle 23.45 e questo, evidentemente, è un orario un po’ difficile per chi studia
e lavora, come è stato detto anche in articoli dei giornali e nelle recensioni
- quindi c’è questa dinamica, c’è questa difficoltà di prendere delle decisioni
difficili che a volte vengono penalizzate in quanto
audience ma che però, dovrebbero in realtà essere gratificanti dal punto di
vista della qualità.
D. – La ricerca dell’audience appare spesso quale alibi per proporre
in realtà dei programmi di facile consumo che abbassano poi il livello
socio-culturale di un Paese e quindi la televisione, pubblica e privata, viene
meno comunque ad un compito importante...
R. – Questo è un problema che non esiste solo in Italia, naturalmente
negli Stati Uniti lo vediamo in maniera molto chiara e anche in Inghilterra. Io
ho lavorato sia per
D. – Bisogna chiedersi però se allora va massificato tutto l’ascolto
oppure va differenziato...
R. – Quella è la strada vincente, quella di valorizzare, promuovere i
programmi di qualità e quindi fare uno sforzo anche di informazione del
pubblico, forse con un maggior numero di spots promozionali
o un maggiori opportunità di confronto con la stampa,
quindi almeno una rete è importante che faccia questa scelta.
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9 aprile 2007
Ultimate,
a Gerusalemme Est, le 70 nuove case fatte costruire
dalla Custodia francescana di Terra
Santa per altrettante famiglie cristiane
Sono ormai ultimate le 70 nuove
case fatte costruire dalla Custodia Francescana di Terra Santa a Betfage, a Gerusalemme Est, e tra qualche settimana
potranno essere assegnate ad altrettante famiglie cristiane. Lo rende noto il
quotidiano Avvenire, precisando che la pressante emergenza abitativa nel
territorio è una delle cause principali della fuga dei cristiani dal Paese.
Quello delle 70 abitazioni è solo l’ultimo, in ordine dei
tempo, dei cantieri della speranza promossi nel territorio dalla
Custodia Francescana. Nel novembre scorso, quando a
Gerusalemme si è tenuto il Congresso dei Commissari di Terra Santa, l’economo,
fra Abdel Masih Fahim, ha tracciato un quadro eloquente: “Nella Città
Vecchia – ha raccontato – abbiamo 392 famiglie che vivono nelle case della
Custodia o affittate per loro; a Betania 22 famiglie;
a Beit Hanina 40 e 23 a Dahiet El Barid.
E poi ci saranno i 70 nuovi appartamenti a Betfage”.
“Tutto questo – ha concluso – nella zona di Gerusalemme, ma non è ancora sufficiente:
le richieste sono molte di più”. (R.M.)
Grazie al sostegno della Chiesa italiana, nasce in
Nigeria un nuovo centro di accoglienza per le donne in difficoltà
Un nuovo centro
polivalente per donne in difficoltà, specialmente per le vittime della tratta
finalizzata allo sfruttamento sessuale: verrà
inaugurato il prossimo 11 luglio a Benin City, in
Nigeria, grazie al sostegno della Chiesa italiana. Per l’occasione, si sta
organizzando un viaggio informativo e formativo per suore impegnate in questo
campo che vogliano conoscere da dove provengano tante ragazze e donne nigeriane
costrette a prostituirsi in Italia. Lo ha confermato a Zenit suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata e incaricata
dell’ufficio “Tratta” dell’Unione Superiore Maggiori Italiane (USMI). La
struttura – ha spiegato la religiosa – è finalizzata “al contrasto della tratta
di donne e minori” e “avrà pure una comunità di accoglienza, di 18 posti letto,
che mira a far fronte a tante emergenze di giovani ritornate in patria per vari
motivi (rimpatrio volontario, espulsioni di massa, malattie mentali o altri
tipi di malattie), bisognose di protezione o rifiutate dalle famiglie”. “Questo
centro – ha aggiunto – è un dono della Chiesa italiana alla Conferenza delle
religiose di Nigeria”. Nell’attuazione del progetto, sono stati coinvolti il
Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo Mondo della CEI,
l’USMI, i Salesiani, la Caritas Italiana, la Conferenza delle religiose di
Nigeria e altre persone che hanno contribuito a vario titolo. “La disponibilità
per la supervisione dei lavori di don Vincenzo Marrone, salesiano, presente in
Nigeria da oltre 25 anni – ha poi spiegato suor Bonetti
– ha reso possibile ciò e la CEI ha finanziato con i fondi dell’8 per mille la
costruzione di uffici, di una casa di accoglienza per le ragazze e di una
comunità per le suore di diverse congregazioni che lavoreranno in questo
centro”. (A.M.)
Russia: prossima la costruzione della prima chiesa cattolica
nella penisola della Kamchatka
Grazie all’intervento
dell’opera “Aiuto alla Chiesa che soffre” (ACS), sorgerà tra breve la prima
chiesa cattolica nell’estremo oriente russo, a Pietropavlosk,
nella penisola della Kamchatka. Secondo quanto
riferisce l’agenzia SIR, il parroco polacco, padre Krzysztof
Kowal, da sei anni responsabile del mezzo milione di
fedeli di questa vastissima parrocchia dipendente dalla diocesi siberiana di Irkutsk, è riuscito ad ottenere dalle autorità russe il
permesso di costruire la chiesa, che sarà dedicata a Santa Teresa di Gesù
Bambino. I cattolici della Kamchatka sono, nella
maggior parte, discendenti di cittadini polacchi, lituani, bielorussi
e ucraini, deportati in questo lembo di terra affacciato sul mare di Bering
durante il regime sovietico. (L.Z.)
GMG di Sidney 2008: alla ricerca di giovani artisti da tutto il mondo
Per il Festival della
Gioventù
“Giovani
artisti di tutto il mondo cercasi”: è l’invito che il Comitato organizzatore
della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG) ha lanciato oggi ad artisti australiani
e di tutto il mondo per partecipare al Festival della Gioventù, una delle iniziative
del programma della GMG di Sidney 2008. Il Festival –
riferisce l’agenzia SIR – avrà la durata di tre giorni e prevede musica,
spettacoli, mostre, dibattiti, proiezioni, raduni nazionali e comunitari,
spettacoli di strada, laboratori e uno spazio dedicato alle vocazioni. “Sono
solo alcuni dei modi con cui incoraggiamo i giovani a esprimere in maniera
creativa la loro fede”, ha affermato il vescovo coordinatore della GMG, mons. Anthony Fisher. “Il Festival
della Gioventù – ha aggiunto – è un’occasione perfetta per i pellegrini di
condividere la loro cultura e fede, contribuendo allo stesso tempo
all’esperienza di quello che è destinato a essere un evento indimenticabile”.
Palcoscenico dei giovani artisti saranno parchi, campi da gioco, chiese, sale,
gallerie e spazi attrezzati all’aperto. Possono partecipare tutti: pittori,
scultori, attori, poeti, ballerini, movimenti, associazioni, singoli oratori e
altri artisti. I moduli e le informazioni per iscriversi sono disponibili nel
sito www.wyd2008.org. Le iscrizioni chiuderanno
il 26 ottobre prossimo. (R.M.)
Dati preoccupanti sul trattamento delle minoranze
in India:
tra i cristiani il più alto tasso di disoccupazione
In India, il tasso di
disoccupazione è più alto fra i cristiani rispetto ai membri di altre comunità
religiose. E’ quanto emerge dal rapporto ufficiale diffuso recentemente dal
governo indiano, dal titolo: “Occupazione e disoccupazione fra i maggiori
gruppi religiosi in India”. Il 4,4% dei disoccupati appartengono alla comunità
cristiana, in confronto all'1,4% della comunità indù. Per quanto riguarda, poi,
le donne cristiane nelle aree urbane e rurali, il tasso di disoccupazione sale
al 14%. Le cause del fenomeno sarebbero da attribuirsi soprattutto al basso
grado di alfabetizzazione e di istruzione, che ancora
affligge le minoranze cristiane. Il rapporto, basato su dati raccolti
nell’ultimo quinquennio, è stato elaborato dall’Ufficio Nazionale di
Statistica, che ha preso in considerazione le comunità indù, musulmane,
cristiane, sikh, jainiste,
buddiste e zoroastriane. Da parte sua, la comunità
cristiana ha proposto un “Libro Bianco sulle minoranze religiose”, che comprenda una analisi globale sulla situazione delle
comunità religiose in India e che offra un quadro sulle problematiche sociali
politiche e religiose che toccano le
minoranze. (F.L.)
9 aprile 2007
- A cura di Amedeo Lomonaco -
- In
Afghanistan ancora violenze nella turbolenta provincia meridionale di Helmand: sei soldati della NATO
sono morti ieri per l’esplosione di una mina al passaggio del loro convoglio.
Sempre ieri, i servizi segreti afghani ed il presidente del Consiglio italiano,
Romano Prodi, hanno confermato la notizia della barbara uccisione
dell’interprete del giornalista italiano, Daniele Mastrogiacomo.
Un portavoce dei talebani ha dichiarato che l’interprete afghano è stato ucciso
perché “il governo afghano non ha risposto
alle richieste” dei rapitori. Il nostro servizio:
*********
Il capo
dell’esecutivo italiano, Romano Prodi, ha definito “assurdo” l’omicidio
dell’interprete. Il giornalista Daniele Mastrogiacomo
ha parlato di “omicidio orribile, gratuito e vigliacco”.
All’angoscia per la notizia si aggiungono, poi, nuovi particolari che rendono
ancora più intricata la vicenda, costata la vita anche all’autista dell’inviato
italiano. I servizi
segreti afghani hanno accusato, infatti, il direttore dell’ospedale di Emergency, Rahmatullah Hanefi, di essere coinvolto nel
rapimento di Daniele Mastrogiacomo e dei suoi due
collaboratori. L’uomo, attualmente
detenuto a Kabul, ha ufficialmente ricoperto il ruolo di mediatore durante le
delicate fasi del sequestro. Ma
secondo i Servizi di intelligence afghani avrebbe consegnato gli ostaggi ad un
gruppo di talebani. Il fondatore di Emergency, Gino
Strada, ha subito definito “calunnie” tali accuse aggiungendo che proprio Hanefi era già stato determinante per la soluzione di un
altro sequestro. Hanefi – ha rivelato infatti Gino Strada criticando anche i governi di Roma e Kabul
- “ha consegnato due milioni di dollari
pagati dall’esecutivo italiano per il rilascio del fotoreporter Gabriele
Torsello”, liberato lo scorso 3 novembre. In Afghanistan proseguono, intanto,
le operazioni di ricerca di due cooperanti francesi e di tre afghani
sequestrati dai talebani, la scorsa settimana, nel sud del Paese. I rapitori
hanno chiesto il rilascio di almeno due guerriglieri ma
il presidente afghano, Hamid Karzai,
ha già escluso l’ipotesi di uno scambio di prigionieri. Nei giorni scorsi, Karzai aveva anche affermato di aver ricevuto “pressioni”
dalle autorità italiane per il rilascio di cinque talebani in cambio della
liberazione di Daniele Mastrogiacomo. In Italia,
infine, l’opposizione ha chiesto a Romano Prodi di recarsi in Parlamento per
rivelare tutti gli aspetti della vicenda ‘Mastrogiacomo’.
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- In Iraq, decine di
migliaia di iracheni hanno manifestato nelle città sciite di Kufa e
Najaf per protestare contro la presenza
militare americana in Iraq, quattro anni dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Era il 9 aprile
del 2003 e l’ingresso delle truppe statunitensi fu accolto da una folla
festante. Ma da allora le violenze continuano a scuotere il Paese arabo. Il
nostro servizio:
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Le cifre, dopo quattro
anni dalla caduta del regime di Saddam, sono drammatiche:
secondo il sito ‘Body count’ – che segue il conflitto dal primo giorno - le vittime
irachene, in gran parte civili, sono oltre 60 mila. Anche le perdite tra le forze
della coalizione sono pesanti: si stima che siano più di 3200 i soldati
americani morti ed almeno 260 i militari uccisi di altri Paesi della
coalizione. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite riferisce, poi, che circa
due milioni di iracheni sono fuggiti dal Paese. Sono inoltre quasi due milioni
gli sfollati che si trovano all’interno dei confini iracheni. Anche sul
versante economico, la situazione resta critica: più di un terzo della
popolazione vive sotto la soglia di povertà. Costellato di difficoltà il
percorso politico del nuovo Iraq: il 20 maggio
dello scorso anno si è insediato il governo di unità nazionale al termine di un
processo cominciato con la firma di una Costituzione provvisoria, mentre nelle
ultime elezioni, tenutesi il 15 dicembre del 2005, hanno vinto i partiti
sciiti. Ma l’obiettivo di un Paese più sicuro e stabile non è stato ancora
centrato. Ieri, intanto, è stato annunciato che il 3 ed il 4 maggio si terrà a Sharm el Sheikh,
in Egitto, una Conferenza internazionale per la stabilizzazione del Paese
arabo. All’incontro parteciperanno delegazioni di Paesi dell’area, i
rappresentanti del G8 e degli Stati membri permanenti del Consiglio di
sicurezza dell’ONU. Parallelamente, si svolgerà, sempre in Egitto, una riunione
dell’Iraq compact group sul piano quinquennale per la
ricostruzione dell’economia. Il piano è stato lanciato dalle Nazioni Unite in
collaborazione con la Banca mondiale.
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- “Ogni
giorno penso a quella tragedia”, uno dei capitoli “più
neri della storia dell’umanità”. E’ quanto scrive il segretario generale
dell’ONU nel messaggio in occasione del tredicesimo anniversario del genocidio
del Rwanda. Una pagina drammatica – avverte Ban Ki-moon - che non va dimenticata. Un orrore – aggiunge
– che richiede il massimo impegno per evitare in futuro una nuova, simile
catastrofe. Dopo aver ricordato le oltre 800 mila persone uccise “con brutalità
terrificante” e i caschi blu dell’ONU che hanno perso la vita
mentre esercitavano le loro funzioni, Ban Ki-moon indica una priorità: quella di adottare ulteriori misure
in grado di prevenire e reprimere il genocidio. I popoli minacciati da crimini
di guerra e contro l’umanità e da azioni di pulizia etnica – sottolinea il
segretario generale delle Nazioni Unite – potranno così ritrovare la speranza.
Ma per tramutare in realtà questa speranza – osserva Ban
Ki-moon – occorre coinvolgere governi, popolazioni,
mezzi di comunicazione, organizzazioni della società civile e gruppi religiosi.
- Strage
nelle Filippine: un uomo ha aperto il fuoco in una base per l’estrazione del
petrolio nell'isola di Jolo, causando la morte di
nove soldati e e civile. Lo
hanno reso noto fonti militari, anche se sono ancora
poco chiare le dinamiche dell'attentato. A Jolo è in
atto una ribellione islamica, alimentata soprattutto dalle attività
terroristiche del gruppo ‘Abu Sayyaf’,
da molti osservatori ritenuto vicino ad al Qaeda.
- Seggi aperti stamani
a Timor Est per le elezioni presidenziali: oltre 520 mila elettori sono chiamati
a scegliere il successore del presidente uscente, Xanana Gusmao.
L’affluenza è alta e le operazioni di voto si
svolgono tra ingenti misure di sicurezza. Il favorito è l’attuale primo
ministro José Ramos Horta ma
sembra comunque probabile un ballottaggio con il leader del Fronte
rivoluzionario per l’indipendenza di Timor Est (FRETLIN), Francisco Guterres. Timor Est, ex colonia portoghese occupata
illegalmente nel 1975 dall’Indonesia, è indipendente dal 2002.
- Si è aperta
ufficialmente, in Francia, la campagna elettorale per le elezioni presidenziali.
Ognuno dei 12 candidati avrà a disposizione spot per
una durata giornaliera complessiva di 45 minuti da trasmettere su 7 emittenti.
Gli ultimi sondaggi danno per vincente al primo turno il candidato della
destra, Nicolas Sarkozy. Seguono la socialista, Ségolène Royal, ed il centrista, Francois Bayrou. Il primo turno
delle presidenziali francesi è stato fissato per il prossimo 22 aprile.
L’eventuale ballottaggio si terrà il 6 maggio.