RADIOVATICANA
RADIOGIORNALE
Anno L n. 267 - Testo
della trasmissione di domenica 24 settembre
2006
IL
PAPA E LA SANTA SEDE:
OGGI IN PRIMO PIANO:
CHIESA E SOCIETA’:
Il sud
dell’Afghanistan si conferma un tragico campo di battaglia: almeno 40 ribelli
uccisi in scontri con forze della NATO
Oltre 100 morti e 1700 pescatori dispersi per
le violente tempeste di questi giorni in Bangladesh
24 settembre 2006
BENEDETTO
XVI ALL’ANGELUS DA CASTEL GANDOLFO:
CHI
SEGUE CRISTO E’ ATTRATTO DALL’AMORE E DIVENTA UN ARTIGIANO DI PACE.
IL
RICORDO DEL PAPA PER SUOR LEONELLA SGORBATI, UCCISA IN
SOMALIA
La logica del cristianesimo contrasta con la mentalità
umana, perché non si lascia sedurre da sogni di supremazia, ma serve la causa
della pace, con umiltà e spirito di perdono. Davanti ad alcune migliaia di
persone, radunate nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo,
Benedetto XVI ha condensato all’Angelus di questa mattina l’insegnamento
spirituale della liturgia domenicale di oggi. In particolare, parlando della
testimonianza dei molti cristiani che hanno sacrificato la vita per il Vangelo,
il Papa ha ricordato ancora una volta la figura di suor Leonella Sgorbati, la missionaria della Consolata uccisa martedì
scorso a Mogadiscio, in Somalia. La cronaca dell’Angelus, nel servizio di
Alessandro De Carolis.
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Si può commettere un’azione sbagliata pur avendone
l’intenzione opposta. E’ la natura umana ferita dal peccato dell’egoismo a
fuorviare talvolta gesti e iniziative, cosa che non accade a chi ha scelto
Cristo, ha deciso di amare come lui l’umanità, ha scelto lo stile del perdono,
diventando con ciò “un artigiano di pace” Da un testo di duemila anni, il Vangelo,
e dalla cronaca più recente, l’assassinio di una religiosa “che serviva i
poveri”, Benedetto XVI ha tratto gli spunti di riflessione per l’Angelus di
questa mattina. Il brano evangelico di oggi, ha spiegato il Papa, presenta gli
Apostoli che non solo “non comprendono” ciò che Gesù di loro sulla sua prossima
morte, ma preferiscono discutere su chi sia il “più
grande” nella loro cerchia. Gesù allora, ha ricordato Benedetto XVI, interviene
per spiegare “con pazienza la sua logica, la logica dell’amore che si fa
servizio fino al dono di sé: 'Se uno vuol essere il
primo sia l’ultimo e il servo di tutti'”:
“Questa è la logica
del cristianesimo, che risponde alla verità dell’uomo creato a immagine di Dio,
ma al tempo stesso contrasta con il suo egoismo, conseguenza del peccato originale.
Ogni persona umana è attratta dall’amore – che ultimamente è Dio stesso – ma spesso sbaglia nei modi concreti di amare, e
così da una tendenza all’origine positiva, inquinata però dal peccato, possono
derivare intenzioni e azioni cattive”.
Il contrasto, ha proseguito il Papa citando la Lettera di
San Giacomo letta oggi nelle Chiese, nasce dai sentimenti negativi che hanno
radice nel cuore umano – gelosia, spirito di contesa – rispetto a ciò che
ispira la sapienza divina, “pacifica, mite, arrendevole”, “senza parzialità,
senza ipocrisia”:
“Queste parole fanno
pensare alla testimonianza di tanti cristiani che, con umiltà e nel silenzio,
spendono la vita al servizio degli altri a causa del Signore Gesù, operando
concretamente come servi dell’amore e perciò “artigiani” di pace. Ad alcuni è
chiesta talora la suprema testimonianza del sangue, come è accaduto pochi
giorni fa anche alla religiosa italiana Suor Leonella Sgorbati,
caduta vittima della violenza. Questa suora, che da molti anni serviva i poveri
e i piccoli in Somalia, è morta pronunciando la parola “perdono”: ecco la più
autentica testimonianza cristiana, segno pacifico di contraddizione che
dimostra la vittoria dell’amore sull’odio e sul male”.
(Applausi)
“Non c’è dubbio che seguire Cristo è difficile – ha
concluso la sua riflessione il Papa - ma, come Egli
dice, solo chi perde la propria vita per causa sua e del Vangelo la salverà, dando
senso pieno alla propria esistenza”. Nel dopo Angelus, tra i festeggiamenti
della folla radunata all’interno e all’esterno del Palazzo Apostolico di Castel
Gandolfo, Benedetto XVI ha rivolto saluti e incoraggiamenti ai pellegrini in
cinque lingue. In particolare, ai fedeli anglofoni il
Pontefice ha chiesto preghiere per quanti vivono a
contatto con il mare, in vista della Giornata mondiale dei Marittimi di giovedì
prossimo. E un apprezzamento, Benedetto XVI lo ha rivolto anche ai 45 vescovi
che partecipano in questi giorni al 25.mo Convegno
ecumenico promosso dal Movimento dei Focolari:
“Cari Fratelli, mi compiaccio
dello speciale impegno che ponete al servizio della piena unità tra i cristiani
ed auguro ogni bene per le Comunità diocesane a voi affidate”.
(Applausi)
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BENEDETTO XVI RILANCIA IL DIALOGO CON IL MONDO
ISLAMICO,
RICEVENDO DOMATTINA A CASTEL GANDOLFO
I RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITA’
MUSULMANA IN ITALIA
E GLI AMBASCIATORI DEI PAESI ISLAMICI PRESSO LA
SANTA SEDE
- Intervista con mons. Felix
Anthony Machado -
Dopo giorni di tensioni internazionali,
seguite alle reazioni del mondo islamico per una non corretta interpretazione
del discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona,
c’è attesa per l’incontro che il Papa avrà domani a Castel Gandolfo con alcuni
esponenti delle comunità musulmane in Italia. All’udienza, che inizierà verso
le 11.45, prenderanno parte anche gli ambasciatori dei Paesi a maggioranza
musulmana accreditati presso la Santa Sede, oltre al cardinale Paul Poupard, presidente del
Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso per un totale di una
quarantina di rappresentanti. Ricordiamo che la nostra emittente seguirà
l’avvenimento in radiocronaca diretta a partire dalle 11.35, con commento in
italiano per la zona di Roma, sull’onda media di 585 KHz e sulla modulazione di frequenza di 105 MHz. Sull’importanza di questa nuova occasione di dialogo
tra la Chiesa e il mondo islamico, ascoltiamo il parere del sottosegretario del
dicastero vaticano per il Dialogo interreligioso, mons. Felix
Anthony Machado,
intervistato dalla collega della nostra redazione inglese, Catherine
Smibert:
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R. – La scelta della Chiesa di promuovere il dialogo
interreligioso è una scelta che emerge dal Vangelo. E’ la sola speranza in
questo mondo, dove la gente è eccitata emotivamente e prende in mano la
violenza. Credo che la strada del dialogo sia la sola strada alternativa,
aperta a noi, in questo mondo. E’ la strada del Vangelo, come ho detto. E’
basata sulla speranza. Dobbiamo stare insieme, come fratelli, come amici, per
parlare, per ascoltare, per rispettare e dare così un buon esempio come
credenti, guadagnare veramente una credibilità come seguaci di diverse
religioni. Tra le religioni, le differenze ci sono sempre e sono differenze
fondamentali. Non minimizziamo e non neghiamo le differenze, ma capiamo e
facciamo lo sforzo di capire queste differenze. Se ci mettiamo insieme ad ascoltare il cuore del messaggio del Santo Padre in Regesburg, esso era giustamente una chiamata al dialogo,
una chiamata a rigettare la violenza nel nome di Dio, nel nome della religione.
Questo vuole il Santo Padre: che uomini di tutta la terra, soprattutto i
credenti, non si diano alla violenza, ma prendano il dialogo come strada
dignitosa per rispettarsi gli uni e gli altri.
D. – Come possiamo rafforzare questo dialogo, anche
guardando alla storia della Chiesa negli ultimi 40 anni? Come potremo costruire
qualcosa, al di là di quanto già vissuto?
R. – Ho sempre detto che l’impegno nel dialogo
interreligioso non è un’ambulanza che noi possiamo chiamare
quando la nostra casa sta bruciando. Non è un’ambulanza da chiamare in
tempi di crisi. Dialogo interreligioso vuol dire rapporti tra credenti. Questi
rapporti devono essere costruiti quando il tempo è
favorevole. Non è tempo di fare dialogo interreligioso quando
le cose vanno male, perchè ciascuno è già pieno di pregiudizi, pieno di odio.
Il dialogo interreligioso è un esercizio da praticare quando
i tempi sono favorevoli. Il nostro Pontificio Consiglio per il Dialogo
interreligioso, per esempio, ha costruito con i musulmani un dialogo permanente
con quattro organizzazioni internazionali islamiche, che noi incontriamo e con
cui parliamo, approfondendo così la nostra amicizia. Credo che questi rapporti
siano molto importanti in tempo di crisi, perché ci sono sempre i nemici del
dialogo, coloro che strumentalizzano il dialogo.
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I
DOCUMENTI SUL PONTIFICATO DI PIO XI RESI ACCESSIBILI
DALL’ARCHIVIO SEGRETO VATICANO: MIGLIAIA DI
CARTE CHE GETTANO NUOVA LUCE
SUI
RAPPORTI TRA LA SANTA SEDE E I GOVERNI DEL ‘900
A CAVALLO DEI DUE CONFLITTI MONDIALI
-
Intervista con padre Sergio Pagano -
Da sei giorni, per volere di Benedetto XVI, studiosi e
storici hanno la possibilità di accedere a una cospicua parte di fondi
dell’Archivio Segreto Vaticano, finora non consultabili. Il periodo storico
coperto dai documenti è di 17 anni e va dal 6 febbraio 1922 al 10 febbraio
1939, ovvero un’ampia pagina del Pontificato di Pio XI. I responsabili
dell’Archivio sono così certi che molte delle interpretazioni storiche
sull’epoca, basate su ipotesi o congetture, possano
essere riviste alla luce delle fonti ora disponibili. Fabio Colagrande
ne ha parlato con il prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, padre Sergio Pagano:
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R. – Si chiama “Segreto” l’archivio, perchè segreti erano
tutti gli archivi e le istituzioni legate al Principe nel Rinascimento. In
questo senso “segreto” qui equivale a “privato”. L’Archivio Segreto Vaticano è
l’archivio privato del romano Pontefice e della Curia romana, ma segrete sono
ben poche cose. Ci sono le materie riservate, riguardanti le persone o
riguardanti gli atti di Curia delicati. Altrimenti, si può anche dire che forse
il nostro archivio sia il più aperto del mondo.
D. – Da questi documenti si potranno desumere dettagli sul
Pontificato di Papa Ratti e anche sull’attività del suo segretario, il
cardinale Pacelli. Lei crede, padre Pagano, che si potranno forse mettere in
crisi alcune tesi storiografiche un po’ frettolose?
R. – E’ probabile che vengano
riviste alcune tesi storiografiche sulla base di documenti redatti di prima
mano dal segretario di Stato Pacelli e anche suggeriti, o addirittura dettati,
da Pio XI. Quanto a stravolgimenti storici eclatanti, io non penso, perchè gli
archivi si intrecciano l’uno all’altro e ciò che c’è in Vaticano c’è anche
negli archivi delle ambasciate, i quali sono stati già aperti - si pensa al
grande lavoro che è stato già fatto in Germania – e sono anche negli archivi
dei Ministeri degli esteri, negli archivi di Stato, secondo i vari dicasteri
statali. Quindi, penso che di eclatante non ci sarà moltissimo. Ci saranno
sfumature, aspetti particolari, analisi di personaggi, di mentalità, di azioni
che, senza dubbio, potranno essere rivisti, ripensati e, addirittura, scritti,
perchè di certi fatti si ha notizia, credo, soltanto dalle nostre fonti.
D. – In questi faldoni, lei mi
conferma, ci sono anche degli appunti presi a mano dal cardinale Pacelli sulle
udienze con Pio XI e con diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Si parla
di essi come di uno degli elementi tra i più
interessanti di questi nuovi fondi…
R. – Questo è un fondo abbastanza notevole: migliaia di
fogli, piccola scrittura tipica di Eugenio Pacelli, segretario di Stato e poi
Pontefice, il quale ogni giorno nelle udienze con il Papa prendeva appunti
molto schematici, tuttavia molto interessanti, su quanto il Pontefice voleva si
attuasse, oppure sulle udienze che lui aveva con il corpo diplomatico o con
altri capi di Stato, con altri ministri esteri o italiani.
D. – Penso in particolare all’importanza che tali
documenti hanno per chiarire ancor meglio il rapporto tra Santa Sede e regime
fascista, prima e dopo il Concordato del ’29…
R. – Sì, anche a questo riguardo si intrecceranno i fondi
della segreteria di Stato, le minute, ovviamente i fogli di udienza di Pacelli
e anche il grande fondo della nunziatura in Italia per i rapporti Santa Sede-fascismo. Qui credo che potrebbero affiorare documenti
anche di un certo fastidio, perchè è probabile che i gerarchi fascisti non
avessero molta finezza di linguaggio e alcune volte si esprimessero in tono
piuttosto rozzo e questo potesse essere riportato dal nunzio. Forse, a qualcuno
spiacerà qualche novità che si troverà fra queste carte, ma anche questa è
storia.
D. – Lei, parlando con il quotidiano “Avvenire”, ha
anticipato che dai documenti emerge che già dopo il Concordato c’erano i primi
attriti tra regime fascista e Santa Sede…
D. – Su alcuni argomenti pare di sì. Già nel ’30,
soprattutto per la nomina di alcuni vescovi in alcune sedi, pare che il governo
avesse delle perplessità, nonostante gli accordi dei
concordatari fossero delle mosse ostative, che fecero innervosire certamente
Pio XI, il quale però mantenne sempre i nervi saldi e seppe guidare le cose in
modo da risolvere tutto, con la soddisfazione delle due parti. E in questo
ambito, certamente, qualche influenza la ebbe anche la diplomazia del cardinale
Pacelli.
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24 settembre 2006
TESTIMONIAL
DELL’UNICEF NEL SUD SUDAN: “NON BISOGNA AVER PAURA
DI GUARDARE
IN FACCIA IL BISOGNO E LA SOFFERENZA DEGLI ALTRI”
-
Intervista con l’artista -
Roberto Bolle, etoile
de
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D. – A volte la figura del testimonial può deludere le
aspettative e tutto può risolversi in scambievole ritorno di immagine. Lei come
ha vissuto questa esperienza di diventare ambasciatore dell’UNICEF?
R. – Io ci credo. Sicuramente ci credo, perchè lo faccio
con questa intenzione, quella di andare, di testimoniare. In questo momento,
sono un punto di riferimento per molte persone, soprattutto per molti giovani,
per molti ragazzi e ragazze, che amano la danza, ma non solo. Vedere, quindi,
un tuo punto di riferimento che si adopera per qualcosa, che va, che si
interessa, che ti parla in un determinato modo, che ti fa capire una determinata
situazione, alla quale magari non presteresti attenzione, o la stessa
attenzione, secondo me è importante. Certo, bisogna
farlo con una consapevolezza. Bisogna crederci. Non è facile andare in questi
luoghi. Sono delle esperienze molto forti. Per me, però, è stato veramente
fondamentale e adesso potrò lavorare come ambasciatore ancora meglio di quello
che facevo prima.
D. – C’è un ricordo particolare che porta nel cuore?
R. – Mi ha colpito vedere bambini di due settimane
ammalati di malaria. Quando siamo andati in un ospedale, tenuto dalle Suore comboniane, vedevamo questi bambini in fasce, portati dalle
madri, perché avevano febbre alta e alle quali veniva
detto che il bambino era già ammalato di malaria. Sono state scene veramente
toccanti. Ci sono tante esigenze, tanti bisogni… Vedendo questi pochi ospedali,
si capiva quante fossero le esigenze e le necessità di
questo Paese immenso e si capiva anche quanto fosse importante che le religiose
fossero lì, e come certe persone dedicano la loro vita agli altri.
D. – In particolare, da questa missione sul campo, in un
Paese tormentato in cui un annoso conflitto ha stremato la popolazione, che
cosa l’ha impressionata maggiormente?
R. – Molte sono le carenze di questo popolo. Il Paese è
stato veramente distrutto da una guerra civile tra il Nord e il Sud. Quindi,
bisogna ricostruirlo. Non ci sono infrastrutture. Ci sono poche scuole e la
popolazione vive in condizioni veramente disagiate. Muore di malattie come il
morbillo, che per noi sono malattie ormai vinte e sconfitte da tempo. C’è la
grande piaga della malaria. C’è il rischio di AIDS. Tante sono le esigenze. Noi
possiamo fare tutto, ma loro non possono in questo momento fare nulla. Non
hanno la possibilità, non hanno i mezzi per fare. E’ un Paese veramente poverissimo,
che se non viene aiutato dai Paesi esteri non può fare
nulla. L’UNICEF tutela i bambini e lavora per loro, ma ci sono tante altre
organizzazioni che lavorano con l’UNICEF per risollevare il Paese. Quindi, in
questo momento è importante tenere alta l’attenzione su questi Paesi, perchè
non ritorni la guerra, ma continui la pace.
D. – Roberto, non bisogna avere paura di guardare in
faccia il bisogno, il dolore, la sofferenza, come forse tutti abbiamo?
R. – Purtroppo, bisogna guardarlo in faccia, perché
altrimenti, se si gira la testa dall’altra parte, non si va avanti, non si
risolve niente: anzi, le situazioni sono destinate a peggiorare, a diventare
delle catastrofi alle quali non si può più far fronte. Invece, bisogna avere
coraggio. Non è facile, perché comunque la nostra vita è piena di tensioni e
difficoltà e quando uno torna a casa non ha voglia di mettersi a guardare
determinate tragedie che succedono in tante parti del mondo. Quindi, si tende a
girare la testa dall’altra parte. E’ importante, invece, sapere, essere
coscienti e prendere coscienza di determinate realtà. Noi lo possiamo fare
perché siamo in una condizione, comunque, di privilegiati. Di questo, è bene,
sempre, esserne consapevoli.
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LA CIVILTA’ CINESE IN MOSTRA ALLE SCUDERIE DEL
QUIRINALE DI ROMA,
IN UN
EVENTO SENZA PRECEDENTI PER NUMERO E QUALITA’ DI REPERTI
- Con
noi il prof. Maurizio Scarpari -
Un viaggio nella storia della
civiltà cinese attraverso reperti mai usciti finora dal grande Paese asiatico.
Si presenta davvero come un evento straordinario la mostra “Cina, nascita di un
impero”, in corso alle Scuderie del Quirinale di Roma fino al prossimo 28 febbraio.
Nel suggestivo allestimento di Luca Ronconi, la
mostra presenta 321 reperti di straordinaria importanza e raffinatezza come
vasi in bronzo, gioielli e i famosi soldati in
terracotta del Primo Imperatore. Per il presidente della Repubblica italiana,
Giorgio Napolitano, che ha inaugurato la mostra, si tratta di un segno di
grande amicizia da parte della Cina nei confronti
dell’Italia. Al microfono di Alessandro Gisotti, il curatore della mostra, il
prof. Maurizio Scarpari, illustra il periodo della
storia cinese in mostra alle Scuderie del Quirinale:
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(Musica cinese)
R. - Il momento clou della storia della civiltà cinese
antica fu la fondazione dell’impero avvenuta nel 221 a.C. Noi abbiamo voluto,
in qualche modo, partire da otto secoli prima per far capire al visitatore in
quale modo e verso quali direzioni si fosse prodotta una qualità estetica di
grandissimo livello.
D. – Cosa, attraverso queste opere, possiamo comprendere
di una civiltà così straordinaria eppure ancora poco conosciuta?
R. – Noi abbiamo una varietà di opere tali da metterci in
condizione di apprezzare l’altissima conoscenza tecnologica che gli artigiani avevano raggiunto, per esempio nella lavorazione del bronzo.
Nella fase della mostra del periodo pre-imperiale,
sono esposti decine di bronzi che venivano ottenuti
con tecniche di fusione del tutto originali nel mondo antico e che davano la
possibilità di produrre dei vasi rituali molto sofisticati, molto elaborati
nelle decorazioni. Quindi, siamo in grado di cogliere una raffinatezza che ha
fatto di quella civiltà un unicum.
D. – Cosa resta nell’epoca contemporanea di quella Cina che viene raccontata attraverso questa
mostra?
R. – Resta sicuramente, a mio avviso, la consapevolezza di
un passato e di una storia grandiosi. Resta la consapevolezza di essere stati
la culla di una civiltà e di averla mantenuta, in qualche modo, alta ed integra
per millenni. Sembra, quindi, che oggi la Cina voglia
riaffermare il proprio ruolo dominante nel mondo come lo era nei secoli del
passato.
D. – Oltre 300 i pezzi raffinatissimi che abbelliscono e
rendono unica nel suo genere questa mostra. Ce n’è uno in particolare che ama
più degli altri e che pensa sarà particolarmente ammirato dal pubblico?
R. – Forse il pezzo che a me piace di più è un vestito di
giada. E’ eccezionale. Si tratta di un vestito funerario, composto da oltre 4.000 tessere di giada, cucite insieme da un filo
d’oro, che copriva e conteneva la salma di un re di uno Stato meridionale che
avrebbe dovuto preservarne il corpo nel tempo e quindi consentire alla sua
anima di permanere di più accanto al suo corpo. E’ veramente un pezzo unico.
(Musica cinese)
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24 settembre 2006
LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE LAVORI “CON TENACIA E
PERSEVERANZA”
PER COSTRUIRE LA PACE IN MEDIO ORIENTE: COSÌ, I VESCOVI
ITALIANI,
NEL
COMUNICATO FINALE DEI LAVORI DEL CONSIGLIO EPISCOPALE PERMANENTE,
SVOLTOSI
A ROMA DAL 18 AL 20 SETTEMBRE
- A cura di Paolo Ondarza -
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ROMA. =
“Piena solidarietà al Papa e convinta adesione al suo magistero”: così, la Conferenza
episcopale italiana (CEI), nel comunicato finale dei lavori del Consiglio
episcopale permanente, svoltosi a Roma dal 18 al 20 settembre. La CEI esprime sorpresa e dolore per le interpretazioni che hanno voluto
vedere espressioni offensive verso l’Islam in alcuni passi del discorso di
Benedetto XVI a Ratisbona: un testo dove si intendeva
evidenziare come dalla fede, correttamente intesa, non può derivare alcuna
logica di violenza. I presuli manifestano poi la loro “apprensione per la
persistente crisi in Medio oriente e, in particolare, per la recente tensione
tra il Libano e Israele”, auspicando, con “il fattivo contributo di tutti gli
Stati di quest’area, degli organismi internazionali e delle grandi nazioni”, si
arrivi a “costruire con tenacia e perseveranza un assetto complessivo”. Invitando
alla preghiera “per la pace in tutto il mondo”, la CEI esprime “grande preoccupazione”
anche “per le violazioni della libertà religiosa in varie parti del mondo e per
la violenza e la persecuzione che sembra crescere contro i cristiani, con le
condanne a morte in Indonesia e l’assassinio di suor Leonella Sgorbati a Mogadiscio”. I lavori del Consiglio episcopale permanente
si sono concentrati anche sul IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona, in
programma dal 16 al 20 ottobre, e su un’approfondita riflessione in merito alla
Caritas, organismo pastorale della Chiesa, alla luce dell’enciclica Deus caritas est.
“Il bene comune: un impegno che viene dal lontano” sarà il tema della 45.ma Settimana sociale dei cattolici italiani, che si
svolgerà dal 18 al 21 ottobre 2007 a Pisa e Pistoia. Il 2011 è l’anno del 25.mo Congresso eucaristico nazionale. Nel comunicato, inoltre,
particolare attenzione è riservata all’Italia. I vescovi chiedono che nella
prossima finanziaria si tenga conto delle nuove generazioni e delle famiglie.
Rammarico viene espresso per quelle situazioni in cui
i politici cattolici lasciano prevalere logiche di partito, rispetto ad
un’adesione concreta ai principi non negoziabili come la tutela della vita, la
famiglia fondata sul matrimonio e il rispetto della vita del paziente. Il
Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana chiede, inoltre, uno
sforzo convergente per la riduzione degli incidenti sul lavoro e auspica che il
recente indulto sia completato da interventi per sostenere un adeguato
reinserimento sociale di chi ne ha beneficiato e per
rafforzare la tutela della sicurezza dei cittadini.
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“IL
POPOLO ECUADORIANO ABBIA FIDUCIA CHE CIÒ CHE DECIDERÀ NELLE URNE
SARÀ
POI RISPETTATO DURANTE LO SCRUTINIO”:
E’ L’AUSPICIO DEL PRESIDENTE DELLA
CONFERENZA EPISCOPALE DEL PAESE,
MONS.
HERRERA HEREDIA, IN VISTA DELLE ELEZIONI PRESIDENZIALI,
POITICHE E AMMINISTRATIVE DEL PROSSIMO 15 OTTOBRE
QUITO. = La Chiesa dell’Ecuador “unisce la sua voce a
quelle di coloro che lavorano affinché il popolo ecuadoriano abbia fiducia e
certezza sul fatto che ciò che deciderà nelle urne sarà poi rispettato durante
lo scrutinio”: è quanto ha affermato il presidente della Conferenza episcopale
del Paese sudamericano e vescovo di Machala, mons. Néstor Rapale Herrera Heredia, in vista delle elezioni del prossimo 15 ottobre,
che eleggeranno il presidente della Repubblica, i deputati e i consiglieri
provinciali e municipali. I vescovi ecuadoriani, ha spiegato il presule,
“condividono le preoccupazioni di alcuni candidati che temono che certe
istituzioni del Paese possano compromettere l’imparzialità del processo
elettorale”. Nei giorni scorsi,
infatti, due candidati - Rafael Correa e Fernando Rosero – avevano messo in relazione con la
consultazione elettorale il recente e inatteso passaggio del Ministero della
difesa da Oswaldo Jarrín a Marcelo
Delgado, persona ritenuta molto vicina all’ex
presidente, León Febres Cordero (1984-1988), che candida Cynthia
Viteri. Sottolineando di non voler entrare nel merito
di una vicenda tutta politica, mons. Herrera Heredia ha assicurato che la Chiesa è disponibile a
dialogare con i 13 candidati alla presidenza, se ciò aiutasse a rasserenare gli animi
e ad accrescere la fiducia del popolo nelle sue istituzioni. Il presidente
dell’episcopato ecuadoriano si è congratulato per il modo in cui si svolta fino ad ora la campagna elettorale, sottolineando
la “maturità politica del popolo e dei candidati” e il fatto che siano stati
“evitati insulti e offese personali”. Il vescovo ha anche rilevato l’importanza
che il dibattito politico abbia scelto la strada delle “proposte positive”. “Aspettiamo
da parte del Tribunale elettorale – ha concluso – la massima trasparenza in
tutto il processo. E’ indispensabile per garantire il prestigio morale degli
eletti e la tranquillità del popolo”. In
questi giorni, la Conferenza episcopale dell’Ecuador si è pronunciata anche
circa alcune riforme del Codice per la salute, introdotte dal Parlamento sotto
la dicitura: “Misure per rinforzare l’educazione sessuale tra gli adolescenti”.
Secondo i vescovi, tali riforme “facilitano l’uso di anticoncezionali da parte
dei giovani e senza il consenso dei genitori”, mettendo “in discussione il
diritto a decidere liberamente di avere o no dei figli”. La mancanza di
precisione del testo, inoltre, “lascia la porta aperta alla legalizzazione
dell’aborto”. Qualche settimana fa, in Cile si era aperta una discussione
sulla distribuzione gratuita, senza il consenso dei genitori, della cosiddetta
“pillola del giorno dopo” alle minori di 14 anni. Poco dopo, in Bolivia,
organismi della Chiesa cattolica avevano denunciato la vendita illegale della
stessa pillola e l’assenza di una qualsiasi legislazione al riguardo. (L.B.)
LA FONDAZIONE ROMANA MAGNA CARTA RIVOLGE
“UN PENSIERO PIENO
DI GRATITUDINE” A BENEDETTO XVI,
PER IL TELEGRAMMA DI APPREZZAMENTO
INDIRIZZATO AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO SU “RELIGIONE E SPAZIO PUBBLICO”,
IN CORSO IERI E OGGI A NORCIA, IN UMBRIA
NORCIA. = La Fondazione romana Magna Carta e i partecipanti
al Convegno “Religione e spazio pubblico”, in corso ieri e oggi a Norcia, in
Umbria, hanno rivolto in una nota “un pensiero pieno di gratitudine” a
Benedetto XVI, per le parole che il Pontefice ha indirizzato al cardinale Carlo
Caffarra, arcivescovo di Bologna e, attraverso di
lui, ai relatori e ai convegnisti. In un telegramma a firma del segretario di
Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, il Papa ha espresso un “vivo apprezzamento”
per l’iniziativa, “tesa a promuovere l’integrazione tra fede e ragione per
qualificare eticamente la sfera pubblica, nel riconoscimento della verità della
persona umana e come contributo indispensabile alla cultura cristiana”.
Intervenendo ieri ai lavori del convegno, il cardinale Caffarra
ha sottolineato che la “laicità dello Stato oggi non
può più significare indifferenza della politica verso la religione e della
religione verso la politica”. “E’ necessario – ha affermato – che la religione
possa, mediante le forme di vita che essa genera, qualificare eticamente la
sfera pubblica”. Il porporato ha precisato che nella produzione del diritto,
aspetto preponderante della sfera pubblica, “il percorso del nichilismo
occidentale sembra essere giunto al capolinea: non esiste la giustizia ma solo
un ‘tener per giusto’,
poiché non esiste un bene comune, ma solo una provvisoria convergenza di
opposti interessi, così che tutto è a disposizione di tutti”. Occorre invece
“qualificare eticamente la sfera pubblica da parte di un cristianesimo
profondamente radicato nel Vangelo, di fronte ad un secolarismo che rischia di
dilapidare completamente il nostro patrimonio umanistico”. Questo perché, ha
spiegato l’arcivescovo di Bologna, “l’esperienza cristiana custodisce e
promuove ragioni di vita e dona significati che la sfera pubblica non può
semplicemente ignorare, se non vuole dilapidare quei capitali sociali di cui ha
bisogno”. La fede cristiana, ha concluso il porporato, “educa la persona ad una
percezione profonda del valore e della
verità della persona umana. L’idea di persona è stata generata dal
cristianesimo e la sua progressiva erosione ha accompagnato l’erosione della
rilevanza culturale della fede cristiana”. (R.M.)
NEL 2006, LE SPESE MILITARI MONDIALI SUPERERANNO QUELLE DEL
PERIODO
DELLA GUERRA FREDDA: E’ QUANTO EMERGE DA UN RAPPORTO
DELL’ORGANIZZAZIONE UMANITARIA BRITANNICA, OXFAM.
IN
AFRICA, OGNI ANNO 15 MILIARDI DI DOLLARI
VANNO PERDUTI A CAUSA DEI CONFLITTI
ROMA. =
Nel 2006, le spese militari mondiali ammonteranno a 1.059 miliardi di dollari,
una cifra superiore alle spese del comparto nel periodo della guerra fredda: lo
rivela un rapporto dell’organizzazione umanitaria britannica Oxfam, secondo cui tra i maggiori responsabili di questo
aumento, accanto a Stati Uniti e ai Paesi del Medio Oriente, ci sono anche
diversi Paesi africani. Tra il 1985 e il 2000, la Repubblica Democratica del Congo, il Rwanda, il Sudan, il Botswana
e l’Uganda hanno raddoppiato il loro budget militare. Inoltre, secondo
l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO),
in Africa ogni anno 15 miliardi di dollari vanno perduti a cause dei conflitti.
“Ogni anno le spese in armamenti aumentano e i conflitti causano nuove
sofferenze e nuove carestie”, afferma Bernice Romero, direttrice delle campagne di Oxfam
International, citata dall’agenzia Fides. La Romero
sottolinea che “la vendita di armi non è all’origine dei conflitti, ma contribuisce
a prolungarli e ad alimentarli”. Per questo, le organizzazioni umanitarie
chiedono da tempo l’adozione di un trattato internazionale che regoli la
commercializzazione degli armamenti in zone di guerra e, a ottobre, le Nazioni
Unite dovranno decidere la creazione di una commissione ad
hoc. Alla proposta hanno già aderito Argentina, Australia, Costa Rica,
Finlandia, Giappone e Kenya. (R.M.)
“QUANTI ANNI HA IL TUO CUORE?”: È IL TEMA
DELL’ODIERNA GIORNATA MONDIALE
DEDICATA ALLA PREVENZIONE DELLE MALATTIE
CARDIOVASCOLARI,
PRIMA CAUSA DI MORTE NEI PAESI INDUSTRIALIZZATI
GINEVRA.
= Le malattie cardiovascolari, cui sono attribuiti ogni anno 17,5 milioni di decessi,
rappresentano la prima causa di morte e disabilità nei Paesi industrializzati.
Alla loro prevenzione, è dedicata oggi la Giornata mondiale del cuore, sul
tema: “Quanti anni ha il tuo cuore?”. L’iniziativa è promossa dalla World Hearth Federation (WHF), secondo cui è possibile prevenire l’80
per cento delle malattie cardiovascolari, controllando i principali fattori di
rischio: la mancanza di esercizio fisico, un regime alimentare troppo ricco e
il fumo. “L’età del proprio cuore – sottolinea il prof. Rodolfo
Paletti, presidente della Fondazione italiana per il cuore – non
è quella anagrafica, ma quella che la persona riesce a costruire negli anni.
E’ una questione di responsabilità personale”. Oggi, in oltre 100 Paesi, visite
specialistiche gratuite e un calendario ricco di manifestazioni: marce, corse,
salto con la corda, fitness, conferenze, forum scientifici, esposizioni,
concerti e tornei sportivi. (R.M.)
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24 settembre 2006
- A cura di Amedeo Lomonaco -
In Afghanistan, continua la
sanguinosa battaglia tra talebani e forze della NATO:
secondo quanto rivelato dal ministro della Difesa afghano, almeno 40 miliziani
sono morti durante scontri avvenuti nella turbolenta provincia meridionale di Helmand. All’operazione militare hanno preso parte anche
soldati afghani.
Violenze anche in Iraq, dove
un’autobomba è esplosa stamani a Baghdad nei pressi della chiesa cristiana
della Vergine Maria, dove era in corso
Se gli Stati Uniti
cambiano atteggiamento, il governo di Teheran è
disposto a negoziare “su tutto”. Lo ha detto il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, in una intervista
rilasciata al quotidiano Washington Post. “Sono l’atteggiamento e l’approccio
di certi politici americani che guastano tutto”, ha aggiunto Ahmadinejad. Nei
giorni scorsi, i rappresentanti dei cinque Paesi membri permanenti del
Consiglio di sicurezza dell’ONU più
Sembra sempre più avvolta dal
mistero la sorte di Osama Bin
Laden: l’ambasciata dell’Arabia Saudita a Washington
ha dichiarato, con un comunicato, che non ci sono prove sulla morte del leader di Al Qaeda. La precisazione arriva dopo la notizia della
morte di Bin Laden in
Pakistan, riportata ieri da un quotidiano francese che citava fonti dei Servizi
segreti sauditi. Le autorità francesi, americane e pakistane non hanno
confermato la notizia, che trova sempre più spazio sui mezzi di informazione:
il settimanale americano Time cita fonti anonime
saudite secondo cui “è molto probabile” che il capo di Al
Qaeda sia morto. Ma quali effetti può determinare l’eventuale scomparsa di Bin Laden nella lotta contro il
terrorismo? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto all’esperto del Corriere della
Sera, Guido Olimpio:
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R. – La conferma sulla morte di Bin
Laden potrebbe voler significare un successo importante
nella campagna lanciata dagli Stati Uniti. E’ anche vero, però, che il terrorismo
non si ferma: anzi, gli ultimi rapporti dicono che ormai si è trasformato in
una sorta di movimento sparso sulla mappa geografica. Quindi, il fenomeno
continua lo stesso.
D. – L’incertezza sulla sorte di Bin
Laden potrebbe essere legata, oltre a indubbie
difficoltà di indagine, anche a prudenze strategiche?
R. – Ritengo che più che altro sia legata a rapporti, non
sempre facili, tra diversi attori: anzitutto il Pakistan, dove ci sono
complicità sia negli apparati statali che nell’opinione pubblica. Poi ci sono
anche ambiguità in Arabia Saudita e tra gli stessi americani, che sono ormai
assorbiti totalmente da quanto avviene in Iraq. Per questo, impiegano forze ridotte
nella caccia ad Osama.
D. – Chi sono oggi i principali nemici dell’Occidente e in
particolare degli Stati Uniti?
R. – Sicuramente il movimento qaedista
si è moltiplicato e quindi noi vediamo una continua alternanza tra i gruppi che
vogliono colpire gli alleati degli Stati Uniti e chi, invece, vuole colpire gli
stessi Stati Uniti. Lo schieramento, però, è sempre più ampio. Abbiamo ormai
fenomeni in Africa, ma anche in Asia, dove questi movimenti stanno crescendo e
prolificando.
D. – Come cambia Al Qaeda senza Bin
Laden?
R. – Diventa sempre più un insieme di gruppi che molto
spesso si autogenerano, si autofinanziano
e che possono avere qualche punto di contatto con la vecchia leadership. Tengo
però a sottolineare che si tratta, soprattutto, di un fenomeno locale che diventa
poi un fenomeno globale.
D. – L’eredità di Bin Laden è soprattutto fatta di odio e terrore. Da questo
inquietante connubio sono scaturiti, però, anche effetti positivi, quali la
compattezza e la presa di coscienza del mondo occidentale contro il terrorismo?
R. – Non necessariamente la compattezza è venuta per gli
attacchi terroristici, che è oggi e scontata, ma ritengo anche per delle
pressioni e dei movimenti di pressione molto forti che si agitano nel mondo
musulmano. Questo ha portato alla presa di coscienza, anche se ritengo che ci
sia ancora molto da fare, perché molti ancora non si rendono conto della
pericolosità del fenomeno.
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Nei Territori palestinesi
proseguono gli sforzi per allestire una nuova compagine governativa: il
presidente Abu Mazen ha
annunciato che, a partire da domani, incontrerà i leader di Hamas per cercare di rilanciare le trattative finalizzate
alla formazione di un governo unitario. “Riprenderemo le consultazioni”, ha
confermato il premier palestinese Ismail Haniyeh, esponente del partito fondamentalista,
aggiungendo che è stata percorsa “molta strada per il raggiungimento di un accordo”.
Il presidente americano, George Bush, ha annunciato stamani l’invio di una delegazione statunitense
in Libano per incontrare il primo ministro libanese, Fuad
Sinora, e discutere sui programmi di aiuto alla ricostruzione, dopo il
conflitto di questa estate tra Israele e guerriglieri Hezbollah.
E’ salito ad oltre 100 morti il
drammatico bilancio, ancora provvisorio, delle vittime causate dal maltempo nel
Golfo del Bengala, in Bangladesh. Un altro dato
drammatico è riferito ai dispersi: il governo locale ha stilato una lista
provvisoria da cui risulta che almeno 1700 pescatori sono ancora dispersi. Le
violente tempeste hanno anche lasciato senza casa oltre 375
mila persone. Il Bangladesh, uno tra i Paesi più
poveri al mondo, è colpito ogni anno da devastanti alluvioni.
In Thailandia, si sono ritirati i
carri armati che erano stati dispiegati nel centro della capitale Bangkok, dopo
il colpo di Stato incruento che martedì scorso ha portato alla destituzione del
primo ministro, Thaksin Shinawatra.
Ieri, la giunta militare, leale al re Bhumibol, ha
annunciato la creazione di una commissione per indagare sul patrimonio dell’ex
premier, in passato più volte accusato di corruzione.
Il capo di Stato del Sudan, Omar el Bashir, ha ribadito ieri la sua contrarietà all’invio di
militari dell’ONU nella martoriata regione occidentale sudanese del Darfur, dicendosi però favorevole al mantenimento della
presenza militare dell’Unione Africana. Nei giorni scorsi, il presidente
americano, George Bush, aveva affermato che le
Nazioni Unite dovranno intervenire se il Sudan non
accetterà il dispiegamento dei caschi blu nella regione, come previsto dalla
risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il Darfur torna, dunque, al
centro della politica internazionale, come conferma, al microfono di Salvatore
Sabatino, padre Carmine Curci, direttore della
rivista Nigrizia:
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R. - Tutti parlano di situazioni catastrofiche, di
situazioni di emergenza. Però, ancora oggi si è sempre al
solito impasse: il Sudan non
dà all’ONU l’autorità di rispettare i caschi blu, quindi è un tentativo del
governo sudanese di prendere tempo anche il fatto che se non si dà alle forze
dell’Unione Africana la possibilità di nuove regole di ingaggio e non si dà anche
possibilità di avere altro personale non si riuscirà mai a superare la
situazione. E’ chiaro che tutti parlano di situazione difficile, però nessuno
fa pressione sul governo del Sudan, in maniera chiara ed esplicita, perché
accetti 17.000 uomini delle Nazioni Unite per il Darfur.
D. - Padre Curci, perché il
governo centrale vuole prendere tempo?
R. - Per il semplice motivo che sta acquistando sempre più
potere nell’area e non vuole assolutamente che ci sia una chiara inchiesta sui
massacri che i soldati e i ribelli appoggiati dal governo di Karthoum stanno
facendo nell’area. Questa è secondo me la cosa grave: si parla, si parla, ma
non si esercita una pressione fortissima sul governo perché si metta da parte.
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L’organizzazione
separatista basca ETA ha annunciato, in un comunicato diffuso oggi a Bilbao, di
non voler abbandonare le armi prima di ottenere l’indipendenza del Paese basco.
L’ETA aveva annunciato, sei mesi fa, una tregua permanente.
In Ungheria, oltre 30 mila persone
hanno partecipato ieri ad una pacifica manifestazione per chiedere le
dimissioni del premier, il socialista Ferenc Gyurcsany,
che ha ammesso in un discorso a porte chiuse, diventato di dominio pubblico, di
aver mentito per vincere le elezioni di aprile. Alla diffusione delle
dichiarazioni del primo ministro sono seguiti, a partire da lunedì scorso,
gravi disordini che hanno causato il ferimento di centinaia di persone.
Nello Yemen,
il presidente Ali Abdallah Saleh,
al potere da 28 anni, è stato rieletto per un mandato di sette anni: secondo i
risultati ufficiali delle elezioni presidenziali, tenutesi mercoledì scorso, Saleh ha ottenuto più del 77 per cento delle preferenze.
L’esito è stato però contestato dall’opposizione, che
parla di brogli e di vittoria “illegale”. Si sono recate alle urne circa 6
milioni di persone, su oltre 9 milioni di aventi
diritto.
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