RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 273 - Testo
della trasmissione di sabato 30 settembre 2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
Il Vangelo di domani: il commento di padre Marko Ivan Rupnik
CHIESA E SOCIETA’:
In Italia il governo ha
varato la finanziaria di 33 miliardi di euro: una manovra di giustizia e di
rigore, secondo il premier Romano Prodi. Una stangata fiscale secondo
l’opposizione
Elezioni cruciali domani in Bosnia Erzegovina e Austria
30 settembre 2006
BENEDETTO
XVI SI E’ CONGEDATO DAL PERSONALE DELLE VILLE PONTIFICIE
E DALLA CITTA’ DI CASTEL GANDOLFO, RINGRAZIANDO TUTTI PER
L’OSPITALITA’
E LE
PREMURE RICEVUTE NEI DUE MESI DI SOGGIORNO.
MERCOLEDI’
PROSSIMO, IL RIENTRO IN VATICANO
Si concluderà il 4 ottobre, con il rientro in Vaticano, il
soggiorno di Benedetto XVI nella sua residenza estiva di Castel Gandolfo,
iniziato lo scorso 28 luglio. Due mesi ricchi di avvenimenti e di impegni per
il Papa che, questa mattina, ha salutato la città castellana, oltre ai singoli
gruppi – in particolare quelli della sicurezza – che gli hanno permesso di vivere
questo periodo in piena tranquillità. Il servizio di Alessandro De Carolis.
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Un solo grazie, affettuoso e
riconoscente,
declinato a più riprese perché nessuno fosse dimenticato. A quattro giorni
dalla sua partenza da Castel Gandolfo, dal Palazzo e dalla città che l’hanno
ospitato per oltre 60 giorni, Benedetto XVI ha riunito attorno a sé comunità e
gruppi operativi che, a vario titolo, hanno reso la sua permanenza “proficua e
serena”, come ha detto all’inizio del suo saluto alle autorità della cittadina
castellana. Circa 120 persone hanno riempito la Sala degli Svizzeri nella
residenza estiva del Papa, tra cui il vescovo di Albano, Marcello Semeraro, e il sindaco di Castel Gandolfo, Maurizio Colacchi. Benedetto XVI si è detto grato per la “premura”
ricevuta in queste settimane, segno – ha riconosciuto – della “ben nota”
cortesia e ospitalità dei Castellani nei confronti dei pellegrini che vengono a
far visita al Papa, in particolare la domenica: quest’anno
ben nove sono stati, con l’ultimo di domani, gli Angelus tenuti da
Benedetto XVI nel cortile del Palazzo Apostolico.
La gratitudine del Pontefice è andata, tra gli altri, ai
funzionari e agli agenti delle Forze dell’ordine italiane per la loro
collaborazione con la Gendarmeria vaticana e con la Guardia Svizzera. Il loro
lavoro, ha affermato Benedetto XVI, ha assicurato “una tranquilla e sicura
permanenza a me e ai mie collaboratori”. Un impegno,
lo ricordiamo, divenuto particolarmente delicato nei giorni di tensione seguiti
alle reazioni del mondo islamico al discorso tenuto in precedenza dal Papa
all’Università di Ratisbona.
Un pensiero spirituale, il Papa lo ha dedicato ai Gesuiti
della Specola Vaticana e alle comunità religiose e laicali presenti a Castel
Gandolfo:
“In questi mesi ho
sentito la loro vicinanza spirituale e le ringrazio di cuore, augurando a tutti
di corrispondere con rinnovata generosità alla chiamata di Dio, spendendo le
proprie energie a servizio del Vangelo”.
(applausi)
Oltre alla consueta agenda fitta di udienze e interventi,
il soggiorno castellano 2006 ha visto scrivere alcune pagine fondamentali del
Pontificato di Benedetto XVI: il cambio della guardia al vertice della
Segreteria di Stato, con il congedo del cardinale Sodano e l’arrivo del
cardinale Bertone, e l’incontro con i leader e ambasciatori musulmani di cinque
giorni fa, in seguito alle vicende accennate in precedenza. Ora, il rientro in
Vaticano dove, tra due settimane, Piazza San Pietro tornerà a riempirsi anche
di domenica per una celebrazione solenne presieduta da Benedetto XVI, la
canonizzazione di quattro Beati.
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ALTRE
UDIENZE E NOMINE
Sempre stamani il Santo Padre ha
ricevuto in successive udienze, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo,
anche Sua Beatitudine Emmanuel III Delly,
Patriarca di Babilonia dei Caldei, e l’ambasciatore
del Perù José Pablo Morán
Val, in visita di congedo.
In Messico, il Santo Padre ha
accettato la rinuncia al governo pastorale della diocesi di Ciudad
Lázaro Cárdenas presentata
da mons. Salvador Flores Huerta, in conformità al
can. 401 § 2 del Codice di Diritto Canonico.
Il Papa ha quindi nominato membro
della Congregazione per le Chiese Orientali, della Congregazione per i Vescovi
e della Congregazione per l’Evangeliz-zazione dei Popoli, il cardinale Tarcisio
Bertone, Segretario di Stato.
Infine, il Santo Padre,
accogliendo l’invito rivoltogli dal presidente della Repubblica di Ungheria e
dall’arcivescovo di Esztergom-Budapest, ha nominato
il cardinale Angelo Sodano, segretario di Stato emerito e Decano del Collegio
Cardinalizio, Legato Pontificio per le celebrazioni della libertà
dell’Ungheria. Tali celebrazioni avranno luogo a Budapest il 22 e il 23 ottobre
prossimi.
E’ MORTO IERI IL CARDINALE LOUIS-ALBERT
VACHON, ARCIVESCOVO EMERITO
DI QUÉBEC:
AVEVA 94 ANNI. IL CORDOGLIO DEL PAPA:
“HA
CONSACRATO GENEROSAMENTE LA SUA VITA
AL
SERVIZIO DI CRISTO E DELLA SUA CHIESA”
E’ morto ieri, nella città
canadese di Québec, il cardinale Louis-Albert
Vachon, arcivescovo emerito di Québec:
aveva 94 anni. I funerali si svolgeranno giovedì 5 ottobre, in
mattinata, nella cattedrale di Notre-Dame di Québec.
Il Papa, in un telegramma
inviato al cardinale Marc Ouellet,
arcivescovo di Québec, ha espresso il proprio
profondo cordoglio per la scomparsa del porporato, che ha definito “pastore
zelante che ha consacrato generosamente la sua vita al servizio di Cristo e
della sua Chiesa”. Il cardinale Vachon – ha affermato
il Pontefice – è stato un “uomo di fede e di cultura” che ha sempre cercato di
rafforzare “la qualità della vita cristiana” dei fedeli, curandone in modo
particolare lo “spirito missionario”.
Il cardinale Vachon era nato il
4 febbraio
Con la sua scomparsa, il Collegio cardinalizio risulta
composto da 189 cardinali di cui 116 elettori e 73 non
elettori.
DAL 2 OTTOBRE
AL
CENTRO DEI LAVORI,
La Commissione Teologica Internazionale terrà
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - Il saluto di Benedetto XVI alla
comunità di Castel Gandolfo.
La biografia del compianto cardinale Louis.Albert Vachon.
Servizio estero - Per l’“Atlante geopolitica”, un
articolo di Pierluigi Natalia dal titolo “Kosovo: una ferita non ancora
risanata”.
Servizio culturale - Per la rubrica “Incontri”, il
fotografo Joel Meyerowitz
intervistato da Giuseppe Costa.
Servizio italiano - In primo piano il tema della
finanziaria.
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30 settembre 2006
FAVORITO
IL CAPO DI STATO USCENTE, LULA DA SILVA
-
Intervista con Maurizio Chierici -
Domani consultazioni presidenziali in Brasile.
Favoritissimo nei sondaggi il capo di Stato uscente Inacio
Lula Da Silva, ma di una buona performance elettorale
è accreditato anche il suo sfidante candidato della coalizione moderata, il
social-democratico Geraldo Alckmin. 126 milioni gli
elettori chiamati alle urne per scegliere, oltre al capo dello Stato, anche 513
deputati, 27 senatori, 27 governatori e oltre 1000 deputati degli Stati
federali. A penalizzare Lula Da Silva potrebbero
contare le recenti accuse di corruzione che stanno per trasformare queste
elezioni in un referendum sulla sua presidenza. Su questo aspetto Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di Maurizio Chierici, esperto
di America Latina:
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R. – Malgrado il partito si sia
disfatto, malgrado gli scandali, con denunce che spesso sono vere, ma altre
volte non lo sono, Lula rischia di vincere il primo
turno, ma con un senso di disperazione, in fondo, per la sinistra brasiliana.
Tra quattro anni non potrà ricandidarsi e non esiste
una figura di ricambio. Quindi si ha l’impressione che gli avversari della
destra neoliberista, guidata dal vecchio presidente Cardoso
– adesso il candidato si chiama Alckmin, un candidato
mandato allo sbaraglio perché si sa che avrebbe perso – si stiano preparando
alle prossime elezioni, al successore, visto che non esistono dentro alla
sinistra protagonisti carismatici come Lula.
D. – Un bilancio su quella che è stata la presidenza di Lula da Silva fino a questo momento; ha risposto alle
aspettative dei brasiliani?
R. – Ha risposto parzialmente perché Lula
non ha nessuna maggioranza in Parlamento, di volta in volta doveva
contrattarla. Ecco perché si sono creati i gruppi, perché non è riuscito, per
esempio, a portare a termine l’operazione “fame zero”. E’ vero che cinque milioni
di famiglie brasiliane mangiano in più di prima, è vero che è calata anche la
corruzione ma è anche vero che il grande problema - che è anche il grande
problema dell’intera America Latina - è la riforma agraria e la riforma agraria
non riesce a farla perché ogni Stato è governato con leggi che possono opporsi
alle decisioni dello Stato federale. Quindi i governatori sono spesso coinvolti
in speculazioni, parliamo soprattutto dell’Amazzonia del nord-est, adesso anche
nel centro, attorno al Mato Grosso per via della soia che è il nuovo oro del
Brasile, i governatori si oppongono, quindi distruggono dicendo che i bilanci
sono più importanti della natura. Nello tesso tempo, i
“senza-terra” speravano che Lula assegnasse loro le
terre, e Lula è sceso ad un compromesso: quando i
“senza-terra” occupano dei territori abbandonati, Lula
lascia che vengano occupati e poi ne riconosce la proprietà, ma non c’è una
legge quadro e i “senza-terra” sono scontenti perché non hanno la legge sulla
quale basare le loro speranze ed i proprietari sono scontenti perché non
vogliono perdere i terreni. Ecco, questo è il problema di Lula:
non avere la maggioranza in Parlamento.
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DOMANI A MEZZOGIORNO
IL
CARDINALE SARAIVA MARTINS PRESIEDE IL RITO
-
Intervista con il vescovo Carlo Liberati -
Sarà il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei
Santi, a presiedere domani mattina nel Santuario mariano di Pompei
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R. – Pompei nasce da un’intuizione mariana. Era una tarda
mattinata dell’ottobre
1872 quando Bartolo Longo, ormai
convertito e recuperato completamente alla fede, mentre andava per i campi in
valle di Pompei come amministratore della contessa Marianna Farnararo,
che era proprietaria di quasi tutta questa valle, sentì una voce che gli disse:
“Recita il Rosario e sarai salvo”. Questa voce gli rimbombava dentro e fuori
come se qualcuno lo chiamasse. Fatto sta che lui si mise in ginocchio sull’erba
umida e quando si rialzò, emise questo proposito istantaneo: “Non mi
allontanerò mai più dalla valle di Pompei e diventerò il tuo apostolo, l’apostolo
del tuo Rosario”. Quindi, questa meravigliosa preghiera della Supplica, che lui
poi definì la preghiera del mondo, “l’ora
del mondo”, è concepita nel momento di una intensa
esperienza interiore. Egli comincia a scrivere questa preghiera mariana, assieme
ad altre, le lima, la perfeziona, non è contento fino
a quando non arriva a formulare una invocazione meravigliosa nella quale
presenta alla Madonna,
D. – Eccellenza, ottobre è un mese mariano dal lontano 1571, anno della vittoria di Lepanto, in cui la
cristianità respinse le armate islamiche. Intensa si levò allora la preghiera a
Maria. Oggi è tempo di dialogo con l’islam, un dialogo definito da Benedetto
XVI una necessità vitale. Cosa pensa?
R. – Penso che uno scontro di civiltà ormai è impossibile
come è avvenuto a Lepanto e non solo a Lepanto, prima ancora avvenne a Poitiers
e poi a Vienna e poi a Belgrado, quando le armate cristiane, dovendosi
difendere, arginarono l’avanzata dell’islam. Questo è un fatto della storia.
Oggi la civiltà avanza sulle strade dell’amore, della convivenza, del confronto
pacifico, della tolleranza, dell’amicizia, della collaborazione intellettuale,
spirituale ed economica, perché le armi ormai devono tacere. La pace è sempre
difficile perché costa sacrificio e bisogna rinunciare dall’una e dall’altra
parte, a qualcuna delle cose non essenziali della propria identità. Ma non ci
sono alternative, la beatitudine del Signore “Beati i costruttori di pace” per
noi, nel mondo di oggi multietnico, multireligioso, multimediale, multieconomico,
ecc., è un fatto assolutamente urgente. Per cui, la
nostra Supplica, la nostra preghiera, il nostro rosario quotidiano che
recitiamo tutte le sere, con l’adorazione eucaristica dalle sei alle sette,
diventa per noi un impegno ed anche una gioia perché la nostra Basilica è
sempre piena e ci uniamo ai “rosarianti” di tutto il
mondo. Queste sono le nostre armi, e queste armi noi le affiniamo nella
dolcezza, nella tenerezza, nell’abbandono della preghiera a Maria.
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TESTIMONIARE
PER 12
ANNI MISSIONARIO IN CARCERE, DETENUTO TRA I DETENUTI
-
Intervista con padre Nguyen Cong
Doan -
Sono stati necessari tanti anni per costruire un dialogo
tra
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R. – I primi 15 anni, cioè fino al crollo del Muro di
Berlino, sono stati durissimi, a causa dei pregiudizi causati dalla storia. Il
colonialismo occidentale ha generato una grande confusione tra Chiesa e
colonialismo stesso. Dunque, anche in Vietnam c’erano tanti pregiudizi che
hanno reso la vita dura. Il governo comunista sospettava
D. – Per la sua attività, è stato accusato di essere un
controrivoluzionario e condannato insieme ad altri
sette Gesuiti a ben 12 anni di carcere. Come ricorda la sua detenzione?
R. – Non ho mai considerato questa condanna come una
tragedia. Per me è stata una missione. La missione presso i prigionieri, perché
era l’unico modo per loro di avere un cappellano. I preti non potevano entrare
nella prigione. In prigione abbiamo potuto aiutare molto a chiarire tante cose,
tanti sospetti contro
D. – Come era visto dagli altri carcerati?
R. – C’erano prigionieri politici e detenuti comuni. La
presenza di un sacerdote è molto rispettata anche dai non cristiani.
D. – Lei riusciva anche a dire Messa, a dare
R. – Ci sono tanti modi per celebrare
D. – Oggi, comunque, la situazione in Vietnam è molto più
tranquilla?
R. – La Chiesa ha sempre cercato di contribuire, di
collaborare alla riedificazione del Paese dopo tanti anni di guerra. Dunque,
poco a poco si crea un buon rapporto. Anche i seminari sono pieni di giovani:
adesso ci sono sette seminari, nel Paese. Non è ancora sufficiente, ma è già
molto.
D. – Si può comunque professare la fede senza essere
perseguitati …
R. – Si percepiscono ancora dei problemi per quelle Chiese
che non si dichiarano al governo, ma per
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OGGI IN ITALIA
PER
PORTARE UN SORRISO AI BAMBINI IN OSPEDALE
- Intervista
con Eugenio Bernardi e una volontaria Abio
-
“Per amore, per Abio”. E’ il
tema della seconda giornata nazionale organizzata dalla Fondazione ABIO Italia
per il bambino in ospedale ONLUS, che si svolge oggi in oltre 100 piazze
italiane. Infatti, i volontari dell’associazione, presente in 160 ospedali
italiani, hanno promosso una raccolta fondi per la
nascita di nuove sedi cercando anche, di sensibilizzare l’opinione pubblica sul
diritto al sorriso dei bambini in ospedale. Il servizio di Marina Tomarro:
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Portare l’allegria e la gioia ai bambini ricoverati negli
ospedali, aiutarli con il gioco a superare quei momenti difficili e a volte
dolorosi che i ricoveri comportano. Questo è l’obiettivo principale dei 4.500
volontari della Fondazione ABIO che ogni giorno accanto a medici ed infermieri
cercano di aiutare i piccoli malati a guarire. Eugenio Bernardi,
responsabile comunicazione ABIO:
“Il bambino ha bisogno soprattutto di attenzione e di
ascolto, di qualcuno che risponda in maniera non banale ma semplice e chiara
alle sue domande sul suo stato d’animo, su quello che sta vivendo sulla sua
malattia e che lo faccia in modo da divertirlo, facendolo giocare. Cose alle
quali sono preparati e formati i nostri volontari prima dell’inserimento in
reparto. C’è un corso di formazione obbligatorio, poi c’è un periodo di
tirocinio altrettanto obbligatorio di 6 mesi: al termine di questo lungo iter
il volontario viene immesso a tutti gli effetti in
reparto”.
Ma ascoltiamo l’esperienza di Federica, volontaria ABIO
presso il Policlinico Umberto I di Roma:
“All’inizio ero un po’ spaventata perché io sono volontaria in un reparto particolare dove i bambini
hanno delle patologie molto gravi e devo dire che in realtà tutte le paure, le
ansie che possiamo avere quando entriamo in contatto con questi bambini scompaiono
perché i bambini rimangono bambini nell’anima, e l’incontro è giocare con loro,
tornare noi stessi dei bambini. Credo che
il gioco e il divertimento facciano dimenticare ai bambini il luogo dove si
trovano e cosa devono affrontare nei giorni o nei mesi successivi, perché in
questo caso si tratta di malattie che si prolungano comunque nel tempo”.
E grande è la gioia di poter
aiutare questi piccoli: ascoltiamo ancora Federica:
“Per me è un tale piacere stare con loro che io ci vado a
cuor leggero e parto a cuor leggero. La mia grande spinta è divertirmi con i
bambini, avere piacere con loro e dunque qualsiasi cosa che posso fare, la
faccio con grande responsabilità ma anche con leggerezza di cuore. Sono ormai
sei anni che faccio la volontaria e ho ancora voglia di continuare per tanti
altri anni perché per me è una fonte di gioia”.
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IL VANGELO DI DOMANI
Domani, 1° ottobre, 26.ma
domenica del Tempo Ordinario,
“Non glielo
proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito
dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi”.
Su questo brano evangelico ascoltiamo il commento del
teologo gesuita, padre Marko Ivan Rupnik:
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Cristo si sta ancora scontrando con la chiusura mentale e
una specie di durezza di cuore dei discepoli, che si lamentano di aver visto
qualcuno che scacciava i demoni nel nome di Cristo, e siccome non era del loro
giro, glielo hanno proibito. Sono ancora concentrati su loro stessi e sulle
loro categorie e modi di appartenenza. Cristo continua ad essere concentrato sulla
sua Pasqua, cioè sulla salvezza dell’umanità, ossia sul Padre che vuole che gli
Uomini si scoprano amati da Lui. I discepoli fanno fatica a vedere il
contenuto, la salvezza che raggiunge un uomo, accecati dalla preoccupazione di
chi è colui che fa del bene; e se non è dei loro, essi non riescono più a
vedere il bene. Di fatti, solo dopo la Pentecoste i discepoli saranno pian
piano in grado di comprendere che l’amore di Cristo va
oltre i confini convenzionali di appartenenza: chi è di Cristo, tesse insieme,
non strappa; include, non esclude, a causa della misericordia dalla quale lui
stesso è stato raggiunto.
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30 settembre 2006
PREOCCUPAZIONE DELLA CHIESA TEDESCA
PER L’ESCALATION DI VIOLENZE DOPO L’INTERVENTO DI BENEDETTO XVI ALL’UNIVERSITÀ
DI RATISBONA:
“ALCUNI HANNO FRAINTESO IL PAPA,
ALTRI HANNO VOLUTO FRAINTENDERLO”
- A cura di
Roberta Moretti -
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BERLINO. = “Alcuni hanno frainteso il Papa, altri hanno
voluto fraintenderlo”: con queste parole, i vescovi tedeschi hanno commentato,
in una dichiarazione, le reazioni alla lectio
magistralis di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona, lo scorso 12 settembre, interpretata da molti
musulmani come un’ingiusta affermazione di disprezzo della loro religione. I
presuli sono riconoscenti al Papa per non avere esitato un istante a chiarire
il senso del suo discorso e rispondono “con un chiaro diniego” “a tutti coloro
che vogliono continuare ad acuire la situazione, perseverando nel presentare
ancora richieste e perfino minacce”. “La Chiesa cattolica – sottolineano – e le
tante persone che, nel nostro Paese e in tutto il mondo, rispettano il diritto
alla libertà di parola e per questo si impegnano, non si lasciano intimidire”.
I vescovi denunciano il diffondersi, “non solo in Germania, della paura della
violenza con motivazioni religiose e con essa la
limitazione della libertà di espressione”. “Ci opponiamo vivamente a questa
tendenza – affermano – nello stesso modo in cui rifiutiamo la non-cultura della
mancanza di riguardo nei confronti della religione e dei credenti, che apre
voragini nella società e semina discordia”. “Le Chiese cristiane – ammettono –
conoscono bene, nella loro stessa storia, la tentazione all’uso della violenza,
alla quale esse stesse non sempre sono state capaci di resistere”. “A maggior
ragione – continuano – ci auguriamo un dialogo leale tra cristianesimo ed islam
che possa servire da ambo le parti alla ‘purificazione
della memoria’ e che dia credito alla comune
testimonianza delle religioni per la pace e contro la violenza.
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“FACCIAMO DI TUTTO PER EVANGELIZZARE LA FAMIGLIA!”: È IL TITOLO DEL
MESSAGGIO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE SUDCOREANA PER IL MESE DELLA MISSIONE,
CHE PRENDE
IL VIA DOMANI, PRIMO OTTOBRE
SEOUL. = La famiglia sudcoreana
“vive una crisi generata da diversi fattori, fra cui l’indifferenza alla Messa
domenicale, il crescente tasso di divorzi e l’aumento della differenza di età
fra le generazioni, che rende sempre più difficile il dialogo”: con queste parole,
il presidente della Commissione episcopale per l’evangelizzazione, mons. John Choi Young-soo,
ha presentato ieri il messaggio della Conferenza dei vescovi coreani per il
mese della missione, che comincerà domani, primo ottobre. Nel documento, dal
titolo “Lasciate aperta la porta all’evangelizzazione della famiglia”, il
presule sottolinea l’importanza di “cambiare il nostro nucleo interiore tramite
la parola di Gesù e costruire grazie ad essa un nuovo
ordine”. Per raggiungere questo scopo, “vi sono alcune vie pratiche che si
possono mettere in atto”. “Per prima cosa – ha spiegato – dobbiamo costruire
una famiglia basata sull’amore reciproco. Per questo si deve vivere in dialogo con Dio ogni giorno e
specialmente i giorni particolari, come i compleanni e le vacanze legate alle
feste religiose, che vanno vissute con Gesù Cristo”. In secondo luogo, “bisogna
creare in famiglia un clima di preghiera, pregare insieme e fare una
meditazione quotidiana, così da rafforzare i legami di amore e di fiducia
reciproca: un terreno fertile dove far germogliare il Vangelo”. Terzo: “I
membri della famiglia partecipino attivamente alla vita sacramentale. E’
compito dei genitori creare un ambiente in cui tutti possano
ricevere in abbondanza le grazie che discendono dal Battesimo, dall’Eucaristia,
dalla Cresima, dalla Riconciliazione”. La quarta strada, infine, è quella di
“una lettura e condivisione della Bibbia in famiglia, così da rendere la
famiglia unita intorno al Vangelo”. Grazie al Vangelo
– ha concluso – i valori morali e la fede crescono con vigore. Lasciateci
evangelizzare la famiglia, la prima scuola dove i giovani possono imparare la
virtù!”. (R.M.)
L’EPISCOPATO
BRASILIANO RESPINGE LE PRESSIONI SULL’ARCIDIOCESI DI
RIO DE JANEIRO, NEL CONTESTO DELLE
ELEZIONI IN PROGRAMMA DOMANI NEL PAESE. NOTIFICATO ALL’ARCIVESCOVO DI RIO, IL
CARDINALE SCHEDI,
DI NON PARLARE DI ABORTO
RIO DE JANEIRO. = La Conferenza
nazionale dei vescovi del Brasile (CNBB) “rifiuta la limitazione della libera
manifestazione dell’opinione dei cittadini e l’intromissione nel campo proprio
della competenza della Chiesa”: è quanto afferma il presidente della CNBB, il cardinale
Geraldo Majella Agnelo, che
in una nota ha denunciato le forti pressioni subite dall’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro
nell’ambito della campagna elettorale brasiliana, che culminerà domani, con la
chiamata alle urne. All’arcivescovo di Rio, il cardinale Eusébio
Oscar Scheid, e al vescovo ausiliare, mons. Dimas Lara Barbosa, è stato infatti
notificato martedì, dal Tribunale regionale elettorale (TRE), di orientare
tutto il clero ad astenersi “da qualunque tipo di commento o riferimento
politico-ideologico”. Lo stesso giorno, però, il Collegio del TRE ha eliminato
questa clausola. Come riferisce l’agenzia Zenit, l’ordine giudiziario era
emerso nel contesto di un’istanza della coalizione “Um Rio Para Todos”, integrata dal
deputato Jandira Feghali, relatrice
di un disegno di legge che rende la pratica dell’aborto legale in Brasile
durante tutti i nove mesi di gravidanza. L’istanza della Feghali,
che aspira ad un posto al Senato per lo Stato di Rio de Janeiro, accusava la
Chiesa di produrre un opuscolo offensivo contro di lei. I funzionari della
giustizia e l’avvocato della coalizione hanno quindi visitato tutte le
strutture della sede dell’arcidiocesi, incluso
l’ufficio del cardinale e quelli dei vescovi ausiliari. Tuttavia, non è stato
trovato materiale di alcun tipo. La CNBB, nella sua nota, “riafferma il diritto
dei cittadini e degli elettori di conoscere il pensiero e la posizione dei
candidati su questioni fondamentali, come la difesa della vita e della dignità
della persona umana, per il libero e autonomo esercizio del voto cittadino”.
(R.M.)
LA CORAGGIOSA TESTIMONIANZA DELLA PICCOLA
COMUNITÀ CATTOLICA DELLA
PREFETTURA APOSTOLICA DI QUETTA,
IN PAKISTAN: “SPESSO
SIAMO CONSIDERATI
CITTADINI
DI SECONDA CLASSE E DIVENTIAMO IL BERSAGLIO PREFERITO
DEI
MILITANTI RADICALI ISLAMICI”:
QUETTA.= “Non è
facile professare la fede in un Paese in cui spesso siamo considerati cittadini
di seconda classe e dove spesso diventiamo il bersaglio preferito dei militanti
radicali islamici”: è quanto affermano, in una lettera all’agenzia Fides,
alcuni membri della piccola comunità cattolica della Prefettura apostolica di Quetta, nel sudovest del Pakistan, al confine con l’Iran e
l’Afghanistan. Un territorio montuoso e impervio, spesso inaccessibile, dove
vivono circa 30 mila cristiani, soprattutto poveri contadini e allevatori.
Anche il prefetto apostolico, mons. Victor Gnanapragasam,
srilankese, dei Missionari Oblati di Maria Immacolata
(OMI), vive molte difficoltà: “Non riesco a visitare spesso le diverse comunità
della prefettura – spiega – ma so che esse comunque
continuano a riunirsi regolarmente per pregare, celebrare e condividere la
Parola di Dio, nonostante le ostilità e le difficoltà”. Per compiere il suo
lavoro pastorale nel territorio, mons. Gnanapragasam
è coadiuvato da 9 sacerdoti e 20 religiose, fra suore francescane, domenicane,
suore del Buon Pastore e suore di San Giuseppe. La Prefettura gestisce anche
una scuola, frequentata da molti ragazzi cristiani e non, e una casa di
accoglienza per i servizi sociali urgenti, come l’assistenza agli orfani, a donne
abbandonate e a famiglie poverissime. Oltre agli Oblati di Maria Immacolata, la
cui provincia in Pakistan è stata fondata nel 1973 e oggi conta in tutto 15
religiosi, a Quetta operano anche i Salesiani, con un
gruppo di sei religiosi. La città, sita ad appena 100 chilometri dal confine
con l’Afghanistan, è stata per anni ed è tuttora meta di rifugiati e i
religiosi sono impegnati nella loro assistenza. I Salesiani amministrano una
parrocchia a Quetta con circa 1200 famiglie cristiane
e un centro giovanile per attività di catechesi, formazione professionale e
svago. (R.M.)
RICERCA E ASSISTENZA PEDIATRICA: SIGLATO UN ACCORDO DI
COLLABORAZIONE TRA L’OSPEDALE BAMBINO GESÙ DI ROMA, DI PROPRIETÀ DELLA SANTA
SEDE,
ROMA/HUSTON. = La condivisione e l’interscambio di
esperienze sul fronte della cardiologia, del diabete, del risk
management e della pediatria d’emergenza: con questo intento, nei giorni scorsi
è stata siglata una partnership assistenziale e di ricerca tra l’ospedale
Bambino Gesù di Roma, di proprietà della Santa Sede, e il Texas Children's Hospital di Houston, negli Stati Uniti. L'intesa
è frutto di un accurato lavoro preparatorio tra i due istituti pediatrici, durato
quasi due anni. L’ospedale della Santa Sede e il Texas Children's
Hospital condividono, infatti, la convinzione della necessità di creare
alleanze ed aperture con le altre strutture sanitarie internazionali, al fine
di perseguire continuamente il miglioramento nella qualità delle cure per i
pazienti. “Siamo onorati – ha affermato il presidente del Bambino Gesù,
Francesco Silvano – del fatto che il Texas Children’s
Hospital, che per dimensioni e volume di casistica rappresenta un vero colosso
nello scenario mondiale, abbia scelto di stabilire una partnership paritetica
con il nostro ospedale, rimarcandone così il ruolo di indiscussa rilevanza in
ambito europeo. E’ un impegno che ci siamo assunti – ha aggiunto – e che
rientra nei piani operativi di crescita progressiva dell’eccellenza di questo
ospedale a favore della salute dei più piccoli”. “Collaboreremo in progetti
clinici e di ricerca di base anche attraverso l’interscambio di medici e
studiosi”, ha precisato il presidente del Texas Children’s
Hospital, Mark Wallace.
(R.M.)
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30 settembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In
Afghanistan, almeno 12 persone sono morte per un attentato compiuto questa mattina
contro la sede del Ministero degli interni e rivendicato
dai talebani. La maggior parte delle vittime sono poliziotti. L’esplosione,
secondo quanto riferito da un portavoce talebano, non è stata causata da un
kamikaze ma da una bomba controllata a distanza.
Nuovo
video di Al Qaeda: nel filmato, trasmesso
dall’emittente araba Al Jazeera, il numero due della
rete terroristica, il medico egiziano Al-Zawahiri,
lancia insulti contro il Papa riferendosi al discorso pronunciato da Benedetto
XVI a Ratisbona. Criticando poi anche il presidente americano, George Bush, Al-Zawahiri ha affermato
che “sono passati tre anni e mezzo dai primi arresti e non ha ottenuto niente”.
In Iraq, intanto, le forze americane hanno arrestato un presunto membro di Al Qaeda, sospettato di aver pianificato attentati nella
cosiddetta “Zona verde” di Baghdad. Proprio nella capitale, il governo iracheno
ha dichiarato un giorno di coprifuoco, con il divieto per tutti i mezzi di
circolare in città, per evitare nuovi attentati.
Il presidente iraniano
Mahmoud Ahmadinejad ha dichiarato, durante un
discorso in occasione dell’inaugurazione del nuovo anno accademico, che l’Iran
non intende sospendere il programma d’arricchimento dell’uranio, “neanche per
un solo giorno”.
In
Libano, procede lentamente il ritiro israeliano dal sud. Il rallentamento delle
operazioni è dovuto, soprattutto, alla festa ebraica
dello Yom Kippur. Domani
pomeriggio sono previsti alcuni trasferimenti che porteranno al passaggio del
controllo di altri settori all’esercito libanese e ai soldati della forza di
interposizione delle Nazioni Unite in Libano, l’UNIFIL.
Ore di angoscia in Brasile: un Boeing 737, con a bordo 155
persone, si è scontrato in volo con un jet da turismo. Subito dopo la
collisione, avvenuta a sud dello Stato del Parà, l’aereo della compagnia
brasiliana Gol è scomparso dagli schermi radar. Le ricerche, scattate nella
notte, sono state sospese a causa della scarsa visibilità. Il
jet da turismo, invece, è riuscito ad atterrare.
E’ arrivato in Russia il personale diplomatico russo
evacuato dalla Georgia in seguito alla crisi scoppiata tra i governi di Mosca e
Tbilisi per l’arresto di 4 ufficiali russi, accusati
di spionaggio militare. Il ministero dell’Interno georgiano ha diffuso,
intanto, un video con la testimonianza di un uomo che racconta di aver
collaborato con i servizi segreti russi. Mosca ha però respinto ogni accusa e
ha chiesto l’immediata liberazione degli arrestati. Ma ieri il tribunale
georgiano ha prolungato di due mesi la detenzione provvisoria dei presunti
agenti segreti. Dopo l’acuirsi della crisi l’esercito russo ha anche avviato il ridispiegamento
di parte delle sue truppe lungo confine georgiano. Un portavoce del Ministero
della difesa russo ha poi reso noto che “per il momento è sospeso il ritiro dei
contingenti russi dalla Georgia”.
Il presidente bielorusso, Alexander Lukashenko, ha minacciato di rompere i legami con
In Sri Lanka, nuovi
scontri tra ribelli Tamil e forze speciali del
governo, avvenuti ieri sera ad Ampara, hanno causato
la morte di 11 guerriglieri separatisti. Poco prima, almeno 3 soldati erano
rimasti uccisi per un attacco degli insorti contro un accampamento
dell’esercito di Colombo. Le Nazioni Unite hanno denunciato, intanto, che i
continui combattimenti stanno mettendo in serio pericolo gli sforzi per la
ricostruzione avviati dopo lo tsunami
che ha colpito l’isola il 26 dicembre del 2004. “Nelle regioni a nord e ad est
la ricostruzione si è già fermata”, ha detto ieri l’inviato speciale del
segretario generale dell’ONU aggiungendo che “i generosi sforzi donatori
risultano in pericolo”.
In India, gli
inquirenti accusano i servizi segreti pachistani di essere stati i mandanti dell'attentato
contro il treno di pendolari che, lo scorso 11 luglio, ha causato 186 morti e
centinaia di feriti. “Abbiamo risolto il caso – sostiene la polizia indiana –
precisando che
l’attacco è stato commissionato dall’intelligence pachistana al gruppo islamico
del Pakistan Lashkar-e-Taiba”. Il governo di Islamabad ha respinto ogni accusa.
La giunta militare del Myanmar ha arrestato tre
attivisti politici, prelevati dalle loro abitazioni. Si tratta di Min Zeya e di Aye
Myint, membro della Lega nazionale per la democrazia.
Di un altro dissidente non si conosce ancora l’identità. A New York intanto,
nella sede delle Nazioni Unite, è cominciato un dibattito storico: per la prima
volta, infatti, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha in agenda un
incontro per discutere della situazione dell’ex Birmania, dove da circa 40 anni
è al potere una giunta militare.
Elezioni domani in Bosnia Erzegovina, dove 2,7 milioni di
elettori sono chiamati alle urne per rinnovare le istituzioni del Paese. Gli
Accordi di Dayton del 1995, che posero fine alla
guerra nell’ex Jugoslavia, hanno diviso il Paese Balcanico
in due entità praticamente autonome, ciascuna dotata di un proprio Parlamento e
governo:
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Nel Paese, diviso in due entità ma unito dalle istituzioni
centrali, gli elettori dovranno eleggere i tre membri della presidenza
collegiale - un serbo, un croato e un musulmano, che ogni otto mesi si
alterneranno alla guida dell’organismo -; i 42 deputati del Parlamento centrale
- 28 per
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Domani si vota anche in Austria,
dove si profila un testa a testa tra popolari e
socialdemocratici.
Secondo i sondaggi, infatti, il partito popolare del cancelliere Wolfang Schüssel ha un leggero
vantaggio e dovrebbe ottenere il 37 per cento delle preferenze. Il partito socialdemocratico, guidato da Alfred Gusenbauer, dovrebbe
conquistare, invece, il 35 per cento dei voti. In caso di affermazione
da parte dei popolari, si prevede una grande coalizione con i socialdemocratici
o con i verdi.
Elezioni anche in
Ungheria, dove si vota domani per le amministrative. La sfida più accesa è
quella per la poltrona di sindaco di Budapest, finora occupata dal liberale Gaber Demszsky, sostenuto dai
socialisti. Secondo la stampa locale, la consultazione costituisce un
importante test per il primo ministro socialista, Ferenc
Gyurcsany, dopo le recenti manifestazioni di piazza.
L’ondata di proteste, che ha causato finora più di 100 feriti, è iniziata lo
scorso 18 settembre in seguito alla diffusione di un discorso nel quale il
primo ministro ammetteva di aver mentito sui risultati ottenuti dal suo governo
per vincere le elezioni di aprile.
“La Turchia riconosca
il genocidio armeno”. Lo ha detto il presidente francese, Jacques
Chirac, in visita a Erevan,
capitale dell’Armenia. “Ogni Paese – ha aggiunto Chirac
commentando il possibile ingresso della Turchia nell’Unione Europea – cresce
riconoscendo i propri errori”.
In Italia il
Consiglio dei Ministri
ha varato ieri
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Dopo quella
del 1992 che evitò la bancarotta del Paese, questa prima manovra del governo
Prodi è la più pesante nella storia della Repubblica italiana: 33,4 miliardi di
euro, invece dei 30 ipotizzati fino a ieri. Spiega il ministro dell’Economia Padoa-Schioppa: ci sono misure per lo sviluppo e misure per
il risanamento, con l’obiettivo di riportare il deficit nei parametri europei e
cogliere i segnali di ripresa. Risparmi dunque nella spesa per Stato, enti
locali, pensioni e sanità. Da segnalare ad esempio l’introduzione di ticket al
pronto soccorso per i casi non gravi. Ma ci sono anche interventi contro
l’evasione fiscale, con le risorse impegnate per il taglio del cuneo fiscale e
per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Un’attenzione particolare viene assicurata per scuola e mezzogiorno. Quanto alla
famiglia, sono previsti assegni familiari per i redditi medio-bassi, bonus di 2.500 euro per i nuclei con
figli da 0 a 3 anni, bonus affitti per giovani coppie. Ma a far discutere è
anche il pacchetto fiscale, che i tecnici stanno mettendo a punto. Aumenta
l’IRPEF per i redditi sopra i 70 mila euro; detrazioni per quelli sotto i 40
mila. Sale la cosiddetta no tax area, per lavoratori
e pensionati. Proprio su pensioni e tasse si concentrano i maggiori attacchi dell’opposizione,
con l’ex ministro dell’Economia Tremonti che accusa
il governo di mettere le mani nelle tasche dei cittadini, colpendo soprattutto
il ceto medio. Accuse respinte da Prodi e Padoa-Schioppa,
che parlano invece di Finanziaria di equità e sviluppo. Ma certamente, come dimostra la riunione
fiume del consiglio dei ministri, fino all’ultimo ci sono state forti tensioni
all’interno della maggioranza, soprattutto sul pacchetto fiscale. La tenuta del
compromesso raggiunto ieri sarà verificata quando
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Negli Stati Uniti, il Senato ha
approvato ieri il decreto per il completamento della barriera di 1125
chilometri al confine con il Messico. La decisione, che conferma quella del Congresso,
viene ritenuta la “migliore” per limitare il flusso di
migranti clandestini, quest’anno oltre un milione e 200 mila. Il governo
messicano, invece, ritiene che la costruzione del muro non sarà positiva per le
relazioni tra Stati Uniti e Messico.
In Uganda, il sedicente gruppo Lord’s Resistance Army ha annunciato alla stampa di “riprendere i
negoziati di pace nell’esclusivo interesse del popolo ugandese”. I colloqui di
pace, nel Sudan meridionale, erano stati bloccati nei giorni scorsi per le
accuse, sia dei ribelli sia del governo, di aver violato la tregua.
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