RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno LI n. 91 - Testo della trasmissione di domenica1 aprile 2007
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Al Festival del Cinema di
Alba presentato l'intenso film danese "Il Monastero"
CHIESA E SOCIETA’:
Allarme ONU per la situazione
in Ciad: “Sottovalutata la crisi umanitaria”
Spagna: importante
manifestazione in favore della causa della pace nella diocesi di San Sebastian
A Macerata
l’ordinazione episcopale di mons. Claudio Giuliodori
Scontri a Mogadiscio: il
dramma dei profughi
1 aprile 2007
Domenica delle Palme
e Giornata Mondiale della Gioventù: il Papa invita
i giovani a non
accontentarsi di ciò che tutti pensano o fanno,
ma a interrogarsi su
Dio che si è reso sofferente per noi
Migliaia di giovani
hanno partecipato oggi in Piazza San Pietro, in una fresca giornata di
primavera, alla Messa presieduta da Benedetto XVI nella Domenica delle Palme e
della Passione del Signore e in occasione della XXII Giornata Mondiale della
Gioventù celebrata a
livello diocesano e ulteriore tappa del cammino che porterà alla GMG di Sydney
2008.
Il Papa ha invitato i
giovani al coraggio di opporsi alla violenza e alla menzogna, a non
accontentarsi di ciò che tutti pensano o fanno ma a interrogarsi su Dio per
seguire Gesù, Re della pace e della giustizia, che per noi si è reso
sofferente. Il servizio di Sergio Centofanti.
**********
In un’atmosfera di
grande raccoglimento il Papa ha guidato la suggestiva processione della
Domenica delle Palme in Piazza San Pietro fino al sagrato della Basilica
Vaticana, quindi ha benedetto le palme e gli ulivi. Benedetto XVI ha affermato
che in questa processione ci associamo alla folla dei discepoli che, in gioia
festosa, accompagnano il Signore nel suo ingresso in Gerusalemme. E come loro
“lodiamo il Signore a gran voce per tutti i prodigi che abbiamo veduto”:
“Sì, anche noi abbiamo
visto e vediamo tuttora i prodigi di Cristo: come Egli porti uomini e donne a
rinunciare alle comodità della propria vita e a mettersi totalmente a servizio
dei sofferenti; come Egli dia il coraggio a uomini e donne di opporsi alla
violenza e alla menzogna, per far posto nel mondo alla verità; come Egli, nel
segreto, induca uomini e donne a far del bene agli altri, a suscitare la
riconciliazione dove c’era l’odio, a creare la pace dove regnava l’inimicizia”.
Nella processione
delle Palme – ha ricordato il Pontefice - professiamo la regalità di Cristo,
riconosciamo cioè Gesù come “il Re della pace e della giustizia”:
“Riconoscerlo come Re
significa: accettarlo come Colui che ci indica la via, del quale ci fidiamo e
che seguiamo. Significa accettare giorno per giorno la sua parola come criterio
valido per la nostra vita. Significa vedere in Lui l’autorità alla quale ci
sottomettiamo. Ci sottomettiamo a Lui, perché la sua autorità è l’autorità
della verità”.
Il Papa esorta a dire
il “nostro sì” a Cristo, “ad andare con Lui ovunque ci porti”, affidandoci
“totalmente alla sua guida”. Ma “che cosa vuol dire in concreto seguire
Cristo?”: “si tratta afferma Benedetto XVI – di un
mutamento interiore dell’esistenza”:
“Richiede che io non sia più chiuso nel mio io considerando la mia autorealizzazione la ragione principale della mia vita.
Richiede che io mi doni liberamente a un Altro – per
la verità, per l’amore, per Dio che, in Gesù Cristo, mi precede e mi indica la
via. Si tratta della decisione fondamentale di non considerare più l’utilità e
il guadagno, la carriera e il successo come scopo ultimo della mia vita, ma di
riconoscere invece come criteri autentici la verità e l’amore. Si tratta della
scelta tra il vivere solo per me stesso o il donarmi – per la cosa più grande.
E consideriamo bene che verità e amore non sono valori astratti; in Gesù Cristo
essi sono divenuti persona. Seguendo Lui entro nel servizio della verità e
dell’amore. Perdendomi mi ritrovo”.
Nella Liturgia della
Domenica delle Palme viene cantato il Salmo 24 che
anche in Israele era un canto processionale usato
nella salita al monte del tempio. “Il Salmo – afferma il Papa - interpreta la salita
interiore di cui la salita esteriore è immagine e ci spiega così ancora una
volta che cosa significhi il salire con Cristo”. E “coloro che salgono e
vogliono giungere veramente in alto, arrivare fino all’altezza vera, devono
essere persone che si interrogano su Dio”:
“Persone che scrutano
intorno a sé per cercare Dio, per cercare il suo Volto. Cari giovani amici –
quanto è importante oggi proprio questo: non lasciarsi semplicemente portare
qua e la nella vita; non accontentarsi di ciò che tutti pensano e dicono e
fanno. Scrutare intorno a sé nella ricerca di Dio. Non lasciare che la domanda
su Dio si dissolva nelle nostre anime. Il desiderio di ciò che è più grande. Il
desiderio di conoscere Lui – il suo Volto…”
Condizione per salire
– recita il Salmo – è avere “mani innocenti e cuore puro”:
“Mani innocenti – sono
mani che non vengono usate per atti di violenza. Sono
mani che non sono sporcate con la corruzione, con tangenti. Cuore puro – quando
il cuore è puro? È puro un cuore che non finge e non si macchia con menzogna e
ipocrisia. Che rimane trasparente come acqua sorgiva, perché non conosce
doppiezza. È puro un cuore che non si strania con l’ebbrezza del piacere; un
cuore il cui amore è vero e non è soltanto passione di un momento. Mani
innocenti e cuore puro: se noi camminiamo con Gesù, saliamo e troviamo le
purificazioni che ci portano veramente a quell’altezza
a cui l’uomo è destinato: l’amicizia con Dio stesso”.
“Nella vecchia
liturgia della Domenica delle Palme – ricorda il Papa - il sacerdote, giunto davanti alla
chiesa, bussava fortemente con l’asta della croce della processione al portone
ancora chiuso, che in seguito a questo bussare si apriva … una bella immagine
per il mistero dello stesso Gesù Cristo che, con il legno della sua croce, con
la forza del suo amore che si dona, ha bussato dal lato del mondo alla porta di
Dio; dal lato di un mondo che non riusciva a trovare accesso presso Dio”:
“Con la croce Gesù ha
spalancato la porta di Dio, la porta tra Dio e gli uomini. Ora essa è aperta.
Ma anche dall’altro lato il Signore bussa con la sua croce: bussa alle porte
del mondo, alle porte dei nostri cuori, che così spesso e in così gran numero
sono chiuse per Dio. E ci parla più o meno così: se le prove che Dio nella
creazione ti dà della sua esistenza non riescono ad aprirti per Lui; se la
parola di Dio e il messaggio della Chiesa ti lasciano indifferente – allora
guarda a me, al Dio che per te si è reso sofferente, che personalmente patisce
con te – vedi che io soffro per amore tuo e apriti a me e a Dio Padre”.
“Il Signore ci aiuti
ad aprire la porta del cuore – è la preghiera del Papa - affinché Egli, il Dio
vivente, possa nel suo Figlio arrivare in questo nostro tempo, raggiungere la
nostra vita”.
Al termine della Messa
il Papa ha salutato nelle varie lingue i pellegrini presenti e in particolare i
giovani…
(applausi)
Ha ricordato loro il
comandamento di Cristo, tema della XXII Giornata Mondiale della Gioventù: “Come
io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli
altri” . Infine, a tutti ha augurato una Settimana Santa ricca di frutti
spirituali, da vivere in intima unione con la Vergine Maria:
“Da Lei impariamo il
silenzio interiore, lo sguardo del cuore, la fede amorosa per seguire Gesù
sulla via della Croce, che conduce alla luce gioiosa della Risurrezione”.
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E tanti, almeno 50 mila erano i giovani
presenti questa mattina in Piazza San Pietro. Il Papa li ha salutati a sorpresa
ancora una volta affacciandosi dopo la Messa dalla finestra del suo studio
privato. Ma come hanno accolto i giovani le parole di Benedetto XVI: in
particolare cosa vuol dire per loro seguire Gesù? Ascoltiamo alcune voci
raccolte da Marina Tomarro :
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R. – Seguire Gesù
nelle azioni quotidiane, giorno per giorno. Non aspettare la festa prefissata
da un calendario. Cioè, Gesù è tutti i giorni ovunque ed in ogni posto,
qualsiasi cosa facciamo. Questo è seguire Gesù.
R. – E' essenzialmente
seguire il Vangelo. Seguire gli insegnamenti che noi apprendiamo dal Vangelo ed amare.
R. – Seguire Gesù
significa incontrarlo in tutte le persone. E’ molto difficile, però è lo sforzo
quotidiano che dobbiamo fare tutti quanti.
R. – Seguire Gesù
secondo me è un dono. A casa, nelle tue preghiere,
quando sei da solo e leggi un pezzo della Bibbia, seguirlo concretamente per me
è questo.
D. – Benedetto XVI ci
dice che verità e amore non sono valori astratti. In che modo riesci a mettere
insieme, nella tua vita, verità e amore?
R. – Quando rinuncio a
me stessa per aprire un po’ il cuore agli altri. Nelle piccole cose di ogni
giorno, senza fare grandi cose.
R. – Tra venti giorni
ci nasce una bambina è questa è la nostra prima dimostrazione di amore.
D. – Il Papa ci invita
a scegliere tra il vivere solo per noi stessi o il donarci per la cosa più
grande. Tu cosa hai scelto?
R. – Il donarsi
pienamente a chiunque, anche per le cose piccole della vita. Essere d’aiuto,
che poi è una parola grandissima. Essere d’aiuto a tutti: dal piccolo al
grande.
R. – Donarsi per la
cosa più grande, anche se sempre non ci si riesce. A volte si cade e si deve
ricominciare da capo.
R. – Cerco di vivere
per la cosa più grande. A volte è difficile, anzi è molto difficile
ma si fa il possibile.
D. – Il Santo Padre
evoca l’immagine di una salita per raggiungere l’altezza vera. Non
accontentarsi di ciò che tutti pensano, dicono e fanno e invece cercare Dio con
tutto il cuore. Tu cosa pensi di questo?
R. – Penso che sia
vero perché ho sempre pensato che alla fine di ogni difficile scalata c’è
sempre un meraviglioso paesaggio da guardare. E’ una cosa impegnativa
ma colui che la raggiunge, raggiunge la soddisfazione personale della
propria vita.
D. – Il Papa ci parla
di amicizia con Dio. Cosa vuol dire per te essere amico di Gesù.
R. – Cercando di
seguire i suoi insegnamenti. Il primo comandamento: quello di amare.
R. – Sono amica di
Gesù soprattutto nella preghiera e nel Vangelo. Vivere la Parola nella propria
vita, è questa la cosa più importante. Gesù ci ha lasciato la cosa più bella
che è proprio il Vangelo, la Parola. Quando mi sento sola o comunque anche
guardando il cielo, guardando il suo creato, la sua natura, quello è vedere
Gesù in tutto quello che fa e che c’è di bello nel mondo.
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Sul forte significato
spirituale della Settimana Santa, Giovanni
Peduto ha raccolto la riflessione del cardinale Francis Arinze, prefetto della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti:
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R. – Il significato è
che la Santa Madre Chiesa celebra i misteri del suo sposo Redentore. Gesù è
venuto sulla Terra per amore nostro e per la nostra salvezza. Ci ha salvato con
tutta la sua vita: miracoli, predicazioni ma specialmente con la sua
sofferenza, la sua morte e la sua resurrezione. E’ questo che noi celebriamo.
Infatti, la celebrazione eucaristica della Santa Messa è la ripresentazione
dei misteri di Cristo che soffre, muore, risorge, e il sacrificio della Croce è
l’ora di Gesù. Ogni cristiano, ogni cattolico prenderà atto di questo.
Celebrerà con la Chiesa, nella Chiesa, cercherà di comprendere i riti prima di
andare in chiesa per meglio seguire, per meglio partecipare. La partecipazione
non è primariamente attività esteriore: è primariamente l’unione interna con la
Chiesa e con Cristo. Naturalmente, ogni fedele cercherà di confessarsi prima,
di ricevere Gesù nella Santissima Eucaristia, di essere in un certo senso in
cammino con la Chiesa, in cammino con la Beatissima Vergine Maria, che era accanto al Salvatore, specialmente sul Calvario. In
cammino anche con gli apostoli. Chi non capisce la Settimana Santa, non capisce
il cristianesimo; chi non partecipa a questi riti sacri, veramente è alla
superficie della vita cristiana. Perché Pasqua dà senso ad ogni domenica che
noi celebriamo il primo giorno della settimana, come il Giorno del Signore.
Senza la domenica non possiamo andare avanti, hanno detto i martiri di Abitene, nell’Africa del Nord.
Ecco la Settimana che sta al cuore di tutto l’anno liturgico della Chiesa.
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La Chiesa
ricorda Giovanni Paolo II a due anni dalla morte
Domani, 2 aprile,
ricorre il secondo anniversario della scomparsa di Papa Wojtyla.
Nell’occasione, alle ore 12, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il cardinale vicario Camillo Ruini celebrerà la
sessione di chiusura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di
santità del Servo di Dio Giovanni Paolo II. Alle ore 17.30, in Piazza San
Pietro, Benedetto XVI presiederà una Santa Messa in suffragio del suo
predecessore. La Radio Vaticana trasmetterà la cronaca dei due riti. Numerose
le celebrazioni previste anche a Cracovia, in Polonia, patria di Karol Wojtyla. E tante le testimonianze di chi lo ha
conosciuto. Ascoltiamole, nel servizio di Isabella Piro.
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(musica)
“Lasciatemi tornare
alla Casa del Padre”: sono state queste le ultime parole pronunciate da
Giovanni Paolo II, prima della sua scomparsa, avvenuta alle 21.37 del 2 aprile
2005, vigilia della festa della Divina Misericordia. Il 28 giugno successivo, a
meno di 3 mesi dalla sua morte, grazie alla dispensa concessa da Benedetto XVI,
ebbe inizio la sessione di apertura dell’inchiesta diocesana sulla vita, le
virtù e la fama di santità del Servo di Dio, Giovanni Paolo II. Domani,
l’inchiesta diocesana verrà chiusa. Ad assistere alla
cerimonia, ci sarà anche suor Marie Simon Pierre, guarita dal morbo di Parkison
per un presunto miracolo avvenuto per intercessione di Giovanni Paolo II.
Ascoltiamo, al microfono di Beata Zajaczkowka, la
testimonianza di mons. Slawomir Oder, postulatore
della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Karol
Wojtyla:
“Questa suora nel 2001
ha avuto l’esordio del morbo di Parkinson che poi ha
avuto un decorso devastante e fulminante. Dopo la morte di Giovanni Paolo II
era una cosa naturale che questa giovane suora, che si è vista privata delle
facoltà di servire nell’Istituto, abbia chiesto al Santo Padre la sua
intercessione e ha avuto una bellissima risposta. In effetti, da un momento
all’altro, sono scomparsi tutti i sintomi di questo morbo di Parkinson. Abbiamo una documentazione molto interessante
dal punto di vista clinico, come anche la documentazione grafologica che
permette di ricostruire le tappe di questa malattia, anche accompagnate dalla
sua scrittura. C’è un foglietto scritto dalla suora, di suo pugno, la sera
prima della guarigione: sul foglietto viene riportato
il nome di Giovanni Paolo II, praticamente un scrittura assolutamente
illeggibile. Qualche ora dopo, la suora ha sentito la necessità di prendere in
mano una penna, scrivere, e la sua calligrafia era perfetta come prima
dell’esordio della malattia”.
“Santo subito”, gridò
la folla alla morte di Giovanni Paolo II. E l’affetto per il Papa polacco
continua, ancora e sempre, testimoniato dalle lunghe file di persone raccolte
in preghiera davanti alla sua tomba, nelle Grotte Vaticane. Giovanni Peduto ha raccolto il commento del cardinale Stanislaw Dziwisz,
arcivescovo di Cracovia e per moltissimi anni segretario particolare di Giovanni
Paolo II:
“Come spiegare queste
file che ogni giorno si creano per andare alla tomba di Giovanni Paolo II?
Queste persone non vanno da un morto: vanno per incontrarlo, per approfondire
il messaggio che ha lasciato, per riprendere qualcosa da lui. Il segreto di
tutto questo è l’amore. L’amore che non cessa con la morte. L’amore del Papa
verso l’Uomo: nell’Uomo lui ha sempre visto Dio; e l’amore per l’infinito. E
dall’altra parte, è rimasto l’amore della gente, soprattutto dei giovani, per
il Papa, che li ha sempre tanto amati. La gente non vuole dimenticarlo. E’ un mistero,
e questa è la nostra fede”.
La sera del 2 aprile
2005, così come era avvenuto per molte sere precedenti, Piazza San Pietro si
riempì di candele e fiammelle, portate da una folla commossa, accorsa a dire
‘Addio’ al Papa. Al microfono di padre Vito
Magno, il cardinale Angelo Sodano,
allora segretario di Stato, ricorda quei momenti:
“La sera della sua
santa morte, ormai i medici non davano più speranze di vita, gli strinsi la mano
e chiesi la sua benedizione, e lui, volgendo il suo sguardo fisso verso di me,
disse con lieve sorriso ciò che non poteva più dire a voce, ma per me quel
sorriso fu il migliore discorso, ne conserverò sempre grata memoria”.
(musica)
Nei suoi 26 anni di
pontificato, Karol Wojtyla ha avuto modo di
incontrare diversi presidenti della Repubblica italiana, tra cui Francesco Cossiga,
alla guida del Quirinale dal 1985 al 1992, che
rivela, al microfono di Eugenio Bonanata,
un curioso aneddoto:
“Ero presidente del
Consiglio dei ministri e mi chiamano e mi dicono: 'Sa,
ieri notte è successa una cosa imbarazzante'. Cos’è
successo? 'Una pattuglia in borghese della polizia,
verso le 23 – 23.30, ora non ricordo se a Piazza Navona
o a Piazza di Spagna – ha trovato due ecclesiastici, uno più alto e l’altro più
basso, vestiti in clergyman, che giravano guardando il panorama. E l’ispettore
che guidava la pattuglia ritiene d’aver ravvisato il Papa ed il suo segretario.
Ha chiamato il questore e gli ha chiesto: Cosa facciamo, ci avviciniamo?. Il questore ha detto: No, mando rinforzi
ma lasciate stare’. E succede una seconda
volta. Allora il ministro degli Interni mi chiede cosa dobbiamo fare. 'Chiamatemi il nunzio'. E gli
dissi: 'Guardi, il Santo Padre, che è anche vescovo di
Roma, può andare dove gli pare e piace a qualunque ora, e vestito come vuole;
ma dovrebbe farci il favore di avvertirci prima ...'. Poi non ho più saputo se
l’abbia fatto”.
Oltre alle visite
ufficiali, tra il Papa e i capi di Stato italiani erano frequenti anche gli
incontri privati, come racconta Oscar
Luigi Scalfaro, presidente dal 1992 al 1999,
intervistato da Tiziana Campisi:
“Capitava d’essere
invitati alla Messa del mattino. Una delle prime volte mi colpì
quando il Santo Padre, all’uscita, mi accompagnò all’ascensore e mi
disse con un tono familiare incredibile: 'Venga tutte le volte che vuole, tutte
le volte che vuole venga!'. Si andava alle 7, con mia figlia, si entrava nella
cappella e il Santo Padre era già nei paramenti per la Messa, ed era sul suo
inginocchiatoio in meditazione, in preghiera. La sensazione – mi si permetta
una frase che non ha senso, ma la dico per cercare di esprimere ciò che ho
provato – la sensazione fisica di avere lì davanti il Papa che sta parlando con
Domineddio: il Vicario che è a colloquio con il suo Superiore diretto.
Un’impressione enorme: mentre sto parlando, sento qualche brivido sulla pelle”
...
Nati entrambi nel 1920
e devoti entrambi a San Carlo, di cui portano il nome, Karol
Wojtyla e Carlo Azeglio Ciampi, presidente dal ’99 al 2006, si incontrarono in
diverse occasioni, fino all’ultimo:
R. – L’ultimo incontro
privato che ho avuto con Sua Santità fu esattamente il
16 gennaio 2005, e concordammo per il giorno 29 aprile la visita al Quirinale di Sua Santità. Lui ne fu particolarmente lieto, tant’è che quel giorno volle chiudere la colazione con un
brindisi all’Italia. Quel 2 aprile è mancato, ma io non dimenticai il 29
aprile; e il 29 aprile, appunto, mia moglie ed io, alle 8, eravamo sulla sua
tomba, come a dire: “Tu non sei potuto più venire al Quirinale,
vengo io da Te”.
D. – Quale tratto
della figura di Papa Wojtyla le è rimasto particolarmente nel cuore?
R. – Questa sua
straordinaria umanità. Un uomo che, di grande mente, parlava soprattutto con il
cuore. Questa capacità, poi, di capire nell’intimo le persone. Il dialogo con
lui era un dialogo quasi silenzioso, fatto con gli occhi oltre che con le
parole. E bastava lo sguardo o un gesto della mano, per dire un’immensità di altre
cose. Io l’ho considerato e lo considero tuttora il mio grande fratello maggiore.
D. – Qual è, secondo
lei, l’eredità di Giovanni Paolo II?
R. – Credere, avere
fiducia, porsi degli ideali, impegnarsi per raggiungerli. Naturalmente, alla
base di tutto questo c’è l’amore per il prossimo inteso non solo come
caratteristica fondamentale della religione cristiana. Quindi, la lotta contro
la fame, la lotta a favore degli umili, la lotta per la pace ... Aveva questa capacità di fondere la dottrina con l’umanità.
Dalla parte degli
umili, degli indifesi, di chi era in difficoltà, Papa Wojtyla ha mostrato al
mondo la forza dell’amore, della carità.
Ascoltiamo la testimonianza di un detenuto di ‘Regina Coeli', carcere che Giovanni Paolo II visitò il 9 luglio
del 2000:
“Io penso che sia stata
una persona che stava con noi e sentiva i nostri veri problemi. Una persona che
mi manca. Quello che mi chiedevo è perché una persona del genere con tanta
sofferenza che aveva, lasciava da parte la sua sofferenza per noi. È stato a Montecitorio a chiedere clemenza per noi, morente. Questi sono
ricordi che ti rimangono dentro e se ci ripensi ti chiedi il perché”
(canto ‘Jesus Christ you are my life’)
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1 aprile 2007
Israele isola Cisgiordania e a Gaza per
la Pasqua ebraica.
Transito permesso ai cristiani per le
festività pasquali
In Medio Oriente,
l’esercito israeliano ha circondato i Territori palestinesi in Cisgiordania e a
Gaza. L’operazione proseguirà per l’intera durata del periodo della Pasqua
ebraica, che si concluderà il 9 aprile. In un comunicato si precisa che sarà
comunque consentito il passaggio a fedeli cristiani e uomini di Chiesa in
occasione della Pasqua cristiana. La Comunità internazionale continua, intanto,
a cercare soluzioni per rendere praticabile la via della pace. Ma la Pasqua
imminente può essere occasione feconda per tutte le realtà presenti e per
rinvigorire il dialogo? Stefano Leszczynski ne
ha parlato col padre francescano Pierbattista
Pizzaballa, Custode di Terra Santa:
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R. - In Terra Santa,
in modo particolare, le difficoltà non sono mai mancate, di carattere politico,
sociale, civile. La Pasqua a Gerusalemme è un momento particolare, dove tutte
le situazioni difficili vengono messe da parte e ci si
dedica alla Pasqua e alle liturgie; diventa una città piena di preghiera.
Quest’anno c’è moltissima gente anche perché la Pasqua cattolica e la Pasqua
ortodossa cadono negli stessi giorni per cui la città
è molto affollata, prevediamo delle liturgie molto affollate.
D. - C’è un messaggio
particolare che si può trarre dalla Pasqua di quest’anno per la Terra Santa?
R. - Il messaggio
della Pasqua è sempre lo stesso: Cristo che risorge dai morti. E’ un messaggio
di risurrezione, di vita, di speranza. Soprattutto, sia se cambiano le
circostanze o se rimangono sempre le stesse circostanze di dolore, di
difficoltà, Cristo che risorge ci dice che nonostante tutto non bisogna mai
cessare di credere nella bontà dell’uomo e nella vita.
D. - Per i credenti
delle altre religioni cosa può essere trasmesso dalla Pasqua?
R. - La Pasqua
cristiana si rifà alla Pasqua ebraica, la liberazione dalla schiavitù. Veniamo
liberati dalla schiavitù; anche per i musulmani è un periodo di festa, di
grandi celebrazioni.
D. - Quindi,
nuovamente, la Terra Santa si presenta come zona particolarmente favorevole al
dialogo interreligioso…
R. – Il dialogo qui è
inevitabile perchè si vive insieme. Forse non discutiamo dei grandi principi o
dei grandi problemi del mondo; discutiamo di cose più banali, ma il dialogo fa
parte della nostra vita. Dobbiamo discutere di tutto, di
problemi concreti e proprio la concretezza di quei problemi ci avvicina,
ci rende umanamente solidali l’uno con l’altro.
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Al Festival del Cinema di Alba
presentato
l'intenso
film danese "Il Monastero"
Al Festival del Cinema
in corso ad Alba, in Piemonte, è stato presentato "The Monastery
– Il Monastero", un film danese dall'inconsueto e mirabile spessore umano
e dalla sincera ispirazione religiosa.
Il servizio di Luca Pellegrini.
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Il naso gli è sempre
stato un problema: appuntito e prominente, segna il suo volto, dandogli un
profilo buffo e arguto. Il naso, dunque, è un problema, non la vita. Non gli
ottantadue anni. E nemmeno la fatica, o la solitudine, o le sfide, o l'incapacità
di relazione immediata col prossimo, se non con l'amata e temuta figura del
padre. Ma il signor Vig, protagonista del toccante e
mirabile The Monastery della regista danese Pernille Rose Grønkjær, è un
capolavoro di umanità immerso, come il suo castello fatiscente, in una foresta
levigata dalla neve e dal sole. Occhiali sempre inforcati, ciuffi di capelli bianchi e barba che
inanella il viso, ad indicare tanti anni alle spalle e tanta saggezza, così
come il suo lento procedere e parlare, il suo profondo riflettere, le sue
risposte toccanti, precise, i suoi ricordi. Ha avuto da quarant'anni
un'idea fissa, il nostro Signor Vig: donare al
Patriarcato di Mosca il suo castello per farne un monastero, ospitando una
piccola comunità di suore ortodosse. Un luogo di preghiera, di incontro, di
memoria, di pace. Ma non è facile convincere suor Amvrosija,
appositamente giunta da Mosca con una consorella per verificare la fattibilità
dell'impresa, perché c'è da mettere mano a tutto, al riscaldamento e al tetto,
alla cucina e alla chiesa, che appunto, non c'è. E al portafogli. Tra Vig e Amvrosija nasce una
relazione sorprendente ed a tratti difficile: la suora russa e l'anziano
olandese che si portano dietro tradizioni, pensieri, abitudini, attese. Ma lo
scopo è identico e identica la sfida: creare il monastero, rendere possibile l'incontro con Dio in un mondo secolarizzato, edificare un
ponte tra Oriente e Occidente, tra tutte le
Chiese. Uno spirito in fondo ecumenico, una empatia
sincera e vitale pervade i protagonisti che partecipano di questa lenta
trasformazione dell'edificio secolare in edificio spirituale, che è anche la trasformazione
dei cuori. Insomma, questo film è un inno alla vita, alla riconciliazione, al
futuro. E, scusate, dimenticavo: non è assolutamente un film, è un documentario.
Perché la storia è tutta vera: il Signor Vig è
davvero vissuto e morto nella pace del “suo” monastero e suor Amvrosija veramente gli ha sussurrato che per anime belle
come la sua le porte del Paradiso sono sicuramente spalancate.
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1 aprile 2007
Mons. Bagnasco, bersaglio delle ennesime distorsioni mediatiche.
Mai equiparati i DICO con incesto e pedofilia
Il presidente della
Conferenza episcopale italiana, l’arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, non ha mai equiparato i DICO a pedofilia ed
incesto. In una precisazione diffusa ieri sera dall’Ufficio comunicazioni
sociali e stampa dell’arcidiocesi ligure si legge che l’intervento di mons. Bagnasco, venerdì, all’incontro degli operatori della
Comunicazione sociale, “è stato male riportato con titolazioni e sintesi
sommarie che risultano parziali e fuorvianti”. Incontrando gli animatori
diocesani della cultura e della comunicazione, venerdì sera, mons. Bagnasco ha spiegato che la recente Nota della CEI su
famiglia ed unioni di fatto vuole illustrare non solo le ragioni della fede che
portano a dire no alla legalizzazione delle unioni fra persone dello stesso
sesso, ma anche quelle che derivano dal retto uso della ragione. Dunque il
documento è esempio dello sforzo che i cattolici devono fare nel dialogo col
Paese, portando cioè argomentazioni razionali e non solo di fede. Il presule ha
precisato che il documento “cerca di parlare all’intelligenza dei credenti
attraverso alcuni accenni alla fede, ma soprattutto all’intelligenza comune, al
buon senso, alla ragione attraverso delle motivazioni delle ragioni di tipo antropologico”.
Un modo, dunque, per i cattolici, per inserire le loro ragioni di fede in un
“confronto retto, onesto e il più possibile pacato e rispettoso”. In ballo, ha
continuato il presule, c’è una “corretta antropologia”. In un articolo
pubblicato ieri dal quotidiano Avvenire e che riporta le parole pronunciate da
mons. Bagnasco all’incontro degli operatori della
Comunicazione sociale e male riportate dai media, si
legge che per il presule il rischio è la mancanza di “un criterio oggettivo per
giudicare il bene e il male” e che se tale criterio è quello “dell’opinione pubblica
generale”, allora, “è difficile dire dei no”. Da qui l’interrogativo del
presidente della CEI: se il criterio oggettivo per giudicare bene e male fosse
quello dell’opinione pubblica generale, perchè “dire no all’incesto o al
partito dei pedofili in Olanda se ci sono due libertà che si incontrano?”.
Contro queste “aberrazioni già presenti almeno come
germogli iniziali” - ha detto il presule - è difficile resistere, “se viene a
cadere il criterio antropologico dell’etica che è anzitutto un dato di natura e
non di cultura”. Nessuna equiparazione, dunque, in queste parole tra DICO,
incesto e pedofilia. Una “tempesta in un bicchiere d’acqua”, quindi, si legge
oggi in un editoriale del quotidiano Avvenire, le reazioni su parole “mai
pronunciate” da mons. Bagnasco. “Perché mai una serie
di politici si siano lasciati tentare in dichiarazioni estremistiche oltre che
imprudenti – scrive ancora Avvenire – non riusciamo proprio a spiegarcelo”.(A cura di Tiziana Campisi)
Allarme ONU per la situazione in Ciad: “Sottovalutata la crisi
umanitaria”
La comunità
internazionale sta sottovalutando la crisi in Ciad: lo ha affermato il
coordinatore delle operazioni umanitarie dell’ONU, John
Holmes, ricordando che è molto difficile per le
organizzazioni impegnate negli aiuti provvedere alle necessità dei circa 140
mila sfollati interni ciadiani e dei 235 mila
rifugiati dalla confinante regione sudanese del Darfur,
residenti nelle zone desertiche orientali del Paese, teatro di scontri tra
esercito e svariati gruppi ribelli. Sottolineando che i bisogni sono “enormi” e
in continua crescita – riferisce l’agenzia MISNA – l’ex-diplomatico inglese ha
precisato che i Paesi donatori hanno versato finora solo 40 milioni di dollari
sui 173 necessari per fornire cibo, acqua e riparo ai profughi del Ciad
orientale. Holmes ha poi ribadito che il problema
fondamentale è la sicurezza, sia per la popolazione locale sia per gli
operatori umanitari, che rischiano, per questo motivo, di dover interrompere le
attività. Infine, Holmes ha auspicato una “soluzione
politica”, necessaria in primo luogo nel vicino Darfur, ma anche in Ciad, che nell’ultimo anno e mezzo ha
assistito a un aumento delle violenze. Il mese scorso, il Consiglio di
Sicurezza dell’ONU aveva votato per mandare una missione di pace nel Paese,
allo scopo di proteggere i civili e controllare le frontiere, ma il governo di Ndjamena aveva replicato che non intendeva accettare sul
suo suolo alcuna presenza militare. Dopo un incontro con il primo ministro, Nouradine Delwa Kassiré Koumakoye, l’esponente
del Palazzo di Vetro ha detto che il dialogo continuerà e che spera di ottenere
un risultato positivo. (R.M.)
L’UNESCO conferisce
alla giornalista russa Anna Politkovskya,
uccisa l'anno scorso, il premio ‘Guillermo
Cano per
la libertà di stampa’ 2007
È stato assegnato ad
Anna Politkovskaya, la giornalista russa assassinata
lo scorso anno, il premio ‘Guillermo Cano per la libertà di stampa’
2007. Lo ha deciso l’UNESCO, che ha deciso il riconoscimento, come riferisce
l’agenzia MISNA, tramite una giuria internazionale di quindici giornalisti.
“Anna Politkovskaya ha dimostrato un’incredibile
coraggio e determinazione nel riportare gli eventi in Cecenia dopo che il mondo intero aveva dimenticato quel
conflitto” si legge nella motivazione. “La sua dedizione e impavida ricerca della
verità – continua la nota – rappresentano un altissimo punto di riferimento per
tutto il giornalismo, non solo in Russia ma in tutto il mondo”. Il premio
UNESCO/Guillermo Cano viene consegnato a persone e organizzazioni che mettono a
rischio la loro vita nell’esercizio del diritto d’informazione e della libertà
di stampa. Giornalista del ‘Novata
Gazeta’, Anna Politkovskaya
era nota per le centinaia di articoli con cui aveva raccontato la guerra in Cecenia e le violazioni dei diritti umani commesse, attirandosi,
secondo colleghi e attivisti per i diritti umani, l’ostilità sia dei militari
russi sia dei ribelli ceceni. Aveva inoltre condotto
un’accurata inchiesta sulla corruzione all’interno del ministero della Difesa
russo. Il 7 ottobre del 2006 è stata ritrovata uccisa con quattro colpi di arma
da fuoco nell’atrio del palazzo dove abitava. La sua attività giornalistica di
denuncia le era valsa molti riconoscimenti internazionali
tra cui una menzione speciale del ‘Premio Andrei Sakharov’,
per “una vita dedicata al giornalismo”, e il premio ‘Olof
Palme’. La cerimonia di consegna del premio UNESCO/ Guillermo Cano per la libertà di
stampa si svolgerà, come ogni anno, il 3 maggio, giornata mondiale della
libertà di stampa. Poiché nel 2007 cade il decimo anniversario della nascita
del premio stesso, per l’occasione è stata scelta come sede della cerimonia Medellin, in Colombia, città natale di Guillermo
Cano, il giornalista alla cui memoria è stato
istituito il premio e che 20 anni fa fu assassino a causa delle sue denunce
contro i baroni nel narcotraffico. (T.C.)
Promuovere “il senso della legalità”: così, il vicepresidente
della Conferenza
episcopale calabra, mons. Cortese,
nel suo messaggio per la
Pasqua
Nel nostro Paese, il
“pane quotidiano” è diventato “la prevaricazione e la violenza. Violenza che
ormai dilaga nelle famiglie e nelle scuole, nelle strade e negli stadi, in un
clima culturale e sociale sempre più dominato dall’illegalità. È una civiltà da
sballo, una civiltà di violenti, contro la civiltà dei diritti e dei doveri”. È
quanto scrive mons. Domenico Tarcisio Cortese, vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea e vicepresidente della
Conferenza episcopale calabra, in un messaggio alla diocesi per la Pasqua. “Non
c’è da stupirsi – aggiunge il vescovo, citato dall’agenzia Sir – ma c’è da indignarsi e
da ribellarsi, se la vita della regione è dominata da mafie, da bande criminali
sempre più pervasive. Ci sono troppi varchi aperti e
indifesi nelle maglie del tessuto sociale”. Per mons.
Cortese, bisogna “ritrovare il senso dello Stato, come comunità di uomini
liberi e solidali; bisogna ritrovare il valore e la forza del diritto e della
legge come tutela del bene comune, del bene di tutti; bisogna promuovere e
sostenere la presenza e la partecipazione del cittadino alla vita dello Stato,
con il senso della responsabilità e della legalità”. “Non vi sono altre
vie – conclude – per creare sicurezza e dignità, sconfiggendo mafie e
violenza”. (R.M.)
Spagna: importante manifestazione in favore
della causa della pace nella diocesi di San Sebastian
Migliaia di fedeli della diocesi di San Sebastian,
nei Paesi Baschi, in Spagna, hanno pregato ieri per la pace durante una marcia
di 9 chilometri verso il santuario della Madonna di Aranzazu.
Lungo il percorso, i pellegrini sono stati accompagnati, grazie ad una rete di
altoparlanti, da letture di testi biblici, e di autori contemporanei, da musica
sacra popolare e classica, ed erano frequenti i momenti dedicati alla recita di
preghiere. In questo modo, lungo le tre ore del percorso, il pellegrinaggio,
oltre all’aspetto penitenziale, ha avuto il carattere di un’esperienza
spirituale, con momenti di riflessione e preghiera. La marcia si è conclusa al
santuario di Aranzazu con una paraliturgia presieduta
dal vescovo della diocesi, mons. Juan Maria Uriarte. Il rinnovamento della fede, il rinsaldamento
dell’unità all’interno della Chiesa e l’impegno a favore della pace, sono stati
gli obiettivi proposti dal vescovo ai fedeli. Nel suo intervento a chiusura
della marcia, il presule ha segnalato gli ostacoli che oggi si oppongono alla
pace tra i quali il massimalismo, l’immobilismo, gli interessi di parte, la
mancanza di autocritica e la chiusura al dialogo. Mons.
Uriarte ha invitato tutti a far prevalere i segni
positivi tra i quali, la solidarietà con tutte le vittime, l’apertura al
dialogo, lo spirito di riconciliazione, la ricerca di accordi specifici, lo
spirito costruttivo e la preghiera. Il presule ha concluso il suo intervento
affermando: “Ogni anno facciamo questa marcia penitenziale in cerca di una pace
ancora inesistente, nella speranza che l’anno prossimo possiamo rendere grazie
per una pace sia pure incipiente”. Nonostante il cattivo tempo dei giorni
precedenti, sono stati circa 7 mila i fedeli che hanno partecipato a questa marcia
annuale in spirito di penitenza e in favore della causa della pace. (A cura di padre Ignacio
Arregui)
A Macerata l’ordinazione episcopale di mons. Claudio Giuliodori
Si è svolta ieri
mattina, nella cattedrale di San Giuliano di Macerata, la celebrazione
dell’ordinazione episcopale del nuovo vescovo della diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia
mons. Claudio Giuliodori. Da nove
anni responsabile dell’Ufficio comunicazioni sociali della CEI, mons. Giuliodori, 49 anni, è stato nominato vescovo il 22
febbraio scorso. A presiedere il rito, al quale hanno preso parte, fra gli
altri, il presidente della Conferenza episcopale italiana, l’arcivescovo di
Genova mons. Angelo Bagnasco e il cardinale Ersilio Tonini, è stato il
cardinale Camillo Ruini. Nella sua omelia il porporato ha sottolineato che “il
vescovo è anzitutto evangelizzatore” e che il nuovo vescovo “ha tutta la preparazione
per esserlo a sua volta; ha già esercitato questa missione spendendo molta
parte della sua vita con le comunicazioni sociali”. E nel pomeriggio il neovescovo
ha incontrato i giovani della sua diocesi per celebrare la XXII Giornata
Mondiale della Gioventù. (T.C.)
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1 aprile 2007
- A cura di Amedeo Lomonaco -
- In
Somalia anche oggi si registrano violenti combattimenti a Mogadiscio, dove
prosegue l’offensiva dell’esercito etiopico contro i ribelli. Nei combattimenti
è morto un soldato del contingente multinazionale dell’Unione Africana. Si tratta
di un militare ugandese, dilaniato da colpi di
mortaio. Gli scontri spingono, inoltre, la
popolazione della capitale a lasciare la città. Ma la fuga da Mogadiscio si
rivela, in molti casi, un’esperienza drammatica. Il nostro servizio:
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In Somalia
un nuovo dramma si aggiunge alla tragedia della guerra: secondo “Human Rights Watch”
centinaia di sfollati, che cercano di fuggire da Mogadiscio, sono stati
arrestati e maltrattati da agenti di Kenya, Etiopia e Somalia. L’organizzazione
umanitaria denuncia in particolare casi di “detenzione
arbitraria, espulsione e apparente sparizione di decine di persone”,
probabilmente sospettate dai governi di Nairobi, Addis Abeba e Mogadiscio di
far parte o di avere legami con le milizie islamiche. L’organizzazione non
governativa precisa, inoltre, che gli abusi sarebbero iniziati lo scorso mese
di dicembre, quando le milizie delle Corti islamiche, legate secondo gli Stati
Uniti ad Al Qaeda, sono
state sconfitte grazie al decisivo appoggio militare delle truppe etiopiche
alle forze somale. L’esodo di civili dalla capitale somala continua nonostante
la mancanza di sicurezza: l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati ha reso
noto che, nell’ultima settimana, almeno 12 mila persone hanno abbandonato
Mogadiscio. Si stima che complessivamente gli sfollati siano, a partire da
febbraio, più di 57 mila. Fuggire verso l’ignoto, tra molteplici insidie e in
condizioni difficilissime, costituisce ancora un’opzione preferibile rispetto a
quella di rimanere nella capitale. A Mogadiscio, infatti, proseguono per il
quarto giorno consecutivo violenti scontri tra insorti, fedeli alle Corti
islamiche, e soldati somali appoggiati da militari etiopici. Ieri il governo
etiopico ha riferito che dall’inizio dell’offensiva sono stati uccisi almeno
200 ribelli. E’ invece incerto il bilancio dei civili morti a causa di questa
interminabile catena di scontri, definiti dagli analisti i più gravi degli
ultimi 15 anni. Questo fosco scenario si conferma purtroppo, anche oggi, in
tutta la sua drammaticità: diversi cadaveri giacciono lungo le strade di
Mogadiscio e la distruzione di molte case continua ad alimentare un consistente
flusso di sfollati.
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Spostiamoci in un’altra martoriata terra africana, la regione sudanese del Darfur, dove è di almeno 60 morti il bilancio, ancora
provvisorio, di un attacco lanciato ieri contro una tribù araba. Secondo un
responsabile sanitario, l’attacco è stato condotto da miliziani filogovernativi, i guerriglieri janjaweed,
nel tentativo di rubare del bestiame. Le autorità locali attribuiscono invece
la responsabilità della strage ad un’altra tribù.
- In Zimbabwe, nove membri dell’opposizione sono stati
sequestrati da agenti della sicurezza in un ospedale dove erano stati
ricoverati. Lo ha riferito stamani l’avvocato dei nove attivisti precisando che
gli oppositori avevano denunciato di aver subito “ferite da parte della
polizia” dopo il loro arresto, avvenuto la scorsa settimana.
- In
Algeria, scoperto un arsenale di Al Qaeda: la polizia ha ritrovato sotto la sabbia nell’oasi di
Magran, 600 chilometri a sud est di Algeri, una
grande quantità di esplosivo. Nel nascondiglio sono stati ritrovati, oltre alle
armi, un computer, uno scanner e documenti su cui sarebbero riportati i nomi di
commercianti e imprenditori della zona.
- Il sud dell’Afghanistan
continua a rivelarsi teatro di scontri e orrori: almeno sette poliziotti sono
rimasti uccisi in seguito ad un’imboscata tesa contro il loro convoglio da
guerriglieri talebani nella provincia di Kandahar.
Fonti locali hanno riferito che dopo l’agguato, diversi estremisti sono morti
durante uno scontro a fuoco con forze della coalizione. Nel capoluogo della
turbolenta provincia di Helmand sono inoltre state
impiccate dai talebani tre persone accusate di essere “spie al servizio del
governo”. Il capoluogo e l’intera provincia di Helmand,
dove l’economia si basa soprattutto sulla produzione dell’oppio, sono
considerate roccaforti dei talebani.
- L’alleanza tra i
guerriglieri sunniti iracheni e la rete terroristica Al Qaeda
si sarebbe spezzata. A sostenerlo è il quotidiano britannico “Sunday Times”, secondo cui i
sunniti sarebbero decisi a cacciar via dal Paese gli esponenti
dell’organizzazione terroristica, ritenendoli troppo vicini all’Iran. Un capo
tribale sunnita della turbolenta provincia di Al Anbar ha dichiarato inoltre
che negli ultimi cinque mesi sono stati uccisi in
questa zona almeno 500 miliziani del braccio iracheno di al Qaeda.
Intanto, in un’altra area dell’Iraq, vicino al confine con la Turchia, i
cristiani assiro caldei
hanno celebrato oggi con canti e danze il loro capodanno. Secondo il calendario
babilo-assiro, rimasto in vigore anche dopo la conversione
al cristianesimo di queste popolazioni considerate le più antiche dell'Iraq, è
iniziato l’anno 6757. Durante il regime
di Saddam Hussein i
festeggiamenti per il capodanno erano vietati perché considerati “contrari al
sentimento nazionale”.
- E’ sempre più
intricata la vicenda dei 15 militari britannici arrestati lo scorso 23 marzo
dalle autorità della Repubblica islamica. Il ministro degli Esteri iraniano ha
detto che il governo di Teheran si attende da Londra un diverso atteggiamento per
risolvere la crisi. Sull’altro versante, il Regno Unito spera di poter
inviare in Iran un alto responsabile della Marina militare, per arrivare ad una
soluzione attraverso il negoziato. I marinai sono accusati, dalle autorità
dell’Iran, di essere entrati in acque territoriali iraniane volontariamente. I
governi di Londra e Baghdad sostengono, invece, che i soldati britannici si
trovavano, al momento dell’arresto, in acque irachene.
- In Iran, intanto, il
presidente Mahmoud Ahmadinejad ha rilasciato
inquietanti dichiarazioni durante una visita in una località nel sud del Paese:
“Il suicidio – ha affermato Ahmadinejad - è un’arma
invincibile e l’Iran è in grado di reclutare centinaia di kamikaze al giorno”. Nella regione visitata stamani dal capo di Stato
iraniano sono stati reclutati dal 1980 al 1988, durante la guerra tra Iran e
Iraq, migliaia di attentatori suicidi. Tra i kamikaze inviati in prima linea
contro le forze irachene, c’erano anche molti bambini.
- In Nepal
sette partiti politici e i maoisti hanno ufficialmente raggiunto un accordo per
formare un nuovo governo. E’ stato anche annunciato che nel mese di giugno si
terranno le elezioni generali. Gli aventi diritto dovranno eleggere
un’Assemblea incaricata di redigere una nuova Costituzione. L’Assemblea dovrà
anche pronunciarsi sul futuro della monarchia nepalese. Ma l’esito di questo percorso
politico sembra già scritto. Recentemente il premier
nepalese, Girija Prasad Koirala, ha dichiarato infatti che
re Gyanendra, con le sue “ingerenze” e le sue
“tentazioni autoritarie”, “ha lastricato la strada che porta il Paese alla Repubblica”.
- Migliaia
di persone sono scese stamani in piazza a Kiev, in
Ucraina, per partecipare a due manifestazioni contrapposte pro e contro il
presidente, il filo-occidentale Viktor Yushenko. Il capo di Stato ucraino ha minacciato di
sciogliere il Parlamento. Al centro della crisi è l'obiettivo dei partiti filorussi di avere dalla propria parte 300 parlamentari per
cambiare la Costituzione e limitare i poteri del presidente. Yushenko ha anche ventilato l’ipotesi di sciogliere il
Parlamento.
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