RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 95
- Testo della trasmissione di giovedì 5 aprile 2007
IL PAPA E LA SANTA SEDE:
La riflessione di mons. Angelo Comastri
sul Giovedì Santo
La Via Crucis al Colosseo: le meditazioni
di mons. Gianfranco Ravasi
Il Papa nomina vescovo di Isernia-Venafro mons.
Salvatore Visco
Aumentati i canali audio in diretta via
internet della Radio Vaticana
Oggi su "L'Osservatore Romano"
OGGI IN PRIMO PIANO:
I Paesi ricchi aiutano meno i Paesi poveri: le reazioni delle ONG.
Intervista con Raffaele Salinari
CHIESA E SOCIETA’:
Francia:
dichiarazione congiunta cattolico-ebraica sulla cura dei malati terminali
In corso, in Spagna, la
settimana internazionale di musica sacra di Cuenca
Tornati
a Londra i 15 marinai britannici, rilasciati ieri dalle autorità iraniane.
Blair parla di nuove linee di dialogo tra Iran e Regno
4 aprile 2007
Apriamo il
nostro cuore all’amore di Gesù, che trasforma le tenebre in luce: l’esortazione
del Papa nella Messa Crismale in Basilica Vaticana,
preludio del Triduo Pasquale
Vestiamoci dell’Amore
di Cristo per essere testimoni della luce. Nella Messa Crismale, primo rito del
Giovedì Santo, Benedetto XVI esorta i fedeli ad aprire il proprio cuore a Gesù,
al Figlio di Dio che si è donato interamente a noi. Durante il Sacro Rito,
celebrato in una Basilica di San Pietro gremita di fedeli, sono stati benedetti
gli olii dei catecumeni e degli infermi e il Sacro Crisma. A sottolineare la
purezza d'animo con la quale dobbiamo accogliere l’amore di Cristo, in questo
tempo di Pasqua, il Papa e i concelebranti hanno indossato i paramenti bianchi.
Il servizio di Alessandro Gisotti:
**********
(Cori)
“Chiediamo al Signore
di allontanare ogni ostilità dal nostro intimo, di toglierci ogni senso di
autosufficienza e di rivestirci veramente con la veste dell’amore”. Nella Messa
crismale, Benedetto XVI parla al cuore dei fedeli, sottolineando che dobbiamo
accogliere la luce di Gesù, giacché “una persona senza l’amore”, il Suo amore,
“è buia dentro”. E spiega il significato profondo del Battesimo:
"Ecco ciò che si
compie nel Battesimo: noi ci rivestiamo di Cristo, Egli ci dona i suoi vestiti
e questi non sono una cosa esterna. Significa che entriamo in una comunione
esistenziale con Lui, che il suo e il nostro essere confluiscono, si
compenetrano a vicenda. 'Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me'”.
Cristo, ha proseguito,
“ha indossato i nostri vestiti: il dolore e la gioia dell’uomo, la fame, la
sete, la stanchezza” ed anche “la paura della morte, tutte le nostre angustie
fino alla morte. E ha dato a noi i suoi vestiti”. Questa teologia del
Battesimo torna in modo nuovo nell’Ordinazione sacerdotale. Anche nel
sacerdozio, infatti, si ha uno scambio, giacché nell’amministrazione dei
Sacramenti, “il sacerdote agisce e parla ora in persona Christi”.
“Metterci a disposizione di Cristo – ha spiegato – significa che ci lasciamo
attirare dentro il suo per tutti: essendo con Lui possiamo esserci
davvero per tutti”. La Chiesa, ha aggiunto, “ci ha reso visibile ed
afferrabile” la realtà dei vestiti nuovi anche esternamente “mediante
l’essere stati rivestiti con i paramenti liturgici”. Un gesto che significa
“rivestire Cristo; donarsi a Lui come Egli si è donato a noi”. Il Papa si è soffermato sui paramenti
liturgici, su cosa significhi rivestirsi di Cristo:
"Il mio cuore
deve docilmente aprirsi alla parola di Dio ed essere raccolto nella preghiera
della Chiesa, affinché il mio pensiero riceva il suo orientamento dalle parole
dell’annuncio e della preghiera. E lo sguardo del mio cuore deve essere rivolto
verso il Signore che è in mezzo a noi: ecco cosa significa ars celebrandi – il
giusto modo del celebrare. Se io sono col Signore, allora con il mio ascoltare,
parlare ed agire attiro anche la gente dentro la comunione con Lui".
“Quando ci accostiamo
alla liturgia per agire nella persona di Cristo – ha riconosciuto – ci
accorgiamo tutti quanto siamo lontani da Lui; quanta sporcizia esiste nella
nostra vita”. Il pensiero va poi all’Apocalisse laddove si legge che i
144 mila eletti avevano lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello e che in
questo modo esse erano diventate candide come la luce:
"Già da piccolo
mi sono chiesto: Ma quando si lava una cosa nel sangue, non diventa certo
bianca! La risposta è: il 'sangue dell’Agnello' è l’amore del Cristo
crocifisso. È questo amore che rende candide le nostre vesti sporche; che rende
verace ed illuminato il nostro spirito oscurato; che, nonostante tutte le
nostre tenebre, trasforma noi stessi in 'luce nel Signore'”.
Dovremmo ricordarci,
ha detto ancora, che Cristo “ha sofferto anche per me”. E “soltanto perché il
suo amore è più grande di tutti i miei peccati, posso rappresentarlo ed essere
testimone della sua luce”. E ha corredato queste parole con una riflessione sul
giogo del Signore imposto ai sacerdoti:
"A volte vorremmo
dire a Gesù: Signore, il tuo giogo non è per niente leggero. È anzi
tremendamente pesante in questo mondo. Ma guardando poi a Lui che ha portato
tutto – che su di sé ha provato l’obbedienza, la debolezza, il dolore, tutto il
buio, allora questi nostri lamenti si spengono. Il suo giogo è quello di amare
con Lui. E più amiamo Lui, e con Lui diventiamo persone che amano, più leggero
diventa per noi il suo giogo apparentemente pesante".
Questo giogo, ha
aggiunto, ci spinge “ad andare a scuola da Lui”. E da Lui “dobbiamo imparare la
mitezza e l’umiltà”, l’umiltà di Dio che “si mostra nel suo essere uomo”.
Durante la celebrazione, il Papa ha benedetto l’Olio dei catecumeni e degli
infermi ed ha consacrato il Crisma, l’olio profumato per amministrare il Battesimo
e la Cresima come anche le ordinazioni sacerdotali ed episcopali. Al termine
della Messa si è svolta la processione degli Olii animata dalle parrocchie romane di Santa Maria Regina Mundi, Santa Maria
della Salute, la cappellania giapponese e la parrocchia di Nostra Signora di
Czestochowa.
(Cori)
**********
La riflessione
di mons. Comastri sul Giovedì Santo
Benedetto XVI
presiederà oggi pomeriggio nella Basilica di San Giovanni in Laterano la Messa
nella Cena del Signore che apre il Triduo Pasquale. La Radio Vaticana
trasmetterà la cronaca del rito, in lingua italiana, a partire dalle 17.20 sull'onda
media di 585 kHz e sulla modulazione di frequenza di 105 MHz. Per una riflessione
sul Giovedì Santo ascoltiamo l’arcivescovo Angelo Comastri, arciprete della
Basilica di San Pietro e vicario del Papa per lo Stato del Vaticano, al microfono
di Giovanni Peduto:
**********
R. – Il Giovedì Santo
è il giorno del Cenacolo, il giorno dell’intimità, così come l’ha voluta Gesù e
così come l’ha vissuta Gesù. La Chiesa, nel Giovedì Santo, ritorna attorno al
tavolo dell’Ultima Cena e rivive con emozione e con stupore il gesto della
lavanda dei piedi, un gesto straordinario, un gesto con un messaggio che noi
non riusciremmo mai ad imparare. Pensiamo che cosa stupenda: Dio, l’Infinito,
l’Onnipotente, che si inginocchia davanti agli Apostoli e lava i piedi gridando:
“Dio è umile, e voi siete orgogliosi!”. Che paradosso! Quanto c’è da imparare.
Ancora, nel Giovedì Santo la Chiesa rivive l’emozione del dono del sacerdozio.
Gesù che prende dei poveri uomini, come lo erano gli apostoli, e dice: “Io
imprimo nella vostra carne, nella vostra anima, qualcosa di me. Vi invito a
continuare la mia missione e vi chiedo di prestarmi i vostri occhi, la vostra
bocca, i vostri orecchi, il vostro cuore, le vostre mani, i vostri piedi perché
io possa continuare ad essere pastore del mio gregge. Pastore della mia
Chiesa”. Un dono straordinario, il sacerdozio! E nel sacerdozio, il dono
dell’Eucaristia: l’Ultima Cena che continua; la cena che diventa il pasto
quotidiano della comunità dei discepoli che aspetta il ritorno di Gesù. E
mentre aspetta il ritorno di Gesù, ricorda e, ricordando, rivive e riceve la
forza: il pane dei pellegrini, il pane di coloro che camminano, il pane di
coloro che hanno da fare tanta strada per arrivare alla meta. E ugualmente, il Giovedì
Santo è il giorno del dono del grande comandamento: il comandamento dell’amore,
il comandamento che ci distingue, il comandamento che fa di noi il popolo della
Nuova Alleanza. “Amatevi come io ho amato voi”, fino al paradosso, fino al
gesto estremo, fino al punto oltre il quale non si può andare, fino a dare la
vita! Il Giovedì Santo è un giorno che la Chiesa deve continuamente rivivere,
continuamente rivisitare, proprio per essere Chiesa.
D. – Come mettere,
davvero, l’Eucaristia al centro della vita?
R. – Il Santo Padre
Benedetto XVI ha ricordato nella recente Esortazione apostolica – ma già
Giovanni Paolo II insistentemente ce l’aveva detto nell’Anno dell’Eucaristia –
che l’Eucaristia è il più grande dono che Gesù ci ha fatto in questo tempo di attesa,
e l’Eucaristia non è una devozione, è la devozione. E’ la prima devozione del
cristiano, perché l’Eucaristia è la presenza di Gesù in mezzo a noi, la
presenza nel gesto dell’amore. Io credo che dobbiamo riscoprire la celebrazione
eucaristica, che non deve essere fatta in modo affrettato e improvvisato.
L’Eucaristia dev’essere preparata e dopo essere celebrata dev’essere continuamente
ripresa in modo che sia davvero al centro della nostra vita. E in questo è di
grande utilità la vita eucaristica. Un tempo, nelle chiese, quando si entrava,
si vedeva sempre qualche persona in ginocchio, qualche persona che pregava. Io
non dimentico mai che Edith Stein quando era atea – l’ha raccontato lei stessa
– entrò per curiosità artistica in una chiesa, in una chiesa di Colonia, e
rimase colpita nel vedere delle persone che pregavano: pregavano davanti
all’Eucaristia. E disse: “io avvertii qualcosa che mi colpì; ebbi proprio netta
l’impressione che stessero parlando con Qualcuno, nell’Eucaristia”. Questo
dobbiamo recuperarlo, dobbiamo riscoprirlo. La visita eucaristica io credo che
potrebbe essere un bell’impegno da rimettere al centro per ricostruire la
spiritualità del cristiano e la spiritualità delle comunità cristiane.
**********
La Via Crucis al
Colosseo: le meditazioni di mons. Ravasi
Domani sera il Papa
presiederà la tradizionale Via Crucis al Colosseo. Quest’anno le meditazioni
sono state affidate a mons. Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca
Ambrosiana. Giovanni Peduto gli ha chiesto quale taglio abbia voluto
adottare per i suoi testi:
**********
R. – Il taglio che io
ho voluto adottare è evidentemente diverso da quello che era stato scelto da
altri autori che mi hanno preceduto e che hanno preferito, magari, il taglio
più morale, in alcuni casi più esistenziale, in altri casi - come Mario Luzi – il taglio poetico, anzi,
era Cristo stesso che raccontava la sua passione; oppure, anche lo stesso
cardinale Ratzinger il quale aveva voluto proporre una sorta di riflessione
teologica che artigliasse però quasi l’esistenza di colui che ascoltava. Io ho
adottato un taglio narrativo-meditativo. Essendo di formazione un esegeta, ho
voluto per certi versi riproporre ancora il testo nelle sue sfumature, quando
il testo immediatamente lo si conosce ma forse non lo si conosce nelle sue
iridescenze. Di fatti, la trama delle 14 stazioni è quella del Vangelo della
narrazione della Passione secondo il Vangelo di Luca, che è il Vangelo che
viene letto nella liturgia quest’anno. E dall’altra parte, però, ho voluto
introdurre una dimensione meditativa-contemplativa che permetta di vedere come
i passi sanguinanti di Cristo ancora oggi, in un certo senso, striano, lasciano
delle scie sulle strade del nostro mondo attuale.
D. – Sono tante, oggi
come ieri, le Vie Crucis dell’umanità e Dio ha voluto assumerle su di sé ...
R. – Ecco, questo è
proprio anche nella linea di quanto dicevo poco fa. I percorsi di Cristo sono
in realtà i percorsi del Figlio dell’Uomo, espressione biblica che significa sì
l’umanità, ma significa anche la sua trascendenza. Nella Bibbia, questo termine
è un termine che ha delle risonanze ulteriori, divine, diremmo. E per questo
motivo, noi dobbiamo guardare – secondo la teologia cristiana – la figura di
Cristo da un lato come profondamente fratello dell’umanità. Non dimentichiamo
mai che il racconto della passione negli evangelisti tenta quasi di raccogliere
tutto lo spettro oscuro della sofferenza: dalla sofferenza fisica, alla paura
della morte, all’abbandono degli amici, al tradimento fino a quel momento
supremo che è persino il silenzio di Dio. Cristo, quindi, veramente è nostro
fratello di tutte le vie crucis dell’umanità, di tutte le sue sofferenze. Io
proprio nelle situazioni ho voluto anche evocarne alcune; dall’altra parte,
però, non bisogna dimenticare che egli è il Figlio di Dio anche quando è
ridotto ad essere soltanto un cadavere manipolabile, quando è sceso
nell’interno della tomba, del sepolcro ... Ebbene, proprio perché è Figlio di
Dio, passando nella galleria oscura del nostro dolore, della nostra morte,
depone in essa una scintilla, un germe di eternità, di vita, di speranza, di
Pasqua. Per questo, dolore e morte – dopo il passaggio di Cristo, del Figlio di
Dio – non sono più uguali a prima.
D. – Cosa vuol dire il
grido di Gesù: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”?
R. – Certo, dobbiamo
dire che a prima vista sembrerebbe essere quella di Cristo – almeno così come
la narrano Matteo e Marco, con questo ultimo grido – quasi, diremmo noi, una
brutta morte. Dio grida così è poi – l’evangelista annota – “lanciato un forte
urlo, spirò”. In realtà, questa citazione rappresenta veramente anche una
desolazione estrema, che non è disperazione ma è una desolazione estrema perché
Cristo sperimenta ciò che sperimentiamo anche noi, in alcuni momenti della
nostra vita e forse anche nel momento ultimo, estremo, alla frontiera estrema
della nostra esistenza, che è la morte. In quel momento sperimenta il silenzio
del Padre, che per Lui, poi, era il massimo possibile della aderenza alla
nostra umanità. Tuttavia, non bisogna mai dimenticare che secondo la tradizione
ebraica, quando si cita l’incipit, l’inizio di un salmo, di un testo biblico,
si vuole evocare tutto il suo testo, tutto il suo contenuto. Ebbene, questo
Salmo 22,21 della liturgia è il salmo che comincia con questo urlo ma finisce
con una sorta di Te Deum, di canto di gioia: in pratica, apre già l’alba della
Pasqua.
D. – Nietzsche ha
affermato che “Dio è morto”. Come legge lei oggi questa asserzione?
R. – Questa frase di
questo filosofo, di Nietzsche, che è stato da un lato fortemente anti-cristiano
però, dall’altra parte, ha continuamente fatto i conti con il cristianesimo –
non dimentichiamo che una delle sue opere è proprio intitolata “L’Anticristo” –
ebbene, ci insegna soprattutto una cosa. Da una parte, quando egli grida: “Dio
è morto!”, lui anche aggiunge che noi l’abbiamo ucciso, e le nostre mani sono
ancora insanguinate, e chi grida, chi lancia questo urlo lo fa non in maniera
gloriosa, ma in maniera quasi disperata. Tant’è vero che subito dopo egli se ne
va, nell’immagine che questo autore, questo filosofo suppone, con una lampada e
questa lampada la prende e la infrange a terra, e l’Uomo piomba nella
solitudine. Ecco: direi che l’uomo contemporaneo, da un lato, spesso è stato convinto
di poter eliminare Dio, come diceva un poeta, un altro poeta tedesco quasi
contemporaneo di Nietzsche, cioè Heine, diceva: “Non sentite la campanella? Si
portano gli ultimi sacramenti a un Dio che muore!”. Si è convinto di poter
ormai seppellire Dio, allontanarlo. In realtà, Dio è continuamente negli
incroci delle nostre strade, e quel Dio che noi abbiamo voluto cancellare tante
volte, rimane in noi. In molti, nella nostalgia, ma rimane soprattutto con una
presenza che all’improvviso si manifesta. Non dimentichiamo mai che lo poniamo
quasi a suggello di una riflessione sulla Via Crucis; non dimentichiamo mai
quelle parole che cita Paolo nella Lettera ai Romani, al capitolo X, quando
egli cita a sua volta Isaia stupendosi, perché in Isaia Dio dice queste parole:
“Io, il Signore, mi sono fatto trovare anche da quelli che non mi cercavano. Io
ho risposto anche a quelli che non mi interpellavano, che non mi invocavano”.
Ed è questa la grande speranza: quel Dio morto in realtà è ancora accanto a
noi, negli incroci delle nostre strade, pronto a manifestarsi come Gesù di
Nazareth con un volto umano e quotidiano, con una salvezza trascendente.
**********
Il Papa nomina
vescovo di Isernia-Venafro mons. Salvatore Visco
In Italia, il Santo
Padre ha nominato vescovo di Isernia-Venafro mons. Salvatore Visco, del clero
della diocesi di Pozzuoli, finora vicario generale della medesima diocesi.
Mons. Salvatore Visco è nato a Napoli il 28 luglio 1948. Ha frequentato la
scuola media e i primi anni del liceo classico nel Seminario minore di
Pozzuoli. Successivamente ha seguito i corsi di Filosofia e di Teologia presso
il Seminario Maggiore di Napoli e presso la Facoltà Teologica dell’Italia
Meridionale, sezione S. Tommaso (Capodimonte). È stato ordinato sacerdote il 14
aprile 1973 a Bagnoli. Ha ricoperto i seguenti uffici e ministeri:1973-1984
vicario parrocchiale di Maria SS. Desolata in Bagnoli; 1974-1994 docente di
religione presso la scuola pubblica; 1985-1993 parroco della Chiesa di Mater
Domini; 1985-1994 direttore dell’ufficio liturgico diocesano; 1985-1995
delegato vescovile per il diaconato permanente e responsabile diocesano per i
ministeri. Dal 1994 è vicario generale della diocesi di Pozzuoli e decano del
Capitolo Cattedrale.
Aumentati i canali audio in diretta via internet
della Radio Vaticana
A partire da questa Settimana Santa, la
Radio Vaticana ha potenziato la sua offerta audio in diretta via internet. E'
possibile seguire via web, con cinque nuovi canali, tutte le celebrazioni
presiedute dal Papa durante il Triduo Pasquale della Passione e Risurrezione
del Signore, iniziando con la Messa nella Cena del Signore di questo
pomeriggio. Il servizio è a disposizione dei navigatori su www.radiovaticana.va, selezionando
l’ascolto dei programmi in diretta, e i commenti nelle varie lingue. Sempre sul
sito web, nella sezione Trasmissioni Speciali, è possibile anche conoscere le
frequenze su cui seguire via radio le dirette delle stesse celebrazioni, o i
satelliti utilizzati. Ricordiamo inoltre che le omelie e la benedizione Urbi et
Orbi di Pasqua, pronunciate da Benedetto XVI, saranno disponibili in Podcast,
in un apposito canale di diffusione, attraverso il quale è possibile durante
tutto l’anno scaricare gli ultimi discorsi e omelie del Papa.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Servizio vaticano - La Messa del Crisma.
Servizio estero -
Iraq: il Segretario alla difesa USA ammonisce sul rischio di "pulizia
etnica" a Baghdad ed in altre zone del Paese.
Servizio culturale -
Un articolo di Danilo Mazzoleni dal titolo "In una formella eburnea del
quinto secolo il prototipo delle scene della Crocifissione": un excursus
nella storia dell'arte cristiana dalle origini al Medioevo.
Servizio italiano - In
primo piano la vicenda Telecom.
Oggi
in Primo Piano
4 aprile 2007
I Paesi ricchi aiutano meno i Paesi
poveri: le reazioni delle ONG
Numerosi i commenti in tutto il mondo alla
notizia che i Paesi ricchi oggi aiutano meno i Paesi poveri. La rilevazione, di
questi giorni, è dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo
economico: gli aiuti nel 2006 sono diminuiti del 5,1% rispetto all’anno
precedente. Inoltre – è stato precisato - sono solo cinque i governi che
destinano lo 0,7% del Prodotto interno lordo (PIL) agli aiuti allo sviluppo,
come stabilito dall’ONU nel 2000: si tratta di Svezia, Norvegia, Lussemburgo,
Paesi Bassi e Danimarca. Tra i motivi che avrebbero determinato la diminuzione
degli aiuti vi sarebbero le iniziative per la cancellazione del debito estero e
gli stanziamenti, definiti ingenti, per ripianare i deficit di Nigeria e Iraq. Debora
Donnini ne ha parlato con Raffaele Salinari, presidente della ONG
Terres des Hommes:
**********
R. – Prima di tutto dobbiamo dire che, a
maggior ragione avendo inserito negli ultimi anni la cancellazione del debito
tra le cifre destinate all’aiuto pubblico allo sviluppo, questi dati risultano
– almeno a nostro parere – gonfiati, se non addirittura falsificati. Non si può
considerare come aiuto pubblico allo sviluppo, cioè qualcosa che attivamente aiuta i Paesi in via
di sviluppo, la cancellazione del debito. La cancellazione del debito è una
cosa sacrosanta ed anche in Italia sono state fatte delle leggi apposta per
cancellare il debito dei Paesi più poveri, ma questo non vuol dire che
cancellare il debito per un Paese in via di sviluppo possa aiutarlo attivamente
a svilupparsi. I dati sono, quindi, preoccupanti per due ordini di motivi:
prima di tutto perché c’è stato un calo in assoluto e, in secondo luogo, anche
perché questo calo è dovuto al fatto che il debito originariamente computato
veniva considerato, appunto, come parte dell’aiuto pubblico allo sviluppo.
D. – L’Italia risulta essere in base a
questi dati fanalino di coda tra i Paesi dell’Unione Europea, con appena lo
0,20 per cento. Tra quelli che non hanno raggiunto il traguardo minimo vi sono
Grecia, Italia e Portogallo. Perché l’Italia ha questa posizione così bassa?
R. – Questa è la domanda che noi abbiamo
rivolto al governo e continuiamo a rivolgere al governo. Oltretutto questo
governo aveva promesso in campagna elettorale reiteratamente che sarebbe
arrivato almeno allo 0,3 e quindi alla media promessa dai Paesi OCSE, per non
parlare poi di quanto promesso a livello di Nazioni Unite per gli obiettivi del
millennio. Non c’è stata data nessuna spiegazione – diciamo - autorevole o
convincente. Oltretutto il nostro governo non soltanto ha queste percentuali da
fanalino di coda, ma ha anche abolito - e questo è gravissimo - la rata 2006
per il Fondo globale di lotta all’AIDS, tubercolosi e malaria. Quindi non
soltanto è inadempiente dal punto di vista internazionale per quanto riguarda
le percentuali OCSE, ma è anche fortemente, gravemente e drammaticamente
inadempiente per quanto riguardo il Fondo promesso alla lotta a tubercolosi,
malaria e AIDS. Voglio far notare, visto che ogni tanto ci viene detto a noi
Organizzazioni non governative internazionali che non ci sono i soldi, che
invece il bilancio della Difesa è stato duplicato. Evidentemente, quindi, sono
scelte politiche e sono sensibilità che vanno in un senso invece di andare in
un altro.
**********
Terminato l’International FilmFestival di Alba,
rassegna del cinema esistenziale
Si è chiusa ieri sera ad Alba, in Piemonte,
la sesta edizione dell’Alba International FilmFestival che anche quest’anno è
riuscito a proporre pellicole di grande interesse e principalmente rivolte ad
esplorare la ricerca esistenziale dell’uomo contemporaneo. Nel corso della
cerimonia di chiusura sono stati consegnati i premi dalle due giurie ufficiali
e dalla giuria cattolica Signis. Il servizio di Luca Pellegrini.
**********
Verdetti equi, quelli
delle tre giurie, verdetti anche originali, che hanno saputo cogliere lo
spirito di un Festival cinematografico come quello di Alba, ove la ricerca
interiore dell’uomo è stata anche quest’anno raccontata da registi, sceneggiatori
e artisti sinceramente coinvolti nelle loro opere, alcune anche segnate da
un’inaspettata sperimentazione sulle immagini e sulle tecniche narrative. Il miglior
film del concorso proviene dal Canada e si tratta di ‘The Journal of Knud Rasmussen’,
nel quale il mondo degli inuit in Alaska negli anni Venti viene descritto come
fosse un vero documentario, nella sua estrema precisione ricostruttiva, con le
antiche tradizioni e la religione cristiana che tentano un difficile approccio.
Miglior regista la tedesca Angela Schanelec che nel suo ‘Afternoon’ abilmente
si muove tra teatro e cinema. La sezione “Uno sguardo nuovo” si è dimostrata anche
in questa edizione capace di scrutare mondi diversi, molti nella loro cruda
drammaticità. E proprio i due premi per il miglior film e la migliore regia
sono andati a due documentari che raccontano, in luoghi e società tra loro
distanti, la spaventosa realtà della prostituzione femminile. Un grido di
dolore si leva dall’intenso ‘Le papier ne peut envelopper la braise’ del
cambogiano Rithy Panh dedicato alle giornate delle giovani ragazze che si
vendono poi nelle notti di Phnom Penh, mentre l’austriaca Anja Salamonowitz nel
suo ‘E’ accaduto poco fa’ coglie asetticamente i racconti di cinque diversi
protagonisti che si confrontano con il
commercio inumano e spietato di giovani donne provenienti dall’est europeo.
Infine, era presente come ogni anno ad Alba la giuria del Premio Signis. Ad
Angela Prudenzi, giurata, abbiamo chiesto quali sono le motivazioni che hanno
portato ad assegnare il Premio al bel film argentino ‘El otro’:
“Dovevamo trovare un film che avesse alla
fine del percorso una luce. Questo film lo abbiamo trovato in ‘El Otro’, una
pellicola argentina di Ariel Rotter, un giovane
trentenne, al secondo film. E’ un’opera che racconta la crisi di un uomo di
mezza età, che abbandona per qualche giorno gli affetti, un padre malato, una
moglie che sta aspettando il primo figlio e si perde. A noi è sembrato che
questo uomo fosse portatore di un valore positivo, perchè alla fine di questa
fuga, lui torna ai veri affetti. Infatti, la motivazione con la quale abbiamo
premiato l’opera è proprio perché ha mostrato con semplicità e realismo il
percorso esistenziale di un uomo, cui il caso offre la possibilità di
riappropriarsi dei veri valori della vita”.
**********
Chiesa
e Società
4 aprile 2007
Aperte a Gerusalemme le celebrazioni del triduo pasquale,
mentre tornano i pellegrini in un clima di
fiducia
Boom di pellegrini a Gerusalemme,
grazie anche alla concomitanza della Pasqua ortodossa. Lo rende noto
all’agenzia Sir padre Pierre Grech, segretario generale della Conferenza dei
vescovi latini delle regioni arabe (CELRA), secondo cui “alberghi e case
religiose sono piene di pellegrini”. Intanto, con la Messa in Coena Domini
celebrata questa mattina nella Basilica del Santo Sepolcro, si sono aperte a
Gerusalemme le celebrazioni del triduo pasquale. E’ la triplice Processione del
Santissimo Sacramento attorno alla cappella dell’Anastasi, che si conclude con
la collocazione della pisside all’interno di essa, proprio sul sepolcro vuoto
di Gesù, il momento più struggente della celebrazione. “In questo modo
risplendono – afferma la liturgia – l’unità del mistero pasquale e la relazione
tra la mensa del Signore e il sacrificio della Croce”, che sarà commemorato
domani sul Calvario. Ha presieduto la Celebrazione Eucaristica e guidato la
Processione il Patriarca latino di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, che ha avuto
vicini come concelebranti l’arcivescovo Antonio Franco, nunzio e delegato
apostolico, il vescovo coadiutore, Fouad Twal, e i vescovi ausiliari, Kamal
Hanna Batish e Giacinto Marcuzzo, il vescovo Gerald Richard Barnes di San
Bernardino, negli Stati Uniti, e moltissimi sacerdoti della diocesi
patriarcale. La Basilica era colma di fedeli, non solo cattolici ma anche
ortodossi, perché, conclusasi la processione, patriarchi e vescovi delle chiese
ortodosse di vari riti hanno dato inizio alla celebrazione della divina
liturgia in memoria dell’Ultima Cena. Sono proprio le molteplici funzioni negli
stessi spazi della Basilica che hanno imposto il cosiddetto “status quo”, un
regime che disciplina i tempi per la loro effettuazione; e questo spiega anche
la ragione per cui la Messa in Coena Domini, non solo viene celebrata la
mattina presto di giovedì, ma include, dopo la lavanda dei piedi e il rinnovo
delle promesse sacerdotali, la benedizione degli olii per gli infermi e i
catecumeni e la consacrazione del crisma. Altre due cerimonie segnano questa
giornata a Gerusalemme. Nel primo pomeriggio, la commemorazione dell’Ultima
Cena nel Cenacolo, ove avvenne, protagonisti i Frati Minori francescani,
guidati dal custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, che
in serata, nella Basilica del Getsemani, presiederà la tradizionale Ora Santa
di adorazione. (A
cura di Graziano Motta)
Iraq: a Mosul, bombe e
proiettili vicino alle chiese,
ma i fedeli non rinunciano alla Settimana
Santa
E’ iniziata con spari ed
esplosioni la Settimana Santa nella parrocchia caldea del Santo Spirito a
Mosul, in Iraq, dove le funzioni religiose si celebrano per sicurezza in un
sotterraneo e le finestre non hanno più vetri, infranti dalle numerose bombe e
mai più sostituiti. I fedeli, tuttavia, non rinunciano a partecipare alle celebrazioni
e non smettono di pregare e sperare. Lo scorso primo aprile, domenica delle
Palme, tre autobomba sono esplose durante la celebrazione eucaristica del
pomeriggio. “L’edificio e le persone non hanno riportato danni o ferite – riferiscono
i fedeli all’agenzia AsiaNews – “ci siamo molto spaventati, ma nessuno è
scappato e il parroco ha deciso di continuare la Messa nel seminterrato”. La deflagrazione
è avvenuta ad oltre un chilometro dalla chiesa, ma si è sentita in un raggio di
35 chilometri. Nel frattempo, erano giunte per seguire la Messa altre 250
persone, ma poco prima delle letture la stazione di polizia, vicina alla
chiesa, ha subito un attacco. “A quel punto – continuano i fedeli – il parroco
ci ha invitato ad avere fiducia in Dio e ad accettare queste difficoltà come
una prova della nostra fede”. La stazione di polizia adiacente alla chiesa è un
fattore di alto rischio per la comunità caldea e la popolazione locale. Il 15
marzo scorso, durante un altro attacco alla polizia, due bombe sono cadute
sulla chiesa. Lo stesso è successo il 30 marzo. (F.L.)
Libano: forte presa di posizione dei vescovi
maroniti in difesa del sistema democratico e costituzionale
Difesa del sistema
democratico e costituzionale libanese, “necessità” di riattivare il Parlamento,
sostegno alla formazione del tribunale internazionale che giudichi i responsabili
degli omicidi politici, necessità di eleggere un nuovo presidente della
Repubblica, nei termini previsti dalla Costituzione. Appare sostanzialmente favorevole
alle posizioni del governo e della maggioranza parlamentare la forte presa di
posizione dei vescovi maroniti resa pubblica ieri sera, al termine del loro
incontro mensile a Bkerke, sotto la presidenza del patriarca, cardinale
Nasrallah Sfeir. Il documento, emerso da più di cinque ore di discussioni e di
studi approfonditi, - riporta l’Agenzia AsiaNews - si dice motivato dalla forte
preoccupazione per “i pericoli che minacciano il paese e la sua unità” e “il
ruolo del cristiani” e dal timore che dalle sedi politiche il confronto si
sposti nelle piazze. Articolato in otto punti, il comunicato parte dunque dalla
“necessità di preservare l’apertura del Libano e la sua pluralità”, secondo la
sua tradizione ed affronta i diversi aspetti della crisi, ribadendo anche la
necessità di un nuovo ed equo sistema elettorale. Così, si chiede “a tutte le
forze politiche di rispettare i principi e le basi sulle quali sono edificati
il Libano ed il suo sistema politico ed a ricorrere alle istituzioni istituzionali
che formano il quadro sano per il dibattito politico”.
Mentre infuria il conflitto
civile nello Sri Lanka, messaggio dei vescovi
per la Pasqua: “Accendete il nuovo fuoco della verità,
dell’amore,
della compassione e della tolleranza”
“Nel
Mistero Pasquale vediamo realizzato il dramma della lotta fra verità e menzogna,
violenza e compassione, peccato e giustizia e, infine, fra la morte e la vita.
In tutte queste cose, alla fine a trionfare è la vita. Ma mentre gioiamo nella
gloria pasquale, ci troviamo nel mezzo di poteri del male e delle tenebre, che
assediano il nostro amato Paese e il nostro popolo”: con queste parole, che
esprimono dolore e speranza per la difficile situazione che vive lo Sri Lanka,
i vescovi del Paese lanciano, in occasione della Pasqua, un accorato appello
alla pace e alla riconciliazione. “La luce della verità e della giustizia –
notano i presuli – il genuino spirito di amore, le qualità umane della
compassione, dell’amore e della gentilezza sembrano essere eclissate dalla
spirale di violenza, odio, incomprensione, che distruggono il dialogo pacifico
e la serenità di giudizio”. “Lo spirito di intransigenza da un lato –
aggiungono – e quello di estremo nazionalismo dall’altro continuano a essere
seri ostacoli a ogni possibile sforzo per risolvere il conflitto nazionale”.
Per cambiare “questo triste stato di cose”, occorre “sedare la ribellione interiore
dei cuori e, attraverso un’onesta volontà politica, perseguire un processo di
pace lungo il sentiero di un accordo politico”. I vescovi esortano allora i
cittadini cingalesi e tamil a gettarsi alle spalle le antiche divisioni del
passato, la sfiducia e la violenza, per “accendere il fuoco nuovo della verità,
dell’amore, della compassione e della tolleranza”. La luce Pasquale di Cristo
Risorto – auspicano i vescovi - possa dare al Paese una nuova fase di pace,
libertà e prosperità. (R.M.)
Primi casi di dissenteria, nelle Isole Salomone,
dopo lo tsunami
che
domenica sera ha fatto almeno 34 morti e
5400 sfollati
“Abbiamo bisogno di più acqua potabile perché
iniziano a presentarsi casi di dissenteria tra i bambini nei campi dove la
maggior parte delle persone attinge a fonti contaminate”: è l’allarme lanciato
da Tanya Rad, responsabile di ‘World Vision’, la più importante organizzazione
umanitaria attiva nelle Isole Salomone, colpite domenica sera da un terremoto e
da uno tsunami che ha ucciso almeno 34 persone e costretto 5400 abitanti
a rifugiarsi nei campi profughi improvvisati sulle colline a strapiombo sui
litorali. “Temiamo che d’ora in avanti si diffonda anche la malaria”, ha
aggiunto Rad, citata dall’agenzia MISNA, precisando che i primi aiuti umanitari
sono giunti, ma che la loro distribuzione è rallentata dalla mancanza di mezzi.
Oggi è attesa un’equipe delle Nazioni Unite per il coordinamento della
distribuzione degli aiuti, mentre delle tre navi che ieri avrebbero dovuto
lasciare il porto della capitale, Honiara, per le zone più sinistrate
nell’ovest, ne è partita solo una. I venti violenti rendono difficile l’impiego
di piccole imbarcazioni che da Gizo, la capitale di 20 mila abitanti della
Provincia Occidentale, la più toccata dallo tsunami, raggiungano gli
atolli più isolati. Secondo il direttore esecutivo dell’organizzazione
umanitaria ‘Oxfam Nuova Zelanda’, “si tratta di una corsa contro la morte ed è
evidente che l’accesso all’acqua potabile e a strutture igieniche, sarà
cruciale nelle prossime settimane”. (R.M.)
Francia: dichiarazione congiunta
cattolico-ebraica
sulla
cura dei malati terminali
Contribuire “alla
riflessione sul rispetto della vita umana e di chi è morente o gravemente
malato”: questo, l’intento della dichiarazione congiunta dell’arcivescovo di
Parigi, mons. André Vingt-Trois, e del gran rabbino della città, David Messas,
resa nota martedì. “La cura dei malati in fin di vita” è il titolo del
documento, frutto del lavoro di un gruppo costituito dal Servizio per le
relazioni con il giudaismo dell’arcidiocesi e dalla Commissione per le altre
religioni del Concistoro di Parigi. Punto di partenza – riferisce l’agenzia Sir
– la “Legge Leonetti”, del 22 aprile 2005, in materia di diritti dei malati e
di fine della vita. “Noi ebrei e cattolici riconosciamo il diritto e il dovere
di ognuno di avere cura della propria salute e della propria vita”, esordisce
la dichiarazione, esprimendo “ferma opposizione a ogni forma di assistenza al
suicidio e a ogni atto eutanasico, intendendo come tale qualsiasi comportamento
che sotto forma di azione o di omissione abbia come obiettivo il dare la morte
a qualcuno per porre fine alle sue sofferenze”. “La sollecitudine dovuta ai
fratelli gravemente malati – prosegue il testo – esige di impegnarsi a portare
sollievo a tali sofferenze”. Di qui, l’apprezzamento per l’invito della Legge
Leonetti “a sviluppare le cure palliative in tutti gli ospedali”. Perplessità
vengono invece espresse sull’art. 2 di tale legge, che prevede la possibilità
per il medico ”di applicare un trattamento che può avere per effetto secondario
l’abbreviazione della vita, se esso è l’unico mezzo per alleviare le sofferenze
di chi è in fase terminale”. “Il ricorso a tale trattamento – precisa la
dichiarazione comune – è legittimo a certe condizioni: che sussistano intense
sofferenze che non possono essere altrimenti alleviate e che l’eventuale
effetto secondario di abbreviazione della vita non sia in alcun modo
ricercato”. “Raccomandazioni di buona pratica medica”, queste, che “devono
essere ratificate dal ministero della Salute e osservate nell’esercizio della
professione”. Per noi “ebrei e cattolici – affermano l’arcivescovo e il gran
rabbino di Parigi – è in base al suo atteggiamento verso i più deboli, tra i
quali le persone in fin di vita occupano un posto particolare, che una società
manifesta il proprio grado di umanità”. Il rispetto “nei loro confronti –
conclude la dichiarazione – costituisce uno dei fondamenti di ogni civiltà che
si dica umana”. (A.M.)
“Gesù è vivo nella sofferenza e
nel calvario di migliaia di persone
che camminano in cerca di una vita migliore”: così, nella
Lettera pastorale dei vescovi del Guatemala per la Settimana Santa
“La
Croce dell’emigrante, fonte di speranza”: è il titolo della Lettera pastorale
pubblicata dalla Conferenza episcopale del Guatemala in occasione della Settimana
Santa. Nel documento, firmato da mons. Rodolfo Francisco Bobadilla Mata,
presidente della Pastorale della mobilità umana dell’episcopato guatemalteco,
si ricorda che “Gesù si rende vivo nella sofferenza e nel calvario di migliaia
di persone che camminano con sogni e illusioni di cercare una vita migliore.
Egli – continua il testo, citato dall’agenzia Fides – illumina quelli che
lottano a favore della vita, dei diritti umani e della dignità di tutti gli
esseri umani. Allo stesso modo, ci invita a lottare per costruire un Regno di
pace, amore, giustizia e libertà, come vera espressione di spiritualità
solidale che nasce dalla Croce”. La celebrazione della Via Crucis – ricordano i
vescovi – è il cammino di tutti gli esseri umani, “un itinerario dove il
dolore, la sofferenza e la morte esistono e sono reali, ma si trasformano nella
risurrezione di Gesù, che ci dona la speranza di una vita nuova”. Nella
Lettera, si chiede alle autorità degli Stati di “ascoltare la voce di quanti soffrono
la disgregazione familiare per le eccessive deportazioni massicce” e di riconoscere
alla persona dell’emigrante, il diritto alla “cittadinanza universale”, per il
semplice e fondamentale fatto di essere “membro della famiglia umana, partecipe
della società mondiale, con diritto a occupare uno spazio degno e a contribuire
con la sua presenza e il suo lavoro al bene comune”. Si chiede infine alle
società dei Paesi di destinazione di abbattere le barriere dei pregiudizi e
della discriminazione e di accogliere, in uno scambio culturale rispettoso e
arricchente, chi arriva alle loro porte. (R.M.)
Firmate
dal Governo italiano otto Intese con altrettante confessioni
religiose, in attuazione dell’articolo 8 della
Costituzione.
Le
cerimonia si è svolta ieri pomeriggio nel Palazzo Chigi, a Roma
Raddoppia il numero
delle Intese tra lo Stato italiano e le confessioni religiose: si aggiungono
sei nuovi accordi e due modifiche ai quattro testi precedenti e per la prima
volta si comprendono culti diversi da quelli giudaico-cristiani. A firmare gli
atti sono stati il presidente del Consiglio Prodi e i rappresentanti della
Chiesa Apostolica in Italia, della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi
Giorni, della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, della Sacra
Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale,
dell’Unione Buddista Italiana e dell’Unione Induista Italiana per quanto
riguarda le nuove Intese, e della Tavola Valdese e dell’Unione delle Chiese
cristiane avventiste del Settimo Giorno per quanto riguarda le modifiche alle
Intese vigenti. La prima modifica consentirà alla Tavola Valdese di accedere
alla quota non espressa dai contribuenti dell’8 per mille, alla cui
ripartizione partecipano oggi lo Stato, la Chiesa cattolica, l’Unione delle
Comunità ebraiche italiane, la Chiesa Evangelica Luterana in Italia e l’Unione
delle Chiese cristiane avventiste del Settimo Giorno, che in base alla seconda
modifica vedrà anche riconosciute le Lauree in Teologia rilasciate
dall’Istituto Avventista di Cultura biblica di Firenze. Le Intese – secondo Palazzo
Chigi - rappresentano “un ulteriore passo avanti nell’attuazione dell’articolo
8 della Costituzione”. La parola ora passa al Consiglio dei Ministri che dovrà
approvare i relativi Disegni di Legge e trasmetterli al Parlamento per avviare
l’iter legislativo. Ma non tutti sono d’accordo sulle nuove Intese, in
particolare il partito UDC ha stigmatizzato quella con la Congregazione dei
Testimoni di Geova, le cui attività lederebbero la legislazione italiana e i
diritti della persona. L’articolo 8 della Costituzione afferma infatti che le
Confessioni religiose sono ugualmente libere davanti alla Legge ed hanno
diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purché non contrastino con
l’ordinamento giuridico italiano. (A
cura di Roberta Gisotti)
In corso, in Spagna,
la settimana internazionale di musica sacra di Cuenca
Si è aperta il 30
marzo scorso la 46.ma edizione della Settimana di musica sacra di Cuenca, in
Spagna, con l’interpretazione musicale del compositore José de Nebra dell’atto
sacramentale di Calderon de la Barca (1600 – 1681), intitolato: “La divina
Filotea”. Si tratta di uno dei Festival di musica più antichi di Spagna e uno
dei più importanti nell’ambito della musica sacra internazionale. Quest’anno, i
concerti sono 28 e due le composizioni eseguite in prima mondiale. Le
esecuzioni musicali si tengono in 10 spazi diversi tra l’Auditorium e alcune
chiese della città, tra cui la Cattedrale, riconosciuta come la prima di Spagna
in stile gotico. Una delle caratteristiche del Festival è che alcune delle
opere programmate vengono interpretate durante le grandi celebrazioni
liturgiche della Settimana Santa. Il concerto di chiusura avrà luogo la
domenica di Pasqua nella Cattedrale di Cuenca, con l’interpretazione di ”Misa
de Madrid” del compositore Domenico Scarlatti (1685 – 1757). La città di Cuenca
è stata riconosciuta nel 1996 Patrimonio mondiale dell’umanità dall’UNESCO. (A
cura di padre Ignacio Arregui)
4 aprile 2007
- A cura di Amedeo Lomonaco e Franco Lucchetti -
- La vicenda dei 15
marinai britannici, arrestati lo scorso 23 marzo dalle autorità iraniane e
tornati questa mattina a Londra, ha contribuito ad aprire nuove “linee di
dialogo” con la Repubblica islamica. Lo ha detto stamani il premier britannico,
Tony Blair, che ieri ha sottolineato l’approccio “misurato, fermo ma calmo” con
cui si è arrivati al rilascio dei marinai. Blair ha anche espresso l’auspicio
di “risolvere attraverso il dialogo” qualsiasi futura contesa con il governo di
Teheran. Sull’altro fronte, il presidente iraniano, Mahmoud
Ahmadinejad, ha definito ieri la liberazione dei militari “un regalo al
popolo britannico”. L’annuncio del rilascio è stato dato dal capo di Stato
iraniano davanti alle telecamere. Su questa sottolineatura mediatica nella
vicenda, ascoltiamo al microfono di Salvatore Sabatino, l’esperto di
Medio Oriente del Corriere della Sera, Guido Olimpio:
**********
R. – Questa è una
scelta strategica – potremmo dire – degli iraniani, che hanno voluto presentare
un profilo diverso; con la liberazione, ovviamente, il presidente Amadinejad ha smesso i panni dell’uomo arcigno dalle
sparate propagandistiche e dure. Si è invece presentato come un personaggio
magnanimo, generoso. In questo modo ha quindi tolto ‘munizion’i a chi lo
presenta come un uomo esaltato, come un estremista.
D. – Bisogna anche
sottolineare che Londra, subito dopo la liberazione dei suoi militari, si è
precipitata a dire che non ci sono state trattative con Teheran…
R. – Certo e anche lo
stesso Iran ha detto che non c’è stato uno scambio. In genere, in questi casi,
qualcosa è avvenuto: sappiamo che ci sono stati contatti diplomatici, sappiamo
che lo stesso Blair ha ringraziato i Paesi della regione. Si parla di una
mediazione da parte della Siria, del Qatar, dello stesso Iraq. Il fatto stesso
che un ufficiale iraniano, che era scomparso a Baghdad e che era stato arrestato
dalla polizia, è stato liberato il giorno prima. Ma sappiamo anche che gli
iraniani potranno far visita ai cinque ufficiali iraniani sempre detenuti in
Iraq. De segnali quindi ci sono; si parla anche di un impegno inglese volto ad
evitare nuove violazioni nelle acque territoriali iraniane. Qualcosa è
sicuramente avvenuto ma ci vorrà qualche giorno per capire cosa.
D. – Questo gesto di
distensione da parte dell’Iran potrà avere delle ricadute sulla questione
nucleare della Repubblica islamica che, sappiamo, aver procurato non pochi
problemi a livello internazionale?
R. – Queste due
vicende sono separate, ma è evidente che la mossa di Amadinejad
lo presenti non come un uomo intransigente, ma come un uomo capace di aperture.
Il fatto è che sul nucleare le posizioni sono abbastanza nette. Gli iraniani
non vogliono cedere di un centimetro e, quindi, ritengo che sia più difficile.
Potremmo dire che, forse, cambia un po’ l’atmosfera, ma non la sostanza.
**********
- Proprio sulla
complessa questione nucleare iraniana sono ripresi, intanto, i contatti tra l’Alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza
dell'Unione Europea, Javier Solana, e il capo negoziatore iraniano, Ali
Larijani. Lo rivelano fonti a autorevoli a Bruxelles, secondo cui tali contatti
sono ripresi quasi immediatamente dopo l’annuncio, ieri a Teheran, della
liberazione dei 15 marinai britannici.
- In Medio Oriente non
è stato ancora rilasciato il giornalista della BBC Alan Johnston, rapito lo
scorso 12 marzo a Gaza. Su questa vicenda è stato annunciato un incontro tra il
console generale britannico, Richard Makepeace,
ed il primo ministro palestinese, Ismail Haniyeh. Si
tratta del primo incontro tra un rappresentante del governo britannico ed un
membro di Hamas del nuovo governo palestinese. Ma il console ha subito
precisato che non rappresenta un cambiamento della politica britannica nei
confronti di Hamas. I ministri degli esteri dell’Unione Europea hanno deciso di
mantenere il boicottaggio nei confronti dei ministri palestinesi appartenenti
al gruppo radicale, fin quando Hamas non riconoscerà Israele e rinuncerà alla
violenza.
- In Iraq,
l’esplosione di ordigni al passaggio di convogli militari continua a provocare vittime:
un attentato condotto con questa tecnica a Bassora, nel sud del Paese arabo, ha
causato la morte di almeno quattro soldati britannici e di un interprete
iracheno. Oltre alla violenza, anche un’altra piaga affligge l’Iraq: secondo il
capo della commissione irachena anti-corruzione sono stati persi, a causa
della corruzione, almeno 8 miliardi di dollari a partire dal 2004.
-
Spostiamoci in Afghanistan, da dove arriva la notizia di un nuovo sequestro:
due cittadini francesi, cooperanti di un’organizzazione umanitaria da tempo
attiva nel Paese asiatico, sono stati rapiti da militanti talebani insieme con
tre afghani, due interpreti e un autista. Il rapimento è avvenuto non lontano
dalla turbolenta provincia di Helmand, dove esattamente un mese fa era stato
sequestrato l’inviato italiano del quotidiano “La Repubblica”, Daniele
Mastrogiacomo. Oltre al reporter, erano
stati rapiti anche un’autista, ucciso dai talebani, e un interprete, ancora
tenuto in ostaggio. In Afghanistan, intanto, il fondatore di ‘Emergency’, Gino
Strada, ha dichiarato che l’organizzazione umanitaria lascerà il Paese asiatico
se non verrà rilasciato Rahmatullah Hanefi, il suo collaboratore arrestato da
agenti afghani dopo aver fatto da mediatore per il rilascio di Daniele Mastrogiacomo.
- Un nuovo rapporto di
‘Amnesty International’
denuncia le condizioni di isolamento, definite “crudeli”, in cui si trovano
presunti terroristi detenuti nel carcere americano a Guantanamo. Secondo
l’organizzazione umanitaria, la maggior parte dei prigionieri è stata
sottoposta a un trattamento duro, in condizioni che violano gli standard
internazionali. A Guantanamo sono attualmente
detenuti 385 prigionieri: si tratta di combattenti talebani catturati in
Afghanistan e di persone sospettate di avere legami con l’organizzazione
terroristica Al Qaeda.
- La Corte
Costituzionale dell’Ucraina ha reso noto che fra 15 giorni emetterà il suo
parere sulla legittimità costituzionale della proposta presentata dal presidente
filoccidentale, Viktor Yushchenko, di sciogliere il Parlamento e di indire
nuove elezioni. Il primo ministro filorusso, Viktor Yanukovich, aveva invece
sollevato, nei giorni scorsi, la questione del conflitto di poteri davanti
all’Alta Corte. A Kiev, intanto, la spaccatura politica si riflette anche in
nuove, contrapposte manifestazioni, alle quali partecipano sostenitori del
premier e del presidente. Al momento, fortunatamente, non si registrano
scontri.
- Clima di
tensione anche a Timor Est, dove si è conclusa oggi la campagna elettorale per
le presidenziali previste lunedì prossimo. Negli ultimi due giorni, almeno 30
persone sono rimaste ferite in seguito a scontri tra sostenitori dei vari candidati.
All’appuntamento con le urne sono chiamati oltre 523 mila aventi diritto. Fra i
candidati figurano l’attuale premier Jose Ramos Horta, ed il presidente del
partito Fretilin, Francisco Guterres.
- In Cecenia si apre
ufficialmente un nuovo corso politico: si è tenuta infatti stamani a Grozny la
cerimonia di insediamento del nuovo presidente ceceno, Ramzan Kadyrov, fedele
alleato di Mosca. Ramzan Kadyrov era stato designato capo di Stato ad interim
lo scorso 15 febbraio in seguito alle dimissioni volontarie dell’allora
presidente, Alu Alkhanov. Il nuovo presidente ceceno, figlio dell’ex capo di
Stato filorusso Akhmad Kadyrov rimasto ucciso
in un attentato compiuto da ribelli indipendentisti il 5 maggio del 2004, è
accusato da organizzazioni di diritti umani di guidare milizie responsabili di
gravissimi abusi ai danni di ribelli e civili. Ma il governo di Mosca ha sempre
respinto queste critiche aggiungendo che da quando Ramzan Kadyrov è salito al
potere, la situazione si è normalizzata.
- In Thailandia, il
governo ha oscurato il sito internet ‘YouTube’ perché non è stato cancellato,
come richiesto, un video considerato irriguardoso nei confronti del re
thailandese Bhumibol. Secondo i responsabili del sito il filmato, che mostra
immagini ritoccate del sovrano, non è offensivo. Ma il governo di Bangkok non è
di questo avviso. Offendere o criticare i componenti della famiglia reale in
Thailandia è considerato un crimine punibile con la detenzione da tre a
quindici anni. La scorsa settimana un cittadino svizzero, Oliver Rudolf Jufer,
è stato condannato a vent’anni di carcere per aver deturpato immagini del re.
La pena è stata poi ridotta a dieci anni dopo che Jufer si è riconosciuto
colpevole e si è scusato.