RADIOVATICANA

RADIOGIORNALE

Anno L  n. 265 - Testo della trasmissione di giovedì 22  settembre 2006

 

 

Sommario

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE:

Il rinnovamento della vita parrocchiale abbia l’Eucaristia al centro dell’unità tra i suoi membri e della solidarietà verso gli altri: così Benedetto XVI alla Plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici

 

Lunedì prossimo il Papa incontrerà a Castel Gandolfo gli ambasciatori dei Paesi a maggioranza musulmana accreditati presso la Santa Sede per rilanciare il dialogo con l’islam

Speranza di passi concreti nel dialogo teologico ripreso a Belgrado tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa: così ai nostri microfoni il cardinale Walter Kasper

 

OGGI IN PRIMO PIANO:

Una sconfitta per l’umanità: uccisi in Indonesia i tre cattolici condannati a morte per gli scontri nell’isola di Sulawesi del 2000. Il rammarico della Santa Sede, dopo l’appello inascoltato del Papa. L’esecuzione al termine di un processo sommario, denunciato dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani: intervista con padre Bernardo Cervellera e Attilio Tamburrini

 

Il Movimento dei Focolari rilancia la fraternità universale con i suoi Volontari di Dio: ce ne parla Vera Araujo

 

In corso a Castel Gandolfo, fino al 24 settembre, la mostra dal titolo: “Papa Wojtyla testimone d’amore nella sofferenza”: con noi, mons. Marcello Semeraro e il maestro Francesco Guadagnuolo

 

CHIESA E SOCIETA’:

Emergenza umanitaria in Colombia: “Dobbiamo abbandonare l’indifferenza”, ammoniscono i vescovi, di fronte alla povertà estrema del  Paese e alla criminalità dilagante

 

In occasione della “Giornata istituzionale di conoscenza e dialogo” ragazzi cattolici, ebrei e musulmani hanno visitato ieri la Sinagoga, la Moschea e la Basilica Vaticana

 

Secondo i cinque relatori indipendenti delle Nazioni Unite la legge proposta negli Stati Uniti per autorizzare interrogatori più severi ai cittadini stranieri sospettati di terrorismo viola le Convenzioni di Ginevra

 

L’ultima giornata del seminario sull’insegnamento della teologia in corso a Roma, alla Lateranense, è stata dedicata al dialogo interreligioso

 

Nuovo traguardo in Perú per la diffusione della Bibbia che è stata tradotta in 41 lingue native

 

Si svolge a Loppiano, da oggi al 24 settembre, il VI Incontro delFamily Point’, l’iniziativa di famiglie nuove per il dialogo e la formazione delle famiglie

 

24 ORE NEL MONDO:

Hamas smentisce Abu Mazen: il futuro governo palestinese non riconoscerà lo Stato d’Israele,  ma proporrà soltanto una tregua di 10 anni

 

 

 

 

IL PAPA E LA SANTA SEDE

22 settembre 2006

 

IL RINNOVAMENTO DELLA VITA PARROCCHIALE ABBIA L’EUCARISTIA

 AL CENTRO DELL’UNITA’ TRA I SUOI MEMBRI E DELLA SOLIDARIETA’ VERSO GLI ALTRI:

COSI’ BENEDETTO XVI ALLA PLENARIA DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER I LAICI

        

Una “famiglia di famiglie cristiane”, dopo averla definita – dodici giorni fa – “patria interiore per la gente”. Le recenti circostanze hanno più volte stimolato l’attenzione di Benedetto XVI nei confronti della realtà della parrocchia. Questa mattina, nell’accogliere in udienza a Castel Gandolfo i membri e i consultori del Pontificio Consiglio per i Laici, il Papa è tornato a riflettere, come pochi giorni fa a Monaco, durante il viaggio apostolico, su quelle comunità di base che portano e rendono presente la Chiesa nel vissuto quotidiano dell’umanità. Il servizio di Alessandro De Carolis.

 

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E’ il rinnovamento parrocchiale l’argomento di punta che sta impegnando in questi giorni il dicastero vaticano. Il titolo dell’incontro, “La parrocchia ritrovata”, mette in risalto – ha osservato Benedetto XVI – l’aspetto “operativo” della questione, dopo che l’ambito teologico e pastorale era già stato affrontato in una precedente plenaria. Entrambi gli aspetti “non possono essere dissociati – ha affermato il Papa – se si vuole accedere al mistero di comunione di cui la parrocchia è chiamata ad essere sempre più segno e strumento di attuazione”. Il modello di riferimento, ha soggiunto il Pontefice, è quella della prima comunità cristiana: una “comunità accogliente e solidale”, unita attorno alla frazione del pane:

 

“L’auspicato rinnovamento della parrocchia, dunque, non può scaturire solo da pur utili ed opportune iniziative pastorali, né tanto meno da programmi elaborati a tavolino. Ispirandosi al modello apostolico, così come appare negli Atti degli Apostoli, la parrocchia ‘ritrova’ se stessa nell’incontro con Cristo, specialmente nell’Eucaristia. Nutrita del pane eucaristico, essa cresce nella comunione cattolica, cammina in piena fedeltà al Magistero ed è sempre attenta ad accogliere e discernere i diversi carismi che il Signore suscita nel Popolo di Dio”.

 

“Dall’unione costante con Cristo - ha sottolineato ancora Benedetto XVI - la parrocchia trae vigore per impegnarsi poi senza sosta nel servizio ai fratelli, particolarmente verso i poveri, per i quali rappresenta di fatto il primo referente”. “Intesa” e “fraterna coesione”, dunque, per rendere la parrocchia – in sintonia con l’esempio della prima ora della Chiesa – “una famiglia di famiglie cristiane”.

 

Prima di entrare nel merito del tema, Benedetto XVI si era congratulato per il lavoro svolto del Pontificio Consiglio per i Laici e la sua “crescente rilevanza”, dimostrata in particolare nella promozione della GMG di Colonia, nel 2005, e dell’incontro di Pentecoste di quest’anno con i Movimenti ecclesiali in Piazza San Pietro.

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LUNEDI’ PROSSIMO IL PAPA INCONTRERA’ A CASTEL GANDOLFO

GLI AMBASCIATORI DEI PAESI A MAGGIORANZA MUSULMANA

ACCREDITATI PRESSO LA SANTA SEDE

ED ALCUNI ESPONENTI DELLE COMUNITÀ MUSULMANE IN ITALIA

 

Il Papa riceverà lunedì prossimo a Castel Gandolfo gli ambasciatori dei Paesi a maggioranza musulmana accreditati presso la Santa Sede ed alcuni esponenti delle comunità musulmane in Italia: lo ha reso noto oggi la Sala Stampa vaticana. Ce ne parla Sergio Centofanti:

 

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All’incontro, che inizierà alle 11.45, sarà presente anche il cardinale Paul Poupard, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. E sarà un appuntamento tutto dedicato all’urgenza del dialogo, oggi, tra le culture e le religioni di tutto il mondo, come ha più volte ribadito Benedetto XVI. L’incontro segue le ripetute chiarificazioni del Papa circa il suo discorso all’Università di Ratisbona  in cui  voleva spiegare “che non religione e violenza, ma religione e ragione vanno insieme”. Un discorso che è stato “purtroppo” frainteso provocando forti reazioni nel mondo islamico. ''Mi sembra una buona idea per  mettere la parola fine ad una polemica basata su poche parole  estrapolate da un discorso più complesso”  ha detto l' ambasciatore Mario Scialoja, rappresentante in Italia della Lega mondiale musulmana. “La speranza - ha spiegato Scialoja - e' quella di chiudere  finalmente una polemica andata al di là di ogni limite”. “E’ una  grande occasione di dialogo, anche alla luce del contemporaneo inizio del Ramadan”  - ha detto Sergio Yahe Pallavicini, vicepresidente della Coreis (Comunità Religiosa Islamica) – affermando che si tratta di un' importante dimostrazione  di sensibilità da parte del Pontefice, che ha un valore  simbolico e spirituale di grande impatto, anche in  considerazione delle reazioni inconsulte e delle interpretazioni sbagliate seguite ad alcuni passi del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona''. Una iniziativa  che fa parlare di nuova speranza Mohamed Nour Dachane,  presidente  dell'UCOII, l'Unione delle comunità e delle  organizzazioni islamiche italiane. Dopo la dichiarazione del cardinale segretario di Stato vaticano, Tarcisio Bertone, sabato scorso, e il primo intervento diretto del Papa all’Angelus, domenica,  durante l’udienza generale di mercoledì, Benedetto XVI ha ribadito il suo profondo rispetto per i musulmani che “adorano l’unico Dio e con i quali – ha detto - siamo impegnati a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”. Il Papa confida ora che le sue parole nell'Università di Ratisbona “possano costituire una spinta e un incoraggiamento a un dialogo positivo, anche autocritico, sia tra le religioni come tra la ragione moderna e la fede dei cristiani”.

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IL CORDOGLIO DI BENEDETTO XVI PER LE VITTIME

DEL CROLLO DELLA PALAZZINA A MILANO:

TRA GLI SCOMPARSI ANCHE UN BAMBINO DI SETTE ANNI

- A cura di Alessandro De Carolis -

 

Un dolore profondo e collettivo al quale si è unito anche Benedetto XVI, con la sua preghiera e la sua vicinanza spirituale. Si è conclusa così questa mattina, nella Basilica milanese di Sant’Ambrogio, la cerimonia funebre per le tre vittime italiane del crollo di una palazzina, avvenuta lunedì scorso nel capoluogo lombardo, in seguito a una esplosione di gas. Durante le esequie della signora Esmeralda Sfolcini, del pensionato Tommaso Giancola e del piccolo Francesco Orlando, 7 anni, è stato letto il telegramma del Papa a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone. “Appresa con dolore” la “triste notizia”, si legge nel telegramma, il Pontefice assicura “sentimenti di profondo cordoglio ai familiari” e “fervide preghiere di suffragio per quanti sono tragicamente scomparsi”.

 

Una grande folla ha applaudito i tre feretri all’uscita dalla Basilica ambrosiana. In momenti diversi della liturgia funebre, la mamma e lo zio del piccolo Francesco sono stati soccorsi dopo aver accusato un malore. Il crollo ha fatto anche una quarta vittima, un cittadino albanese di 27 anni, la cui salma è stata già rimpatriata.

 

 

ALTRE UDIENZE

 

Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in successive udienze, nel Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, anche il cardinale Julio Terrazas Sandoval, arcivescovo di Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia; l’arcivescovo Nikola Eterović, segretario generale del Sinodo dei Vescovi; il prof. Carl A. Anderson, Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo.

 

Questo pomeriggio il Papa riceverà il cardinale William Joseph Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede.

 

 

SPERANZA DI PASSI CONCRETI NEL DIALOGO TEOLOGICO RIPRESO A BELGRADO

TRA CHIESA CATTOLICA E CHIESA ORTODOSSA:

COSI’ AI NOSTRI MICROFONI IL CARDINALE WALTER KASPER

 

Proseguono a Belgrado i lavori della nona Sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il Dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa sul tema della teologia della comunione. I partecipanti stanno affrontando due questioni  centrali per il cammino verso l’unità delle due Chiese: il primato del vescovo di Roma e il tema dell’ ‘uniatismo’, la questione cioè di quelle Chiese orientali che nel corso della storia sono entrate in comunione con Roma. L’incontro, che si concluderà il 25 settembre, costituisce una ripresa del dialogo teologico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa: la Commissione mista si era riunita l’ultima volta sei anni fa. Ma quali frutti stanno dando questi colloqui? Max Cappabianca lo ha chiesto al cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani, che sta partecipando ai lavori della plenaria:

 

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        R. – Il vero frutto è l’amicizia che abbiamo stabilito in questi giorni, in un’atmosfera molto seria, ma anche molto serena ed amichevole. Questo è certamente un punto di partenza ed una speranza per il futuro. Soltanto in un’atmosfera calma e spirituale si può avanzare con il dialogo. E in questi giorni abbiamo avuto uno scambio amichevole, ma anche molto onesto; abbiamo affrontato i punti di differenza, ma con la volontà e l’intenzione di superare insieme le polemiche e le differenze. Si è trattato di uno scambio teologico molto serio, molto dettagliato. Sono, infatti, presenti sia parte ortodossa che da parte cattolica teologi molto stimati.

 

        D. – Il Papa stesso a Ratisbona aveva detto di sperare e di pregare affinché questo incontro portasse frutti. Secondo lei, la speranza del Papa si sta realizzando?

 

        R. – Io penso di sì e questo perché i presupposti per ogni dialogo sono certamente l’atmosfera nella quale si svolge, l’amicizia e il clima spirituale. Soltanto in tale clima, infatti, si può avanzare nel dialogo. In questo senso, il nostro raduno corrisponde bene alla speranza del Papa e noi tutti abbiamo la speranza che si possano fare passi concreti.

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OGGI SU “L’OSSERVATORE ROMANO”

 

 

Servizio vaticano - "La parrocchia, 'famiglia' di famiglie cristiane, 'ritrova' se stessa nell'incontro con Cristo": il discorso di Benedetto XVI all'Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per i Laici

 

Servizio estero - Medio Oriente: Abu Mazen annuncia alle Nazioni Unite che il futuro governo palestinese riconoscerà Israele.

 

Servizio culturale - Una riflessione di Marco Bellizi dal titolo "Il 'rivoluzionario' rifiuto della disabilità": un preoccupante episodio di discriminazione in un parco giochi.

 

Servizio italiano - In rilievo la vicenda Telecom.

 

 

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OGGI IN PRIMO PIANO

22 settembre 2006

 

 

UNA SCONFITTA PER L’UMANITA’: UCCISI IN INDONESIA I TRE CATTOLICI CONDANNATI

A MORTE PER GLI SCONTRI NELL’ISOLA DI SULAWESI DEL 2000.

IL RAMMARICO DELLA SANTA SEDE, DOPO L’APPELLO INASCOLTATO DEL PAPA. L’ESECUZIONE AL TERMINE DI UN PROCESSO SOMMARIO,

DENUNCIATO DALLE ORGANIZZAZIONI PER LA DIFESA DEI DIRITTI UMANI

- Con noi, padre Bernardo Cervellera e Attilio Tamburrini -

 

Non sono bastati gli appelli del Papa né di numerose organizzazioni umanitarie: ieri sera - all’aeroporto di Palu, in Indonesia - è stata eseguita la pena capitale per fucilazione di Fabianus Tibo, Marinus Riwu e Dominggus da Silva, i tre cattolici accusati di aver fomentato la violenza durante gli scontri interreligiosi che nel 2000 hanno sconvolto l’isola di Sulawesi. Il servizio di Alessandro Gisotti:

 

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“Ogni volta che viene eseguita una pena capitale è una sconfitta per l’umanità”: è l’amaro commento del direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi alla notizia dell’uccisione dei tre cristiani indonesiani di Sulawesi. Per loro, il Papa aveva chiesto un “atto di clemenza” lo scorso 11 agosto. Una richiesta che sottolinea il netto rifiuto della Chiesa cattolica alla pena di morte. Dal canto suo, l'Unione Europea esprime “rammarico” in un messaggio di condanna dell'esecuzione dei tre cristiani e chiede l'urgente ripristino di una moratoria sulla pena di morte in Indonesia. Anche il premier italiano, Romano Prodi, ha espresso il proprio rammarico, ribadendo l’impegno dell’Italia affinché ovunque venga abolita la pena di morte. In prima linea su questo fronte è Amnesty International che ha espresso disappunto per l'esecuzione dopo aver più volte denunciato pesanti irregolarità nel corso del processo. Alcuni testimoni, denuncia l’organizzazione per la difesa dei diritti umani, sarebbero stati ignorati dalla corte e gli avvocati dei tre uomini avrebbero subito intimidazioni e minacce di morte. Amnesty ha inoltre rilevato che pochi altri sono stati condannati per le violenze del 2000-2001, tanto che la responsabilità di quegli episodi è stata, in pratica, fatta ricadere sui tre giustiziati. A rendere più drammatica la vicenda, l’agenzia AsiaNews riferisce che le autorità indonesiane hanno negato ai tre cattolici condannati a morte il loro diritto di partecipare ad un’ultima Messa, prima di presentarsi davanti al plotone d’esecuzione. Secondo l’agenzia MISNA, inoltre, le autorità non hanno consentito che i corpi dei tre uomini giustiziati fossero deposti nella chiesa di St. Mary nella città di Palu, capitale della provincia di Sulawesi. Un rifiuto che ha scatenato veementi proteste da parte cristiana. Nonostante gli appelli alla calma dell’episcopato locale, l'esecuzione di tre cristiani in Indonesia ha scatenato un’ondata di violenze. Si registrano, infatti, decine di feriti, stazioni di polizia danneggiate, saccheggi e lanci di pietre nella zona al confine tra la parte est e ovest dell'isola di Timor. Ad Atambua, a Timor ovest i dimostranti hanno fatto irruzione nel carcere locale liberando circa 200 detenuti.

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Dunque, l’esecuzione della condanna è giunta al termine di un processo sommario, che lascia intravedere motivazioni politiche. A sottolinearlo il direttore dell’Agenzia AsiaNews, padre Bernardo Cervellera, intervistato da Roberto Piermarini:

 

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R. – … si dovevano trovare dei capri espiatori; l’Indonesia è sotto il tiro dei fondamentalisti islamici, il governo ha arrestato dei fondamentalisti islamici e però non vuole essere accusato di essere nemica dell’islam. Per questo, uccidono dei cristiani per bilanciare in qualche modo un po’ la loro immagine nei confronti della loro stessa popolazione. E’ questo un po’ il problema. E poi c’è anche il fatto che questi tre cristiani uccisi sapevano chi erano i responsabili di questi massacri e che si trovano nell’esercito e probabilmente tra i governanti.

 

D. – Questa esecuzione potrà inasprire i rapporti tra cristiani e musulmani in Indonesia?

 

R. – C’è questo grande timore. Ci sono un po’ di manifestazioni qua e là, nelle Sulawesi già oggi … Bisogna dire che i leader cristiani stanno facendo di tutto per fermare queste manifestazioni, per lo meno la violenza di queste manifestazioni, e anche molti leader musulmani. Non dimentichiamo che il movimento per liberare i tre cristiani era composto da musulmani moderati e cristiani: questo fa sperare bene per il futuro dell’Indonesia.

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Per un approfondimento sulla condizione dei cristiani in Indonesia e dei loro rapporti con i musulmani, Fabio Colagrande ha intervistato Attilio Tamburrini direttore della sezione italiana dell'Aiuto alla Chiesa che Soffre:

 

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R. – In questo Paese, hanno vissuto tranquillamente per anni e anni comunità anche vaste, perché anche se i cristiani sono una minoranza sul totale del Paese, però ci sono delle province in cui sono quasi la maggioranza. Hanno potuto vivere tranquillamente per anni, anche con vocazioni notevoli, come numero, una Chiesa molto viva … Ad un certo punto, quando è incominciata la pressione dei movimenti islamisti, tutto questo equilibrio ha iniziato a rompersi. Diciamo che l’aspetto positivo è che la gran parte del mondo islamico indonesiano è abituato a convivere: però si crea una spirale, in certe zone, in cui poi da scontro aizzato da piccoli gruppi, quando incominciano ad esserci morti, feriti, chiese bruciate, la rappresaglia degli altri, diventano poi scontri tra villaggi, anche perché sono aree in cui l’identificazione della tribù o del villaggio con la religione è molto forte, per cui diventa poi uno scontro tra villaggi. Questo è il rischio grosso di quella situazione.

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IL MOVIMENTO DEI FOCOLARI RILANCIA

 LA FRATERNITA’ UNIVERSALE CON I  SUOI VOLONTARI DI DIO

- Intervista con Vera Araujo -

 

Uomini e donne di ogni categoria sociale, cultura e nazionalità che si impegnano a testimoniare Dio nelle realtà terrene, lì dove si trovano: sono i Volontari di Dio, branca laica del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich. Numerose anche le opere sociali realizzate nei diversi continenti in mezzo a situazioni spesso drammatiche. Sabato scorso, a Budapest, i Volontari hanno festeggiato i primi 50 anni di vita del loro Movimento con il Volontarifest intitolato: “Tante sfide, una proposta: la fraternità”. Ma quali le sfide di oggi e che cosa si intende per fraternità come risposta a queste sfide? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Vera Araujo, brasiliana, docente di sociologia all’Istituto superiore “Sofia” e coordinatrice del Volontarifest:

 

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R. – Viviamo un’epoca di grandi trasformazioni: sfide nel campo della giustizia, nel campo della comunicazione, della politica, dell’economia; sfide nel campo dei rapporti internazionali, delle strutture economiche, perché pensiamo che la fraternità sia una risposta importante a tutte queste sfide perché abbiamo scoperto che la fraternità è una categoria capace di entrare in un ambito della vita sociale, politica ed economica, trasformando le situazioni dal di dentro. La fraternità ha una valenza religiosa; in ogni religione la fraternità è indicata come una via ma è stato proprio Gesù che ha annunciato la fraternità universale come la realizzazione di una grande famiglia umana perché tutti figli dello stesso padre. Ma la fraternità ha anche una valenza laica, è uno dei grandi temi della rivoluzione francese assieme alla libertà e all’uguaglianza, ma è la fraternità che dà fondamento, che dà realtà ad ogni libertà ed ad ogni uguaglianza. La categoria della fraternità è in grado, non solo di risolvere alla radice i problemi ma anche di indicare il metodo, come si può affrontare le sfide del mondo di oggi.

 

D – La proposta di Chiara Lubich come soluzione a questa notte collettiva e culturale che vive il tempo odierno: “l’amore a Gesù crocifisso e abbandonato”, come vivere questa proposta?

 

R. – Questa proposta è il cuore stesso del messaggio cristiano. Cristo che si fa uomo e che assume su di sé tutta la sofferenza del mondo, tutta la notte, tutte le incertezze dell’umanità, rischiara questa notte e la trasforma in luce, in amore. Questo vuol dire portare la redenzione, portare la luce, la realtà che Dio ci ama dentro la vita del mondo e non solo dentro le chiese nei templi, ma là dove l’uomo vive, lavora, soffre e fatica. E’ là che dobbiamo dare questo annuncio.

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IN CORSO A CASTEL GANDOLFO, FINO AL 24 SETTEMBRE, LA MOSTRA DAL TITOLO:

“PAPA WOJTYLA TESTIMONE D’AMORE NELLA SOFFERENZA”. ESPOSTI TRENTA RITRATTI

DI GIOVANNI PAOLO II NEGLI ULTIMI ANNI DI PONTIFICATO

- Con noi, mons. Marcello Semeraro e il maestro Francesco Guadagnuolo -

 

“Giovanni Paolo II è entrato nel cuore della gente, soprattutto per la sua testimonianza di amore e dedizione nella sofferenza”: a queste parole, pronunciate da Benedetto XVI all’Angelus del 16 ottobre del 2005, nel 27.mo anniversario dell’elezione al Soglio Pontificio di Giovanni Paolo II, è ispirata la mostra dal titolo: “Papa Wojtyla testimone d’amore nella sofferenza”. Esposte, fino al 24 settembre, nella cripta della parrocchia pontificia di San Tommaso da Villanova, a Castel Gandolfo, circa trenta opere del maestro siciliano, Francesco Guadagnuolo, che ritraggono Giovanni Paolo II negli ultimi anni di Pontificato. Ce ne parla Roberta Moretti:

 

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(musica)

 

Ormai anziano e malato, la figura curva, il corpo appoggiato al Pastorale. Giovanni Paolo II è ritratto con un linguaggio semplice e intenso, mentre annuncia il messaggio di amore di Cristo, attraverso la sua sofferenza. La riflessione del vescovo di Albano, mons. Marcello Semeraro, che ha inaugurato la mostra e benedetto le opere esposte:

 

“Il colore che generalmente pervade queste pitture è il rosso. Il rosso nella liturgia è il colore del fuoco dello Spirito e anche dei martiri e, dunque, questo rosso, che torna insistentemente, vuole ricordarci quel tema dell’amore che è espresso nel titolo della mostra. L’altra cosa che mi pare importante sottolineare è il suo centrare l’attenzione sul volto, sullo sguardo, sugli occhi. Giovanni Paolo II a volte è raccolto nella preghiera e i suoi occhi sono socchiusi e altre volte con lo sguardo si protende verso gli uomini. Credo che questo ci ricordi il momento, così come ci è stato raccontato, delle ultime ore di Giovanni Paolo II, dove certamente i suoi occhi erano chiusi nella sofferenza, ma al tempo stesso, moralmente e spiritualmente aperti, in cerca di sguardi”.

 

Uno sguardo, quello di Giovanni Paolo II, capace di parlare al cuore dell’uomo, come spiega l’autore dei ritratti, il maestro Francesco Guadagnuolo:

 

“Ho cercato di far emergere gli occhi azzurri, bellissimi, del Papa, pieni di compassione. Ho cercato di trasmettere attraverso lo sguardo le sue ansie, i suoi sussulti, le esitazioni, anche le espressioni di dolore, di un uomo che affronta ogni giorno un dialogo con la propria coscienza e con quella dell’umanità intera. Il Papa sospeso tra trascendenza e umanità”. 

 

Un Papa che ha saputo dare un valore positivo alla sofferenza. Ancora Francesco Guadagnuolo:

 

“Egli ci ha insegnato che la debolezza è una parte creativa della vita umana e che la sofferenza può essere accettata senza perdita di dignità. La sofferenza certamente appartiene al mistero dell’uomo. In essa l’uomo ritrova se stesso, la propria umanità, la propria dignità, la propria missione. E nel guardare il suo crocifisso troviamo la forza di accettare questo mistero”.

 

(musica)

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CHIESA E SOCIETA’

22 settembre 2006

 

EMERGENZA UMANITARIA IN COLOMBIA: “DOBBIAMO ABBANDONARE L’INDIFFERENZA”, AMMONISCONO I VESCOVI, DI FRONTE ALLA POVERTA’ ESTREMA DEL NOSTRO PAESE

E ALLA CRIMINALITA’ DILAGANTE.

DA QUI L’APPELLO AL GOVERNO DEL PRESIDENTE URIBE

PER DARE RISPOSTE “IMMEDIATE ED EFFICACI”

- A cura di Luis A. Badilla Morales -

 

BOGOTA’. = Lo scorso 19 settembre, la Chiesa cattolica colombiana ha chiesto al governo del presidente Alvaro Uribe un ulteriore sforzo per superare la povertà che colpisce milioni di colombiani. I dati ufficiali recenti confermano che un 50 per cento della popolazione patisce la povertà. Un 20 per cento rientra nella categoria delle persone indigenti. La Chiesa, al tempo stesso, ha rinnovato la sua preoccupazione di fronte alla crisi umanitaria interna, ritenuta fra le più gravi nei Paesi occidentali. I vescovi della Colombia hanno lanciato, in particolare, un accorato appello per far fronte con misure tempestive ed efficaci al fenomeno degli sfollati forzati, che nel 2004 erano otre 4 milioni 600 mila persone. Il vescovo di Barrancabermeja, Jaime Prieto Amaya, ha ricordato, nei giorni scorsi, che all'attuale esercito di persone costrette a fuggire senza una destinazione precisa si aggiungono 780 colombiani al giorno che devono abbandonare casa e lavoro. Secondo i dati in possesso della Chiesa, il 51 per cento degli sfollati si trova in questa drammatica situazione “perché minacciata seriamente” dalle violenze incrociate che da molti anni devastano il Paese. “Quest’emergenza umanitaria ha colpito gravemente la nostra Patria. Dobbiamo abbandonare l’indifferenza e prendere coscienza del fatto che occorre trovare presto delle soluzioni adeguate”, ha sottolineato mons. Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Barranquilla. I presuli colombiani fanno un richiamo speciale, chiedendo risposte “immediate ed efficaci”, soprattutto di fronte alla situazione che colpisce i bambini minori di 10 anni, settore sociale in cui si concentrano i maggiori indici di povertà. Il documento della Pastorale sociale della Chiesa colombiana – “La pace è possibile; per una pace negoziata e giusta” - in sostanza chiede al governo di “decretare uno stato di emergenza sociale nazionale”. Secondo mons. Héctor Fabio Henao, “è necessario rivedere una politica economica che sta favorendo pochi settori e si rivela ingiusta”, in un Paese in cui 2 milioni e mezzo di bambini sono costretti a lavorare per sostenere le loro famiglie. Già lo scorso 26 luglio, l’episcopato colombiano aveva lanciato un programma per garantire la sicurezza alimentare ad un totale di 13.075 famiglie (oltre 65 mila persone) di solo 4 Dipartimenti del Paese e che rientrano nella categoria degli “sfollati”. Infine, va anche ricordato che nell’emergenza umanitaria si include una delle piaghe peggiore in Colombia: i sequestri portati a compimento o per motivazione politiche oppure a scopo di estorsione. Secondo dati ufficiale della Chiesa, già nel 1990 i rapimenti erano oltre 1.000. Nel 1998, si registrarono 2.000 casi ed oggi gli ostaggi, “a vario titolo”, sono oltre 2.490.

 

 

IN OCCASIONE DELLA “GIORNATA ISTITUZIONALE DI CONOSCENZA E DIALOGO”:

 RAGAZZI CATTOLICI, EBREI E MUSULMANI HANNO VISITATO IERI LA SINAGOGA,

LA MOSCHEA E LA BASILICA VATICANA. IL GESTO DIMOSTRA

CHE IL DIALOGO INTERRELIGIOSO È POSSIBILE E CHE, OLTRE ALLA TOLLERANZA,

OCCORRE ANCHE L’INTEGRAZIONE

 - A cura di Isabella Piro -

 

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ROMA. = “Bisogna cambiare le cose, perché non si può cambiare il Vangelo”: c’è stata la grande intuizione del politico cattolico Giorgio La Pira alla base della “Giornata istituzionale di conoscenza e dialogo”, promossa dal governo italiano. Un momento di incontro che ha visto i giovani cristiani, ebrei e musulmani visitare i rispettivi luoghi di culto, compiendo un pellegrinaggio non solo reale, ma anche metaforico verso una possibilità concreta di convivenza, al di là di paure e pregiudizi. “Il senso dell’iniziativa – ha spiegato Osama Al Saghir, presidente dei Giovani musulmani italiani – è quello di lanciare un messaggio ai giovani di tutto il mondo, perché la strada unica per risolvere tutte le problematiche e tutti i conflitti è quella della conoscenza, del dialogo, basata soprattutto su un rispetto reciproco”. Ciò che divide non va assunto come definitivo, ma come punto di partenza per il dialogo: con queste parole, il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, ha ricevuto i giovani rappresentati delle tre religioni. Sono proprio loro, infatti, ad avere la leva giusta per abbattere il muro delle diffidenze. “I giovani hanno certamente più facilità - sostiene Simone Esposito, vicepresidente Settore giovani dell’Azione Cattolica – di avviare oggi un percorso di dialogo, perché hanno meno pregiudizi, perché hanno meno cose da lasciarsi alle spalle, ma soprattutto perché hanno una voglia maggiore di costruire una realtà civile”. Medio Oriente, terra di sfida: è lì che si scontrano cattolici, ebrei e musulmani ed è da lì, secondo i ragazzi, che bisogna partire per realizzare la convivenza e la pace non solo religiosa, ma anche civile e sociale. “Senza la pace non si va da nessuna parte ed è importante - questo è quello che ha motivato Tobia Zevi, presidente dell’Unione Giovani ebrei d’Italia – cercare punti di convergenza su questioni che ci univano non solo come fedeli, ma ci univano anche come cittadini, come giovani e partendo sempre dal presupposto che ognuno di noi è sempre un fascio di identità plurali”. E nel corso della giornata, è stata annunciata anche, da parte del ministero delle Politiche giovanili, l’istituzione di una Consulta permanente per il dialogo teologico e culturale.

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LA LEGGE PROPOSTA NEGLI STATI UNITI PER AUTORIZZARE INTERROGATORI

PIÙ SEVERI AI CITTADINI STRANIERI SOSPETTATI DI TERRORISMO

VIOLA LE CONVENZIONI

DI GINEVRA SECONDO I CINQUE RELATORI INDIPENDENTI DELL’ONU

- Servizio di Roberta Gisotti -

 

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GINEVRA. = Lo hanno scritto “nero su bianco” i cinque relatori indipendenti delle Nazioni Unite in una nota al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, riunito a Ginevra. Il progetto di legge proposto dal presidente Bush al Congresso americano viola gli “obblighi degli Stati Uniti in materia di diritti umani”, e gli stessi “requisiti dell’articolo 3 delle Convenzioni di Ginevra”. Gli esperti ONU denunciano inoltre che l’esistenza di Centri di detenzione segreta in territorio estero, ammessi da Washington, comporta “violazioni molte serie dei diritti umani”, riguardo “la caccia ai presunti terroristi”. Da qui, l’appello reiterato dell’ONU e delle organizzazioni umanitarie per la chiusura immediata del carcere di massima sicurezza di Guantanamo, a Cuba, in cui centinaia di stranieri sospettati di terrorismo sono trattenuti “in aperta violazione delle leggi internazionali sulla tortura e sulla detenzione arbitraria”. “Chiediamo al governo di cessare una volta per tutte – scrivono i cinque relatori – le pratiche inumane e crudeli” di questi interrogatori. Sul tema della tortura è intervenuto anche il massimo esperto in materia delle Nazioni Unite, Manfred Nowak, che ha analizzato l’attuale situazione delle carceri irachene che è, ha detto, “completamente fuori controllo”, riferendosi a casi documentati ed “episodi credibili”, tanto che per molti la diffusione della tortura avrebbe “raggiunto livelli più gravi che nell’epoca del dittatore Saddam Hussein”.  Per questo, la missione delle Nazioni Unite in Iraq ha sollecitato il governo USA ad invitare al più presto Nowak in Iraq per verificare di persona le condizioni delle carceri gestite dai militari americani.

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IL DIALOGO INTERRELIGIOSO DEVE BASARSI SULLA TOLLERANZA,

IL RICONOSCIMENTO DELLE DIFFERENZE, IL RISPETTO E L’ARRICCHIMENTO

RECIPROCO. È IL PENSIERO DI STUDIOSI E DOCENTI, DA MERCOLEDÌ RIUNITI A ROMA, ALLA LATERANENSE,

PER RIFLETTERE SULL’INSEGNAMENTO DELLA TEOLOGIA OGGI

- A cura di Tiziana Campisi -

 

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ROMA. = La riflessione teologica deve servire a far crescere il dialogo fra le religioni, fra cristianesimo, ebraismo ed islam. Questo, in sintesi, hanno voluto dire stamani i docenti della Pontificia Università Lateranense, a Roma, nell’ultima giornata del Seminario di studi sull’insegnamento della teologia oggi, dedicata al dialogo interreligioso. Il prof. Innocenzo Cardellini ha illustrato il diverso modo in cui cristiani ed ebrei interpretano l’Antico Testamento, ma ha puntualizzato che al di là di queste differenze esistono valori comuni sui quali è possibile percorrere un’identica strada. La vita, la solidarietà, la pace sono temi sui quali il confronto può crescere. Il docente ha concluso il suo intervento citando la dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”. Questa afferma (n. 4) che “la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti popoli acclameranno il Signore con una sola voce”, ma “l’orizzonte del riavvicinamento per le tante cose comuni, secondo questa dichiarazione – ha precisato il prof. Cardellini – non è la conversione finale di Israele … ma la reintegrazione di Israele al centro della cristianità”. “Ebrei e cristiani – ha detto ancora il prof. Cardellini – possono lavorare insieme per migliorare il mondo, nell’attesa della venuta o del ritorno del Messia, incentrandosi sul comune studio della Parola di Dio e delle rispettive tradizioni, che sono i frutti dell’ascolto adorante di questa Parola”. A proposito di cristianesimo ed islam, invece, il prof. Bartolomeo Pirone ha precisato che “il dialogo non deve pretendere di unificare le dottrine e i codici etici da esse dipendenti, ma solo testimoniare, attraverso una reciproca comprensione, che le singole fedi non possono e non devono allontanare l’uomo da quel Dio che è l’origine e la fonte del dono della fede stessa”. Sull’ecumenismo è stato detto che esso deve abbattere le barriere storiche e ideologiche e bandire ogni sorta di proselitismo ad oltranza e di fanatismo. “Conoscersi e rispettarsi come cristiani e musulmani – ha affermato il prof. Pirone – dà adito alla reciproca comprensione delle rispettive identità, personalità e fedi, fa scaturire una dimensione di reciproco amore, da cui proverranno ineludibilmente collaborazione e partecipazione al proprio divenire nella storia”. Nel pomeriggio, le riflessioni si sposteranno sui rapporti tra cristianesimo e religioni africane ed asiatiche, poi ci sarà spazio per le discussioni e le conclusioni.

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NUOVO TRAGUARDO IN PERU’ PER LA DIFFUSIONE DELLA BIBBIA

CHE E’ STATA TRADOTTA IN 41 LINGUE NATIVE

 

LIMA. = La Bibbia tradotta in 41 lingue native peruviane: è questo il risultato di un lavoro lungo anni portato a termine dall’“Instituto Lingüístico de Verano” (IlV), il cui direttore, James Roberts, ha dato l’annuncio proprio ieri, cosi come riportato dall’agenzia missionaria MISNA “Si è trattato di una grande sfida” ha detto il direttore dell’Ilv, spiegando che i traduttori che hanno lavorato sulle pagine del testo sacro alla cristianità si sono dovuti superare per fare sì che “le traduzioni fossero realmente fedeli nel sentimento” alla Bibbia originale. Il lavoro, svolto in stretta collaborazione con la Chiesa cattolica peruviana, la “Federación de Iglesias Indígenas de la Amazonía Peruana” ed altre confessioni cristiane locali, è stato portato a termine grazie all’impegno di equipe di nativi, una parte dei quali sta ora lavorando alla traduzione del Vecchio Testamento in altre sette lingue amazzoniche. Le sorprese però non finiscono perché l’ILV, per festeggiare adeguatamente i 60 anni della sua fondazione, ha intenzione di tradurre la Bibbia in altre 15 lingue native, arrivando presto a un totale di 56 idiomi. L’ILV non è nuovo a imprese del genere: in passato ha, infatti, già tradotto in 34 lingue native peruviane la Dichiarazione universale dei diritti umani. (R.G.)

 

 

AL VIA A LOPPIANO, DA OGGI AL 24 SETTEMBRE,

IL VI INCONTRO DELFAMILY POINT’. INIZIATIVA DEL MOVIMENTO DEI FOCOLARI

PER IL DIALOGO E LA FORMAZIONE DELLE FAMIGLIE

 

FIRENZE. = Entrare nelle dinamiche relazionali al fine di cogliere i punti cruciali per la stabilità e la crescita umana e spirituale della famiglia. Con questo spirito si apre oggi, alla Scuola internazionale per le famiglie di Loppiano, in Toscana, il corso tematico di approfondimento delle dinamiche familiari, organizzato da Famiglie Nuove, del Movimento fondato dai Focolari. Si tratta del VI modulo del “Family Point”: un’iniziativa basata su una serie di fine settimana di accoglienza, dialogo e formazione delle famiglie, che si tengono in quella che fu chiamata, da Chiara Lubich, “Scuola Loreto”. Sul tappeto di questo sesto incontro, che si concluderà domenica, c’è la crisi del patto coniugale e i condizionamenti culturali che determinano i comportamenti di coppia. Esperti e famiglie, che parteciperanno al corso, approfondiranno le dinamiche che aiutano a rinnovare, nella spiritualità, l’unione all’interno coppia. (M.G.)

 

 

 

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24 ORE NEL MONDO

22 settembre 2006

 

- A cura di Roberta Moretti -

 

Il futuro governo di unità nazionale palestinese tra al Fatah e Hamas “non ha nel suo programma il riconoscimento di Israele”: è quanto ha affermato stamani il principale consigliere politico del primo ministro palestinese di Hamas, Ismail Haniyeh, smentendo così il presidente dell’ANP, Abu Mazen, che ieri, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso a New York, aveva dichiarato che il prossimo esecutivo avrebbe riconosciuto lo Stato Ebraico e rinunciato alla violenza. Il nostro servizio:

 

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Per risolvere la crisi, il consigliere di Haniyeh ha annunciato che proporrà a Israele una “tregua di 10 anni”, ma l’eventualità è stata immediatamente respinta da Gerusalemme, che ha chiesto, invece, il rispetto delle condizioni fissate dalla comunità internazionale, ovvero, il riconoscimento dello Stato Ebraico, la fine delle violenze e il rispetto degli accordi presi in precedenza con l’ANP. Intanto, nonostante il premier israeliano, Ehud Olmert, si sia detto pronto a negoziare un eventuale rilascio dei prigionieri palestinesi, non si ferma la violenza sul campo: sette soldati israeliani sono rimasti feriti questa mattina da alcuni ordigni lanciati da miliziani palestinesi durante un’operazione a Nablus, in Cisgiordania. L’attacco è stato rivendicato dalle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa, legate ad Al-Fatah, l’organizzazione guidata da Abu Mazen. Intanto, sempre oggi, uomini armati hanno aperto il fuoco in mezzo alla folla in fila al valico di Rafah fra Gaza e l’Egitto, appena riaperto, dopo un mese di blocco, ferendo due poliziotti palestinesi. Da segnalare, infine, che le forze di sicurezza israeliane hanno imposto oggi il blocco sulla Cisgiordania per impedire che estremisti palestinesi portino a compimento attentati in territorio israeliano durante le celebrazioni per il Capodanno ebraico, che iniziano questa sera. Resteranno chiusi anche i valichi di frontiera tra Israele e la Striscia di Gaza.

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Andiamo in Libano. Hezbollah si appresta a celebrare oggi pomeriggio a Beirut la “Vittoria Divina” contro Israele, secondo la definizione del suo leader, Nasrallah. Incerta, per timore di attentati, la presenza del leader del “Partito di Dio” all’imponente manifestazione che avrà luogo nei quartieri della capitale libanese, pesantemente colpiti nei 34 giorni di bombardamenti israeliani. E proprio per chiedere la riparazione dei danni, ieri da New York, dove si trovava per l’Assemblea Generale dell’ONU, il presidente libanese, Emile Lahoud, ha assicurato che il suo Paese si riserva il diritto di far causa a Israele. Sempre ieri, il ministro della Difesa di Beirut, Elias Murr, aveva minacciato di ricorrere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, se Israele non rispetterà l’impegno di ritirarsi dal sud del Libano entro una settimana.

 

Ancora sangue in Iraq. Quattro civili sono morti questa mattina a Bagh-dad, quando un commando di 20 uomini, a bordo di 5 automobili, ha aperto il fuoco contro diverse abitazioni e due moschee sannite, affollate per la preghiera del venerdì, nel quartiere settentrionale di Hurriya. All’arrivo della polizia irachena e delle truppe statunitensi, gli attentatori sono riusciti a fuggire. Questa mattina, inoltre, il comando USA ha annunciato la morte di due soldati americani: il primo, ad est della capitale, per l’esplosione di una bomba al passaggio del convoglio su cui viaggiava; l’altro, invece, per le conseguenze delle ferite riportate ieri in combattimento nella provincia di Al-Anbar. Infine, all’indomani del passaggio di consegne agli iracheni, da parte degli italiani, delle operazioni di sicurezza nella provincia del Dhi Qar, ci si chiede se e come le truppe irachene saranno in grado di gestire la situazione nel territorio. Massimiliano Menichetti ha girato la domanda all’analista militare, il generale Luigi Caligaris:

 

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R. – Alcuni reparti sono molto bravi, si sono immedesimati nel loro compito e lavorano molto bene. E poi, c’è una grandissima parte che invece ha mantenuto la propria fede etnica di appartenenza: i sunniti sono sunniti, gli sciiti sono sciiti, i curdi sono curdi. E questo crea un’assenza di coesione al loro interno, un’assenza di affidabilità. Un’altra cosa che si può dire è che arriviamo al paradosso che moltissimi disertano!

 

D. – Gli Stati Uniti manterranno fino a primavera 147 mila uomini in Iraq: questo significa che la stabilizzazione complessiva è ancora lontana?

 

R. – La stabilizzazione complessiva è lontanissima. C’è il fatto che, oltre ad un esercito diviso al suo interno, che è quello propriamente chiamato ‘iracheno’, ci sono tanti eserciti che sono milizie che fanno invece riferimento alle loro autorità locali riconosciute.

 

D. – Quindi che cosa bisogna auspicarci?

 

R. – Che non ci sia una guerra civile, ma è un auspicio che non ha una base molto solida!

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Il programma segreto della CIA per catturare e interrogare sospetti terroristi non verrà smantellato: i detenuti di Guantanamo avranno i loro processi di fronte a tribunali militari speciali. Sono le conseguenze di un accordo raggiunto ieri tra la Casa Bianca e un terzetto di senatori ribelli sul tema delle torture e del rispetto della Convenzione di Ginevra. Secondo Bush, tale intesa “libera la strada per catturare, detenere, interrogare e poi processare terroristi”.

 

In Afghanistan, un gruppo di uomini armati ha attaccato ieri sera un convoglio di cinque autocisterne che trasportavano carburante per le forze americane e una compagnia di costruzioni, uccidendo un lavoratore pakistano. Lo hanno reso noto oggi fonti ufficiali del governo. Gli assalitori hanno attaccato il convoglio a colpi di granate e armi leggere, mentre percorreva la strada principale che porta dal confine col Pakistan alla città orientale di Jalalabad. 

 

Se l’Iran verrà attaccato, “i nostri leoni colpiranno il nemico come un fulmine”: è quanto ha dichiarato stamani il vice presidente iraniano, Parvis Davudi, durante una parata militare a Teheran, durante la quale sono  stati mostrati Missili con una gittata fino a 2000 km, in grado di raggiungere Israele. Ieri, intanto, a margine dei lavori dell’Assemblea Generale dell’ONU, in corso a New York, il presidente della Repubblica Islamica, Mahmud Ahmadinejad, aveva dichiarato che Teheran “non ha bisogno della bomba atomica”. Sentiamo Paolo Mastrolilli:

 

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Il leader di Teheran ha ribadito che i programmi atomici del suo Paese sono pacifici e ha dichiarato di essere disposto a negoziare la sospensione dell’arricchimento dell’uranio, quando ci saranno le condizioni giuste per farlo. Il Consiglio di Sicurezza ha approvato una Risoluzione, in cui chiedeva all’Iran di fermare entro il 31 agosto le proprie attività, sospettate di essere finalizzate alla costruzione di armi. Finora la Repubblica Islamica non ha obbedito, ma i Paesi membri permanenti del Consiglio, la Germania e l’Italia hanno deciso di dare ancora qualche settimana di tempo al rappresentante europeo Solana per cercare una soluzione diplomatica alla crisi. Ieri, però, il ministro degli Esteri italiano, D’Alema, ha detto che si tratta di settimane e non di mesi. Se Teheran non risponderà in maniera positiva, il passo successivo sarà di riportare la questione davanti all’ONU per discutere le sanzioni.

 

Da New York, per la Radio Vaticana, Paolo Mastrolilli.

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Gli autori del colpo di Stato compiuto martedì in Thailandia si sono insediati formalmente questa mattina, nel corso di una cerimonia trasmessa da tutte le emittenti televisive del Paese. Il giuramento dei generali si è svolto davanti ad un ritratto del re Bhumibol Adulyadej, che ieri aveva appoggiato il golpe e che stamani, con un decreto, ha nominato il generale Sonthi Boonyaratglin capo del governo provvisorio, chiamato ‘Consiglio per la riforma democratica sotto la monarchia costituzionale’. Intanto, ieri sera, dopo aver arrestato il vice premier e tre membri del governo, i golpisti hanno destituito il capo dell'intelligence, il vice capo della polizia e due alti ufficiali. I quattro facevano parte del segretariato permanente del governo di Thaksin Shinawatra, che si sta concedendo a Londra un “periodo di riposo”.

 

Code alle urne e clima di calma in Gambia, dove sono in corso oggi le elezioni presidenziali e legislative. Gli oltre 600 mila elettori del piccolo Paese musulmano dell’Africa occidentale sono chiamati a scegliere tra il presidente uscente, Yahya Jammeh, in carica dal colpo di Stato del 1994, e due canditati dell’opposizione, Halifah Salah e Ousainou Darboe. Prevista la riconferma del presidente Jammeh, che è in cerca del suo terzo mandato, dopo le vittorie elettorali del 1996 e del 2001. 

 

È stato rivendicato da un gruppo ribelle di origine somala il rapimento, avvenuto lunedì scorso in Etiopia, di due ingegneri del Comitato della Croce Rossa internazionale (CICR) – un irlandese e un etiope – sequestrati da uomini armati nei pressi di Gode, nella regione sud-orientale dell’Ogaden. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche somale. In una nota, ilFronte unito per la liberazione della Somalia occidentale’ ha rivendicato il sequestro, precisando però l’episodio è stato frutto di un equivoco, visto che i due uomini sono stati scambiati per lavoratori delle compagnie petrolifere che stanno effettuando prospezioni nel Somali State in Etiopia. Nella nota si annuncia che i due saranno rilasciati entro 48 ore.

 

Continuano le manifestazioni in Ungheria contro il governo di centro–sinistra del premier, Ferenc Gyurcsany. Ieri sera, circa 10 mila persone hanno protestato pacificamente davanti al Parlamento di Budapest. Le proteste sono iniziate lo scorso fine settimana, quando la radio pubblica ha trasmesso un colloquio privato nel quale il Gyurcsany ammetteva di aver mentito sui risultati del governo per vincere le elezioni. Negli scontri scaturiti tra dimostranti e polizia, 255 persone sono rimaste ferite e circa 200 dimostranti sono stati arrestati.

 

Ha provocato “diverse vittime”, questa mattina nella Germania settentrionale, un grave incidente ferroviario che ha coinvolto il Transrapid, il treno superveloce su monorotaia magnetica, nei pressi di Osnabrueck. Lo ha reso noto il canale all-news tedesco NTV, precisando che il convoglio, che aveva a bordo tra le 21 e le 29 persone, ha investito una motrice di servizio alla velocità di 200 chilometri l’ora ed è rimasto sospeso nel vuoto a un'’altezza di oltre 5 metri.

 

Possibile crisi di governo in Polonia. Il premier, Jaroslaw Kaczynski, ha annunciato la decisione di sollevare dall’incarico il vice-primo ministro e ministro dell’Agricoltura, Andrzej Lepper. Kaczynski non ha escluso l’eventualità di elezioni politiche anticipate nel novembre prossimo, nel caso in cui non riuscisse a ricostituire una coalizione con una stabile maggioranza parlamentare, anche senza il partito presieduto da Lepper.

 

Proseguono gli sbarchi di immigrati a Lampedusa. Circa 280 persone, a bordo di due imbarcazioni, hanno raggiunto questa mattina l’isola italiana. Altri 37 immigrati erano stati soccorsi nella notte, a 11 miglia dalla costa e trasferiti al centro di prima accoglienza di Lampedusa, ormai congestionato. Sul fronte politico, ieri il vice-commissario europeo, Franco Frattini, intervenendo al vertice dei ministri degli Interni e della Giustizia UE di Tampere, in Finlandia, ha annunciato lo sblocco di 3 milioni di euro da destinare alla Libia, per contrastare l’immigrazione clandestina. E stamani il ministro degli Esteri libico, Abdurrahman Shalgam, incontrando a New York il suo omologo italiano, Massimo D’Alema, ha definito “positivo e costruttivo” l’atteggiamento dell’Italia in termini di immigrazione clandestina, riferendo che la Libia è pronta ad accettare la creazione di una forza militare dell’Unione Europea nel Mediterraneo, per arginare il fenomeno.    

 

Un bambino di 11 anni è la vittima numero 50 del virus dell’influenza aviaria in Indonesia. Lo ha annunciato oggi il ministero della Sanità indonesiano. Runizar Ruesin, capo del Centro informazioni sull’aviaria, ha precisato che il bambino è morto lunedì all’ospedale di Tulungagung, nella provincia di Giava orientale.

 

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