RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 268 - Testo della trasmissione di lunedì 25  settembre 2006

 

 

Sommario

                      

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il Papa incontra a Castel Gandolfo gli ambasciatori musulmani e afferma  che il dialogo  con l’Islam è una necessità vitale per il futuro del mondo. Quindi ribadisce  la sua profonda stima  per i musulmani  e  parla  di libertà religiosa e reciprocità: con noi lo scrittore iracheno Younis Tawfik  e il padre gesuita Samir Khalil Samir

 

In visita ad Limina da Benedetto XVI i vescovi del Malawi

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Il dibattito sull’eutanasia in Italia: ai nostri microfoni il commento di mons. Bruno Forte e del prof. Antonio Spagnolo

 

Nel silenzio internazionale prosegue il dramma della popolazione civile del Darfur: intervista con Antonio Alberizzi

 

CHIESA E SOCIETA’:

Norme più severe e restrittive sul diritto d’asilo e sull’immigrazione: la Svizzera ha confermato ieri le due leggi già approvate dal Governo federale e dal Parlamento. Rammarico dell’Alto Commissariato ONU per i rifugiati e preoccupazione della Chiesa

 

Chiarimento della Conferenza episcopale del Paraguay riguardo all’eventuale candidatura alle prossime elezioni del vescovo emerito di San Pedro, mons. Fernando Lugo

 

Ingresso ieri nella diocesi di Genova del nuovo arcivescovo, mons. Angelo Bagnasco

 

Da oggi al 28 settembre, primo pellegrinaggio a Roma dell’Ordinariato delle Forze Armate e dei Corpi Armati della Repubblica Slovacca

 

Inaugurata ieri a Venezia la 58.ma edizione del Prix Italia, Festival concorso radiotelevisivo: in gara 194 programmi di 92 enti, di 43 Paesi di tutto il mondo

 

24 ORE NEL MONDO:

Senza fine la violenza in Iraq: attaccate chiese  a Baghdad e Mosul

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

25 settembre 2006

 

 

CORDIALE INCONTRO A CASTEL GANDOLFO TRA IL PAPA E GLI AMBASCIATORI  

DEI PAESI A MAGGIORANZA MUSULMANA: BENEDETTO XVI  AFFERMA CHE IL DIALOGO  CON L’ISLAM  E’ UNA NECESSITA’ VITALE PER IL FUTURO DEL MONDO.

QUINDI RIBADISCE  LA SUA PROFONDA STIMA  PER I MUSULMANI 

E  PARLA  DI LIBERTA’ RELIGIOSA E RECIPROCITA’

- Interviste con Younis Tawfik e padre Samir Khalil Samir -

 

         Il dialogo tra cristiani e musulmani è una necessità vitale per il futuro del mondo: lavoriamo insieme per la pace nel rispetto dell’identità e della libertà di ciascuno. E’ quanto ha detto, in sintesi, il Papa incontrando stamani a Castel Gandolfo gli ambasciatori dei Paesi a maggioranza musulmana accreditati presso la Santa Sede e alcuni esponenti delle comunità musulmane in Italia. Un incontro volto a “consolidare i legami di amicizia e di solidarietà” tra la Santa Sede e il mondo islamico, dopo le reazioni suscitate da una non corretta interpretazione del discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona. All’udienza, seguita in diretta anche dalla TV araba Al Jazeera,  hanno partecipato 22 diplomatici e una ventina di esponenti di comunità musulmane in Italia: era presente anche il  cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Il servizio di Sergio Centofanti:

 

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Il Papa saluta cordialmente, uno per uno, i diplomatici e i rappresentanti musulmani. L’atmosfera dell’incontro è  molto serena e amichevole: tanti sorrisi e strette di mano.

 

“Je voudrais aujourd’hui redire toute l’estime et le profond respect que je porte aux croyants musulmans…″.

 

Sulla scia del Concilio Vaticano II, Benedetto XVI ha ribadito  “tutta la stima e il profondo rispetto” che nutre verso i credenti musulmani “che adorano l’unico Dio”. “Fin dall’inizio del mio pontificato – ha detto -  ho auspicato  che si continuino a consolidare ponti di amicizia con i fedeli di tutte le religioni, con un particolare apprezzamento per la crescita del dialogo tra musulmani e cristiani”.

 

″Il est en effet une nécessité vitale, dont dépend en grande partie notre avenir… ″.

 

Ricordando le parole pronunciate nell’incontro con i rappresentanti islamici a Colonia, nell’agosto del 2005,  ha sottolineato che “il dialogo interreligioso e interculturale fra cristiani e musulmani non può ridursi a una scelta del momento Si tratta effettivamente di una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro futuro”.

 

“In un mondo segnato dal relativismo, e che troppo spesso esclude la trascendenza dall’universalità della ragione – ha aggiunto -  abbiamo assolutamente bisogno d’un dialogo autentico tra le religioni e tra le culture” per costruire insieme un “mondo di pace e di fraternità” e in questo ambito – nota – “i nostri contemporanei attendono da noi un’ eloquente testimonianza in grado di indicare a tutti il valore della dimensione religiosa dell’esistenza”.

 

“Poursuivant l’œuvre entreprise par mon prédécesseur, le Pape Jean-Paul II… ″.

 

Benedetto XVI si pone in continuità con  l’opera intrapresa da Giovanni Paolo II, auspicando “vivamente che  i rapporti ispirati a fiducia, che si sono instaurati da diversi anni fra cristiani e musulmani, non solo proseguano, ma si sviluppino in uno spirito di dialogo sincero e rispettoso, un dialogo fondato su una conoscenza reciproca sempre più autentica che, con gioia, riconosce i valori religiosi comuni e, con lealtà, prende atto e rispetta le differenze”.

 

Il Papa afferma la necessità che, “fedeli agli insegnamenti delle loro rispettive tradizioni religiose, cristiani e musulmani imparino a lavorare insieme, come già avviene in diverse comuni esperienze, per evitare ogni forma di intolleranza ed opporsi ad ogni manifestazione di violenza”. E a questo proposito – sottolinea -  è  “doveroso” che le autorità religiose e i responsabili politici incoraggino i credenti ad agire in questo modo.

 

“Même si, au cours des siècles, de nombreuses dissensions et inimitiés sont nées entre chrétiens et  musulmans… ″.

 

Il Papa, non nascondendo che nel corso dei secoli, “non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani”, ricorda come il Concilio Vaticano II esorti “tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Dichiarazione Nostra aetate, n.3).

 

Il Pontefice invita “a ricercare vie di riconciliazione …  nel rispetto dell’identità e della libertà di ciascuno”  e cita  Giovanni Paolo II che nel suo “memorabile discorso” ai giovani a Casablanca, in Marocco, nel 1985, aveva affermato che “il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli”.

 

“Je suis profondément convaincu que, dans la situation que connaît le monde aujourd’hui… ″.

 

“Sono profondamente convinto – afferma ancora il Papa -  che, nella situazione in cui si trova il mondo oggi”, mentre “crescono le minacce contro l’uomo e contro la pace”, è “un imperativo per i cristiani e i musulmani impegnarsi  nell’affrontare insieme  le numerose sfide” dell’attualità “specialmente per quanto riguarda la difesa e la promozione della dignità dell’essere umano e i diritti che ne derivano”,  riaffermando “la centralità della persona  e lavorando senza stancarsi perché la vita umana sia sempre rispettata”.

 

″Au moment où pour les musulmans commence la démarche spirituelle du mois de Ramadan… ".

 

Infine, Benedetto XVI rivolge i suoi “cordiali voti augurali” ai musulmani che hanno appena iniziato a celebrare il Ramadan, auspicando “di vero cuore che Dio misericordioso guidi i nostri passi sui sentieri d’una reciproca  e sempre più vera comprensione”. “Che il Dio della pace – ha concluso il Papa rivolgendosi ai rappresentanti islamici - colmi con l’abbondanza delle sue benedizioni voi e le comunità che rappresentate!”

 

(Applausi)

 

Da parte sua, nell’indirizzo di saluto all’inizio dell’incontro, il cardinale Poupard ha sottolineato la necessità di “lavorare a una nuova simbiosi della fede e della ragione in un dialogo fiducioso e pacifico tra le religioni e le culture” per testimoniare “nel rispetto delle nostre differenze”  la fede “nell’Unico Dio e il nostro rispetto per l’uomo creato a sua immagine e somiglianza”.

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E all’incontro di Castel Gandolfo è intervenuto questa mattina anche lo scrittore musulmano iracheno Younis Tawfik. Al microfono di Salvatore Sabatino, così ha commentato il discorso di Benedetto XVI:

 

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R. – E’ stato un discorso emozionante e toccante perchè non ha voluto riprendere o ricalcare la polemica dei giorni passati ma bensì fare un discorso del tutto nuovo come se volesse fare una svolta, un cambiamento di pagina dando l’impressione di un proseguimento di un cammino della Chiesa, verso la strada del dialogo e del confronto. Ha ribadito la sua stima all’Islam, ai musulmani, il suo rispetto, per cui ci ha dato una lezione di grande tolleranza soprattutto quando è passato a salutarci uno per uno, si è fermato abbastanza per chiedere di noi e per ringraziarci di essere venuti alla sua udienza.

 

D. – Benedetto XVI ha detto di essere profondamente convinto che nella situazione in cui si trova il mondo oggi è un imperativo per i cristiani e i musulmani impegnarsi per affrontare insieme le numerose sfide con le quali si confronta l’umanità…

 

R. – Questo suo breve discorso è stato una lezione per me magistrale per farci capire l’importanza del dialogo e del confronto soprattutto in questo momento, laddove tante persone stanno cercando di giocare per i loro interessi o per altro, per fomentare l’odio e lo scontro. Il discorso del Santo Padre invece è stato quello di evitare questo scontro, di invitare tutti quanti a riflettere sull’importanza della pace e i valori dell’umanità, ha detto che le nostre fedi ci tengono uniti nel Credo in un Dio, unico Dio di Abramo, ma anche il Dio della pace e dell’amore.

 

D. - Quali sono state le reazioni degli ambasciatori presenti a questo importante incontro?

 

R. - Direi che lo hanno accolto con un grande applauso e poi c’è stata una bella foto di gruppo, tanta cordialità: immagino che tutti abbiamo affrontato questo incontro con Sua Santità con grande serenità. Per me è stato un momento di riconciliazione e di riflessione. Io, infatti, gli ho detto grazie di aver compreso l’importanza del pensiero di Averroè e gli ho chiesto di aiutarci a camminare verso la pace e il dialogo.

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Fabio Colagrande ha raccolto un altro commento alle parole del Papa di oggi, quello del padre gesuita Samir Khalil Samir, docente di Islamologia all’Università Saint Joseph di Beirut e al Pontificio Istituto Orientale di Roma:

 

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R. – E’ un discorso che insiste sulla continuità della visione cattolica del rapporto con l’Islam a partire dal Concilio Vaticano II, passando attraverso i vari Pontificati, soprattutto quello di Giovanni Paolo II. E questo penso perché qualcuno ha detto che c’è una svolta nel Pontificato di Benedetto XVI, perché lui – secondo alcuni - invece di sottolineare il dialogo, indicherebbe più le differenze. Mi pare invece che la linea continua. Il secondo punto sta nel fatto che Benedetto XVI ripete i valori religiosi comuni: i musulmani ed i cristiani hanno dei valori comuni che devono essere testimoniati nel mondo moderno, troppo secolarizzato. Una terza parola chiave è quella della reciprocità.

 

D. – Padre Samir, quanto è importante il concetto di reciprocità per continuare il dialogo tra cristiani e musulmani?

 

R. – L’idea è fondamentale, ma intesa non nel senso negativo: se qualcuno si oppone a noi, noi ci opporremo a loro; se ci vietano di costruire una chiesa, non vieteremo di costruire una moschea. Certamente questo non è pensabile nella tradizione cattolica. Si tratta quindi di una reciprocità nel positivo, una specie di emulazione nel bene. Noi vogliamo la libertà religiosa per tutti e insieme andiamo avanti nel senso dei diritti umani: così la reciprocità diviene costruzione di una civiltà comune e non un ricatto per far paura all’altro, ma al contrario.

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IN VISITA AD LIMINA DA BENEDETTO XVI I VESCOVI DEL MALAWI,

PICCOLO STATO AFRICANO NEL QUALE LA CHIESA HA SEGNATO SVOLTE STORICHE

NELLA VITA SOCIALE E CARITATIVA

 

         Il Malawi, Stato dell’Africa orientale, è un caso emblematico, non raro nel continente, di come l’azione della Chiesa possa incidere sulla situazione sociale di un’intera nazione, contribuendo a migliorarne il proprio livello di vita. Da questa mattina e fino a venerdì prossimo, i vescovi del Malawi sono a Roma in visita ad Limina. Stamattina, Benedetto XVI ha ricevuto i primi tre presuli di un Paese che conta un’arcidiocesi metropolitana e sei diocesi. Sulle vicende storiche e gli scenari attuali del Malawi, ascoltiamo la scheda di Alessandro De Carolis.

 

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“Ogni uomo, poiché figlio di Dio, deve essere libero e rispettato”, mentre il Paese ha la doppia faccia dei pochi ricchissimi e dei troppi in miseria, ed è un drammatico miscuglio di tribalismo, analfabetismo, avidità, ospedali che scoppiano e AIDS che imperversa. Queste parole sono un detonatore per una società che non ha idea di cosa significhi decidere da sola il proprio destino. Sono parole che coraggiosamente i vescovi del Malawi mettono nero su bianco l’8 marzo del 1992. Quel piccolo Paese dell’Africa subsahariana, culla dell’uomo primitivo (alcuni reperti di ominidi risalgono a più di un milione di anni fa), per 20 anni è stato un feudo personale di Hastings Kamuzu Banda, un padre della patria che dopo essere stato un eroe dell’indipendenza dagli inglesi negli Anni Sessanta, ha ceduto al delirio di onnipotenza facendosi proclamare presidente a vita. Dal 1970 ai primi Anni Novanta, la cifra del Malawi è quella di ogni dittatura: culto della personalità, nepotismi, ricchezze concentrate in poche mani, libertà di pensiero e di espressione negata.

 

Quando, dunque, i vescovi decidono di spronare la popolazione a rivendicare diritti inalienabili per qualsiasi essere umano, per il regime di Banda è l’inizio della fine. La Chiesa cattolica, del resto, a partire dal Seicento si inoltra nelle foreste tropicali o guadagna i villaggi che attorniano le rive dell’enorme e splendido Lago di Niassa, tra i più grandi al mondo, per annunciare il Vangelo ed è quindi via via sempre più ramificata nel territorio. Gesuiti prima, poi Monfortani e Padri Bianchi, i missionari contribuiscono a creare l’ossatura di una comunità che alla fine del secolo scorso accenderà la scintilla del cambiamento. Il 14 febbraio del ’93, i vescovi illustrano i vantaggi della democrazia in una lettera pastorale intitolata “Scegliere il nostro futuro”. Il potere di Banda vacilla, preso in mezzo tra il forcing della Chiesa e le pressioni della comunità internazionale. Esattamente quattro mesi dopo, il 14 giugno, la svolta: un referendum popolare sancisce l’era del multipartitismo che, l’anno dopo, sfocia nelle prime vere elezioni, con candidati diversi e voci diverse.

 

Senza sbocchi sul mare, serrato su tre lati da Mozambico, Zambia e Tanzania, il Malawi è un Paese densamente popolato. Su circa 12 milioni di abitanti, i cattolici sono circa il 20%, distribuiti (dati 2004) in 151 parrocchie, rette da circa 400 sacerdoti, tra diocesani e religiosi. Le religiose sono oltre 770, mentre circa 300 sono i seminaristi. La Chiesa sviluppatasi dopo gli anni del totalitarismo non ha perso la sua proverbiale energia. Scorrendo le lettere pastorali dell’ultimo decennio, si ha il polso di un’attenzione sempre serrata, principalmente dei vescovi, al vissuto della nazione. Denunce contro la corruzione che avvelena le istituzioni, contro la violenza politica o la riforma che vorrebbe sostituire l’insegnamento della Bibbia con le tradizioni animistiche vengono levate puntualmente, tuttavia quegli stessi documenti sono anche la testimonianza dell’ininterrotto impegno sociale e caritativo verso i più poveri. La carestia ha tormentato il Malawi anche quest’anno, mettendo in allarme le agenzie umanitarie che hanno parlato di un milione di persone a rischio di morte per inedia. Ma la cronaca più recente ha fatto risaltare il Paese anche per le piogge abbondanti, dopo anni di siccità, che hanno prodotto un raccolto record di mais. Un segno di speranza per un’economia liberatasi, meno di un mese fa, da un altro pesantissimo fardello: quello del debito estero, tagliato del 90%. I 110 milioni di dollari pagati annualmente finora potranno trasformarsi, ha scritto la Fides, “in un aiuto molto importante per il Ministero dell'educazione, della Salute (...) che in questi anni ricevevano solo le briciole della finanziaria annuale”.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - L'udienza di Benedetto XVI ai partecipanti all'Incontro promosso dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.

All'Angelus il Papa ha ricordato l'impegno dei tanti cristiani che, con umiltà e nel silenzio, spendono la propria vita al servizio degli altri.

 

Servizio estero - L'intervento della Santa Sede sul tema: "I Paesi meno sviluppati stanno bussando alle porte dei Paesi ricchi, con i loro problemi portati dalle masse che fuggono dalla povertà". 

 

Servizio culturale - Un articolo di Paolo Miccoli dal titolo “Romano Guardini e l’ansia per l'uomo": riproposto in traduzione italiana un saggio del teologo italo-tedesco su “Persona e personalità”.

 

Servizio italiano - In primo piano la vicenda delle intercettazioni.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

25 settembre 2006

 

 

IL DIBATTITO SULL’EUTANASIA IN ITALIA

- Ai nostri microfoni mons. Bruno Forte e  il prof. Antonio Spagnolo -

 

In Italia, serrato dibattito sul tema dell’eutanasia. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha invitato le forze politiche ad un’approfondita riflessione. Al capo dello Stato era giunto, nei giorni scorsi, un appello in tal senso da parte di un malato di distrofia muscolare, Piergiorgio Welby. Il servizio di Giampiero Guadagni:

 

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Le forze politiche si dividono sull’appello del capo dello Stato. L’opposizione di centro-destra nel dire “no” all’eutanasia; sulla stessa linea i cattolici dell’Unione, a partire dal presidente del Senato, Franco Marini, per il quale si può semmai lavorare sulla legge per il testamento biologico, presto in discussione a Palazzo Madama. La pensano diversamente il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, e molti esponenti del centro-sinistra, per i quali non va fatto cadere nel vuoto l’invito del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Va detto che al capo dello Stato sono arrivati, ieri, da altri malati, appelli di senso opposto, come quello di un 45.enne, malato terminale, costretto a letto da otto anni, che fa sapere di voler continuare a vivere. E mons. Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita ribadisce: “La vita è un dono di Dio ed è un bene indisponibile per chiunque. La società che ha paura della sofferenza, rischia di allontanarsi dalla fede”. Ascoltiamo mons. Sgreccia:

 

“Il dare alla società o agli individui questo diritto è compiere un assurdo, un atto autodistruttivo. E non solo della vita, ma anche della libertà, perché si sa che la vita è la radice della libertà: per essere liberi, bisogna essere vivi. E’ chiaro che con tutta la forza del pensiero, con l’amore che si ispira per l’uomo e il rispetto della sua maestà, della sua dignità, riconoscendo in ciascun uomo l’immagine di Dio, diremo che al malato si deve dare il meglio delle terapie, il meglio delle attenzioni, tutta l’assistenza, le terapie devono essere proporzionate e non ispirate ad un accanimento tecnologico, ma con il rispetto della morte naturale e il rispetto – appunto – della maestà, della dignità di questa persona, che porta con sé l’immagine di Dio”.

 

Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni.

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Ma la medicina come guarda all’eutanasia? Quali limiti si pone quando c’è in gioco la vita di un individuo? Al microfono di Tiziana Campisi ascoltiamo il prof. Antonio Spagnolo, docente di bioetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma:

 

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R. – Un conto è l’eutanasia, cioè la volontà deliberata di anticipare la morte utilizzando dei mezzi che determinano la morte, un conto è invece è chiedere che interventi sproporzionati, gravosi che non hanno nessuna prospettiva di un beneficio per la guarigione della malattia ma che causano un ulteriore aggravio o addirittura stanno impedendo che la morte naturale si determini fanno parte di un altro capitolo che è quello della sospensione dell’accanimento terapeutico. La società, la medicina, si deve porre il problema del limitare l’accanimento terapeutico non certamente quello di stabilire se una persona possa decidere liberamente di togliersi la vita o di chiedere che altri lo aiutino a farlo utilizzando dei mezzi che sono idonei per questo.

 

D. – Quando un medico si trova dinnanzi ad un malato grave che tipo di consigli può dare?

 

R. – Anche accompagnare il malato quando non c’è più nulla da fare dal punto di vista della guarigione, accompagnarlo perché le fasi finali della sua vita siano più alleviate è compito pieno, integrante della professione medica. Il medico deve esprimere tutta la sua solidarietà attraverso innanzitutto una sedazione del dolore. Il malato non può vivere le ultime fasi della sua vita con sofferenza. Ma c’è poi tutto il sostegno dal punto di vista umano, dal punto di vista religioso, psicologico: l’eutanasia va contro la ricerca, va contro la medicina perché offre una soluzione sbrigativa ad un problema del quale invece la medicina si occupa con molto impegno tanto da aver fatto una disciplina specialistica, quella delle cure palliative.

 

D. – Medicina e libertà dell’individuo che cosa possiamo dire?

 

R . – Un paziente che chiede di morire paradossalmente sta mettendo in crisi, sta distruggendo il fondamento stesso, cioè la vita della sua libertà. C’è anche un limite in quello che il paziente può chiedere al medico così come il medico ha un limite nel fare al paziente qualcosa che lo possa danneggiare. Da sempre l’Assemblea Medica Mondiale ha stabilito e ha detto che il medico non può mai essere artefice di morte.

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Della propria vita non si può disporre arbitrariamente. L’uomo non è solo, la sua esistenza è un continuo relazionarsi con gli altri, per questo non può decidere da sé se porre fine alla sua vita o meno. Questo in sintesi ciò che la Chiesa insegna a proposito dell’eutanasia. Tiziana Campisi, ne ha parlato con mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto:

 

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R. – La Chiesa ha un’idea dell’uomo come dell’essere fatto per la comunione, per l’altro, e questo significa che la sua esistenza non è una proprietà privata di se stesso ma è un dono ricevuto e un dono che deve essere vissuto in pienezza, nell’offerta di sé agli altri. Un’esistenza per così dire relazionale che nel profondo della visione teologica della fede, è un venire da Dio e non essere destinati ultimamente a Dio come senso e valore della nostra vita. Potremmo riassumerla in questa frase la visione dell’uomo che è alla base non solo del cristianesimo, ma di ogni concezione religiosa e spirituale dell’umanità: “L’uomo non è solo e proprio perché non è solo, l’uomo non può disporre di alcuni valori assoluti che costituiscono la sua integrità, la sua dignità; la vita di ogni essere umano è sacra e va rispettata dal suo primo ed ultimo istante”.

 

D. – Poniamoci dal punto di vista di un non credente, soprattutto a chi si appella alla propria libertà personale. Come rispondere a queste persone?

 

R.- La libertà della persona non è mai identificabile con la possibilità o la volontà di disporre arbitrariamente di tutto. Ci sono dei valori assoluti a cui chiunque, credente o non credente, è chiamato ad attenersi; come vale per tutti il principio “non uccidere”, nei confronti della vita altrui, vale anche nei confronti della propria vita perché quella vita è il valore assoluto su cui la convivenza umana si costruisce come una convivenza civile, capace di costruire legami autentici. Compromettere questo principio, anche per chi non crede, significa minare alla base il valore e la convivenza umana.

 

D. – Dunque, problema fondamentale, la sofferenza. Come porsi dinnanzi a questa?

 

R. – Certamente vivere la sofferenza con dignità, viverla come una scuola e anche come un’esperienza in cui la persona si esprime, è quanto è massimamente auspicabile anche da un punto di vista “laico”. La visione della fede aggiunge a questo qualcosa di molto grande e profondo. La sofferenza non è più vissuta nella solitudine, è vissuta nella comunione con il Dio che si è fatto sofferente per amore nostro.

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NEL SILENZIO INTERNAZIONALE PROSEGUE IL DRAMMA

DELLA POPOLAZIONE CIVILE DEL DARFUR

- Ai nostri microfoni Massimo Alberizzi -

 

Sempre più drammatica la situazione in Darfur, la regione sudanese da anni percorsa da una sanguinosa guerra civile. Il quadro umanitario si fa sempre più drammatico, mentre il governo di Khartoum continua a rifiutare l'invio dei caschi blu deciso dal Consiglio di Sicurezza il mese scorso. Per discutere dell’emergenza, oggi al Palazzo di Vetro di New York il segretario generale dell'ONU, Kofi Annan riceverà il ministro degli Esteri sudanese, Lam Akol Ajawin. Ma cosa di fatto sta frenando il dispiegamento di una forza delle Nazioni Unite in Darfur? Giada Aquilino lo ha chiesto a Massimo Alberizzi, africanista del Corriere della Sera:

 

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R. - A frenare sono soprattutto gli interessi contrapposti di Stati Uniti, Cina e Russia. Gli Stati Uniti hanno perso le concessioni petrolifere e quindi mirano comunque a destabilizzare in qualche modo il Paese, a ricondurlo cioè in un’ottica più vicina a quella di Washington. E’ la Cina invece ad essersi impadronita delle concessioni petrolifere: Khartoum è piena di nuove costruzioni cinesi, negozi, ristoranti, una comunità grandissima. Inoltre, la Russia sta vendendo armi al governo e quindi si è creato un business. C’è poi il Sudan, che avendo connivenze con le milizie filo-governative, non ha alcun interesse ad andare contro gli stessi Janjaweed.

 

D. - Sul terreno qual è la situazione?

 

R. - Sono riprese le violenze contro i cittadini di origine africana, i ‘darfuriani’. E’ quindi ricominciata una grande impunità perché i 7000 uomini dell’Unione Africana schierati sul terreno sono male armati e non hanno possibilità di effettuare controlli. Prima gli aerei del governo bombardano i villaggi e poi i Janjaweed arrivano a uccidere, ammazzare, violentare…

 

D. – Le forze africane rimarranno fino a fine anno: è stato infatti prolungato di qualche mese il mandato. Ma al Consiglio di Sicurezza dell’ONU invece qual è il dibattito?

 

R. - Gli Stati Uniti cercano di convincere Russia e Cina a togliere la loro opposizione in sede ONU. Perché è passata la mozione che autorizza una forza di peacekeeping, ma con un codicillo: la missione ONU partirà solo se il governo sudanese sarà d’accordo. E appunto Khartoum non può essere d’accordo, anche perché alcuni dei vertici dei Janjaweed e della stessa amministrazione sudanese sono ricercati dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità.

 

D. – Ma, in questo quadro, c’è il rischio di un nuovo Rwanda?

 

D. – Sì, c’ è il rischio, forse meno impressionante. Per il Rwanda parliamo di 100 giorni di violenze, di un bilancio di morti che oscilla tra 800.000 e un milione. In Darfur ci sono 200.000 morti, in due anni e mezzo o tre di conflitto. Però il sistema è uguale.

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CHIESA E SOCIETA’

25 settembre 2006

 

 

NORME PIÙ SEVERE E RESTRITTIVE SUL DIRITTO D’ASILO E SULL’IMMIGRAZIONE:

LA SVIZZERA HA CONFERMATO IERI ATTRAVERSO IL VOTO REFERENDARIO

LE DUE LEGGI GIÀ APPROVATE DAL GOVERNO FEDERALE E DAL PARLAMENTO.

RAMMARICO DELL’ALTO COMMISSARIATO DELL’ONU E PREOCCUPAZIONE DELLA CHIESA

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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BERNA. = Rendere meno “attraente” agli occhi degli stranieri il ricco Paese alpino e “combattere gli abusi”: con queste intenzioni la maggioranza governativa di centrodestra, ad eccezione dei socialisti, aveva varato lo scorso anno le due leggi, contestate dalla Sinistra che – fortemente preoccupata dai limiti imposti dalle nuove normative - aveva promosso i referendum. Ma le urne hanno dato ragione al ministro per la Giustizia e la Polizia, Christoph Blocher: non una vittoria personale, ha commentato, ma un voto – a suo dire – “che porta chiarezza”. Il 68 per cento dei votanti ha detto “si” alle disposizioni restrittive sul diritto d’asilo e sull’immigrazione. Le autorità elvetiche possono ora respingere la richiesta d’asilo, se il rifugiato non esibisce entro 48 ore un documento d’identità, privarlo dell’assistenza sociale, potranno arrestarlo se rifiuta il rimpatrio e tenerlo in carcere per due anni. Secondo il ministro, non verrà meno la tutela delle persona perseguitate, ma l’Alto Commissariato dell’ONU per i rifugiati ha ribadito che è spesso impossibile per un fuggiasco disporre di documenti, chiedendosi perché la Svizzera abbia adottato una legge sull’asilo tanto severa quando sono in forte calo le domande, poco più di 10 mila nel 2005, meno della metà in due anni. Sul fronte immigrazione, nuove misure per migliorare l’integrazione e semplificare alcune procedure ma soprattutto per limitare l’ingresso di lavoratori extraeuropei, accettati solo se qualificati e richiesti dal mercato. Preoccupazione per le conseguenze di queste restrizioni, che non corrispondono alla tradizione umanitaria e cristiana della Svizzera, è stata espressa anche dai vescovi e dalla Federazione delle Chiese protestanti e così anche dalla Federazione delle comunità israelite, che proseguiranno la loro opera per il rispetto della dignità di ogni persona in qualunque condizione.

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CHIARIMENTO DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEL PARAGUAY RIGUARDO ALL’EVENTUALE CANDIDATURA ALLE PROSSIME PRESIDENZIALI

DEL VESCOVO EMERITO DI SAN PEDRO, MONS FERNANDO LUGO.

 E’ QUESTIONE CHE INTERPELLA LA SANTA SEDE

- A cura di Luis A. Badilla -

 

ASSUNCION. = Da alcuni giorni in Paraguay, la stampa locale si occupa insistentemente del vescovo emerito di San Pedro, Fernando Lugo, il quale avrebbe deciso di presentare la propria candidatura alle elezioni presidenziali 2008, come leader di un movimento oppositore. Il Comitato permanente della Conferenza episcopale, lo scorso 22 settembre, ha dichiarato che "per la sua natura giuridica e per la sua missione pastorale l'organismo ecclesiale non deve dare il suo appoggio a nessuna candidatura politica e partitica. La Conferenza episcopale, inoltre, non ha nessuna competenza per autorizzare o vietare a mons. Fernando Lugo una sua candidatura ad un qualsiasi incarico politico o sindacale (Cfr. Canon 287, inc. 2). L'autorità competente è la Santa Sede”. I presuli concludono il loro breve comunicato ricordando le parole di Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus caritas est: La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile... Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato..”. La Chiesa vuole “adoperarsi per la giustizia lavorando per l'apertura dell'intelligenza e della volontà alle esigenze del bene”. Mons. Ignacio Gogorza, vescovo di Encarnaciòn, e presidente della Conferenza episcopale, parlando con i giornalisti ha ribadito che se mons. Lugo deciderà di prendere parte alla lotta politica dovrà chiedere prima una dispensa alla Santa Sede. Mons. Gogorza ha aggiunto: "Noi rispettiamo qualsiasi decisione del presule, ma si tratta di una questione personale che lui deve eventualmente regolare con la Sede Apostolica e secondo le leggi canoniche che, ripeto, vietano espressamente l'esercizio della attività politica al personale ecclesiastico". Da parte sua, mons. Adalberto Martínez, vescovo di San Lorenzo, segretario della medesima Conferenza ha sottolineato che sino ad oggi da parte di mons. Lugo non è arrivata ai vescovi nessuna notizia sulle sue intenzioni. Infine, nell'incontro con i giornalisti è stato ricordato che l'art. 235/5 della Costituzione del Paraguay dichiara "inabili a presentare candidature alla presidenza e alla vicepresidenza della Repubblica i ministri di qualsiasi religione o culto".

 

 

INGRESSO IERI NELLA DIOCESI DI GENOVA DEL NUOVO ARCIVESCOVO,

ANGELO BAGNASCO, GIÀ ORDINARIO MILITARE PER L’ITALIA.

IL PRIMO INCONTRO CON I GENOVESI È AVVENUTO NEL CORSO

DI UNA SOLENNE CERIMONIA NELLA CATTEDRALE DI SAN LORENZO

- A cura di Dino Frambati -

 

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GENOVA.= Genova ha accolto come meglio non avrebbe potuto mons. Angelo Bagnasco, suo nuovo arcivescovo. Per lui, nella cattedrale di San Lorenzo è stato un autentico bagno di folla. Il presule ha risposto ai fedeli della Lanterna con gioiosa trepidazione. Frase, questa, usata nell’omelia, appassionata e concreta, dove ha espresso anche grande fiducia. “Dove va il pastore senza il suo gregge?”, si è domandato. Ha poi evocato poi le tenere immagini del quartiere di Sarzano, dove ha vissuto in gioventù, e quelle di amici e compagni di seminario. Poi ha ribadito la centralità della fede limpida, umile e convinta, che cambia la vita interiore. Forte è stato il richiamo al servizio di Cristo e all’amore. Seguendo il Vangelo, annunciando Gesù e rinnovando il cuore, ma anche annunciando il volto dell’uomo: umanesimo personalista alla base e alla radice della nostra civiltà. Ha poi ricordato l’intangibilità della vita umana, la centralità della famiglia, invitandoci a farci samaritani della storia. Genova ringiovanisce – ha detto – nel dono dei figli; verso anziani e solitudini, Genova superba nella solidarietà, nell’amore e nel rispetto di tutti. Il nuovo arcivescovo non ha neppure dimenticato la vicenda della Bielorussia, assicurando che la Chiesa non si tirerà indietro su richiesta di intervento, ma nel rispetto – ha precisato – di tutti gli ambiti.

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DA OGGI AL 28 SETTEMBRE, PRIMO PELLEGRINAGGIO A ROMA

DELL’ORDINARIATO DELLE FORZE ARMATE E DEI CORPI ARMATI

DELLA REPUBBLICA SLOVACCA

 

ROMA. = Da oggi al 28 settembre, si svolge il primo pellegrinaggio a Roma dell’Ordinariato delle Forze armate e dei Corpi armati della Repubblica slovacca. Partecipano al pellegrinaggio - guidato da mons. František Rábek, ordinario militare della Slovacchia - 80 membri delle Forze Armate con i rispettivi familiari, che assisteranno all’udienza generale del Santo Padre di mercoledì prossimo ed avranno inoltre modo di incontrare il corpo della Gendarmeria dello Stato Vaticano e la Guardia Svizzera Pontificia. Evento che si verifica per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali fra la Repubblica slovacca e la Santa Sede, in territorio vaticano. (R.G.)

 

 

INAUGURATA IERI A VENEZIA LA 58.MA EDIZIONE DEL PRIX ITALIA,

FESTIVAL CONCORSO RADIOTELEVISIVO: IN GARA 194 PROGRAMMI DI 92 ENTI,

DI 43 PAESI DI TUTTO IL MONDO

 

 

VENEZIA. = E’ partita ieri, la 58.ma edizione del Prix Italia, Festival-Concorso di organismi radio-televisivi di tutto il mondo. Alto, come sempre, il numero dei programmi in gara: 194, provenienti da 92 organismi, in rappresentanza di 43 nazioni. Sedici i premi in palio: 6 per la radio, 6 per la tv, 1 per il web e 3 premi speciali (Coppa del Presidente della Repubblica, Premio Granarolo e Premio Signis). I lavori proseguiranno per tutta la settimana, con la visione dei programmi in concorso da parte dei giurati, e vari incontri e seminari sui temi di rilevanza radiotelevisiva. La manifestazione si chiuderà sabato prossimo, 30 settembre. (R.G.)

 

 

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24 ORE NEL MONDO

25 settembre 2006

 

- A cura di Eugenio Bonanata -

 

L’agenzia missionaria AsiaNews ha denunciato due attacchi contro chiese cristiane avvenute ieri in Iraq. Secondo alcuni gli attentati sono riconducibili ad una reazione contro le parole del Papa a Ratisbona. Intanto, i leader religiosi islamici mostrano solidarietà e comprensione verso il Vaticano. In particolare, il rappresentante di Al Sistani, il massimo esponente religioso degli sciiti iracheni, ha espresso il desiderio di poter incontrare il Papa. Il nostro servizio:

 

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Ieri mattina - riferisce AsiaNews - uomini armati hanno attaccato la chiesa caldea dello Spirito Santo di Mosul scaricando almeno 80 colpi contro l’edificio. Per fortuna non c’era la Messa in quel momento – ha detto un fedele – e questo ha evitato il peggio. L’atmosfera in città resta comunque tesa. Nei giorni scorsi milizie musulmane hanno minacciato di uccidere i cristiani e di bruciare le chiese se il vescovo e i sacerdoti cattolici entro 72 ore non avessero condannato pubblicamente il discorso del Papa all’Università di Ratisbona. Sempre ieri a Baghdad due bombe sono scoppiate a breve distanza l’una dall’altra davanti alla chiesa assiro-ortodossa di Santa Maria, nel quartiere centrale di Karrada. Il guardiano della chiesa ha perso la vita, mentre diverse persone sono rimaste ferite. Alcune personalità cattoliche ritengono che l’attentato sia una vendetta di tipo etnico-religioso. In questi giorni infatti il patriarca assiro-ortodosso è in visita alle comunità nel Kurdistan ed è probabile che le bombe siano un messaggio di minaccia, da parte di milizie sunnite o sciite, contro questo legame con i curdi. Nei giorni scorsi il segretario della nunziatura di Baghdad, mons. Thomas Halim Abib, ha incontrato i rappresentanti religiosi dell’islam offrendo loro una traduzione in arabo delle parole del Papa, con l’obiettivo di diffondere presso le rispettive comunità il vero senso dell’intervento del Pontefice. Mons. Thomas ha affermato inoltre che in questi giorni il rappresentante ufficiale del grande ayatollah al Sistani, capo indiscusso dell’Islam sciita in Iraq, ha visitato due volte la nunziatura vaticana, manifestando stima e solidarietà per la Santa Sede. Il rappresentante di al Sistani ha espresso anche il desiderio di recarsi a Roma per incontrare il Papa.

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A Baghdad intanto Saddam Hussein è stato espulso dall'aula dal presidente del Tribunale che sta processando l'ex rais e altri sei imputati per il massacro dei curdi avvenuto sul finire degli anni ottanta. L'udienza era ripresa stamani senza la presenza degli avvocati difensori, che hanno deciso di boicottare il dibattimento. Sul piano politico il presidente iracheno, Jalal Talabani, ha invocato la presenza permanente delle Forze militari statunitensi in Iraq. Servono almeno 10 mila uomini e due basi aeree – ha detto il presidente – per evitare interferenze straniere nel Paese. La richiesta avviene all’indomani della diffusione di un rapporto dell’intelligence americana, pubblicato in anteprima dal “New York Times”, secondo cui la guerra in Iraq ha acuito la minaccia del terrorismo nel mondo. Ce ne parla Paolo Mastrolilli:

 

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Proprio mentre il numero dei morti degli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan supera quello delle vittime dell’11 settembre, toccando i 3000 caduti, i Servizi segreti degli Stati Uniti scrivono che occupare Baghdad ha complicato la lotta al terrorismo e il capo della CIA smentisce le notizie di sabato sulla morte di Bin Laden. Il documento sostiene che il radicalismo islamico non è in ritirata. Al Qaeda nella sua organizzazione originale è stata indebolita e forse non ha più la capacità di ordire complotti come quello dell’11 settembre. Nel frattempo però ha generato decine di cellule autonome in tutto il pianeta che si ispirano alla sua ideologia ma agiscono in proprio. L’Iraq rientra nell’analisi perché secondo l’intelligence ha peggiorato la situazione. Da una parte, infatti, ha regalato un’arma alla propaganda jihadista che dipinge l’occupazione di Baghdad come il primo passo di una strategia finalizzata a dominare l’intero mondo islamico, dall’altra ha creato un enorme campo di addestramento dove si esercitano terroristi di tutte le nazionalità che poi tornano nei loro Paesi ad applicare gli insegnamenti ricevuti. La Casa Bianca si è difesa sostenendo che i giornali hanno dato una versione parziale del testo, ma il senatore Kennedy ha risposto che è l’ultimo chiodo nella bara della politica sbagliata di Bush. Il rapporto imbarazza il Presidente perché contraddice i giudizi più positivi dati sulla lotta al terrorismo nei suoi discorsi delle ultime settimane e potrebbe influenzare le elezioni parlamentari di novembre.

 

Da New York per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli

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Il presidente iracheno, Jalal Talabani, ha dichiarato di aver convinto i leader dei ribelli curdi del nord dell’Iraq a proclamare un cessate il fuoco. Talabani, intervistato dal settimanale americano “Newsweek” durante la sua recente permanenza negli USA, ha poi precisato che la tregua sarà annunciata ufficialmente nei prossimi giorni dal Partito dei lavoratori curdi (PKK).   

 

In Afghanistan non si arresta l’ondata di violenza. Oggi la responsabile del dipartimento Affari femminili della provincia meridionale di Kandahar è stata uccisa da un commando armato mentre si stava recando al lavoro. Appartenente alla minoranza sciita, la donna dirigeva il dipartimento sin dalla sua creazione dopo la fine del regime dei Taleban. Regime che proprio a Kandahar aveva la sua roccaforte.

 

Riprenderanno probabilmente domani i contatti fra il presidente palestinese, Abu Mazen e il premier, Ismail Haniyeh, per la costituzione del nuovo governo di unità nazionale. Lo ha annunciato l’ex ministro Saeb Erekat. Intanto, il vicepremier israeliano, Simon Peres, ha affermato che Israele non accetterà di includere il dirigente di al Fatah, Marwan Barghuti, in uno scambio di prigionieri per la liberazione del caporale israeliano Ghilad Shalit, catturato il 25 giugno da miliziani palestinesi legati ad Hamas. Infine il premier dello Stato ebraico, Ehud Olmert ha negato di aver avuto un incontro segreto con alti esponenti sauditi, come affermato ieri dalla stampa israeliana.

 

Il conflitto tra Libano e Israele è stato un disastro e non una “vittoria divina”. E’ quanto ribadito ieri dal leader cristiano maronita Samir Geagea, in risposta ai toni trionfalistici usati due giorni fa dal capo di Hezbollah, Narsallah. Il leader maronita ha poi sottolineato: “dovremmo sentirci vincitori, ma riteniamo che sul Paese si sia abbattuta una catastrofe e che il nostro destino sia in balia dei venti”.  

 

In Somalia prosegue l’avanzata delle Corti Islamiche che ieri hanno conquistato Chisimaio, porto di grande rilievo, collocato circa 400 chilometri a sud di Mogadiscio. Le truppe islamiche non hanno incontrato alcuna resistenza da parte dei militari fedeli al governo di transizione, che sono fuggiti prima del loro arrivo. Oggi due persone sono state uccise dai miliziani islamici che hanno aperto il fuoco contro un gruppo di dimostranti. Intanto, secondo fonti diplomatiche, il premier del governo di transizione somalo, Ali Gedi, che da sabato si trova a Nairobi, ha chiesto per oggi un immediato incontro con la Comunità internazionale che segue il processo di pace somalo.

 

Sempre tesa la situazione in Sri Lanka, dove le Forze governative hanno affondato stanotte 11 imbarcazioni delle Tigri Tamil. Almeno 70 guerriglieri sarebbero stati uccisi in seguito alla lunga battaglia, durata 5 ore.

 

Nello Yemen, sono stati liberati oggi i quattro ostaggi francesi rapiti il 10 settembre scorso da membri di un clan tribale. Lo ha riferito un deputato yemenita, Awadh Bawazir, che si trova insieme a loro.

 

In Nepal 24 persone sono morte nello schianto di un elicottero verificatosi nel distretto Taplejung, circa 300 chilometri ad est della capitale Katmandù. A bordo c’erano il ministro nepalese per l’ambiente e diversi altri funzionari governativi. Del velivolo si erano perse le tracce nel fine settimana. In seguito i soccorsi avevano identificato i rottami e numerosi cadaveri, senza riuscire ad atterrare nell’area perché troppo impervia.

 

Ennesima tragedia dell’immigrazione nelle acque del canale di Sicilia. Ieri, un barcone con 23 clandestini a bordo si è capovolto mentre tentava di raggiungere l’isola di Lampedusa. Nel naufragio hanno perso la vita una giovane donna e il figlioletto di 18 mesi. I sopravvissuti, che ora si trovano nel centro di prima accoglienza dell’isola, avevano subito riferito alle autorità italiane dei due dispersi. La conferma è arrivata, alcune ore dopo, quando un elicottero della marina militare ha localizzato i corpi delle due vittime nei pressi del relitto.     

 

Il premier britannico, Tony Blair, ha chiesto ai laburisti di porre fine alla disputa sul nome del suo successore a Downing Street per tornare a concentrarsi sui temi importanti come l'immigrazione e il terrorismo. A margine dell'apertura del congresso del Labour, ieri sera Blair ha anche denunciato il rischio di una perdita di consensi per il Partito che è incalzato dai conservatori in rimonta.

 

E’ di 47 morti, fra cui diversi bambini, il bilancio delle vittime dell’incidente stradale verificatosi ieri in Ecuador. Un autobus, su cui viaggiavano 52 persone appartenenti alla stessa famiglia, è precipitato in un burrone, mentre rientrava da una gita. Secondo testimoni il mezzo viaggiava ad una velocità eccessiva.

 

In Cina il segretario del Partito Comunista di Shanghai, è stato destituito per il suo coinvolgimento in un caso di corruzione che riguarda i fondi per la previdenza sociale nel più importante porto del Paese. Lo scandalo ha già coinvolto due alti funzionari locali. La notizia, diffusa dalla rete televisiva di Hong Kong 'Phoenix TV', è stata in confermata successivamente anche dall'agenzia ufficiale Nuova Cina.

 

Il ministro dell’informazione egiziano ha emesso un decreto che vieta la distribuzione di alcune edizioni di tre giornali europei, che contenevano commenti ritenuti offensivi nei confronti dell’Islam. Lo ha affermato ieri l’agenzia di Stato Mena. Il provvedimento riguarda l'edizione del 19 settembre del quotidiano francese “Le Figaro”, quella del 16 settembre del giornale tedesco “Frankfurter Allgemeine Zeitung” e un'edizione del britannico The Guardian Weekly.

 

 

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