RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 268 - Testo
della trasmissione di lunedì 25 settembre 2006
IL
PAPA E
In visita ad
Limina da Benedetto XVI i vescovi del Malawi
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Ingresso ieri nella
diocesi di Genova del nuovo arcivescovo, mons. Angelo Bagnasco
Senza fine la violenza in Iraq: attaccate chiese a Baghdad e Mosul
25 settembre 2006
CORDIALE
INCONTRO A CASTEL GANDOLFO TRA IL PAPA E GLI AMBASCIATORI
DEI
PAESI A MAGGIORANZA MUSULMANA: BENEDETTO XVI AFFERMA CHE IL DIALOGO CON L’ISLAM E’ UNA NECESSITA’
VITALE PER IL FUTURO DEL MONDO.
QUINDI
RIBADISCE
E PARLA DI LIBERTA’ RELIGIOSA E RECIPROCITA’
- Interviste con Younis Tawfik e padre Samir Khalil Samir -
Il dialogo tra cristiani e musulmani è una necessità vitale
per il futuro del mondo: lavoriamo insieme per la pace nel rispetto
dell’identità e della libertà di ciascuno. E’ quanto ha detto, in sintesi, il
Papa incontrando stamani a Castel Gandolfo gli ambasciatori dei Paesi a
maggioranza musulmana accreditati presso
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Il Papa saluta cordialmente, uno
per uno, i diplomatici e i rappresentanti musulmani.
L’atmosfera dell’incontro è
molto serena e amichevole: tanti sorrisi e strette di mano.
“Je voudrais aujourd’hui redire toute
l’estime et le profond respect que je porte aux croyants musulmans…″.
Sulla scia del Concilio Vaticano
II, Benedetto XVI ha ribadito
“tutta la stima e il profondo rispetto” che nutre verso i credenti
musulmani “che adorano l’unico Dio”. “Fin dall’inizio del mio pontificato – ha
detto - ho
auspicato che si continuino a consolidare
ponti di amicizia con i fedeli di tutte le religioni, con un particolare
apprezzamento per la crescita del dialogo tra musulmani e cristiani”.
″Il est en effet une nécessité
vitale, dont dépend en grande partie notre avenir… ″.
Ricordando le parole pronunciate
nell’incontro con i rappresentanti islamici a Colonia, nell’agosto del 2005, ha sottolineato che
“il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può
ridursi a una scelta del momento Si tratta effettivamente di una necessità
vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro”.
“In un mondo segnato dal
relativismo, e che troppo spesso esclude la trascendenza dall’universalità
della ragione – ha aggiunto -
abbiamo assolutamente bisogno d’un dialogo autentico tra le
religioni e tra le culture” per costruire insieme un “mondo di pace e di
fraternità” e in questo ambito – nota – “i nostri contemporanei attendono da
noi un’ eloquente testimonianza in grado di indicare a tutti il valore della
dimensione religiosa dell’esistenza”.
“Poursuivant l’œuvre entreprise par
mon prédécesseur, le Pape Jean-Paul II… ″.
Benedetto XVI si pone in continuità
con l’opera
intrapresa da Giovanni Paolo II, auspicando “vivamente che i rapporti ispirati a fiducia, che si sono
instaurati da diversi anni fra cristiani e musulmani, non solo proseguano, ma
si sviluppino in uno spirito di dialogo sincero e rispettoso, un dialogo
fondato su una conoscenza reciproca sempre più autentica che, con gioia,
riconosce i valori religiosi comuni e, con lealtà, prende atto e rispetta le
differenze”.
Il Papa afferma la necessità che,
“fedeli agli insegnamenti delle loro rispettive tradizioni religiose, cristiani
e musulmani imparino a lavorare insieme, come già avviene in diverse comuni
esperienze, per evitare ogni forma di intolleranza ed opporsi ad ogni manifestazione
di violenza”. E a questo proposito – sottolinea - è
“doveroso” che le autorità religiose e i responsabili politici
incoraggino i credenti ad agire in questo modo.
“Même si, au cours des siècles, de
nombreuses dissensions et inimitiés sont nées entre chrétiens et musulmans… ″.
Il Papa, non nascondendo che nel
corso dei secoli, “non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e
musulmani”, ricorda come il Concilio Vaticano II esorti “tutti a dimenticare il
passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e
promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali,
la pace e la libertà” (Dichiarazione Nostra
aetate, n.3).
Il Pontefice invita “a ricercare
vie di riconciliazione …
nel rispetto dell’identità e della libertà di ciascuno” e cita
Giovanni Paolo II che nel suo “memorabile discorso” ai giovani a
Casablanca, in Marocco, nel 1985, aveva affermato che “il rispetto e il dialogo
richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le
libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono
la pace e l’intesa tra i popoli”.
“Je suis profondément convaincu que,
dans la situation que connaît le monde aujourd’hui… ″.
“Sono profondamente convinto –
afferma ancora il Papa -
che, nella situazione in cui si trova il mondo oggi”, mentre
“crescono le minacce contro l’uomo e contro la pace”, è “un imperativo per i
cristiani e i musulmani impegnarsi
nell’affrontare insieme le numerose
sfide” dell’attualità “specialmente per quanto riguarda la difesa e la promozione
della dignità dell’essere umano e i diritti che ne derivano”, riaffermando “la centralità della persona e lavorando senza stancarsi perché la vita
umana sia sempre rispettata”.
″Au moment où pour les
musulmans commence la démarche spirituelle du mois de Ramadan… ".
Infine, Benedetto XVI rivolge i
suoi “cordiali voti augurali” ai musulmani che hanno appena iniziato a
celebrare il Ramadan, auspicando “di vero cuore che Dio misericordioso guidi i
nostri passi sui sentieri d’una reciproca e sempre più vera comprensione”. “Che
il Dio della pace – ha concluso il Papa rivolgendosi ai rappresentanti islamici
- colmi con l’abbondanza delle sue benedizioni voi e le comunità che rappresentate!”
(Applausi)
Da parte sua, nell’indirizzo di
saluto all’inizio dell’incontro, il cardinale Poupard
ha sottolineato la necessità di “lavorare a una nuova simbiosi della fede e
della ragione in un dialogo fiducioso e pacifico tra le religioni e le culture”
per testimoniare “nel rispetto delle nostre differenze” la fede “nell’Unico Dio e il nostro rispetto
per l’uomo creato a sua immagine e somiglianza”.
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E all’incontro di Castel
Gandolfo è intervenuto questa mattina anche lo scrittore musulmano iracheno Younis Tawfik. Al microfono di
Salvatore Sabatino, così ha commentato il discorso di Benedetto XVI:
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R. – E’ stato un discorso emozionante e toccante perchè non
ha voluto riprendere o ricalcare la polemica dei giorni passati ma bensì fare
un discorso del tutto nuovo come se volesse fare una svolta, un cambiamento di
pagina dando l’impressione di un proseguimento di un cammino della Chiesa, verso
la strada del dialogo e del confronto. Ha ribadito la sua stima all’Islam, ai musulmani,
il suo rispetto, per cui ci ha dato una lezione di
grande tolleranza soprattutto quando è passato a salutarci uno per uno, si è
fermato abbastanza per chiedere di noi e per ringraziarci di essere venuti alla
sua udienza.
D. – Benedetto XVI ha detto di essere profondamente
convinto che nella situazione in cui si trova il mondo oggi è un imperativo per
i cristiani e i musulmani impegnarsi per affrontare insieme le numerose sfide
con le quali si confronta l’umanità…
R. – Questo suo breve discorso è stato una lezione per me
magistrale per farci capire l’importanza del dialogo e del confronto
soprattutto in questo momento, laddove tante persone stanno cercando di giocare
per i loro interessi o per altro, per fomentare l’odio e lo scontro. Il
discorso del Santo Padre invece è stato quello di evitare questo scontro, di
invitare tutti quanti a riflettere sull’importanza della pace e i valori
dell’umanità, ha detto che le nostre fedi ci tengono uniti nel Credo in un Dio,
unico Dio di Abramo, ma anche il Dio della pace e dell’amore.
D. - Quali sono state le reazioni degli ambasciatori
presenti a questo importante incontro?
R. - Direi che lo hanno accolto con un grande applauso e
poi c’è stata una bella foto di gruppo, tanta cordialità: immagino che tutti abbiamo
affrontato questo incontro con Sua Santità con grande serenità. Per me è stato
un momento di riconciliazione e di riflessione. Io, infatti, gli ho detto grazie
di aver compreso l’importanza del pensiero di Averroè
e gli ho chiesto di aiutarci a camminare verso la pace e il dialogo.
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Fabio Colagrande ha raccolto un
altro commento alle parole del Papa di oggi, quello del padre gesuita Samir Khalil Samir,
docente di Islamologia all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di
Roma:
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R. – E’ un discorso che insiste sulla continuità della
visione cattolica del rapporto con l’Islam a partire dal Concilio Vaticano II,
passando attraverso i vari Pontificati, soprattutto quello di Giovanni Paolo
II. E questo penso perché qualcuno ha detto che c’è una svolta nel Pontificato
di Benedetto XVI, perché lui – secondo alcuni - invece di sottolineare il dialogo,
indicherebbe più le differenze. Mi pare invece che la linea continua. Il
secondo punto sta nel fatto che Benedetto XVI ripete i valori religiosi comuni:
i musulmani ed i cristiani hanno dei valori comuni che devono essere testimoniati
nel mondo moderno, troppo secolarizzato. Una terza parola chiave è quella della
reciprocità.
D. – Padre Samir, quanto è
importante il concetto di reciprocità per continuare il dialogo tra cristiani e
musulmani?
R. – L’idea è fondamentale, ma
intesa non nel senso negativo: se qualcuno si oppone a noi, noi ci opporremo a
loro; se ci vietano di costruire una chiesa, non vieteremo di costruire una
moschea. Certamente questo non è pensabile nella tradizione cattolica. Si
tratta quindi di una reciprocità nel positivo, una specie di emulazione nel bene.
Noi vogliamo la libertà religiosa per tutti e insieme andiamo avanti nel senso
dei diritti umani: così la reciprocità diviene costruzione di una civiltà
comune e non un ricatto per far paura all’altro, ma al contrario.
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IN
VISITA AD LIMINA DA BENEDETTO
XVI I VESCOVI DEL MALAWI,
PICCOLO
STATO AFRICANO NEL QUALE LA CHIESA HA SEGNATO SVOLTE STORICHE
NELLA
VITA SOCIALE E CARITATIVA
Il Malawi,
Stato dell’Africa orientale, è un caso emblematico, non raro nel continente, di
come l’azione della Chiesa possa incidere sulla situazione sociale di un’intera
nazione, contribuendo a migliorarne il proprio livello di vita. Da questa
mattina e fino a venerdì prossimo, i vescovi del Malawi sono a Roma in visita ad Limina. Stamattina, Benedetto XVI ha
ricevuto i primi tre presuli di un Paese che conta un’arcidiocesi metropolitana
e sei diocesi. Sulle vicende storiche e gli scenari attuali del Malawi,
ascoltiamo la scheda di Alessandro De Carolis.
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“Ogni uomo, poiché figlio di Dio, deve essere libero e
rispettato”, mentre il Paese ha la doppia faccia dei pochi ricchissimi e dei
troppi in miseria, ed è un drammatico miscuglio di tribalismo,
analfabetismo, avidità, ospedali che scoppiano e AIDS che imperversa. Queste
parole sono un detonatore per una società che non ha idea di cosa significhi
decidere da sola il proprio destino. Sono parole che coraggiosamente i vescovi
del Malawi mettono nero su bianco l’8 marzo del 1992. Quel piccolo Paese
dell’Africa subsahariana, culla dell’uomo primitivo
(alcuni reperti di ominidi risalgono a più di un milione di anni fa), per 20
anni è stato un feudo personale di Hastings Kamuzu Banda, un padre della patria che dopo essere stato
un eroe dell’indipendenza dagli inglesi negli Anni Sessanta, ha ceduto al
delirio di onnipotenza facendosi proclamare presidente a vita. Dal 1970 ai
primi Anni Novanta, la cifra del Malawi è quella di ogni dittatura: culto della
personalità, nepotismi, ricchezze concentrate in poche mani, libertà di
pensiero e di espressione negata.
Quando, dunque, i vescovi decidono di spronare la
popolazione a rivendicare diritti inalienabili per qualsiasi essere umano, per
il regime di Banda è l’inizio della fine. La Chiesa cattolica, del resto, a
partire dal Seicento si inoltra nelle foreste tropicali o guadagna i villaggi
che attorniano le rive dell’enorme e splendido Lago di Niassa,
tra i più grandi al mondo, per annunciare il Vangelo ed è quindi via via sempre più ramificata nel territorio. Gesuiti prima,
poi Monfortani e Padri Bianchi, i missionari
contribuiscono a creare l’ossatura di una comunità che alla fine del secolo
scorso accenderà la scintilla del cambiamento. Il 14 febbraio del ’93, i vescovi
illustrano i vantaggi della democrazia in una lettera pastorale intitolata “Scegliere
il nostro futuro”. Il potere di Banda vacilla, preso in mezzo tra il forcing della Chiesa e le pressioni
della comunità internazionale. Esattamente quattro mesi dopo, il 14 giugno, la
svolta: un referendum popolare sancisce l’era del multipartitismo
che, l’anno dopo, sfocia nelle prime vere elezioni, con candidati diversi e
voci diverse.
Senza sbocchi sul mare, serrato su tre lati da Mozambico,
Zambia e Tanzania, il Malawi è un Paese densamente popolato. Su circa 12
milioni di abitanti, i cattolici sono circa il 20%, distribuiti (dati 2004) in
151 parrocchie, rette da circa 400 sacerdoti, tra diocesani e religiosi. Le
religiose sono oltre 770, mentre circa 300 sono i seminaristi. La Chiesa sviluppatasi
dopo gli anni del totalitarismo non ha perso la sua proverbiale energia. Scorrendo
le lettere pastorali dell’ultimo decennio, si ha il polso di un’attenzione
sempre serrata, principalmente dei vescovi, al vissuto della nazione. Denunce
contro la corruzione che avvelena le istituzioni, contro la violenza politica o
la riforma che vorrebbe sostituire l’insegnamento della Bibbia con le
tradizioni animistiche vengono levate puntualmente,
tuttavia quegli stessi documenti sono anche la testimonianza dell’ininterrotto
impegno sociale e caritativo verso i più poveri. La carestia ha tormentato il
Malawi anche quest’anno, mettendo in allarme le agenzie umanitarie che hanno
parlato di un milione di persone a rischio di morte per inedia. Ma la cronaca
più recente ha fatto risaltare il Paese anche per le piogge abbondanti, dopo
anni di siccità, che hanno prodotto un raccolto record di mais. Un segno di
speranza per un’economia liberatasi, meno di un mese fa, da un altro
pesantissimo fardello: quello del debito estero, tagliato del 90%. I 110
milioni di dollari pagati annualmente finora potranno trasformarsi, ha scritto la Fides, “in un aiuto molto importante per il Ministero
dell'educazione, della Salute (...) che in questi anni ricevevano solo le briciole
della finanziaria annuale”.
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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”
Servizio vaticano - L'udienza di Benedetto XVI ai
partecipanti all'Incontro promosso dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.
All'Angelus il Papa ha ricordato l'impegno dei
tanti cristiani che, con umiltà e nel silenzio, spendono la propria vita al
servizio degli altri.
Servizio estero - L'intervento della Santa Sede sul
tema: "I Paesi meno sviluppati stanno bussando alle porte dei Paesi
ricchi, con i loro problemi portati dalle masse che fuggono dalla
povertà".
Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo “Romano Guardini
e l’ansia per l'uomo": riproposto in traduzione italiana un saggio del teologo
italo-tedesco su “Persona e personalità”.
Servizio italiano - In primo piano la vicenda delle
intercettazioni.
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25 settembre 2006
IL
DIBATTITO SULL’EUTANASIA IN ITALIA
- Ai
nostri microfoni mons. Bruno Forte e il prof. Antonio Spagnolo -
In Italia, serrato dibattito sul tema dell’eutanasia. Il
presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha invitato le forze politiche
ad un’approfondita riflessione. Al capo dello Stato era giunto, nei giorni
scorsi, un appello in tal senso da parte di un malato di distrofia muscolare,
Piergiorgio Welby. Il servizio di Giampiero Guadagni:
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Le forze politiche si dividono sull’appello del capo dello
Stato. L’opposizione di centro-destra nel dire “no” all’eutanasia; sulla stessa
linea i cattolici dell’Unione, a partire dal presidente del Senato, Franco
Marini, per il quale si può semmai lavorare sulla legge per il testamento
biologico, presto in discussione a Palazzo Madama. La pensano diversamente il
presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e molti
esponenti del centro-sinistra, per i quali non va fatto cadere nel vuoto
l’invito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Va detto che al
capo dello Stato sono arrivati, ieri, da altri malati, appelli di senso
opposto, come quello di un 45.enne, malato terminale, costretto a letto da otto
anni, che fa sapere di voler continuare a vivere. E mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita
ribadisce: “La vita è un dono di Dio ed è un bene indisponibile per chiunque.
La società che ha paura della sofferenza, rischia di allontanarsi dalla fede”. Ascoltiamo mons. Sgreccia:
“Il dare alla società o agli individui questo diritto è
compiere un assurdo, un atto autodistruttivo. E non solo della vita, ma anche
della libertà, perché si sa che la vita è la radice della
libertà: per essere liberi, bisogna essere vivi. E’ chiaro che con tutta
la forza del pensiero, con l’amore che si ispira per l’uomo e il rispetto della
sua maestà, della sua dignità, riconoscendo in ciascun uomo l’immagine di Dio,
diremo che al malato si deve dare il meglio delle terapie, il meglio delle
attenzioni, tutta l’assistenza, le terapie devono essere proporzionate e non
ispirate ad un accanimento tecnologico, ma con il rispetto della morte naturale
e il rispetto – appunto – della maestà, della dignità di questa persona, che
porta con sé l’immagine di Dio”.
Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.
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Ma la medicina come
guarda all’eutanasia? Quali limiti si pone quando c’è
in gioco la vita di un individuo? Al microfono di Tiziana Campisi
ascoltiamo il prof. Antonio Spagnolo, docente di bioetica all’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Roma:
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R. – Un conto è l’eutanasia, cioè la volontà deliberata di
anticipare la morte utilizzando dei mezzi che determinano la morte, un conto è
invece è chiedere che interventi sproporzionati, gravosi che non hanno nessuna
prospettiva di un beneficio per la guarigione della malattia ma che causano un
ulteriore aggravio o addirittura stanno impedendo che la morte naturale si
determini fanno parte di un altro capitolo che è quello della sospensione
dell’accanimento terapeutico. La società, la medicina, si deve porre il
problema del limitare l’accanimento terapeutico non certamente quello di
stabilire se una persona possa decidere liberamente di
togliersi la vita o di chiedere che altri lo aiutino a farlo utilizzando dei
mezzi che sono idonei per questo.
D. – Quando un medico si trova dinnanzi ad un malato grave
che tipo di consigli può dare?
R. – Anche accompagnare il malato quando non c’è più nulla
da fare dal punto di vista della guarigione, accompagnarlo perché le fasi
finali della sua vita siano più alleviate è compito pieno, integrante della
professione medica. Il medico deve esprimere tutta la sua solidarietà
attraverso innanzitutto una sedazione del dolore. Il malato non può vivere le
ultime fasi della sua vita con sofferenza. Ma c’è poi tutto il sostegno dal
punto di vista umano, dal punto di vista religioso, psicologico: l’eutanasia va
contro la ricerca, va contro la medicina perché offre una soluzione sbrigativa
ad un problema del quale invece la medicina si occupa con molto impegno tanto
da aver fatto una disciplina specialistica, quella delle cure palliative.
D. – Medicina e libertà dell’individuo che cosa possiamo
dire?
R . – Un paziente che chiede di morire paradossalmente sta
mettendo in crisi, sta distruggendo il fondamento stesso, cioè la vita della
sua libertà. C’è anche un limite in quello che il paziente può chiedere al
medico così come il medico ha un limite nel fare al paziente qualcosa che lo possa danneggiare. Da sempre l’Assemblea Medica Mondiale ha
stabilito e ha detto che il medico non può mai essere artefice di morte.
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Della
propria vita non si può disporre arbitrariamente. L’uomo non è solo, la sua
esistenza è un continuo relazionarsi con gli altri, per questo non può decidere
da sé se porre fine alla sua vita o meno. Questo in sintesi ciò che la Chiesa
insegna a proposito dell’eutanasia. Tiziana Campisi,
ne ha parlato con mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto:
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R. – La
Chiesa ha un’idea dell’uomo come dell’essere fatto per la comunione, per
l’altro, e questo significa che la sua esistenza non è una proprietà privata di
se stesso ma è un dono ricevuto e un dono che deve
essere vissuto in pienezza, nell’offerta di sé agli altri. Un’esistenza per
così dire relazionale che nel profondo della visione teologica della fede, è un
venire da Dio e non essere destinati ultimamente a Dio come senso e valore
della nostra vita. Potremmo riassumerla in questa frase la visione dell’uomo
che è alla base non solo del cristianesimo, ma di ogni
concezione religiosa e spirituale dell’umanità: “L’uomo non è solo e proprio
perché non è solo, l’uomo non può disporre di alcuni valori assoluti che
costituiscono la sua integrità, la sua dignità; la vita di ogni essere umano è
sacra e va rispettata dal suo primo ed ultimo istante”.
D. –
Poniamoci dal punto di vista di un non credente, soprattutto a chi si appella
alla propria libertà personale. Come rispondere a queste persone?
R.- La
libertà della persona non è mai identificabile con la possibilità o la volontà
di disporre arbitrariamente di tutto. Ci sono dei valori assoluti a cui chiunque, credente o non credente, è chiamato ad
attenersi; come vale per tutti il principio “non uccidere”, nei confronti della
vita altrui, vale anche nei confronti della propria vita perché quella vita è
il valore assoluto su cui la convivenza umana si costruisce come una convivenza
civile, capace di costruire legami autentici. Compromettere questo principio,
anche per chi non crede, significa minare alla base il valore e la convivenza
umana.
D. –
Dunque, problema fondamentale, la sofferenza. Come porsi dinnanzi a questa?
R. –
Certamente vivere la sofferenza con dignità, viverla come una scuola e anche
come un’esperienza in cui la persona si esprime, è quanto è massimamente
auspicabile anche da un punto di vista “laico”. La visione della fede aggiunge
a questo qualcosa di molto grande e profondo. La sofferenza non è più vissuta
nella solitudine, è vissuta nella comunione con il Dio che si è fatto
sofferente per amore nostro.
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NEL
SILENZIO INTERNAZIONALE PROSEGUE IL DRAMMA
DELLA
POPOLAZIONE CIVILE DEL DARFUR
- Ai
nostri microfoni Massimo Alberizzi -
Sempre più drammatica la
situazione in Darfur, la regione sudanese da anni percorsa
da una sanguinosa guerra civile. Il quadro umanitario
si fa sempre più drammatico, mentre il governo di Khartoum continua a rifiutare
l'invio dei caschi blu deciso dal Consiglio di Sicurezza
il mese scorso. Per discutere dell’emergenza, oggi al Palazzo di Vetro di New
York il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan riceverà il ministro degli Esteri sudanese, Lam Akol Ajawin.
Ma cosa di fatto sta frenando il dispiegamento di una forza delle Nazioni Unite
in Darfur? Giada Aquilino lo ha chiesto a Massimo Alberizzi, africanista del Corriere della Sera:
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R. - A frenare sono soprattutto gli interessi contrapposti
di Stati Uniti, Cina e Russia. Gli Stati Uniti hanno perso le concessioni
petrolifere e quindi mirano comunque a destabilizzare
in qualche modo il Paese, a ricondurlo cioè in un’ottica più vicina a quella di
Washington. E’ la Cina invece ad essersi impadronita
delle concessioni petrolifere: Khartoum è piena di nuove costruzioni cinesi,
negozi, ristoranti, una comunità grandissima. Inoltre, la Russia sta vendendo
armi al governo e quindi si è creato un business. C’è poi il Sudan, che avendo
connivenze con le milizie filo-governative, non ha alcun interesse ad andare
contro gli stessi Janjaweed.
D. - Sul terreno qual è la situazione?
R. - Sono riprese le violenze contro i cittadini di
origine africana, i ‘darfuriani’. E’ quindi
ricominciata una grande impunità perché i 7000 uomini dell’Unione Africana
schierati sul terreno sono male armati e non hanno possibilità di effettuare
controlli. Prima gli aerei del governo bombardano i villaggi e poi i Janjaweed
arrivano a uccidere, ammazzare, violentare…
D. – Le forze africane rimarranno fino a
fine anno: è stato infatti prolungato di qualche mese il mandato. Ma al
Consiglio di Sicurezza dell’ONU invece qual è il dibattito?
R. - Gli Stati Uniti cercano di convincere Russia e Cina a
togliere la loro opposizione in sede ONU. Perché è passata la mozione che
autorizza una forza di peacekeeping, ma con un codicillo: la missione ONU
partirà solo se il governo sudanese sarà d’accordo. E appunto Khartoum non può
essere d’accordo, anche perché alcuni dei vertici dei Janjaweed e della stessa amministrazione
sudanese sono ricercati dal Tribunale penale internazionale per crimini contro
l’umanità.
D. – Ma, in questo quadro, c’è il rischio di un nuovo Rwanda?
D. – Sì, c’ è il rischio, forse meno impressionante. Per
il Rwanda parliamo di 100 giorni di violenze, di un bilancio di morti che
oscilla tra 800.000 e un milione. In Darfur ci sono
200.000 morti, in due anni e mezzo o tre di conflitto. Però il sistema è
uguale.
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25 settembre 2006
NORME
PIÙ SEVERE E RESTRITTIVE SUL DIRITTO D’ASILO E SULL’IMMIGRAZIONE:
LE DUE
LEGGI GIÀ APPROVATE DAL GOVERNO FEDERALE E DAL PARLAMENTO.
RAMMARICO
DELL’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU E PREOCCUPAZIONE DELLA CHIESA
- Servizio di Roberta Gisotti -
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BERNA. = Rendere meno “attraente” agli occhi degli
stranieri il ricco Paese alpino e “combattere gli abusi”: con queste intenzioni
la maggioranza governativa di centrodestra, ad eccezione dei socialisti, aveva
varato lo scorso anno le due leggi, contestate dalla Sinistra che – fortemente
preoccupata dai limiti imposti dalle nuove normative - aveva promosso i referendum.
Ma le urne hanno dato ragione al ministro per
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CHIARIMENTO
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PARAGUAY
RIGUARDO ALL’EVENTUALE CANDIDATURA ALLE PROSSIME PRESIDENZIALI
DEL
VESCOVO EMERITO DI SAN PEDRO, MONS FERNANDO LUGO.
E’ QUESTIONE CHE INTERPELLA
- A cura di Luis
A. Badilla -
ASSUNCION. = Da alcuni giorni in Paraguay, la stampa
locale si occupa insistentemente del vescovo emerito di San Pedro,
Fernando Lugo, il quale avrebbe deciso
di presentare la propria candidatura alle elezioni presidenziali 2008, come
leader di un movimento oppositore. Il Comitato permanente della Conferenza
episcopale, lo scorso 22 settembre, ha dichiarato che "per la sua natura
giuridica e per la sua missione pastorale l'organismo ecclesiale non deve dare
il suo appoggio a nessuna candidatura politica e partitica.
INGRESSO
IERI NELLA DIOCESI DI GENOVA DEL NUOVO
ARCIVESCOVO,
ANGELO
BAGNASCO, GIÀ ORDINARIO MILITARE PER L’ITALIA.
IL
PRIMO INCONTRO CON I GENOVESI È AVVENUTO NEL CORSO
DI UNA
SOLENNE CERIMONIA NELLA CATTEDRALE DI SAN LORENZO
- A
cura di Dino Frambati -
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GENOVA.= Genova ha accolto come meglio non avrebbe potuto
mons. Angelo Bagnasco, suo nuovo arcivescovo. Per
lui, nella cattedrale di San Lorenzo è stato un autentico bagno di folla. Il
presule ha risposto ai fedeli della Lanterna con gioiosa trepidazione. Frase,
questa, usata nell’omelia, appassionata e concreta, dove ha espresso anche
grande fiducia. “Dove va il pastore senza il suo gregge?”, si è domandato. Ha
poi evocato poi le tenere immagini del quartiere di Sarzano,
dove ha vissuto in gioventù, e quelle di amici e compagni di seminario. Poi ha
ribadito la centralità della fede limpida, umile e convinta, che cambia la vita
interiore. Forte è stato il richiamo al servizio di Cristo e all’amore. Seguendo
il Vangelo, annunciando Gesù e rinnovando il cuore, ma anche annunciando il
volto dell’uomo: umanesimo personalista alla base e alla radice della nostra
civiltà. Ha poi ricordato l’intangibilità della vita umana, la centralità della
famiglia, invitandoci a farci samaritani della storia. Genova ringiovanisce –
ha detto – nel dono dei figli; verso anziani e solitudini, Genova superba nella
solidarietà, nell’amore e nel rispetto di tutti. Il nuovo arcivescovo non ha
neppure dimenticato la vicenda della Bielorussia,
assicurando che la Chiesa non si tirerà indietro su
richiesta di intervento, ma nel rispetto – ha precisato – di tutti gli ambiti.
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DA
OGGI AL 28 SETTEMBRE, PRIMO PELLEGRINAGGIO A
ROMA
DELL’ORDINARIATO
DELLE FORZE ARMATE E DEI CORPI ARMATI
DELLA
REPUBBLICA SLOVACCA
ROMA. = Da oggi al 28 settembre,
si svolge il primo pellegrinaggio a Roma dell’Ordinariato delle Forze armate e
dei Corpi armati della Repubblica slovacca. Partecipano al pellegrinaggio -
guidato da mons. František Rábek,
ordinario militare della Slovacchia - 80 membri delle Forze Armate con i
rispettivi familiari, che assisteranno all’udienza generale del Santo Padre di
mercoledì prossimo ed avranno inoltre modo di incontrare il corpo della
Gendarmeria dello Stato Vaticano e
INAUGURATA
IERI A VENEZIA LA 58.MA
EDIZIONE DEL PRIX ITALIA,
FESTIVAL
CONCORSO RADIOTELEVISIVO: IN GARA 194 PROGRAMMI DI 92 ENTI,
DI 43
PAESI DI TUTTO IL MONDO
VENEZIA. = E’ partita ieri, la 58.ma
edizione del Prix Italia, Festival-Concorso di organismi
radio-televisivi di tutto il mondo. Alto, come sempre, il numero dei programmi
in gara: 194, provenienti da 92 organismi, in rappresentanza di 43 nazioni.
Sedici i premi in palio: 6 per la radio, 6 per la tv, 1 per il web e 3 premi
speciali (Coppa del Presidente della Repubblica, Premio Granarolo
e Premio Signis). I lavori proseguiranno per tutta la
settimana, con la visione dei programmi in concorso da parte dei giurati, e
vari incontri e seminari sui temi di rilevanza radiotelevisiva. La
manifestazione si chiuderà sabato prossimo, 30 settembre. (R.G.)
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25 settembre 2006
- A cura di Eugenio Bonanata -
L’agenzia missionaria AsiaNews ha
denunciato due attacchi contro chiese cristiane avvenute ieri in Iraq. Secondo
alcuni gli attentati sono riconducibili ad una reazione contro le parole del
Papa a Ratisbona. Intanto, i leader religiosi
islamici mostrano solidarietà e comprensione verso il Vaticano. In particolare,
il rappresentante di Al Sistani,
il massimo esponente religioso degli sciiti iracheni, ha espresso il desiderio
di poter incontrare il Papa. Il nostro servizio:
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Ieri mattina - riferisce AsiaNews - uomini armati hanno
attaccato la chiesa caldea dello Spirito Santo di Mosul scaricando almeno 80 colpi contro l’edificio. Per fortuna
non c’era la Messa in quel momento – ha detto un fedele – e questo ha evitato
il peggio. L’atmosfera in città resta comunque tesa. Nei giorni scorsi milizie
musulmane hanno minacciato di uccidere i cristiani e di bruciare le chiese se
il vescovo e i sacerdoti cattolici entro 72 ore non avessero
condannato pubblicamente il discorso del Papa all’Università di Ratisbona. Sempre ieri a Baghdad due bombe sono scoppiate a
breve distanza l’una dall’altra davanti alla chiesa assiro-ortodossa
di Santa Maria, nel quartiere centrale di Karrada. Il
guardiano della chiesa ha perso la vita, mentre diverse persone sono rimaste
ferite. Alcune personalità cattoliche ritengono che l’attentato sia una
vendetta di tipo etnico-religioso. In questi giorni infatti il patriarca assiro-ortodosso
è in visita alle comunità nel Kurdistan ed è probabile che le bombe siano un
messaggio di minaccia, da parte di milizie sunnite o
sciite, contro questo legame con i curdi. Nei giorni
scorsi il segretario della nunziatura di Baghdad, mons. Thomas
Halim Abib, ha incontrato i
rappresentanti religiosi dell’islam offrendo loro una traduzione in arabo delle
parole del Papa, con l’obiettivo di diffondere presso le rispettive comunità il
vero senso dell’intervento del Pontefice. Mons. Thomas ha affermato inoltre che in questi giorni il rappresentante
ufficiale del grande ayatollah al Sistani, capo
indiscusso dell’Islam sciita in Iraq, ha visitato due volte la nunziatura
vaticana, manifestando stima e solidarietà per la Santa Sede. Il rappresentante
di al Sistani ha espresso
anche il desiderio di recarsi a Roma per incontrare il Papa.
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A Baghdad intanto Saddam Hussein è stato espulso dall'aula
dal presidente del Tribunale che sta processando l'ex rais e altri sei imputati
per il massacro dei curdi avvenuto
sul finire degli anni ottanta. L'udienza era ripresa stamani senza la presenza
degli avvocati difensori, che hanno deciso di boicottare il dibattimento. Sul
piano politico il presidente iracheno, Jalal
Talabani, ha invocato la presenza permanente delle Forze militari statunitensi
in Iraq. Servono almeno 10 mila uomini e due basi aeree – ha detto il
presidente – per evitare interferenze straniere nel Paese. La richiesta avviene
all’indomani della diffusione di un rapporto dell’intelligence americana, pubblicato in anteprima dal “New York Times”, secondo cui la guerra in Iraq ha acuito la minaccia
del terrorismo nel mondo. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:
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Proprio mentre il numero dei morti degli Stati Uniti in
Iraq e Afghanistan supera quello delle vittime dell’11 settembre, toccando i
3000 caduti, i Servizi segreti degli Stati Uniti scrivono che occupare Baghdad
ha complicato la lotta al terrorismo e il capo della CIA smentisce le notizie
di sabato sulla morte di Bin Laden.
Il documento sostiene che il radicalismo islamico non è in ritirata. Al Qaeda
nella sua organizzazione originale è stata indebolita e forse non ha più la
capacità di ordire complotti come quello dell’11 settembre. Nel frattempo però
ha generato decine di cellule autonome in tutto il pianeta che si ispirano alla
sua ideologia ma agiscono in proprio. L’Iraq rientra
nell’analisi perché secondo l’intelligence
ha peggiorato la situazione. Da una parte, infatti, ha regalato un’arma alla
propaganda jihadista che dipinge l’occupazione di
Baghdad come il primo passo di una strategia finalizzata a dominare l’intero
mondo islamico, dall’altra ha creato un enorme campo di addestramento dove si
esercitano terroristi di tutte le nazionalità che poi tornano nei loro Paesi ad
applicare gli insegnamenti ricevuti. La Casa Bianca si è difesa sostenendo che
i giornali hanno dato una versione parziale del testo, ma il senatore Kennedy ha risposto che è l’ultimo chiodo nella bara della
politica sbagliata di Bush. Il rapporto imbarazza il
Presidente perché contraddice i giudizi più positivi dati sulla lotta al terrorismo
nei suoi discorsi delle ultime settimane e potrebbe influenzare le elezioni
parlamentari di novembre.
Da New
York per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli
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Il presidente iracheno, Jalal
Talabani, ha dichiarato di aver convinto i leader dei ribelli curdi del nord dell’Iraq a proclamare un cessate il fuoco.
Talabani, intervistato dal settimanale americano “Newsweek”
durante la sua recente permanenza negli USA, ha poi precisato che la tregua
sarà annunciata ufficialmente nei prossimi giorni dal Partito dei lavoratori curdi (PKK).
In Afghanistan non si arresta l’ondata di violenza. Oggi
la responsabile del dipartimento Affari femminili della provincia meridionale
di Kandahar è stata uccisa da un commando armato mentre si stava recando al lavoro. Appartenente alla
minoranza sciita, la donna dirigeva il dipartimento sin dalla sua creazione
dopo la fine del regime dei Taleban. Regime che
proprio a Kandahar aveva la sua roccaforte.
Riprenderanno probabilmente domani i contatti fra il
presidente palestinese, Abu Mazen
e il premier, Ismail Haniyeh,
per la costituzione del nuovo governo di unità nazionale. Lo ha annunciato l’ex
ministro Saeb Erekat.
Intanto, il vicepremier israeliano, Simon Peres, ha affermato che Israele non accetterà di includere
il dirigente di al Fatah, Marwan Barghuti, in uno scambio
di prigionieri per la liberazione del caporale israeliano Ghilad
Shalit, catturato il 25 giugno da miliziani
palestinesi legati ad Hamas. Infine il premier dello Stato ebraico, Ehud Olmert ha negato di aver
avuto un incontro segreto con alti esponenti sauditi, come affermato ieri dalla
stampa israeliana.
Il conflitto tra Libano e Israele è stato un disastro e
non una “vittoria divina”. E’ quanto ribadito ieri dal leader cristiano
maronita Samir Geagea, in risposta ai toni trionfalistici usati due giorni fa dal
capo di Hezbollah, Narsallah. Il leader maronita ha
poi sottolineato: “dovremmo sentirci vincitori, ma
riteniamo che sul Paese si sia abbattuta una catastrofe e che il nostro destino
sia in balia dei venti”.
In Somalia prosegue l’avanzata delle Corti Islamiche che
ieri hanno conquistato Chisimaio, porto di grande
rilievo, collocato circa 400 chilometri a sud di Mogadiscio. Le truppe
islamiche non hanno incontrato alcuna resistenza da parte dei militari fedeli
al governo di transizione, che sono fuggiti prima del loro arrivo. Oggi due
persone sono state uccise dai miliziani islamici che hanno aperto il fuoco
contro un gruppo di dimostranti. Intanto, secondo fonti
diplomatiche, il premier del governo di transizione somalo, Ali Gedi, che da sabato si trova a Nairobi, ha chiesto per oggi
un immediato incontro con la Comunità internazionale che segue il processo di
pace somalo.
Sempre tesa la situazione in Sri Lanka,
dove le Forze governative hanno affondato stanotte 11
imbarcazioni delle Tigri Tamil. Almeno 70
guerriglieri sarebbero stati uccisi in seguito alla lunga battaglia, durata 5
ore.
Nello Yemen, sono stati liberati
oggi i quattro ostaggi francesi rapiti il 10 settembre scorso da membri di un
clan tribale. Lo ha riferito un deputato yemenita, Awadh
Bawazir, che si trova insieme a
loro.
In Nepal 24 persone sono morte nello schianto di un
elicottero verificatosi nel distretto Taplejung,
circa 300 chilometri ad est della capitale Katmandù.
A bordo c’erano il ministro nepalese per l’ambiente e diversi
altri funzionari governativi. Del velivolo si erano perse le tracce nel
fine settimana. In seguito i soccorsi avevano identificato i rottami e numerosi
cadaveri, senza riuscire ad atterrare nell’area perché troppo impervia.
Ennesima tragedia dell’immigrazione nelle acque del canale
di Sicilia. Ieri, un barcone con 23 clandestini a bordo si è capovolto
mentre tentava di raggiungere l’isola di Lampedusa. Nel naufragio hanno
perso la vita una giovane donna e il figlioletto di 18 mesi. I sopravvissuti,
che ora si trovano nel centro di prima accoglienza dell’isola, avevano subito
riferito alle autorità italiane dei due dispersi. La conferma è arrivata,
alcune ore dopo, quando un elicottero della marina militare ha localizzato i
corpi delle due vittime nei pressi del relitto.
Il premier britannico, Tony Blair,
ha chiesto ai laburisti di porre fine alla disputa sul nome del suo successore
a Downing Street per tornare a concentrarsi sui temi
importanti come l'immigrazione e il terrorismo. A margine dell'apertura del
congresso del Labour, ieri sera Blair
ha anche denunciato il rischio di una perdita di consensi per il Partito che è
incalzato dai conservatori in rimonta.
E’ di 47 morti, fra cui diversi bambini, il bilancio delle
vittime dell’incidente stradale verificatosi ieri in Ecuador. Un autobus, su
cui viaggiavano 52 persone appartenenti alla stessa famiglia, è precipitato in
un burrone, mentre rientrava da una gita. Secondo testimoni il mezzo viaggiava
ad una velocità eccessiva.
In Cina il segretario del Partito Comunista di Shanghai, è
stato destituito per il suo coinvolgimento in un caso di corruzione che
riguarda i fondi per la previdenza sociale nel più importante porto del Paese.
Lo scandalo ha già coinvolto due alti funzionari locali. La notizia, diffusa
dalla rete televisiva di Hong Kong 'Phoenix TV', è
stata in confermata successivamente anche dall'agenzia ufficiale Nuova Cina.
Il ministro dell’informazione egiziano ha emesso un
decreto che vieta la distribuzione di alcune edizioni di tre giornali europei,
che contenevano commenti ritenuti offensivi nei confronti dell’Islam. Lo ha
affermato ieri l’agenzia di Stato Mena. Il provvedimento riguarda l'edizione
del 19 settembre del quotidiano francese “Le Figaro”,
quella del 16 settembre del giornale tedesco “Frankfurter
Allgemeine Zeitung” e
un'edizione del britannico The Guardian Weekly.
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