RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 96
- Testo della trasmissione di venerdì 6 aprile
2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
Oggi
su "L'Osservatore Romano"
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Tensione a Timor Est in
vista delle elezioni presidenziali di lunedì prossimo
Il
Papa e la Santa Sede
4 aprile 2007
Nella Messa
in Cena Domini il Papa spiega la Pasqua di Gesu’
ricorrendo agli
scritti di Qumran
L’amore di Gesù, che è
insieme Figlio di Dio e vero uomo, può salvare; è un amore, il suo, che lo
porta a donarsi liberamente per noi sulla Croce e la Messa in Cena Domini non è
altro che memoria della Croce e della Risurrezione di Cristo. Così Benedetto
XVI ieri pomeriggio durante la celebrazione che a San Giovanni in Laterano ha
aperto il Triduo Pasquale e nel corso della quale ha ripetuto il gesto della
lavanda dei piedi. Il servizio di Tiziana Campisi:
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Nell’Ultima Cena Gesù
si è manifestato quale servo di Dio lavando i piedi ai suoi discepoli, ha
lasciato nell’Eucaristia il memoriale della nuova alleanza, ci ha dato il
comandamento nuovo e ha pregato per l’unità dei credenti. Ricordano questo i
cristiani il Giovedì Santo, giorno in cui il “mistero meraviglioso” del dono di
Cristo, va meditato ancora di più. Da qui l’invito di Benedetto XVI a pregare
Dio perché ci aiuti a comprenderlo “sempre più profondamente”, “ad amarlo
sempre di più e in esso amare sempre di più Lui
stesso”. Nella sua omelia, il Papa, ha voluto spiegare meglio il significato
del sacrificio di Cristo chiarendo il senso della Pasqua ebraica e la novità
portata da Gesù. Se “al centro della cena pasquale” degli ebrei “stava
l’agnello come simbolo della liberazione dalla schiavitù in Egitto” e il
ringraziamento a Dio per aver “preso in mano la storia del suo popolo”, la cena
di Gesù è l’offerta del suo corpo e del suo sangue; “in luogo dell’agnello”
Cristo “ha donato se stesso”. E citando una catechesi di San Giovanni
Crisostomo il Santo Padre ha precisato:
“L’agnello
poteva costituire solo un gesto simbolico e quindi l’espressione dell’attesa e
della speranza in Qualcuno che sarebbe stato in grado di compiere ciò di cui il
sacrificio di un animale non era capace”.
In pratica, ha
sottolineato Benedetto XVI, l’antica “commemorazione dell’agire salvifico di
Dio”, l’haggadah pasquale, “è diventata memoria della
croce e risurrezione di Cristo”; la berakha, la
preghiera di benedizione e ringraziamento di Israele, invece, “è diventata la
nostra celebrazione eucaristica, in cui il Signore benedice” “pane e vino per
donare in essi se stesso”. “Nel momento in cui porgeva
ai discepoli il suo corpo e il suo sangue”, Gesù “ha offerto Egli stesso la sua
vita”, ha evidenziato il Santo Padre, “solo così l’antica Pasqua otteneva il
suo vero senso”. Cristo “era l’agnello atteso, quello vero”, ha proseguito
Benedetto XVI, “come aveva preannunciato Giovanni Battista all’inizio del
ministero pubblico di Gesù: ‘Ecco l’agnello di Dio,
ecco colui che toglie il peccato del mondo!’”:
“Ed è Egli
stesso il vero tempio, il tempio vivente, nel quale abita Dio e nel quale noi
possiamo incontrare Dio ed adorarlo. Il suo sangue, l’amore di Colui che è
insieme Figlio di Dio e vero uomo, uno di noi, quel sangue può salvare. Il suo
amore, quell’amore in cui Egli si dona liberamente per noi, è ciò che ci salva”.
“L’immolazione
dell’innocente ed immacolato agnello, ha trovato risposta in Colui che per noi
è diventato insieme Agnello e Tempio”, ha aggiunto il Papa che ha poi definito
la Croce il cuore della Pasqua nuova di Gesù:
“Da essa veniva il dono nuovo portato da Lui. E così essa rimane
sempre nella Santa Eucaristia, nella quale possiamo celebrare con gli Apostoli
lungo il corso dei tempi la nuova Pasqua. Dalla croce di Cristo viene il dono”.
Una “cena dai
molteplici significati”, quella celebrata da Gesù “con i suoi la sera prima
della Passione” ha detto il Santo Padre che ha voluto anche suggerire una
“possibile soluzione convincente” all’“apparente contraddizione” del racconto
che di essa ci hanno lasciato Giovanni e i Vangeli
sinottici. Il primo descrive che “Gesù morì sulla Croce, precisamente nel
momento in cui nel tempio, venivano sacrificati gli
agnelli pasquali” lasciando dedurre che “Egli morì alla vigilia di Pasqua e
quindi non potè personalmente celebrare la cena
pasquale”:
“Questo, almeno,
è ciò che appare. Secondo i tre Vangeli sinottici, invece, l’Ultima Cena di
Gesù fu una cena pasquale, nella cui forma tradizionale Egli inserì la novità
del dono del suo corpo e del suo sangue”.
Ma tenendo in
considerazione gli scritti di Qumran, ha proseguito
Benedetto XVI, i testi si conciliano:
“Egli però ha
celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di
Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata
senza agnello, come la comunità di Qumran, che non
riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del
nuovo tempio. Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello - no, non senza
agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo
sangue”.
La memoria della
croce, ha detto poi il Papa, “non ricorda semplicemente il passato”, “ci attira
entro la presenza dell’amore di Cristo”. E nel far memoria di tale amore, ha
concluso, bisogna pregare Dio perché ci aiuti ad amarlo sempre più:
“Preghiamolo di
aiutarci a non trattenere la nostra vita per noi stessi, ma a donarla a Lui e
così ad operare insieme con Lui, affinché gli uomini
trovino la vita – la vita vera che può venire solo da Colui che è Egli stesso
la Via, la Verità e la Vita”.
Dopo l’omelia
Benedetto XVI ha ripetuto il gesto compiuto da Gesù durante l’Ultima Cena, la
lavanda dei piedi, il mandato richiesto da Cristo per essere al servizio dei
fratelli, mentre, come atto di carità, i fedeli sono stati invitati a fare
delle offerte per il Dispensario medico di Baidoa, in
Somalia. Un gesto per rispondere all’invito che Gesù ci ha rivolto nella Sua
ultima ora: amatevi come io vi ho amati.
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Ma come è stata
accolta in Somalia l’iniziativa del Papa? Giancarlo La Vella
ne ha parlato con Davide Bernocchi, direttore
della Caritas Somalia:
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R. – Con un senso di
grande gratitudine verso il Santo Padre perché in questo momento si parla di
Somalia solo in termini di violenza, e quindi il fatto di riservare
un’attenzione ad un progetto di servizio, ad un progetto umanitario, credo sia
un segno di speranza, di considerazione – appunto – per le sofferenze di questo
popolo di cui poco si parla, e anche credo che tutti possano leggere in questo
un omaggio alle tante persone che hanno sacrificato la propria vita per la
giustizia e la pace in Somalia. L’ultimo esempio è stato quello di suor
Leonella Sgorbati, assassinata a Mogadiscio il 17
settembre dell'anno scorso.
In questo momento
particolare, l’emergenza primaria è legata ai profughi che a migliaia lasciano
Mogadiscio a causa degli scontri. Però, la Somalia è
in emergenza da 16 anni a questa parte e l’emergenza riguarda un po’ tutti i
settori: la gente non ha accesso all’acqua potabile, non ci sono scuole, non ci
sono servizi sanitari e quindi la situazione è veramente disastrosa!
D. – Dal punto di
vista politico, la Somalia è un terreno su cui si sono
scontrate e si scontrano varie realtà. Si riesce a intravedere uno spiraglio di
dialogo?
R. – In questo momento
è molto difficile vedere questo spiraglio perché, comunque sia, alle dinamiche
distruttive interne, proprie della società somala, si è aggiunta anche quella
militare esterna, per esempio, dell’esercito dell’Etiopia che a dicembre,
appunto, ha partecipato ad una guerra insieme alle istituzioni somale contro le
Corti islamiche, e questo purtroppo non ha fatto che complicare la situazione
interna. Direi che, se una speranza c’è, non è certo – dal mio punto di vista –
quella della soluzione militare ma quella del dialogo
interno tra somali, un dialogo che fissi delle regole e le rispetti, perché
comunque è innegabile che oggi, dal 2004 a questa parte, c’è un quadro
istituzionale che è quello delle Istituzioni federali di transizione,
all’interno del quale questo dialogo deve aver luogo.
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La Via
Crucis al Colosseo, presieduta da Benedetto XVI, con
le meditazioni di mons. Gianfranco Ravasi
“Rivivere la realtà
aspra e cruda di una vicenda aperta però alla speranza, alla gioia, alla
salvezza”. Con questi sentimenti mons. Gianfranco Ravasi,
prefetto della Biblioteca Ambrosiana, ha scritto le meditazioni che guideranno
stasera alle 21.15, al Colosseo, il tradizionale rito
della Via Crucis del Venerdì Santo, presieduto da Benedetto XVI. Il Papa
porterà la croce alla prima e all’ultima stazione: nelle altre stazioni si
alterneranno, oltre al cardinale vicario Camillo Ruini, alcuni giovani
provenienti da Cina, Repubblica Democratica del Congo,
Angola, Corea e Cile, una famiglia italiana e due religiosi francescani della
Custodia di Terra Santa. L’evento sarà seguito in diretta mondovisione da 67
televisioni di 41 Paesi. Anche la nostra emittente si collegherà in
radiocronaca diretta a partire dalle 21.05, con commenti in italiano, inglese,
francese, spagnolo e tedesco. Ma in che modo l’itinerario spirituale di questa
Via Crucis ha preso forma e parola nelle meditazioni di mons. Ravasi? Lo descrive in questo servizio Alessandro De Carolis:
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(musica)
Quattordici soste,
fatte di sangue e scudisciate, oltraggi e lacrime, pena fisica e dolore morale.
Quattordici icone dove la bestialità si contende con la misericordia, la
solidarietà grida accanto alla violenza, quasi che in una stessa unità di tempo
e spazio il meglio e il peggio della natura umana si fossero schierati fianco a
fianco per difendere o aggredire il divino, che appare alla loro mercé. E’ lo
scenario di una “tarda mattinata primaverile di un anno tra il 30 e il 33 della
nostra era”, come scrive mons. Ravasi, presentando le
sue meditazioni sulla Via Crucis, vicenda “aspra e cruda”, rivissuta con la
partecipazione del cristiano e l’occhio dello studioso. In modo costante, dalla
penombra dell’Orto degli Ulivi, che accompagna l’agonia e il tradimento di
Gesù, alla deposizione nel Sepolcro - ultima attesa prima di un mattino di
Pasqua che cambierà per sempre la storia umana - mons. Ravasi
entra ed esce dalla cronaca della salita al Calvario per rapportarsi con i vari
Golgota della nostra epoca. La folla che gode o soffre per lo scempio del
Nazareno non è poi tanto diversa, sembra dire, da quella che alimenta o
combatte le piaghe sociali del 21.mo secolo. Così, il
Cristo chino in preghiera, solo e angosciato prima dell’arresto, è il riflesso
di quei soli, scrive mons. Ravasi, in “attesa davanti
a una parete spoglia o a un telefono muto, dimenticati da tutti perché vecchi,
malati, stranieri o estranei”. Oppure Pilato, che
“incarna - dice - un atteggiamento che sembra dominare ai nostri giorni, quello
dell’indifferenza, del disinteresse, della convenienza personale”. Sulla faccia
del governatore romano brilla non tanto l’immoralità - che almeno genera un
sussulto - quanto la “pura amoralità”, quella che “paralizza la coscienza”. O
ancora il momento della compassione dolente, con le donne che si fanno incontro
al loro Rabbi ormai sfigurato, colui che “superando convenzioni e pregiudizi”
aveva dialogato con loro. Ecco che sulla Via della Croce, osserva mons. Ravasi, “si stringe dunque un mondo di madri, di figlie e
di sorelle”: immagine delle madri ebree e palestinesi, e di tutte le donne
violentate, emarginate, “in crisi e sole di fronte alla loro maternità”,
“sottoposte a pratiche tribali indegne”. Singolare e inquietante la descrizione
che mons. Ravasi di ciò che solitamente davanti alla
Croce esiste come rumore di fondo: la folla. E’ “il ritratto della
superficialità, della curiosità banale”, di chi cerca emozioni forti. “Un
ritratto - scrive l’autore delle meditazioni - nel quale si può identificare
anche una società come la nostra che sceglie la provocazione e l’eccesso quasi
come una droga per eccitare l’anima ormai intorpidita, un cuore insensibile,
una mente offuscata”. Ma calata l’eccitazione del sangue, ora che la morte ha
chiuso gli occhi di Gesù è essa stessa ad avere le ore contate. “La croce e il
sepolcro - commenta mons. Ravasi - non sono stati
l’estuario ultimo” della storia di Gesù di Nazareth, “bensì lo è stata la luce
della sua Risurrezione e della sua gloria”.
(musica)
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Il Papa
presiede nel pomeriggio la celebrazione della Passione del Signore. Il commento
di mons. Comastri sul Venerdì Santo
Il Papa presiederà nel
pomeriggio nella Basilica Vaticana la celebrazione della Passione del Signore
con l’adorazione della Santa Croce. Durante la Liturgia della Parola, viene riascoltato il racconto della Passione secondo
Giovanni. Terrà l’omelia il predicatore della Casa Pontificia, padre Raniero Cantalamessa. La Radio Vaticana trasmetterà la cronaca del
rito, in lingua italiana, a partire dalle 16.50 sull'onda media di 585 kHz e sulla modulazione di
frequenza di 105 MHz. Per una riflessione sul Venerdì
Santo ascoltiamo l’arcivescovo Angelo Comastri, vicario del Papa per lo
Stato del Vaticano e arciprete della Basilica di San Pietro, intervistato da Giovanni
Peduto:
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R. – Il Venerdì Santo
è la giornata nella quale noi dobbiamo rimetterci davanti alla Croce di Gesù
per prendere due lezioni. La prima lezione è la serietà del peccato: guardando
il Crocifisso si capisce che dramma si nasconde dietro il peccato. Il peccato
rende il figlio di Dio fatto uomo una vittima perché quando il santo, il
giusto, il buono, il puro, entra dentro questa storia è inchiodato alla croce,
allora questa storia è malata, è infetta, è segnata da una tragedia e questa
tragedia è il
peccato. La Croce, il Crocifisso, ci gridano la serietà del peccato. Il peccato
è la vera malattia dell’umanità. Il peccato è la causa di tutte le sofferenze,
è la causa di tutte gli squilibri, perché il peccato
ci stacca da Dio e Dio soltanto è il
punto di equilibrio della storia della creazione. Il Venerdì Santo ce lo ricorda. Dall’altra parte, il Venerdì Santo ci dice
anche che in questa storia segnata dal peccato Dio si è reso presente, Dio ci è
entrato dentro e ha messo dentro questa storia un infinito atto di amore. Gesù ha detto sulla croce: “Padre perdonali perché non sanno quello
che fanno” e come ultima parola, l’evangelista Giovanni che era presente sul
Calvario ha raccolto: “Tutto è compiuto”. Cosa vuol dire? Ho amato fino
all’ultima briciola, ho raccontato l’amore di Dio e ho collocato l’amore di Dio
dentro la storia. Da quell’atto d’amore, dall’atto di amore della croce parte
tutto il fiume di carità che attraversa la storia e che è il mistero stesso
della Chiesa. Da quell’atto di amore un persecutore come Saulo diventa un
apostolo, un apostolo innamorato come Paolo; da quell’atto di amore, un uomo
come Agostino, un uomo segnato dal peccato come Agostino, diventa un grande
santo, Sant’Agostino di Ippona. Da quell’atto di
amore nasce il cambiamento
di un giovane buontempone, gaudente, come Francesco di Assisi,
che diventa uno dei più grandi santi di tutti i tempi. Perché? Perché è stato lambito
dalla forza della Croce. Da quell’atto di amore nasce il cambiamento di un
sacerdote mediocre come Vincenzo de’ Paoli che diventa un apostolo
meraviglioso della carità in un secolo difficilissimo, diventa San Vincenzo de’ Paoli. Nella
Chiesa tutto il fiume della carità, tutto il fiume dell’impegno parte
dalla Croce e il Venerdì Santo ce lo ricorda: è il giorno che ci dice che cos’è
il male, ma anche ci dice che Dio ha messo dentro il male della storia e del
peccato un infinito atto di amore che è la redenzione.
D. – Il Venerdì Santo
la Chiesa ci pone davanti il Cristo che soffre e muore sulla Croce: tuttavia il
cristianesimo non è una religione dolorista …
R. – Non è una
religione dolorista ma è la religione che affronta il
dolore: è già una risposta al dolore, perché il dolore c’è, il dolore non c’è
bisogno di inventarlo, il dolore ormai è nella storia ed è presente nella
storia perchè la storia è malata, perché la storia si è staccata da Dio, perché
l’uomo ha peccato, perché la libertà umana è diventata orgoglio ed è diventata
quindi una libertà che si è crocifissa, che si è mutilata, che si è in qualche
modo condannata alla sofferenza, perché perdere Dio non è come perdere il
cappello, perdere Dio vuol dire perdere tutto, vuol dire perdere l’infinito,
perdere il senso di tutto; quindi il dolore c’è, il dolore non l’ha inventato
la Chiesa, il dolore non l’ha inventato il cristianesimo; il cristianesimo ha
portato la Salvezza del dolore, ricordandoci che dentro il dolore Dio è
entrato, quindi Dio abita anche nel dolore, quindi il dolore è vinto, quindi il
dolore può acquistare una finalità, il dolore può diventare un’occasione per
amare di più, perché a noi interessa il dolore nella misura in cui può
diventare l’occasione per crescere nella carità e per uscire dall’egoismo.
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La Congregazione per le Chiese Orientali promuove la
tradizionale Colletta del Venerdì Santo a favore dei cristiani di Terra Santa
La Congregazione per
le Chiese Orientali, come è tradizione il Venerdì Santo, ha inviato ai pastori
e ai fedeli cattolici di tutto il mondo una lettera-invito a contribuire con
generosità ai bisogni delle comunità cristiane che vivono in Terra Santa in
mezzo a crescenti difficoltà. Si tratta della Colletta pro Terra Sancta, una iniziativa che si
svolge ogni anno per mandato pontificio: la prima Colletta risale a papa
Martino V, che stabilì nel 1421 le norme circa la raccolta delle offerte. Giovanni
Peduto ha sentito in proposito il segretario della Congregazione per le
Chiese Orientali, l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò:
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R. - L’occasione ci è
data dal Venerdì Santo, giorno nel quale ogni cristiano torna spiritualmente ai
luoghi della Redenzione. Proprio là, dove la memoria cristiana è tanto antica e
tanto eloquente, i discepoli di Cristo, come “pietre vive”, sono chiamati anche
oggi a prolungare la testimonianza evangelica mai interrotta nei due millenni
della storia cristiana.
D. - Nella lettera
della Congregazione si lancia un appello urgente a sostenere i cristiani della
Terra Santa, dove si registrano ogni giorno "inaudite sofferenze".
Qual è la situazione delle comunità cristiane?
R. - Il pesante
conflitto armato e la conseguente insicurezza, con i risvolti particolarmente
negativi a livello sociale ed economico, educativo ed assistenziale, incidono
sulla vita delle famiglie e sul futuro dei giovani, tentando talora di spegnerne
la speranza. Le comunità cristiane si sentono spesso impotenti, ma non vengono
meno alla loro missione essenziale: condividere ogni povertà, alimentando la
fede e la fiducia in Gesù Cristo, Signore della storia, e su questo patrimonio
spirituale sostenere i cristiani a rimanere in Terra Santa, sconfiggendo da un
lato la tentazione di emigrare e dall’altro crescendo nella solidarietà, come
nella inderogabile collaborazione ecumenica e interreligiosa.
D. - Quali sono le
necessità più urgenti? E a chi in particolare saranno devolute quest’anno le
offerte?
R. - La precarietà
estrema del lavoro penalizza la vita di tutti a livello familiare, sociale ed
ecclesiale. I pastori devono spesso farsi carico della urgenza occupazionale,
delle necessità scolastiche ed assistenziali di strati sempre più vasti della
popolazione cattolica e non cattolica. Da alcuni anni alla nostra lettera pro
Terra Sancta si unisce un resoconto delle principali
opere straordinarie realizzate sia dalla Congregazione sia dalla Custodia dei
Frati Minori. Ma va ricordato con particolare apprezzamento anche l’impegno
ordinario pastorale e caritativo del Patriarcato Latino di Gerusalemme e delle
altre comunità orientali cattoliche, coordinato dalla nostra Congregazione con
il supporto indispensabile della Rappresentanza Pontificia di Terra Santa. Un
obiettivo prioritario di questi anni è, però, l’attenzione al problema
abitativo, soprattutto per le giovani coppie.
D. - La lettera
sottolinea anche la responsabilità che incombe sulla Chiesa universale a
riguardo della Chiesa Madre di Gerusalemme…
R. - Certamente la
città storica di Gerusalemme è un richiamo luminoso per tutti, col suo nome e
la sua vocazione di pace. E’ la città dei discepoli del Signore e dei credenti
nell’unico Dio, ebrei e musulmani. E’ la memoria visibile delle nostre origini
cristiane ed ecclesiali: il futuro è imprescindibile da esse.
Ci ricorda che Dio ha visitato in Cristo il suo popolo, lo ha redento ed è
sempre al suo fianco. Ci invita a formare la Chiesa, città spirituale
incamminata verso la Gerusalemme celeste ed eterna. Veramente come dice il
salmo: “Tutti là siamo nati”. E’ la madre che i figli non possono dimenticare.
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Oggi su
"L'Osservatore Romano"
Servizio vaticano -
Giovedì Santo: la Messa in Cena Domini celebrata da Benedetto XVI a San
Giovanni in Laterano.
Servizio estero - In
rilievo l’Afghanistan: sangue a Kabul per un nuovo attentato suicida.
Servizio culturale - Sabato
Santo; un articolo di Danilo Veneruso dal titolo “Il
confronto dell’uomo con il mistero”.
Servizio italiano - In
primo piano sempre la vicenda Telecom.
Oggi
in Primo Piano
4 aprile 2007
La soddisfazione della comunità internazionale per la decisione
dell'Eritrea di vietare la mutilazione genitale femminile
Grande soddisfazione nella
comunità internazionale per la decisione del governo eritreo di proibire la
pratica della mutilazione genitale femminile. La
misura è retroattiva, essendo entrata in vigore il 31 marzo. I contravventori
andranno incontro a multe e anche alla prigione. Si calcola che nel mondo ogni
anno circa 3 milioni di bambine e adolescenti subiscano tale pratica barbara e
che in totale siano circa 140 milioni le donne che l’hanno già subita. Debora Donnini ha chiesto a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, quanto è importante nella lotta alle mutilazioni genitali femminili questo provvedimento
adottato in Eritrea:
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R. – E’ un provvedimento importantissimo,
perché avviene in un Paese nel quale le mutilazioni genitali
femminili sono state e sono largamente praticate. Quindi, non c’è modo
migliore per fermare una pratica così brutale che avere una legge che la proibisca. E’ importante che avvenga in Africa, perchè è un
continente piagato da questa terribile pratica, ma è il continente nel quale
negli ultimi decenni sono stati fatti passi avanti, sia in termini di
mobilitazione di gruppi femminili, di organizzazioni non governative e di
governi, fino ad arrivare pochi anni fa al protocollo di Maputo,
che è uno strumento giuridico molto importante, a tutela delle vittime delle mutilazioni genitali femminili.
D. – Questa legge è un passo importante,
anche se sicuramente è necessario intervenire, anche a livello di istruzione…
R. – Sì, bisogna aggirare questo fenomeno
per reprimerlo in maniera netta da più parti. Intanto, c’è bisogno di una
legge, perché senza una legge, che è un riferimento normativo che vieta questa
pratica definendola illegale, non si può fare nessun passo avanti. Quello che
la legge non prevede, perché forse non è neanche compito suo, è quello di una
formazione della sensibilizzazione dell’opinione pubblica, delle donne in
particolare, e di tutti i gruppi che possono sul piano professionale – penso in
primo luogo ai medici – fare qualcosa per convincere chi pratica le mutilazioni
e poi chi le subisce che si tratta di violazioni di un diritto fondamentale,
che è quello all’integrità fisica della persona umana.
D. – Questa pratica è più legata alla
cultura…
R. – Sì, sono pratiche tradizionali, che,
tra l’altro, si muovono anche con i flussi migratori. Quindi, acquistano una
dimensione abbastanza globale. Molto spesso le bambine subiscono questa pratica
contro la propria volontà ed hanno, in qualunque modo siano
praticate, in qualunque forma, delle conseguenze fisiche e psicologiche
devastanti e spesso permanenti. Insorgono complicazioni fisiologiche,
disfunzioni, infezioni, complicazioni psicologiche e sessuali, che hanno un
impatto permanente sulla vita di migliaia di donne ogni anno.
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Rievocata in un libro la storia dei martiri
cristiani in Cina
durante il regime maoista
“Noi
sappiamo bene che i nostri fratelli e sorelle in Cina hanno dovuto affrontare, nell’arco di questi 30 anni prove difficili e prolungate. In
quelle dure sofferenze essi hanno dato la prova della loro fedeltà in Cristo e
alla sua Chiesa”. Così Giovanni Paolo II invitava, nel giorno dell’Epifania del
1982, i vescovi di tutto il mondo a pregare per la Chiesa in Cina. Gerolamo Fazzini, condirettore della rivista del PIME Mondo e
Missione, ha ricostruito, attraverso le storie di preti e laici cinesi
sopravvissuti ai campi di prigionia, le persecuzioni subite durante il regime
maoista a causa della fede. Ne è uscito "Il libro rosso dei martiri
cinesi". Antonella Villani gli ha chiesto
cosa accomuna queste testimonianze:
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R. - Sono
due elementi: da un lato la brutalità e la violenza del regime maoista e della
persecuzione da esso adottata nei confronti dei
cristiani e in generale di tutti gli oppositori politici e culturali. Un
secondo dato è la grande fede di tutte le persone che nel libro parlano. Fede
che, appunto, essi testimoniano all’interno di un contesto difficilissimo,
fatto di prove fisiche, di torture, di violenze psicologiche. Prove che, non
dimentichiamolo, spesso mettono la fede dei protagonisti a durissima prova.
Queste persone arrivano spesso a chiedersi dov’è finito Dio, vivono l’angoscia,
vivono esattamente tutte le difficoltà, i timori e le titubanze che avremmo
vissuto noi, però le superano esattamente in valore della loro fede, davvero
grande.
D. - C’è
un episodio che l’ha colpita particolarmente?
R. - A un
certo punto, in uno dei diari di questi preti rinchiusi per tanti anni in detenzione,
si narra la conversione di un compagno di prigionia di questo prete che si
avvicina al cristianesimo precisamente vedendo la grande serenità con la quale
il suo compagno viveva la sua situazione. E’ paradossale, il campo di lavoro,
nella logica maoista, aveva il compito di forgiare l’uomo nuovo nel senso
dell’ideologia e invece qui vediamo l’uomo nuovo che nasce dal Vangelo e
rinasce alla vita eterna proprio nel posto che meno sembrerebbe indicato perché
tutto questo accada.
D. -Le
storie dei martiri diventano quindi una lezione di vita e di fede...
R. - Credo
che la forza di queste testimonianze sia proprio nella loro autenticità e nella
loro precisione anche del racconto, dei dettagli di vita che vengono
espressi. Dall’altro lato, viene fuori anche la grande statura umana di queste
persone ma anche la loro fede continuamente verificata. Tutto questo colpisce
molto perchè leggendo si è portati ad immedesimarsi, anche se poi tutti i
lettori sperimenteranno alla fine la grande distanza tra la loro fede eroica e
la nostra un po’ accomodante.
D. -
Queste storie si riferiscono a una Cina di 50 anni fa.
Qual era la situazione in quel periodo?
R. - Si
riferiscono in generale all’epoca maoista che va dagli anni ’50 alla fine degli
anni ’70. In tutto quel periodo la persecuzione anticristiana è stata molto violenta.
Decine di migliaia di persone sono state incarcerate, hanno subito violenze,
molte sono state uccise, è impossibile fare un conto preciso dei martiri in
questo senso. Quello che è certo è che si è cercato per vari anni di fare
tabula rasa della Chiesa cattolica in Cina e il potere ha cercato con la forza
di mettere la parola fine sul cristianesimo in terra cinese ma proprio la
sofferenza e il martirio - come è stato sempre un po’ nella storia della Chiesa
- ha rafforzato la fede e ha fatto germinare nuove generazioni di credenti.
D. - Oggi
rispetto al passato che cosa è cambiato?
R. - Non
esiste più la persecuzione nei termini in cui la si
percepisce leggendo il libro rosso dei martiri cinesi. Quello che non è
cambiato è il presupposto dell’azione del governo e del partito che è il suo
braccio, e cioè la pretesa del governo di controllare tutte le espressioni
pubbliche della fede. La legge cinese prevede un generico diritto di credere ma
nel chiuso della propria stanza, mentre invece l’espressione pubblica della
fede è soggetta al controllo dello Stato e quindi non si tratta più di un
riconoscimento di un diritto soggettivo inalienabile della persona
ma di una concessione che viene data dalla Stato.
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Chiesa
e Società
4 aprile 2007
Le celebrazioni del Venerdì Santo in Terra Santa tra i pellegrini
di tutto il mondo, cattolici,
ortodossi e protestanti per la concomitanza
della
ricorrenza pasquale
Sulla via Dolorosa
e sul Calvario la Chiesa di Gerusalemme fa oggi memoria della crocifissione e
morte di Gesù. Migliaia e migliaia di fedeli, la stragrande maggioranza
pellegrini venuti da ogni parte del mondo - e sono cristiani cattolici, ortodossi
e protestanti per la concomitanza della ricorrenza pasquale - in processione
ininterrotta fin dalle prime luci del giorno, hanno pregato nella città
vecchia, sostando davanti alle stazioni della Via Crucis, ripercorrendo così il
cammino del Signore dal luogo della sua condanna a quello del patibolo e a
quello, vicinissimo, della sua Resurrezione entrambi inglobati nella basilica costantiniana del Santo Sepolcro. Qui di prima mattina
proprio "nel luogo detto del Cranio", in ebraico Golgota, testimone
della passione e morte del nostro Redentore e, come dice la liturgia, “centro
della terra, dove il genere umano ha ricevuto la rigenerazione nel suo sangue”,
la Chiesa latina ha celebrato la liturgia della Parola, facendola seguire dalla
preghiera universale e, particolarmente emozionante, dall’adorazione della
reliquia della Croce. Ha presieduto mons. Kamal-Hanna
Batish, ausiliare del patriarca Sabbah,
attorniato da membri del clero patriarcale e dai frati minori francescani
custodi dei luoghi santi. A conclusione una suggestiva cerimonia eucaristica:
diaconi, ceroferari, presbiteri ed il vescovo sono
andati in processione all’edicola dell’Anastasi per
prelevare la pisside con il Santissimo Sacramento deposta
ieri proprio sul Sepolcro del Signore. Riportata sul Calvario dopo il canto del
Padre Nostro e del passo sull’Apocalisse (“Essi hanno vinto per il sangue
dell’Agnello”) è stata distribuita la comunione.Ieri
sera al Getsemani nella basilica gremita di fedeli il
custode di Terra Santa padre Pierbattista Pizzaballa ha guidato l’Ora santa di adorazione Nella tarda
mattinata odierna ha presieduto una Via Crucis in lingua italiana; e nel Santo
Sepolcro – ove si susseguono anche le cerimonie liturgiche delle varie Chiese
ortodosse – accompagnerà stasera con i frati francescani la processione con la
statua di Gesù deposto dalla Croce. (A cura di
Graziano Motta)
La
Settimana Santa in Spagna: tante le manifestazioni liturgiche
e di
devozione popolare. Richiamo dei vescovi alla coerenza
con lo
spirito religioso delle feste pasquali
In quasi tutte le
regioni della Spagna la Settimana santa è vissuta non solo liturgicamente ma
anche con grandi manifestazioni popolari di lunga tradizione, in particolare
con rappresentazioni sceniche e processioni per le strade delle città storiche.
Un elemento fondamentale in queste processioni sono le statue religiose o ”pasos”, per la maggior parte di notevole valore storico o
artistico, che vengono portate dai fedeli appartenenti
alle diverse associazioni o “cofradias”. Tra le
statue di queste processioni ci sono autentici capolavori di arte religiosa
dovuti a scultori come Berruguete, Salzillo, Gregorio Fernandez o
Mena. Benché sia Siviglia la città più conosciuta dal turismo internazionale
per le sue celebrazioni della Settimana Santa vanno ricordate anche Granada, Malaga, Cuenca, Zamora o Valladolid. Tra le
migliori rappresentazioni sceniche va riconosciuto al primo posto il nome della
città di Esparreguera nella Catalogna, non lontano da
Barcellona. Circa 600 uomini e donne della città partecipano ad uno spettacolo
di origine medievale diviso in due parti: la vita e la Passione di Gesù.
Quest’anno le rappresentazioni sono iniziate il mese di marzo, e con
periodicità settimanale continueranno fino al 1 maggio. La Settimana santa, ed
in particolare il Triduo sacro continua dunque ad essere al centro
dell'attualità in questo periodo dell’anno in Spagna, mentre i vescovi
insistono nella necessità di essere fedeli al significato e allo spirito di
queste manifestazioni religiose. Giovedì e Venerdì santo sono giorni festivi in
Spagna e quindi un’occasione per fare turismo religioso o semplicemente per
prendersi alcuni giorni di vacanze. Purtroppo, le piogge hanno colpito in particolare
le zone di interesse turistico del sud e della costa del Mediterraneo. (A cura di padre Ignacio
Arregui)
In Costa
d’Avorio “si è aperto un tempo di speranza”: così,
il nunzio apostolico,
mons. Cassari, durante la Messa
in Coena Domini ad Abidjan
“Credo
fermamente che un tempo di speranza più che mai reale si sia aperto per il
nostro Paese, la Costa d’Avorio”: è quanto ha affermato ieri sera
il nunzio apostolico, mons. Mario Roberto Cassari,
durante la Messa in Coena Domini nella
parrocchia di San Pietro, a Yopougon, uno dei
quartieri più popolosi di Abidjan, la capitale economica della Costa d’Avorio.
Dopo aver fatto cenno alla lavanda dei piedi – riferisce l’agenzia MISNA – come
gesto simbolico che concretizza la necessità di essere al servizio gli uni
degli altri, il presule ha sottolineato che questo servizio non è richiesto
solo in ambito ecclesiale, ma anche civile: occorre mettersi a servizio del
bene comune della nazione – ha precisato – “rispettarsi, malgrado
le divergenze di opinione, riconciliarsi e perdonarsi!”. Facendo poi riferimento
esplicito agli accordi di pace firmati a Ouagadougou
dal presidente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, e dal rappresentante delle Forze Nuove, nominato in
questi giorni primo ministro, Guillome Soro, grazie all’opera mediatrice del presidente del Burkina Faso, il nunzio ha
invitato a non sprecare questo momento di grazia: “Che questo tempo di speranza
– ha esortato – non sia dilapidato! Perché è arrivato finalmente il tempo di
scoprire il vero senso dell’amore, del dialogo, del rispetto reciproco, del
perdono reciproco, della fraternità, dell’unità e della pace”. “Bisogna
ringraziare il Signore – ha poi aggiunto – ma occorre
anche ringraziare tutti coloro che hanno lavorato bene e alacremente in questo
senso. Conserviamo la speranza, perché le grandi luci all’orizzonte possono
fermare le divisioni che hanno scosso la nazione”. (R.M.)
Pubblicato il
Rapporto 2007 sui cambiamenti climatici: drammatiche
conseguenze dell’aumento delle temperature per ambiente e
salute
L’innalzamento della
temperatura media globale di 2-2,5 gradi rispetto al presente “potrà causare un
forte aumento degli impatti”, con spostamenti geografici di specie, perdite
totali di biodiversità, riduzione della produttività
agricola e delle risorse idriche, e drammatiche conseguenze per la salute: è
quanto emerge dal Rapporto 2007 sui cambiamenti
climatici, varato stamani a Bruxelles dal Panel intergovernativo sul
cambiamento climatico (IPCC), che riunisce esperti dell’ONU e
dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO). La presentazione del documento
di 1.400 pagine, stilato da 2.500 scienziati in sei anni, era stata rinviata di
qualche ora per il veto posto dai delegati di Stati Uniti, Cina e Arabia
Saudita, che hanno definito il testo “troppo duro”. Il
Rapporto punta il dito contro il surriscaldamento globale causato dalle
attività umane degli ultimi decenni, che avrà conseguenze “negative” su tutte
le regioni del mondo. “Le proiezioni climatiche relative agli impatti sulla
salute – spiegano gli scienziati – prevedono uno scenario drammatico in
particolare per le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo”. Il documento
parla di “aumento della malnutrizione e dei rischi di malattie infettive e
respiratorie, aumento di mortalità a causa di eventi più
estremi come onde di calore, alluvioni, tempeste e siccità e aumento
della frequenza delle malattie cardio-respiratorie a
causa dell’aumento delle concentrazioni di ozono troposferico
a livello superficiale”. Gli impatti dei cambiamenti climatici – dicono gli
esperti dell’IPCC – “sono già in atto a livello globale e regionale e saranno
più forti nel futuro”. Le aree colpite da siccità aumenteranno in estensione,
con gravi conseguenze sull’agricoltura, specie nelle basse latitudini.
Aumenteranno poi gli eventi di più intensa precipitazione, come anche i rischi
di alluvioni. In Africa, in particolare, entro il 2020 milioni di persone
saranno esposte a un forte aumento di "water stress". Inoltre, con un
aumento della temperatura media globale di 1,5-2,5 gradi, si avrà un maggiore
rischio di estinzione per circa il 20-30% delle specie vegetali ed animali. In
Australia e Nuova Zelanda, in particolare, le
proiezioni climatiche stimano una forte perdita di biodiversità
entro il 2020. Tra gli ecosistemi più colpiti: la tundra, le foreste boreali,
le mangrovie, le barriere coralline, le aree costiere e i sistemi mediterranei.
Da Bruxelles, gli esperti lanciano a tutti i governi del mondo un appello ad
agire per cercare di ridurre i danni. “Adattarsi ai cambiamenti climatici in
corso – ribadiscono – è necessario ora, perché già dobbiamo fronteggiare
impatti negativi dovuti ai gas emessi nel passato e che generano l’effetto
serra. Mitigare queste emissioni può ridurre, ritardare o evitare questi
impatti negativi”. (A cura di Roberta
Moretti)
Ancora 100
dispersi per lo tsunami che domenica sera ha
colpito
le Isole Salomone,
mentre cresce l’allarme epidemie
È arrivato a 32 morti accertati il bilancio
dello tsunami che domenica sera ha devastato la provincia ovest delle
Isole Salomone, nell’Oceano Pacifico del sud, ma la stima dei decessi potrebbe
salire notevolmente. Dal ministero australiano per gli Affari Esteri, fanno
sapere che al momento i dispersi sono 100: “Ci prepariamo ad un aggravamento
del numero di morti accertate”, affermano. Intanto – riferisce AsiaNews – con
fatica sono arrivati ieri i primi soccorsi. L’aeroporto di Gizo,
capoluogo provinciale, ha ripreso a funzionare, aprendo così la via agli aiuti
aerei dalla capitale, Honiara. Si teme però che i
villaggi più colpiti dall’onda anomala non riceveranno in tempi brevi i
soccorsi e le agenzie umanitarie lanciano un nuovo allarme epidemie. Di ieri,
la notizia che a Gizo numerosi bambini hanno
cominciato a soffrire di dissenteria e, mentre si registrano focolai di
malattie dovute ad acqua inquinata, il rischio più grande è che si generi
un’epidemia di malaria. “È una corsa contro il tempo”, sottolinea il direttore
esecutivo di Oxfam per la Nuova
Zelanda, Barry Coates.
Jamie Isbiter, a capo dei
programmi di intervento per Caritas Australia, spiega: “Le necessità
primarie ora sono accesso ad acqua potabile, cibo e assistenza sanitaria
adeguata”. “Fornire abitazioni provvisorie per l’emergenza – aggiunge – sarà
l’obiettivo della prossima fase di aiuti”. (R.M.)
Se l’Africa non sconfiggerà la miseria, anche il resto della terra
“non avrà alcuna speranza”: così, l’Alto
rappresentante ONU
per i Paesi
meno sviluppati, Chowdhury
Il mondo non raggiungerà gli
‘Obiettivi di sviluppo del millennio’ (MDG) relativi
alla lotta alla povertà, se non terrà conto delle nazioni africane più povere:
lo ha detto l’Alto rappresentante ONU per i Paesi meno sviluppati, Anwarul K. Chowdhury, aggiungendo
che i piani mondiali per raggiungere entro il 2015 gli otto principali MDG (che
tutti i 191 Stati membri dell’ONU si sono impegnati a conseguire con la
‘Dichiarazione del Millennio’ del settembre 2000)
devono andare di pari passo con quelli di organismi locali già esistenti, come
per esempio il NEPAD, Nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa. Chowdhury ha ricordato che a tutt’oggi 34
dei 50 Stati classificati come i meno sviluppati del pianeta si trovano nel
continente africano e che, in molte nazioni dell’Africa, il reddito pro-capite
è inferiore a 200 dollari l’anno. Secondo il rappresentante ONU, citato
dall'agenzia MISNA, se gli africani più poveri non sconfiggeranno la miseria
entro il termine fissato, anche il resto della terra “non avrà alcuna
speranza”. L’Alto commissario ha poi ricordato che il numero di africani in
povertà estrema è andato crescendo negli ultimi anni, fino a toccare i 318
milioni; un europeo, ad esempio, guadagna in media 20 volte di più di un
africano e gli ultimi 25 posti nella lista delle nazioni con la peggiore
qualità della vita, sempre elaborata dall’ONU, sono occupati da Paesi
dell’Africa. Per combattere la mancanza di risorse economiche, Chowdury ha evidenziato la necessità di una maggiore
trasparenza, sia negli aiuti esteri indirizzati agli africani, sia
nell’utilizzo delle risorse interne destinate ai meno abbienti. (R.M.)
“L’arte contro i pregiudizi”: Festival a Tirana,
in Albania,
in
vista della Giornata internazionale dei Rom di domenica
In
vista della Giornata internazionale dei Rom, che si
celebra ogni anno l’8 aprile, il Consiglio d’Europa e la Commissione UE
organizzano in questi giorni a Tirana, in Albania, un Festival regionale per le
popolazioni Rom, sul tema: “L’arte contro i pregiudizi”. “Celebrità artistiche
dell’Europa del sud-est – si legge in una nota dei promotori, citata
dall’agenzia SIR – come Muharem Serbezovski,
la Silvi Duo Band, Muharem Tahiri e Hamza Tahirov e Tehemana, si esibiranno
ogni sera del Festival all’Odeon”, teatro della capitale albanese.
“Contemporaneamente – continua il comunicato – saranno organizzate esposizioni
di fotografie, dipinti, sculture e opere artigianali”. Sono inoltre previste
due tavole rotonde su “Il ruolo dell’arte, la cultura e l’identità Rom nel
processo di integrazione e nel dialogo interculturale” e “Il contributo della
cultura Rom alla cultura europea”. Il festival è inserito nel quadro della
campagna contro i pregiudizi e gli stereotipi “Dosta!”,
i cui intenti sono spiegati sul sito www.dosta.org.
La Giornata internazionale dei Rom si celebra dal 1990
e ricorda il primo incontro internazionale promosso dalle comunità nomadi del
continente, tenutosi nei pressi di Londra l’8 aprile 1971. (R.M.)
Si è spento oggi
all'età di 91 anni il regista Luigi Comencini,
considerato uno dei padri del
"neorealismo rosa"
Come avrebbe voluto
essere ricordato Luigi Comencini, il bourru bienfaisant
del cinema italiano, l’autore di oltre 43 film, alcuni grandi capolavori, altri
che strizzano l’occhio al commercio, intellettuale eclettico (ed è un
complimento), letterato amico dei letterati, regista amico dei registi, curioso
intellettuale dagli occhi vispi, capace di affrontare generi con grande
adattabilità e senso del cinema? Azzardo un’ipotesi: essere ricordato
certamente per ciò che ha lasciato al cinema. Quindi per i tanti film che hanno
fatto la storia del cinema italiano, opere che lo hanno incoronato patriarca
della commedia idilliaca all’italiana, tra i padri fondatori del neorealismo
rosa, fin dagli anni ‘50 con l’indimenticabile Pane, amore e fantasia,
oppure sociologo di un paese a tratti incomprensibile e
inaspettato nell’inquietante L’ingorgo, così come amaro
documentarista della sordida e violenta ipocrisia scaturita dal potere e dal
denaro nel magnifico Lo scopone scientifico. Molti i melodrammi, molti i
drammi, moltissime le commedie, dunque, per colui che si definiva non artista
ma artigiano del cinema. E aveva saputo scolpire ritratti dell’infanzia che ci hanno fatto versare lacrime oppure sorridere: a partire dal
primo cortometraggio, del 1946, Bambini in città, poi a metà carriera Incompreso,
successo di pubblico del 1966 e, sei anni più tardi, Le avventure di Pinocchio,
ancora Voltati Eugenio, del 1980, fino al remake di Marcellino pane e
vino, del 1991, con il quale la carriera si è chiusa. Insomma, una catalogo di opere incorniciato e segnato proprio dai
film che lo hanno portato alla definizione di “regista di bambini”, etichetta
che lui così commentava: “I bambini sono una specie a parte, generalmente
indifesa e oppressa dagli adulti. Attraverso i loro occhi il mondo si vede
meglio e nelle loro rabbie, gioie, anche egoismi, trovo spesso molta più
schiettezza che negli adulti". (A cura
di Luca Pellegrini)
4 aprile 2007
- A cura di Amedeo Lomonaco -
- L’ex presidente iracheno,
Saddam Hussein, non aveva legami diretti con la rete terroristica al Qaeda: è
quanto emerge da un rapporto del Pentagono, pubblicato quattro anni dopo
l’invasione in Iraq. Il ministero della Difesa americano ha sottolineato, in
particolare, che era infondata una delle accuse lanciate, nel 2003, contro il
regime baathista per legittimare l’intervento
militare nel Paese arabo. Sul terreno, intanto, non si interrompe la catena di
violenze. Oltre ad attentati e scontri, si segnala anche la morte di una
giornalista ceca. Ce ne parla Giancarlo La Vella:
**********
Si tratta della corrispondente in Iraq di
“Radio Free Europe-Radio
Liberty”, emittente di Praga. La giornalista di nazionalità irachena, che si
chiamava Khamail Khalaf,
lascia tre figlie e aveva lavorato anche in televisione. Recentemente era stata
più volte minacciata di morte. E’ stata ritrovata senza vita nella capitale con
ferite d'arma da fuoco alla testa e al corpo, dopo che da tre giorni non si
avevano più sue notizie. La conferma è arrivata proprio dalla radio ceca.
Intanto, truppe statunitensi e irachene hanno lanciato una grossa offensiva a Diwaniya, 180 chilometri a sud di Baghdad, roccaforte
dell'esercito del Mahdi fedele al leader radicale
sciita Moqtada al Sadr.
Nella notte vi sono stati durissimi scontri, costati la vita a una persona, e
all'alba nella cittadina è stato imposto il coprifuoco. Sempre sul terreno da
segnalare un raid aereo statunitense a Falluja, dove,
secondo un primo bilancio, si sono registrati almeno dieci morti e venti
feriti. Lo ha riferito un'agenzia irachena. Inoltre, da segnalare un camion
bomba carico di cloro che è esploso stamani nei pressi di un posto di blocco
della polizia a Ramadi, nella provincia di Al Anbar. Oltre 15 i morti e 30
i feriti; un bilancio che purtroppo sembra destinato a crescere.
**********
- Anche in Afghanistan, non si arresta la
catena di attentati e attacchi: a Kabul un attentatore suicida,
alla guida di un’autobomba, si è fatto saltare in aria provocando la morte di
almeno 4 persone. Sul versante politico, il presidente afghano Hamid Karzai ha lanciato un nuovo appello ai talebani affinchè depongano le armi e si uniscano al processo di
pace. Centinaia di terroristi kamikaze, infiltrati da Al
Qaeda, sarebbero inoltre pronti a colpire anche in aree dove gli attacchi alle
forze della coalizione sono meno frequenti e meno probabili. Tra queste zone
c’è anche la provincia di Herat, dove sono schierati
i militari italiani. Francesca Sabatinelli ha
raggiunto telefonicamente ad Herat
il generale Antonio Satta, comandante del
contingente ISAF-NATO nella regione occidentale dell'Afghanistan.
**********
R. – L’allarme è sempre presente. Il livello
di rischio è sempre stato significativo, anche in passato. Anche se la
situazione è relativamente stabile e il rapporto con la
popolazione assolutamente ottimo, non ci dobbiamo scordare che siamo in
Afghanistan; qualsiasi rischio, qualsiasi minaccia, è pur sempre dietro
l’angolo. Teniamo, quindi, sempre la guardia alta.
D. – Ma di che tipo di minaccia si parla?
Si pensa ai kamikaze di al Qaeda, ai talebani, ma c’è
anche la criminalità comune, ci sono i trafficanti di oppio…
R. – La minaccia nella regione ovest è
costituita principalmente da soggetti legati alla criminalità e al traffico di
oppio. E’ chiaro che questo fa di loro anche un terreno fertile per ulteriori
infiltrazioni, soprattutto nella parte meridionale, legati alla etnia della
regione sud.
D. – Generale, la vostra attenzione si
concentra sulla popolazione: in che modo?
R. – Il primo motivo è legato al mandato
che abbiamo qui in Afghanistan: favorire l’inserimento e lo sviluppo
democratico del governo afgano e aiutare lo stesso governo nell’opera di
ricostruzione e sviluppo sia del tessuto sociale, ma anche del supporto alla
popolazione. Noi riteniamo che la migliore arma per combattere sia il consenso
conseguito nei confronti della popolazione.
D. – E dunque com’è il vostro rapporto con la
popolazione di Herat?
R. – Decisamente buono, direi. Abbiamo
raccolto significativi ritorni, non solo di accettazione, ma di assoluto
sostegno nei confronti delle iniziative dell'ISAF. Cerchiamo di rispettare usi,
costumi e tradizioni e con questo tipo di approccio devo dire che fino ad oggi
i risultati sono stati estremamente positivi.
**********
- Si riapre una drammatica
pagina della recente, martoriata storia libanese: l’Arabia Saudita ha accettato
di aprire consultazioni per facilitare la formazione del tribunale
internazionale che dovrà giudicare i presunti responsabili dell’assassinio
dell’ex premier libanese, rimasto ucciso in un attentato condotto il 14
febbraio 2005 a Beirut. Dal Libano, intanto, è rientrata la delegazione
italiana del Coordinamento nazionale Enti Locali per la pace e i Diritti Umani
che nel Paese dei Cedri ha incontrato autorità, organizzazioni della società
civile e il contingente italiano della missione UNIFIL. Su questa iniziativa
ascoltiamo, al microfono di Massimiliano Rossi,
il capo-delegazione Flavio Lotti.
**********
R. – Abbiamo cercato di identificare le
modalità per sviluppare la conoscenza reciproca, per costruire nuovi ponti di
pace, di amicizia e di collaborazione.
D. – Qual è il clima che attualmente si
vive nel Libano meridionale?
R. – C’è un grande impegno per curare le
ferite provocate dalla guerra, in maniera particolare le ferite
materiali. Si stanno ricostruendo i ponti, si stanno aggiustando le
strade. Ci sono progetti per avviare la ricostruzione delle città, che sono
state devastate dai bombardamenti. C’è un grosso sforzo per cercare di recuperare
e di distruggere più di un milione di bombe che sono state sganciate, proprio
negli ultimi giorni del conflitto, da Israele; ora molti di questi ordigni continuano
ad uccidere i bambini che li ritrovano. Allo stesso tempo, c’è anche una grande
preoccupazione per il futuro, che continua ad essere molto incerto.
D. – Come siete stati accolti dalla
popolazione locale?
R. – Siamo stati accolti benissimo. La gente
che abbiamo incontrato, anche le autorità locali avevano un aspetto
profondamente diverso da quello che ci veniva dipinto
in tutto questo periodo dai nostri mezzi di comunicazione. Abbiamo trovato
tantissima gente desiderosa di aprirsi al mondo. Abbiamo trovato delle persone,
anche delle donne islamiche che ci dicevano di essere
desiderose di conoscere il nostro mondo, la nostra cultura,
riconoscendo, quindi, e rispettando anche le nostre diversità culturali,
politiche e religiose. Tutto ciò, secondo me, rappresenta un ottimo terreno per
la costruzione della pace.
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- Anche la Russia interviene sulla crisi
istituzionale in Ucraina. La Duma, ramo principale
del Parlamento russo, ha condannato il decreto con cui il presidente ucraino,
il filo occidentale Viktor Yushchenko,
ha sciolto il Parlamento e convocato elezioni anticipate. Il decreto, secondo
la Duma, viola la Costituzione e “invia un segnale
pericolosissimo”. In Ucraina si attende, intanto, la decisione della Corte Costituzionale, che proprio oggi ha cominciato
ad esaminare il ricorso di una cinquantina di deputati contro lo scioglimento
del Parlamento. La crisi politica nella Repubblica ex sovietica si è
acuita dopo che 11 parlamentari dell’opposizione, fedeli a Yushenko,
sono passati con la maggioranza filorussa, garantendo
a quest’ultima i 300 voti necessari per modificare la Costituzione. La
successiva decisione, presa dal presidente Yushchenko,
di sciogliere il Parlamento ha ulteriormente alimentato la crisi.
- Clima di tensione a Timor
Est, dove si è conclusa ieri la campagna elettorale per le presidenziali,
fissate per lunedì prossimo. Negli ultimi giorni, almeno 30 persone sono
rimaste ferite in seguito a scontri tra sostenitori di vari candidati. Alcuni
partiti hanno anche espresso timori per brogli e denunciato
intimidazioni. All’appuntamento con le urne sono chiamati oltre 523 mila
aventi diritto. Su Timor Est, ex colonia portoghese occupata illegalmente nel
1975 dall’Indonesia, la nostra scheda:
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Il territorio di Timor Est,
primo Stato nato nel terzo millennio, è composto dalla metà orientale
dell’isola di Timor e da un’enclave nella parte occidentale. Il Paese, a
maggioranza cattolica in un’area prevalentemente musulmana, è indipendente dal
2002. E’ lo Stato più piccolo e povero dell’Asia,
nonostante la presenza di giacimenti di gas e petrolio. Lo scenario politico è
stato dominato finora da Xanana Gusmao,
primo presidente e leader della resistenza contro l’Indonesia. Secondo le
previsioni, la sfida per succedere a Gusmao riguarda,
soprattutto, due candidati: l’attuale primo ministro José Ramos
Horta e il leader del Fronte rivoluzionario per
l’indipendenza di Timor Est (FRETLIN), Francisco Guterres.
Il premier Ramos Horta, che
negli ultimi anni ha promosso una politica filo occidentale e aperta al libero
mercato, ha ricevuto nel 1996 il premio Nobel per la pace insieme con mons. Carlos Felipe Ximenes
Belo, già amministratore apostolico della diocesi di Dili,
per l’impegno pacifico in favore dell’indipendenza. Ha buone chances di successo anche l’attuale presidente del Parlamento,
Francisco Guterres, uno dei leader storici del
partito FRETLIN di orientamento comunista che ha la maggioranza in Parlamento.
Il Paese è stato scosso nel 2006 da gravi disordini in seguito alle dure
proteste di oltre 600 soldati che si erano lamentati per presunte
discriminazioni su base etnica. Gli scontri avevano provocato almeno 37 morti e
più di 150 mila sfollati. A Timor Est, dove i cattolici sono più del 90 per
cento, la Chiesa cattolica è fortemente impegnata, infine, in programmi di pastorale giovanile, istruzione e servizi
sociali.
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- Scontri avvenuti nel fine
settimana in due località dell’est del Ciad, al confine con il Sudan, hanno
provocato oltre 100 morti. Lo hanno reso noto fonti
del governo. Non si esclude che la strage sia stata compiuta da milizie
sudanesi ‘janjaweed’. Gli scontri sono scoppiati in
seguito all’uccisione di due appartenenti a tribù arabe. Dopo sono seguite
rappresaglie e, successivamente, è intervenuto anche l’esercito del Ciad.